Hi-Tech Ambiente n.2 - Febbraio 2019

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXX FEBBRAIO 2019

REATTORE A MEMBRANE IN BIOFILM AERATO

MABR La tecnologia MARB PROGETTO +GAS

Il biometano da energia rinnovabile a pagina 24

a pagina 11

ORIGINE E CONTROLLO

IL PROBLEMA DEL BULKING FILAMENTOSO

a pagina 8

SPECIALE

a pag. 31

MONITORAGGIO DI BIOGAS E BIOMETANO

N2



SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS

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PANORAMA

Il biometano da energia rinnovabile

DEPURAZIONE Il problema del bulking filamentoso

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Un fenomeno frequente negli impianti di depurazione a fanghi attivi, che può avere caratteristiche acute o croniche

Il biometano in rete

La decontaminazione delle acque dal petrolio

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In fase di sviluppo un sistema industriale per il trattamento delle acque di processo contaminate da idrocarburi

La tecnologia MABR

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MACCHINE & STRUMETAZIONE

Lo stoccaggio dell’energia in aria liquida

Migliore rendimento degli impianti a fanghi attivi e significativa riduzione dei consumi energetici

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Produzione di bioCH4 in una filiera integrata che parte dai picchi di produzione di energia elettrica da fonti sostenibili e arriva agli utilizzatori finali

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Un approccio di recente sviluppo che potrebbe risolvere il problema della discontinuità delle fonti rinnovabili

LABORATORI

La legionella ha le ore contate Nuovi tensioattivi per idrocarburi

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I surfattanti vengono prima iniettati nel terreno, dove si legano ai contaminanti, e poi estratti per aspirazione

Il centro ricerche di Gruppo CAP Energia dai fanghi di depurazione

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Nel depuratore di Lecce è stato messo in esercizio un impianto di cogenerazione alimentato dal biogas prodotto dai residui melmosi

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Test particolarmente affidabili e rapidi (in meno di 120 minuti) per il rilevamento dei batteri nell’acqua

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Nel nuovo e innovativo hub, oltre ai laboratori di analisi, convergeranno start up, università e progetti internazionali

TECNOLOGIE

Le membrane nell’industria chimica

GREEN FASHION

Un nuovo futuro per la moda

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Il sistema attuale ha un impatto ambientale e sociale fortemente negativo, che va rivisto secondo i principi dell’economia circolare

RIFIUTI Lo smaltimento totale della pollina

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Utilizzate soprattutto nel settore cloro-soda, estrazione e recupero del litio, separazione tra idrocarburi olefinici e paraffinici, e promettenti nell’ambito delle celle a combustibile

MARKET DIRECTORY

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ECOTECH

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SPECIALE “MONITORAGGIO DI BIOGAS E BIOMETANO”

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Energia termica ed elettrica e fertilizzanti di ottima qualità dal trattamento del letame avicolo

Il biocarburante di Syndial Tanti gli elementi innovativi e di sostenibilità introdotti dal processo Waste-to-Fuel di Eni

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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 50 Hi-Tech Ambiente

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Hi-Tech Ambiente, trent’anni con Voi Un piccolo contributo In Italia la sensibilità ambientale è un’attenzione piuttosto recente. Negli anni passati, mentre molte discipline si evolvevano a ritmi accelerati disegnando lo scenario dello sviluppo economico e tecnologico del nostro Paese, le esigenze produttive e le radicate consuetudini dei cittadini costituivano una consolidata barriera alle affioranti necessità di salvaguardia dell’ambiente. Solo uno sparuto manipolo di attivisti si batteva, spesso a vuoto, per promuovere e affermare seppur minimi criteri ecologici. E non stiamo parlando di un profondo passato, erano gli anni 80’ e le tecnologie ambientali erano agli esordi, mutuate da quelle chimiche, supportate da un mercato estremamente limitato in virtù di normative approssimative e non sempre ben gestite. Ci voleva un bel coraggio ad entrare in questo mercato, ma alcuni imprenditori, affascinati da un contesto avanguardistico e stimolante, accettarono la sfida e scesero in campo profondendo energie e risorse finanziarie, in molti casi purtroppo con risultati deludenti dovendo abbandonare la partita. Anche Pubblindustria, giovane società editrice, avviata su una passata esperienza di grande successo nel settore dell’informatica con il Settimanale “Linea EDP”, volle inserirsi in questa sfida creando per tutti gli operatori del comparto, sia pubblici sia privati, un indispensabile supporto informativo per promuovere le applicazioni, le nuove tecnologie e i nuovi prodotti: HI-TECH AMBIENTE, una rivista mensile che in breve si guadagna la considerazione e la stima di tutti gli addetti. Una pubblicazione periodica che sovverte completamente i vecchi canoni delle riviste tecniche italiane con una impostazione giornalistica, non a caso l’attuale Direttore, come il precedente, oltre ad essere laureata in discipline scientifiche è una giornalista iscritta all’Albo dei Professionisti, e un sicuro rigore tecnico. Da ciò, sia un’impostazione formale di grande leggibilità sia contenuti a livello di newsmagazine con inchieste, attualità, scenari tecnologici, realizzazioni impiantistiche. E’ passato un trentennio e da quel periodo molte cose sono cambiate: oggi il rispetto per l’ambiente è una imprescindibile ed accettata necessità per tutti e il mercato ambientale in Italia, seppur vessato e limitato da numerose e gravi problematiche, è molto cresciuto grazie anche, crediamo, al piccolo ma costante contributo della nostra rivista. HI-TECH AMBIENTE negli anni ovviamente si è evoluta, perfezionata, conquistando una platea maggiore di affezionati lettori, ai quali siamo fortemente riconoscenti, aggiungendo alla dimensione cartacea una consistente presenza in rete con un articolato portale, rivista digitale, newsletter, pagine social per dare informazioni on line e realizzare azioni di web marketing. Ed ora cin cin, un simbolico brindisi d’inizio anno con l’augurio di altri trent’anni di proficuo lavoro a tutti i lettori. L’editore

Marco Bindi


panorama È NATo R_o_S

L’occhio vigile sugli oli esausti Il primo sistema di monitoraggio del recupero di oli e grassi vegetali e animali Si chiama R_o_S (Recycling oils System) ed è il primo sistema di monitoraggio per tenere sott’occhio l’intera filiera italiana del recupero dell’olio esausto. Una carta dettagliata e interattiva ideata da Renoils, consorzio nazionale di raccolta e recupero di oli e grassi vegetali e animali esausti, per ottimizzare la gestione della raccolta e del recupero e fornire alle Istituzioni di controllo una fotografia reale sempre aggiornata della filiera. <<Solo attraverso la conoscenza del settore e dei quantitativi di oli esausti prodotti da operatori economici, prevalentemente la ristorazione, e famiglie italiane - dichiara Ennio Fano, presidente di Renoils, che ad oggi conta 254

associati - è possibile adempiere in modo corretto agli obblighi di legge e operare in modo efficace nell’ambito dell’economia circolare>>. Attraverso il sistema R_o_S sono infatti possibili una serie di azioni che consentono un’analisi puntuale dei flussi di filiera, sino ad ora impossibile. Per esempio, individuare le quantità conferite al Consorzio suddivise per Regione di produzione, gestire i dati su base geografica, leggere il rapporto produzione-recupero o i flussi di origine e destinazione dell’olio usato. Grazie all’aiuto di questo strumento sarà più facile raggiungere due tra i più importanti obiettivi del consorzio, ossia l’aumento dei volumi della rac-

Il catalogo dei prodotti da PFU

La gomma ottenuta dal riciclo dei Pneumatici Fuori Uso (PFU) ha molteplici caratteristiche non ancora totalmente sfruttate. I semilavorati e i prodotti presenti oggi sul mercato sono la dimostrazione delle possibili soluzioni applicative della gomma da PFU. Molto ancora può essere inventato, creato e realizzato: la gomma da PFU è più che una risorsa perché è un vero e proprio materiale circolare. Allo scopo è nato un catalogo dei prodotti realizzati a partire dalla gomma dei PFU (promosso da Ecopneus), e vuole

essere il riferimento nazionale del settore. Ha infatti come obiettivo principale quello di far conoscere progetti, applicazioni e prodotti realizzati da PFU per il contesto professionale B2B e diffondere caratteristiche e proprietà della gomma da PFU. Il catalogo è pertanto una vetrina per entrare in contatto con le aziende che da anni lavorano alla realizzazione del materiale (polverino/granulo) e dei prodotti. E’ strutturato in sezioni: cerca prodotto (prodotti e semilavorati), cerca polverino/granulo (differenti granulometrie), news (iniziative, eventi, progetti ecc. sul mondo della gomma da PFU), design&innovazione (caratteristiche del materiale e dei semilavorati in PFU per individuare nuove soluzioni progettuali per il mondo dell’architettura e del design).

colta e una rendicontazione reale del settore. R_o_S raccoglie attualmente i dati elaborati provenienti da 2.900 produttori di oli esausti e da 30 aziende, mettendo in rete le 12.000 tonnellate di oli ad oggi avviati a recupero e le 6.100 tonnellate di oli destinati allo stoccaggio. Il monitoraggio consente di suddividere le quantità complessivamente raccolte per intervallo di tempo, tipologia di rifiuto, luogo di produzione, tipo di produttore, tipologia di raccoglitore, modalità di trattamento. Nonostante sia un prodotto naturale, se smaltito in modo scorretto l’olio esausto può generare diversi problemi dal punto di vista ambientale ed economico: può in-

tasare condutture e depuratori, inquinare i pozzi di acqua potabile rendendoli inutilizzabili (ne basta un solo litro per danneggiare 1 mln di litri d’acqua), creare una pellicola superficiale su terreni e corsi d’acqua che impedisce l’ossigenazione e il nutrimento di flora e fauna. Basta 1 kg di olio vegetale esausto a inquinare una superficie d’acqua di 1.000 mq. Un corretto recupero, al contrario, produce valore: si stima, infatti, che 100 kg di olio vegetale avviati a riciclo equivalgano a 65 kg di olio lubrificante base rigenerato e 20/25 kg di biodiesel.

LIFE: l’Italia ha successo

Nell’ambito del programma LIFE dell’UE, sono ben 30 i progetti italiani selezionati e che accedono ai finanziamenti europei, per un totale di 73,5 milioni di euro, l'ammontare più alto tra tutti i paesi dell’Unione che hanno presentato proposte. All’Italia, infatti, saranno erogati 17,7 milioni di euro per 7 progetti inerenti natura e biodiversità, 17 milioni di euro per 7 progetti sull'efficienza delle risorse, 11,6 mi-

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lioni di euro per 6 proposte sulla governance dell'ambiente, 8,2 milioni di euro per 4 progetti che riguardano l'adattamento ai cambiamenti climatici, 17 milioni di euro per 5 progetti per contrastare i cambiamenti climatici e, infine, 2,1 milioni di euro per un progetto sulla governance del clima. Si va dal sistema che consente di ridurre i rifiuti legati alle partite di calcio (4 tonnellate in media per ogni match UEFA) al car-sharing elettrico per centri urbani di medie dimensioni in Lombardia, dalla tutela della biodiversità nei terreni agricoli incolti nell'Agro Pontino alle infrastrutture per facilitare il deflusso delle acque nei casi sempre più frequenti di precipitazioni estreme in Sicilia.


CREDITo D’IMPoSTA AL 36%

ANCoRA UNA voLTA

Ecoprodotti agevolati CromoVI in proroga Con DM 31/12/2018 (pubblicato in GU n.4 del 5/1/2019) è stata prorogata al 31 dicembre 2019 l’entrata in vigore del limite di cromo esavalente nelle acque pari a 10 µg/l, stabilito dal DM del 14/11/2016. Tale decreto, in particolare, ha modificato l'allegato I del D.Lgs n. 31/2001 recante "Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano”. Peraltro, l’entrata in vigore del nuovo limite era già stata postici-

Le imprese che acquistano prodotti realizzati con materiali provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica, oltre che imballaggi biodegradabili e compostabili o derivati dalla raccolta differenziata di carta o alluminio, si vedranno riconosciuto un credito d’imposta pari al 36% delle spese sostenute. E’ quanto stabilito dalla Finanziaria 2019 approvata a fine anno scorso. Nel testo della manovra di bilancio sono stati disciplinati i li-

miti di fruizione (pari a 20.000 euro per ciascun beneficiario e, complessivamente, a 1 milione di euro annui per gli anni 2020 e 2021) e le modalità di applicazione del credito d’imposta. E’ naturalmente rinviata la disciplina ad un successivo decreto ministeriale, che deve definire anche i requisiti tecnici e le certificazioni necessarie per attestare la natura ecosostenibile dei prodotti e degli imballaggi ai fini dell’accesso al credito stesso.

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Verso un’economia circolare con Zerosprechi “Zerosprechi - verso un’economia circolare” è l’ultima iniziativa di Amici della Terra, a sostegno della quale è stato creato il sito www.zerosprechi.eu, i cui obiettivi sono chiari: contribuire a diffondere un’informazione ambientale il più possibile oggettiva, i cui dati derivano da fonti ufficiali dichiarate, con focus divulgativi dedicati a specifici aspetti di carattere scientifico. In poche parole: promuovere best practice in un’ottica di economia circolare. Il sito si compone di 4 sezioni: Buone Pratiche, ossia esperienze significative (da quelle presso le

pata alla fine del 2017 con DM 6/7/17. A riguardo, l'Istituto superiore di sanità si è espresso col parere n. 37039/2018: “con riferimento alle più recenti valutazioni in merito all'analisi di rischio per il cromo disponibili in sede di oms e di CE elaborate nel processo di revisione della direttiva sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, non si considerano ravvisabili rischi sanitari correlati al differimento dei termini di entrata in vigore del nuovo limite”.

famiglie a interventi in grandi impianti industriali) con descrizione del processo, costi, risultati ottenuti, vantaggi economici e ambientali derivanti); Falsi Miti, ossia bufale ricorrenti (da quelle relative al riciclo di carta e pla-

stica a quelle sul recupero energetico del CSS), smentendole attraverso dati ufficiali, così da rimuovere convinzioni errate controproducenti; Glossario e Documentazione. I risultati delle esperienze documentate mostrano che un rilevante potenziale di miglioramento nell’uso efficiente delle risorse potrebbe essere conseguito attraverso un’applicazione generalizzata delle buone pratiche nei diversi settori interessati.

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www.zerosprechi.eu

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PLASTICA MONOUSO: STOP DAL 2021 A seguito di un accordo raggiunto dalle istituzioni UE, dal 2021 ci saranno forti restrizioni o addirittura divieti alla vendita e impiego di numerosi oggetti monouso in plastica. Saranno infatti del tutto vietate posate e piatti, cannucce, contenitori per alimenti e tazze in polistirolo espanso (come le scatole di fast food) e cotton fioc. Le bottiglie in Pet per bevande, ad esempio, dal 2025 dovranno essere costituite da almeno il 25% di plastica riciclata, ma dal 2030 il contenuto riciclato dovrà essere di almeno il 30%.



DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

Il problema del bulking filamentoso Origine e controllo

Un fenomeno frequente negli impianti di depurazione a fanghi attivi, che può avere caratteristiche acute o croniche Il processo a fanghi attivi è una delle tecnologie di depurazione più diffuse, sia per i reflui civili che per quelli industriali. L’attività depurativa viene svolta da popolazioni batteriche presenti in colonie che hanno la forma di piccoli fiocchi, che vengono tenuti in sospensione attraverso l’insufflazione di aria (nei processi aerobici, che sono quelli più diffusi) o mediante miscelatori (nei reattori anossici o anaerobici). I microorganismi presenti nei fiocchi si nutrono delle sostanze inquinanti di origine organica (BoD), utilizzando anche i nutrienti inorganici (compositi di azoto e fosforo), degradando le sostanze organiche e riducendone così la concentrazione nell’effluente finale. La capacità di formare fiocchi di fango è una delle caratteristiche più importanti sulla quale si basa la tecnologia dei processi a fanghi attivi. Il ruolo della biomassa, infatti, oltre a quello di metabolizzare la sostanza organica contenuta nei liquami, è proprio anche quello di costruire fiocchi di fango capaci di separarsi per gravità dell’acqua all’interno del sedimentatore. Anche se la tecnica e gli impianti sono ormai consolidati, non è raro avere problemi di cattivo funzionamento della depurazione, a causa di vere e proprie patologie dei fanghi. Una di queste patologie provoca frequenti problemi di sedimentabilità del fango attivo ed ostacola il rag-

giungimento di una corretta depurazione: si tratta del fenomeno chiamato in inglese “bulking”, cioè rigonfiamento. Il sintomo più evidente del fenomeno è l’aspetto opalescente dell’effluente dalla vasca di sedimentazione finale, dovuto al trascinamento di fiocchi; contemporaneamente si ha anche una forte crescita del volume del fango nella stessa vasca, e il fango stesso diventa poi difficile da disidratare. Esistono due tipi di bulking: - bulking viscoso, che è dovuto a una eccessiva produzione di polisaccaridi esocellulari da parte di particolari gruppi di microorgansimi, i quali reagiscono in questo modo ad uno sbilanciamento di nu-

trienti oppure alla presenza di alte concentrazioni di substrati rapidamente biodegradabili (ad esempio scarichi di latterie, aziende vinicole, zuccherifici, che sono ricchi di sostanze carboniose rapidamente biodegradabili ma povere di azoto e/o fosforo), e in queste condizioni si formano fiocchi di aspetto gelatinoso, che trattengono notevoli quantità d’acqua - bulking filamentoso, che è il tipo più diffuso ed è dovuto ad una proliferazione eccessiva di batteri filamentosi. In realtà, la presenza in sé di questi batteri non è patologica perché essi sono normalmente presenti nel fango e sono necessari alla costituzione di un fiocco dotato di

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“ossatura”, che possa resistere alle sollecitazioni meccaniche. Tuttavia, se crescono in numero eccessivo, provocano la formazione di ponti tra fiocchi oppure la creazione di un fiocco a maglia larga e in entrambi i casi il fango sedimenta difficilmente. Diversi sono i microorganismi filamentosi responsabili del bulking (Sphaerotilus natans, Haliscomenobacter hidrossis, Beggiatoa, Thiothrix, Flexibacter, Streptococcus, Cyanophyc), i quali possono operare separati o insieme. Nella normale formazione del fiocco di fango sono presenti sia batteri definiti “fiocco-formatori” come Zooglea, Pseudomonas, Citromonas, capaci di produrre una matrice gelatinosa eso-polisaccaridica, che batteri filamentosi come Sphaerotilus. Questi ultimi sono fondamentali per conferire al fiocco una “ossatura” che dia alla miscela di particolato organico, inorganico e batteri una “struttura importante”. In assenza di struttura il fiocco è piccolo, debole, tondeggiante e può sfaldarsi facilmente e decantare con difficoltà. In presenza di un corretto rapporto fiocco-formatorifilamentosi il fiocco avrà dimensioni medio-grandi (mediamente tra 0,1 e 1 mm), resisterà alla turbolenza dell’aerazione, sarà abbastanza pesante per separarsi dal surnatante ed ispessirsi nella fase di sedimentazione. Quando, invece, i batteri filamento-


si si accrescono eccessivamente, si protendono al di fuori del fiocco creando ponti tra i fiocchi che, leggeri e “gonfi”, sedimenteranno con difficoltà. Un segno visibile a occhio nudo dell’inizio del bulking filamentoso è la formazione di lunghi filamenti bianco-grigiastri attaccati alle sponde delle vasche, costituiti da colonie di Sphaerotilus natane. Un esame al microscopio del fango permette di cogliere i primi sintomi della malattia: i protozoi ciliati diminuiscono mentre crescono quelli flagellati. Contemporaneamente si evidenzia la presenza di polimeri extra-cellulari di consistenza collosa, che al microscopio si presentano come “nuvole” di torbidità intorno ai fiocchi, e la formazione di lunghi filamenti tra un fiocco e l’altro. Una misura quantitativa del problema si ottiene mediante un parametro chiamato SvI (Sludge volume Index), che esprime il volume (in ml) che si deposita dopo un tempo di 30 minuti partendo da una quantità di fango attivo corrispondente a 1 grammo di sostanza secca. Un fango di buona qualità dovrebbe avere uno SvI non superiore a 120 ml/g; tuttavia, questo non è l’unico parametro da considerare, perché ha importanza (specialmente nei fanghi di origine industriale) anche il contenuto di sostanza inorganica: un elevato contenuto inorganico ha un effetto favorevole, perché appesantisce il fiocco e ne consente la sedimentazione anche in presenza di batteri filamentosi.

(polielettroliti). Il bulking “cronico” può derivare da cause diverse, le quali favoriscono la crescita di diversi tipi di batteri filamentosi. L’identificazione dei batteri mediante analisi al microscopio può consentire di risalire alle cause: ad esempio, la carenza di ossigeno disciolto nella vasca di ossidazione (meno di 2 mg/l) favorisce la crescita di Sphaerotilus natans e di Haliscomenobacter; il basso carico organico favorisce Microthrix parvicella e Nocardia; la presenza dI acque settiche e di sol-

di 0,8 mg/l), carenza di sostanze nutrienti, presenza di idrogeno solforato, basso carico del fango, bassi valori di pH, improvvisi variazioni dei parametri del refluo in ingresso (pH, temperatura, carico organico). In genere si ritiene che la causa più frequente del bulking filamentoso sia una carenza di sostane nutrienti e, in particolare, di azoto e fosforo. Indicativamente, il rapporto BoD5:N:P dovrebbe essere intorno a 100:5:1; quando i microorganismi si trovano in deficit di azoto

furi favoriscono Thiotrix e Beggiatoa. Alcuni batteri, come Haliscomenobacter, sono tuttavia presenti in quasi tutti i casi di bulking filamentoso, indipendentemente dalle cause di fondo del fenomeno. La ricerca delle cause deve pertanto considerare le variazioni nel tempo di diversi parametri, tenendo conto che la formazione di batteri filamentosi viene favorita dalle seguenti condizioni: eccesso di sostanze biodegradabili solubili (BoD disciolto), deficienza di ossigeno disciolto (soprattutto a meno

e/o fosforo, sono favoriti i batteri filamentosi, che sono in grado di cercare questi elementi attraverso un maggior volume di acqua. In particolare, la condizione di carenza di fosforo è oggi abbastanza frequente, in quanto le limitazioni al tenore di fosforo nei detersivi hanno portato ad un notevole abbassamento del contenuto di questo elemento nei reflui civili. In questo caso l’intervento consiste nell’aggiunta controllata di fosforo velocemente disponibile (ad esempio con ortofosfati solubili). Nel caso

CAUSE E RIMEDI

Per mettere a fuoco cause e rimedi occorre distinguere se il fenomeno del bulking abbia caratteristiche acute o croniche. Il bulking “acuto” si verifica improvvisamente e si ripete irregolarmente nel tempo. In genere è dovuto a sversamenti saltuari di sostanze tossiche, come acidi, basi o scarichi caldi o freddi, scarico abusivo di autospurghi, ecc.; di solito quando l’operatore si accorge del problema la causa che lo ha provocato ha già cessato di esistere. Si tratta, dunque, da un lato di ripristinare più brevemente possibile l’equilibrio batterico cercando di sfavorire le forme filamentose (mediante una ben dosata disinfezione con ipoclorito o acqua ossigenata) e dall’altro favorire la sedimentabilità del fango mediante l’aggiunta di opportuni coagulanti

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in cui la causa sia stata identificata, l’azione correttiva consisterà nell’intervento mirato a rimuovere la causa stessa: ad esempio, incrementando l’aerazione, correggendo il pH, aumentando il valore del carico del fango mediante riduzione del valore MLSS (Mixed Liquid Suspended Solids, cioè rapporto di riciclo, misurato in base al contenuto di solidi sospesi della miscela aerata). Una tecnica di tipo “aspecifico” largamente praticata consiste nel dotare l’impianto di un piccolo bacino di contatto rapido tra il fango di riciclo e i liquami in ingresso, posto all’ingresso della vasca di aerazione. In questo bacino, chiamato selettore, si creano le condizioni adatte allo sviluppo dei batteri che formano fiocchi più facilmente sedimentabili, mantenendo un elevato rapporto tra substrato/microorgansimi, con un carico del fango di circa 3kg (BoD5)/kg (SSMA) al giorno e un tempo di contatto variante da 15 a 30 minuti. Queste condizioni favoriscono, nella competizione tra le varie specie, quella dei batteri fioccoformatori a sfavore delle specie filamentose, mettendo velocemente a disposizione dei batteri provenienti dal ricircolo un’ampia quantità di sostanza organica prontamente biodegradabile derivante dai liquami grezzi. I batteri fioccoformatori, allora, avendo a disposizione la sostanza organica di cui necessitano per svilupparsi, la immagazzinano per assorbimento e la degradano in un secondo tempo all’interno dei successivi bacini della filiera di trattamento. Altri metodi di intervento aspecifici possono essere:- il dosaggio di sostanze coagulanti, come il cloruro ferrico o il policloruro di alluminio; quest’ultimo, ad un dosaggio di 200 gr per ogni kg MLSS, è particolarmente efficace nel ridurre l’appiccicosità del fango e quindi semplificare le successive operazioni di condizionamento - il dosaggio di batteri selettivi liofilizzati - l’impiego di prodotti tossici per i batteri filamentosi e a questo proposito va però rilevato che l’ossidante più comune (ipoclorito di sodio) provoca un grosso impatto sull’intero processo depurativo, producendo un effluente torbido a causa della presenza di cellule morte, e riducendo (almeno temporaneamente) il rendimento depurativo, a causa della morte parziale della biomassa.


La decontaminazione delle acque dal petrolio Efficacia superiore

In fase di sviluppo un sistema industriale per il trattamento delle acque di processo contaminate da idrocarburi E’ in fase di sviluppo un sistema industriale per il trattamento delle acque di processo contaminate da petrolio, destinato alla filiera dell’oil&Gas e basato sull’utilizzo di Grafysorber, prodotto a base di fogli di grafene già utilizzato nelle emergenze ambientali. L’accordo fa seguito a una fase di ricerca congiunta tra Directa Plus, società produttrice di Grafysorber, e Sartec (gruppo Saras), in cui i test industriali hanno dimostrato un’efficacia della nuova tecnologia di molto superiore ai sistemi attualmente disponibili sul mercato per il trattamento delle acque industriali. A conclusione della fase di test, nel secondo quadrimestre del 2018 le due società svilupperanno un impianto pilota, con l’obiettivo di rendere disponibile la tecnologia per l’industria dell’oil&Gas. Il sistema sarà in grado di trattare con efficacia e secondo gli standard richiesti dal settore grandi volumi di acque industriali derivanti dai processi produttivi della filiera dell’oil&Gas, rendendo possibile il recupero degli oli adsorbiti; lo stesso Grafysorber potrà essere riutilizzato più volte, rendendo la soluzione ancora più efficiente. Grafysorber, in pratica, è un prodotto a base di fogli di grafene che ha dimostrato una efficacia di almeno cinque volte superiore alle tecniche ad oggi utilizzate nella decontaminazione delle acque da idrocarburi, arrivando ad adsorbire oltre 90 volte il suo peso di inquinante oleoso: la sua struttura tridimensionale composta da fogli di grafene agisce come una spugna, “catturando” gli idrocarburi che inquinano le acque.

Grafysorber e sua azione su oil spill

L’impianto pilota, la cui conclusione è prevista entro fine 2018, sarà un impianto mobile in grado di trattare fino a 500 mc/giorno di acque contaminate. Nel frattempo, Directa Plus e Sartec attiveranno i primi contatti commerciali con la filiera, sia con i produttori, per lo sviluppo di sistemi di trattamento all’interno degli impianti produttivi, che con le raffinerie, per le quali l’impianto

mobile rappresenta una soluzione di emergenza per far fronte a potenziali perdite di petrolio. Ad esempio, i test industriali condotti negli impianti della rumena oMv Petrom (una tra le più grandi aziende petrolifere dell’Europa meridionale) hanno dimostrato l’efficacia di Grafysorber nella rimozione di idrocarburi dalle acque di produzione (riducendone la concentra-

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zione fino a meno di 0,5 ppm), per poterle re-iniettare per l’estrazione di petrolio nei pozzi. I field test hanno mostrato come la soluzione individuata sia performante sia con alte che con basse concentrazioni di idrocarburi, in tempi rapidi e con l’impiego di una minima quantità di Grafysorber, riutilizzabile fino a quattro o cinque volte. Una soluzione attenta quindi anche alla sosteniblità ambientale, sia perché genera quantità di rifiuti molto ridotte, sia perché il materiale impiegato è composto al 100% da carbonio, senza l’uso di additivi chimici o plastiche, ed è prodotto esso stesso in modo sostenibile. <<Poter decontaminare in modo rapido e poco costoso le acque di produzione dagli idrocarburi è un grande passo avanti per la sostenibilità - commenta Giulio Cesareo, fondatore e CEo di Directa Plus ed è questa la direzione in cui intendiamo continuare ad impegnarci. I prossimi passi in questo campo saranno l’avvio di una seconda fase di test con oMv Petrom, per arrivare all’impiego sistematico di Grafysorber nei loro processi e il lancio sul mercato, nel tempo più breve possibile, del sistema di trattamento delle acque di processo sviluppato con Sartec>>.


La tecnologia MABR Reattore a membrane in biofilm aerato

Migliore rendimento degli impianti a fanghi attivi e significativa riduzione dei consumi energetici La sigla M.A.B.R. sta per reattore a membrane in biofilm aerato: si tratta di una tecnologia innovativa, che consente di migliorare il rendimento degli impianti convenzionali a fanghi attivi, riducendo al contempo in modo significativo i consumi energetici. In pratica, il processo impiega una membrana permeabile ai gas, per portare l’ossigeno a un biofilm che aderisce alla superficie della membrana, così da aumentare la capacità di trattamento dell’impianto e migliorare la sua efficienza, incrementando la quantità di biomassa nelle vasche di ossidazione. IL SISTEMA GE

Lo sviluppo del processo MABR (definito anche come “aerazione senza bolle”) sta coinvolgendo un numero crescente di imprese di tutto il mondo. Uno dei pionieri di questa tecnologia è il colosso industriale GE, che ha sviluppato l’ultima versione del processo (chiamata ZeeLung MABR), in cui l’ossigeno passa direttamente ai batteri senza creare bolle d’aria, con un’efficienza nel trasferimento di ossigeno 4 volte superiore rispetto ad un classico sistema di aerazione. La GE ha inoltre completato 12 impianti dimostrativi basati sulla tecnologia ZeeLung; tra questi, quello oggetto di un progetto pilota condotto insieme all’italiana Servizi Ambientali, che secondo la GE potrà giungere ad essere energeticamente neutro, cioè funzionare senza richiedere energia dall’esterno. I risultati della sperimentazione hanno già dimostrato i risparmi energetici dovuti alla maggiore efficienza dell’ossigenazione e la potenzialità di ridurre del 50% il volume del reat-

Sistema MABR di OxyMem

tore biologico rispetto ai sistemi convenzionali, rispettando comunque i limiti di concentrazione negli effluenti e conseguendo una rimozione dell’azoto fino all’80% senza bisogno di effettuare la ricircolazione interna dei nitrati. In particolare, la tecnologia MABR si distingue nettamente per i rilevanti risparmi energetici, in quanto in un impianto di trattamento biologico delle acque reflue l’elettricità impiegata per

l’aerazione rappresenta la voce di costo maggiore, e quadruplicare l’efficienza del trasferimento di ossigeno ha un indubbio impatto positivo sul bilancio energetico dell’impianto; inoltre, l’eliminazione o riduzione della ricircolazione dei nitrati porta ulteriori risparmi energetici. Infine, la tecnologia MABR consente di sfruttare al meglio le capacità degli impianti esistenti. Infatti, gli impianti convenzionali richiedono vasche d’aerazione

Sistema MABR di Fluence alle Isole Vergini Hi-Tech Ambiente

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molto ampie, e se hanno la necessità di aumentare la capacità di trattamento o migliorare la qualità dell’effluente, possono non avere la possibilità di costruire nuove vasche. MABR consente agli impianti esistenti di aumentare la capacità depurativa delle loro vasche, incrementando lo sviluppo delle biomasse e quindi delle capacità depurative; è così possibile far fronte ad un aumento del carico depurativo, senza bisogno di nuove costruzioni. I primi due impianti commerciali basati sulla tecnologia ZeeLung (uno presso il distretto sanitario americano di Yorkville Bristol e l’altro presso Schilde in Belgio) sono attualmente in costruzione e diventeranno operativi entro il 2018. IL SISTEMA FLUENCE

Un'altra azienda all’avanguardia nel settore è la start-up statunitense Fluence, sorta in seguito alla recente fusione tra la società israeliana Emefcy di trattamento reflui e la statunitense RWL Water. Quest’azienda ha adottato una tecnologia MABR che impiega per l’aerazione speciali membrane “auto-respiranti”, che consentono di abbassare ulteriormente i consumi energetici perché l’aria non deve essere insufflata nella profondità della vasca per dare ossigeno al processo. Inoltre, la Fluence ha creato un processo che promuove la crescita naturale di biofilm nitrificante sulle membrane, evitando la necessità di impiegare due diversi compartimenti. L’impianto MABR di Fluence lavora come un polmone umano, che funziona a pressione atmoContinua a pag. 12


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so. Il trattamento oxyMem è già stato sperimentato con successo in Europa, Africa, Asia e Sud America nel trattamento dei reflui municipali; ha mostrato successo anche nel trattamento dei reflui industriali prodotti da aziende operanti nel settore alimentare, farmaceutico e dei semi-conduttori, oltre che del percolato da discarica. Attualmente, in tutti i continenti della Terra sono in corso progetti riguardanti l’installazione di impianti MABR della oxyMem tra il 2017 e il 2018.

La tecnologia MABR sferica ed è quindi estremamente efficiente, mentre negli impianti tradizionali a fanghi attivi l’aria viene forzata ad alta pressione attraverso diffusori. Il processo Fluence MABR è già installato presso due impianti su scala industriale in Israele e nelle Isole vergini (Usa), oltre che in diversi impianti dimostrativi in varie parti della Cina. In oriente l’impianto più datato è in funzione ormai da tre anni senza alcun malfunzionamento e senza nessun intervento di manutenzione o pulizia con agenti chimici. La Cina è attualmente al primo posto nel piano di sviluppo della Fluence, in particolare grazie al piano quinquennale varato dal Governo cinese con l’obiettivo di sviluppare la sostenibilità ambientale delle comunità rurali, in cui si prevede verranno costruiti circa 100.000 piccoli impianti di trattamento basati sulla tecnologia Fluence MABR nei prossimi cinque anni. E’ inoltre in fase pilota un processo derivato da MABR (chiamato SUBRE), che può essere installato nelle vasche di aerazione dei grandi impianti, quando si richiede l’incremento della capacità di riduzione delle sostanze azotate.

IL PROBLEMA DEI COSTI

La tecnologia MABR consente certamente di ridurre i costi di aerazione, aumentando la superficie del biofilm. Tuttavia, i costi delle membrane permeabili all’ossigeno hanno un notevole impatto sui costi complessivi della tecnologia MABR rispetto ai sistemi convenzionali, in quanto risultano più di due volte superiori rispetto all’investimento nei sistemi convenzionali. Al momento, non sembra che i benefici in termini di costi operativi della tecnologia MABR possano compensare i maggiori costi di investimento, nel caso di impianti di nuova costruzione realizzati secondo tecnologie convenzionali; tuttavia, la tecnologia potrebbe risultare più favorevole se paragonata ai maggiori costi di alternative ancora non del tutto collaudate, come la tecnologia MBR.

Sistema MABR di OxyMem

IL TRATTAMENTO OXYMEM

Dall’altra parte del mondo, l’irlandese oxyMem ha sviluppato un altro processo MABR, basato sui risultati di diversi anni di ricerca condotti presso l’Università di Dublino. Il sistema funziona consentendo all’aria di penetrare all’interno della membrana, che è immersa nel refluo da depurare, dando luogo alla crescita di un biofilm batterico sulla superficie esterna della membrana. Dato che l’aria non viene pompata dentro il refluo, non c’è ossigeno disciolto, sebbene il biofilm sia aerobico, e l’aria non deve superare la pressione idrostatica neppure nelle parti più profonde della vasca. Rispetto agli impianti convenzionali, il flusso dell’aria attraverso la membrana può essere ridotta, aumentando il tempo di trasferimento dell’ossigeno, con il risultato di efficienze molto elevate

Sistema SUBRE di Fluence

nell’ossigenazione (50-90%), che si traducono in risparmi energetici anche superiori al 75% rispetto ai sistemi di aerazione convenzionali. Il vantaggio principale del sistema della oxyMem è che esso è in grado di separare l’aerazione dalla formazione delle bolle, rimuovendo ostacoli come la formazio-

ne di schiume, i problemi creati dai tensioattivi ed i fenomeni di intasamento e sporcamento dei diffusori. Inoltre, l’impiego del biofilm fissato alla membrana porta i vantaggi di operare con più elevate età del fango, evitando i problemi connessi all’aumento del carico idraulico e migliorando la resilienza del proces-

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ZeeLung MABR di GE



Nuovi tensioattivi per idrocarburi Bonifica siti contaminati

I surfattanti vengono prima iniettati nel terreno, dove si legano ai contaminanti, e poi estratti per aspirazione Nella bonifica dei siti contaminati si riscontra spesso la presenza di materiali inquinanti costituiti da liquidi non miscibili in acqua; nella maggior parte dei casi si tratta di idrocarburi, in altri casi di solventi clorurati. Gli idrocarburi, essendo più leggeri dell’acqua, tendono a stratificarsi sopra la falda acquifera; mentre i solventi clorurati, che sono più pesanti dell’acqua, formano sacche localizzate verso il fondo della falda. In entrambi i casi, è necessario desorbire in modo selettivo i contaminanti dalla matrice solida del terreno, rendendoli miscibili con acqua in fase liquida. La fase acquosa verrà poi estratta e sottoposta agli appropriati trattamenti fisici, chimici e/o biologici. Il processo di desorbimento degli inquinanti e il loro trasferimento nella fase acquosa si compie grazie a speciali composti chimici, denominati “tensioattivi” oppure (per trascrizione dall’inglese) “surfattanti”. Le molecole di questi composti sono costituite da una “testa” idrofila (cioè capace di legarsi con le molecole di acqua, mediante legami a idrogeno), e da una “coda” lipofila, cioè capace di legarsi ai grassi, agli idrocarburi e in genere alle sostanze organiche. Questo principio di funzionamento è comune a tutti i tensioattivi, ma è poi necessario controllare i fenomeni di trasporto dei contaminanti trasferiti nella fase acquosa per evitare che gli inquinanti vengano dispersi attraverso la falda; inoltre, i tensioattivi uti-

del tensioattivo immesso, che trascina con sé i contaminanti; l’estrazione può avvenire tramite gli stessi piezometri di immissione o attraverso piezometri vicini. Il ciclo di immissione + pompaggio viene ripetuto per 6-12 volte, valutando visivamente a ogni ciclo la presenza di inquinanti in fase separata; quando questa presenza non è più evidente, il processo viene sospeso. UN INTERVENTO DI SUCCESSO

lizzati devono essere biodegradabili. LA TECNICA PUSH & PULL

Nell’applicazione pratica, il tensioattivo viene miscelato con acqua, in proporzioni variabili se-

condo il tipo e il livello di contaminazione. La miscela viene immessa per gravità attraverso i piezometri, procedendo successivamente a estrazione mediante pompaggio. L’obiettivo del pompaggio è l’asportazione della massima parte

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Un caso tipico di intervento mediante la tecnica Push & Pull è la bonifica di vecchi punti vendita di carburanti. Un interessante intervento, ad opera della canadese della Ivey International (rappresentata in Italia dalla Baw Environmental Engineering), presentava una significativa contaminazione del terreno, che raggiungeva la falda a 8-9 m di profondità, con presenza di fase idrocarburica libera nell’acquifero. Anzitutto è stato installato uno skimmer per l’aspirazione della fase libera; dopo circa 1 anno di aspirazione, gli spessori di fase libera si erano ridotti a 3-5 cm, che non consentivano una ulteriore significativa rimozione. A questo punto, la soluzione di tensioattivo è stata iniettata nei piezometri, provvedendo poi all’aspirazione mediante pompe elettrosommerse. L’azione del tensioattivo IveySol ha consentito di ottenere una significativa diminuzione della Continua a pag. 16



E’ una vera sfida per Acquedotto Pugliese, che opera intensamente nel settore della depurazione, ricercare tutti i possibili sistemi per ridurre i costi energetici. E i successi economici e ambientali conseguiti sono di tutta evidenza. Difatti, presso il depuratore di Lecce è stato avviato un nuovo impianto di produzione di energia elettrica alimentato dal biogas prodotto dai fanghi i di depurazione. Nel processo depurativo, il fango di depurazione di esubero, dopo essere stato addensato, viene trattato nei digestori anaerobici, dove, in condizioni controllate di temperatura e in assenza di ossigeno, rappresenta una risorsa energetica rinnovabile. Infatti, si ottiene una progressiva stabilizzazione del fango e la produzione di biogas. Il biogas rappresenta il combustibile per l’impianto di cogenerazione, costituito da: un motore endotermico a 12 cilindri, che produrre calore, con potenza termica pari a 528 kWt, e un gene-

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Nuovi tensioattivi per idrocarburi fase libera rilevata nei piezometri, mediante l’aumento della miscibilità in acqua dei contaminanti idrocarburici adsorbiti nel terreno. Sono stati eseguiti complessivamente 8 cicli di Push & Pull,

Energia dai fanghi di depurazione Acquedotto Pugliese

Nel depuratore di Lecce è stato messo in esercizio un impianto di cogenerazione alimentato dal biogas prodotto dai residui melmosi ratore sincrono, che produrre elettricità, con potenza elettrica pari a 404 kWe. L’avvio dell’impianto di cogenerazione ha consentito un duplice

vantaggio: l’energia elettrica prodotta è completamente autoconsumata dall’impianto di depurazione, e in tal modo si sono ridotti i quantitativi di energia prelevata dalla rete elettrica; l’energia termica prodotta è utilizzata per riscaldare il fango che deve essere sottoposto al processo di digestione al fine di incrementarne la stabilizzazione. L’avvio dell’impianto di cogenerazione di Lecce rappresenta, per Acquedotto Pugliese, un passo

con il raggiungimento degli obiettivi di bonifica previsti per il sito: assenza di fase libera e concentrazioni di idrocarburi nei terreni insaturi e nelle acque di falda conformi ai valori di progetto. La Ivey produce, oltre al già citato tensioattivo Ivey-Sol, anche un prodotto specifico per la fissazione dei metalli pesanti in forma insolubile, denominato Atomisol. Hi-Tech Ambiente

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fondamentale volto anche all’ottimizzazione energetica del processo depurativo. Tale impianto di cogenerazione sarà a breve integrato dall’avvio in esercizio di un impianto fotovoltaico presente nell’area del depuratore dove sono in corso anche delle sperimentazioni per la minimizzazione della produzione dei fanghi, il cui riutilizzo/smaltimento rappresenta a tutt’oggi un significativo elemento di costo.


GREEN FASHION L A

P R O D U Z I O N E

" M O D A "

T U T E L A

L’ A M B I E N T E

Un nuovo futuro per la moda Mai diventare un rifiuto

Il sistema attuale ha un impatto ambientale e sociale fortemente negativo, che va rivisto secondo i principi dell’economia circolare A livello mondiale si stima che l’industria della moda vanti un giro d’affari pari a 1,3 miliardi di dollari, e impieghi oltre 300 milioni di lavoratori lungo l’intera filiera produttiva; infatti, il settore dell’abbigliamento rappresenta complessivamente oltre il 60% dell’industria tessile. Negli ultimi 15 anni la produzione di vestiti è circa raddoppiata e l’ultima tendenza è quella della “moda veloce”, caratterizzata dal rapido mutamento degli stili, da un sempre maggior numero di collezioni offerte al pubblico nel corso dell’anno, spesso a prezzi sempre più accessibili. Questa tendenza fa sì che la filiera dell’abbigliamento, al momento, non risulti molto sostenibile dal punto di vista ambientale: essa impiega grandi quantità di risorse non rinnovabili (complessivamente circa 98 milioni di ton/anno, tra cui petrolio per la produzione di fibre sintetiche, fertilizzanti per le colture di cotone e agenti chimici per produzione, tintura e rifinitura di fibre e materiali); inoltre, la produzione di manufatti tessili consuma 93 miliardi di mc/anno di acqua, aumentando il problema della scarsità di acqua in parti del mondo già afflitte dalla siccità. Quanto alle emissioni, nel 2015 le emissioni di gas serra dall’industria tessile han-

no raggiunto 1,2 miliardi di ton di Co2 eq.; inoltre, essa produce elevati volumi di reflui contenenti agenti chimici pericolosi. Infine, negli ultimi anni l’industria tessile è stata identificata come la maggiore responsabile della presenza di rifiuti plastici in mare: si stima che circa 0,5 milioni di ton di microfibre plastiche derivanti dalla lavorazione di materiali tessili sintetici (poliesteri, nylon e acrilici) finisca ogni anno negli oceani di tutto il mondo. La “moda veloce” significa che gli abiti vengono usati per tempi sempre più brevi, dopo di che i vestiti usati (e gli scarti di produzione) vengono in gran parte smaltititi in discarica, o al massimo destinati all’incenerimento. Questo sistema

produttivo/commerciale “lineare” consuma risorse, inquina e danneggia l’ambiente naturale e i suoi ecosistemi, con impatti ambientali e sociali molto negativi: meno dell’1% dei materiali usati per produrre capi di abbigliamento viene riciclato per la produzione di nuovi vestiti, con una perdita stimata in oltre 100 miliardi di dollari l’anno. Un altro 13% viene in qualche modo riciclato, ma spesso in applicazioni a basso valore aggiunto, come materiali isolanti, strofinacci e imbottiture per materassi. Nell’ambito di questo scenario, la domanda di vestiti, abiti e indumenti in genere sta crescendo velocemente, grazie in particolare ai mercati delle “economie emergen-

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ti” di Asia e Africa. Se in futuro la domanda continuerà a crescere secondo le aspettative, il mercato mondiale dell’abbigliamento raggiungerà i 160 milioni di dollari entro il 2050 (più del triplo del valore attuale); e ciò si tradurrà inevitabilmente in un sostanziale incremento degli impatti negativi dell’intera filiera sull’ambiente. In particolare, essa sarà responsabile di più del 26% delle emissioni di Co2 associato al limite-soglia dell’incremento del riscaldamento globale pari a 2°C. Se questo stato di fatto dovesse permanere, il consumo di risorse non rinnovabili del settore tessile arriverà a 300 milioni di ton/anno nel 2050, e le microfibre plastiche che finiranno nell’oceano entro quell’anno arriveranno a 22 milioni di ton, pari a circa 2/3 delle fibre plastiche attualmente impiegate ogni anno per la produzione di indumenti. UNA NUOVA VISIONE DELLA PRODUZIONE TESSILE

Negli ultimi anni, sia i produttori che i consumatori sono divenuti sempre più consapevoli del negativo impatto ambientale e sociale del Continua a pag. 18


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Un nuovo futuro per la moda sistema attuale. Tutti questi problemi sono stati approfonditamente discussi in un rapporto dal titolo “A new textiles economy – Redesigning fashion future”, recentemente pubblicato a cura della Ellen MacArthur Foundation. Questo rapporto propone una nuova concezione dell’industria tessile, basata sul principio dell’economia circolare. In questa nuova visione, indumenti, tessuti e fibre rientrano nel ciclo economico dopo l’uso, senza mai diventare un rifiuto; ma perché questo sia possibile, devono essere raggiunti quattro obiettivi: - eliminare gradualmente le sostanze potenzialmente pericolose e il rilascio delle microfibre. Mentre alcune sostanze possono essere eliminate velocemente, per altre saranno necessari investimenti in ricerca e innovazione per creare nuove materie prime (tinture e additivi) e nuovi processi produttivi. Quanto al problema delle microfibre, occorre innanzitutto una maggior conoscenza delle cause della dispersione delle microfibre per trovare le soluzioni e identificare le fasi della filiera in cui è necessario intervenire - modificare la concezione secondo cui gli abiti sono progettati, posti in commercio e usati. Ciò significa innanzitutto aumentare il tempo di vita utile degli abiti, dando impulso a nuove iniziative commerciali come il noleggio a breve termine, oltre a intraprendere iniziative volte a rendere più attraenti per i consumatori caratteristiche quali qualità e durevolezza dei capi. occorre infine incrementare lo sfruttamento dei capi di abbigliamento tramite una trasformazione dell’intera filiera, che deve essere supportata dall’emanazione di linee guida, con impegni congiunti di imprese e soggetti pubblici - migliorare radicalmente il riciclaggio. Per il raggiungimento di questo obiettivo occorre innanzitutto proseguire nell’innovazione tecnologica, per migliorare la qualità e gli aspetti economici del riciclaggio dei capi usati; occorre in secondo luogo stimolare la domanda di materiali riciclati (puntando soprattutto su comunicazione e trasparenza) e infine implementare la raccolta degli abiti usati in parallelo con l’incremento del riciclaggio - sfruttare efficacemente le risorse e promuovere l’impiego di energie

rinnovabili. Sebbene il recupero degli abiti usati e il riciclaggio possano diminuire drasticamente la necessità di materie prime, sarà comunque necessario un maggiore ricorso a materie prime rinnovabili, in particolare quelle derivanti da agricolture sostenibili. ovviamente, questi obiettivi non saranno conseguiti in breve tempo; per cambiare radicalmente il modo in cui gli abiti sono realizzati, venduti, utilizzati, raccolti e recuperati, occorre lo sforzo congiunto di tutti gli attori della filiera produttiva, sia privati che pubblici. PRODUZIONE TESSILE ED ECONOMIA CIRCOLARE

Come già detto, la nuova concezione della produzione tessile coincide con i principi dell’economia circolare: gli abiti, i prodotti tessili e le fibre sono sfruttati al meglio del loro valore durante la loro vita utile,

dopo di che rientrano nel ciclo economico senza mai diventare un rifiuto. Questa nuova visione presenta le seguenti caratteristiche: - flessibilità e accessibilità. Gli abiti vengono concepiti e realizzati per garantire elevata qualità, durevolezza e flessibilità di impiego (ad es. realizzando abiti individualizzabili e modificabili) - pieno sfruttamento del valore dei capi di abbigliamento, sia durante la loro vita utile (indossandoli più spesso), sia quando diventano fuori uso, riciclandoli per la produzione di nuovi vestiti. Perché ciò sia possibile, in nessuna fase della filiera devono essere impiegate sostanze pericolose che possano contaminare i materiali o pregiudicare la sicurezza del riciclaggio - impiego di energie e risorse rinnovabili, evitando l’impiego di materiali o sostanze derivanti da combustibili fossili (quali fertilizzanti o pesticidi nelle colture tessili)

Il problema delle microfibre ogni anno, miliardi di microfibre (circa il 35% delle microfibre totali, pari a circa mezzo milione di tonnellate) vengono rilasciate nell’ambiente a causa del lavaggio dei materiali tessili. I reflui risultanti da queste lavorazioni vengono spesso scaricati in mare, con gravi impatti negativi sugli ecosistemi marini e l’ambiente. Per ridurre il rilascio delle microfibre nell’ambiente sono state individuati due interventi-chiave: lo sviluppo di nuovi materiali e di processi produttivi in grado di aumentare l’efficacia delle tecnologie per la cattura delle microfibre. Infatti, le tecniche attualmente im-

piegate non prevengono il rilascio delle microfibre nell’ambiente: oltre il 40% di esse non vengono trattenute dagli impianti di trattamento e una gran parte finisce comunque nell’ambiente a causa di dispersioni nel sistema di raccolta e smaltimento. Le microfibre più preoccupanti sono quelle che provengono dalle fibre sintetiche, in quanto non sono biodegradabili; queste fibre rappresentano attualmente il 60% del mercato dell’abbigliamento, per cui occorre ripensare radicalmente i materiali impiegati ed eliminare gradualmente quelli per i quali non è possibile prevenire la

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- rigenerazione dei sistemi naturali e rispetto ambientale. Ciò significa impiegare tecniche di agricoltura sostenibile per coltivazioni biologiche di materie prime (ad es. cotone), e una gestione sostenibile di foreste e piantagioni per la produzione di fibre legnose - abbandono di produzioni a basso costo (che hanno in realtà gravi impatti sociali e ambientali): il prezzo dei prodotti deve essere coerente con il costo dei materiali e dei processi produttivi. Ciò però non significa che l’abbigliamento debba diventare un settore di lusso: grazie all’implementazione di riciclaggio, impiego di energie rinnovabili, aumento del periodo di impiego e utilizzo più responsabile, i capi di vestiario potranno continuare ad essere prodotti per il consumo di massa a prezzi accessibili a tutti.

produzione di microfibre. Un altro fronte su cui intervenire riguarda l’adozione di tecnologie di lavaggio innovative, in grado di ridurre la formazione di microfibre e di catturarle prima dello scarico: sono state elaborate soluzioni che catturano le microfibre durante il lavaggio, e sono stati realizzati filtri per le lavatrici, che sono in grado di catturare le fibre. Il problema è che attualmente il loro costo resta elevato e sono difficili da installare: e quindi equipaggiare con questi filtri i milioni di lavatrici attualmente in uso non sarà facile né veloce. Quanto al trattamento dei reflui, gli impianti attuali riescono, nel migliore dei casi, a trattenere al massimo il 90% delle fibre; ma anche nel caso della loro completa rimozione, esse possono ancora penetrare nell’ambiente durante lo smaltimento dei fanghi.


RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

Lo smaltimento totale della pollina Progetto Chimera

Energia termica ed elettrica e fertilizzanti di ottima qualità dal trattamento del letame avicolo in quello Lorenzetti, a Castelfidardo, entrambi in provincia di Ancona. I due prototipi, di recente presentati dalla 3P Engineering, capofila dell’omonimo progetto Life Chimera (CHIckens Manure Exploitation and RevAluation), consentono di testare i componenti in fase di progettazione esecutiva. <<Quella della pollina è una questiona annosa per gli allevatori – spiega Maurizio Lorenzetti, titolare dell’azienda agricola F.lli Lorenzetti – e Chimera ridimensiona in modo importante i volumi di materiale di scarto prodotto, siamo quindi molto fiduciosi>>. Lo smaltimento della pollina nei Paesi dell’Unione Europea, di fatto, impatta per 25 milioni di tonnellate all’anno di gas serra, 0,48 milioni di tonnellate di ammoniaca e 100mila tonnellate di metalli pesanti, senza considerare il trasporto, con costi che vanno dai 10 ai 22 euro/ton (per un totale di circa 2 miliardi di euro l’anno per tutti e 152 milioni di tonnellate di letame prodotto). Entro il 2019 3P Engineering realizzerà un impianto pilota completo in olanda, negli allevamenti Renders&Renders, capace di riutilizzare il 100% della pollina negli stessi stabilimenti in cui è prodotta, elimi-

Si chiama Chimera ed è un impianto pilota innovativo destinato a rivoluzionare il settore dell’allevamento, in particolare quello avicolo. Difatti, ottimizza in modo efficace i costi di gestione e l’inquinamento prodotto dalla pollina, trasformandola in fertilizzante ed energia termica ed elettrica, per il sostentamento dell’azienda, secondo il paradigma dell'economia circolare. Due gli impianti per ora realizzati in versione prototipo e installati nello stabilimento Fileni di osimo e

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Lo smaltimento totale della pollina nando quindi anche il problema del trasporto e con la possibilità di produrre energia. L’impianto olandese dovrà smaltire almeno 1.500 tonnellate all’anno di letame e dovrà essere in grado di funzionare almeno 6.053 ore l’anno. Questo preverrà la produzione annua di 60 ton di CH3 e una quantità di gas serra equivalente a più di 500 ton di Co2. Inoltre, è prevista la produzione di 4,5 GWh di energia elettrica e termica e la generazione di ceneri che, una volta reidratate, equivarranno a 260–320 ton di fertilizzante di ottima qualità. <<Se Chimera diventasse uno standard negli allevamenti di polli spiega Rosalino Usci, co-AD di 3P Engineering - l’inquinamento da pollina verrebbe praticamente azzerato, così come gran parte dei problemi relativi ai costi di smaltimento e agli odori causati da questo letame>>. <<Gli allevamenti sarebbero autosufficienti dal punto di vista energetico – prosegue Michele Marcantoni, l’altro co-AD di 3P Engineering - e il fertilizzante garantirebbe una produzione abbondante di cibo per i polli, secondo un modello di economia circolare. Inoltre, uno dei prossimi step di sviluppo del progetto riguarda lo studio della replicabilità della tecnologia di Chimera in altri contesti di produzione di rifiuti organici>>. Ad oggi, la campagna di test già eseguiti comprende: test preliminari, che hanno riguardato l’avvio degli

impianti; test nominali, con prove di combustione stabilizzate in condizioni nominali; test emissioni, volti a rilevare la qualità dei gas di scarico in condizioni nominali. <<Siamo molto contenti di partecipare al progetto Chimera – afferma Massimo Fileni del Gruppo Fileni – abbiamo ottenuto risultati incoraggianti che speriamo possano confermarsi in futuro. Da sempre la nostra azienda investe con decisione nella sostenibilità della propria filiera e questo progetto s’inserisce a pieno titolo nella nostra filosofia>>.

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Il riciclo delle batterie al litio Nuovi processi

Messi a punto o in sperimentazione interessanti metodi per il recupero dei componenti principali Secondo un recente rapporto della Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), nel mondo circolano più di 3 milioni di auto alimentate a batteria, cioè ibride ed elettriche “plug-in”; il numero di auto elettriche potrebbe raggiungere 125 milioni nell’anno 2030. Tutte queste auto si basano su batterie al litio per il loro funzionamento; inoltre, l’utilizzo di batterie al litio è in forte espansione anche nei sistemi di produzione e gestione dell’elettricità, sia nei sistemi di accumulo per uso privato (in abbinamento con le celle fotovoltaiche, per consentire la continuità di fornitura), sia nella rete di distribuzione, per livellare i carichi richiesti alla rete dal complesso degli utenti. Le batterie non sono eterne, ma anche se che non sono più idonee alla propulsione delle auto potrebbero trovare una “seconda vita” nelle applicazioni stazionarie. In ragione di ciò, nei prossimi anni ci si troverà a dover gestire due fattori destabilizzanti: la crescente domanda di litio, che porterà inevitabilmente ad un aumento di prezzo (e già ultimi 5 anni il prezzo dei compostibase del litio, ossia ossido e carbonato, si è triplicato); l’enorme

della produzione annua di batterie al litio, e il 76% delle batterie contenenti cobalto. IL PROCESSO ENEA

quantità di batterie di rifiuto (si stima al 2035 un numero da 3 a 4 miliardi) che dovranno comunque essere riciclate, come previsto dalle Direttive Europee in materia. Secondo uno studio dell’Enea, il riciclo delle batterie al litio-ione, sia con i metodi della piro-metallurgia, sia con quelli estrattivi dell’idro-metallurgia, è tuttora un problema tecnologico non del tutto risolto. In realtà, l’incentivo economico al riciclo delle batterie è attualmente dato soprattutto dalla possibilità di recuperare altri me-

talli, come cobalto e nichel; e in effetti si prevede che nel 2025 il 20% della domanda di cobalto verrà coperto dal riciclaggio. E’ possibile recuperare anche il litio, ma con i processi attualmente in uso il costo del litio di recupero equivale a 5 volte quello del litio “vergine” ottenuto per elettrolisi della soluzione dei suoi sali presenti in natura. Tuttavia, questi ostacoli tecnico-economici sembra che non scoraggino il governo cinese, che sta costruendo impianti con l’obiettivo di riciclare il 66%

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Lo studio Enea si basa su uno schema di processo composto da diverse fasi, in cui i principali componenti delle batterie (materiale catodico e anodico, legante, elettrolita, supporti metallici e polimerici) sono separati e direttamente riciclati. Lo schema del processo di recupero proposto prevede: una prima operazione di scarica completa della batteria; l’apertura della batteria che comporta una prima separazione fisica del materiale plastico e metallico dell’involucro esterno dal resto della batteria; il degasaggio di eventuali sostanze nocive volatili; il recupero dell’elettrolita mediante un’operazione di estrazione con l’anidride carbonica liquida supercritica (ScCo2); la suddivisione dei nastri (catodico, anodico e separatore polimerico) contenuti all’interno della batteria; l’operazione di separazione per il recupero dei materiali utilizzando operazioni di sonicazione e di solvatazione. Aspetti particolarmente innovativi del processo Enea sono: - l’utilizzo di una speciale miscela di solventi (denominata “QB”) per la solvatazione del legante PvDF, e grazie a questa operazione di può separare il materiale attivo dal relativo supporto e successivamente recuperare il PvDF mediante precipitazione e filtraContinua a pag. 23


Il biocarburante di Syndial Un impianto pilota a Gela

Tanti gli elementi innovativi e di sostenibilità introdotti dal processo Waste-to-Fuel di Eni Presso il sito della raffineria di Gela, in Sicilia, Syndial (società ambientale di Eni) ha avviato nel dicembre 2018 il primo impianto pilota per il recupero e la trasformazione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani in un bio-olio che servirà a produrre carburanti di nuova generazione. Nello specifico, da 1 tonnellata di forsu si possono generare fino a 150 kg di bio-olio Questo impianto sperimentale e a basso impatto ambientale, rappresenta il primo traguardo di un percorso che vede al centro la tecnologia proprietaria Waste-to-Fuel, messa a punto nel Centro ricerche Eni per le energie rinnovabili e l’ambiente a Novara. Da sottolineare anche che, l’intero processo avviene nel giro di poche ore e che come sottoprodotto di reazione vie-

ne generata acqua. Il rifiuto umido infatti viene valorizzato non solo tramite la produzione di bio-olio e

biometano, ma anche con il recupero e il trattamento del suo contenuto di acqua, pari a circa il 70%.

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La strategia di Eni, infatti, è improntata al modello integrato di economia circolare, che la porterà a realizzare, una volta completata la fase pilota, impianti waste-to-fuel su scala industriale, eliminando una grande quantità di rifiuti organici tramite il loro riutilizzo e fornendo un significativo contributo in termini di vantaggi ambientali alle grandi aree urbane in Italia e all’estero. Le informazioni acquisite da Eni grazie alle attività svolte presso l’impianto di Gela, risulteranno essenziali per la progettazione dei nuovi impianti. L’impianto pilota di Gela ha una capacità produttiva di bio-olio stimata in circa 70 kg/giorno e viene alimentato con 700 kg/giorno di rifiuti organici forniti dalla società di gestione rifiuti di Ragusa. Ma in cosa consiste il processo? Quattro sono gli stadi del ciclo: dal pretrattamento della carica iniziale si passa alla liquefazione (la conversione termochimica di una biomassa in presenza di una fase liquida); successivamente i prodotti vengono separati e i sottoprodotti derivati vengono valorizzati; l’ultima fase consiste nella raffinazione del bio-olio ottenuto. Waste-to-fuel è quindi un processo innovativo e sostenibile perché innanzitutto riesce a valorizzare il bio-olio ottenuto come vettore energetico per la produzione di energia elettrica o biocarburante; poi, rispetta i requisiti dell’economia verde e circolare, in quanto è in grado di riutilizzare scarti vegetali e animali; inoltre, non compete con la filiera alimentare, ma anzi riutilizza proprio gli scarti del cibo consumato; ed infine, non compete con la produzione agricola poiché le biomasse di scarto, sottoposte al processo termochimico della liquefazione, non provengono direttamente dall’attività agricola. Ulteriori e-


Seabin v5 un dispositivo per bonificare i mari dai rifiuti di plastica ed è stato sviluppato in Australia e adottato in Italia grazie al progetto "LifeGate PlasticLess", che ha infatti l'obiettivo di ridurre i rifiuti nei mari e nei porti italiani. Si tratta di una sorta di cestino per la spazzatura del mare, che in una sola giornata può raccogliere fino a 1,5 kg di rifiuti e oltre 0,5 ton all'anno. Mediante il progetto e il sostegno di partner privati (LifeGate, Whirlpool EMEA e volvo Car Italia), ad oggi Seabin v5 è già stato installato a Marina di varazze (Savona), al lementi di innovazione sono anche il fatto che viene utilizzata una materia prima per la quale esiste già una filiera di raccolta; si evita il conferimento a smaltimento (discarica, incenerimento) della forsu, con diminuzione dell’occupazione dello spazio in discarica e riduzione delle emissioni di Co2 rispetto ad altri tipi di trattamento (compostaggio, produzione di biogas); e inoltre si riduce il costo di smaltimento e si assicura un recupero energetico della biomassa trattata.

PER RIFIUTI E MICRoPLASTICHE

Il cestino che pulisce il mare

porto di Cattolica (Rimini), due nel porto di venezia Certosa Marina, Santa Margherita Ligure (GE), nell’area marina protetta di Portofino (GE), nel Porto delle Grazie a Roccella Ionica (RC), nel porto turistico di Fano (PU) e nel Circolo nautico Sambenedettese (AP).

Il Seabin v5 può raccogliere i rifiuti più comuni che finiscono in acqua, dai sacchetti ai mozziconi di sigaretta, oltre alle microplastiche da 5 a 2 mm di diametro e le microfibre da 0,3 mm. <<Siamo contenti di essere entrati nella fase operativa del progetto -

varie tipologie di rifiuti tecnologici, tra i quali le batterie al litio usate. L’idea è nata dalla tesi di laurea di uno studente, che aveva per argomento l’estrazione dei metalli dalle scorie di fusione, mediante trattamento con funghi capaci di produrre acidi organici, come acido ossalico e acido citrico. Le batterie vengono smontate, i catodi polverizzati meccanicamente e la polvere esposta all’attacco dei funghi. Questo trattamento estrae fino all’85% del litio e fino al 48% del cobalto. La fase successiva (cioè il recupero dei metalli dalle soluzioni acide) è ancora in fase di messa a punto, ma si pensa di utilizzare metodi elettrochimici.

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Il riciclo delle batterie al litio zione - il recupero dei componenti dei nastri catodici e anodici mediante trattamento con ultrasuoni in acqua distillata, che consente di staccare le polveri senza rompere i nastri, e le polveri possono essere riutilizzate direttamente per produrre nuovi catodi - l’estrazione dell’elettrolita con Co2 supercritica (che viene successivamente recuperata). Il processo si svolge a temperature inferiori a 150 °C, consentendo di non compromettere l’integrità funzionale dei diversi componenti. IL PROCESSO DELL’UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE ISLAMICA

Dal Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università Internazionale Islamica in Malesia arriva invece un processo per recuperare il litio e il cobalto, che insieme costituiscono oltre il 40% di una tipica batteria al litio. Inizialmente le batterie vengono

dichiara Enea Roveda, ceo di LifeGate - posizionando i primi dispositivi nei porti italiani. La diffusione dei Seabin è un obiettivo primario dell'iniziativa, perché rappresenta una soluzione concreta che supporta la raccolta di plastiche e microplastiche>>.

scaldate in forno a 700 °C, per distruggere i componenti polimerici (plastica e schiume). Il materiale in uscita dal forno contiene i diversi metalli, in forma di sali e ossidi; per trattamento idrometallurgico in diversi passaggi (lisciviazione con acidi, trattamento con perossido di idrogeno) si separano il litio (con quasi il 50% di efficienza) e il cobalto (con resa del 25%). Le soluzioni acide

residue possono essere smaltite a rifiuto con i normali processi. IL PROCESSO BIOCHIMICO

Un gruppo di scienziati statunitensi ha recentemente presentato un metodo molto promettente che usa tre ceppi di funghi (Aspergillus niger, Penicillum simplicissimum, Penicillum Chrysogenum) per isolare i metalli pregiati da

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BIomASSe & BIoGAS B I o m A S S A

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B I o G A S

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B I o m e tA n o

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C o G e n e r A z I o n e

Il biometano da energia rinnovabile Progetto +GAS

Produzione di bioCH4 in una filiera integrata che parte dai picchi di produzione di energia elettrica da fonti sostenibili e arriva agli utilizzatori finali Trasformare l’energia elettrica da fonti rinnovabili in un combustibile pulito da utilizzare per autotrasporto o per uso domestico. E’ l’obiettivo di +Gas, progetto coordinato dall’Enea. <<L’incremento di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non programmabili, come il fotovoltaico o l’eolico - sottolinea Giuseppe Nigliaccio, coordinatore del progetto - può generare degli eccessi di offerta rispetto alla domanda. Da qui l’interesse per soluzioni che consentono di recuperare l’elettricità prodotta in eccesso, trasformandola in biometano per autotrazione o da immettere in rete>>. Il processo, infatti, prevede che l'energia elettrica in eccesso sia utilizzata per produrre idrogeno che viene poi insufflato in un reattore biologico dove sono presenti batteri appositamente selezionati, in grado di trasformarlo in biometano. La novità di questo processo sta nell’abbinare sinergicamente il tema dell'accumulo energetico, con lo sviluppo di nuovi combustibili rinnovabili e anche con la riduzione delle emissioni di anidride carbonica che altrimenti verrebbe emessa in atmosfera. <<Per poter arrivare a una “realiz-

zazione su scala industriale” - spiega Nigliaccio - occorre prima implementare la tecnologia attraverso la costruzione di impianti pilota su scala reale. La presenza di incentivi, l'aumento dell'efficienza e una riduzione dei costi di realizzazione

e gestione dell'impianto, potrebbero rendere la tecnologia utilizzabile già dai prossimi anni>>. IL PROGETTO

La razionalizzazione e l'efficienza

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nello sfruttamento delle risorse energetiche, il contenimento delle emissioni inquinanti e l’incremento dello sfruttamento delle risorse rinnovabili sono obiettivi fondamentali della politica energetica europea e italiana. Tuttavia, l’aleatorietà di alcune fonti rinnovabili, come eolico e fotovoltaico, comporta l’esigenza di garantire comunque una produzione di energia da centrali termoelettriche, generando picchi di produzione e relativi squilibri tra domanda e offerta, con importanti conseguenze sul prezzo dell'energia elettrica. In particolare, la concomitanza di un'importante produzione da rinnovabili non programmabili e situazioni dove si assiste a una transizione industriale, o in cui a fronte di una crisi si ha una riduzione notevole dei consumi, creano le condizioni per un’ampia offerta di energia a prezzi bassi in determinate fasce orarie. Questo fattore comporta, peraltro, una riduzione dei rendimenti attesi delle centrali termoelettriche, che vengono poi recuperati in altre fasce orarie. Il prezzo della componente energia diventa quindi estremamente variabile e al tempo stesso anche un limite per ulteriori investimenti in


impianti energetici. Pertanto, una pianificazione energetica efficace basata sull'utilizzo di fonti rinnovabili deve necessariamente prevedere anche lo sviluppo di sistemi di accumulo energetico. E il progetto + GAS rispondere proprio a questa esigenza. L’ELETTROLISI

La prima fase della conversione dell’energia elettrica in gas è rappresentata dalla produzione di idrogeno tramite elettrolisi dell’acqua. A questo fine, la tecnologia con membrane polimeriche (PEM) viene considerata una delle più promettenti grazie anche ai diversi potenziali vantaggi che offre rispetto al processo alcalino tradizionale, in termini di semplicità e sicurezza, caratteristiche di massa-volume considerevolmente più piccole, alta efficienza energetica e specifica capacità di produzione, gli aspetti di modularità e la generazione di ossigeno e idrogeno ad elevato grado di purezza. La tecnologia PEM, inoltre, grazie a tempi di reazione e di partenza/arresto molto rapidi (la generazione dell’idrogeno comincia immediatamente a condizioni ambiente) e alla capacità di accettare grandi variazioni nel carico è ideale

per una sua potenziale integrazione con le fonti di elettricità disponibili a intermittenza (rinnovabili e rete off-peak). Negli ultimi anni sono stati sviluppati sistemi innovativi di tipo alcalino che utilizzano membrane polimeriche (AEM). Questi sistemi consentono di utilizzare catalizzatori più economici rispetto ai metalli nobili necessari nei sistemi PEM, garantendo al contempo una cinetica elettrodica più efficiente rispetto ai sistemi alcalini tradizionali, ma il loro sviluppo è ancora a li-

vello prototipale. A queste tecnologie, si affianca quella che utilizza come elettrolita ossidi solidi (SOEC) che purtroppo, pur essendo caratterizzata da rendimenti elevatissimi, a causa delle elevate temperature di lavoro e le conseguenti condizioni di stress sui materiali è anch’essa ancora in fase prototipale. I sistemi PEM sono ancora in fase di sviluppo soprattutto se utilizzati a pressioni (>50 bar) e temperature elevate. Il rendimento del ciclo di produzione e accumulo di i-

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drogeno mediante elettrolisi, infatti, può essere migliorato utilizzando dei sistemi che lavorano in pressione. In tal modo, infatti, la parte più energivora della compressione avviene a carico dell’elettrochimica della reazione. Inoltre, nell’ipotesi di riuscire a eliminare completamente lo stadio di compressione si otterrebbe una semplificazione del sistema che potrebbe renderne ancora più interessante l’impiego. Continua a pag. 26


BIOMETANO E UTILIZZATORI FINALI

Continua da pag. 24

Il biometano da energia rinnovabile LA DIGESTIONE ANAEROBICA

Ai fini dell’ottimizzazione del processo di digestione anaerobica, il progetto +Gas, prevede da un lato una selezione (a partire da campioni prelevati presso impianti a biogas in piena scala) di specifici inoculi metanigeni idrogenotrofi in grado di assimilare l’idrogeno prodotto per via elettrolitica e catalizzare la sua successiva conversione in metano; dall’altro, l’individuazione di soluzioni tecnologiche in grado di facilitare la solubilizzazione dell’idrogeno e incrementare il suo grado di assimilazione da parte dei microrganismi. A tale scopo è previsto l’impiego di un cavitatore idrodinamico come mezzo in grado di migliorare la dissoluzione dei gas nella fase liquida. L’ottimizzazione di processo e la messa a punto delle relative tecnologie contribuiranno alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti (CO2) in atmosfera, favorendo l’impiego degli impianti di digestione anaerobica e della rete di distribuzione del

gas naturale come infrastrutture chiave per lo stoccaggio di energia

elettrica rinnovabile sotto forma di biometano.

MALMbErG WATEr

L’upgrading in impianti compatti

La società svedese Malmberg Water è attiva in tutti i settori associati alla gestione delle acque, compreso il trattamento dei fanghi di depurazione. In quest'area ha messo a punto una speciale tecnologia, denominata Malmberg Compact, per ottenere l'upgrading del biogas a biometano attraverso il passag-

gio in una colonna di assorbimento, nella quale il biogas grezzo entra dal basso. Salendo

attraverso la colonna, il biogas viene in contatto con acqua che assorbe la CO 2 e l'idrogeno

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Nell’ambito del progetto +Gas, sul prototipo di impianto di upgrading con tecnologia a membrane, messo a disposizione da biometano Estense, partner del progetto, sono stati effettuati una serie di test finalizzati a verificarne l’efficienza di separazione dei gas (CH4, CO2 e altre impurezze) e la qualità del biometano prodotto (in conformità a quanto richiesto per legge). Il gas in uscita dal processo di purificazione e upgrading è definito biometano se contiene almeno il 95% di metano ed è prodotto da fonti rinnovabili. L’AEEGSI con la Delibera 46/2015/r/GAS definisce le caratteristiche energetiche e di qualità minime del biometano affinché possa essere immesso in rete di trasporto e distribuzione del gas naturale. Gli utilizzi sono del tutto analoghi al gas naturale ed è quindi idoneo alla successiva fase di compressione per l’immissione: nelle reti di trasporto e di distribuzione del gas naturale; in impianti di distribuzione di metano per autotrazione; in impianti di cogenerazione ad alto rendimento. solforato. Il metano esce purificato in testa alla colonna e, dopo un semplice trattamento di essiccazione, è pronto per essere immesso in rete, con una resa di oltre il 99%; l'acqua contenente CO 2, H 2S e altre impurità esce invece dal fondo e passa poi alla colonna di recupero. Non vengono utilizzati prodotti chimici e non è richiesta energia termica. La gamma di impianti Malmberg Compact disponibili comprende 10 modelli, con capacità da 100 fino a 3.000 Nmc/ora. Il modello Gr20r (con capacità da 700 a 2.000 Nmc/ora) è installato presso l'impianto HerAmbiente nel comune di S. Agata bolognese, dove produrrà ogni anno 7.500.000 Nmc di biometano, partendo da 135.000 ton/anno di forsu e sfalci. Gli impianti dell’azienda svedese sono prefabbricati e standardizzati; vengono montati e collaudati presso lo stabilimento di produzione in Svezia, consentendo tempi certi di consegna e garanzia sulle prestazioni.


A fine agosto scorso è stata avviata a rende (Cosenza) una bioraffineria per la produzione di biometano, immesso direttamente nella rete Snam, e originato dalla digestione anaerobica della frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani. rappresenta il primo impianto di biometano del Centro-Sud, e il secondo in tutta Italia, connesso alla

CALAbrA MACErI E SErvIzI

Il biometano in rete rete nazionale del gas naturale per gli usi industriali, residenziali e per l'autotrazione. Tale impianto, gestito da Calabra Maceri e Servizi, azienda specializ-

zata nel recupero e smaltimento dei rifiuti urbani, è in grado di trasformare 40.000 tonnellate annue di forsu in 4,5 milioni di mc/anno di biometano, oltre a produrre 10.000

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tonnellate di ammendante compostato. Il biometano per autotrazione, prodotto grazie a un sofisticato sistema di purificazione del biogas, consente di percorrere 90 mln di km che, con una media di 20.000 km annui a mezzo di trasporto, può alimentare fino a 4.500 autovetture, con un risparmio complessivo di oltre 16,2 mln di kg di CO2 all'anno (3.600 kg per auto).


bIOGAS AGrICOLO

L’alleanza eni-Coldiretti Siglato un protocollo d’intesa per sviluppare la filiera nazionale del biometano avanzato

Con l’obiettivo di sviluppare la filiera italiana del biometano agricolo e, quindi, incentivare la sostenibilità dei trasporti, è nata una alleanza tra Eni e Coldiretti, che hanno sottoscritto un vero e proprio accordo di collaborazione grazie al quale sarà creata la prima rete di rifornimento per il biometano agricolo “dal campo alla pompa” raggiungendo una produzione di 8 miliardi di metri cubi di biometano entro il 2030.

<<Sfruttando gli scarti agricoli delle coltivazioni e degli allevamenti – spiega il Ettore Prandini, presidente Coldiretti – i mini impianti per il biometano possono arrivare a coprire fino al 12% del consumo di gas in Italia. È necessario passare da un sistema che produce rifiuti e inquinamento verso un nuovo modello economico circolare in cui si produce valorizzando anche gli scarti, con una evoluzione che rappresenta

una parte significativa degli sforzi per modernizzare e trasformare l’economia italiana ed europea, orientandola verso una direzione più sostenibile in grado di combinare sviluppo economico, inclusione sociale e ambiente>>. <<Mobilità sostenibile per noi significa la diversificazione dell’offerta puntando sui carburanti bio a sempre minore impatto ambientale – spiega Giuseppe ricci, direttore generale refining & marke-

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ting di Eni ed è per questo che abbiamo già convertito due raffinerie tradizionali in bioraffinerie, dove si produce il nostro biocarburante Eni Diesel+. In ragione di ciò, potenzieremo la nostra rete di stazioni di servizio a gas, compresso e liquefatto, nelle quali la sostituzione del gas naturale con biometano rappresenterà un ulteriore importante passo avanti per la decarbonizzazione dei trasporti. L’accordo con Coldiretti permetterà l’integrazione su tutta la filiera produttiva, rappresentando una grande opportunità di sviluppo sostenibile integrato. Non solo ambientale, ma anche economico e sociale>>. Il biometano deriva dal biogas, fonte energetica rinnovabile, che può essere prodotto e consumato nella forma di gas naturale compresso (GNC) o di gas naturale liquefatto (GNL) e può contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra ed essere un elemento di sviluppo dell’agricoltura e dell’agroalimentare, settori che in Italia rivestono un ruolo strategico nella crescita dal punto di vista economico, occupazionale e per la produzione energetica da fonti rinnovabili. La collaborazione tra le parti prevede una sinergia comune per promuovere la realizzazione di nuovi impianti di produzione del biometano. Coldiretti, che con 1,6 milioni di associati è la maggiore organizzazione di rappresentanza degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo, si occuperà di diffondere tra le aziende associate un modello di gestione dei sottoprodotti e degli scarti agricoli affinché siano valorizzate come materie prime nella produzione di biometano. Eni metterà in campo azioni finalizzate a concretizzarne la produzione, il trasporto e l’immissione sia nella rete di vendita territoriale sia in reti dedicate alle stesse imprese associate, nonché a offrire agli associati di Coldiretti proposte dedicate per l’uso di carburanti alternativi a basse emissioni di CO2 dei mezzi utilizzati per le attività agricole. Ulteriori sviluppi della collaborazione verranno elaborati dagli esperti di Eni e Coldiretti, che avranno il compito di definire studi di fattibilità mirati in base alle varie tipologie di imprese associate, in particolare per la realizzazione di appositi impianti per il biometano.


energia

Lo stoccaggio dell’energia in aria liquida Produzione elettrica

Un approccio di recente sviluppo che potrebbe risolvere il problema della discontinuità delle fonti rinnovabili La produzione di energia elettrica mediante fonti non programmabili (come sole e vento) richiede necessariamente dei sistemi di accumulo, che siano in grado di garantire la continuità della fornitura di energia anche quando il sole non c’è o il vento non soffia. L’energia elettrica, nella maggior parte dei casi, non può essere accumulata direttamente, ma deve essere prima convertita in un’altra forma di energia. I SISTEMI DI STOCCAGGIO ENERGETICO

I sistemi di accumulo possono essere classificati in base al metodo di conversione impiegato. Possiamo quindi distinguere: accumulo meccanico (sistemi ad aria compressa, volani o flywheels, sistemi di pompaggio o PHS); accumulo elettrochimico (accumulatori elettrochimici o batterie, supercondensatori); accumulo elettrico ossia accumulo in magneti superconduttori (SMES–Superconducting Magnetic Energy Storage); accumulo chimico (idrogeno, biocombustibili); accumulo termico (TES-Thermal Energy Systems, CES-Cryogenic Energy Systems) Tra tutti questi metodi, particolarmente interessante è lo stoccaggio criogenico. LO STOCCAGGIO CRIOGENICO

Lo stoccaggio criogenico dell’energia (CES) è un approccio di recente sviluppo, che consente alla rete di utilizzare l’elettricità in eccesso per la liquefazione di un gas, che viene successivamente imma-

gazzinato in serbatoio isolato a temperatura criogenica (inferiore a -190 °C) e con pressione prossima a quella ambientale. Durante lo scarico, il gas criogenico viene pressurizzato, evaporato e surriscaldato, per poi essere espanso per generare elettricità in un sistema di raccolta. Si tratta di una tecnica promettente, e altamente competitiva rispetto ad altre tecnologie, grazie all’assenza di vincoli geografici/geologici, l’infinito numero di cicli di carica/scarica, la convenienza economica e tempi di avvio limitati (pochi minuti). Il costo di investimento previsto per l’installazione varia da 840 a 1.400 euro/kW per una applicazione su larga scala. Un sistema di stoccaggio criogenico è essenzialmente costituito da un impianto di liquefazione, un serbatoio criogenico a bassa pressione e un gruppo turbina comprensivo di generatore. Complessi-

vamente, possono essere identificati tre diversi metodi di generazione di energia fredda (exenergia) dal criogeno: - cicli di espansione diretta, che generano energia espandendo il criogeno, che viene poi pressurizzato, vaporizzato e surriscaldato, e in questo caso il criogeno funge da unico fluido di lavoro del ciclo - cicli indiretti, che impiegano un secondo fluido di lavoro in aggiunta al criogeno. Il ciclo indiretto organico di rankine (OrC) è il metodo più conosciuto, in cui il criogeno agisce come dissipatore del calore del ciclo, mentre l’energia termica per l’evaporazione del fluido di lavoro è fornita dall’ambiente o da un’altra fonte di calore. Un altro metodo è il ciclo di brayton, in cui il criogeno raffredda un gas per diminuire il lavoro di compressione, e il gas denso è ulteriormente riscaldato ed espanso generando lavoro in una turbina a gas

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- metodo combinato, che consiste nella combinazione degli altri due. Nei cicli ad espansione diretta ad aria liquida, l’aria liquida entra nel sistema ad una pressione di 1,3 bar e viene portata a temperatura criogenica e pressione supercritica (95 bar). Al momento dell’utilizzo l’aria liquida viene riscaldata fino a temperatura ambiente, producendo un gas ad alta pressione che viene espanso nella turbina a due stadi con un riscaldamento alla pressione intermedia di 15 bar. Si tratta del metodo più semplice, ma anche più inefficiente in quanto una grande quantità di energia fredda criogenica viene dispersa nell’ambiente. Il ciclo rankine indiretto, invece, è un ciclo termodinamico che vaporizza il criogeno ad una pressione uguale o leggermente superiore a quella ambiente. Per recuperare il freddo liberato dal criogeno si utilizza un fluido di lavoro con un punto di liquefazione/ebollizione superiore al criogeno stesso. Dal punto di vista termodinamico, l’uso di un singolo fluido in un ciclo di rankine non è l’approccio più efficiente, e per massimizzare l’efficienza, si è fatto uso di cicli rankine a cascata, in cui fluidi con bassi punti di ebollizione (come metano ed etilene) vengono impiegati come fluido di lavoro nel primo stadio, mentre propano, acqua ed etano sono impiegati nei cicli successivi. Nella configurazione a cascata, l’energia a freddo viene trasferita sotto forma di calore latente, e così lo scambio di calore avviene a condizioni di difContinua a pag. 30


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Lo stoccaggio dell’energia in aria liquida ferenza di temperatura costante e minima. In questo modo, si migliora l’efficienza complessiva, riducendo al minimo la perdita energetica nel processo di trasferimento del calore. Tuttavia, la configurazione a cascata aumenta notevolmente la complessità del sistema, cosa che può compromettere a lungo termine la stabilità di funzionamento Quanto al ciclo di brayton bisogna innazitutto sottolineare che la differenza principale con il ciclo di rankine sta nel fatto che nel primo caso il fluido di lavoro è pressurizzato da un compressore, mentre nel secondo si impiega una pompa. Il fluido resta allo stato gassoso in tutto il ciclo e il calore o il freddo trasferito al fluido è sotto forma di calore sensibile; quindi l’energia criogenica viene usata per raffreddare il gas in entrata al compressore. Come fluidi di lavoro possono essere utilizzati non solo aria e azoto, ma anche idrogeno ed elio; poiché non vi è vapor acqueo nel ciclo chiuso, il fluido di lavoro può essere raffreddato ad una temperatura molto più bassa. Quindi, l’efficienza del recupero di energia criogenica può essere notevolmente migliorata. Ma metodo più efficiente per il recupero di energia criogenica è il metodo combinato, che integra un ciclo rankine con un metodo ad espansione diretta. Questo sistema impiega come fluido di lavoro nel ciclo rankine il metano, in quanto esso fornisce la massima potenza specifica. Le caratteristiche della corrente di aria liquida in entrata sono le stesse dell’approccio di espansione diretta; la pressione per l’aria liquida è impostata a 35 bar (con una temperatura di evaporazione dell’aria pari a -142,5 °C). Poiché l’aria liquida è pressurizzata fino a una pressione relativamente bassa, l’espansione diretta dell’aria avviene in una turbina a uno stadio. Il fluido di lavoro all’interno dell’OrC viene liquefatto, pressurizzato, evaporato e surriscaldato, utilizzando l’energia ambientale o un’altra fonte di calore, e successivamente espanso prima in alta pressione e successivamente a bassa pressione in una turbina con ririscaldamento.

UN IMPIANTO-TIPO

Nell’isola di liquefazione, l’aria viene prima compressa ad alta pressione in un processo a due fasi in cui il calore viene recuperato da un olio termico (che viene conservato in una sezione di accumulo), e quindi raffreddata mediante aria di ritorno dal separatore, e successivamente espansa in una crioturbina. In questo modo si di produce una miscela liquido-vapore, che viene raccolta e separata, ottenendo un flusso di gas e una corrente liquida. L’aria liquida viene stoccata in un serbatoio a una temperatura di circa 193 °C e a pressione atmosferica. Il serbatoio deve essere dimensionato considerando il rapporto tra il tempo di carica e scarica: un rapporto di carica/scarica di 2 a 1 equivale a 8 ore di elettricità in eccesso durante la notte di bassa richiesta, e 4 ore durante la richiesta di picco. In questa ipotesi, la dimensione del serbatoio è pari a 300 t (40 MWh) con una capacità installata di 10 MW (unità di scarica). La liquefazione dell’aria e il rilascio dell’energia, gestiti da unità indipendenti, hanno un’efficienza adiabatica (ossia il rapporto tra l’elettricità generata dalla turbina del generatore e l’energia ottenuta

DALLA TEORIA ALLA PRATICA: IL PRIMO IMPIANTO IN UK Dopo i positivi risultati del primo impianto pilota da 350 kW installato 10 anni fa a Slough (UK), presso la città inglese di bury è stato inaugurato nel giugno 2018 il primo impianto al mondo su scala commerciale per lo stoccaggio criogenico dell’energia. L’im-

dal gas pressurizzato ad alta temperatura) relativa al processo di rilascio di energia pari al 77%. Per migliorare l’efficienza, è stato proposto di integrare l’unità di liquefazione dell’aria con il processo di rilascio energetico, introducendo un’unità di memoria a freddo chiamata “rigeneratore”. Questa unità immagazzina l’energia criogenica rilasciata dal processo di estrazione di energia dall’aria liquida e la riutilizza per la liquefazione dell’aria nel processo di accumulo di energia. Quando l’impianto funziona come unità di recupero energetico, l’aria liquida viene pompata dal serbatoio e riscaldata fin quasi a temperatura ambiente mediante scambio termico con fluidi freddi, come propano e metanolo. In seguito l’aria viene pompata in un rigeneratore e poi in un surriscaldatore, dove viene riscaldata dall’olio termico conservato nella sezione di stoccaggio, e infine attraverso una turbina. L’espansione avviene in tre fasi, con rapporti di pressione intermedia scelti in modo da massimizzare la produzione di lavoro in turbina. L’olio termico ritorna nella sezione di stoccaggio, dove viene raccolto in un serbatoio a temperatura ambiente, dopo essere stato raffreddato in uno scambiatore di calore. pianto ha una potenza installata di 5 MW e può fornire fino a 15 MWh, sufficienti a generare energia per alimentare 5.000 utenze domestiche per circa 3 ore. Si ritiene che l’impianto potrà funzionare per i prossimi 40 anni, una durata ben superiore ai 10 anni delle batterie attualmente in uso. Al termine della sua vita utile, l’impianto verrà smantellato e i suoi componenti in acciaio avviati al riciclaggio.

APPLICAZIONI DELLO STOCCAGGIO CRIOGENICO

Innanzitutto nella refrigerazione di alimenti industriali. Il settore alimentare è infatti uno dei più energivori, e per questo motivo è l’ambiente ideale per sperimentare le energie rinnovabili, utilizzando metodi sia attivi che passivi di stoccaggio di energia (termica e di rete) su larga scala. Tra i vari metodi di stoccaggio, l’accumulo di energia criogenica avviene come segue: durante i periodi di bassa domanda e ribasso dei prezzi dell’energia, il gas criogenico viene liquefatto e conservato in un serbatoio isolato; nei periodi di elevati consumi e alti prezzi dell’energia, il criogeno liquefatto viene pompato ed espanso per alimentare un generatore, che produce l’energia che viene immessa nella rete. recentemente è stata lanciata l’idea di applicare lo stoccaggio criogenico nelle celle refrigerate, in modo da catturare e utilizzare il freddo criogenico; a tale scopo è stato creato un consorzio europeo di 14 partner provenienti dal mondo industriale e accademico, che ha elaborato nel 2016 il progetto “CryoHub”, rivolto a massimizzare l’efficacia del CES per mezzo di un ciclo di liquefazione, criogeno, stoccaggio, distribuzione, uso efficiente e potenza di rigenerazione, alimentato con energie rinnovabili. Altro ambito applicativo è il condizionamento dell’aria in edifici commerciali. I sistemi convenzionali di aria condizionata, infatti, consumano grandi quantità di energia, e per questo motivo è stato sviluppato un nuovo sistema di condizionamento che impiega l’energia immagazzinata in forma di aria liquida per produrre aria condizionata ed energia. I sistemi proposti consistono in due circuiti: nel primo circola un refrigerante secondario, che provvede al raffreddamento degli edifici, e viene anche utilizzato come fonte di calore per il secondo circuito, che fornisce raffreddamento ed energia pressurizzando e successivamente evaporando aria liquida entro un apposito espansore.

Si ringrazia l’ing. Alberto Macrì Hi-Tech Ambiente

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HI -TE CH

AMBIENTE

SPECIALE

MONITORAGGIO DI BIOGAS E BIOMETANO


SPECIALE MONITORAGGIO DI BIOGAS E BIOMETANO

Il monitoraggio di biogas e biometano Impianti di digestione anaerobica

Se i sistemi di controllo permettono miglioramenti produttivi anche poco superiori al 10%, il bilancio costi/benefici risulta favorevole La digestione anaerobica è sempre più diffusa, perchè consente di ricavare energia (in forma di biogas) dalla frazione organica dei rifiuti, ma anche da una ampia varietà di substrati organici, come residui vegetali e animali, e colture energetiche. Per quanto si tratti di un processo noto e applicato da tempo, non tutte le complessità e i modelli di azione-reazione relativi alle attività microbiche sono oggi ancora pienamente compresi; in particolare, esistono alcuni fattori di instabilità che spesso sono stati ignorati e hanno portato a condurre il processo molto al di sotto della capacità nominale, oppure a produrre un digestato di cattiva qualità. Il monitoraggio dei parametri critici del processo di digestione anaerobica ha lo scopo di massimizzare l'efficienza di conversione organica in biogas/biometano, produrre digestato e metano di buona qualità, ridurre le spese operative e gli impatti ambientali degli impianti. Tuttavia, attualmente non è stato ancora definito un "protocollo standard" di monitoraggio riconosciuto su base internazionale; sono state però definite alcune situazioni-tipo alle quali, grazie a una ricerca condotta nell'ambito del programma "Intelligent Energy Europe", sono stati associati i più convenienti parametri da monitorare. In linea generale, lo stato del processo e il rendimento possono essere monitorati misurando: - la conversione del contenuto in materiali degradabili del substrato, espressi come Chemical Oxygen

ma variabilità di pressioni parziali di idrogeno pongono in molti casi una difficoltà di interpretazione. Ulteriori parametri possono essere misurati e sono legati alle comunità microbiche (abbondanza e diversità delle popolazioni); ultimamente queste analisi microbiche stanno guadagnando notevole interesse. IMPIANTO IN CONDIZIONI TRANSITORIE

Demand (COD) - la rimozione di sostanza secca o di solidi totali (TS) oppure di solidi volatili (VS) - l'accumulo di prodotti intermedi, come acidi grassi volatili (VFA) - parametri come pH e alcalinità - produzione di gas intermedi, co-

me idrogeno e ossido di carbonio - produzione e composizione del biogas (CH4, CO2). I singoli VFA sono stati generalmente accettati come utili al monitoraggio dei parametri per gli impianti di digestione anaerobica. Il pH dà una risposta lenta e l'estre-

Questa situazione consente una frequenza di monitoraggio ridotta: possono essere sufficienti misure di portata e composizione del biogas, supportate da misure settimanali del pH e della alcalinità da ioni bicarbonato, oltre alla concentrazione di acidi grassi totali volatili (VFA). La caratterizzazione dei substrati può avvenire anche su base settimanale, misurando il contenuto in solidi totali (TS) e in solidi volatili (VS); questi parametri indicano il tasso di carico al digestore. Altri parametri possono essere misurati occasionalmente, per valutare le prestazioni complessive o per verificare la qualità del digestato rispetto a quanto richiesto dalle normative locali. IMPIANTO IN CONDIZIONI TRANSITORIE

Questa condizione è tipica di impianti nei quali si hanno variazioni nel tipo di substrati e/o nei tassi di Continua a pag. 34 Hi-Tech Ambiente

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SPECIALE MONITORAGGIO DI BIOGAS E BIOMETANO Continua da pag. 32

Il monitoraggio di biogas e biometano carico organico e idraulico. In questi casi gli impianti non sono spinti al massimo o al di sopra dei tassi di carico stabiliti per il tipo di digestore. Al fine di ottimizzare i tempi di funzionamento e cioè eventuali inibizioni di carico potenziali, la caratterizzazione del substrato dovrebbe essere eseguita almeno una volta alla settimana per il contenuto solido e, più frequentemente, quando si hanno cambiamenti significativi nel substrato. In quest’ultimo caso è opportuno aggiungere ai normali parametri anche il rapporto carbonio/azoto/fosforo, il contenuto di composti di zolfo e, in funzione dei tipi di substrati, anche i metalli come calcio, sodio e potassio. Il monitoraggio della portata del biogas e delle concentrazioni di gas devono avvenire continuamente, e la composizione del digestato deve essere monitorata circa 3 volte alla settimana per parametri di alcalinità, VFA individuali (cioè acidi acetico, propionico, butirrico, iso-butirrico, valerico e iso-valerianici), pH. Potrebbero essere necessarie alcune altre misurazioni nel digestore, quali oligoelementi, ammoniaca e alcuni metalli alcalini o alcalinoterrosi, a seconda dei substrati utilizzati. Se le prestazioni non si dimostrano ottimali, una più ampia parametrizzazione potrebbe essere necessaria, così come un monitoraggio più frequente, effettuato in modo che le azioni di controllo possano avvenire in modo più efficace. Nel caso che, pur trovandosi in condizioni transitorie, l'impianto venga fatto funzionare al massimo tasso di carico, si crea una situazione di rischio alto, che richiede regimi di controllo più rigidi. In questi casi, il controllo di un insieme di parametri che riguardano il biogas, il substrato/i e il digestato sarà fondamentale, e ci saranno benefici se vengono misurati di continuo o semi-continuo, molto frequentemente, in situ o in linea con i dati ricevuti quasi in tempo reale. Se sono richieste analisi ex situ o analisi manuali biochimiche, esse dovrebbero essere effettuate con risultati acquisiti molto rapidamente, in modo che, se necessario, si possano attuare rapidamente azioni di controllo. Oltre al monito-

raggio on-line della portata del biogas e del contenuto in metano e H2S (a seconda del tipo di substrato), almeno una volta al giorno è probabile che siano necessarie analisi di parametri quali l'efficienza di rimozione dei composti organici, alcalinità, VFA individuali, ammoniaca e alcuni metalli alcalinoterrosi. Misurazioni frequenti di oligoelementi sono inoltre necessarie; misure dell'attività enzimatica batterica e microbica possono anche essere di beneficio, specialmente quando la necessità di diagnosi della causa di un calo di prestazioni del digestore non risulta con altre misurazioni.

store può ritardare il funzionamento per molti mesi. Ad esempio, se non viene raggiunta una conversione accettabile dei materiali organici in biogas, oltre a ridurre la generazione di energia, ci sarà anche un aumento delle perdite di emissione potenziali per l'ambiente, che deve essere evitata. E' quindi indispensabile una buona comprensione dello stato del processo a livello operativo.

In ogni caso, è importante tenere a mente che quanti più parametri vengono monitorati, maggiore sarà il controllo delle condizioni di processo e maggiore sarà la flessibilità per controllare il funzionamento. Non c'è mai eccesso di informazioni, e più velocemente le informazioni diventano disponibili, più rapidamente avverrà l'azione di controllo. Il monitoraggio dei parametri specifici ad intervalli regolari consente di dedurre le tendenze e offre agli operatori la possibilità di individuare una situazione critica in anticipo, lasciando il tempo di prendere le misure precauzionali; ciò è la chiave per un funzionamento a lungo termine con successo. Nei casi in cui gli impianti non sono monitorati e controllati in modo efficace, è probabile che le prestazioni del digestore siano sotto il livello ottimale e, nel peggiore dei casi, la biochimica di digestione può fallire. La necessità di re-inoculare e ri-fare lo start-up del dige-

per la fornitura come biocarburante è necessario registrare alcuni parmetri relativi al processo di upgrading. Questi parametri possono comprendere: - il flusso di biogas in uscita dal digestore - la composizione del biogas, in termini di contenuto in metano, CO2, idrogeno solforato, ossigeno, umidità, ammoniaca, e altre impurità in tracce (materiale solido particolato, batteri, silossani, sostanze organiche volatili, composti degli alogeni) - il flusso di biometano in uscita e i suoi parametri tecnologici (potere calorifico, indice di Wobbe). L’acquisizione e la conservazione nel tempo dei valori di questi parametri risulta di grande importanza per un’efficiente operatività dell’impianto: l’analisi dell’andamento nel tempo può indicare i primi sintomi di deterioramento, suggerendo il ricorso a interventi di manutenzione preventiva. Inoltre, questi dati possono consentire l’a-

I PARAMETRI DEL BIOMETANO

Le caratteristiche del biometano da immettere nella rete del gas naturale sono soggette a precise specifiche e a severi controlli; ma anche

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nalisi delle prestazioni, individuando le migliori strategie per il loro potenziamento, come interventi di “debottlenecking”. ANALISI COSTI/BENEFICI

I dati di composizione del biogas e del biometano possono essere ottenuti mediante analizzatori in continuo multicomponenti, che misurano le concentrazioni di metano, CO2, ossigeno e idrogeno solforato. Il costo di queste apparecchiature varia da 20.000 a 80.000 euro, secondo che le misure siano eseguite periodicamente o su base continua, e se sono previste la calibrazione automatica e l'essiccazione del gas. Le misurazioni del volume di biogas e biometano prodotti, compensate per pressione e temperatura, possono essere eseguite con analizzatori, il cui costo varia da 5.000 a 12.000 euro, a seconda della portata del gas. Altri parametri importanti da valutare sono il pH all'interno del digestore (costo intorno a 1.000 euro, per un sistema comprendente la trasmissione a distanza) e la composizione degli acidi grassi volatili (acido acetico, propionico e butirrico); questo analizzatore può costare circa 35.000 euro. Naturalmente, oltre al costo di acquisto delle apparecchiature si dovranno considerare i costi di gestione, comprendenti i materiali di consumo, la manutenzione e il personale. A fronte di questi costi, i benefici economici sono valutabili in un aumento di almeno il 10% della produzione di biogas, e in alcuni casi anche del 20%. In un tipico impianto di digestione anaerobica di scarti agricoli, con capacità in ingresso di 10.000 ton/anno e potenza nominale 500 kW, un aumento del 10% nella produzione di biogas corrisponde a un reddito annuo aggiuntivo di 72.000 euro. Valori più favorevoli si ottengono per impianti di maggiore portata, alimentati con scarti alimentari; un impianto da 30.000 ton/anno otterrebbe un beneficio economico di circa 230.000 euro/anno. In genere, si può affermare che, considerando gli attuali incentivi in materia di energia rinnovabile, quando l'attuazione di programmi di monitoraggio permette miglioramenti nella produzione di biogas, anche poco superiori al 10%, il bilancio costi/benefici risulta favorevole.


SPECIALE MONITORAGGIO DI BIOGAS E BIOMETANO ECO-CONTROL Eco-Control dal 1993 produce e distribuisce analizzatori portatili e fissi per gas, per le più svariate applicazioni ma soprattutto per impianti di produzione biogas e biometano. Sono stati forniti più di 330 impianti fissi di analisi e più di 400 portatili dislocati in tutta Italia, con assistenza completa presso la propria sede. I sistemi di analisi della serie Eco20 sono inseriti in armadi metallici IP55 contenenti tutte le apparecchiature di aspirazione, trattamento e analisi del campione di gas. Possono essere configurati per 1-2-3-4 gas, tipicamente per CH4, CO2, O2 e H2S o qualunque

EMERSON combinazione di essi. Normalmente sono previsti: refrigeratore per la separazione della condensa, rilevatore di condensa, rilevatore di fughe gas interne all'armadio, pressostato di basso flusso, pompa di aspirazione o elettrovalvola di intercettazione, uno o più analizzatori della serie EC400. I sistemi di analisi della serie EC300 hanno caratteristiche simili ma sono più compatti non prevedendo il refrigeratore (può comunque essere incluso un separatore ad effetto Peltier che ha dimensioni più contenute). Per la misura dell'H2S ad alta concentrazione, allo scopo di evitare la saturazione del sensore, sono disponibili diverse soluzioni. I sistemi di analisi della serie EC120 sono una versione particolare in grado di eseguire misure a scansione su molti punti di prelievo (fino a 36), e prevedono una unità di gestione di tipo digitale con display touch screen 7”, memorizzazione e scarico dati.

Il biometano, in rapida crescita in tutto il mondo, si sta ritagliando un posto importante nel mercato dell'energia, in particolare in Europa, dove contribuisce a soddisfare i nuovi obiettivi di energia rinnovabile dell'Unione Europea. Il biometano è compatibile per l'uso nelle reti di gas naturale esistenti e sempre più paesi hanno stabilito incentivi per aumentare la presenza del biometano nella loro rete. Tuttavia, ci sono sfide da affrontare nella conduzione di un impianto, e trattare con un unico fornitore che dia il supporto in ogni fase, riduce la complessità del progetto garantendo alti livelli di efficienza. Ebbene, Emerson offre un portafoglio completo di soluzioni (gascromatografi per analisi on-line, contatori per misura, apparecchiature per il controllo della pressione, sistemi di odorizzazione) per soddisfare qua-

lunque esigenza inerente il “progetto biometano”, e quindi garantire sicurezza e qualità, supportando un’azienda dalla fase di progettazione iniziale e per tutto il ciclo di vita dell’impianto. Ad esempio, per l'analisi online continua del biometano, Emerson propone il gascromatografo Rosemount 370XA, che utilizza la configurazione di 3 valvole a 6 porte con 4 colonne di separazione per misurare i componenti comuni presenti nel biometano. Lo strumento è progettato per funzionare senza sorveglianza; difatti, se sono necessarie delle regolazioni, il software proprietario Mon2020 per gascromatografo consente il controllo completo del 370XA sia localmente che da remoto.

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ENDRESS+HAUSER L’elemento critico dello step di upgrade del biometano è costituito dal sistema di monitoraggio della sua qualità. I parametri da controllare in continuo sono potere calorifico, CO2, H2S, umidità (dewpoint), O2, e dewpoint idrocarburi (solo nel caso in cui sia prevista iniezione di GPL). Allo scopo Endress+Hauser ha realizzato una soluzione integrata in cui, a prodotti sviluppati da società del gruppo, vengono abbinati dispositivi di altri costruttori accuratamente selezionati per qualità e conformità ai riferimenti normativi. Tale soluzione garantisce conformità alle indicazioni della UNI11537, con prestazioni anche migliorative rispetto ai requisiti minimi (per esempio impiegando principi di misura più performanti). Si tratta di analizzatori facilmente

FLIR validabili in campo, per rendere le verifiche periodiche o necessarie su richiesta semplici, efficaci e veloci. Hanno inoltre protezione IP66, certificazione Atex per zona 1, campo di temperatura ambiente da -20 a +50 °C, minima manutenzione, assenza di materiali di consumo. La soluzione così individuata (di comprovata tecnologia già impiegata dal gestore di rete) è costituita da: due analizzatori gas a tecnologia TDLAS, per misura H2S e H2O in biometano, con sampling conditioning system condiviso (la misura di H2S prevede un sistema integrato e brevettato per la soppressione e/o compensazione delle interferenze); un analizzatore di ossigeno con sensore ottico (quenched fluorescence); un gascromatografo per la misura del potere calorifico (BTU) e della CO2. Il tutto completamente integrato e preassemblato su telaio per agevolare l’installazione in campo o in alternativa nella cabina di regolazione e misura.

La Flir GF77 GasFindIR è una termocamera non raffreddata per il rilevamento di gas metano (biometano compreso). Si tratta di uno strumento portatile che offre ai professionisti addetti alle ispezioni le funzionalità necessarie per rilevare fughe di metano invisibili e potenzialmente pericolose presso impianti di produzione di biometano. Basata sul design della serie di termocamere Flir T, la leggerissima GF77 presenta un design ergonomico, un touchscreen LCD vibrante e un mirino, per un utilizzo semplice e in qualsiasi condizione di illuminazione. Offre anche la modalità High Sensitivity (HSM) brevettata da Flir, che accentua i movimenti per rendere più visibili al-

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l'utente anche piccole emissioni di gas. Include, inoltre, le più aggiornate funzionalità tecniche, tra cui l'autofocus laser-assistito che consente agli ispettori di individuare le perdite di gas in modo più semplice e il miglioramento del contrasto one-touch, che fa risaltare i gas chiaramente sullo sfondo. E non è tutto. Un'interfaccia utente grafica a risposta rapida aiuta i professionisti ad aumentare l'efficienza, consentendo loro di organizzare cartelle di lavoro, registrare appunti e aggiungere annotazioni di posizione GPS sulla termocamera. Da sottilineare, infine, che la GF77 è costruita attorno a un rivelatore a infrarossi a onda lunga non raffreddato, che costa meno da produrre rispetto alle tradizionali termocamere raffreddate con prestazioni più elevate. In ragione di ciò, questa nuova termocamera viene offerta ad un prezzo particolarmente interessante.

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SPECIALE MONITORAGGIO DI BIOGAS E BIOMETANO HACH LANGE A causa del carattere costoso o dispendioso in termini di tempo della maggior parte dei metodi di analisi per i processi anaerobici, i digestori industriali di solito non sono adeguatamente monitorati. Sviluppato appositamente per il controllo di digestori anaerobici, la serie EZ7200 di Hach Lange offre la possibilità di implementare nuove alternative di controllo a problemi operativi tipici nei digestori di medie e grandi dimensioni. I digestori anaerobici richiedono il monitoraggio di una serie specifica di parametri critici al fine di ottenere l'efficienza produttiva,

INNOVATIVE INSTRUMENTS la conformità e la resa del biogas ottimali. Il parametro principale sono gli acidi grassi volatili (VFA), che rappresentano la condizione metabolica del digestivo anaerobico e rispondono rapidamente ai cambiamenti indotti dallo stress, combinati con bicarbonato e alcalinità. La serie EZ7200 è costituita da titolatori online di facile utilizzo che utilizzano un metodo unico e robusto per misurare i parametri critici del processo in una singola analisi, consentendo la comprensione e il pieno controllo del processo anaerobico: titolazione diretta con minima volatilizzazione, monitoraggio continuo del processo anaerobico, abilitazione di una maggiore velocità di caricamento per la massima produzione di CH 4, prevenzione del guasto del digestore dovuto all'accumulo di VFA, facile implementazione all'interno di una strategia di controllo dinamico, facile integrazione nelle reti aziendali.

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MAVETEC Nel processo di un impianto a biogas determinarne la composizione è fondamentale per avere un efficiente funzionamento. Mavetec aiuta a scegliere l'analizzatore biogas adatto a rispondere a questa esigenza, coniugando affidabilità e tecnologia per non lasciare niente al caso. BioBasic di Fresenius Umwelttechnik è un sistema di analisi del biogas semplice e veloce. Consente la misura di CH4 e CO2 attraverso sensore infrarosso NDIR stabile a lungo termine grazie a LTCS brevettato, e la misura di O2 e H2 S con sensori elettrochimici. La misura di H2 e NH3 è opzionale attraverso sensori EC. L'unità base dell'analizzatore è composta da un cabinet da parete con interfaccia di controllo touch screen e ventola di aerazione, un punto di misura, flame barriers, pulizia con aria ambiente, controllo esplosività interna, pompa di prelievo integrata, filtro anticondensa con controllo del livello, scarico automatico della condensa, interfaccia macchina, RS

Combimass GA-s della Binder, distribuito da Innovative Instruments è un analizzatore fisso per impianti biogas con cabinet a parete. Consente l’analisi automatica fino a 6 parametri (CH 4 , CO 2 , O 2 , H2S, H2, CO) con campionamento automatico fino a 13 punti di prelievo (variabili nella sequenza) e con frequenza di campionamento e durata dell’analisi impostabili in campo. Lo strumento inoltre consente: pulizia automatica delle celle dopo ogni campionamento; componenti montati in moduli e fissati nella stazione su binari DIN; analisi portatile tramite estrazione dell’analizzatore; trasferimento dati tramite protocolli di comunicazione 4/20 mA, ethernet TCP/IP, modbus TCP, RS485 modbus RTU o ethernet GSM-GPRS; memorizzazione dati su chiavetta USB. Tra le varie opzione: taratura di punti di allarme e trasferimento a PLC; integrazione con misuratore di portata con correzione automatica della portata riferita alla reale composizione del gas; integrazione con sonda di temperatura

per il calcolo della portata del gas secco; reimmissione del gas analizzato nel processo. Combimass GA-M è invece un analizzatore portatile in versione antideflagrante con display LCD. E’ dotato di 7 canali di analisi gas, di cui 2 celle ad infrarossi (IR) con compensazione della temperatura e 5 celle di analisi elettrochimiche (EC). Le analisi IR sono per CH4 e CO2 (0-100%); mentre le analisi EC sono per O 2 (0-25%), H 2S (0/5000 ppm), CO (0-2000 ppm), H2 e NH3 (0-1000 ppm). Questo strumento è dotato di: potente pompa di campionamento interna, tubo flessibile per campionamento, filtri sostituibili, batteria ricaricabile e sostituibile in campo, datalogger interno per più di 20.000 misurazioni, possibilità di salvataggio dati con impostazione data/ora. In opzione: interfaccia per misuratore massico di portata per biogas, sensore di temperatura portatile e ingresso per sensore di pressione.

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METTLER-TOLEDO 232, output analogici 4-20 mA. Nella versione Smart BioBasic, invece, lo strumento analizza la quantità di biogas e consente all'operatore un controllo efficiente atto a massimizzare la resa in metano. Attraverso l'analisi dell'H2S, inoltre, consente di avviare misure affidabili finalizzate alla protezione dei motori a gas e catalizzatori. L'unità base dell'analizzatore è composta da cabinet per applicazione a muro, interfaccia touch panel e ventilatore con controllo di funzionamento, un punto di misura, misurazione e pulizia in aria, monitoraggio interno CH4/LEL, pompa di prelievo integrata, compensazione della pressione, interfaccia digitale, RS 232, uscita analogica 4-20 mA. Opzionabili barriere tagliafuoco (certificate ATEX) e filtro condensa. Smart BioBasic offre, infine, alta efficienza a costi di fornitura e servizio ridotti.

L'analizzatore di gas GPro 500 metano (CH4) di Mettler-Toledo è uno spettrometro TDL unico, progettato per la misurazione diretta del metano in syngas e biogas e in determinate applicazioni di misurazione del gas naturale. Utilizza un design a raggio laser a percorso ripiegato per misure di bassa manutenzione. Si tratta, infatti, di un analizzatore affidabile per applicazioni impegnative, progettato per funzionare in loco senza un sistema di condizionamento soggetto a manutenzione, riducendo il costo totale di proprietà. Peraltro, essendo un analizzatore di gas TDL senza allineamento, significa GPro 500 si basa su un esclusivo design a doppio cammino. La fonte laser e il rilevatore sono situati in

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una singola unità su un'estremità del sensore. Il raggio laser viene riflesso da uno specchio a tre lati al rilevatore, pertanto l'allineamento è sempre perfetto. Con la vasta gamma di attacchi da processo offerti da Mettler-Toledo, lo strumento può essere utilizzato in quasi ogni tipo di tubazione. Infine, grazie al design modulare, GPro 500 consente di selezionare l'adattamento di processo idoneo per la specifica applicazione e di associarlo al parametro da misurare. Sono offerti sensori in grado di analizzare un'ampia gamma di gas, fra cui anche CO₂, H₂S, vapore acqueo e O₂.

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SPECIALE MONITORAGGIO DI BIOGAS E BIOMETANO MRU SMG100 Biogas è un analizzatore completo e pronto all’uso per biogas e biometano. Dal design robusto studiato per applicazioni industriali gravose, è disponibile anche per installazione in zona 2. Lo strumento è dotato di standard safety kit, con ventilazione controllata del quadro, riduttore di flusso in ingresso e, opzionale, sensore di fughe gas. Ha un efficiente sistema di preparazione del gas, per misure precise e affidabili nel tempo. Non richiede diluizione del gas nè uso di aria compressa, ed è utilizzabile sia su gas in pressione che in depressione. Opera la misura diretta in continuo/discontinuo, con compensazione di temperatura e pressione,

PIETRO FIORENTINI anche fino a 10 punti di misura, con controllo automatico o manuale, di CH4, O2, CO2, H2S e H2. SWG100 BioCompact è invece una soluzione più semplice ed economica, che gestisce automaticamente il campionamento a intervalli programmati fino a 3 punti di prelievo ed è dotato di separatore con pompa di scarico della condensa. In uscita i dati sono disponibili sia in formato analogico che digitale, con eventuali soglie di allarme programmabili, incluso datalogger diretto su scheda SD. Optima7 Biogas è, infine, un analizzatore palmare pratico e maneggevole, dotato di scheda SD, con la quale è possibile trasferire le misure in formato excel al PC, ha di serie due ingressi per termocoppie, un sensore di pressione differenziale fino a 300 mbar e può essere ampliato con un cercafughe ed una speciale sonda per la misura della portata. Dal design moderno e compatto, con magneti di fissaggio, ha ampio display TFT da 3,5″ con retroilluminazione a led.

Analizzando la qualità del biometano che viene immesso nella rete del gas naturale, è possibile sfruttare rifiuti o sottoprodotti trasformandoli in una risorsa primaria quale l’energia, garantendo la sicurezza dell’utilizzatore finale. Il sistema di analisi qualità proposto da Pietro Fiorentini riconosce la composizione del biometano in arrivo grazie all’ausilio della gas cromatografia e s’interfaccia con il complesso d’automazione, che intercetta e diverge il flusso verso monte qualora il biometano sia fuori specifica. A controllo dell’impianto di odorizzazione, ha la possibilità di rilevare il tasso d’odorizzante del biometano. Punto focale della soluzione pro-

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POLLUTION ANALYTICAL EQUIPMENT

SYSTEM GAS

Micro GC Fusion è un sistema modulare composto da 2, 3 o 4 moduli, ognuno dei quali è un micro gascromatografo indipendente. In particolare, si tratta di un micro GC progettato appositamente per l’analisi dei gas costituiti da idrocarburi leggeri (<C8 o COV), a partire da pochi ppm a livelli percentuali. Micro GC Fusion è in grado di condurre in maniera precisa e rapida tutte le analisi richieste dalla nor-

Il mondo dell’energia è in continua evoluzione e System Gas riveste un ruolo di attore principale nella fornitura di beni e servizi legati allo sviluppo dei gas rinnovabili. Con l’introduzione del DIM 2/3/2018, viene incentivato in Italia l’utilizzo di biometano e degli altri biocarburanti avanzati per il settore dei trasporti. System Gas ha sviluppato e realizzato uno dei primi impianti allacciati alla rete di trasporto nazionale conformi alla UNI TR 11537/2016 e al codice di rete per quanto concerne il controllo della qualità del gas immesso, la gestione dei dati e i sistemi di telecontrollo e telegestione dell’impianto. L’azienda è infatti in grado di fornire sistemi di intercon-

mativa; inoltre, fornisce la possibilità di svolgere ulteriori ma necessarie analisi per la valutazione complessiva della conformità del biometano, oltre quelle direttamente menzionate dalla normativa. Come già detto, affinchè il biometano sia conforme per l’immissione in rete, è indispensabile (in base alle specifiche della rete) che sia efficacemente odorizzato, il che significa che nel gas deve essere diluito un quantitativo adeguato di odorizzante, come stabilito dalla norma UNI 7133. Tuttavia, nel biometano sono naturalmente presenti delle sostanze, dette interferenti, che sono in grado di modificare la percezione dell’odorizzante o addirittura annullarla, quali ad esempio alcuni terpeni e chetoni. Dunque, per garantire pienamente la conformità del biometano, è necessario avere sotto controllo i livelli di micro inquinanti (H2S e COS) e delle sostanze interferenti potenzialmente presenti nel gas.

posta dall’azienda per il monitoraggio del biometano è anche l’attività di Service Biometano, indispensabile vista la molteplicità delle competenze insite in un impianto d’iniezione biometano e la pluralità dei soggetti convolti. Le qualifiche della Pietro Fiorentini spaziano dalle verifiche metrologiche, ispezioni ed interventi manutentivi alla conduzione dell’impianto di odorizzazione e suoi riempimenti. Questo permette all’azienda di abbracciare tutte le attività richieste e costituire un’unica interfaccia diretta per il cliente. Rilevando direttamente i parametri dell’impianto in continuo, viene gestita l’automazione da remoto e informati i proprietari d’impianto in modo automatico e tempestivo di eventuali anomalie. Grazie alla diffusa presenza territoriale, la Pietro Fiorentini è in grado di ridurre i tempi d’intervento per garantire una gestione dell’evento d’emergenza in modo ottimale.

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nessione fra le varie parti dell’impianto di purificazione del biogas, fornendo un sistema “chiavi in mano” con la cabina “remi” per il controllo, la misura fiscale e l’analisi della qualità del biometano prodotto, supportando il cliente nella gestione dei rapporti tecnico/commerciali con Snam Rete Gas, al fine di ottenere gli incentivi previsti dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Il sistema di misura fiscale e analisi qualità del biometano prodotto fornito da System Gas può essere adottato per tutte le configurazioni previste dal GSE ai fini della determinazione dell’Energia incentivabile nel mese (Ein).

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laboratori

La legionella ha le ore contate Un dispositivo automatizzato

Test particolarmente affidabili e rapidi (in meno di 120 minuti) per il rilevamento dei batteri nell’acqua spositivo completamente automatico che utilizza l’IMS per fornire test in loco. Si chiama Ulisens e include un immunosensore automatizzato con un modulo filtrante e cartucce di reagenti usa e getta che consentono una rapida determinazione dei livelli di Legionella (2

Nell’Unione Europea ogni anno vengono diagnosticati tra 5.000 e 8.000 casi di legionellosi, malattia per la quale non esiste un vaccino. Esistono diversi metodi per rilevare la legionella nell’acqua, il suo principale vettore, ma metodi non sono privi di inconvenienti poiché, alcuni possono portare a sottostimare i rischi di contaminazione, mentre altri, al contrario, a una sovrastima del rischio reale. Una alternativa è offerta dalla spagnola Biotica, specializzata in prove ambientali alternative per il rilevamento di microrganismi, così da evitare trattamenti di disinfezione inadeguati o non necessari. Il suo prodotto di punta è Legipid, un nuovo metodo di prova ambientale basato sulla separazione immunomagnetica (IMS) mediante perline magnetiche immuno-modificate anti-Legionella. Dato che, generalmente, il principale problema analitico è separare il target dal resto del campione, le

perline immuno-magnetiche garantiscono una tale separazione e Legipid la combina con un rilevamento colorimetrico collegato all’enzima per un rapido test di 1 ora per determinare le concentrazioni di Legionella in campioni di acqua. Il metodo è piuttosto semplice: il campione di acqua originale viene innanzitutto concentrato mediante filtrazione o metodo simile, prima di essere eluito e quindi dispensato nella cuvetta di prova. Viene quindi aggiunta una sospensione di perline magnetiche leganti di Legionella, che inducono le cellule di legionella presenti nel campione a legarsi agli anticorpi immobilizzati sulla superficie delle perline e a formare complessi di batteri/perline. Questi complessi vengono quindi incubati con un anticorpo anti-Legionella coniugato con enzima e possono essere visualizzati mediante reazione colorimetrica con l’aggiunta di substrati enzimatici. Biotica ha anche sviluppato un diHi-Tech Ambiente

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ore), mentre un lettore ottico fornisce letture digitali facilmente accessibili delle misurazioni della concentrazione di Legionella <<Il metodo Ulisens – afferma Inma Solis, amministratore delegato di Biotica - è un’opzione più affidabile per i test di routine, in particolare nell’analisi di campioni di acqua con alti livelli di contaminazione. Il rilevamento automatico della legionella elimina gli errori umani inerenti ai metodi manuali. Inoltre, la gestione del dosaggio robotico riduce la variabilità dei risultati, elimina i rischi di errori di gestione, di contaminazione del test intermedio e di immissione errata dei dati, portando a un minor numero di risultati inconcludenti e sostenendo passaggi tempestivi. Passaggi tempestivi alla fine significano maggiore tempo di funzionamento, meno ritardi e meno ripetizioni di test>>. Ulisens è ideale presso i sistemi di controllo per la legionella presso strutture potenzialmente pericolose: principalmente produttori di torri di raffreddamento e aziende ad alta intensità energetica), aziende di manutenzione di immobili, proprietari di strutture a rischio e laboratori di analisi dell’acqua.


Il centro ricerche di Gruppo CAP Settore idrico

Nel nuovo e innovativo hub, oltre ai laboratori di analisi, convergeranno start up, università e progetti internazionali Il futuro del settore idrico prende casa nel nuovo Centro Ricerche di Gruppo CAP, che è stato inaugurato a fine settembre. Si tratta di un centro all’avanguardia dove far confluire le migliori competenze e know-how anche internazionali, destinato a diventare un hub aperto a università, centri di ricerca e start up. <<Gruppo CAP è un'azienda pubblica che ha fatto dell'innovazione e della ricerca scientifica coniugate alla sostenibilità ambientale - afferma Alessandro Russo, presidente e AD - uno dei suoi tratti distintivi. E la nuova struttura è il luogo dove il lavoro di tutti questi anni prende forma e si concretizza. Un polo di ricerca sulle nuove tecnologie legate all'acqua e all'ambiente, dove metteremo al centro le nuove generazioni di innovatori, dando loro l’opportunità di mettere a frutto le loro idee nel settore idrico e ambientale>>. L’obiettivo è creare un polo dell'innovazione per la gestione sostenibile dell’acqua, in cui si elaborino soluzioni all’avanguardia in grado di fronteggiare le numerose sfide che il futuro del settore impone; un centro di ricerca per lo studio e l’innovazione del settore idrico in un’ottica di sapere condiviso. Non solo, sarà uno spazio di open innovation dove far crescere le migliori start up impegnate nello sviluppo dell'economia circolare; un luogo di “sharing knowledge” e di co-ricerca in cui sperimentare forme di collaborazione tra pubblico e privato. Ma anche un luogo aperto ai visitatori e alle scuole, in cui

per arrivare alle nostre case, fino al suo ritorno nell’ambiente. I PROGETTI IN CORSO

laboratori e ricercatori si renderanno disponibili a condividere il loro background con i cittadini e gli studenti. La hall della struttura è stata ap-

positamente allestita con pannelli touchscreen, video wall e visori VR per far conoscere lo straordinario viaggio che ogni giorno l’acqua intraprende dalla sorgente

Hi-Tech Ambiente

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Nel nuovo centro ricerche saranno collocati anche i laboratori di analisi delle acque potabili e gli uffici geologia che si occupano dell'analisi integrata del sottosuolo per la gestione sostenibile delle risorse idriche, attraverso un modello tridimensionale. Tanti i progetti legati alla gestione delle acque e allo sviluppo di sistemi di economia circolare già avviati in collaborazione con le principali università italiane, e molti altri in fase di avviamento. Tra i più significativi: allestimento laboratorio di processi biotecnologici per studio impiego di funghi cellulosici per trattamento acque reflue e fanghi di depurazione; valutazione sperimentale dell’efficienza di abbattimento dei microinquinanti emergenti con trattamento fotoelettrochimico; progetto Vegea in ottica di economica circolare per lo sviluppo di processi chimici o biotecnologici, per la preparazione di materiali compositi prodotti dai fanghi di depurazione e dall’olio di vinacciolo; progetto Fitt per lo sviluppo di un processo industriale tecnologico per la produzione di fillers, plastificanti, lubrificanti, da impiegare nell’industria del PVC a partire da fanghi di depurazione; progetto BlueGold per ottimizzazione gestione reti idriche di acquedotto con applicazione metodologie innovative per riduzione perdite ed efficientamento energetico reti.


tecnologie

Le membrane nell’industria chimica Applicazioni in rapida crescita

Utilizzate soprattutto nel settore cloro-soda, estrazione e recupero del litio, separazione tra idrocarburi olefinici e paraffinici, e promettenti nell’ambito delle celle a combustibile Le tecnologie a membrana si sono affermate in molti settori, soprattutto nella produzione di acqua potabile per dissalazione di acque marine o salmastre, e nel trattamento delle acque di scarico, soprattutto nella configurazione “a scarico zero” o “scarico quasi zero”. Nel campo industriale le applicazioni più consolidate si hanno nell’industria alimentare e delle bevande, e nel riciclo della carta (processi di disinchiostrazione). Nell’industria chimica le applicazioni finora sono state limitate, ma sono in rapida crescita: attualmente le principali applicazioni si hanno nell’industria cloro-soda, nell’estrazione e nel recupero del litio, e nella separazione tra idrocarburi olefinici e idrocarburi paraffinici; applicazioni promettenti ma ancora limitate dal punto di vista quantitativo si hanno nel settore delle membrane per le fuel cells.

missioni nell’ambiente di Hg e derivati. Secondo un rapporto redatto da Legambiente nel 2006, i 7 stabilimenti italiani che operavano con questa tecnologia emettevano ogni anno quasi 640 ton di mercurio in aria e quasi 130 ton in acqua. La tecnologia a mercurio è oggi considerata superata, grazie alle membrane a scambio ionico, sviluppate agli inizi degli anni ’70 dalla DuPont. Si tratta di membrane multistrato, costituite da resine perfluorate, aventi gruppi carbossilici nell’area catodica e gruppi solfonici nell’area anodica. Questa struttura consente il passaggio dello ione sodio (e di altri ioni eventualmente presenti), ma non degli ioni con carica negativa. Nel comparto anodico viene introdotta una soluzione concentrata di cloruro di sodio (salamoia); l’applicazione della corrente elettrica provoca l’ossidazione degli ioni cloruro, con formazione di cloro gassoso. Gli ioni sodio, che hanno carica positiva, sono attratti dal catodo e attraversano la membrana; contemporaneamente nel comparto catodico si ha l’ossidazione degli ioni idrogeno dell’acqua a idrogeno gassoso, rilasciando in soluzione ioni ossidrile (OH-). Alla fine del processo nel comparto catodico si trovano ioni sodio e

Batteria al litio

INDUSTRIA CLORO-SODA

La produzione di cloro e soda caustica mediante elettrolisi del cloruro di sodio è una delle più importanti industrie chimiche di base, tanto che si stima che il suo fatturato corrisponda al 55% di quello della intera industria chimica. In Europa sono presenti 79 impianti che, fino all’inizio di questo secolo, utilizzavano la tecnologia a catodo di mercurio, altamente inquinante a causa delle e-

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Impianto di produzione di soda caustica Hi-Tech Ambiente

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mate e sottoposte ad attacco acido; le parti solide e carboniose vengono rimosse per passaggio su una speciale membrana di ultrafiltrazione; successivamente membrane di nanofiltrazione e osmosi inversa separano il litio dal cobalto e da altri metalli. Il 75% dell’acido usato per l’attacco iniziale e il 90% dell’acqua vengono riciclati nel processo; il bilancio economico può essere migliorato introducendo stadi di recupero del cobalto, del rame e di altri materiali pregiati, come il grafene.

Le membrane nell’industria chimica ioni OH-, per cui si ha una soluzione di soda. Nel comparto anodico il cloro gassoso reagisce con l’acqua formando ipoclorito, cioè la comune candeggina. La tecnologia a membrana non impiega materiali pericolosi, non rilascia sostanze inquinanti nell’ambiente e ha un consumo di energia elettrica minore rispetto alle altre tecnologie, per cui è stata riconosciuta come B.A.T. dalle Direttive Europee.

SEPARAZIONE DEGLI IDROCARBURI

ESTRAZIONE E RECUPERO DEL LITIO

Il litio è il componente principale delle batterie ricaricabili, sia di quelle dei telefoni portatili che di quelle delle auto elettriche; si stima che la domanda mondiale di questo metallo potrebbe triplicare entro il 2025. Questo sta spingendo verso la ricerca di nuovi processi di produzione, che possano utilizzare anche minerali a basso contenuto di litio e che presentino minori consumi energetici rispetto ai processi attualmente utilizzati. In questa area troviamo il processo ELi, sviluppato dalla società australiana Neometals per la produzione di idrossido di litio; questo processo deriva direttamente dal processo cloro-soda, con alcune modifiche alla struttura delle membrane e con l’introduzione di uno stadio di purificazione spinta a monte della cella elettrolitica. La stessa Neometals applica membrane di nanofiltrazione nel suo processo Dexter, che produce cloruro di litio da soluzioni saline concentrate, senza ricorrere ad evaporazione termica. Il processo consiste nel passaggio della soluzione salina su uno speciale adsorbente costituito da nanotubi di titanato sodico, seguito dalla nanofiltrazione su speciali membrane, che concentrano i compositi di litio ed eliminano le impurità. La società californiana MDS (Membrane Development Specialists) punta al recupero del litio da due diverse fonti: argille litifere e batterie di recupero. Le argille litifere (come hectorite e ambligonite) contengono basse concentrazioni di litio, per cui sono neces-

Impianto pilota Optiperm - CMS

sari diversi passaggi di concentrazione progressiva su membrane a ultrafiltrazione, nanofiltrazione e osmosi inversa. La fase iniziale consiste in un attacco con acido solforico, che viene riciclato nel processo; il prodotto finale è carbonato di litio, che viene ottenuto dal solfato mediante scambio ionico e filtra-

zione. Il processo consente di ricavare fino a 96% del litio contenuto nelle argille; un impianto tipico produce 5 ton/giorno di carbonato di litio. Il recupero del litio dalle batterie usate è molto promettente, perché il litio si trova già in forma molto pura. Le batterie usate vengono frantu-

Membrana di Nafion Hi-Tech Ambiente

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La separazione degli idrocarburi leggeri tra quelli di natura olefinica (come etilene e propilene) e quelli di natura paraffinica (come etano e propano) è un processo di primaria importanza, perché gli idrocarburi olefinici sono il punto di partenza per la produzione delle materie plastiche di largo consumo (polietilene e polipropilene). Questa separazione viene oggi compiuta mediante colonne di distillazione, che sfruttano il maggior punto di ebollizione degli idrocarburi olefinici; ma si tratta di un processo a bassa efficienza e ad alto consumo energetico, che potrebbe presto essere rimpiazzato da un nuovo processo a membrana, denominato Optiperm e sviluppato dalla società americana Compact Membrane System (CMS). Il processo è basato su membrane in fluoropolimero amorfo, contenenti ioni di argento; questi ioni facilitano il trasferimento degli idrocarburi olefinici attraverso la membrana, grazie alla loro affinità chimica con il doppio legame C=C presente negli idrocarburi olefinici. La struttura in fluoropolimero protegge gli ioni argento (che sono estremamente reattivi) dalle sostanze disattivanti, come composti dello zolfo ed acetilene, che sono spesso presenti nel petrolio. Il processo Optiperm si presta particolarmente ad essere applicato nel recupero delle olefine residue a valle dei processi di polimerizzazione, evitando che queste preziose sostanze vengano disperse o bruciate. Attualmente è stato sperimentato su idrocarburi gassosi fino a 4 atomi di carbonio, ma sono in corso esperimenti per verificarne


Processo ELi - Neometals

Impianto di produzione di soda caustica

l’applicabilità a idrocarburi liquidi con 5 e 6 atomi di carbonio, Una tecnologia che, per vie diverse, si propone obiettivi analoghi, è incorso di sviluppo presso la Eidgenossische Technische Hochschule di Zurigo. In questo caso al posto degli ioni argento si usano strutture metallo-organiche

(MOF), che si sviluppano a partire da nanoparticelle di ossido di zinco inserite nei pori della membrana. MEMBRANE PER LE FUEL CELLS

Le fuel cells sono dispositivi elet-

trochimici che trasformano in energia elettrica l’energia chimica delle reazioni di ossidazione, senza fiamma e senza parti in movimento. Le fuel cell più utilizzate sono le cosiddette PEM (Polymeric Electrolitic Membrane), basate su membrane di Nafion (un polimero ionomerico perfluorato simile al teflon, sviluppato dalla DuPont negli anni ’60). Queste membrane consentono la costruzione di fuel cells leggere, funzionanti a temperature poco superio-

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ri all’ambiente; presentano però problemi di costo e durata nel tempo. Recentemente, ricercatori giapponesi dell’Università di Yamanashi hanno annunciato la messa a punto di una nuova membrana, basata su un copolimero tra polifenilen-solfonato e quinquenilfenile; questa membrana è molto promettente per le sue caratteristiche di bassa permeabilità ai gas, resistenza alla degradazione termochimica ed elevata stabilità nel tempo.


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ECOTECH

a cura di ASSITA

La sintesi più ecologico ed economica di H2O2

Il CNR, attraverso l’Istituto di chimica dei composti organo metallici (ICCOM) e l’Istituto dei materiali per l’elettronica ed il magnetismo (IMEM), ha trovato un’alternativa per produrre il perossido di idrogeno (comunemente nota come acqua ossigenata) impiegando un innovativo nanomateriale, privo di componenti metalliche. Grazie a questo nuovo metodo, l’intero processo risulta più ecologico ed economico. Recentemente, l’interesse di molti ricercatori nel mondo si è focalizzato su un metodo che sfrutta idrogeno e ossigeno, cioè i due costituenti atomici della molecola. Un processo molto pulito, rispetto a quello tradizionale che usa l’antriachinone, ma che presenta un importante problema di sicurezza, dal momento che le miscele di idrogeno e ossigeno sono potenzialmente esplosive. Il processo messo punto a Trieste, invece, impiega come reagenti l’ossigeno e l’acqua. Per far reagire questi due componenti, il team di ricerca ha sviluppato un nuovo nanomateriale, ossia un catalizzatore basato su una componente carboniosa nanostrutturata appropriamente modificata che, a differenza di altri materiali carbo-

niosi già impiegati, è altamente selettivo ed efficiente e richiede solo modeste quantità di energia per innescare la reazione attraverso ossigeno e acqua. Inoltre, essendo privo di componenti metalliche, evita la reazione parallela e indesiderata di decomposizione, che in pratica è la reazione inversa a quella di sintesi. Questo determina un efficace accumulo di acqua ossigenata nel tempo. Il perossido di idrogeno è diffuso non solo come disinfettante ma anche come ingrediente in vari detergenti e nell’industria della carta e tessile per lo sbiancamento di cellulosa e indumenti. È una molecola molto versatile, con una molteplicità di applicazioni che implica una produzione annuale mondiale ai intorno ai 4.5 milioni di tonnellate. <<Visto il costo e l’impatto ecologico per la sintesi del perossido di idrogeno – speiga Paolo Fornasiero a capo del progetto di ricerca - il metodo da noi messo a punto potrebbe favorire una produzione più sostenibile e più economica, poiché eviterebbe l’attuale uso del palladio, metallo piuttosto costoso. In questo modo il composto potrebbe essere usato efficacemente anche per la rimozione di agenti inquinanti delle acque, perché non rilascia residui chimici nocivi, ed essere più diffuso quale disinfettante in ambito sanitario nelle aree economicamente più svantaggiate>>.

Ridurre le emissioni di metano con i batteri Molti processi, sia biologici che industriali, producono metano, che è un gas serra 15 volte più potente della CO2; è quindi importante catturare il metano prima che entri nell’atmosfera e, possibilmente, trasformarlo in biocarburanti o prodotti chimici utili. Un passo avanti nella comprensione dei meccanismi biologici atti a conseguire questi o-

biettivi è stato compiuto da un gruppo di ricercatori di varie università canadesi, neozelandesi e australiane, tra cui la Monash University (Australia). I ricercatori hanno isolato un batterio metanotrofico (Methylacidophilum sp.RTK17.1), presente in una sorgente geotermica neozelandese, che ossida rapidamente e simultaneamente metano e idrogeno, usando l’idrogeno come donatore di elettroni per la respirazione aerobica e la fissazione del carbonio; particolarmente importante risulta il fatto che questo meccanismo consente la metabolizzazione del metano anche in assenza di ossigeno.

Il calore di scarto per trattare i reflui Le acque fortemente inquinate, come il percolato delle discariche, le acque saline provenienti dalle trivellazioni di petrolio e gli scarichi dal processo di desolforazione dei fumi di inceneritori e grandi impianti di combustione, vengono di solito sottoposte a processi di evaporazione sotto vuoto, per ridurne il più possibile il volume prima dello smaltimento finale. La società americana Hertland Water Technology ha sviluppato un processo di evaporazione particolarmente efficiente, che utilizza calore di scarto, come quello ricavabile dai gas di scarico di motori alternativi fissi o gruppi a turbogas, oppure dalle torce di impianti di digestione anaerobica. Il cuore del sistema è denominato Heartland Concentrator, ed è un evaporatore a con-

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tatto diretto e ad alta turbolenza, dove l’aria calda viene insufflata direttamente in un miscelatore avente una grande area utilizzabile per il trasferimento termico tra gas e liquido. Usando aria calda, non sono più necessari i costosi scambiatori di calore tipici degli impianti tradizionali; l’efficienza termica può così raggiungere e superare valori di 80% e oltre. Rispetto agli evaporatori tradizionali, il costo viene ridotto del 40% o più. Attualmente, sono operativi 11 sistemi Heartland in varie località degli Usa, confermando la validità economica e l’affidabilità tecnica del processo.

Un catalizzatore sicuro per benzine di alta qualità Il processo di alchilazione è usato in quasi tutte le raffinerie perché consente di ottenere benzine con alto numero di ottani senza aumentare il contenuto di idrocarburi aromatici, che sono sospetti di nocività per la salute umana. Il processo avviene facendo reagire le olefine leggere provenienti dal cracking catalitico con isoparaffine (tipicamente isobutano) ottenute dalle frazioni di testa delle colonne di distillazione primaria. Nei processi fino ad oggi utilizzati, per far avvenire la reazione si è ricorso a un catalizzatore acido in fase liquida o gassosa, cioè acido solforico o acido fluoridrico; si tratta di sostanze altamente pericolose, che da tempo si cerca di sostituire con catalizzatori solidi. I tentativi compiuti finora non hanno avuto successo, soprattutto per la difficoltà di rigenerare periodicamente il catalizzatore in modo efficace.


Il nuovo processo AlkyClean della Albemarle costituisce un grande progresso in questo campo, perché prevede un ciclo di rigenerazione con idrogeno, in condizioni relativamente blande di temperatura e pressione; mettendo in parallelo due o più reattori è possibile avere una produzione continua, in quanto mentre un reattore è in rigenerazione, gli altri continuano la produzione. Il catalizzatore utilizzato, denominato AlkyStar, è basato su zeolite arricchita con basse concentrazioni di metalli nobili. Il processo AlkyClean è stato collaudato prima su scala pilota e poi su un impianto dimostrativo per oltre 2 anni; la prima unità commerciale è in esercizio dal 2015 nella raffineria cinese di Zibo.

Nuovo processo di clorurazione diretta I derivati clorurati degli idrocarburi leggeri sono intermedi chimici molto importanti, utilizzati per la sintesi di materie plastiche, gomme sintetiche, vernici protettive, fitofarmaci, medicinali, ecc. Fino ad oggi sono stati preparati per reazione degli idrocarburi olefinici, come etilene e propilene, con cloro gassoso; questo viene prodotto per elettrolisi di soluzioni di cloruro di sodio, secondo il ben noto processo cloro-soda. La società californiana Chemetry ha recentemente annunciato un modo del tutto nuovo di produrre idrocarburi clorurati, trasferendo direttamente gli ioni cloruro dalla soluzione all’idrocarburo, senza più passare per la produzione di cloro gassoso; questo evita i rischi associati alla compressione, stoccaggio e trasporto del cloro gassoso, e consente notevoli risparmi sia sui costi energetici che sulle spese di gestione del processo. Nel nuovo processo, denominato eShuttle, il ruolo di trasportatori del cloro è svolto da ioni di rame,

che nel compartimento anodico si ossidano passando da cloruro rameoso a cloruro rameico; quest’ultimo composto cede successivamente il cloro agli idrocarburi, in una reazione che si compie in fase acquosa. La cella elettrochimica è praticamente identica a quella del processo tradizionale nella parte catodica, dove si sviluppa idrogeno; nella parte anodica invece non si ha sviluppo di gas, il che consente maggior semplicità costruttiva e spazi ridotti. I problemi associati alla distribuzione degli ioni rame intorno all’anodo sono stati risolti realizzando elettrodi in forma di rete, che agiscono da miscelatori statici, e installando una membrana a scambio anionico per bloccare la diffusione del rame. La realizzazione del primo impianto commerciale è stata resa possibile dalla cooperazione della Chemetry con la FuMA-Tech (che ha fornito le membrane), Covestro (che ha fornito i catodi) e una società specializzata in saldature laser, che ha realizzato costruttivamente la cella.

Produrre birra con meno energia E’ stato di recente presentato il primo sistema al mondo che, grazie all’integrazione di processi di cavitazione idrodinamica controllata, sostituisce le tecnologie

esistenti per la “cottura” del mosto di birra. L’industrializzazione si è fondata sulle ricerche dell’Istituto di biometeorologia (IBIMET) del CNR, nell’ambito del progetto Tila (Tecnologia innovativa liquidi alimentari), cofinanziato dalla Regione Toscana. Questa nuova tecnologia, brevettata dal CNR e dalla società Bysea, che hanno depositato anche il relativo marchio “Cavibeer”, consente una riduzione dei consumi di energia di oltre il 40%, oltre che dei tempi di lavoro di oltre il 50%, e tutto ciò grazie anche al fatto che vengono eliminate alcune fasi del processo produttivo, come la triturazione a secco dei grani e la bollitura del mosto.

Grafene per batterie ad alta capacità

L’aumento della capacità delle batterie consentirebbe di risolvere uno dei principiali problemi delle auto elettriche, cioè la loro limitata autonomia. Una delle tecnologie allo studio per ottenere questo obiettivo è l’utilizzo di composti tra silicio e grafene per la composizione degli anodi, al posto degli attuali anodi in grafite; finora però l’aggiunta di silicio portava ad una riduzione della vita utile della batteria. Il problema è stato risolto dalla SiNode Systems (Usa), in collaborazione con la PPG (Usa) e la società canadese Raymor Industries. In particolare, SiNode ha messo a punto un processo per la produzione di nano-scagliette costituite da pochi strati di grafene, partendo da metano e trattando questo idrocarburo con plasma. L’alta temperatura del plasma dissocia il metano in carbonio e idrogeno, e durante il raffreddamento in uno speciale reattore gli atomi di carbonio cristallizzano secondo la struttura del grafene. Ri-

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spetto ai processi tradizionali, quello al plasma è di tipo continuo ed assicura una migliore uniformità e qualità del prodotto finale. I passaggi successivi saranno la messa a punto del processo di rivestimento del silicio con il grafene, nonché la formazione di dispersioni stabili, adatte alla produzione degli anodi su scala industriale.

Biodiesel dai fondi di caffè Gli autobus di Londra verranno presto alimentati con un nuovo biocarburante, denominato B20 e prodotto a partire dagli oli vegetali contenuti in materie di scarto, come fondi di caffè ed altri oli e grassi di recupero. Il processo per estrarre gli oli è stato sviluppato dalla Bio Bean, mentre la conversione in biodisesel verrà compiuta dalla Agent Energy; la Shell si occuperà invece delle fasi di miscelazione e distribuzione. Il B20 è composto dal 20% di biodiesel + 80% gasolio; rispetto al normale gasolio ha un’efficienza energetica maggiore dell’85% e consente una riduzione da 10 a 15% delle emissioni di CO2. Le “materie prime” vengono raccolte da Bio Bean mediante accordi con produttori di caffè e catene di bar-ristoranti; i fondi di caffè vengono essiccati e trattati con processi di estrazione al solvente, in modo da isolare le frazioni oleose. Il solvente viene recuperato, e l’olio viene miscelato con altre sostanze grasse di origine biologica; la miscela viene sottoposta al processo di trans-esterificazione e il risultato, mescolato con gasolio, fornito direttamente alla società di trasporto pubblico di Londra.


LE AZIENDE CITATE +GAS project Tel 051.6098459 E-mail giuseppe.nigliaccio@enea.it

Compact Membrane System Tel +1.302.9997996 E-mail membranes@compactmembrane.com

LifeGate Spa Tel 02.45374850 E-mail info@lifegate.it

3P Engineering Srl Tel 071.7451535 E-mail francesca.galeazzi@3pengineering.it

CryoHub project Tel +44.20.7815.7626 E-mail j.a.evans@Isbu.ac.uk

Malmberg Italia Tel 346.8210876 E-mail gianandrea.ragno@malmberg.se

Acquedotto Pugliese Spa Tel 080.5723498 E-mail comunicazione@aqp.it

Directa Plus Spa Tel 02.93664293 E-mail michela.fumagalli@directa-plus.com

Monash University Tel +61.3.99034840 E-mail media@monash.edu

Albemarle Corp. Tel +1.980.2995640 E-mail hailey.cobb@albemarle.com

Ecopneus Tel 02.929701 E-mail ufficiostampa@ecopneus.it

Neometals Ltd Tel +61.8.93221182 E-mail info@neometals.com.au

BAW Environmental Engineering Srl Tel 0175.86642 E-mail claudiosandrone@baw-env.it

Eidgenossische Technische Hochschule Tel +41.44.6324141 E-mail mediarelations@hk.ethz.ch

OxyMem Ltd. Tel +353.906.465727 E-mail sales@oxymem.com

Bio Bean Ltd Tel +44.203.7446500 E-mail marketing@bio-bean.com

Fluence Corp. Tel +1.212.5725700 E-mail info@fluencecorp.com

PPG Tel +1.412.4343046 E-mail silvey@ppg.com

Biótica Bioquímica Analítica Sl Tel +34.964.108131 E-mail info@biotica.es

Hertland Water Technology Inc. Tel +1.800.7591758 E-mail info@heartlandtech.com

RenOils Tel 02.45703058 E-mail consorzio.renoils@gmail.com

Calabra Maceri e Servizi Spa Tel 0984.448018 E-mail info@calabramaceri.it

IBIMET-CNR Tel 055.3033733 E-mail f.meneguzzo@ibimet.cnr.it

Ricerche CAP Tel 02.82502357 E-mail ufficio.stampa@guppocap.it

Chemetry Corp. Tel +1.831.7316000 E-mail info@chemetrycorp.com

ICCOM-CNR Tel 040.5583973 E-mail pfornasiero@units.it

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