Hi-Tech Ambiente n.2 - Febbraio 2021

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXXII FEBBRAIO 2021

APPLICAZIONI CLASSICHE E ALTERNATIVE

PROGETTO RECREO

La combustione senza fiamma

Come trattare gli acidi di zincatura

a pagina 33

a pagina 10

SFRUTTARE A PIENO LE POTENZIALITA’

LA GESTIONE OTTIMALE DEGLI IMPIANTI DI BIOGAS a pagina 22

N2



SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS

PANORAMA

Più sostenibilità con VinylPlus Med

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La gestione ottimale degli impianti di biogas 22 Come selezionare l'inoculo, cosa misurare in entrata e cosa in uscita, analisi del digestato per un suo utilizzo agricolo

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PFU: cresce la quota di raccolta Incrementata del 15% la quantità di pneumatici fuori uso da recuperare presso i punti vendita in Italia

Il clean-up del biogas con led 6

Crescono i Comuni “rifiuti free

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L’H2S viene convertito in zolfo mediante fotosintesi batterica resa particolarmente efficiente

L’idrogeno verde dal biogas

DEPURAZIONE La bonifica con microfiltrazione

Nell’ambito del progetto Bioroburplus, Hysytech ha sviluppato un impianto per la produzione di 50 Nmc\h di H2 in modo economicamente efficace

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In sperimentazione a Taranto una soluzione efficace, rispettosa dell’ecosistema, a basso costo e di facile utilizzo, per il problema dei sedimenti inquinati

Come trattare gli acidi di zincatura

SPECIALE "SOS SVERSAMENTI DA MACCHINE E IMPIANTI” 27

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Un metodo alternativo per rigenerare i bagni esausti mediante distillazione sottovuoto parziale con estrazione di preziosi composti metallici

Il trattamento con alghe di scarichi salini

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TECNOLOGIA

La combustione senza fiamma 12

La biomassa algale nella rimozione dei contaminanti organici e degli agenti eutrofizzanti entro bacini ad alto carico con l’aiuto di CO2

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Questa nuova tecnologia implica l’uso di particolari bruciatori, da quelli rigenerativi a quelli recuperativi, ma tutti di tipo LowNOx

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Il cracking ecologico Come rendere più sostenibile uno dei principali processi petrolchimici, soprattutto per quanto riguarda la riduzione delle emissioni

GREEN FASHION

Il riciclo di fibre cellulosiche

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GREEN ECONOMY

Le tecnologie più promettenti per convertire i rifiuti tessili in materie prime per nuove produzioni

La logistica è più sostenibile

RIFIUTI Gli scarti siderurgici in impianti solari

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Ottenuta la prima autorizzazione in Italia per fornire 2.500 tonnellate di questi residui della depurazione, da reimpiegare nei cantieri del territorio

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MARKET DIRECTORY

Oltre al riciclo, si ottiene la riduzione di materia prima impiegata, di energia consumata e di CO2 prodotta

Il recupero di sabbie di scarto

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I risultati raggiunti in Italia da quattro importanti aziende del food: Barilla, Ferrero, Mondelez e Müller

INSERZIONISTI 18

AMG IMPIANTI Srl BRUNO WOHLFARTH Srl CID ING. VENTURA Srl FORMECO Srl HYSYTECH Srl ITELYUM-IDROCLEAN Srl

NCR BIOCHEMICAL Spa PPE-PLASTIC PROJECT EUR. Srl RAGAZZINI Srl SCOLARI Srl SERECO Srl TPI-TECNO PROJECT IND. Srl

GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 50 Hi-Tech Ambiente

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panorama Nell’ambito di VinylPlus, l'impegno Volontario per lo sviluppo sostenibile dell'industria europea del PVC, è stato di recente presentato un nuovo progetto chiamato VinylPlus Med, finalizzato al riciclo in tutta europa di dispositivi medicali monouso in PVC. il progetto, che è una vera e propria partnership di collaborazione per accelerare la sostenibilità nella sanità europea, riunisce ospedali, gestori di rifiuti, riciclatori e l'industria del PVC. adeguata selezione e riciclo di rifiuti in plastica non contaminati possono infatti ridurre significativamente l'impatto ambientale degli ospedali e i loro costi di gestione.

Nel settore saNitario

Più sostenibilità con VinylPlus Med

il PVC è la plastica più comunemente utilizzata nei dispositivi medicali monouso salvavita, tra cui maschere per ossigeno e per anestesia, tubicini, sacche per flebo e per dialisi. Molti di questi dispositivi, utilizzati solo una volta e per un breve periodo di tempo su pazienti non infettivi, possono essere riciclati. VinylPlus Med sta sviluppando in Belgio uno schema di riciclo per dispositivi medicali in PVC monouso per aiutare gli ospedali a gestire il flusso di tali rifiuti. il programma si concentrerà su rifiuti in PVC ripuliti e conformi al reach che possono essere riciclati in un'ampia gamma di prodotti di valore commercializzati in tutta europa.

luNGhe PerCorreNze

GestioNe BioPlastiChe

Longrun: tir e autobus più eco

Biorepack è il 7° consorzio Conai Con l’approvazione dello statuto da parte del Ministro dell'ambiente e del Ministro dell’economia, il consorzio Biorepack è ufficialmente divento il 7° consorzio di filiera Conai. Costituito a fine 2018 da sei tra i principali produttori e trasformatori di bioplastiche (Ceplast, ecozemaFabbrica Pinze schio, ibi Plast, industria Plastica toscana, Novamont e Polycart) Biorepack si occuperà della gestione a fine vita degli im-

lo sviluppo di sistemi di propulsione efficienti ed eco-compatibili per autobus e mezzi pesanti dedicati alle lunghe distanze è l’argomento del progetto europeo longrun nell’ambito del programma horizon 2020. i partner del progetto, tra cui anche iveco, hanno deciso di unire le forze per accelerare il percorso verso un futuro del trasporto più sostenibili in termini ambientali ed energetici. obiettivo dell'iniziativa è ridurre le emissioni reali di guida e dei

consumi di combustibile nel settore dei trasporti a lunga percorrenza, attraverso la promozione di decisioni basate su risultati validati e fornendo raccomandazioni per politiche future. Nell'ambito del progetto, un ulteriore traguardo sarà rappresentato dal sistema di simulazione a sostegno della progettazione e dello sviluppo di propulsori efficienti, comprese versioni ibride per camion e autobus. i partner si impegnano a sviluppare otto unità dimostrative, tra cui tre motori, un insieme cambio-trasmissione ibrido, due autobus e tre camion, al fine di velocizzare la transizione dai carburanti basati su combustibili fossili a nuove alternative rinnovabili. Hi-Tech Ambiente

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ballaggi in plastica biodegradabile e compostabile che possono essere raccolti con la forsu e trasformati in compost o biogas. <<siamo estremamente soddisfatti del riconoscimento – commenta Marco Versari, presidente di Biorepack – e siamo pronti a collaborare con Conai e anci per coordinare e ottimizzare la gestione del riciclo, affinché i cittadini possano conferire nella raccolta dell’umido gli imballaggi in bioplastica>>.


Dal MInIstero Dell’aMbIente

PFU: cresce la quota di raccolta Incrementata del 15% la quantità di pneumatici fuori uso da recuperare presso i punti vendita in Italia tutela ambientale e della salute dei cittadini, potenzialmente connessi all’eccessivo stoccaggio presso i gommisti e all’abbandono dei PFU nell’ambiente. Questi restano gli obiettivi per cui esiste ecopneus. Fin dal 2011, infatti, il Consorzio ha rac-

a dicembre scorso, una nuova Direttiva del Ministero dell’ambiente ha prescritto ad una parte dei soggetti responsabili della gestione dei Pneumatici Fuori Uso in Italia (tutte le forme associate e i sistemi individuali con immesso superiore a 200 tonnellate l’anno) le modalità per intervenire nella situazione di emergenza rappresentata dai PFU giacenti presso i punti vendita di pneumatici sul territorio nazionale. Il provvedimento obbliga tutti i soggetti responsabili alla raccolta sul suolo italiano di una quota aggiuntiva del 15% rispetto al target di riferimento derivante dal DM 182/2019, con conseguente eventuale adeguamento del contributo ambientale fissato. tale quota integrativa al target potrà essere ulteriormente incrementata fino al 20% con l’emissione di un nuovo provvedimento. “Il provvedimento - commenta Giovanni Corbetta, direttore generale di ecopneus - ci dà l’obbligo formale e ci permette di intervenire nell’unico modo possibile per affrontare immediatamente un problema che da mesi, con particolare criticità, pesa sugli operatori della sostituzione dei pneumatici, ma che da anni investe anche il lavoro di ecopneus. Per questo, il tema degli extra

quantitativi rispetto agli obiettivi di raccolta è da diversi anni al centro dell’attenzione di ecopneus, con uno sforzo per individuare possibili soluzioni al fine di assicurare la completa raccolta dei PFU generati nel mercato del ricambio e soprattutto per prevenire emergenze sul fronte della

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colto anche fino ad oltre il 10% dell’obiettivo di legge, per un totale di 130.000 tonnellate fino ad oggi. Grazie al provvedimento emesso, nei prossimi mesi la situazione di attuale congestione di molti punti di sostituzione pneumatici andrà progressivamente ad alleviarsi e risolversi; resta però più che mai attuale l’imperativo di arrivare ad un sistema di tracciamento e controllo che permetta di combattere l’ingresso irregolare di pneumatici nel mercato nazionale. la dimensione del fenomeno è stimata essere dagli operatori del settore non inferiore in media a 30/40mila tonnellate ogni anno in tutta Italia>>.


Dossier Di leGaMBieNte

PiattaForMe selezioNe riFiuti

Crescono i Comuni “rifiuti free”

Nasce Unipec in UniCircular

sono 598 i Comuni “rifiuti free”, quelli dove ogni cittadino produce al massimo 75 kg/anno di secco residuo, ben 51 in più dello scorso anno. e questa è davvero una buona notizia, specialmente se si considera che la crescita maggiore è avvenuta nel Meridione. i comuni rifiuti free del sud italia sono passati, infatti, da 84 a 122 e pesano, ora, per il 20,4% sul totale dei comuni in graduatoria. il merito di questa rimonta va, soprattutto, all’abruzzo, che porta i comuni virtuosi da 15 a 38, alla Campania che sale da 23 a 36 comuni, e alla sicilia che passa da 1 a 8 comuni. i comuni del Centro rappresentano il 6,5% del totale dei Comuni

in classifica e il Nord, nonostante l’incremento in numeri assoluti, per la prima volta scende dal 77% al 73,1%. Da segnalare la lombardia che cresce di 22 comuni (da 85 a 107). tra i capoluoghi di provincia sono solo 4 le città che rientrano nei parametri dei Comuni rifiuti Free: Pordenone, trento e treviso in testa, seguiti da Belluno. il Veneto si conferma la regione con il numero più elevato di Comuni rifiuti free: 168 comuni per una percentuale sul totale del 30%, stabile rispetto allo scorso anno. seguono il trentino-alto adige con 78 comuni (28%), due in più rispetto al 2019 che lo aveva visto in forte crescita, e il FriuliVenezia Giulia, che con 48 comuni rimane a quota 22%. Poi l’abruzzo e il Molise che passa da nove a 13 comuni (dal 7% al 10%). Questi i numeri principali dell’ultimo dossier “Comuni ricicloni” di legambiente.

Nasce in Fise uniCircular (unione imprese dell’economia Circolare) una nuova sezione denominata uniPec, l’unione Piattaforme e impianti per l’economia Circolare, per dare voce alle aziende che effettuano attività di gestione di piattaforme e impianti per una prima selezione e trattamento dei flussi di rifiuti che provengono dalle raccolte urbane o industriali, per la valorizzazione degli stessi tramite l’avvio al recupero delle

@AMBIENTE ON-LINE@AMBIENTE ON-LINE@

“Dove Lo Butto?” e’ stata creata una nuova piattaforma digitale per la corretta raccolta differenziata in qualsiasi parte d’italia ci si trovi, così da rispettare le diverse disposizioni locali. Nel nostro Paese, infatti, le regole per la differenziata variano tra un territorio e l’altro a causa delle esigenze tecniche e operative con cui si interfacciano le diverse municipalizzate locali. D’altra parte, poi, i consumatori non sono sempre certi del materiale di cui i packaging sono composti. la piattaforma si chiama “Dove lo butto?” ed è stata creata da Nestlé con l’obiettivo di informare e aiutare i consumatori in modo rapido e intuitivo sul corretto smaltimento dei rifiuti. Gli utenti, una volta raggiunto il

sito www.dovelobutto.nestle.it possono scaricare gratuitamente sul loro smartphone uno strumento digitale innovativo (progressi-

ve web app) che, tramite la scansione del codice a barre, è in grado di riconoscere immediatamente il prodotto e di fornire indicazioni sullo smaltimento delle diverse componenti del packaging secondo quanto stabilito dal Comune in cui ci si trova, individuato grazie alla geolocalizzazione. il sito, in questa sua prima fase di lancio, è aperto a feedback e suggerimenti al fine di migliorarne l’esperienza d’uso, ed è anche disponibile alla collaborazione con altre aziende per espandere il database con prodotti di altri marchi.

www.dovelobutto.nestle.it

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frazioni recuperabili e l’avvio a smaltimento di quelle non recuperabili. Neo presidente è stato eletto Francesco Valli, aD della Valli Gestioni ambientali. <<l’emergenza che stiamo attraversando ha amplificato e fatto ulteriormente emergere problematiche tutt’ora irrisolte, come la mancanza di sbocchi per i materiali recuperati e la cronica difficoltà, a causa della carenza impiantistica in alcune zone d’italia, a trovare una collocazione per gli scarti non recuperabili. il ruolo delle piattaforme di selezione per l’avvio a trattamento e recupero ha evidenziato Valli - è diventato oggi sulla carta sempre più centrale e strategico nel ciclo di gestione dei rifiuti in ottica di economia circolare, ma non è sufficientemente rappresentato nei e dai Consorzi di gestione, anche nell'ambito degli accordi nazionali con l’anci per gli imballaggi. il decreto di recepimento della direttiva rifiuti (D.lgs. 116/2020) ha tentato di colmare alcune lacune, ma al contempo ha aperto altre criticità, come la nuova definizione di rifiuto urbano>>.



DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

La bonifica con microfiltrazione Progetto Life4MarPiccolo

in sperimentazione a taranto una soluzione efficace, rispettosa dell’ecosistema, a basso costo e di facile utilizzo, per il problema dei sedimenti inquinati Nell’ambito del progetto life4MarPiccolo ha preso il via a settembre scorso l’operazione di bonifica delle acque contaminate del Mar Piccolo di taranto, una tra le prime 15 aree nazionali classificate “ad alto rischio ambientale” poichè gravemente inquinato nel corso degli anni prima dalle attività dell’arsenale Militare e dei Cantieri Navali e poi dagli impianti produttivi industriali. il progetto, che vede l’enea insieme, tra gli altri partner, all’istituto per l’ambiente Marino Costiero del CNr ha come obiettivo la riqualificazione ambientale di una porzione di questo specchio di mare mediante la realizzazione di un sistema innovativo di depurazione e un articolato programma di ricerca. l’impianto, sfrutta per la prima volta al mondo la tecnologia della microfiltrazione a membrana per bonificare i sedimenti marini inquinati e conseguentemente le acque sovrastanti. al termine del processo questa porzione di mare sarà restituita all’economia locale (dedita alla coltivazione dei mitili, le famose cozze tarantine) e alla comunità del territorio. il sistema messo a punto risulta estremamente selettivo, agile e a

caso del Mar Piccolo, presenta componenti biotiche particolarmente fragili e diverse specie protette. rispetto ai sistemi tradizionali come dragaggio o capping, che asportano o coprono il fondo del mare in modo indiscriminato con conseguente movimentazione di materiale potenzialmente contaminato oppure utilizzano disinquinanti chimici, il sistema in sperimentazione presenta indiscussi vantaggi ambientali, economici e di facilità di utilizzo. tale impianto, progettato da Ge-

basso costo, oltre che in grado di risolvere il problema dell’inquinamento dei sedimenti in via definitiva. in primo luogo, la soluzione consente di agire in modo “chirurgico” rimuovendo nella

loro totalità e in modo permanente gli inquinanti quali PCB, idrocarburi e metalli pesanti senza alterare o danneggiare l’ecosistema circostante che, nel

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nelab, è costituito da un’unità mobile di risospensione e captazione del sedimento che opera su una superficie marina di circa 3.000 mq nei pressi della riva, convogliandolo all’interno di un sistema di trattamento tramite microfiltrazione a membrana che occupa un’area di circa 150 mq. una volta rimossa in via selettiva la frazione organica più fine, l’impianto restituisce acqua “decontaminata”, mentre la frazione di scarto dove si accumulano gli inquinanti di maggiori dimensioni viene avviata a trattamento di risanamento biologico attraverso microorganismi fungini. e’ questo un altro aspetto innovativo del progetto, che permetterà così di monitorare il comportamento di questi microorganismi nella loro capacità di “biodegradare” alcuni inquinanti trasformandoli in composti non dannosi o addirittura utili, contribuendo a far avanzare la conoscenza scientifica per ottimizzare il processo in laboratorio per ulteriori applicazioni. il progetto propone un significativo cambio di operatività, ossia la risoluzione on site della contaminazione piuttosto che il suo spo-

stamento altrove senza effettiva chiusura del ciclo. altra caratteristica importante del

processo è la sua estrema flessibilità di utilizzo, essendo realizzabile praticamente ovunque, da

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piccole porzioni di battigia come nel caso di taranto a superficie più ampie o anche in mare aperto su natanti di grandi dimensioni; soluzione, quest’ultima, che consentirebbe di abbattere notevolmente i tempi di lavoro potendo gestire tutte le operazioni di captazione e trattamento in modo integrato. la struttura è anche energeticamente autosufficiente grazie a un vicino impianto fotovoltaico costruito nei pressi in modo da alimentarla con il minor dispendio di energia possibile. trattandosi, quindi, di una tecnologia esportabile, il team di ricerca lavorerà alla messa a punto di un protocollo d’intervento per il risanamento ambientale di siti marini costieri sia italiani che europei. in buona sostanza, life4MarPiccolo fungerà da laboratorio per l’attuazione di nuove strategie di risanamento su più ampia scala. Per di più, verrà anche realizzato un kit diagnostico per agire in via predittiva sui livelli di inquinamento e verificare con metodi agili e a basso costo la qualità delle acque e predisporre interventi di mitigazione.


Come trattare gli acidi di zincatura Progetto ReCreo

un metodo alternativo per rigenerare i bagni esausti mediante distillazione sottovuoto parziale con estrazione di preziosi composti metallici la zincatura di ferro e acciaio è un passaggio fondamentale nella protezione delle infrastrutture da corrosione, adesione di muschio, olio e persino gomme da masticare: pensiamo alle strutture esposte alle intemperie, come i “guardrail” o le travate dei cavalcavia. la zincatura a caldo è un processo in cui ferro o acciaio vengono immersi in zinco fuso, determinando la formazione di una patina resistente alla corrosione e “autorigenerante”, cioè in grado di continuare a proteggere il ferro sottostante anche in caso di abrasioni e graffi (purchè non troppo estesi), grazie a un meccanismo elettrochimico di corrosione preferenziale dello strato di zinco. Prima dell'immersione nei bagni di zinco, il metallo da trattare viene immerso nell'acido cloridrico per rimuovere impurità e ruggine, che impedirebbero una buona adesione allo zinco. Dopo un certo numero

di immersioni, il bagno acido diventa troppo saturo di ferro disciolto e perde di efficacia. Quando si arriva a questo punto, è necessario portare il bagno esausto presso una società di trattamento dei rifiuti pericolosi, che neutralizzerà l'acido residuo e smaltirà i fanghi residui in discarica. ogni anno vanno così smaltiti oltre 1.800 milioni di litri di acido, e il processo finora seguito comporta la perdita sia dei metalli disciolti che dell'acido, oltre alla soda necessaria per la neutralizzazione. attualmente, non esiste una soluzione alternativa per il trattamento dei rifiuti acidi generati dalla zincatura e dalla produzione di rifiuti stampati. il progetto reCreo, invece, si propone di riciclare completamente questo flusso di rifiuti, generando metalli utili. Questo avviene grazie a un metodo innovativo per pulire l'acido, estraendo preziosi composti metallici durante il processo; la ri-

generazione dell'acido avviene mediante la distillazione, che viene condotta sotto un vuoto parziale, in modo da ridurre il punto di ebollizione dell'acido cloridrico da 109 °C a meno di 80 °C (in questo modo si riduce il consumo di energia). Normalmente si ottiene acido cloridrico al 15-20%; se sono necessarie concentrazioni di acido più elevate è necessaria una distillazione a due stadi. Dopo la distillazione, l'acido viene purificato e vengono rimossi i metalli diluiti in forma salina, come il solfato di ferro e il solfato di zinco; il cliente riceve indietro l'acido cloridrico pulito, mentre i solfati possono essere utilizzati in molti settori, come la depurazione delle acque reflue. l'azienda ChemBrot, che ha ospitato il progetto, stima che il mercato per il loro processo in europa raggiungerà di 250 milioni di euro. Per il momento è stato realizzato un impianto pilota a Jarvenpaa, in Fin-

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landia, che può distillare ogni anno 2 milioni di litri di rifiuti, sufficienti per servire tutte e 14 le fabbriche di zincatura a caldo del paese. se tutto va bene, ChemBrot si augura di dirottare 14.800 tonnellate di metallo e 74 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi dalle discariche entro il 2029, e di ottenere entrate per oltre 50 milioni di euro durante il processo, dando inoltre lavoro a 170 persone. su base europea gli obiettivi potrebbero allargarsi a 250 milioni di litri di soluzioni acide ogni anno. il progetto è stato sostenuto dal programma horizon 2020 dell'ue; al progetto reCreo ha partecipato anche un produttore di fertilizzanti, che spera di aggiungere ai propri prodotti i solfati di ferro e rame catturati da ChemBrot, e una fabbrica di zincatura che desidera riciclare il proprio acido cloridrico.


Piu’ resa, MeNo CoNsuMi

Il depuratore SBR di Verona il vecchio e ormai obsoleto depuratore di isola della scala, in provincia di Verona, costruito negli anni ’80, è stato di recente sostituito da uno nuovo che, primo in italia, adotta il processo sBr. Questo nuovo impianto è stato realizzato da acque Veronesi innanzitutto per far fronte ai bisogni di un’area urbana in continua espansione, ma anche per rispondere a normative sempre più stringenti che impongono un’attenta gestione dei reflui a garanzia della sicurezza del trattamento e dell’ambiente. ha, difatti, una potenzialità pari a 11.250 ab.eq., ma è stato progettato per consentire un facile upgrade fino a 15.000 ab.eq.. inoltre, si avvale di processi e tecnologie innovative per garantire una resa maggiore, in termini di qualità delle acque in uscita, una minore superficie occupata, grazie all’eliminazione del comparto di sedimentazione, e ridotti consumi energetici, grazie all’eliminazione delle pompe per il ricircolo dei fanghi. la soluzione tecnologica scelta in fase di progettazione è infatti quella del sBr (sequencing Batch reactor), un particolare sistema di ossidazione biologica che prevede una serie di trattamenti del refluo all’interno dello stesso reattore, seguendo un processo di tipo sequenziale. si tratta cioè di sistemi del tipo “time oriented” nei quali le diverse fasi del processo (rimozione del carbonio, azoto e fosforo, e sedimentazione) avvengono nella stessa vasca seguendo una sequenza temporale piuttosto che spaziale, ossia contemporaneamente in vasche diverse come avviene negli impianti tradizionali. Negli impianti a fanghi attivi di concezione “classica”, infatti, la biomassa deve essere continuamente ricircolata tramite l’azione di elettropompe per non ridurre la concentrazione di batteri all’interno dei comparti biologici.

Questo non avviene nei sistemi sBr perchè la biomassa resta confinata all’interno dei reattori e viene allontanata solo dalla linea di spurgo.

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GREEN FASHION L A

P R O D U Z I O N E

" M O D A "

T U T E L A

L’ A M B I E N T E

Il riciclo di fibre cellulosiche Processi meccanici e chimici

le tecnologie più promettenti per convertire i rifiuti tessili in materie prime per nuove produzioni attualmente circa il 73% degli indumenti prodotti in tutto il mondo vengono smaltiti in discarica o avviati a incenerimento (spesso non perchè usurati, ma solo "fuori moda"), e per gli abiti di nuova produzione, solo l'1% delle materie prime viene ottenuto dal riciclaggio. Questa situazione pone in cattiva luce tutto il mondo della moda, che ha invece bisogno di una buona immagine; tra le iniziative più importanti ricordiamo il Consorzio "Fashion for Good", che è stato lanciato nel 2017 con l'obiettivo di orientare l'intera filiera della moda verso obiettivi positivi, come: buona energia (rinnovabile e pulita), buoni materiali (sicuri e riciclabili), buona acqua (pulita e disponibile per tutti), buona economia (equa remunerazione per tutti i partecipanti), buone vite (condizioni di lavoro giuste e dignitose). un'altra iniziativa dello stesso Consorzio è il progetto "Full Circle textiles Project: scaling innovations in Cellulosic recycling", che intende validare e sviluppare su scala commerciale le tecnologie più promettenti per il riciclaggio chimico delle fibre di cellulosa, in modo da creare un "circolo virtuoso" che possa con-

vertire i rifiuti tessili (principalmente cotone) in materie prime per la produzione di nuove fibre cellulosiche. le fibre cellulosiche artificiali (MMCF), come rayon, viscosa, lyocell, modal e cupro, sono in genere ottenute dal legno, e sono al terzo posto nella produzione mondiale di fibre dopo poliestere e cotone; la loro produ-

zione è raddoppiata negli ultimi 30 anni e si prevede che questo trend continuerà nei prossimi anni. attualmente si producono oltre 7 milioni di ton/anno di queste fibre che, pur essendo biodegradabili, hanno comunque un rilevante impatto ambientale sia per l'origine della materia prima legnosa, che per l'inquinamento

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proveniente dalla produzione in impianti obsoleti. IL RICICLO MECCANICO

in genere, il riciclaggio delle fibre tessili potrebbe portare numerosi benefici, soprattutto riducendo il ricorso alle materie vergini e i volumi di indumenti usati smal-


titi in discarica o negli inceneritori; per quanto riguarda in particolare il cotone, l'impiego del cotone riciclato al posto delle fibre legnose vergini porterebbe anche una maggiore efficienza al processo produttivo, grazie all'elevata purezza della “materia prima”. Basti pensare che circa 1 ton di cotone riciclato è sufficiente per produrre 1 ton di polpa di cellulosa, mentre per produrne la stessa quantità sono necessarie da 2,5 a 3 ton di fibre legnose. un’opzione per la realizzazione di questo obiettivo è il riciclo meccanico, una tecnica già consolidata per la produzione di materiali isolanti, indumenti da lavoro e altri manufatti di basso pregio. il riciclaggio meccanico è comunemente effettuato su materiale a elevata purezza e a fibre lunghe come lana e cashmere; esso comporta la frantumazione degli indumenti, per poi estrarre le fibre, districarle e allinearle con un processo di cardatura. inevitabilmente, nel riciclaggio meccanico si ha un certo accorciamento delle fibre, il che riduce le loro prestazioni; ciò può rendere difficoltoso ottenere la qualità e versatilità richiesta, se non si aggiunge una certa percentuale di fibre vergini. sotto questo aspetto il riciclaggio meccanico non può essere considerato una soluzione pienamente "circolare". inoltre, il riciclaggio meccanico richiede un'elevata purezza del materiale di partenza, cosa che è sempre più problematica a causa dell'alta prevalenza di tessili misti nel flusso dei rifiuti tessili (una ricerca olandese stima che essi rappresentino il 40% del totale). infine, dato che il riciclaggio meccanico non cambia il colore degli indumenti, essi devono essere separati in gruppi per colore, aumentando i costi di lavorazione. tirando le somme, si potrebbe quindi affermare che il riciclaggio meccanico ha maggiore applicabilità ai rifiuti tessili di origine industriale, invece che ai rifiuti tessili post-consumo, dato che i primi garantiscono una maggiore omogeneità in termini di purezza e colore.

to non competitivi economicamente con le fibre vergini, ma gli investitori non intendono finanziare il riciclo chimico a causa della carente domanda da parte dei marchi di abbigliamento. IL PROGETTO "FULL CIRCLE TEXTILES"

quanto è in grado di superare alcuni limiti del riciclo meccanico. Questo processo, infatti, consente di ricostruire fibre di qualità uguale o anche superiore a quelle di partenza; le tecniche più innovative sono in grado di trattare anche indumenti a fibre miste, per esempio poliestere e cotone. in particolare per il cotone, che rappresenta almeno 1/4 del mercato globale delle fibre tessili, il processo generalmente prevede la dissoluzione della cellulosa tramite solventi e, successivamente, la filatura a umido delle nuove fibre dalla polpa, in modo simile ai processi tradizionali di produzione di viscosa e altre fibre cellulosiche artificiali.

IL SURF DEL TUTTO SOSTENIBILE in sardegna, e precisamente ad alghero, la start-up alterego surfboards ha creato una tavola da surf del tutto sostenibile, poiché non contiene alcun materiale plastico, ha un’anima in sughero, ossia un legno altamente

sebbene il riciclo chimico presenta grandi potenzialità, ci sono ancora alcuni ostacoli da affrontare. a parte poche eccezioni, gli investitori non hanno finora dimostrato grande entusiasmo, in quanto gli investimenti sono considerati troppo rischiosi a causa degli elevati costi iniziali e il lungo termine per giungere alla fase commerciale; quindi, a causa della mancanza di investimenti, è molto difficile ottenere fibre riciclate con costi competitivi rispetto alle materie prime vergini. la situazione è in sostanza paragonabile a un circolo vizioso, in cui le marche di abbigliamento non acquistano i materiali provenienti da riciclo chimico in quanrinnovabile, e viene laminato con “entropy resin supersap”, una speciale bioresina ad alta densità. Per la produzione di questo eco-surf, peraltro, che è in grado di garantire prestazioni di tutto rispetto, vengono riciclati quasi al 100% i rifiuti in fibra di vetro e all’80% il materiale di scarto.

IL RICICLO CHIMICO

il riciclo chimico rappresenta un'alternativa promettente, in Hi-Tech Ambiente

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il progetto "Full Circle textiles”, accennato all’inizio, ha appunto lo scopo di ricercare e validare soluzioni innovative per dare impulso al riciclo chimico della cellulosa. la prima fase del progetto prevede una valutazione comparativa tra le aziende. infatti, a causa della complessità delle tecnologie e alla mancanza di strutture per comparare le soluzioni tecniche, è difficile stabilire quale tecnologia supportare per lo sviluppo fino alla fase commerciale. Per superare questo problema, i produttori di fibre riciclate prenderanno parte a un processo di auto-valutazione che riguarda cinque aspetti: l'impatto ambientale delle loro tecnologie, la materia prima, il prodotto finale, la struttura societaria, la tecnologia e i rischi associati al suo sviluppo. la seconda parte del progetto tende all'implementazione delle tecnologie valutate come le più promettenti nel corso della prima fase, per produrre cellulosa da rifiuti tessili che vengono trasformati in fibre, filati e eventualmente indumenti finiti. Questi prodotti verranno sottoposti all'esame dei marchi di abbigliamento che partecipano al progetto, in modo da dare ai produttori l'opportunità di validare le loro tecnologie confrontandosi con partner commerciali, che dal canto loro avranno l'opportunità di esplorare l'integrazione dei tessili riciclati nella loro produzione. il progetto intende così porre le basi per dare vita a collaborazioni commerciali a lungo termine e la condivisione di conoscenze tra i vari soggetti della filiera. una volta che il prodotto finale sarà validato a livello commerciale si spera che porterà a una diminuzione della percezione del rischio associato agli investimenti in questa filiera, innescando finalmente un "circolo virtuoso" che conduca allo sviluppo di nuove tecnologie, nuovi accordi commerciali e quindi un ulteriore sviluppo degli investimenti.


RIFIUTI T R A T T A M E N T O

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S M A L T I M E N T O

Gli scarti siderurgici in impianti solari Progetto REslag

oltre al riciclo, si ottiene la riduzione di materia prima impiegata, di energia consumata e di Co2 prodotta riutilizzare gli scarti dell’industria siderurgica per lo stoccaggio di energia termica negli impianti solari termodinamici: è la nuova frontiera della ricerca enea in materia di economia circolare per un’industria siderurgica verso “rifiuti zero”, realizzata nell’ambito del progetto europeo reslag (programma horizon 2020). solo in europa vengono prodotte ogni anno circa 20 milioni di tonnellate di scorie di acciaio: la maggior parte (75%) trova impiego in edilizia e nella cantieristica stradale, mentre il restante 25% (oltre 5 milioni di tonnellate) rimane stoccato negli impianti di produzione oppure smaltito in discarica, con un evidente impatto sull’ambiente. <<Per questo progetto - spiega luca turchetti, ricercatore dell’enea - abbiamo sostituito una parte dei sali fusi, utilizzati dall’impianto solare a concentrazione per accumulare energia termica ad alta temperatura (fino a 550 ºC), con scarti d’altoforno opportunamente riprocessati>>. i vantaggi sono stati molteplici: con l’impiego di questi materiali è possibile ridurre i costi associati alla tecnologia del solare a concentrazione e ottenere un sistema di produzione di energia elettrica

ancora più sostenibile, riciclando un rifiuto industriale altrimenti destinato al deposito in fabbrica o alla discarica. <<Grazie a questa sperimentazione - aggiunge turchetti - abbiamo messo a punto un sistema a basso costo per l’accumulo di energia termica, che potrebbe aprire la strada alla diffusione del solare a concentrazione, una tecnologia “100% verde” in grado di disaccoppiare la fase di produzione di energia termica da quella di conversione in elettricità e, quindi, di produrre corrente elettrica in base alle richieste della rete anche in assenza della radiazione solare>>. Dopo il successo della realizzazione di questa infrastruttura speHi-Tech Ambiente

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rimentale, il nostro impianto solare termodinamico con il nuovo sistema di accumulo termico a base di sali fusi e materiali di scarto è stato incluso nelle facility aperte ai gruppi di ricerca europei del nuovo progetto sfera iii sul solare termico a concentrazione.

Quello energetico è solo uno dei quattro ambiti di sperimentazione del progetto reslag che punta a una produzione di acciaio “nearzero-waste”; gli altri riguardano il recupero di calore nell’industria siderurgica, la produzione di materiali ceramici refrattari e l’estra-

zione di metalli ad alto valore aggiunto. oltre al riuso delle scorie destinate alla discarica o all’autostoccaggio, tutto questo si traduce, in termini ambientali, in una riduzione di materia prima utilizzata (20%), di energia consumata (fino al 20%) e di Co2 prodotta

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(fino a 70 kg per tonnellata di acciaio prodotto). una volta concluse tutte le sperimentazioni, il prossimo passo sarà quello di trasferire l’innovazione all’industria, come dimostra il prototipo pilota realizzato e testato presso arcelorMittal sestao (spagna).


Il recupero di sabbie di scarto Gruppo Cap

ottenuta la prima autorizzazione in italia per fornire 2.500 tonnellate di questi residui della depurazione, da reimpiegare nei cantieri del territorio

Fanghi che producono biometano ed eco-fertilizzanti, acqua depurata per irrigare i campi e pulire le strade cittadine, e adesso anche la sabbia di scarto, recuperata per essere reimpiegata nei cantieri. Gruppo CaP, gestore del servizio idrico integrato della città metropolitana di Milano, da tempo sta sviluppando progetti di economia circolare che consentono di recuperare i materiali di scarto dei suoi processi produttivi per reimpiegarli come preziose materie prime. <<il nostro ambizioso benchmark, definito nel Piano di sostenibilità, è recuperare in nome della circolarità della produzione la maggior quantità possibile di energia e materiali, per arrivare a ridurre del 40% le emissioni di Co2 entro il 2033 - afferma alessandro russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo CaP – e le acque

reflue rappresentano un prezioso patrimonio, da cui si possono estrarre materiali come cellulosa, biogas e biometano, fosforo e azoto, da reimpiegare nei settori industriali più avanzati. Da tempo pensavamo a una seconda vita anche per le sabbie, che in grande quantità si ritrovano nelle acque di scarto. la cultura della sostenibilità passa anche da un granello di sabbia>>. le sabbie estratte dal processo di depurazione dell’impianto di robecco sul Naviglio, tra i 40 presenti sul territorio, sono un tipo di materiale che solitamente viene smaltito in discarica, con costi piuttosto alti. a fine giugno il Gruppo Cap ha ottenuto l’approcazione per il recupero di tale materiale, prima autorizzazione in italia con la nuova legge sull'end of Waste. Gruppo CaP comincerà quindi a recu-

perare e riutilizzare 2.532 tonnellate di sabbia (circa 9,8 tonnellate al giorno) proveniente sia da “rifiuti da dissabbiamento”, che derivano dal ciclo di depurazione dei reflui, sia dai “rifiuti generati dalla pulizia delle acque di scarico”, frutto dei lavori di manutenzione su caditoie e tombini effettuati nei Comuni del territorio. Grazie a uno speciale impianto, appositamente installato nella sezione di trattamento collocato all’interno del depuratore, le sabbie saranno trattate e disinfettate attraverso un particolare processo di separazione dai rifiuti organici chiamato “effetto Coanda”; e saranno poi usate nei cantieri dell’azienda, come materiale per letti di posa nei lavori di rinnovo e rinforzo delle tubazioni della rete di fognatura e acquedotto, evitando l’utilizzo di nuove sabbie, estratte dalle cave.

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Fondamentale sarà, in questo processo, il coinvolgimento dei fornitori che operano sui cantieri. Gruppo Cap, infatti, cederà le sabbie di recupero a un costo ben al di sotto del prezzo di mercato. in questo modo, il gestore del servizio idrico è riuscito a replicare un modello sostenibile doppiamente virtuoso che mira non solo al recupero delle materie di scarto, ma anche a premiare i fornitori più attenti. l’iniziativa, che prenderà vita nei prossimi mesi, rientra nei progetti di circular economy e recupero dei materiali previsti dal Piano di sostenibilità, che Gruppo Cap sta portando avanti, quali l’utilizzo dei fanghi di depurazione per la produzione di biometano e il riuso delle acque depurate per rifornire le macchine spazzatrici adibite alla pulizia delle strade dei Comuni di assago e Basiglio.


Terre rare recuperate dai magneti riciclati Fonte di preziosi elementi

sviluppato un processo per la produzione di innovative leghe con un sistema a circuito chiuso basato su due nuove tecnologie Gli elementi delle terre rare (ree, rare earth element) sono essenziali per le applicazioni tecnologiche green e la loro domanda è in crescita. Principalmente, essi vengono utilizzati nei magneti permanenti realizzati a partire da una lega di neodimio, ferro e boro (NdFeB) per motori altamente efficienti destinati a veicoli elettrici ibridi e generatori per turbine eoliche. tuttavia, l’approvvigionamento di ree è a rischio a causa delle imprevedibili politiche commerciali della Cina, che detiene e sfrutta le principali riserve mondiali. inoltre, l’accesso a queste risorse è importante per la realizzazione del Green Deal europeo, il cui obiettivo è rendere l’europa neutra in termini di emissioni di carbonio entro il 2050. il progetto ree4eu ha sviluppato un sistema a circuito chiuso che ruota dai rifiuti dei magneti permanenti a nuovi prodotti. alla base di questo processo vi sono due nuove tecnologie: la prima, ovvero l’estrazione di liquidi ionici (ile, ionic liquid extraction), consente la rimozione degli elementi delle terre rare dai flussi di rifiuti sotto forma di ossalati; la seconda, l’elettrolisi ad alta temperatura (hte, high temperature electrolysis), rende possibile la produzione di leghe delle terre rare a partire da miscele di ossidi delle terre rare ottenuti in seguito alla calcinazione delle miscele di ossalati delle terre rare mediante la tecnologia di ile. UN NUOVO APPROCCIO

«il punto di forza di questo processo è rappresentato dalla tecnologia

magneti permanenti realizzati mediante elementi delle terre rare, è stato dimostrato su scala pilota. «in questo modo si apre la possibilità di garantire un’importante catena del valore in europa - osserva Martinez - offrendo una promettente opportunità alle imprese di riciclaggio delle terre rare». VANTAGGI CONSIDEREVOLI

hte - afferma ana Maria Martinez, coordinatrice del progetto che è in grado di rimuovere le singole fasi esistenti di conversione e separazione degli ossidi o alogenuri delle terre rare nel percorso di lavorazione primario (estrazione) cinese». Di conseguenza, la tecnologia di ree4eu traduce in realtà un processo maggiormente efficace e più sostenibile dal punto di vista ambientale, in quanto privo di numerose singole fasi di estrazione. Queste nuove tecnologie realizzate su misura consentono di gestire i rifiuti contenenti terre rare provenienti da magneti permanenti come un processo integrato generato nel corso della fabbricazione dei magneti permanenti o come magneti permanenti esausti provenienti da prodotti alla fine del loro ciclo di

vita per produrre una lega intermedia contenente elementi delle terre rare. Questo prodotto è trattato mediante un processo di colata continua chiamato “strip casting” (ovvero colata continua sottile) al fine di ottenere una lega madre di elementi delle terre rare per la fabbricazione di magneti permanenti, realizzando così un completo processo di riciclaggio dei magneti permanenti a circuito chiuso. «Questo percorso presenta costi competitivi e un eccellente impatto ambientale - spiega Martinez - in confronto all’estrazione convenzionale primaria di elementi delle terre rare». il completo processo di riciclaggio dei magneti permanenti a circuito chiuso, dai rifiuti contenenti terre rare a nuovi prodotti sotto forma di

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in seguito all’analisi dei dati ottenuti nel corso delle prove pilota, la valutazione del ciclo di vita mostra una riduzione dell’impatto dei cambiamenti climatici pari a circa il 50% e una diminuzione del consumo di energia primaria attorno al 35% rispetto allo scenario attuale, ovvero la produzione primaria in Cina. il progetto rappresenta un punto di svolta significativo. «in precedenza - sottolinea Martinez - nessuno era stato in grado di dimostrare l’intera catena del valore dei magneti permanenti impiegando risorse di scarto contenenti terre rare su questa scala». ree4eu contribuirà allo sviluppo di un nuovo settore europeo per la produzione di leghe delle terre rare secondarie, all’aumento dell’indipendenza dalle importazioni dell’europa e alla fornitura di materie prime per le industrie tecnologiche verdi europee in rapida crescita. «realizzando questi obiettivi conclude Martinez - il progetto non sta promuovendo solamente la competitività, ma anche l’efficienza delle risorse e consente inoltre di ottenere benefici a livello ambientale».




BIOMASSE & BIOGAS B I O M A S S A

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B I O G A S

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B I O M E TA N O

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C O G E N E R A Z I O N E

La gestione ottimale degli impianti di biogas Sfruttare a pieno le potenzialità

Come selezionare l'inoculo, cosa misurare in entrata e cosa in uscita, analisi del digestato per un suo utilizzo agricolo può essere autocostruita, oppure si possono usare quelle già presenti sul mercato.

la digestione anaerobica ha dimostrato di essere la tecnologia più efficiente oggi disponibile per il trattamento dei rifiuti organici biodegradabili, tanto che il numero di questi impianti sta rapidamente aumentando. oltre a fornire energia (in forma di biogas) e materiale utilizzabile come fertilizzante, gli impianti di digestione anaerobica trattengono i composti di azoto e fosforo nel digestato, evitando che finiscano nei corsi d'acqua provocando i ben noti fenomeni di eutrofizzazione. Molti impianti di biogas sono tuttavia ancora condotti con metodi "artigianali", che non sfruttano pienamente le loro potenzialità e accrescono le spese di gestione. e' possibile migliorare la situazione sfruttando i vantaggi offerti dalle moderne tecnologie di misura. COME SELEZIONARE L'INOCULO la selezione dell'inoculo più adatto per avviare o far ripartire un digestore è un problema spesso sottovalutato. il modo più semplice per scegliere tra i diversi inoculi è la misurazione dell'attività Metanogenica specifica (sMa), che esprime in termini numerici le "costanti vitali" delle archaea, che sono i microorganismi che producono il metano. in

COSA MISURARE IN ENTRATA

particolare, le archeaea metanigene acetoclastiche si nutrono esclusivamente di acido acetico e del suo sale (l'acetato di sodio), sostanze che non vengono invece "digerite" dagli altri microorganismi che compongono la flora batterica normalmente presente entro il digestore. Quindi, prelevando una certa quantità dell'inoculo da provare e aggiungendo una quantità di acetato di sodio corrispondente a 1 gr di CoD, in un rapporto 10 gr acetato per 1 lt di inoculo, si osserverà lo sviluppo di metano, per un

quantitativo che teoricamente dovrebbe risultare di 350 Nmc di metano. in pratica lo sviluppo del metano avviene secondo una curva, che ha in asse y i cmc di metano per ogni gr di solidi volatili, e in asse x il tempo in giorni. la sMa si definisce come il valore di NmcCh4/gr sV inoculo x giorno corrispondente al massimo di tale curva; in genere, si considera "buono" un valore > 10. il test di sMa è ancora in fase di standardizzazione, e non esiste un metodo ufficiale. l'apparecchiatura

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Per ottenere un buon funzionamento del digestore e ridurre le emissioni in atmosfera, i parametri da tenere sotto controllo sono: - valore di ph (deve essere compreso tra 6,5 e 7,5) e alcalinità (deve essere compresa tra 3.000 e 5.000 mg CaCo3/lt) dei flussi in carica al digestore - temperatura di funzionamento del digestore - carico idraulico al digestore, cioè quantità complessiva di sostanza organica da trattare - eventuali sostanze inquinanti, come residui di pesticidi e metalli pesanti - carico di nutrienti, ossia la quantità di azoto ammoniacale e di fosforo in ingresso al digestore - concentrazione di acidi grassi volatili dentro il digestore e nel liquido in uscita (digestato) - livello del liquido e dello strato di schiuma all'interno del digestore. i parametri da misurare sulla carica sono facilmente ottenibili con la normale strumentazione per la misura di portate, ph e temperatura. il carico organico si ottiene tradizio-


nalmente con il BoD5; se occorre una risposta rapida, si può usare il toC o il CoD, dopo aver stabilito le opportune correlazioni. azoto e fosforo possono essere misurati in continuo oppure a "spot", con appositi kit analitici. le sostanze inquinanti, essendo presenti di solito in concentrazione dell'ordine delle parti per milione, devono essere ricercate rivolgendosi a laboratori specializzati. la determinazione degli acidi grassi

volatili presenta maggiori difficoltà. l’enea ha messo a punto un metodo gascromatografico con caratteristiche di semplice preparazione del campione, breve durata (circa 10 minuti), ottimi valori di precisione e accuratezza. Ma esiste anche un’apparecchiatura per analisi in linea. COSA MISURARE IN USCITA Composizione, quantità e pressione del biogas in uscita dal digestore so-

no i parametri principali. Quantità (cioè flusso in mc/ora) e pressione si misurano con le apparecchiature di uso comune nell'industria chimica; più difficile è la determinazione della composizione, che comprende sia i costituenti principali (metano e Co2) che i contaminanti, come umidità, idrogeno solforato, silossani, cloro, fluoro. la determinazione della composizione è molto importante, sia in uscita dal digestore, sia in uscita dai

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filtri a carboni attivi. esistono oggi sonde multigas che misurano in continuo le percentuali di metano, anidride carbonica e umidità, ma anche per l'idrogeno solforato esistono misuratori in continuo. le misure dei microinquinanti (silossani, compositi di cloro e fluoro) sono più complesse e devono necessariamente essere eseguite da laboratori specializzati.

Continua a pag. 24


BreVetto eNea

Il clean-up del biogas con led l’h2s viene convertito in zolfo mediante fotosintesi batterica resa particolarmente efficiente sono iniziati i lavori per mettere a punto un nuovo tipo di impianto per purificare il biogas da utilizzare nella produzione di energia elettrica. Basato su un brevetto enea, questo prototipo verrà realizzato nell’ambito del progetto BioFiDs, che vede come capofila l’azienda tecnodelta. il metodo di purificazione del biogas brevettato da enea è basato su un processo di trasformazione in zolfo dell’idrogeno solforato (h2s), grazie a particolari batteri resi più efficienti dalle lunghezze d’onda di un’illuminazione a led. inoltre, l’assenza di reagenti chimici rende tale tecnologia sostenibile e competitiva rispetto ai sistemi convenzionali. il bio-zolfo, unico sottoprodotto del processo, ha proprietà ammendanti e fitosanitarie; pertanto, attraverso prove sperimentali, ne verrà valutata la possibile valorizzazione nel settore agronomico. Continua da pag. 23

La gestione ottimale degli impianti di biogas Nel caso che il biogas venga utilizzato nello stesso impianto per produrre energia elettrica e termica in cogenerazione mediante motori a combustione interna, è importante conoscere l'umidità del biogas in alimentazione ai motori, perchè l'umidità causa usura precoce e cattivo funzionamento dei motori stessi. inoltre, un’eccessiva umidità accorcia la vita dei filtri a carbone attivo, e se si raggiunge il limite di condensazione (con raccolta di acqua allo stato liquido nelle tubazioni e sulle valvole) si possono avere aumenti nella resistenza al flusso del gas e problemi di funzionamento nelle valvole. Nel caso invece che il biogas venga depurato e privato della Co2, per essere immesso nella rete di distribuzione del metano, diviene molto importante (oltre alla composizione) la

determinazione del potere calorifico superiore, che deve essere compreso tra 34,95 e 45,28 MJ/smc. Per questa applicazione, dove sono importanti anche i microinquinanti (oltre a composti solforati e silossani, anche ammoniaca, ammine, fluoro, cloro, soV) è particolarmente indicato un micro-gascromatografo dotato di un

software che calcola il potere calorifico e gli altri parametri richiesti dalla normativa (indice di Wobbe, densità) in base alla composizione. ANALISI DEL DIGESTATO Per consentire l'utilizzo agricolo del digestato è necessario che il tenore

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<<uno dei maggiori ostacoli nello sfruttamento del biogas - spiega elena De luca, responsabile scientifica del progetto - è proprio la presenza dell’idrogeno solforato che, oltre ad essere un inquinante con effetti tossici, causa la corrosione delle linee di captazione del gas e degli apparati meccanici correlati alla generazione di energia. inoltre, questo prototipo faciliterà anche la produzione di biometano per i trasporti e per gli usi domestici>>. la desolforazione (clean-up) è quindi un trattamento assolutamente necessario allo sfruttamento del biogas, oltre che essenziale anche nella filiera del biometano. la realizzazione di un prototipo brevettato di impianto con fotobioreattore a led monocromatico per il clean-up biologico del biogas da h2s servirà per validare le potenzialità di sfruttamento economico. enea fornirà il supporto necessario allo sviluppo e all'ingegnerizzazione della tecnologia di desolforazione proposta, mentre tecnodelta si occuperà della progettazione e realizzazione del prototipo per innalzare il livello di maturità tecnologica dall'attuale scala di laboratorio, che sarà successivamente testato in ambiente industriale presso l’impianto di depurazione di a.C.D.a. - azienda Cuneese Dell’acqua”. di sostanze organica superi il 20% sul secco. inoltre gli elementi nutritivi (fosforo e azoto) devono superare rispettivamente 0,4% e 1,5% (calcolati sulla sostanza secca). Devono essere assenti gli inquinanti, sia microbiologici (salmonella) che chimici (piombo, cadmio, nichel, zinco, rame, mercurio, cromo esavalente). Per questi metalli i limiti di concentrazione vanno da 600 mg/kg per lo zinco, a 140 mg/kg per il piombo, e meno di 0,5 mg/kg per il cromo esavalente. la determinazione della salmonella (e di eventuali altri contaminanti microbiologici) richiede il rispetto di rigide modalità di campionamento, per evitare contaminazioni da parte dell'ambiente. Per indicare il grado di efficacia del processo di digestione anaerobica è infine utile la determinazione del potenziale metanigeno residuo del digestato, ottenibile mediante una prova di fermentazione mesofila (38 °C) condotta in un reattore di laboratorio.


L’idrogeno verde dal biogas Tecnologia di Hysytech per la mobilità sostenibile

Nell’ambito del progetto Bioroburplus, l’azienda ha sviluppato un impianto per la produzione di 50 Nmc\h di h2 in modo economicamente efficace

l'idrogeno verde è una priorità chiave per raggiungere il Green Deal europeo e la transizione europea dell'energia pulita, poiché può fornire un contributo fondamentale alla mobilità sostenibile, in grado di diminuire gli impatti ambientali, sociali ed economici, l’inquinamento atmosferico (inteso soprattutto come miglioramento della qualità dell’aria nelle città), le emissioni di gas serra. la hydrogen strategy che l’ue ha lanciato lo scorso luglio intende proprio trasformare in realtà il potenziale dell'idrogeno in termini di decarbonizzazione dell'industria, dei trasporti, della produzione di energia e degli edifici, attraverso investimenti, regolamentazione, creazione del mercato, ricerca e innovazione. Quelli appena citati sono anche gli obiettivi del progetto Bioroburplus (ue h2020). il progetto ha sviluppato un reformer per la produzione di 50 Nmc\h di idro-

geno verde da biogas in modo economicamente efficace. Nell’ambito del progetto, hysytech si è occupata di sviluppare e realizzare l’impianto (installato nel Polo ecologico di acea Pinerolese industriale), un'applicazione della propria tecnologia per lo steam reforming a bassa pressione, che prevede l'utilizzo di biogas prodotto dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti dalla raccolta differenziata (forsu) come fonte per la produzione dell’idrogeno. l'interesse dell'impianto Bioroburplus è dovuto al fatto che l'idrogeno prodotto è completamente green, poiché derivante da biogas. il consumo elettrico dell’impianto è molto basso, circa 0,33 kWh/Nmc, soprattutto se confrontato con quello degli elettrolizzatori di 5-5,5 kWh/Nmc. la produzione di idrogeno verde da biogas, infatti, non è legata ai problemi di costo e disponibilità

dell'energia elettrica rinnovabile, ed è già oggi non solo la soluzione più economica, ma anche quella a impronta Co2 100% neutra, a differenza dell'attuale rete elettrica nazionale. il nuovo impianto per la produzione di idrogeno verde da biogas ha fatto tesoro delle soluzioni consolidate da hysytech nel settore, come ad esempio l’implementazione di un reattore in grado di svolgere contemporaneamente le funzioni di conversione del metano, produzione del vapore e generazione del calore necessario, insieme alle funzionalità di WGs per l’incremento della resa in idrogeno prodotto. Questa tecnologia è stata brevettata da hysytech nel 2009 e, a oggi, è già applicata in oltre 200 installazioni. <<il primo impianto per la produzione di idrogeno verde da biogas prodotto dalla digestione anaerobica della forsu, messo in servi-

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zio da hysytech quest'anno commenta andres saldivia, business developer di hysytech - ha ulteriormente arricchito la nostra esperienza nel campo dei biocombustibili. siamo pronti alle nuove sfide dell'ue che vedono l'idrogeno verde in prima linea come fonte di energia sostenibile>>.


uNo Dei PriMi iN euroPa

Il biogas con sansa di olive

che autorizzative. l’efficienza della struttura si basa anche sulle molteplici analisi effettuate e conseguente raccolta di dati della sansa in ingresso e delle frazioni solida e liquida del digestato.

agrolio, azienda di pugliese che da cinque generazioni è impegnata nella produzione di olio extravergine di oliva, ha di recente inaugurato un impianto di produzione di biogas. l’unicità del digestore, già operativo da un anno, sta nell’essere uno dei primi in europa alimentato al 100% con la sansa di oliva e quindi nella capacità di gestire il processo di fermentazione della sansa nel digestore. l’efficienza e la funzionalità dell’impianto sono garantite da costanti rilevamenti, interventi e soluzioni innovative apportate per consentire una “digestione” ottimale dei residui della produzione dell’olio di oliva. il biogas prodotto alimenta un impianto di cogenerazione da 500 kWe, mentre il digestato rientra nel ciclo vegetale della produzione olivicola contribuendo a migliorarne qualità e quantità. il sistema è stato progettato e realizzato da Bts Biogas, che si è valsa della collaborazione di aB, che ha fornito il cogeneratore della linea ecoMax Bio, di Wolf system per la costruzione delle vasche e di iGW per il supporto e la gestione delle prati-

riCoNVertito il ParCo Mezzi

La flotta Contarina va a gas Contarina, società di gestione rifiuti nel trevigiano, grazie all’accordo di partenariato pubblico-privato stretto con liquigas, utilizza GNl (gas naturale liquefatto) e GNC (gas naturale compresso) per

l'alimentazione dei propri veicoli adibiti alla raccolta dei rifiuti urbani. ad oggi la riconversione da gasolio a gas ha interessato il 60% degli automezzi della flotta Contarina,

allo scopo, liquigas ha realizzato un impianto di stoccaggio ed erogazione di GNl e GNC, ponendo così le basi per il futuro impiego di biometano prodotto dal trattamento della frazione organica dei rsu,

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e consentendo a Contarina di usare il biocarburante autoprodotto per l'alimentazione dei propri mezzi, a tutto vantaggio di ambiente e cittadini. l'impiego del gas, infatti, implica importanti benefici quanto a riduzione dell'inquinamento atmosferico. rispetto al gasolio, ad esempio il GNl produce oltre il 20% in meno di emissioni di Co2 e oltre il 95% in meno di quelle di so2 e di PM10.


HI -TE CH

AMBIENTE

SPECIALE

SOS SVERSAMENTI DA MACCHINE E IMPIANTI


SPECIALE SOS SVERSAMENTI

Come contenere gli sversamenti Da macchine e impianti

Un evento molto frequente nell’industria ma da arginare con tempestività ed efficacia con idonei assorbenti in base al tipo di sostanza

Il mantenimento di condizioni di ordine e pulizia negli ambienti industriali è necessario per prevenire gli infortuni e fa parte dell'obbligo generale da parte del datore di lavoro di assicurare ambienti di lavoro sani e sicuri, come previsto dall'All. IV del D.Lgs 81/2008. E’ necessario, quindi, essere sempre pronti per tenere sotto controllo ed eliminare quanto prima gli sversamenti da macchine e impianti, che nell’industria sono un evento molto frequente.

Volendo fare una classificazione, possiamo distinguere tra sversamenti: di acqua (da circuiti di raffreddamento, da tubazioni in pressione o anche da precipitazioni atmosferiche), di carburanti, di olio (lubrificante o idraulico), di sostanze chimiche. SVERSAMENTI DI ACQUA

Sono i più frequenti, ma anche i meno preoccupanti. Di solito è sufficiente bloccare l'u-

scita dell’acqua e lasciar evaporare il liquido sul pavimento, eventualmente canalizzando l'acqua all'esterno o fino al più vicino scarico. In caso sia necessario un intervento, si possono usare prodotti assorbenti a base minerale (gesso, sepiolite, vermiculite). La segatura di legno è largamente usata per il basso costo e la facile reperibilità, ma è sconsigliabile in quanto la polvere di legno duro è classificata come materiale cancerogeno; occorrerebbe una attestazione che la segatura

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proviene da legni teneri, ma in genere le segherie non distinguono tra i diversi tipi di materiali lavorati e, quindi, non sono in grado di rilasciare queste attestazioni. Un altro assorbente frequentemente usato è l'argilla, per lo più in forma di granuli. E' un materiale molto economico, ma il suo potere assorbente è limitato; inoltre, assorbendo acqua si riduce in poltiglia, difficile poi da pulire. Anche gli assorbenti a base di argilla presentano problemi di


SPECIALE SOS SVERSAMENTI sicurezza, perchè possono contenere silice cristallina, nociva per i polmoni. SVERSAMENTI DI CARBURANTI

Si tratta di eventi abbastanza frequenti, per i quali occorre intervenire in modo rapido ed efficace, sia per il rischio di incendio che per prevenire l'inquinamento di terreni, falde acquifere e corpi idrici in genere. La prima cosa da fare (dopo aver eliminato la fonte di spandimento) è circoscrivere l'inquinamento, evitando che il liquido defluisca nelle fognature o nei corsi d'acqua. A questo scopo sono molto utili gli assorbenti in forma di "salsicciotti", generalmente riempiti con fibra di polipropilene. Per assorbire la massa di liquido sono utili gli assorbenti in polvere o granuli, che vanno applicati partendo dalla periferia dello spandimento per arrivare progressivamente al centro; se si devono assorbire sversamenti di carburanti su pavimenti bagnati, sono molto utili gli assorbenti idrorepellenti, che assorbono gli idrocarburi ma non l'acqua. In ogni caso, l'assorbente contaminato dovrà poi essere smaltito come rifiuto speciale pericoloso. SVERSAMENTI DI OLIO

Gli sversamenti di olio lubrificante sono molto comuni nelle officine di riparazione di autoveicoli; è opportuno ricordare che gli oli per motore usati contengono sostanze cancerogene, ed è quindi necessario evitare il contatto con la pelle. Un assorbente frequentemente usato nelle officine è la sepiolite, che è un silicato di magnesio, privo di quarzo e con buone caratteristiche assorbenti. Gli oli idraulici non hanno partico-

lari caratteristiche di nocività per le persone (sono comunque nocivi per l’ambiente), ma vanno rimossi soprattutto perchè sono molto scivolosi e quindi possono provocare cadute. Anche se le cadute per scivolamento possono sembrare banali, si deve tener presente che in base alle statistiche Inail esse costituiscono una delle cause principali di infortuni sul lavoro, con una durata media del periodo di inabilità intorno a 38 giorni. Per entrambi i tipi di oli, gli assorbenti consigliabili sono i medesimi (in polvere o in granuli) impiegati nel caso degli spandimenti di carburanti; si possono aggiungere i tappetini assorbenti, da posizionare intorno alle macchine più soggette a spill. Sono particolarmente raccomandabili quelli adesivi, che si

mantengono aderenti al pavimento evitando inciampi e scivolamenti, che sono tra le cause più comuni di incidenti sul lavoro. Alcuni produttori di questi tappeti assorbenti offrono un servizio di ritiro dei tappeti sporchi, che comprende il loro lavaggio e la restituzione al cliente. SVERSAMENTI DI SOSTANZE CHIMICHE

Qualsiasi tubazione in pressione è (in linea teorica) soggetta a sversamenti nei suoi punti critici, come flange, valvole e simili. Una buona manutenzione è il mezzo migliore per prevenire gli sversamenti, ma quando si verificano è indispensabile identificarne immediatamente la natura, in modo da intervenire

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con mezzi appropriati: per gli spandimenti di acidi devono essere usate sostanze a carattere basico (come granuli a base di cemento o calcare), mentre per gli spandimenti a carattere basico è necessario usare sostanze acide (come gesso o cloruro di calcio). Va però tenuto presente che la reazione di neutralizzazione non deve essere violenta (cioè non deve esserci eccessivo sviluppo di calore, proiezione di schizzi o sviluppo di gas nocivi), per cui i materiali assorbenti devono essere formulati aggiungendo un adeguato quantitativo di sostanze inerti. Esistono oggi sul mercato degli "assorbenti anfoteri", cioè adatti sia per acidi che per basi, che per di più sono additivati con sostanze "indicatrici" che cambiano colore, assumendo colore rosso in presenza di acidi, blu in presenza di basi e giallo-verde dopo la neutralizzazione. Un particolare caso di sversamento di sostanze chimiche è quello dell'acido solforico delle batterie, che è stato dettagliatamente regolamentato dal D.M. n.20 del 24/1/2011 (GU n.60 del 14/3/2011). Questo decreto impone a tutte le aziende che impiegano accumulatori al piombo di dotarsi di sistemi di assorbimento e neutralizzazione per i possibili spandimenti di acido solforico. La quantità di materiale assorbente è determinata in base al numero e tipo di batterie presenti; ad esempio, una piccola industria che possiede 1 o 2 "muletti" elettrici dovrà detenere una quantità di neutralizzante sufficiente a neutralizzare 27 litri di acido e quindi 20 kg di materiale neutralizzante. I quantitativi di neutralizzanti prescritti nelle diverse situazioni sono definiti dall'All.1 al suddetto D.M. 20/2011.


SPECIALE SOS SVERSAMENTI AIRBANK Airbank, specializzata nell’antinquinamento, presenta Uni-Safe, la polvere per oli e sostanze chimiche creata per limitare gli sversamenti e impedire reazioni pericolose in presenza di forti sostanze reagenti e ossidanti. Realizzato con uno speciale polimero dall’elevatissimo potere assorbente, pari fino a 75 volte il proprio peso, Uni-Safe permette l’assorbimento di oli, vernici e sostanze di diversa natura (sia acquose che non acquose) formando una barriera molto efficiente che ostacola il progressivo spandimento dei liquidi sversati. Grazie alla sua azione bloccante, inoltre, permette di impedire le emissioni gassose pericolose se versato su sostanze come acido

BRADY nitrico, acido solforico, perossido di idrogeno e bromo. Il prodotto è semplicissimo da usare, anche in caso di pioggia: basta versare la polvere sulle sostanze, lasciar agire qualche secondo e raccogliere. La miscela, infine, può essere spazzata, spalata, aspirata o pompata via a seconda del tipo di sostanze pericolose assorbite. Uni-Safe si presenta di un colore verde chiaro, ma a contatto con acidi cambia il suo colore in giallo/verde, mentre, se in presenza di sostanze alcaline, il suo colore diventa rosso. Si tratta di un vantaggio essenziale per le squadre che intervengono in caso di emergenza e per il successivo smaltimento delle sostanze pericolose, perchè la colorazione assunta dalla polvere permette una prima classificazione della sostanza che è stata assorbita assicurando così un intervento tempestivo per garantire la sicurezza.

www.airbank.it

CSA DISTRIBUZIONE Gli Assorbitori industriali sono studiati appositamente per l'assorbimento di liquidi industriali quali idrocarburi come gasolio, benzina, olio, grasso, vernici e agenti chimici sversati accidentalmente sul suolo degli ambienti di lavoro. Essendo prodotti di ultima generazione, pur mantenendo un ottimo rapporto qualità prezzo, sostituiscono le obsolete segatura e seppiolite perché più performanti. Sono disponibili nei formati polvere, granuli, panni, rotoli, cuscini, salsicciotti, cilindri e barriere. In questo articolato mondo, un'importante novità di mercato è rappresentato dai Salsicciotti CSA-SCH-Combi-8120, che sono il risultato tra la combinazione di salsicciotto e tessuto assorbente che, grazie a particolari cuciture, costituiscono un unico dispositivo assorbente.

Brady propone una serie di strumenti per il controllo di fuoriuscite e sversamenti sul suolo che possono essere utilizzati in maniera proattiva o reattiva per assorbire e/o evitare che fuoriuscite e sversamenti si estendano. Attrezzature e macchinari che potrebbero facilmente perdere, come anche fusti e IBC stoccati, possono essere proattivamente equipaggiati con strumenti per il contenimento di fuoriuscite e sversamenti in modo da evitare inquinamenti e infortuni sul lavoro. Quando il contenimento proattivo non è però sufficiente o non viene utilizzato, sono disponibili strumenti per il controllo reattivo, che consentono inizialmente di evitare che fuoriuscite e sversamenti si estendano e poi di rimuoverli. Ecco quindi panni, rotoli, soc o prodotti granulari. I panni pretagliati sono una soluzione comoda e con un ottimo rapporto qualità/prezzo per ripulire o contenere i gocciolamenti. Sono disponibili versioni con un minimo rilascio di fibre suddivise in 3 categorie: pesante, media e leggera a seconda dei volumi fuoriu-

sciti o sversati da rimuovere. I panni sono disponibili anche in rotoli continui per coprire rapidamente superfici più ampie. Per quelle applicazioni in cui panno o rotolo non è lo strumento migliore, risulta invece adatto l’assorbente granulare, che può assorbire liquidi da crepe e fessure di una grande varietà di superfici. I soc, infine, sono invece abbastanza flessibili da consentire di creare rapidamente un piccolo argine per limitare l’estensione di fuoriuscite o sversamenti già avvenuti.

www.bradycorp.it

ECOLOGISTIC Questa combinazione vincente risulta utile ed efficace per arginare, contenere, assorbire improvvisi sversamenti accidentali di agenti chimici pericolosi. Il tessuto assorbente combinato con il salsicciotto rappresenta infatti una notevole garanzia di protezione di tutti i luoghi in cui il dispositivo viene applicato. In caso di sversamento, si eviterà lo spargimento di sostanze liquide chimiche nei tombini, nei terreni circostanti lo sversamento o nelle vicine postazioni di lavoro, evitando così il blocco del ciclo produttivo delle zone non immediatamente contaminate. I Salsicciotti sono lunghi 120 cm e hanno un diametro di 8 cm, mentre il tessuto assorbente combinato ha dimensioni 20x120 cm, e nel complesso l’intera struttura ha una capacità di assorbimento di 58 litri. Risultano adatti per acidi (dall’acido cloridrico all’acido solforico), solventi (dall’acetone al cloroformio) e sostanze caustiche (dall’ammoniaca all’idrossido di potassio).

www.csadistribuzione.it

I problemi principali, in una situazione di sverso accidentale di acidi o basi, sono la velocità, con cui la sostanza liquida può propagarsi, e i vapori rilasciati. Grazie all'utilizzo di Neutral POD per basi o Neutral KW per acidi si ottengono invece i seguenti risultati: velocità di reazione e conglomerazione, neutralizzazione della sostanza, soppressione dei vapori, facilità delle operazioni di raccolta del rifiuto grazie alla solidificazione della sostanza assordita, trasformazione della sostanza a PH neutro. Entrambi i prodotti scatenano una reazione di cambio colore utile ad indicare lo stato di neutralizzazione. Sono proposti in barattolo da 1 kg o in tanica da 5 kg. Specifico, invece, per l’assorbimento di acido solforico è AccaDue SO4, un prodotto con un ottimo potere assorbente e gelificante, capace di neutralizzare le caratteristiche acide, tossiche e corrosive di questo pericolo acido. Grazie al sistema di “Identifica-

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zione Colore” con AccaDue SO4 è possibile verificare visivamente lo stato di reazione e valutare la quantità necessaria di prodotto da utilizzare: in breve tempo, infatti, la polvere assorbente cambierà colore indicando l’effettiva neutralizzazione dell’acido sversato. Dopo aver sparso in maniera graduale la polvere e atteso il cambio colore, a dimostrazione di avvenuta neutralizzazione, il composto gelificato può essere facilmente smaltito come rifiuto speciale non tossico. 600 gr di AccaDue SO4 sono necessari alla neutralizzazione di 1 lt di acido solforico. Viene proposto in sacchi da 5 o 20 kg.

www.ecologistic.it


SPECIALE SOS SVERSAMENTI GAESCO Gli assorbenti industriali sono una soluzione pratica e sicura per il controllo degli sversamenti accidentali e l'assorbimento di sostanze pericolose sia in ambienti interni che esterni. La linea dedicata di Gaesco comprende una vasta scelta di prodotti per ogni esigenza, avendo a disposizione diverse soluzioni in base alla tipologia e capacità di assorbimento di molte sostanze pericolose o inquinanti tra cui: sostanze chimiche, oli, idrocarburi, gasoli, liquidi refrigeranti.

KENFITT Ad esempio, la barriera flessibile antisversamento non assorbente è utile a contenere e deviare la direzione dei liquidi sversati, impedendogli di raggiungere gli scarichi. Aderisce ottimamente al suolo e fornisce un'efficace resistenza a olio, acqua, derivati del petrolio e alla maggior parte delle sostanze chimiche. Realizzata in poliuretano resiste agli strappi e alle lacerazioni. Lavabile e riutilizzabile, è dotata di ganci maschio femmina che consentono una perfetta chiusura evitanfd la fuoriuscita del liquido contenuto. Dopo l’uso si pulisce semplicemente con acqua e sapone per rendarla immediatamente pronta a un nuovo uso. Disponibile in tre diverse misure: cm 200x5x6h e cm 200x10x7h senza maniglie e cm 200x10x7h con maniglie. Questa tipologia di barriera, di colore giallo, è disponibile anche ad anello da 45 cm di diametro e 4,5 cm di larghezza e altezza.

www.gaesco.it

MANUTAN Gli assorbenti industriali sono la soluzione più semplice e immediata da utilizzare in caso di sversamenti e fuoriuscite accidentali di sostanze non pericolose, pericolose e inquinanti. Manutan propore il Kit Ikasorb di assorbenti in armadietto 70 o 260 litri, entrambi disponibili in 2 versioni adattate al tipo di inquinamento presente: idrocarburi o tutti i liquidi. Gli assorbenti e gli accessori sono facilmente accessibili e disposti in maniera tale da essere perfettamente visibili. L’armadietto da 70 litri (sospeso o

Gli assorbenti in polipropilene proposti da Kenfitt hanno un eccezionale potere di assorbimento (fino a 20 volte il loro peso) selettivo (universali, per olio, per sostanze chimiche). Il loro utilizzo permette di: risparmiare tempo, perché sono facili e veloci da utilizzare e non generano polvere o miscele da dover raccogliere; risparmiare denaro, perché assicurano l’assoluta pulizia della superficie, un maggior controllo sulla quantità di prodotto utilizzata e la riduzione sia del materiale da smaltire sia della produzione di energia. La gamma comprende tamponi (ottimi anche per la pulizia di macchinari), rotoli, tappeti, barriere (disponibili in diverse lunghezze, si possono fissare l’una con l’altra fino a raggiungere la lunghezza desiderata), cuscini (da utilizzare per la manutenzione o in caso di perdite continue da valvole e tubazioni, ma se utilizzati insieme a tamponi e barriere sono in grado di assorbire rapidamente grandi quantità di liquido), copri-

tombini. A catalogo non mancano poi i prodotti granulari, da utilizzare per qualsiasi tipo di intervento dettato dall’emergenza, Il granulare idoneo per assorbire oli interi è confezionato in sacchi da 12 kg, con un potere di assorbimento di 14,4 litri per sacco. Il granulare idoneo per assorbire oli in emulsione è invece confezionato in sacchi da 10 kg, con un potere di assorbimento di 13,2 litri per sacco.

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MEWA da appoggiare) contiene: 30 fogli assorbenti, 5 cuscini, 3 salsicciotti, 1 paio di guanti di protezione, 1 tuta usa e getta, 2 flaconi di soluzione per lavaggio oculare 500 ml e 2 sacchi di recupero rifiuti. Il Kit da 260 litri, invece, è un contenitore a rotelle per consentire un rapido intervento nei luoghi dell'incidente, e contiene: 100 fogli assorbenti, 10 cuscini, 10 salsicciotti, 1 paio di guanti di protezione, 1 tuta usa e getta, 2 flaconi di soluzione per lavaggio oculare 500 ml, 5 sacchi di recupero rifiuti, 2 sacchi di granulati da 10 kg, 1 pala e 1 scopa.

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Il tappeto assorbente Mewa MultiTex è una soluzione tessile multiuso, ecocompatibile ed economica, che serve come supporto perfetto per i lavori di riparazione e manutenzione o in aree sensibili di macchine e impianti. Agisce trasportando subito all'interno oli o liquidi pericolosi sversati, distribuendoli e immagazzinandoli in modo uniforme e permanente nel suo nucleo assorbente. In tal modo la superficie rimane relativamente asciutta. Adatto per il settore industriale e per le autofficine, MultiTex può essere semplicemente noleggiato così che sia Mewa ad occuparsi del ritiro periodico, lavaggio ecocompatibile, sostituzione in caso di usura e riconsegna, secondo una frequenza da concordare. Un mo-

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do conveniente, quindi, per evitare rifiuti pericolosi e costose spese di smaltimento. Con la sua elevata capacità di assorbimento super rapida (fino a 3 litri di liquido), un peso di soltanto 600 g e una dimensione di 60x90 cm, questa "vasca di raccolta olio" sotto forma di panno si adatta anche ai punti più difficili da raggiungere. E per coprire grandi aree, basta posizionare più tappeti uno accanto all'altro.

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SPECIALE SOS SVERSAMENTI MITO Quando si trattano liquidi chimici altamente tossici, prodotti caustici, acidi, è necessario assorbire eventuali versamenti o perdite per evitare danni a ambiente e operatori, persone che ne vengano accidentalmente in contatto. E’ proprio questa l’utilità di prodotti assorbenti per liquidi chimici specifici, come ad esempio rotoli assorbenti. E’ bene dotarsi dei prodotti appropriati, soprattutto nel caso di assorbimento di acido solforico o idrossido di sodio. A questo proposito, il riferimento di legge sull’assorbimento di liquidi chimici dannosi è il D.Lgs 25/2002. I rotoli assorbenti per liquidi chimici, pretagliati e rinforzati proposti da Mito, di dimensioni 50x40 metri, vengono impiegati per assorbire grosse quantità di inquinanti. Si possono utilizzare per coprire vaste superfici soggette a sversamenti e spruzzi con estrema rapidità ed efficacia. Sono progettati per assorbire in caso di fuoriuscite accidentali di prodotti acidi, liquidi tossici, gas disciolti in ac-

NEW PIG qua o pericolosi in genere. La particolare composizione limita notevolmente l’evaporazione di quanto assorbito, grazie ad un particolare trattamento in superficie con tensioattivi che ne limitano notevolmente la fuoriuscita di vapori. Inoltre, sono ideali da usare in presenza di forte aggressività chimica, compreso addirittura l’acido fluoridrico. Inoltre, essendo un prodotto statico viene facilitata la manipolazione di liquidi infiammabili. Questi rotoli, dall’elevato potere assorbente, trovano ideale impiego nell’industria chimica, ma anche nei laboratori d’analisi, ospedali e aree di stoccaggio chimico sia sui pavimenti che in altre superfici, rendendo il luogo di lavoro pulito e sicuro. Essendo in grado di assorbire fino a 16 volte il loro peso, permettono anche un notevole risparmio nello smaltimento. Sono adatti all’incenerimento con un contenuto di ceneri dello 0,02%.

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PACK SERVICES I kit d’emergenza antisversamento sono adatti per industrie, trasportatori, aereoporti, autostrade, aziende raccolta rifiuti, officine ecc., e sono indispensabili nelle attività lavorative in cui la forza lavoro deve poter operare in un ambiente pulito e sicuro e salvaguardare contemporaneamente l’ambiente. I kit universali sono idonei per assorbire la maggior parte dei liquidi industriali, liquidi organici e inorganici, idrocarburi, solventi, antigelo, acidi, basici, ecc.. e possono variare per quantità e qualità dei materiali assorbenti a

Caddy Pig Armadio grande con ruote per la gestione di sversamenti – HazMat è il nuovo kit mobile di NewPig ad alta visibilità in hdpe, che è quasi 3 volte più grande della versione precedente (lo Spill Caddy HazMat). Presenta porte a battente e coperchio flip-top per un facile accesso ai materiali per la raccolta di sostanze chimiche. Le ruote posteriori da 20 cm superano facilmente superfici irregolari; le rotelle girevoli frontali consentono di orientare il carrello e di muoversi da una posizione stazionaria senza inclinarsi indietro. Questo grande carrello, da 75x76x128cm, contiene: 1 rotolo MatE260 51x41 m, 50 tamponi MatT203 38x51 cm, 2 salsicciotti Pig202 8x3 m, 6 salsicciotti 4048 8x122 cm, 8 cuscini Pil204 25x25 cm, 56 salviette Wip310 30x33 cm, 10 sacchi per lo smaltimento e legacci BagE205-L 91x152 cm, 1 coprifusto, 1 guida alla compatibilità chimica dello Spill Kit, 1 - Carrello grande

Spill kit PAK820. Preimballato e progettato attentamente per trovare ciò che si sta cercando senza rovistare o svuotare il kit, può essere riassortito grazie a ricariche di soli prodotti

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SALL seconda delle esigenze. Questi sistemi sono confezionati in contenitori carrellati per movimentarli facilmente. Si va dal kit in cassetta (in polietilene con coperchio a slitta e ruote) con capacità assorbente di 65 litri, al kit in bidone (con ruote, adatto anche per pavimentazioni sconnesse) con capacità assorbente di 110 o 220 litri, fino al kit in cassa pallet con capacità di assorbimento di 390 o 755 litri. La soluzione con la massima capacità assorbente, ad esempio, è un kit di pronto intervento antisversamento confezionato in cassa pallet con ruote e coperchio, per fronteggiare sversamenti molto estesi. Il contenuto prevede: 300 fogli assorbenti; 1 rotolo; 6 sacchi da 7 kg Ecosorboil fine assorbente granulare; 6 cuscini; 10 manicotti (2 modelli diversi); 12 sacchi per gli scarti; 5 paia di guanti; 5 mascherine; 5 tute; 5 occhiali; 1 scopa; 1 alza immondizia; 1 manuale istruzioni.

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Neutralizer SA280 viene utilizzato in particolare come dotazione di sicurezza e pronto intervento antisversamento di soluzione acida, come previsto dal regolamento normativo per gli impianti destinati allo stoccaggio, la ricarica, la manutenzione, il deposito e la sostituzione degli accumulatori al piombo con soluzione liquida o gel di acido solforico, es: batterie stazionarie, batterie gruppo di continuità (UPS), batterie di trazione, batterie di avviamento, produzione e vendita di accumulatori, consorzi nazionali per la raccolta e il trattamento delle batterie al piombo esauste e rifiuti piombosi, trasporto di acido solforico, ecc. Per la perfetta neutralizzazione è sufficiente una minima quantità di prodotto; ad esempio, la quantità necessaria di Neutralizer SA280 per un litro di soluzione di acido solforico avente densità di 1,26 gr/cmc, è esattamente di 280 gr. Basta cospargerlo ai bordi della perdita per arginare e per contenere lo sversamento, poi ricoprire con gradualità tutta la superficie contaminata, con una quantità sufficiente

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di prodotto al completo assorbimento e neutralizzazione dell’acido solforico. Terminata la reazione neutralizzante, il composto tende ad addensarsi e a formare un rifiuto argilloso facile da asportare. I principali vantaggi sono: assorbe senza reazioni, assorbenza e neutralizzazione elevata, inerte chimicamente, facile da usare. Nella sua confezione originale non necessita di procedure speciali per il trasporto, ma per l’uso è vivamente consigliato di indossare sempre gli opportuni dispositivi di protezione individuale. Viene proposto in secchi da 6 o 12 Kg, con capacità assorbente rispettivamente di 21,4 o 42,8 litri/secchio.

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tecnologia

La combustione senza fiamma Applicazioni classiche e alternative

Questa nuova tecnologia implica l’uso di particolari bruciatori, da quelli rigenerativi a quelli recuperativi, ma tutti di tipo LowNOx Nell’esperienza comune, la combustione è associata al fenomeno della fiamma, che è semplicemente l’emissione luminosa che si origina dalle molecole dei prodotti gassosi di combustione: la reazione di combustione produce energia, che in parte viene emessa sotto forma di luce visibile. Il fenomeno della fiamma viene reso più evidente dalle particelle solide, che costituiscono punti di emissioni e diffrazione della luce. E’ anche esperienza comune che la combustione può proseguire senza fiamma, come si osserva nelle braci: quando si sono bruciati i gas, la combustione continua a temperatura più bassa, interessando la parte solida. Recentemente si è scoperto che è possibile avere combustione senza fiamme visibili anche ad alte temperature e con combustibili gassosi (oltre che liquidi e solidi): questo fenomeno si crea quando la temperatura del combustibile supera quella di auto-ignizione (in genere oltre 750 °C), e ha dato luogo ad una nuova tecnologia di combustione, denominata HiTAC (High Temperature Air Combustion). I BRUCIATORI LOWNOX

La combustione senza fiamma riduce notevolmente la formazione di ossidi di azoto (NOx), che sono inquinanti atmosferici coinvolti nella formulazione delle piogge acide e dello smog fotochimico. Le industrie produttrici di bruciatori puntano da tempo a realizzare sistemi che combinino un’elevata efficienza energetica con una bas-

BRUCIATORI RECUPERATIVI

sa produzione di NOx. Queste ricerche indicano che la ricircolazione entro la zona di combustione di parte dei gas combusti, insieme a un elevato preriscaldamento dell’aria in ingresso, modifica la struttura della fiamma, trasformandola in una zona di reattività diffusa che si estende all’intero volume della camera di combustione. Infatti, in una fiamma convenzionale le reazioni di ossidazione del combustibile sono localizzate sul “fronte di fiamma”, che è una zona dove si concentra una grande quantità di radicali liberi, confinati in uno stadio turbolento e quasi bidimensionale, dove tutte le grandezze in gioco presentano gradienti elevatissimi, con picchi di temperatura che localmente possono superare 1.800 °C. La zona di reazione di una combustione “flameless” è invece distribuita su un volume più ampio, nel quale le pulsazioni turbolente sono molto più contenute, e si superano appena i 1.300 °C. La diluizione dell’aria comburente dovuta alla miscela-

zione con i gas esausti abbassa la concentrazione di ossigeno nella zona di reazione, riducendo le emissioni di NOx; tuttavia, si hanno ugualmente condizioni di combustione completa, poiché non esiste un fronte di fiamma ben definito, e il sistema diviene paragonabile ad un reattore perfettamente miscelato. Inoltre, è possibile immettere aria preriscaldata a oltre 1.000 °C, consentendo notevoli incrementi nel recupero energetico e quindi nel risparmio di combustibile. In pratica, queste condizioni possono realizzarsi solo se la camera di combustione ha una temperatura superiore a quella di autoignizione del combustibile; per cui un tipico bruciatore LowNOx deve essere dotato di due sistemi di alimentazione dell’aria, in modo da poter operare inizialmente con il normale regime di fiamma stabilizzata, passando poi al sistema “flameless” quando la temperatura della camera di combustione ha superato 850 °C.

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I bruciatori recuperativi sono una tipologia di bruciatori LowNOx largamente impiegati per il riscaldamento delle fornaci nell’industria siderurgica. La loro denominazione deriva dal fatto che il preriscaldamento dell’aria comburente viene ottenuto nel corpo stesso del bruciatore, facendo passare in controcorrente i gas caldi di combustione attraverso la sezione anulare compresa tra il recuperatore di calore e il mantello esterno; questi bruciatori possono operare sia in presenza di fiamma (nella fase iniziale di preriscaldamento della camera di combustione) che in modalità “flameless”; in quest’ultima modalità garantiscono emissioni di NOx inferiori a 20 ppm. Prestazioni ancora migliori possono essere ottenute nei sistemi a riscaldamento indiretto, impiegati quando si vuole evitare il contatto dei gas di combustione con il materiale presente all’interno della fornace. In questo caso i gas di combustione vengono convogliati entro tubi radianti in materiali ceramici; la configurazione dei tubi radianti viene appositamente studiata per garantire il ricircolo interno, necessario per ottenere la combustione senza fiamma. BRUCIATORI RIGENERATIVI

Questi bruciatori sono caratterizzati dalla presenza di accumulatori di calore in materiale ceramico, che funzionano alternativamente come Continua a pag. 34


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sufficiente a mantenere il sistema in autosostentamento, senza necessità di combustibile ausiliario (che serve solo per avviare il sistema). Queste apparecchiature sono particolarmente adatte per la depurazione di flussi gassosi di elevata portata, ma con basse concentrazioni di SOV.

La combustione senza fiamma preriscaldatori dell’aria comburente e come recuperatori del calore dai gas esausti, alternandosi con cicli di 20 secondi. Le strutture ceramiche consentono di incrementare grandemente la superficie di scambio termico rispetto ai bruciatori recuperativi, ottenendo un elevatissimo preriscaldamento (con temperature di ingresso dell’aria di oltre 1.200 °C) e conseguentemente valori di emissioni NOx inferiori a 30 ppm. Bruciatori di questo tipo sono diffusamente impiegati nell’industria vetraria e della ceramica, e nei forni di ricottura delle acciaierie. COMBUSTIONE FLAMELESS PER PRODURRE ELETTRICITA’

Sono da qualche anno allo studio impianti di generazione elettrica basati su processi di combustione flameless. Particolarmente interessanti, a tale proposito, sono i sistemi che utilizzano l’ossigeno come comburente, anziché l’aria, in quanto consentono di ottenere in uscita una corrente composta quasi esclusivamente da CO2 e vapor acqueo, facilmente separabili. I fumi di combustione possono essere utilizzati, previa depurazione in sistemi ad alta temperatura, per l’alimentazione di caldaie ultra supercritiche, che producono vapore successivamente inviato in turbina. La produzione di inquinanti solidi, liquidi e gassosi è estremamente limitata, e inoltre questi impianti possono essere facilmente integrati con sistemi di separazione e confinamento geologico della CO2. I fumi depurati sono infatti costituiti principalmente da CO 2 e vapor d’acqua, per cui si può effettuare una separazione pressochè totale dell’anidride carbonica mediante una semplice condensazione del vapore. Un processo di questo tipo, denominato Isotherm, è stato sperimentato da Enel, Enea e Itea (società del gruppo Sofinter). E’ stato realizzato un impianto pilota da 5 MWt, basato su un reattore pressurizzato e rivestito in materiale refrattario. Questo processo produce energia termica, fumi contenenti una bassissima concentrazione di inquinanti e ceneri inerti, con un contenuto di carbonio quasi nullo. Il combustore opera ad una tempe-

OSSIDATORI CATALITICI

ratura pressochè costante nell’intero volume, compresa tra 1.300 e 1.500 °C circa; a tali temperature si ha la distruzione di gran parte dei composti organici e la fusione delle ceneri che, in uscita dal combustore, vengono repentinamente raffreddate diventando vetrose e quindi completamente inerti. L’ossigeno comburente è diluito mediante un ricircolo di gas combusti, al fine di avere una temperatura in ingresso dell’agente ossidante dell’ordine dei 900 °C, e in tal modo non è necessario alcun preriscaldamento esterno dell’ossidante. OSSIDATORI TERMICI RIGENERATIVI

Una applicazione completamente diversa della combustione senza fiamma si ha negli ossidatori termici rigenerativi, la cui funzione non è di produrre energia, bensì di ottenere la depurazione dei gas di

LA COMBUSTIONE FLAMELESS PER I TERMOINCENERITORI L’impianto della Itea relativo alla produzione di energia elettrica è stato successivamente convertito in impianto dimostrativo per la termodistruzione di rifiuti. La tecnologia utilizzata viene definita di “ossicombustione”, ossia combustione senza fiamma sotto pressione, un processo analizzato e preso seriamente in considerazione anche dal MIT di Boston. La combustione flameless

processo contenenti sostanze organiche volatili (SOV), in concentrazioni troppo basse per consentire la combustione diretta. In questo caso si impiega un sistema costituito da due o tre camere, riempite di materiali ceramici refrattari; le camere funzionano a cicli alternati di durata da 1 a 2 minuti. Mentre una camera preriscalda il gas che contiene le SOV, nell’altra le SOV vengono bruciate senza fiamma, aumentando la temperatura della massa ceramica; successivamente i flussi si invertono, e il gas preriscaldato va alla combustione, mentre nella camera dove era avvenuta la combustione viene immesso gas da preriscaldare. Sistemi di questo tipo ottengono la distruzione di oltre il 90% delle SOV in ingresso, con minime emissioni di ossido di carbonio e NOx; l’efficienza può essere aumentata fino al 99,5% aggiungendo una terza camera. In condizioni a regime, il calore prodotto dall’ossidazione delle SOV è utilizza ossigeno in luogo di aria; questo consente di raggiungere temperature intorno a 1.400 °C, che evitano la formazione di inquinanti, con emissioni da 1.000 a 10.000 volte inferiori a quelle di un inceneritore tradizionale. I residui di combustione escono allo stato di materiale vetrificato, privo di carbonio residuo e totalmente inerte. Gli scarichi idrici non ci sono; gli effluenti gassosi non vengono emessi in atmosfera, ma lavorati per produrre CO2 commerciale, utilizzabile (ad esempio) per riempire gli estintori.

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Oggi tutte le auto montano marmitte catalitiche, nelle quali gli idrocarburi incombusti contenuti nei gas di scarico bruciano senza fiamma su uno speciale catalizzatore, trasformandosi in sostanze innocue (acqua e anidride carbonica). Lo stesso principio viene applicato su scala industriale per la depurazione di correnti gassose contenenti SOV: il gas da depurare viene portato a temperature intorno a 300-400 °C e messo in contatto con una massa catalitica, dove gli inquinanti bruciano senza fiamma. Il contenuto termico del gas depurato in uscita viene parzialmente recuperato raffreddando il catalizzatore con il gas in entrata; è possibile un ulteriore recupero termico prima dell’emissione in atmosfera. Rispetto ai sistemi di ossidazione rigenerativa, i sistemi catalitici sono più semplici e si prestano meglio ad applicazioni su piccola scala; i loro limiti sono il costo del catalizzatore e il rischio di “avvelenamento” dello stesso se sono presenti composti di zolfo, metalli pesanti, idrocarburi clorurati, materiale particolato e altre impurità.


Negli anni '20 del secolo scorso, con il diffondersi della motorizzazione, si scoprì che la quantità di benzina ricavabile "naturalmente" dalla distillazione del petrolio grezzo era insufficiente a coprire la domanda ed era inoltre di cattiva qualità; al contrario, le produzioni di gasolio e olio combustibile erano sovrabbondanti rispetto alle richieste del mercato. La differenza tra il gasolio e la benzina è data soprattutto dalle dimensioni delle molecole: la benzina contiene idrocarburi con un numero di atomi di carbonio compreso tra 2 e 11, mentre nel gasolio questo numero va da 15 a 25. Pertanto, rompendo più o meno a metà le molecole degli idrocarburi del gasolio, si ottengono gli idrocarburi della benzina. Questa rottura ("cracking") si può ottenere con processi termici, introdotti già prima della “grande guerra”; ma oggi si ottiene prevalentemente con processi catalitici, già presenti nelle raffinerie fin dal 1936. Il cracking catalitico consente di raddoppiare la resa in benzina, e di ottenere benzina con un "numero di ottano" adeguato (cioè esente da fenomeni di "battito in testa"); il processo si è successivamente evoluto e oggi costituisce il principale mezzo con cui si ricava la benzina. In particolare, un notevole progresso dal punto di vista ambientale è stato ottenuto con l'adozione su larga scala del processo di Hydrocracking, cioè cracking catalitico compiuto in atmosfera di idrogeno. Questo processo consente di depurare la benzina dai composti inquinanti di zolfo e di azoto, riducendo inoltre la percentuale di idrocarburi aromatici (sospettati di cancerogenicità). Il processo è notevolmente flessibile ed esiste in diverse versioni; oltre che la produzione di benzina, è largamente usato per ottenere gasolio a basso tenore di zolfo e con ottime caratteristiche di flusso a freddo (cioè particolarmente adatto al clima invernale). Il cracking termico, nella variante detta "steam cracking" (che viene effettuata partendo da idrocarburi leggeri miscelati con vapore acqueo e riscaldati fino a 850 °C a 10-20 bar) viene oggi prevalentemente impiegato per la produzione di olefine (etilene e propilene), che sono i materiali di partenza per la produzione delle materie plastiche di largo consumo. Le di-

Il cracking ecologico Ricerche e brevetti

Come rendere più sostenibile uno dei principali processi petrolchimici, soprattutto per quanto riguarda la riduzione delle emissioni

Coolbrook

mensioni dei moderni impianti di steam cracking sono impressionanti: un singolo forno ha una capacità intorno a 200.000 ton/anno, e un impianto di grandi dimensioni può avere fino a 10 forni. IMPATTO AMBIENTALE Il principale impatto ambientale degli impianti di cracking sono le emissioni di CO2, dovute al fatto che le alte temperature necessarie al processo sono ottenute bruciando combustibili fossili (in genere i residui pesanti della distillazione del petrolio). Negli scorsi anni si è puntato a una riduzione delle emissioni unitarie (cioè in termini di kg CO2 per ogni kg di carica all'impianto) mediante misure di razionalizzazione ed economie di scala, costruendo impianti sempre più grandi; ma ormai i margini di miglioramento sono molto limitati. Tra le proposte di perfezionamento delle attuali tecnologie citiamo i nuovi tipi di forni proposti dalla Technip FMC (Three Lane Coil e Swirl Flow Tube), che realizzano miglioramenti nella lunghezza dei cicli e nella possibilità di accrescere la capacità, riducendo le temperature massime raggiunte nei fasci tubieri del forno e, conseguentemente, la deposizione di residui carboniosi nei tubi. Technip FMC ha partecipato con successo al progetto europeo IMPROOF, che si proponeva di incrementare di almeno il 20% l’efficienza energetica dei forni di steam cracking, riducendo contemporaneamente del 25% le emissioni di gas serra e ossidi di azoto. Nel quadro del progetto, Technip FMC ha costruito e brevettato uno speciale forno.

Coolbrook

NUOVI TIPI DI REATTORI La tecnologia attuale degli impianti di cracking ha ormai quasi un secolo di vita. Una nuova tecnologia, che promette aumenti di resa del 34%, è stata recentemente brevettata dalla società finlandese Coolbrook. denominata Roto Dynamic Reactor (RDR), si basa sul concetto di somministrare calore alla carica dall'interno, mediante una turbina rigenerativa. La carica liquida viene convertita in fase gassosa in uno stadio di preriscaldamento, quindi accelerata nel primo stadio grazie alla

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Continua da pag. 35 Impianto di Hydrocracking

Il cracking ecologico velocità impartita da un motore elettrico. L'energia meccanica viene convertita in energia interna della carica gassosa, aumentandone la temperatura fino a 980 °C e la pressione fino a 3 bar; in queste condizioni si innescano le reazioni di pirolisi, con rese in etilene di oltre il 43% e tempi di residenza molto brevi (meno di 0,05 secondi, corrispondenti a 1/10 di quanto avviene nei forni convenzionali). Queste condizioni, oltre ad accrescere la resa in etilene, diminuiscono la formazione di residui carboniosi e quindi consentono cicli di funzionamento più lunghi e minori spese di manutenzione. L'utilizzo dell'energia elettrica (che sarà prodotta da fonti rinnovabili) significa una riduzione del 70% nelle emissioni di CO2 dell'intero processo. Attualmente, la Coolbrook ha completato due anni di prove su un impianto pilota da 90 kg/ora, e sta costruendo un impianto dimo-

strativo da 500 kg/ora. L'elettrificazione del cracking è allo studio anche in Europa, dove è stato costituito lo scorso anno il consorzio "Crackers del futuro", con la partecipazione delle 6 principali società petrolchimiche (Basf, Borealis, BP, Lyondell-Basell, Sabic e Total). Il principale contributo al Consorzio arriverà probabil-

mente dalla Basf, che fin dal 2018 sta lavorando (insieme alla Linde Engineering) al progetto di un forno di cracking alimentato con energia elettrica da fonti rinnovabili; questo forno ridurrebbe le emissioni di CO2 del 90%. Infine, negli Usa, Dow e Shell Chemicals hanno recentemente annunciato un accordo per una ricerca in comune, con lo scopo di accelerare lo sviluppo della tecnologia di "elettrificazione" del processo di cracking. SCARTI PLASTICI COME MATERIA PRIMA Molti progetti hanno per tema l'impiego di scarti di materie plastiche come materia prima per gli impianti di cracking. L'utilizzo diretto è reso difficile sia da problemi logistici che dalle impurezze presenti nelle plastiche di scarto, che ridurrebbero grandemente la vita utile dei catalizzatori; è invece più semplice l'utilizzo dell'o-

Technip FMC

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lio di pirolisi, proveniente da un primo passaggio in cui i rifiuti di plastica vengono scaldati da 350 a 500 °C, in modo da provocare la loro trasformazione in prodotti gassosi (utilizzati come fonte di calore per il processo) e liquidi (olio di pirolisi). La pirolisi può essere spinta fino alla gassificazione totale dei rifiuti plastici, aumentando la temperatura fino a 850 °C e utilizzando un processo a doppio letto fluidizzato analogo a quello impiegato nella gassificazione di biomasse legnose. Un progetto di questo tipo è attualmente nello stadio di impianto pilota in Svezia, presso la Chalmers Power Central: è stato costruito un impianto pilota da 200 kg/ora che, mediante immissione di vapore e doppio letto fluidizzato a 850 °C, ottiene una miscela di diversi gas, che possono essere impiegati per produrre nuovi materiali plastici, con caratteristiche identiche alle plastiche vergini.


BIOCOSÌ (tecnologie e processi innovativi per la produzione di imballaggi 100% BIOdegradabili e COmpostabili per un’industria Sostenibile, economica/circolare e Intelligente) è un progetto sviluppato dall’Enea per trasformare i rifiuti caseari in risorse, ridisegnando il packaging in chiave sostenibile e introducendo materiali biodegradabili nelle linee produttive. Doppia è stata la valenza del progetto: da un lato, il processo di separazione a membrana sviluppato dall’Enea per il frazionamento del siero di latte, che consente sia il recupero differenziato di tutte le componenti (quali sieroproteine/peptidi, lattosio e sali minerali) che di acqua ultra pura; dall’altro, la produzione di bioplastica biodegradabile e bioderivata dal lattosio estratto dai reflui, che consente la totale valorizzazione dei rifiuti orientata all’innovazione della filiera agroalimentare, con benefici anche in termini di riduzione degli inquinanti dell’industria casearia e di impatto della plastica nell’ambiente. Secondo recenti studi Enea, l’83% dei rifiuti in plastica censiti nei mari italiani è costituito da packaging, per lo più di plastica usa e getta. Oltre al ruolo di responsabile del processo di estrazione del lattosio e dei peptidi bioattivi da impiegare come integratori nei nuovi prodotti e al supporto tecnico scientifico per la messa a punto della produzione di bioplastica (PHApoliidrossialcanoati) per via fermentativa, all’Enea è spettata anche la responsabilità della successiva caratterizzazione del biopoli-

L’eco-packaging dai reflui caseari Progetto BioCoSÌ

Il riutilizzo delle acque di scarico per produrre bioplastica per imballaggi 100% biodegradabile e compostabile mero. <<Questa innovazione ispirata ai principi dell’economia circolare con l’obiettivo “zero rifiuti a fine processo” - sottolinea Valerio Miceli dell’Enea - risponde non solo a esigenze di natura etica e ambientale ma anche economiche, legate ai costi elevati dello smaltimento dei reflui caseari, consentendo oltretutto di tagliare di circa il 23% il costo unitario di produzione del biopolimero>>. Un vero e proprio cambio di paradigma che rivoluziona il concetto tradizionale del refluo come rifiuto trasformandolo in risorsa “green”, in grado di rispondere alla domanda di innovazione tecnologica per la sicurezza alimentare, di nuovi materiali a elevato

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L’eco-packaging dai reflui caseari valore aggiunto per un'agricoltura e un’industria sostenibili, con l’obiettivo di favorire un circuito virtuoso di sostanze nutritive tra aree urbane e rurali, promuovendo il risparmio energetico, il riciclo e la produzione a basse emis-

sioni di carbonio. <<Questa proposta può rappresentare anche una fonte di ricchezza integrativa in termini di redditività per le stesse aziende casearie - aggiunge Miceli – per gli stakeholder operanti in filiera e per le PMI innovative che mirano ad aumentare la competitività del territorio diversificando l’offerta di prodotto>>. Attualmente, le bioplastiche rap-

presentano circa l’1% delle plastiche prodotte ogni anno in Europa (circa 300 milioni di tonnellate). Ma la domanda è in aumento e con materiali più sofisticati, applicazioni e prodotti emergenti, il mercato è già in crescita. Secondo gli ultimi dati di mercato raccolti dall’European Bioplastics, associazione europea della filiera delle bioplastiche, la capacità di produzione mondiale delle

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bioplastiche è destinata a crescere di circa il 50% nel medio termine, passando da circa 4,2 milioni di tonnellate del 2016 a 6,1 milioni di tonnellate nel 2021. Incrementi a due cifre anche per l’industria italiana delle bioplastiche che nel 2015, secondo uno studio di Assobioplastiche, ha registrato un aumento del 25% dei manufatti prodotti e un fatturato di 475 milioni di euro (+10%).


GREEN ECONOMY

La logistica è più sostenibile Esempi di successo

I risultati raggiunti in Italia da quattro importanti aziende del food: Barilla, Ferrero, Mondelez e Müller Il 42% delle imprese ritiene che la sostenibilità nel trasporto dei prodotti di largo consumo sia una sfida prioritaria e improcrastinabile. E per questo sono numerosi i progetti, le iniziative e le innovazioni adottati per migliorare l’impatto della supply chain sull’ambiente, attraverso la riduzione delle emissioni di CO 2 e il miglioramento dell’efficienza del flusso logistico. Ma con quali risultati effettivi? A questa domanda risponde EcologistiCO2, il web tool di misurazione dell'impatto climatico dei trasporti e delle attività di magazzino sviluppato da GS1 Italy in ambito ECR Italia. Uno strumento di simulazione e di verifica, quindi, ma sviluppato anche in un'ottica di collaborazione di filiera e di condivisione dei risultati per innescare così un processo virtuoso. Per questo la community dei suoi user rende disponibili le proprie esperienze, come hanno fatto Barilla, Ferrero, Mondelez Italia e Müller, presentando le loro case history e i benefici ottenuti in termini di sostenibilità ambientale. BARILLA Il gruppo Barilla tra il 2013 e il 2017 ha visto crescere il suo flusso logistico, che ha portato alla saturazione dei magazzini di stabilimento. Dal 2018 l’azienda ha così avviato il progetto DNA (Distribution Network Assessment) con cui ha progressivamente eliminato i flussi ai cosiddetti “mix

warehouse” di stabilimento per concentrarli negli hub, più idonei ed efficienti. Così facendo, i km totali percorsi sono diminuiti del 7% su base annua, mentre il numero dei viaggi è aumentato del 10% per effetto della riduzione del 15% della percorrenza media per viaggio. La maggiore efficienza del sistema distributivo ha consentito a Barilla di ridurre del 16% le emissioni di CO2 per tonnellata di merce spedita, di risparmiare le emissioni totali di gas serra (pari a circa 530 ton di CO2e in meno) e di tagliare del 7% le emissioni di polveri sottili (PMx). FERRERO È dal 2012 che Ferrero ha avviato un percorso per ridurre l’impatto ambientale nei trasferimenti dei prodotti finiti e intermedi da e per lo stabilimento di Alba, intervenendo su vari fronti: ammodernando la flotta di automezzi (compresi quelli dei fornitori), ottimizzando i carichi (riducendo così il numero dei mezzi utilizzati e della loro percorrenza) e migliorando la media della classe Euro dei mezzi, introducendo anche mezzi a CNG, con la riduzione di

circa il 50% delle emissioni di PMx. A settembre 2019 Ferrero è andata oltre: ha abbandonato il gas metano di origine fossile come carburante dei veicoli del polo di Alba e l’ha sostituito con il biometano, ottenendo un taglio del 55% delle emissioni di CO2 (wellto-wheel) rispetto all’esercizio 2015/16. Grazie a Ecologistico2, Ferrero ha inoltre simulato uno scenario a regime di veicoli alimentati al 100% con biometano: la CO2 emessa dai mezzi (tank-towheel) e il PMx sarebbero azzerate, mentre quelle legate alla produzione e distribuzione del biofuel (well-to-tank) si ridurrebbero a 124 ton/anno di CO2e.

dei clienti italiani. Per la realizzazione di questo progetto è stata dunque fondamentale la collaborazione dei clienti della Distribuzione, a partire dall’allineamento delle anagrafiche e dalla ottimizzazione degli ordini, favorendo gli strati completi dei pallet, per arrivare all’accorpamento di ordini, documenti di trasporto e fatture. Rimodulando i flussi e unificando gli stock in un solo magazzino, Mondelez ha ottenuto immediati benefici sia a monte sia, soprattutto, a valle (nelle spedizioni dirette ai punti di consegna), migliorando del 12,5% la saturazione degli automezzi. Dunque, a parità di merce trasportata, sono stati effettuati meno viaggi, realizzando meno consumi e meno emissioni nell’ambiente. Benefici misurati grazie a EcologistiCO2, da cui è emerso che, su base annua, sono state risparmiate 810,84 ton di CO 2e (per oltre il 90% relativo ai flussi outbound), e sono stati abbattuti circa 4,58 kg di PMx/anno. MULLER

MONDELEZ ITALIA Mondelez ha ridisegnato i flussi in Italia dei prodotti della sua divisione Snack con il duplice obiettivo di migliorare la logistica e di renderla più sostenibile. Ha quindi realizzato un unico hub logistico per le merci in arrivo dai vari impianti europei e in partenza per i punti di consegna in Italia, unificando anche gli ordini

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L’incremento di capacità di carico, grazie alla nuova modalità di trasporto, ha permesso a Müller di ottenere un incremento compreso tra il 17% e il 19% di quantità di merce trasportata per viaggio, ottenendo un risparmio in termini di viaggi eq. su strada pari a 9 viaggi/anno.

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Non c’è premium senza responsabilità Gruppo BMW

Sostenibilità ed efficiente gestione delle risorse al centro della direzione strategica dell'azienda. Dettagli e obiettivi al 2030 Negli ultimi anni il Gruppo BMW ha già ripetutamente fissato gli standard in termini di sostenibilità, e il principio del miglioramento continuo rimarrà al centro della strategia per ridurre le emissioni di CO2 e aumentare l'efficienza delle risorse. <<Come azienda automobilistica premium - afferma Oliver Zipse, - è nostra ambizione aprire la strada alla sostenibilità. Questo è il motivo per cui ci stiamo assumendo questa responsabilità, rendendo centrali per la nostra strategia futura i temi della sostenibilità e dell'efficienza delle risorse. E questa nuova direzione strategica sarà integrata in tutte le divisioni, dall'amministrazione e gli acquisti allo sviluppo e produzione, fino alle vendite. Stiamo portando la sostenibilità al livello successivo>>. Come parte di questo processo, BMW sta fissando obiettivi chiari fino al 2030 per la riduzione della CO2. Per la prima volta, questi si estendono all'intero ciclo di vita: dalla catena di approvvigionamento alla produzione fino alla fine della fase di utilizzo. L'obiettivo è ridurre significativamente le emissioni di CO2 per veicolo di almeno 1/3. Per una flotta di circa 2,5 milioni di veicoli, prodotta dal Gruppo nel 2019, questo corrisponderebbe a una riduzione di oltre 40 milioni di tonnellate di CO2 nel corso del ciclo di vita fino al 2030. A partire dal prossimo anno, il BMW Group pubblicherà i suoi dati finanziari e lo sviluppo generale del business in un rapporto

integrato che includerà anche aggiornamenti sui suoi obiettivi di sostenibilità. <<Questo non solo manda un chiaro segnale che consideriamo il nostro modello di business e la sostenibilità inseparabili – dice Zipse - ma anche che sottoponiamo le nostre attività di sostenibilità a un controllo esterno e indipendente ancora più ampio rispetto al passato, perché la trasparenza è il modo migliore per rafforzare la credibilità>>. La casa automobilistica ha già ridotto le emissioni per veicolo prodotto di oltre il 70% dal 2006, e ora punta a ridurle di un ulteriore 80% rispetto ai livelli del 2019 entro il 2030. Le emissioni di CO 2 saranno meno del 10% di

quello che erano nel 2006. La leva principale per questo è la produzione, che genera circa il 90% delle emissioni dell'azienda. Oltre a rifornirsi di energia sostenibile al 100% a partire da quest'anno, BMW investirà anche nell'ottimizzare l’efficienza energetica e digitalizzazione. Il BMW Group sta già applicando metodi come l'analisi dei dati per rendere più efficiente la sua produzione, ad esempio riducendo al minimo le parti di scarto nella carrozzeria e attraverso la manutenzione predittiva dei macchinari; e metterà in atto un ulteriore incremento dell’uso di fonti di energia rinnovabile nelle sue sedi in tutto il mondo. Inoltre, dal 2021 compenserà

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completamente le emissioni di CO2 rimanenti con certificati adeguati. Ciò si aggiunge all'obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli del 40% per km percorso. La leva principale è una strategia di prodotto di vasta portata, con una massiccia espansione della mobilità elettrica: in dieci anni, l'obiettivo è di avere un totale di oltre 7 mln di veicoli BMW elettrificati sulle strade, dei quali circa 2/3 con propulsione totalmente elettrica. L’azienda continuerà comunque anche a lavorare per ridurre il consumo di carburante dei propulsori convenzionali per renderli sempre più efficienti. Continua a pag. 42


Dagli scarti del tonno a nuovi prodotti Dalla cosmetica al pet food e nutraceutica

Mare Aperto sfrutta il 100% delle materie prime, canalizzando le parti che non servono per le conserve ittiche su altri mercati Mare Aperto, società genovese che fa capo a Jealsa, uno dei principali produttori di conserve ittiche a livello mondiale, ha implementato, insieme alla casa madre, un sistema di valorizzazione totale della materia prima utilizzata nei suoi siti produttivi. Un impegno importante, considerando che gli scarti di lavorazione dell'industria conserviera del tonno superano le 450.000 tonnellate/anno. <<Rendere il settore più sostenibile significa anche andare oltre al concetto di sottoprodotto - spiega Carlos Blanco, AD di Mare Aperto – e dobbiamo fare tutto il possibile per valorizzare ciò che è di origine naturale. Attraverso le aziende del nostro gruppo trasformiamo tutte le parti del pescato non destinate all’alimentazione umana in prodotti di alta qualità, destinati a diversi mercati come l’acquacoltura, l’alimentazione per animali o persino prodotti cosmetici>>. Mare Aperto fa parte, infatti, di un vero e proprio sistema di economia circolare, creato dalla casa madre Jealsa già dai tempi della sua fondazione, circa 60 anni fa: grazie ad esso, che è ancora oggi uno dei punti fondamentali del programma di Responsabilità Sociale “We Sea”, è in grado di sfruttare il 100% della materia prima utilizzata, grazie a tecnologie di biovalorizzazione marina ed estrazione selettiva. In tal modo, quasi la metà della materia prima viene utilizzata per i prodotti destinati all’alimentazione umana, commercializzati in Italia da Mare Aperto, e al pet food, at-

traverso l’azienda Pet Select. Il resto viene trasformato in farina e olio di pesce (circa un terzo del totale), destinati al settore dell'acquacoltura e industrie affini. Infine, il restante 20% viene utilizzato dal settore farmaceutico e cosmetico. Gli scarti del tonno sono, infatti, ricchi di molecole attive, come Omega 3 e collagene (nelle lische), i quali trovano impiego nella cosmesi, nella farmaceutica e nella alimentazione funzionale, permettendo un uso razionale e totale delle risorse marine.

Ma come avviene la biovalorizzazione marina? La biovalorizzazione permette di convertire la materia prima non usata per il tonno in scatola in nuovi prodotti e il processo inizia con l'identificazione e la selezione delle singole parti del tonno. Queste vengono sottoposte ad analisi per identificare le potenzialità e, a seconda delle loro caratteristiche o principi attivi, vengono lavorate attraverso processi di estrazione e concentrazione, in modo tale che ogni elemento abbia un'applicazione specifica.

Mare Aperto può quindi asserire che sia stato raggiunto il livello Zero Waste per il tonno ed è in corso la certificazione Zero Waste per le altre materie prime utilizzate. Ma l’approccio dell’azienda alla sostenibilità non finisce qui. Il programma We Sea, infatti, consta di 5 linee d’azione, che comprendono tutti gli ambiti della sostenibilità: la pesca e l’acquisto responsabile delle materie prime; una politica di massima attenzione alla qualità e alla sicurezza; l’utilizzo di energie rinnovabili e l’impegno concreto verso la protezione dell’ambiente; la responsabilità sociale d’impresa e l’economia circolare. Ad esempio, tramite la capogruppo Jealsa, Mare Aperto dispone di parchi eolici propri (in Spagna e Cile) e partecipati, grazie ai quali ha raggiunto l’obiettivo “carbon neutral” nei propri siti produttivi. E’ green la strada scelta da Mare Aperto per far crescere il proprio brand e per soddisfare le richieste di un consumatore sempre più attento ed esigente. <<C'è un numero crescente di consumatori che richiede un maggior impegno verso la sostenibilità da parte dell’industria - spiega Blanco - e l’azienda ha sviluppato un'offerta che risponde perfettamente alle nuove richieste di questi consumatori sempre più responsabili. Siamo molto entusiasti della presentazione di questa proposta innovativa e unica nel settore conserviero, che rispecchia perContinua a pag. 42

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Non c’è premium senza responsabilità A concorrere agli ambiziosi obiettivi di sostenibilità di BMW vi è poi la definizione dell'impronta ecologica di ogni fornitore come criterio decisionale nei processi di aggiudicazione degli appalti. <<La CO2 deve essere ridotta in collaborazione tra produttori e fornitori. Se vuoi convincere i partner – chiarisce Zipse - devi essere un modello di comportamento. E il nostro obiettivo è garantire la filiera di approvvigionamento più sostenibile dell'intero settore>>. Non meno importante per BMW è il concetto del riciclo, che passa in primis dalla riciclabilità dei veicoli, ma ad oggi la percentuale di materia prima seconda nei nuovi veicoli è ancora bassa e l’azienda intende aumentarla significativamente entro il 2030. Peraltro, il materiale secondario riduce sostanzialmente le emissioni di CO2 rispetto ai materiali

primari: di un fattore di circa 3-4 per l'alluminio e di un fattore 2-3 per cobalto, nichel e litio. L’altro aspetto cruciale del riciclo riguarda le batterie ad alta tensione per veicoli elettrici, che utilizzano una serie di materie prime

essenziali. Sebbene l'UE richieda un tasso di riciclo solo del 50% per le batterie ad alta tensione, BMW ha contribuito a sviluppare un metodo che può raggiungere un tasso di riciclo fino al 96%, inclusi grafite ed elettroliti. Il

Gruppo ritira già tutte le batterie ad alta tensione BMW usate in tutto il mondo, poiché prima del riciclo è possibile un secondo loro utilizzo negli impianti di accumulo di energia, come quello della fabbrica BMW di Lipsia.

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Dagli scarti del tonno a nuovi prodotti

La logistica è più sostenibile Maggiori quantitativi di merce spedita ma anche meno emissioni WtW (well-to-wheel): sono questi i risultati, misurati da EcologistiCO2, della sperimentazione avviata da Müller nel 2018 sulla logistica dei prodotti destinati al mercato italiano con l’obiettivo di migliorare la propria impronta ambientale. Trasferendo su treno tre carichi a settimana, impiegando container refrigerati per il trasporto intermodale e aumentando la saturazione, Müller ha ottenuto risultati significativi nella sua logistica: ha diminuito le emissioni WtW di 40,99 ton/anno di CO2e. Un risultato ancora più positivo perché ottenuto nonostante il significativo aumento delle percorrenze (+28% circa).

fettamente i valori del nostro marchio: qualità, sostenibilità, innovazione, con un orientamento totale al consumatore>>. Tutti i prodotti proposti hanno un certificato di pesca sostenibile, Friend of the Sea o MSC (Marine Stewardship Council). Il nuovo catalogo presenta interessanti proposte come la “giusta quantità di olio o acqua minerale”, che permette di preservare il sapore dei prodotti, ma è migliorativa in un'ottica di sostenibilità, praticità e salute. Alcune referenze includono anche l'inserimento di olio extravergine di oliva biologico, come parte dell'impegno del marchio per l'ambiente. E anche il packaging si veste di un approccio “clean”: il cartoncino di tutti i cluster è certificato FSC, dunque proveniente da foreste gestite responsabilmente. Per tutti questi motivi, Mare Aperto può davvero dire di essere “buono col mare”, come recita il nuovo pay off. Hi-Tech Ambiente

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SOSTENIBILITA E DIGITALIZZAZIONE

L’impronta di carbonio di Basf L’azienda chimica è in grado di fornire trasparenza sui dati relativi alle emissioni di gas serra dei 45.000 prodotti che produce e commercializza Basf potrà a breve fornire ai propri clienti i dati relativi ai valori delle emissioni totali di CO 2, le cosiddette "impronte di carbonio", relative a ognuno dei circa 45.000 prodotti che produce e commercializza, a livello globale. L'impronta di carbonio di un prodotto Basf (PCF) includerà tutte le emissioni generate fino al momento in cui il prodotto stesso lascia lo stabilimento di produzione per essere consegnato al cliente: quindi, dall’acquisto della materia prima, fino all'utilizzo di energia. “Sostenibilità e digitalizzazione sono componenti essenziali della nostra strategia, - afferma Martin Brudermüller, Presidente del CdA di Basf – e calcolare l’impronta di carbonio di ciascuno dei nostri

prodotti ci consente di sviluppare, insieme ai nostri partner di business, programmi volti a ridurre le emissioni di gas serra lungo tutta la filiera, fino al consumo finale”. “Le questioni relative alla tutela

del clima, infatti, stanno diventando sempre più rilevanti per i nostri clienti - - dichiara Christoph Jäkel, head of corporate sustainability - e noi saremo presto in grado di supportarli, mettendo a di-

OGREEN

La gomma eco-sostenibile Un’innovazione tecnologica italiana che impiega materia prima seconda riportata a uno stadio di pre-vulcanizzazione Oggi, dopo anni di studi, ricerche e applicazioni, il Gruppo Oldrati introduce sul mercato Ogreen, la gomma eco-sostenibile: un’innovazione tecnologica che permette di realizzare articoli tecnici di qualità in gomma, utilizzando gomma rigenerata. Utilizzare una gomma eco-sostenibile porta con sé importanti vantaggi, in particolare l’introduzione dei principi di economia circolare applicata al mondo della gomma, la diminuzione di consumo di risorse vergini, la riduzione degli sprechi e dell’utilizzo di discariche. Tutto finalizzato alla riduzione dell’impat-

to ambientale. Come nasce Ogreen? Innanzitutto Oldrati raccoglie la gomma già vulcanizzata ovvero un by-product della produzione standard che altrimenti andrebbe conferita in discarica, e in questo modo annulla la creazione di rifiuti. La fase succes-

siva prevede la selezione qualitativa e la canalizzazione per assicurare una produzione di alta qualità. Segue il trattamento preliminare e il dimensionamento e poi l’eco-mastering, fase in cui la gomma viene rigenerata e portata a uno stadio di pre-vulcanizzazione. Solo a questo

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sposizione dati affidabili per raggiungere gli obiettivi climatici che si sono prefissati. Le PCF – aggiunge - forniscono informazioni preziose rispetto alle misure da seguire per minimizzare produzione ed emissione dei gas serra. In questo senso, impiegando materie prime alternative ed energie rinnovabili, noi stiamo già contribuendo a ridurre l’impronta di carbonio di ciò che i nostri clienti producono.” Per esempio, Basf impiega il Biomass Balance: un metodo che, all’interno di un processo produttivo, sostituisce le risorse fossili con materie prime rinnovabili prodotte con rifiuti organici e oli vegetali, assegnandole al prodotto finale con regole matematiche. Biomass Balance viene adottato anche nell’ambito del progetto ChemCycling. Quest’anno, infatti, il Gruppo Basf ha già iniziato a consegnare ai propri clienti prodotti intermedi ottenuti dai rifiuti plastici riciclati chimicamente e poi riutilizzati come materia prima. Questi prodotti vantano le stesse proprietà di quelli ottenuti unicamente da materie prime fossili ma, ovviamente, la loro impronta di carbonio risulta decisamente inferiore. punto si ha la realizzazione di Ogreen ovvero la creazione del nuovo compound che include gomma rigenerata e che, in base alle performance richieste dall’articolo tecnico, può contenere decine di altri ingredienti. La fase seguente è quella della produzione dell’articolo tecnico in gomma, dove vengono applicate le metodologie classiche di produzione (stampaggio, estrusione, ecc.) con specifiche di produzione adattate alla Ogreen. L’ultimo step è il controllo qualità e invio al cliente. “Ogreen, non è un’idea o un tentativo ma un materiale già testato e disponibile sul mercato - - dichiara Manuel Oldrati, CEO del Gruppo Oldrati - e oggi stiamo già lavorando alla fase successiva di questo importante progetto, perchè siamo nella fase di costituzione di un consorzio di realtà industriali internazionali e siamo aperti ad accogliere nuovi attori interessati, con l’obiettivo di creare le condizioni per applicare a tutto tondo quanto sviluppato, rendendo l’economia circolare degli elastomeri una realtà a livello globale”.



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ECOTECH

Separare la CO2 con la corrente elettrica

cietà con l'obiettivo di ottimizzare la produzione di elettrodi, costruire i primi prototipi e passare successivamente alla realizzazione di un impianto pilota.

Metalli dal fondo degli oceani

Le attuali tecnologie per separare la CO2 contenuta nei gas di combustione, o per estrarre la CO 2 contenuta nell'aria, sono costose e comportano notevoli consumi di energia; per questo motivo i progetti di cattura della CO2 stentano a decollare. Ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ritengono di aver trovato una soluzione con il loro sistema di Electro Swing Adsorption (ESA), ossia "assorbimento a cicli di elettricità". Il sistema ESA si basa sulla proprietà del chinone (un composto organico costituito da un anello di 6 atomi di carbonio collegati a 2 atomi di ossigeno) di catturare selettivamente la CO2 quando si trova in forma ossidata. Per l'impiego industriale, il chinone viene polimerizzato ottenendo polichinone, che viene disperso in una sospensione di nanotubi di carbonio. Questa sospensione viene usata (in forma ridotta) per ricoprire il catodo mediante immersione, mentre l'anodo è costituito da una analoga sospensione di ferrocene in nanotubi di carbonio; l'elettrolita è un liquido ionico. Vengono costruiti 5 strati paralleli dei due elettrodi, disposti in modo che il gas contenente CO2 fluisca entro gli strati, mentre viene applicata una corrente elettrica. Successivamente si inverte il flusso della corrente elettrica, causando l'assorbimento di ossigeno e il passaggio del polichinone alla forma ossidata, con conseguente rilascio della CO2 assorbita nella prima fase. Il sistema funziona indipendentemente dalla concentrazione di CO2, da poche ppm fino al 100% di CO2. E' stata fondata una so-

Sui fondali oceanici si trovano delle piccole formazioni geologiche denominate "noduli", dove sali e ossidi metallici si sono agglomerati su nuclei di silice o carbonato di calcio. In particolare, i noduli che si trovano nell'Oceano Pacifico, nella regione tra Hawaii e Messico, contengono il 30% di manganese, 1,38% di nichel, 1,17% di rame, 0,13% di cobalto, e piccole quantità di zinco ed elementi della serie delle "terre rare". L'estrazione dei metalli da questi noduli avrebbe notevoli vantaggi ambientali rispetto all'attuale estrazione da minerali terrestri, perchè i noduli contengono pochi metalli tossici, e possono essere lavorati con minima formazione di scorie. I processi metallurgici attuali devono però essere modificati per estrarre in modo efficace i metalli dai noduli. La società canadese DeepGreen Metals ha sviluppato a questo scopo uno speciale processo pirometallurgico, derivato dall'industria del nichel; con questo processo si ottengono i metalli grezzi, che vengono poi raffinati con stadi di attacco acido e tecniche idrometallurgiche. Nichel e cobalto vengono ottenuti in forma di solfati, adatti per realizzare le batterie per auto elettriche; il manganese è adatto per acciai legati e il rame per fili elettrici. Alla fine, l'unico rifiuto del processo è una scoria solida ferrosa, utilizzabile negli aggregati per pavimentazioni stradali. Per passare alla fase industriale è tuttavia necessaria l'approvazione della International Seabed Authority, alla

quale devono essere presentate le valutazioni di impatto ambientale. Nel frattempo la DeepGreen Metals continuerà le prove su impianto pilota, in vista della realizzazione del primo stabilimento a terra.

Una seconda vita al carbonio Un’iniziativa finanziata dall’UE ha fatto grandi passi avanti nel risparmio delle risorse fossili e nella riduzione dell’effetto serra con il processo di utilizzo dell’anidride carbonica come materia prima in un’ampia gamma di prodotti. E’ questo lo spirito che ha animato il progetto Carbon4PUR, che mira a utilizzare miscele di CO2 e monossido di carbonio (CO) generate durante la produzione dell’acciaio per produrre polioli,

componenti chiave di materiali isolanti a base di poliuretano e rivestimenti altrimenti ottenuti dal petrolio greggio. Si tratta di un processo catalitico che utilizza l’anidride carbonica derivata dalle emissioni di gas di scarico come sostanza di partenza per l’industria chimica a un costo competitivo sul mercato. Da questa simbiosi industriale possono nascere prodotti come la schiuma flessibile per materassi e mobili imbottiti, così come i leganti e gli adesivi, ma anche le schiume rigide utilizzate nell’isolamento e le fibre elastiche per tessuti e detergenti. Partner del progetto sono l’azienda Covestro e l’Università tecnica di Aquisgrana (RWTH), secondo cui l’aspetto più importante di Carbon4PUR è la ridotta necessità di combustibili fossili nella produzione di polioli e di energia lungo la catena del valore. Per illustrare i benefici del ciclo del carbonio, Covestro ha avviato

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un impianto dimostrativo per produrre polioli con un contenuto di anidride carbonica fino al 20%. Tale impianto è in grado produrre fino a 5.000 ton/anno di polioli a base di CO2. Il progetto Carbon4PUR dovrebbe concludersi nel 2020.

Progetto giapponese per il "carbone pulito" L'organizzazione governativa giapponese per l'industria e le nuove tecnologie energetiche (Nedo) e la Osaki CoolGen hanno iniziato la costruzione del primo impianto dimostrativo di combustione del carbone con ciclo combinato di gassificazione, fuel cell e cattura della CO2 (IGFC). Il progetto ha una durata di 5 anni e costerà oltre 73 milioni di dollari; l'obiettivo è di raggiungere il 55% di efficienza termica, con la cattura del 90% della CO2 prodotta. L'impianto è composto da 4 sezioni: la gassificazione del carbone con ossigeno in ciclo combinato, che produce gas di sintesi, composto da ossido di carbonio e idrogeno; l'arricchimento del contenuto di idrogeno mediante reazione dell'ossido di carbonio con vapor acqueo; la separazione e cattura della CO2 prodotta nello stadio precedente; la produzione di energia elettrica in due unità separate, di cui una costituita da una turbina a gas a 1.500 °C che brucia il gas di sintesi, accoppiata a un generatore, e l'altra da una fuel cell alimentata con idrogeno. Prove preliminari condotte con una turbina a gas a 1.300 °C, alimentata con carbone polverizzato in ciclo combinato, hanno mostrato un’efficienza termica del 46%, con una riduzione del 15% nelle emissioni di CO2 rispetto a un generatore ultra-supercritico a carbone polverizzato.


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