Hi-Tech Ambiente n.2 - Febbraio 2020

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXXI FEBBRAIO 2020

N2



SOMMARIO 4

PANORAMA

MACCHINE & STRUMENTAZIONE

Il monitoraggio dei vapori provenienti dal sottosuolo 34

DEPURAZIONE Gli evaporatori a multiplo effetto

Messa a punto e brevettata una particolare camera di flusso dinamica per la determinazione diretta delle sostanze volatili emesse dai terreni contaminati

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Nella produzione di energia elettrica da biogas, di grande efficacia è il trattamento dei reflui mediante evaporazione sottovuoto

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L’analisi dei gas con VarioLuxx

Depuratori: l’efficienza premia

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Una strumentazione estremamente versatile grazie alla combinazione della tecnologia ad infrarossi con i sensori elettrochimici

Grazie a uno specifico software, gli impianti di trattamento dei reflui generano meno gas serra, risparmiano energia e riducono le bollette dell’acqua

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AQMesh: che aria tira? Centralina di analisi degli inquinanti atmosferici con trasmissione wireless delle misure

SPECIALE “DEPURAZIONE DEL PERCOLATO DA DISCARICA” 15

TECNOLOGIA

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Il decommissioning industriale Esempi di messa in sicurezza di strutture abbandonate con presenza di sostanze pericolose

RIFIUTI I trattamenti della forsu

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Da fly ash a zeoliti

Gli impianti integrati di digestione anaerobica (a umido o a semi-secco) e di compostaggio rappresentano oggi la soluzione migliore

La trasformazione economicamente conveniente di uno scarto industriale in un materiale utile per la bonifica

La disintegrazione elettrocinetica

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Un dispositivo basato su campo elettrico ad alto potenziale che disgrega i materiali sospesi per una miglior gestione dei fanghi prima e dopo il digestore

Plastica e metanolo dall’anidride carbonica

Biometano liquido e ghiaccio secco dal biogas

Hera: bus e taxi vanno a biometano

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Messo a punto su scala di laboratorio un processo applicabile anche a impianti di medio-piccole dimensioni

BIOMASSE & BIOGAS Milleproroghe: ancora incentivi per il 2020

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In sperimentazione due interessanti tecnologie a ridotto dispendio energetico per il riutilizzo del gas serra grazie a processi e catalizzatori speciali

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ECOTECH

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La mobilità diventa sostenibile grazie all’uso di carburante rinnovabile al 100% prodotto nell’impianto di S. Agata Bolognese

INSERZIONISTI 33

ENERGIA

GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 50

• AMG Impianti Srl • Aqseptence Srl • Bruno Wohlfarth Srl • CID Ing Ventura Srl • Ecomedit Srl • Formeco Srl • Forrec Srl • Hysytech Srl

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• Idroclean Srl • NCR Biochemical Spa • Nuovo Srl • Owac Srl • Plastic Proget European Srl • Ragazzini Srl • Scolari Srl • Simam Spa


panorama Due nuoVI DIpartImentI

Imprese pIu’ attente

Il MinAmbiente si riorganizza

Aumentano gli Energy Manager

e’ stato di recente approvato il decreto del presidente del Consiglio dei ministri relativo alla riorganizzazione del ministero dell’ambiente. Il provvedimento rinnova totalmente il minambiente, che vede nascere due dipartimenti: il primo gestirà la tutela dell’ambiente, in tutte le sue componenti, all’interno del quale nascerà una nuova direzione ad hoc sul mare, oltre alle sette già esistenti su natura, dissesto idrogeologico e acqua, economia circolare, crescita sostenibile, cambiamenti climatici e risanamento ambientale; il secondo si occuperà della transizione ecologica, coordinando le competenze su crescita verde, economica circolare e sviluppo sostenibile. La nuova organizzazione amministrativa, realizzata senza spese, si articola ora secondo un sistema più

Continua il trend di crescita degli energy manager nominati (circa 8% in 5 anni). nel 2018 le nomine sono state 2.353, di cui 1.589 da soggetti obbligati e 764 da soggetti non obbligati. Capofila tra i settori è sempre il terziario (con 483 nominati), seguito a ruota dall’industria (432 nomine), ultima la pubblica amministrazione che registra addirittura una diminuzione rispetto al 2017: meno della metà delle città metropolitane ha inviato la nomina, i capoluoghi di provincia che hanno nominato un energy manager sono invece 31 su 116. I comuni non capoluogo presenti sono solo 58. Il tasso di nomine relative alle regioni

moderno a responsabilità distribuite fondato su due Capi dipartimento, che saranno chiamati a coordinare i temi generali, e otto Direzioni generali, a presidio dei settori di competenza.

è pari al 35%, mentre va peggio per le province con un basso 20%. Questi i principali dati che emergono dal “rapporto sugli energy manager in Italia – indagine, evoluzione del ruolo e statistiche” realizzato da Fire. naturalmente la crescita degli energy manager è un fatto positivo, che testimonia una maggiore attenzione al tema energetico-ambientale da parte delle imprese, che possono migliorare la propria competitività attraverso un uso più efficiente delle risorse e conseguire altri benefici su aspetti quali il valore degli asset, la produttività, la sicurezza e il comfort, etc.

Un network per l’eco-edilizia

Venetian Green Building Cluster è un’aggregazione di imprese e soggetti pubblici veneti, di recente formazione, che sostiene l’in-

novazione nell’edilizia sostenibile. Il network, già ora di oltre 80 realtà e riconosciuto dalla regione Veneto come rete Innovativa regionale, mira a favorire la diffusione di un’edilizia ad alte prestazioni energetiche e ambientali. allo scopo, darà vita a progetti di ricerca e innovazione, raccogliendo fondi regionali e nazionali e diventando punto di riferimento per l’aggiornamento professionale del settore e interlocutore strategico per le amministrazioni. Il Veneto è particolarmente all’avanguardia in questo ambito, come dimostrano i numeri: secondo l’annuario statistico regionale, l’80% delle imprese è green e il 60% mira a ridurre il proprio impatto ambientale fin dalla fase di progettazione. Inoltre, la naturale vocazione all’export le spinge a migliorare ulteriormente gli standard ambientali dei propri prodotti e servizi.

La norma “end of waste” Con il DL Imprese ha ottenuto il via libera anche la nuova normativa "end of Waste", che consente il riciclo di nuovi materiali, bloccati nel 2018 da una sentenza del Consiglio di stato, a causa dell’assenza di una specifica legislazione. L'articolo 14 bis della legge di conversione recepisce le direttive ue del 2018 sull'economia circolare, che regolano le attività di riciclo; ma principalmente permette a regioni e province (in assenza di un’autorizzazione del ministero dell'ambiente) di autorizzare le aziende al riciclo di rifiuti che finora finivano in discarica o negli inceneritori.

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L'articolo prevede anche una banca dati nazionale di tutte le aziende che riciclano e controlli dell'Ispra rafforzati. ad oggi tra le richieste di autorizzazione per il riciclo di nuovi materiali vi sono quelle relative a: plastiche miste, scarti della carta, terre e rocce da scavo, polveri post combustione, scarti del vetro, oli lubrificanti; ma sono almeno 835 i tipi di rifiuto che potrebbero ottenere l'autorizzazione a diventare "materia prima seconda". e’ stato stimato che l’”end of waste” sottrarrà da discariche e incenerimento oltre 70 milioni di tonnellate di rifiuti all'anno.



secondo l’edizione 2019 del "rapporto rifiuti urbani" dell'Ispra, la produzione di rsu in Italia nel 2018 è tornata a crescere, in linea con i valori del pil, attestandosi a +2% rispetto al 2017, pari a poco meno di 500 kg pro capite. si tratta di quasi 30,2 milioni di tonnellate, così distribuite: 14,3 mln di ton al nord, 6,6 mln di ton al Centro e 9,26 mln di ton al sud. Dal rapporto emerge anche che gli rsu prodotti sono stati gestiti da 646 impianti, di cui 353 al nord, 119 al Centro e 174 al sud. oltre la metà di questi è dedicata al trattamento dell'organico (339 impianti), che rappresenta il più raccolto, sebbene alcune regioni non hanno impianti per trattarlo. sempre secondo l’Ispra, inoltre, gli impianti di trattamento non sono al passo con le esigenze della differenziata, poichè pochi e

rapporto Ispra

mal distribuiti. sono solo 7 le regioni italiane che superano l'obiettivo del 65% fissato, al 2012, dalla normativa. In discarica sono state smaltite quasi 6,5 milioni di tonnellate (pari al 22%), con una riduzione del 6,4%. solo al Centro si è registrato un +4,3%, mentre nord e sud sono scesi rispettivamente del 10% e 9%. Le discariche operative sono 127: 56 al nord, 25 al Centro e 46 al sud. e se nel 2018 sono state esportate all'estero 500.000 tonnellate di rifiuti (l'1,5% dei rsu prodotti, pari a +31% rispetto al 2017), calano dell'8% le importazioni. per l'Ispra a livello nazionale il costo totale medio pro-capite all'anno per i rifiuti urbani è cresciuto di 3,46 euro: pari a 174,65 euro; ed è nel Centro Italia dove si paga di più (208,05 euro).

La produzione di rsu cresce

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Il Catalogo degli eco-sussidi dannosi e favorevoli e’ online il “Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli” 2017. Come previsto dal Collegato ambientale del 2015, il ministero dell’ambiente deve predisporlo annualmente, entro il 30 giugno, avvalendosi anche delle informazioni rese dall’Ispra, dalla Banca d’Italia, da mi-

nisteri, regioni, enti locali e gli altri centri di ricerca. In base alle disposizioni di legge, i sussidi del catalogo sono intesi nella loro definizione più ampia e comprendono, tra gli altri, gli incentivi, le agevolazioni, i finanziamenti agevolati e le esenzioni. obiettivo del catalogo è sostenere il parlamento e il go-

verno nella definizione delle politiche ambientali tese ad accogliere le raccomandazioni comunitarie e internazionali. Quest’ultima edizione del catalogo identifica sussidi favorevoli stimati per il 2017 in 15,2 miliardi di euro, mentre quelli dannosi sono stimati in 19,3 miliardi. Come afferma il ministro dell’ambiente sergio Costa nella prefazione, “con questo secondo catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli, il ministero prosegue nel suo impegno di fornire ai cittadini, alle imprese e agli studiosi un importante strumento di conoscenza, al parlamento e al Governo un importante strumento di conoscenza ma anche di decisione. Il catalogo ha fini conoscitivi: a noi la responsabilità di trarne le conclusioni e agire”.

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ECO-AUTO: ITALIA DA RECORD PER METANO nell’ambito dei veicoli ecologici, in Italia i più venduti sono rappresentati dalle automobili ibride e alimentate a metano, che rappresentano rispettivamente il 3,2% e il 2% dell'intero mercato europeo. e’ quanto emerge dagli ultimi dati di acea, l'associazione delle case automobilistiche europee, sulla transizione verso la mobilità a emissioni zero. La fotografica relativa alla diffusione al 2018 degli ecoveicoli mette in evidenza una netta differenza tra ovest ed est europa. In pole position per auto elettriche a batteria e plugin vendute è la Germania, con 67.504 veicoli (2% quota di mercato), seguita da uK (59.911, 2,5%) e Francia (45.587, 2,1%); fanalino di coda la Lettonia (0,6% del mercato). stessa classifica per le ibride, con Germania (98.816, pari al 4,8% del mercato), Francia (91.815, 4,6%) e al terzo posto l’Italia (81.892, 3,2%). sempre per l'Italia record di vendite in ue di auto a metano: 37.406, pari al 2% del mercato totale.


enea e FeDerDIstrIBuzIone

L’economia circolare al supermarket un patto per sviluppare modelli innovativi che incentivino le aziende della Distribuzione moderna organizzata (Dmo) e i consumatori a perseguire comportamenti sempre più virtuosi e azioni sinergiche che favoriscano la formazione delle professionalità green del futuro e intercettino risorse e fondi utili a far decollare sempre più il settore dell’economia circolare in Italia. sono questi i contenuti principali del protocollo sottoscritto da enea e Federdistribuzione (espressione della Dmo in Italia), un programma di lungo periodo che mette al centro il mondo della Dmo per creare una cultura della sostenibilità più forte attraverso azioni e strumenti concreti messi a disposizione di aziende e consumatori. La Distribuzione moderna organizzata può avere un ruolo strategico nella diffusione di modelli di consumo più sostenibili ed efficienti e di soluzioni innovative per ridurre gli scarti, i rifiuti, ottimizzare la

produzione di beni e servizi e la rigenerazione dei materiali. a livello operativo, enea renderà disponibili metodologie, processi, soluzioni tecnologiche innovative per individuare percorsi di efficientamento e riduzione dell’impatto nelle fasi di distribuzione, consumo e post consumo. In particolare, la collaborazione con Federdistribuzione e le sue imprese associate sarà avviata su alcune linee di attività principali: lo studio e la definizione di un modello di raccolta multipla di determinate tipologie di rifiuti o altri oggetti conferiti dai consumatori presso i punti vendita della Dmo, anche in relazione alle diverse dimensioni degli esercizi

commerciali; un’analisi dei sistemi di cauzione per la restituzione degli imballaggi nei punti vendita al fine di verificarne la praticabilità sotto il profilo organizzativo e normativo; l’analisi e l’individuazione di materiali alternativi per il confezionamento dei prodotti sfusi e preimballati, anche in stretto collegamento con i progetti e le linee di ricerca su materiali plastic-free che enea sta sviluppando in questo settore. proprio sul tema della plastica, tra i più sentiti nell’opinione pubblica oggi, lo stop alla vendita delle stoviglie in plastica monouso, previsto dalla direttiva ue per il 2021, è stato anticipato da Federdistribuzione e dalle sue associate con l’introduzione di prodotti “alternativi”, stoviglie in materiale riciclabile e compostabile, già da luglio 2019. si tratta del punto di partenza di un percorso di 12 mesi che prevede il raggiungimento, entro fine giugno 2020, della totale eliminazione dagli scaffali in oltre 15.000 punti

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vendita di 13 miliardi di prodotti non riciclabili. Grande attenzione verrà inoltre riservata alle cosiddette nuove professioni green, nell’ottica non solo di educare ma anche di indicare nuove opportunità lavorative in un contesto in forte cambiamento. Il protocollo prevede la preparazione congiunta di materiali e seminari per dare ai giovani strumenti di inserimento e crescita aziendale, creando i green worker del futuro. Questo grande cambiamento può essere facilitato e accelerato anche dalla disponibilità di fondi e dalla capacità di intercettarli. L’ultimo punto del protocollo spiega infatti che Federdistribuzione ed enea si impegneranno in un’attività di scouting in Italia e in europa per valutare le opportunità che potranno presentarsi, per poi attivarsi nell’applicazione di idee che possono essere finanziate, abbinando la competenza di enea e la capacità realizzativa delle imprese di Federdistribuzione.




DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

Gli evaporatori a multiplo effetto Formeco

nella produzione di energia elettrica da biogas, di grande efficacia è il trattamento dei reflui mediante evaporazione sottovuoto Gli impianti a biogas, come noto, sono delle strutture che utilizzano biomasse di diversa origine per produrre, attraverso la digestione anaerobica, una miscela gassosa composta da ossigeno, vapore acqueo, metano e altri tipi di gas, utilizzata per generare energia elettrica e quasi sempre anche termica (cogenerazione). esistono diverse tipologie di biomasse che possono derivare da scarti di origine agro-industriale, da liquami provenienti dagli allevamenti, dai rifiuti urbani e da scarti forestali (di solito con questo termine si i-

dentificano i residui a basso contenuto di lignina provenienti dalle opere di restyling del verde urbano). La rivoluzione sta nella modalità di produzione del gas, completamente naturale. In ragione di ciò, gli impianti a biogas sono molto importanti se si desidera produrre energia rinnovabile rispettando l’ambiente che ci circonda in quanto è una fonte di produzione di energia elettrica che si trova facilmente in natura. sintetizzando il processo che compone l’intera filiera, dalla raccolta alla

produzione di energia elettrica, le fasi di lavorazione sono principalmente: stoccaggio in un locale dedicato dei composti organici (forsu, scarti agricoli, ecc); separazione primaria in base alla natura degli stessi; compostaggio della frazione solida; stoccaggio di liquidi ad alto contenuto energetico; rimozione degli scarti solidi non decomposti (noccioli, gusci di conchiglia, ecc.); digestione anaerobica; centrifugazione del digestato; generazione di energia elettrica mediante un bruciatore di biogas; trattamento bio-

Evaporatore Formeco a 3 effetti in una stazione di biogas

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logico del refluo del digestato; evaporazione dei reflui in uscita dal modulo biologico. L’integrazione dell’impianto di evaporazione con un impianto di cogenerazione da biogas consente di sfruttarne l’energia termica di risulta. a questo proposito, Formeco, specializzata nel campo degli impianti di distillazione ed evaporazione, ha sviluppato una linea di evaporatori sottovuoto atti a questo trattamento. si tratta di impianti normalmente a multiplo effetto, dimensionati in ragione


Evaporatore Formeco a 3 effetti in una stazione di biogas

della quantità oraria da trattare. Il distillato risultante dal processo di evaporazione, se caratterizzato da un valore di C.o.D. nei limiti di tabella, può essere scaricato in fognatura. nel caso in cui, nonostante il trattamento, il C.o.D., risultasse superiore ai limiti stabiliti, l’impianto può essere affiancato da un post-trattamento biologico, a membrane o da un modulo per togliere l’ammoniaca. Il concentrato può essere inviato allo smaltimento, ma può essere altresì sottoposto a un ulteriore trattamento di concentrazione, tramite un evaporatore a singolo effetto raschiato. Il rapporto di concentrazione si aggira normalmente su 5–6 volte il valore iniziale, che può arrivare a 7-8 volte con il post trattamento dell’evaporatore concentratore. Il sistema di alimentazione degli impianti prevede il riutilizzo del calore sviluppato da fonti esterne di energia (nel caso specifico normalmente gli impianti di produzione di biogas). Il complesso di evaporazione sarà quindi alimentato da acqua surriscaldata, e raffreddato da una torre di refrigerazione o dry-cooler. Il sistema multi-effetto permette di ridurre il consumo termico del processo di evaporazione. si tratta normalmente di impianti a 2 o 3 effetti. nel primo effetto dell’evaporatore, costituito da uno scambiatore di calore, da un’unità evaporativa, da una pompa di circolazione forzata e da uno scambiatore condensatore, il processo viene condotto a una pressione ridotta corrispondente a un intervallo di temperatura di ebollizione di 7085 °C. Il riscaldamento della soluzione da evaporare avviene nello scambiatore di calore mediante circolazione di acqua calda. Il vapore prodotto viene condensato, alimentando così il secondo effetto

dell’evaporatore, che è costituito da una seconda unità di evaporazione, una seconda pompa di circolazione forzata della soluzione in trattamento e da un secondo condensatore. nel secondo effetto il processo è condotto a una pressione più bassa del primo e a una temperatura corrispondente a 55-70 °C. Il vapore prodotto nel secondo effetto viene condensato, alimentando così il terzo effetto dell’evapora-

tore, costituito da una terza unità di evaporazione, una terza pompa di circolazione forzata della soluzione in trattamento e da un terzo condensatore. nel terzo effetto il processo è condotto a una pressione più bassa del secondo e a una temperatura compresa tra 40 e 55 °C. La soluzione concentrata dall’impianto multi-effetto può essere trasferita a uno o più concentratori in linea per il raggiungimento

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della massima concentrazione in tDs. Il vapore totale prodotto viene condensato con acqua, in un unico condensatore, alimentato da unità di raffreddamento esterna (torre di refrigerazione) o tramite dry-cooler. Il vuoto necessario per il funzionamento degli evaporatori è ottenuto con un unico gruppo di vuoto. Lo scarico del concentrato è temporizzato e può essere effettuato a controllo di densità.


Depuratori: l’efficienza premia Progetto C-Foot-CTRL

Grazie a uno specifico software, gli impianti di trattamento dei reflui generano meno gas serra, risparmiano energia e riducono le bollette dell’acqua I processi di trattamento delle acque reflue impiegano notevoli quantità di energia ed emettono diversi gas a effetto serra. uno strumento di monitoraggio online aiuterà gli impianti a operare in modo più fluido e a contribuire in minor misura ai cambiamenti climatici. nell’unione europea il trattamento delle acque reflue è un processo di importanza cruciale, ma inefficiente: richiede grandi quantità di energia e rilascia moltissime emissioni. attualmente, rappresenta circa il 3% del consumo energetico nei paesi sviluppati e l’efficienza energetica standard degli impianti di trattamento europei è inferiore al 50%. tutta

una serie di gas nocivi, inoltre, viene diffusa nell’atmosfera durante varie fasi del processo, ovvero quelle relative al consumo energetico o chimico e allo smaltimento degli effluenti indesiderati o alla gestione dei fanghi di depurazione. «Gli impianti di trattamento dei reflui sono una significativa fonte antropogenica di emissioni di gas serra - afferma andreas andreadakis dell’università di atene e coordinatore del progetto C-Foot-CtrL - tra di essi figurano anidride carbonica, metano e protossido di azoto (n 2o), gli ultimi due dei quali causano danni rispettivamente 25 e 265 volte superiori rispetto alla Co2 in un periodo di 100 anni».

riprogettare gli impianti o il modo in cui operano potrebbe rappresentare l’inizio della soluzione di questa triste situazione. CFoot-CtrL è un progetto finanziato da Horizon2020 che ha creato uno strumento software per dare l’avvio a tale processo risolutivo. Questo strumento si configura come un sistema di monitoraggio online dedicato agli impianti di trattamento, in grado di prevedere e registrare in modo accurato le emissioni di gas e di identificare le fonti di inquinamento e di inefficienza. successivamente, fornisce suggerimenti sulle aree in cui sarebbe possibile apportare dei miglioramenti per ridurre l’impronta di carbonio.

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MISURARE L’IMPRONTA DI CARBONIO

Il gruppo responsabile di C-FootCtrL ha creato un nuovo strumento per l’analisi dei gas allo scopo di monitorare le emissioni e di registrare online le informazioni. e particolare attenzione è stata rivolta alla misurazione online dell’n 2 o, dato che quasi l’8% delle emissioni antropogeniche di gas serra sono dovute proprio all’n2o e gli impianti di trattamento dei reflui contribuiscono a tali emanazioni per una percentuale pari al 3,2%. Lo strumento registra e traccia le emissioni alla fonte in modo preciso e in tempo reale e, in caso di necessità, avvia


Lo strumento è stato testato con successo in due diversi impianti di trattamento, in Grecia e nel regno unito. VANTAGGI APPORTATI

i processi di mitigazione. allo stesso tempo, il sistema rivela la specifica attività all’origine del problema preso in considerazione. Lo strumento di C-Foot-CtrL comprende tre componenti di base: banche dati, misurazioni online e un modello informatico dinamico in grado di determinare l’impronta di carbonio. Grazie

all’interfaccia utente, i risultati del sistema di monitoraggio vengono fatti pervenire agli operatori degli impianti. Questo software innovativo è progettato per essere un sistema flessibile a basso costo basato su reti di sensori integrati per il monitoraggio e la supervisione di attività intese a ridurre le emissioni di gas serra. nel rivelare le debolezze a livello

strutturale, dovrebbe anche stimolare nuove progettazioni. «C-Foot-CtrL incoraggerà i servizi idrici a intensificare i propri sforzi - dichiara andreadakis - e a collocare nuove tecnologie al centro delle loro strategie di innovazione sulla base dell’analisi delle prestazioni dei loro impianti di trattamento delle acque reflue».

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Lo strumento e le sue conseguenti ripercussioni contribuiranno alla lotta contro i cambiamenti climatici e l’inefficienza energetica in tutta l’ue. esso, inoltre, migliorerà il funzionamento quotidiano degli impianti, il che dovrebbe portare a un innalzamento della qualità di vita delle comunità locali. tra l’altro, ridurre l’impronta di carbonio dovuta agli impianti di trattamento delle acque reflue può anche comportare implicazioni positive per le tariffe idriche. «Lo strumento di C-Foot-CtrL e l’attuazione delle opportune strategie di mitigazione per i gas serra - spiega andreadakis - può diminuire il consumo energetico generato dal depuratore e, di conseguenza, il servizio di gestione delle acque reflue può diventare più economico, il che si può riflettere nelle bollette dell’acqua pagate dai clienti».


Meno rifiuti nei reflui agroalimentari Digestore sequenziale

una tecnologia pionieristica, compatta e multifase, rende il trattamento efficiente e conveniente, aumentando la competitività Il settore agroalimentare industriale genera enormi quantità di acque reflue, il cui contenuto estremamente elevato di materia organica, ossia CoD (chemical oxygen demand), deve essere trattato per garantire uno scarico sicuro nelle acque di superficie. attualmente, anche i sistemi di trattamento tecnologicamente più avanzati devono far fronte a importanti limitazioni che hanno un impatto sull’industria e sull’ambiente. I ricercatori che lavorano al progetto europeo anaergy hanno sviluppato una macchina compatta e ad alta efficienza per il trattamento di questi reflui. tale struttura risulta particolarmente adatta per le piccole e medie imprese (pmI), che rappresentano il 99% delle realtà del settore agroalimentare e il cui elevato rapporto rifiuti/prodotto incide molto sulla loro redditività. attualmente, i digestori anaerobici più avanzati eliminano solo il 60-80% circa della materia organica. Inoltre, la loro produzione di biogas, che potrebbe essere utilizzata per alimentare il trattamento delle acque reflue, è efficiente solo al 35-50%. L’elevato contenuto di CoD dopo la digestione anaerobica rende necessario il post-trattamento. tuttavia, l’aggiunta di un altro processo accresce l’incertezza del risultato, richiede più spazio in fabbrica per le attrezzature e, ovviamente, costi più elevati per le pmI. molte di queste aziende non possono

permettersi tale investimento, con conseguenti spese e sanzioni. «La maggior parte degli scarichi inquinati va nei fiumi o agli impianti di trattamento dei reflui urbani, che non sono progettati per questo tipo di acque reflue, 30 volte più inquinate di quelle urbane - afferma Joaquin murria martin, coordinatore del progetto - in questo modo, i depuratori dei reflui urbani sono sovraccarichi e funzionano in modo inefficiente, consumando un eccesso di energia e sostanze chimiche. Il tratta-

mento dell’acqua al punto di scarico è 25 volte più economico rispetto al trattamento una volta miscelata con il resto delle sostanze inquinanti». allo scopo viene in soccorso anaergy che ha prodotto un digestore sequenziale multifase brevettato, il primo in assoluto a riunire in un sistema compatto la digestione anaerobica e aerobica con i fotocatalizzatori. L’impianto è caratterizzato da un controllo automatizzato e da una notevole efficienza globale, che sfrutta le

Digestore sequenziale multifase

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migliori prestazioni in ogni fase del processo sequenziale. In altre parole, il tutto è maggiore della somma delle parti. Fattore chiave del successo è la tecnologia anaerobica a marchio puremust, un sistema specializzato nell’eliminazione dei nitrati sviluppato nell’ambito del progetto anaergy. Il prototipo è stato testato in quattro impianti pilota. Ha raggiunto il 99,8% di eliminazione del CoD, facilitando lo scarico diretto sul suolo. eliminando la necessità di un post-trattamento si riducono anche i costi operativi del 60%. La tecnologia anaergy costa 150 000 euro, molto meno dei digestori convenzionali, e aumenta l’efficienza della produzione di biogas fino al 60 %. La riduzione dei costi di investimento, operativi e di manutenzione, unita all’utilizzo del biogas prodotto per alimentare l’impianto, consente un ritorno sull’investimento entro 12-20 mesi. Il consorzio mira alla commercializzazione dell’impianto nel primo trimestre del 2021. Indubbiamente, i risultati di anaergy aumenteranno significativamente la redditività e l’eco-compatibilità delle pmI dell’industria agroalimentare. riducendo al minimo lo scarico di sostanze inquinanti nei fiumi e l’eccessivo utilizzo di energia e sostanze chimiche associato al trattamento delle acque reflue urbane, i risultati di anaergy apporteranno anche importanti benefici per l’ambiente.


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SPECIALE

LA DEPURAZIONE DEL PERCOLATO DA DISCARICA


SPECIALE LA DEPURAZIONE DEL PERCOLATO DA DISCARICA

La fitobonifica del percolato da discarica Un progetto rivoluzionario

Sei Toscana e la spinoff Pnat realizzeranno un impianto sperimentale di smaltimento naturale Sei Toscana è pronta ad avviare una sperimentazione destinata a rivoluzionare la catena del riciclo dei rifiuti. È in fase di avvio, infatti, il progetto di realizzazione dell’impianto sperimentale per la fitobonifica del percolato prodotto dalla discarica di Cornia nel, comune di Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena. L’impianto, che ha avuto l’autorizzazione della Regione Toscana, è stato realizzato da Sei Toscana in collaborazione con Pnat, spinoff dell’Università di Firenze, e ha come obiettivo quello di smaltire in modo del tutto naturale il percolato, uno dei residui liquidi più difficili da depurare sia per il carico inquinante che per la sua variabilità nel tempo. Il percolato trae origine dall’infiltrazione d’acqua nella massa dei ri-

fiuti o dalla decomposizione degli stessi presenti in discarica e, ad oggi, la sua depurazione avviene prevalentemente all’esterno degli impianti, che lo inviano con autocisterne ad impianti autorizzati al trattamento. Il tutto con costi molto elevati, sia da un pun-

to di vista economico che ambientale. Il progetto di Sei Toscana potrebbe invece segnare una svolta nella gestione di questa tipologia di rifiuto. Questo impianto è parte del progetto di ricerca, denominato “Beyond the landfill 4.0” promosso da Sei Toscana attraverso il contratto di rete, A.r.i.s., firmato da alcune delle più importanti multiutility nazionali, propedeutico alla creazione del primo Centro di ricerca e sviluppo industriale italiano del settore dell’economia circolare. <<La realizzazione di un Centro di ricerca e sviluppo con un approccio multidisciplinare – spiega Alfredo Rosini, direttore generale di Sei Toscana - rappresenta una vera novità nel panorama italiano. Il progetto promosso da Sei

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Toscana e Acea Ambiente ha riscosso l’interesse ed è stato condiviso da alcune delle più importanti realtà nazionali, come Estra e Rea Impianti. È un segnale importante di un nuovo modo di lavorare che diverrà fondamentale per lo sviluppo dell’intero settore e per la qualità dei nostri territori>>. La tecnologia adottata nell’impianto sperimentale sfrutta l’azione di piante arboree a crescita veloce e dei microrganismi a essi associati per eliminare, contenere e rendere meno tossiche le sostanze inquinanti che si trovano nell’ambiente. Le piante saranno irrigate con una miscela di acqua e percolato, che verrà così assorbito attraverso le radici ed eliminato naturalmente dall’azione delle piante stesse.


SPECIALE LA DEPURAZIONE DEL PERCOLATO DA DISCARICA AGRIDEP Il percolato di discarica è un liquido la cui composizione varia molto in relazione all’età della discarica e al tipo di rifiuti conferiti. Normalmente il percolato raccolto dalle reti drenanti è stoccato in discarica per essere affidato a terzi per lo smaltimento. Questa procedura utilizza a volte depuratori consortili di grandi dimensioni, che abbattono le elevate concentrazioni di ammoniaca e cloruri mediante diluzione. AgriDep risolve il problema di trattamento del percolato direttamente in discarica senza diluizione. Propone sia la tecnica dell’evaporazione sotto vuoto in campo basico per spostare l’ammoniaca e il suo relativo abbattimento, sia mediante un trattamento selettivo a membrane, eventualmente preceduto da uno stadio biologico in funzione alla caria organica residua. L’ultrafiltrazione avviene per filtrazione tangenziale su skid con membrane tubolari da 30 nm, a cui segue un secondo passaggio

IRIDRA per osmosi inversa, a doppio stadio di concentrazione, per produrre un osmotizzato da scaricare direttamente in acque superficiali o suolo nei limiti del D.Lgs 152/06. Il concentrato, circa il 20% del percolato alimentato, può essere riciclato in discarica o concentrato ulteriormente con evaporatore. AgriDep è in grado di offrire dallo studio di fattibilità sul trattamento del percolato alla fornitura chiavi in mano in genere su skid preassemblati.

www.agridep.it

Per il trattamento del percolato di discarica, Iridra propone diverse soluzioni tecniche: dalla fitodepurazione classica (a flusso sommerso orizzontale, a flusso sommerso verticale, a flusso libero superficiale, fitodepurazione ibrida) alla fitodepurazione di nuova generazione (fitodepurazione aerata). Tra gli esempi più rappresentativi vi è sicuramente la discarica Taglietto a Villadose (RO), il primo impianto in Italia per il trattamento del percolato di discarica con tecniche di depurazione naturale. Sulla base delle analisi effettuate, il percolato da trattare non risulta caratterizzato dalla presenza né di metalli pesanti né di microinquinanti organici in misura rilevante, mentre sono molto alti i valori di COD e ammoniaca, ambedue di circa 1.000-1.100 mg/l. La portata giornaliera da trattare prevista a regime è pari a circa 40 mc/g. Lo schema impiantistico è sviluppato su quattro linee di depurazione in parallelo, tranne gli stadi finali (6° e 7°) di affinamento, che sono invece disposti su un’unica linea

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comune: 1° stadio a flusso sommerso verticale con torba da 1.000 mq; 2° e 3° stadio di trattamento a flusso sommerso verticale, posti in sequenza, ciascuno da 800 mq; 4° e 5° stadio a flusso sommerso orizzontale, posti in sequenza, ciascuno da 900 mq; 6° stadio a flusso libero superficiale (660 mq); 7° stadio costituito da uno stagno (pond), con superficie pari a 680 mq.

www.iridra.eu


SPECIALE LA DEPURAZIONE DEL PERCOLATO DA DISCARICA P&I Presso la discarica per rifiuti urbani e non pericolosi sita inn località Legoli, nel comune di Peccioli (PI), è stato realizzato da P&I un impianto di depurazione del percolato, progettato considerando i seguenti aspetti: il trattamento deve prescindere dall’età del percolato; la realizzazione deve essere possibilmente modulare; il processo depurativo deve produrre un effluente a norma; il processo deve minimizzare i problemi derivanti dalle particolari caratteristiche qualitative del percolato (elevata concentrazione di sostanze organiche e inorganiche, assenza di fosforo, presenza di metalli, ecc.) e dalla sua irregolare produzione nel tempo; assenza di problemi di inquinamento secondario (impatti su suolo, sull’atmosfera, etc.); semplicità tecnologica e di gestione, per poter essere adattato alla situazione dimensionale e organizzativa delle discariche, vale a dire funzionamento con logiche di controllo e conduzione automatiche e minimizzazione del presidio di operatori; elasticità nelle fasi di avvia-

SEPRA mento e interruzione; modesti costi di esercizio (possibilità di utilizzare fonti energetiche rinnovabili e/o possibilità di effettuare recuperi energetici da cascami termici, contenimento dei costi di collocazione degli eventuali residui prodotti, etc.); Specifici studi di fattibilità hanno concluso che il processo più adatto a trattare il percolato originato dalla discarica in questione era il trattamento di concentrazione per evaporazione sotto vuoto, affiancata ad alcune operazioni di finissaggio. Questa la sequenza di operazioni: evaporazione sottovuoto del refluo a pH controllato; dosaggio di soda nel condensato; strippaggio con aria e assorbimento dell’azoto ammoniacale presente nel condensato prodotto dall’evaporazione (con produzione di solfato ammonico al 3033%); trattamento biologico delle condense; finissaggio mediante filtrazione su quarzite ed eventuale passaggio su filtri a carboni attivi.

www.peisrl.com

SIEMENS Tra le diverse solu<zioni di depuraziopne del percolato, Siemens ha recentemente perfezionato il processo di ossidazione a umido "Zimpro", che consiste nell'ossidazione ad elevata temperatura (fino a 300 °C) e sotto pressione (7-12 MPa) della sostanza organica disciolta o sospesa. Tra le varie versioni di Zimpro messe a punto dalla Siemens vi è il processo Zimpro Electro-Oxidation (ZEO), adatto al trattamento di reflui ad alto contenuto salino, come il per-

L'impianto di trattamento del percolato è costituito da 4 sezioni: vasca di stoccaggio ed equalizzazione, che garantisce una adeguata capacità di accumulo per far fronte a fermate provvisorie dell'impianto e per garantire l'equalizzazione del refluo; sezione di aerazione e ossidazione biologica, che permette una parziale stabilizzazione del refluo e la trasformazione di parte dell’ammoniaca in nitrato, oltre che la degradazione di inquinanti organici a composti non inquinanti (questa sezione può essere bypassata se il percolato contiene poche sostanze biodegradabili); sezione di ultrafiltrazione, che garantisce una buona chiarificazione del refluo necessaria per la successiva osmosi inversa, e costituisce una barriera totale a fango biologico, colloidi e macromolecole; concentrazione su membrane di osmosi inversa polimeriche a spirale avvolta, medianteun doppio passaggio a doppio stadio per garantire la più elevata concentrazione possibile e al contempo ottenere un permeato scaricabile in acque superficiali. La quantità di percolato trattato giornalmente viene deter-

minata valutando da serie storiche i dati di produzione percolato relativi alle diverse stagioni ed ai periodi di diversa piovosità. Il trattamento su più sezioni consente di ottimizzare in ciascun passaggio la rimozione di contaminanti specifici e al tempo stesso rendere più semplice la gestione. L'integrità delle membrane di osmosi inversa, che rappresentano il componente più delicato del sistema, viene controllata in continuo per mezzo di un'analisi della conducibilità nei diversi punti dell'impianto. Gli impianti di Sepra vengono premontati su skid e allogiati all'interno di strutture fisse o di container.

www.sepra.it

TA - TECNOLOGIE APPLICATE colato di discarica, che quindi conducono bene la corrente elettrica. Grazie al processo ZEO, infatti, mediante l'applicazione di corrente elettrica si producono entro il percolato dei radicali idrossilici, che sono potenti ossidanti, con funzione quindi di depurazione. I problemi di corrosione degli elettrodi sono stati superati impiegando rivestimenti di diamanti sintetici conduttivi.

www.siemens.com

Le macchine concepite per il trattamento del percolato vengono utilizzate principalmente per discariche civili e industriali o piattaforme di smaltimento rifiuti. Il refluo da trattare è composto da oli e grassi, limature, trucioli, sporcizia, tensioattivi, tracce di idrocarburi, sali disciolti e composti organici. Lo scopo del trattamento consiste nel concentrare il refluo per la riduzione dei volumi prima del suo riciclo in discarica o smaltimento. L'acqua purificata (priva di sali) può essere eventualmente riutilizzata nel ciclo produttivo come acqua di lavaggio. A titolo di esempio viene di seguito illustrato un impianto per il trattamento del percolato da 30 mc/g, che consente di ottenere circa 20 mc/g di acqua purificata scaricabile in acque superficiali; la frazione restante di concentrato (10 mc/g) viene ricircolata in discarica dove rientra nel ciclo di produzione del biogas Tale impianto è costituito da più stadi di processo: filtro a sabbia per la rimozione dei solidi sospesi; ultrafiltrazione con porosità 0,1 µm,

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che garantisce una buona chiarificazione del refluo, con membrane solitamente del tipo tubolari ceramiche, pertanto inaggredibili dal punto di vista chimico e compatibili con la filtrazione di reflui ad alto contenuto di contaminanti organici e con possibilità di lavaggi a temperature e pH estremi; concentrazione su membrane di osmosi inversa polimeriche a spirale avvolta, a doppio stadio e doppio passaggio per garantire il più elevato rapporto di concentrazione possibile e quindi ottenere un permeato di qualità, scaricabile in acque superficiali e poco concentrato da riciclare o da smaltire.

www.ta-srl.eu



SPECIALE LA DEPURAZIONE DEL PERCOLATO DA DISCARICA TECNOLOGIE AMBIENTALI

VEOLIA WS&T ITALIA

L’impianto di trattamento del percolato della discarica di Cannicci (GR) è stato progettato, costruito ed è gestito da Tecnologie Ambientali. Si tratta di un sistema a due stadi che tratta 60 mc/g di percolato, con recupero di circa il 75%. E’ costituito da: impianto ad osmosi inversa e reti di alimentazione idraulica, asservito sia a una parte della discarica oggetto di bonifica (modulo 1) che alla discarica in esercizio; bacino di accumulo acque trattate; rete irrigua di riutilizzo in discarica delle acque depurate; stazione di rilancio del concentrato e rete di reimmissione del concentrato in discarica; sala controllo in box prefabbricato. Le acque subiscono una serie di trattamenti quali la filtrazione a sabbia e a cartuccia fino a giungere alla linea di osmosi inversa che provvede alla purificazione finale mediante l’eliminazione fino al 99,5% dei contaminanti presenti. Le acque trattate vengono inviate ai due bacini artificiali di accumulo di circa 500 mc e da

Il percolato prodotto in discarica richiede trattamenti depurativi particolarmente efficaci. Veolia Water Solutions & Technologies Italia fornisce una soluzione completa al problema, la quale, oltre a permettere il rispetto delle normative ambientali, consente di trarre vantaggio dalla cogenerazione di biogas per l'alimentazione totale o parziale dell'impianto, riducendo in questo modo i costi relativi all'energia termica e allo smaltimento del percolato. L’impianto proposto, nella sua configurazione completa, è costituito da: pretrattamento con correzione del pH, osmosi inversa, evaporazione a circolazione forzata, essiccazione spinta. Gli evaporatori impiegati in queste applicazioni sono l’EvaledRV, a ricompressione meccanica del vapore e circolazione forzata, e l’EvaledAC, a circolazione forzata alimentato da acqua calda/fredda. Tali impianti dimostrano che la combinazione di tecniche di separazione “pulite” è la soluzione migliore per il trattamento del percolato di discarica in quanto:

qui utilizzate per i fabbisogni della discarica (mantenimento del verde, bagnatura strade polverose, antincendio). Grazie a questo impianto, quindi, non solo vengono depurati in loco liquidi altamente inquinanti e assai difficili da trattare, ma vengono riutilizzati circa 15 milioni di litri di acqua pulita ogni anno. La concentrazione delle sostanze inquinanti (concentrato), viene reimmesso in discarica, dove l’alto contenuto organico del concentrato, essendo ben distribuito all’interno della stessa discarica, aumenta la fermentazione incrementando e migliorando la produzione di biogas.

www.tecnologie-ambientali.it

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consente di trattare anche percolati concentrati con elevato carico inquinante, difficilmente trattabili con altre tecnologie; permette di raggiungere rese elevate, con significativa diminuzione dei volumi di smaltimento e minimi costi operativi; è una tecnica affidabile e flessibile che si adatta alla variazione del refluo in ingresso. L’integrazione dell’impianto di evaporazione con un impianto di cogenerazione da biogas consente di sfruttare l’energia termica di scarto per il funzionamento dell’impianto stesso.

www.veoliawaterst.it


RIFIUTI T R A T T A M E N T O

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S M A L T I M E N T O

I trattamenti della forsu Modelli di gestione

Gli impianti integrati di digestione anaerobica (a umido o a semi-secco) e di compostaggio rappresentano oggi la soluzione migliore La riduzione di quantità e il riciclaggio dei rifiuti alimentari potrebbero ridurre le emissioni di gas serra di una quantità equivalente a quella che si otterrebbe convertendo in elettriche le auto di tutto il mondo. Nonostante ciò, attualmente la frazione organica dei rifiuti urbani (FORSU) è valorizzata solo in minima quantità: appena il 3% su scala mondiale. Tuttavia, le tecnologie per una valorizzazione completa ed efficiente esistono; fino a 10 anni fa si privilegiava il compostaggio, ma oggi il modello di gestione della forsu sono gli impianti integrati digestione anaerobica + compostaggio. La carta vincente della digestione anaerobica è nella produzione di

biometano, che può sostituire il metano "fossile" in tutte le sue applicazioni, con il vantaggio che la CO2 emessa nella combustione non si aggiunge a quella già esistente, ma risulta compensata dalla CO2 che i vegetali (principali costituenti della forsu) hanno utilizzato nella loro crescita. Aggiungendo uno stadio finale di separazione del digestato tra la filtrazione solida e quella liquida, e utilizzando la frazione solida come materia prima per il compostaggio, viene risolto il problema dell'impiego agricolo del digestato. In Italia si producono ogni anno circa 30 milioni di tonnellate di rsu, il 30% dei quali (cioè 9 mln di ton) è composto da forsu. Essendo realistico ipotizzare che circa 1/3 di questo quantitativo vada perduto nella fase di raccolta e di selezione, abbiamo una disponibilità teorica di 6 mln di ton/anno di "materia seconda" da avviare al trattamento digestione + compostaggio. Da questo quantitativo si potrebbero ricavare 500 mln di mc/anno di biometano e 1,8 milioni di tonnellate di "compost di qualità". Attualmente, però, siamo ancora in presenza di un deficit impiantistico, perchè i 56 impianti oggi esistenti (dati Ispra, 2018) hanno una capacità di trattamento complessiva di circa 4 mln di ton/anno, che per di più viene Continua a pag. 22 Hi-Tech Ambiente

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I trattamenti della forsu sfruttata solo al 70% e con rese in biometano ancora basse. Data la complessità del processo di purificazione necessario per ottenere biometano dal biogas, si preferisce spesso utilizzare il biogas "tal quale", in impianti di cogenerazione che producono energia elettrica e calore; per cui attualmente la produzione di biometano supera di poco 100 mln di mc/anno. I PROCESSI DI DIGESTIONE

Sono state proposte molte varianti del processo di digestione anaerobica, ma ad oggi le più diffuse sono la digestione a umido e quella a semi-secco. Nel processo a umido il tenore di sostanza secca nel digestore è intorno al 10%, cioè nel digestore è presente solo una fase liquida. Questo richiede un accurato pretrattamento

del rifiuto in entrata per rimuovere i materiali non degradabili (plastica, metalli, legno, sabbie) che, secondo il loro peso specifico, tenderebbero ad accumularsi sul fondo del digestore oppure sulla superficie del liquido in esso contenuto (digestante). I digestori di questo tipo lavorano di solito in condizioni mesofile (temperatura interna intorno a 37 °C), sotto agitazione e con tempi di ritenzione tra 15 e 30 giorni; questi tempi possono essere ridotti fino al 50% operando in condizioni termofile (50-55 °C), a scapito però di un maggior consumo di energia per il riscaldamento del digestore. Il materiale in uscita (digestato) è un fango liquido, con contenuto in solidi dal 5 al 25%, che non è completamente stabilizzato, nel senso che la materia organica non è stata del tutto biodegradata. Inoltre, specie se si opera in mesofilia, possono essere presenti batteri patogeni. E' necessario quindi un trattamento che consiste in una separazione solido/liquido mediante pressa a vite,

nastropressa o centrifuga; la frazione liquida può essere ricircolata in alimentazione al digestore oppure sottoposta a strippaggio per separare l'ammoniaca, che viene fissata in una soluzione di acido solforico ottenendo solfato di ammonio, che è un fertilizzante con un buon valore di mercato (100-150 euro/ton). La frazione solida (che deve avere un contenuto in solidi di almeno il 45%) viene miscelata con materiali strutturanti (ramaglie, sfalci, potature, frammenti di pallets) e sottoposta a compostaggio aerobico e a eventuale raffinazione finale, per eliminare gli ultimi residui di plastiche, inerti e metalli. I sistemi a semisecco lavorano con un tenore di sostanza secca tra il 20 e il 40%. Per mantenere il tempo di ritenzione ai normali valori di 1520 giorni si opera di solito in condizioni termofile. Questi reattori sono denominati "plug-flow" (flusso a pistone), in quanto sono normalmente costituiti da cilindri ad asse orizzontale, nei quali l'avanzamento

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della biomassa è legato solo all'immissione di biomassa fresca e all'estrazione del digestato. La viscosità elevata del digestante mantiene plastiche e sabbie in sospensione, per cui il pretrattamento è più semplice rispetto a quello richiesto dagli impianti a umido. Il digestato in uscita ha generalmente un contenuto di sostanza secca superiore al 20%, per cui è possibile evitare la separazione solido/liquido: si può passare direttamente all'aggiunta di materiale strutturante e al successivo compostaggio aerobico. E' tuttavia necessaria una raffinazione spinta del compost ottenuto. DUE IMPIANTI TIPICI

Come esempi delle due tecnologie vi sono i due impianti italiani della Anaergia, per la categoria "a umido", e l'impianto realizzato da Cesaro Mac Import a S.Agata Bolognese, per conto del gruppo Hera, per la categoria "semi-secco".


Impianto a umido "Anaergia" Si compone di 3 diverse fasi: pretrattamento, digestione, trattamento del digestato. Il pretrattamento (denominato OREX, da ORganics EXtrusion) è un sistema di presso-estrusione, in cui un pistone spinge la forsu entro un cilindro a pareti forate, forzando la frazione liquidopastosa a uscire attraverso i fori, mentre i materiali estranei restano entro il cilindro. Il digestore lavora con il 12% di sostanza solida e tempo di residenza 20-25 giorni. Rispetto a impianti di analoga tipologia, il volume del digestore è ridotto del 35% (a parità di quantità in ingresso) grazie alla riduzione del ricircolo, alla miscelazione efficiente (con i mixer elettrici PM Smart) e al sistema di controllo remoto. Il digestato viene sottoposto a un trattamento di strippaggio per eliminare l'ammoniaca; si effettua poi una separazione solido/liquido, che dà origine a una fase acquosa (dalla quale l'acqua viene recuperata per ultrafiltrazione) e una fase semisolida, che viene essiccata e sottoposta ad un trattamento di pirolisi, dal quale si può ottenere materiale combustibile e fertilizzante biologi-

co privo di agenti patogeni. Il biogas può essere purrificato a biometano o LNG, oppure utilizzato sul posto con impianti cogenerativi per produrre calore ed energia elettrica. In Italia gli impianti di Anaergia sono situati a S. Gervasio Bresciano (BS) e Ovada (AL). Impianto a semi-secco Hera L'impianto di S. Agata Bolognese è in grado di trattare 100.000 ton/anno di forsu, più 35.000 ton di scarti

verdi e potature. La produzione di biometano è di 7,5 mln di mc/anno, e quella di compost 20.000 ton/anno. Il pretrattamento consiste in una triturazione lenta, seguita da vagliatura per la rimozione dei corpi estranei; i sovvalli vengono trattati in un sistema Tiger Depack HS20 OSC, che consente di recuperare la residua frazione organica e ridurre lo scarto in uscita. L'alimentazione ai 4 digestori da

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1.800 mc ciascuno viene ottenuta miscelando con un sistema automatico la forsu e gli scarti verdi. I digestori sono costituiti da cilindri orizzontali con diametro 10 m. e lunghezza 32 m.; funzionano in continuo e senza aggiunta di acqua. Al termine del processo anaerobico, una piccola parte del digestato viene reimmesso nei digestori per ottimizzare l'innesco della digestione; la maggior parte viene miscelata con rifiuti ligno-cellulosici, rifiuti verdi e materiale recuperato dai sovvalli. Questa miscela viene sottoposta a compostaggio aerobico in biocelle, con successiva maturazione in cumuli all'aperto, raffinazione e produzione di compost di qualità. Il biogas proveniente dai digestori viene desolforato per lavaggio con soluzione alcalina; la CO2 viene eliminata mediante lavaggio con acqua e, infine, il biometano (che ha una purezza del 98%) viene compresso e immesso nella rete di trasporto e distribuzione del gas naturale, per una quantità di 1.000 Nms/ora. Grazie al biometano prodotto in questo impianto, vengono risparmiate 6.000 tep/anno, che corrispondono a 14.000 ton di emissioni di CO2 evitate.


La disintegrazione elettrocinetica BioCrack II di Vogelsang

Un dispositivo basato su campo elettrico ad alto potenziale che disgrega i materiali sospesi per una miglior gestione dei fanghi prima e dopo il digestore Vogelsang è diventata famosa, nel settore del trattamento rifiuti, per le sue pompe a lobi volumetrici, in grado di movimentare quasi ogni materiale, e per i trituratori, indispensabili per la protezione delle linee e per evitare intasamenti. Dispositivi come il RotaCut, inventato da Vogelsang e costantemente migliorato negli anni, oppure XRipper, il trituratore per condotte fognarie e scoli, sono un aiuto indispensabile in moltissimi impianti di depurazione e trattamento di fanghi ed acque reflue in genere. Tuttavia, in alcune situazioni la triturazione non è sufficiente. Si pensi, per esempio, ai casi in cui i fanghi di depurazione siano utilizzati per la

produzione di biogas. Stante la qualità del substrato, per aumentare la resa in gas e rendere più efficiente il processo è importante che il materiale sia immesso nelle migliori condizioni possibili per la digestione. È quindi necessaria un’azione ancor più incisiva rispetto a quella di un normale trituratore. LA SOLUZIONE In questi casi la soluzione può arrivare per una via diversa da quella meccanica. BioCrack II è il nuovo disintegratore elettrocinetico ideato da Vogelsang per tutti quei casi in cui sia necessaria una disgregazione ap-

Fanghi da depurazione (presso l'impianto di PiaveServizi) prima del trattamento con BioCrack II

profondita di colloidi, materiale flocculante e agglomeranti vari dispersi in un fluido. Grazie al campo ad alta tensione, la macchina distrugge tutte quelle sostanze che potrebbero creare problemi durante il drenaggio dei fanghi e permette di semplificare le operazioni a valle del sistema di depurazione e digestione anaerobica e aumentare la resa in biogas del digestore. BioCrack II è costituito da un corpo cavo che ha anche funzione di elettrodo esterno e da un elettrodo interno, sui cui è montata la componente elettronica. Quando il fluido attraversa il corpo in acciaio inox, tra i due elettrodi si crea un campo da decine di migliaia di volt in grado di

separare i materiali contenuti in sospensione rendendoli più facilmente attaccabili dai batteri anaerobi, fornendo al digestore un substrato estremamente più digeribile rispetto ai fanghi tal quali. BioCrack II è disponibile in quattro taglie: XS, S, L e XL, per capacità di lavoro da 50 a 200 mc/h. In particolare, le versioni XS e S sono adatte a impianti piccoli o piccolissimi, che debbano trattare modeste quantità di fanghi. L è il dispositivo giusto per depuratori di media dimensione, mentre XL è adatto a grandi quantità o a fanghi particolarmente viscosi. Per tutti il fabbisogno energetico è di 35 Watt.

Installazione di BioCrack II presso il depuratore di PiaveServizi, combinato con il trituratore RotaCut e la pompa a lobi rotativi serie VX

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Il riciclo della vetroresina Korec

In costruzione il primo impianto in Italia con processo termochimico innovativo brevettato La vetroresina è un materiale composito formato da poliestere rinforzato con fibra di vetro (PRFV), dotato di notevole resistenza, elasticità e leggerezza. Tali caratteristiche la rendono perfetta ad esempio per costruire gli scafi delle barche; ma questo materiale trova applicazione in numerosi altri settori industriali oltre a quello nautico: aerospaziale, aeronautico, automobilistico, ma anche delle attrezzature sportive, dell’ingegneria civile, biomedico, dell’arredamento e perfino in ambito eolico. Il comparto della vetroresina, tuttavia, soffre della mancata riciclabilità di questo materiale; pertanto, al momento della sua dismissione il prfv costituisce un grosso problema, poiché si tratta di un rifiuto speciale da sottoporre obbligatoriamente a un costoso processo di smaltimento. In questo ambito, un grande traguardo è stato raggiunto dalla Korec, un’azienda italiana che ha messo a punto e brevettato un processo termochimico innovativo in grado di recuperare dalla vetroresina a fine vita non solo la fibra di vetro, ma anche la parte organica,

Fibra uscente dal processo e derivante da vetroresina di pale eoliche

Fibra uscente dal processo e derivante da vetroresina d’origine contenente MAT Hi-Tech Ambiente

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che può essere reimmessa nella stessa filiera produttiva di partenza, per produrre poi nuovi oggetti in vetroresina. In Italia sarà presto realizzato dalla Korec un impianto di recupero di prfv in partnership con l’austriaca KVT Process Technology, e che sarà operativo entro l’estate presso lo stabilimento di Bergamo della società Rivierasca. Quest’azienda dal 1963 produce laminati in vetroresina ed è molto sensibile alle tematiche relative al riciclo dei rifiuti in prfv soprattutto mediante tecnologie sostenibili, e quindi ha fin da subito accolto con entusiasmo le grandi potenzialità che porta in dote il processo Korec, primo tra tutti il coniugare sostenibilità ambientale ed economica, nel rispetto dell’economia circolare. L'impianto in progettazione renderà quindi possibile il riutilizzo dei residui in vetroresina generati dal processo produttivo dell’azienda bergamasca all’interno dello stesso processo in opera per la fabbricazione dei laminati in composito. Tali residui saranno introdotti nell’impianto Korec e precisamente nel reattore che costituisce la prima fase di reazione dove, ad una concentrazione predeterminata di CO2 (sufficiente a garantire un’adeguata interazione chimico-fisica Continua a pag. 26


Continua da pag. 25

Il riciclo della vetroresina con il substrato in trasformazione), verranno riscaldati a temperature di processo adeguate a non alterare le necessarie caratteristiche che i prodotti uscenti devono possedere per la loro riutilizzabilità. Il caricamento potrà avvenire anche con pezzature di grosse dimensioni, ovviamente compatibili con il diametro dell’ingresso del reattore; ciò in quanto tale nuovo processo non necessita di alcuna triturazione spinta per il buon fine della reazione termochimica. La tecnologia brevettata è in grado di assicurare l’ottenimento di un prodotto liquido a rese elevate, che presenta caratteristiche chimiche tali da poter essere riutilizzato alla stessa stregua della materia prima originale nel processo di produzione dei nuovi articoli in vetroresina, mediante sua miscelazione con la resina vergine poliestere, che l’azienda normalmente adopera per le sue lavorazioni. Riguardo la fibra di vetro, poi, un opportuno trattamento di calcinazione dopo la prima fase di reazione che produce il prodotto liquido, consente di eliminare i residui carboniosi depositati sulla superficie delle fibre, consentendo l’ottenimento di fibre pulite e integre, fino a una resa pari al 99%. Per il gas incondensabile generato, che non rappresenta nulla di sensibilmente diverso dalla tipologia di emissioni in atmosfera normalmente presente nelle attività industriali, è previsto il trattamento con un appropriato impianto di abbattimento delle emissioni (già presente presso lo stabilimento di Rivierasca), considerato tra le migliori tecniche disponibili (BAT), che garantisce

Il liquido uscente dal processo (che è il prodotto ancora polimerizzabile e che, miscelato con resina vergine, consente di produrre nuova vetroresina)

Sopra: Scarti generati dalla lavorazione di Rivierasca Sotto: Laminato di copertura prodotto da Rivierasca

concentrazioni in uscita inferiori ai limiti imposti dalla normativa vigente in materia e che consente di assicurare il più elevato livello possibile di protezione dell’ambiente. Il processo Korec, infine, non genera scarichi idrici, e gli unici residui generati, costituiti essenzialmente da materiale inerte, ammontano a una quantità irrisoria pari al 2-3% rispetto al materiale in entrata. La capacità di trattamento prevista per l’impianto bergamasco è di 250 ton/anno, pari alla quantità di residui prodotti in media da Rivierasca

fino ad oggi. La tecnologia è tuttavia modulare, ovvero offre possibilità di espansione della capacità di lavorazione a costi aggiuntivi contenuti, proporzionalmente più vantaggiosi. Al momento, non è previsto che l’impianto riceva rifiuti dall’esterno. Ma la tecnologia è comunque ormai matura e Korec sta già progettando la realizzazione di ulteriori impianti industriali per il riciclo della vetroresina di dimensioni anche maggiori di quello di Bergamo. L’interesse è infatti in aumento, vista l’estrema frammentazione del

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mercato dei compositi a livello italiano ed europeo; Korec, con il know-how acquisito e grazie alla partnership maturata con KVT Process Tecnology, è in grado di realizzare impianti chiavi in mano, prevedendo soluzioni personalizzate in termini di dimensioni e, quindi, di capacità di trattamento, con possibilità di arrivare anche a portate di 20.000 ton/anno o superiori. Tali maggiori capacità saranno quelle da prevedere per impianti di collettamento e trattamento di rifiuti prodotti da soggetti terzi, che allo stato attuale adempiono all’obbligo dello smaltimento mediante conferimento in discarica. Grazie al proprio impianto pilota sperimentale presente a Livorno, Korec ha già verificato la funzionalità del processo, testando svariate tipologie di rifiuti in vetroresina, derivanti da diversi settori produttivi (parti di camper, veicoli commerciali e industriali, pale eoliche, componenti del settore ferroviario, nautico, edile, etc), ciascuna composta da resine poliesteri ortoftaliche, isoftaliche o vinilesteri e ciascuna prodotta con tecniche di lavorazione diverse (dalla laminazione manuale, all’infusione e stampaggio a compressione). Le verifiche sperimentali hanno dimostrato che il processo messo a punto è in grado di recuperare i rifiuti in vetroresina, sia separatamente, sia in miscela tra loro nella camera di reazione; caso, quest’ultimo, certamente da prevedere per la gestione di impianti di trattamento di rifiuti proveniente da produttori terzi. Il liquido ottenuto ha presentato, in tutti i casi testati, un grado di polimerizzazione analogo, indipendentemente dalle tipologie di resina presenti nel rifiuto originario e a prescindere dal tipo di resina vergine con cui viene miscelato per la produzione dei nuovi manufatti. Il processo è del tutto in linea con le Direttive Europee e la politica di Green Economy; è altamente strategico per la filiera produttiva della vetroresina, non solo perché consente di eliminare o comunque ridurre sensibilmente il volume dei rifiuti collocati in discarica e/o incenerimento, ma anche perché riduce il fabbisogno di materie prime derivanti dal petrolio, aprendo così nuovi mercati e nuove possibilità di campi di impiego laddove questo materiale non poteva essere utilizzato per problemi di riciclabilità a fine vita.


BIOMASSE & BIOgAS B I O M A S S A

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B I O g A S

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B I O M E TA N O

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C O g E N E R A z I O N E

Milleproroghe: ancora incentivi per il 2020 Impianti fino a 300 kW Approvato l’emendamento al decreto Milleproroghe che, in attesa dell’emanazione del DM Fer2, dispone la proroga per il 2020 degli incentivi per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a biogas fino a 300 kW che facciano parte del ciclo produttivo di un’impresa agricola. Restano fermi i requisiti per ottenere gli incentivi relativi all’alimentazione che deve derivare obbligatoriamente per non meno dell’80% da reflui e materie prodotte dalle aziende agricole realizzatrici e per il restante 20% da loro colture di secondo raccolto. <<Siamo soddisfatti per questa approvazione - spiega Piero Gattoni, presidente del Cib - che rappresenta un elemento di continuità indispensabile per la programmazione degli investimenti dell’industria, che molto si è spesa in questi anni per l’innovazio-

ne e la ricerca. Le aziende agrozootecniche potranno proseguire nel processo d’integrazione della produzione energetica alle pro-

prie attività, con un grande beneficio anche dal punto di vista ambientale. Per sviluppare compiutamente le potenzialità del settore

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auspico ora che si dia anche piena attuazione al DM Biometano e che si possano superare gli ostacoli normativi ancora esistenti>>. <<L’approvazione dell’emendamento – afferma Ettore Pandini, presidente di Coldiretti - completa il sostegno alle energie rinnovabili di origine agricola che Coldiretti ha fortemente chiesto, ricordando come già la legge di stabilità abbia previsto il diritto di continuare ad usufruire di un incentivo sull’energia elettrica anche agli impianti alimentati a biogas con obbligo di utilizzo di almeno il 40% di effluenti zootecnici entrati in esercizio entro il 31/12/2007 che non abbiano avuto modo di riconvertire la produzione di biometano per effetto dei ritardi nella fase di approvazione e quindi di attuazione del DM 2/3/2018 di incentivazione del biometano>>.


L'impatto ambientale di impianti a biogas Scenari favorevoli e non

Analisi e valutazioni di due digestori anaerobici alimentati da biomasse agricole, l’uno, e da forsu, l’altro Gli impianti di digestione anaerobica sono nati per trattare i fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue; successivamente si sono diffusi presso le aziende agricole per smaltire i reflui di allevamento. Con l'esplodere della crisi ambientale connessa con le emissioni di CO è emersa la necessità di ricorrere alle energie da fonti rinnovabili; in questo quadro il ricorso alle biomasse rappresenta un'opzione di grande rilevanza. Secondo i dati forniti da Eurostat nel 2015 le energie rinnovabili hanno contribuito per il 27% alla produzione di energia primaria in UE e, di questa percentuale, oltre il 63% proviene dalle biomasse. Le fonti di biomassa comprendono però una quota maggioritaria di legno e altri biocarburanti solidi, la cui diffusione è stata incentivata in passato, ma oggi suscita molte perplessità per le ricadute sull'inquinamento atmosferico; il combustibile ideale da questo punto di vista è il metano, o meglio il biometano, trattandosi di metano derivante da impianti biologici. Attualmente il contributo del biometano è ancora modesto (il 7,7% del totale dell'energia da fonti rinnovabili nella UE), ma la strategia di sviluppo rurale europea considera prioritario incrementare questo contributo, non solo per ridurre le emissioni di CO2, ma anche per incentivare lo sviluppo economico delle aree rurali. Tuttavia, le coltivazioni dedicate alla bioenergia comportano anche rischi ambientali e socioeconomici, come riduzione della biodiver-

sità, degrado del suolo, aumento dei consumi di acqua per l'irrigazione e concorrenza con l'utilizzo del suolo ai fini alimentari o industriali. Nel caso della digestione anaerobica, questi rischi possono essere evitati utilizzando la frazione organica dei rifiuti urbani (forsu), ma così sorgono altri tipi di impatti ambientali, tipici del trattamento dei rifiuti. In questo articolato contesto risultano interessanti due diversi studi: il primo relativo a un impianto alimentato da biomasse agricole (tesi di laurea Università di Bologna), il secondo relativo a un impianto alimentato da forsu (progetto per la realizzazione di un impianto nel Comune di Mosciano S. Angelo, in provincia di Teramo). ALIMENTAZIONE CON BIOMASSE AGRICOLE

L'impianto esaminato è situato a Correggio (RE) e utilizza colture dedicate, scarti di lavorazione di biomasse e liquami di origine zootecnica, per un totale di circa 22.000 ton/anno. Si tratta di un impianto bistadio, nel quale il biogas prodotto viene utilizzato (dopo depurazione su carboni attivi) in due gruppi di cogenerazione, con potenza elettrica complessiva 1.000 kWe e potenza termica 880 kWt. I digestori funzionano in regime mesotermico (4042 °C) utilizzando per il riscaldamento parte dell'energia termica prodotta dai cogeneratori. La produzione annuale di biogas è circa 4 milioni di mc, con un contenuto in metano del 52%. Hi-Tech Ambiente

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La valutazione di impatto ambientale (LCA) è stata condotta in accordo alla norma ISO 14040 utilizzando un apposito software (Gabi 6, sviluppato da PE International). Sono state condotte tre distinte valutazioni: l'impianto "tal quale", come si presentava al momento dello studio, nel quale il biogas era utilizzato in cogenenerazione entro l'impianto stesso; l'impianto convertito a produzione di biometano da immettere in rete, mediante purificazione con sistema a membrane; l'impianto convertito a biometano, ma con purificazione del biogas mediante lavaggio con ammine. Nel bilancio ambientale devono essere considerate "in positivo" le voci relative al ridotto acquisto di fertilizzanti sintetici (sostituiti dal digestato) e alla riduzione nei prelievi di energia elettrica dalla rete. Complessivamente, nello scenario "tal quale", si ha una valutazione positiva dovuta alle minori emissioni di gas serra (2,5 mln di ton/anno di CO2) per effetto dei minori consumi di energia elettrica da rete. Effetti positivi dello stesso tipo si hanno anche nel

consumo di risorse abiotiche e nelle emissioni di ossidanti fotochimici; mentre si hanno impatti ambientali negativi rispetto alle emissioni acide, all'eutrofizzazione e alla distruzione dell'ozono stratosferico. Il maggior contributo agli impatti negativi è dato dalla gestione del digestato, a causa delle emissioni in atmosfera di

ammoniaca e ossidi di azoto. Lo scenario "biometano a membrane" risulta migliorativo per quanto riguarda l'effetto serra; tuttavia, la maggior richiesta di energia elettrica dalla rete, necessaria per il funzionamento dell'impianto a membrana, comporta leggere negatività sul fronte dell’eutrofizzazione e della dimi-

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nuzione dello strato di ozono. Lo scenario "biometano con ammine" presenta impatti ambientali relativi all'effetto serra ancora migliori rispetto alla tecnologia a membrane, soprattutto per le minori perdite di metano in atmosfera. Risultati favorevoli si hanContinua a pag. 31


Hera: bus e taxi vanno a biometano A Bologna

La mobilità diventa sostenibile grazie all’uso di carburante rinnovabile al 100% prodotto nell’impianto di S. Agata Bolognese Da aprile quattro autobus cittadini e una ventina di taxi di Bologna viaggiano utilizzando il biometano prodotto nell’impianto del Gruppo Hera a S. Agata Bolognese, contribuendo così allo sviluppo sostenibile della città. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con Tper (servizio di trasporto pubblico locale di Bologna) e con il gestore di taxi bolognese Co.Ta.Bo. va di pari passo con la nuova campagna di comunicazione della multiutility, esposta sugli stessi mezzi alimentati a bioCH4. Il biometano è prodotto nell’impianto di HerAmbiente grazie al trattamento di sfalci, potature e rifiuti organici. Questi ultimi, differenziati nelle Hi-Tech Ambiente

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nostre case, tornano quindi al servizio della comunità sotto forma di gas che, una volta immesso in rete, alimenta il trasporto a metano pubblico e privato, aiutando un settore sempre più esposto al tema delle emissioni di anidride carbonica. L’impianto, a regime, produce e immette in rete 7,5 milioni di mc di bioCH4 all’anno (oltre a 20.000 ton di compost di qualità da destinarsi principalmente all’agricoltura), per un risparmio di 6.000 tpe. Questo processo circolare, che parte dallo sforzo quotidiano dei cittadini per la corretta raccolta differenziata e arriva a fornire al territorio un combustibile rinnovabile al 100%, da qualche mese è anche una filiera trasparente e certificata. Ogni metro cubo di biometano prodotto, infatti, è certificato da Bureau Veritas Italia, grazie al sistema di tracciabilità e di bilancio di massa in accordo allo “Schema Nazionale di Certificazione dei Biocarburanti e dei Bioliquidi”. L’IMMAGINE DELLA CAMPAGNA

La nuova campagna di comunicazione della multiutility bolognose vuole ricordare a tutti come economia circolare e mobilità sostenibile non siano concetti astratti ma, anzi, possano diventare comportamenti concreti che cittadini, istituzioni e imprese intendono promuovere insieme: agire e muoversi in modo più sostenibile è possibile, con la collaborazione e l’impegno di tutti. L’immagine di una ragazza e del suo skateboard giallo, unita al claim “I rifiuti organici diventano biometano”, racconta a chi si muove in città che i servizi di trasporto sono alimentati anche dal biocarburante prodotto dal Gruppo Hera. Hera, peraltro, per aiutare i cittadini a riconoscere e utilizzare questa risorsa anche nella mobilità individuale, ha personalizzato con un apposito logo le quattro stazioni di rifornimento in cui è presente il proprio bioCH4. E non è tutto. Molte auto aziendali della stessa Hera circolanti sul territorio di Bologna saranno alimentate a biometano e facilmente individuabili grazie a una nuova grafica che esalta e valorizza la sostenibilità del biocarburante.


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L'impatto ambientale di impianti a biogas no anche per quanto riguarda il consumo di risorse abiotiche e le emissioni acide, mentre per l'eutrofizzazione e la diminuzione dello strato di ozono si hanno leggere negatività (minori rispetto a quelle delle membrane). Questo scenario risulta quindi il più favorevole dal punto di vista ambientale. In ogni caso, si deve considerare che tutti e tre gli scenari considerati presentano ampi margini di miglioramento, sia sul fronte delle materie prime in ingresso (adozione di biomasse a filiera corta e/o di scarti agricoli al posto di colture dedicate) che sul fronte degli accorgimenti tecnici (ad esempio, riduzione delle emissioni in atmosfera mediante la copertura delle vasche di stoccaggio del digestato). La gestione del digestato determina il 70-80% degli impatti di acidificazione ed eutrofizzazione. E' possibile ridurre tali impatti stoccando il digestato in deposito chiuso, provvisto di sistemi di abbattimento delle emissioni gassose, e distribuendo il digestato stesso mediante iniezione sotto la superficie del terreno. ALIMENTAZIONE CON FORSU

Gli impianti alimentati con forsu hanno suscitato qualche perplessità e alcune resistenze da parte della popolazione. Si sono verificati episodi di inquinamento delle falde acquifere e delle acque superficiali, ed emissioni di cattivi

odori (soprattutto puzzo di uova marce, caratteristico dell'idrogeno solforato). Il più delle volte questi problemi sono riconducibili a errori nella progettazione e/o nella realizzazione (digestori costruiti con cemento armato di scarsa qualità, con coibentazioni inadeguate) o in carenze di manutenzione nel sistema di miscelazione o nei biofiltri posti a guardia delle emissioni in atmosfera. La gestione del digestato è oggetto di particolare attenzione, in quanto le temperature a cui viene normalmente condotta la digestione anaerobica non sono sufficienti ad abbattere i batteri patogeni; per questo motivo gli impianti che lavorano forsu prevedono uno stadio finale di compostaggio del digestato. Un documento utile a inquadrare i diversi aspetti di impatto ambientale connessi all'utilizzo di forsu è costituito dalla "Sintesi non tecnica" presentata per la realizzazione di un impianto nel

Comune di Mosciano S. Angelo (TE). L'impianto lavorerà 40.000 ton/anno di forsu, più di 80.000 ton/anno di scarti verdi da usare nella sezione di compostaggio. In uscita si avranno 2,9 mln di mc/anno di biometano, 13.300 mc/anno di acque depurate utilizzabili in agricoltura, e 14.000 ton/anno di compost di qualità. L'unico materiale di rifiuto in uscita è il concentrato dell'impianto di osmosi inversa, sottoposto a evaporazione così da ridurne il volume a 1.800 ton/anno. I principali aspetti ambientali analizzati dalla sintesi non tecnica possono essere così riassunti: Emissioni in atmosfera ed emissioni olfattive Si tratta degli aspetti ambientali più significativi del processo di digestione anaerobica. Per il controllo delle emissioni in atmosfera è stato realizzato un impianto di aspirazione e trattamento dell'aria, costituito da 2 scrubber con acqua in controcorrente e 3 mo-

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duli di biofiltrazione. In uscita dai biofiltri l'aria risulta conforme alle Linee Guida della Regione Abruzzo relative agli impianti di compostaggio e bioessiccazione; in particolare, il livello di emissioni odorigene risulta trascurabile a oltre 500 m dall'insediamento. Acque reflue Il digestato liquido viene sottoposto a 3 stadi di trattamento (biodegradazione, ultrafiltrazione, osmosi inversa) con evaporazione finale del concentrato in uscita. Il refluo in uscita dai primi 2 stadi è utilizzabile come acqua per irrigazione, in quanto ricco di azoto; il permeato in uscita dall'osmosi inversa è scaricabile nei corpi idrici superficiali. Rifiuti La produzione di rifiuti non è legata al processo di digestione anaerobica, ma alla sezione iniziale di accettazione della forsu da raccolta differenziata. La produzione di sovvalli è stimata in 7.200 ton/anno. L'impianto comprende una sezione di separazione e lavaggio delle plastiche leggere separate dal vaglio dinamico presente in entrata, per cui è ipotizzabile che la plastica contenuta nei sovvalli possa essere avviata a recupero. Il concentrato in uscita dall'osmosi inversa (1.800 ton/anno) potrebbe avere elementi di interesse per il settore dei fitostimolanti e fertilizzanti. Bilancio energetico Il bilancio energetico è positivo, in quanto il biometano prodotto corrisponde ad un output di energia primaria di circa 27.000 MWh/anno, contro un consumo di poco più di 10.000 MWh/anno.


ro fino al 99%, e purezza del biometano fino al 99,8%; in particolare, si registrano alte percentuali di rimozione di CO2 e CH4, e fino al 95% di N2 e O2, anche a concentrazioni elevate nel gas in ingresso. L'IMPIANTO A TORRE ROTATIVA

L’upgrading con tecnologia PSA Xebec

Impianti a ciclo veloce ad adsorbimento mediante variazione di pressione, con purezza del biometano fino al 99,8% La canadese Xebec (gruppo Sapio), con oltre 50 anni di esperienza, progetta, produce e installa prodotti innovativi per la trasformazione del gas grezzo in fonti energetiche pulite e rinnovabili. In particolare, Xebec ha concentrato il suo lavoro sulla tecnologia PSA (adsorbimento mediante variazione di pressione), impiegata in un impianto a ciclo veloce che purifica il gas in entrata eliminando CO 2, H 2O, H 2S, VOC, NH 3, silossani, N 2 e O 2. Questo impianto ha un'efficienza elevata, comprovata dal fattore di recupeHi-Tech Ambiente

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L'impianto PSA a ciclo veloce della Xebec si distingue per il fatto di impiegare una tecnologia a torre rotativa compatta, che può sostituire fino a 54 elettrovalvole (comunemente impiegate nei sistemi PSA convenzionali). Questa tecnologia consente di controllare agevolmente la purezza del gas prodotto e la portata del biogas, semplicemente modificando la velocità di rotazione. Inoltre, lavora efficacemente in un'ampia gamma di condizioni di processo, e non richiede l'impigo di prodotti chimici o acqua per il trattamento del biogas. Anche i costi di manutenzione sono ridotti, in quanto la torre rotativa richiede interventi di manutenzione solamente ogni 5-7 anni. Tale impianto rappresenta una soluzione economica e completa, e integra tutte le apparecchiature necessarie per l'upgrading del biogas in biometano con purezza compatibile con i requisiti per l'immissione in rete, per GNC o GNL. E’ disponibile in cinque modelli standard: BGX 250, con portata in ingresso pari a 150-263 Nmc/h, BGX 500 da 300-525 Nmc/h; BGX 1000 da 600-1.050 Nmc/h, BGX 1500 da 900-1.575 Nmc/h e BGX 2000 da 1.2002.100 Nmc/h. Ulteriori vantaggi sono le dimensioni compatte (l'impianto Xebec è notevolmente più piccolo degli impianti PSA convenzionali), la facilità di installazione (con riduzione dei relativi costi, grazie all'adozione di serbatoi più piccoli) e bassi costi di esercizio. Infine, gli impianti BGX sono in grado di produrre biometano di alta qualità entro 1 minuto dall'avvio, dopo una fermata dell'impianto di durata inferiore alle 24 ore. Ciò minimizza le perdite di produzione durante il funzionamento intermittente e garantisce la flessibilità necessaria per modulare in tempo reale la produzione di biogas in funzione della richiesta.


energia

Energia fotovoltaica dagli scarti del vino Dal brevetto al progetto di sviluppo

Dalla feccia della vinificazione arriva il colorante da impiegare per innovative celle FV Università Ca’ Foscari Venezia e Vinicola Serena, produttrice di prosecco, hanno siglato un accordo per sviluppare in laboratorio celle fotovoltaiche di nuova generazione che sfrutteranno i coloranti naturali derivati dalla “feccia”, lo scarto di produzione e chiarificazione del vino. Questa collaborazione è un esempio significativo dell’impatto che la collaborazione impresa-ricerca scientifica può avere sul piano del progresso tecnologico e dell’innovazione dei processi e dei sistemi produttivi. La capacità brevettuale gioca un ruolo strategico per le aziende e la loro competitività, tanto più in settori chiave quale quello della sostenibilità, che oggi costituisce uno dei cardini nelle linee di sviluppo aziendale e un elemento di crescente interesse per gli investitori “Abbiamo 138 anni di storia e tradizione – afferma Giorgio Serena,

presidente dell’azienda - e abbiamo sempre affiancato l’innovazione tecnologica e l’utilizzo di macchinari di nuova generazione, per far fronte alle richieste del mercato con una speciale attenzione all’ambiente, oltre che al cliente, Ad esempio, abbiamo adottato RafCycle, una soluzione di riciclaggio che offre una nuova vita agli scarti delle etichette del vino; i supporti in carta siliconata dei rotoli di etichette che vengono utilizzate nel processo produttivo vengono ritirati dall'azienda UPM Raflatac, che separa il silicone dalla carta, e riutilizza quest’ultima per creare nuove etichette dalla forte impronta ecosostenibile. E con la stessa ottica di green economy abbiamo deciso di diventare partner di questo progetto, in qualità di finanziatori e titolari del brevetto. Vinicola Serena è fornitore del materiale di scarto di vinificazione che funge da colorante

per i pannelli fotovoltaici inventati presso l’Università Ca’ Foscari Venezia>>. L’IDEA INNOVATIVA

Il metodo brevettato da Ca’ Foscari e Vinicola Serena è il primo che estrae il colorante da usare nelle “celle di Gräetzel” da uno scarto. In queste innovative celle fotovoltaiche i coloranti catturano la luce solare e trasmettono elettroni a un semiconduttore, mimando il processo di fotosintesi clorofilliana. L’azienda vionicola ha acquisito la piena titolarità del brevetto e, grazie all’accordo di collaborazione sottoscritto, l’invenzione potrà passare alla fase di prototipazione ed eventuale produzione e diffusione sul mercato. I LABORATORI

L’attività di ricerca viene condot-

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ta nei laboratori del Campus Scientifico di Ca’ Foscari, a Mestre, dotati di strumentazione scientifica all’avanguardia per la quale l’ateneo sta investendo 3 milioni di euro nel triennio 20182020 con l’obiettivo di creare un luogo di incontro e contaminazione per la ricerca e sviluppo, aperto a partenariati. Le ricerche per lo sviluppo del brevetto si svolgeranno in particolare in alcuni laboratori dedicati allo studio di processi fotocatalitici e alle energie rinnovabili, dotati di strumenti per progettazione, sintesi e indagine di nanomateriali inorganici funzionali. I ricercatori si avvalgono, ad esempio, di un simulatore di luce solare in grado di riprodurre in laboratorio l’energia radiante del Sole che giunge sulla superficie terrestre, necessaria per mettere a punto le nuove celle fotovoltaiche “green”.


macchine & strumentazione

Il monitoraggio dei vapori provenienti dal sottosuolo Thearen

Messa a punto e brevettata una particolare camera di flusso dinamica per la determinazione diretta delle sostanze volatili emesse dai terreni contaminati La società Thearen da oltre venti anni è attiva nel settore delle analisi ambientali, costantemente impegnata nello sviluppo e nell'offerta di servizi innovativi per l'ambiente, mediante nuovi strumenti volti alla gestione della qualità e dell'integrità dei dati. Tra questi strumenti hanno particolare rilievo le camere di flusso, utilizzate per isolare e campionare i vapori in emissione dal sottosuolo, per ottenere la determinazione diretta delle sostanze volatili emesse dal suolo ai fini del corretto dimensionamento dell'analisi di rischio sanitario ambientale, evitando l'applicazione dei modelli di stima indiretta. Esistono due tipologie di camere di flusso: - camere di flusso dinamiche (brevettate da Thearen), che rappresentano la soluzione innovativa per la determinazione diretta delle sostanze volatili in emissione dal suolo ai fini dell'analisi di rischio sanitario ambientale - camere di flusso statiche ad accumulo, che servono alla localizzazione degli hot spot da eseguirsi preventivamente al corretto posizionamento delle camere dinamiche. LA NUOVA CAMERA DINAMICA

Thearen, insieme al Politecnico di Milano, ha sviluppato, validato e brevettato una camera di flusso dinamica che presenta particolari tecnici innovativi: - un sistema frangivento, che garantisce l'imperturbabilità all'interno del sistema e isola dall'ambiente e-

sterno - l'uso esclusivo di materiale PTFE, che garantisce la totale inerzia chimica, fisica e termica (a differenza dei materiali metallici impiegati nelle camere di flusso tradizionali) - l'insufflaggio del gas carrier in un sistema a spirale, che garantisce totale riproducibilità e miscelazione - la forma a tetto piano, che evita la presenza di zone non miscelate (mentre la forma a cupola delle camere tradizionali può provocare fenomeni di surriscaldamento interno e non garantisce la completa miscelazione). I SERVIZI DI SUPPORTO

Thearen offre inoltre servizi di supporto per la gestione della qualità dei dati, a partire dalla struttura del piano di monitoraggio fino alla validazione dei risultati. In particolaHi-Tech Ambiente

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re, l’azienda supporta i propri clienti per: definizione degli obiettivi del monitoraggio (DQO) e modalità di esecuzione (QAPP), realizzazione dei piani di campionamento (SAP), definizione dei set di analisi (Test list management) e definizione dei QA/QC, registrazioni immagini/video di campo con tag operazioni dei metodi applicati, registrazioni di campo specifiche per matrice su semplice interfaccia utente (suolo, acqua, emissioni in atmosfera, aria), Data Verification e Data Validation sui risultati di monitoraggio. Un'area particolarmente importante è costituita dalla validazione delle tecnologie di risanamento: Thearen fornisce supporto alle società di ingegneria ambientale per la progettazione e realizzazione di impianti pilota da 1-5 mc, per la validazione delle tecnologie di bonifica. Gli impianti consentono di eseguire il controllo dell'evoluzione dei processi di bonifica su scala pilota con possibilità di campionamento multistrato. Vi è inoltre la possibilità di operare su matrice diretta con reattori dedicati. La società, inoltre, fornisce i seguenti servizi: messa a disposizione delle strutture e degli impianti pilota progettati per validare la tecnologia di risanamento individuata dalla società di ingegneria; progettazione di sistemi di campionamento puntuali e mediati su reattori pilota; progettazione di misure in continuo di specifici parametri chimico-fisici; collaborazione con Enti Universitari per la validazione delle tecnologie sviluppate


L’analisi dei gas con VarioLuxx MRU Italia

Una strumentazione estremamente versatile grazie alla combinazione della tecnologia ad infrarossi con i sensori elettrochimici

L’azienda MRU è specializzata nello sviluppo, produzione e commercializzazione di sistemi di analisi della combustione e di composizione dei gas, caratterizzati da alta tecnologia. Grazie al suo laboratorio tecnico interno, garantisce una rapida assistenza per tutte le operazioni di manutenzione, taratura e certificazione periodica. I principali settori di applicazione delle apparecchiature MRU sono: controllo e regolazione di impianti termici civili e industriali; manutenzione di bruciatori, motori di cogenerazione e turbine; controllo delle emissioni in atmosfera; controllo della combustione e di processi termici di gassificazione; analisi del biogas. Per misure prolungate su processi industriali, bruciatori, motori, turbine, formi e altri impianti termici MRU ha recentemente lanciato il nuovo analizzatore portatile VarioLuxx, in grado di misurare contemporaneamente fino a 9 componenti gassose, dotato di 6 sensori elettroHi-Tech Ambiente

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chimici, 3 sensori NDIR e disponibile anche con un sensore di O2 paramagnetico. VarioLuxx è lo strumento ideale per misure di NOx e altre sostanze inquinanti secondo la nuova direttiva MCP 2015/2193 per medi impianti di combustione (< 50 MW). L’analizzatore impiega il sistema operativo Linux, che consente una gestione intelligente, intuitiva “touch and swipe” del display a colori e permette l’uso delle più importanti interfacce per la comunicazione dati. Inoltre, è posdsibile il controllo remoto e la trasmissione dati tramite smartpfone utilizzando la app MRU4u. Per i grandi impianti è invece adatto l'analizzatore professionale NovaPlus, dotato di display remoto bluetooth e adatto anche per misure prolungate del biogas. Per misure di alta precisione MRU produce l'analizzatore portatile MGA 5 plus.


La centralina AQMesh per la misura della qualità dell'aria, proposta da Con.Tec Engineering, consente il monitoraggio di parametri quali: CO, NOx O3, S0 2 , PM10, PM2,5 PM1, TSP, rumore, oltre che volendo anche H2S e CO2. Lo strumento, che riduce la necessità di installare costose stazioni di monitoraggio, propone un approccio innovativo all'attività di controllo della qualità dell'aria che, fra l'altro, consente una più vasta copertura geografica. Infatti, prevede la realizzazione di matrici di sensori in reti senza fili per la ricerca delle fonti di inquinamento. Verificato in test di confronto a livello mondiale, AQMesh è piccolo (20 cm), leggero (2 kg) e completamente wireless per un facile posizionamento e movimentazione. L’installazione è semplice e veloce (10 min circa) e può essere collegato a lampioni, paletti di recinzione, pannelli, muri, ecc., e proprio grazie alla tecnologia GPRS mobile wireless integrata consente di accedere ai dati in qualsiasi momento e da qualsiasi posizione. Difatti, una volta memorizzato sul server di AQMesh, l'utente ha accesso diretto a: letture ppb corrette, impostazioni intervalli di lettura e trasmissione dati, informazioni sulla diagnosi e sulla manutenzione. E’ inoltre possibile fare il download dei dati, gestire la sicurezza dei dati e correggere online fattori ambientali e effetti di interferenza. La centralina può essere utilizza-

AQMesh: che aria tira? Con.Tec Engineering

Centralina di analisi degli inquinanti atmosferici con trasmissione wireless delle misure

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ta per una vasta gamma di applicazioni, tra le quali controllo del traffico, monitoraggio industriale, ecc., ma ovviamente tutte finalizzate alla definizione delle strategie di riduzione dell'inquinamento. Quanto al traffico, i moderni sistemi di controllo sono progettati per gestire il traffico autoveicolare in modo efficiente, riducendo l'impatto ambientale monitorando in continuo il livello di rumore, la concentrazione delle polveri sottili e l'inquinamento da gas tossici. Le unità AQMesh sono la soluzione ideale per questo tipo di monitoraggio in quanto sono di piccole dimensioni e possono funzionare con pannelli solari o a batteria. I dati vengono restituiti quasi in tempo reale ad un'applicazione accessibile da web in formati universalmente riconosciuti. Le tendenze dei valori possono quindi essere confrontate con il flusso di traffico consentendo ai gestori di comprendere meglio le condizioni che portano ad accumuli di inquinanti e, quindi, minimizzarle e prevenirle. Esempi di applicazioni di questo tipo sono: controllo dei livelli di inquinanti in galleria per garantire l'efficienza dei sistemi di ventilazio-

ne; controllo dell'inquinamento lungo le linee urbane di autobus; verifica e valutazione dell'inquinamento locale attorno a un aeroporto; misura dell'inquinamento lungo una strada per definire il contributo delle fonti locali. In ambito industriale, invece, la centralina idonea per la definizione delle fonti di inquinamento (stabilire la provenienza di un particolare inquinante), per stabilire dove e quando le emissioni industriali hanno raggiunto il suolo, e per monitorare la linea di recinzione attorno a siti industriali. Non meno importante l’ambito della protezione della salute, per la quale AQMesh poò verificare l'esposizione personale nella mobilità pedonale di un percorso urbano, misurare l'inquinamento a diversi livelli di un grattacielo urbano, e per controllare l'esposizione dei lavoratori a fattori inquinanti (monitoraggio della qualità dell'aria interna/esterna). Attualmente, le unità AQMesh sono vendute con un contratto che prevede: trasmissione dati, elaborazione dati, accesso ai dati e loro download, archiviazione protetta dei dati, opzioni di gestione dell'unità, manutenzione, diagnosi e supporto del sistema.

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tecnologia

Il decommissioning industriale Stabilimenti e piattaforme offshore

Esempi di messa in sicurezza di strutture abbandonate con presenza di sostanze pericolose 2a parte

Spesso la strategia migliore è affidare la direzione delle attività di decommissioning a uno specialista esterno, che innanzitutto dovrà predisporre uno studio di fattibilità, che deve considerare tutti i fattori coinvolti (tra cui la gestione delle risorse umane, i dati del mercato e le relazioni con soggetti pubblici e privati interessati a vario titolo). E’ possibile (e infatti spesso si procede in tal senso) effettuare il decommissioning (fino allo smantellamento/demolizione) di una parte dell’impianto, mentre il resto del sito continua a lavorare normalmente. Per esempio, il decommissioning e demolizione di cinque impianti in un sito di produzione di prodotti chimici nel nord-est dell’Inghilterra è stato meticolosamente pianificato e coordinato, in modo da coniugare la continuità operativa del sito con il minimo disagio per l’attività produttiva e le massime condizioni di sicurezza. Nel caso in esame, si è proceduto allo smantellamento di quattro colonne di distillazione, di altezza variabile da 40 a 60 m, effettuato nelle stagioni più calde, prima dell’arrivo dei forti venti autunnali. A causa della vicinanza di tubazioni pericolose e della conseguente impossibilità di usare strumenti a fiamma libera, è stato necessario individuare tecniche alternative; la scelta è ricaduta sull’impiego di getti di acqua ad alta pressione, che esercitano un effetto abrasivo sulla superficie esterna delle colonne eliminando contemporaneamente i rischi di incendio, per poi procedere alla rimozione delle sezioni superiori delle colon-

Il termine “decommissioning” comprende tutte le attività dirette al recupero di insediamenti e infrastrutture industriali e civili in stato di abbandono: recupero che è soprattutto un’opportunità per eliminare situazioni di passività ambientale e sociale, e per favorire il recupero del territorio. In termini semplici, la “decommissioning engineering” ha lo scopo di mettere in sicurezza gli insediamenti abbandonati, sia per quanto riguarda la possibile presenza di sostanze pericolose per l’uomo e l’ambiente, sia per la possibile presenza di potenziali energetici residui e aspetti di integrità strutturale, per poi consegnare gli insediamenti a chi si occuperà della loro demolizione, ristrutturazione o riuso adattivo. LE STRUTTURE INDUSTRIALI

Alcuni impianti industriali, in particolare quelli costruiti tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, sono ormai giunti al termine della loro vita utile: sono quindi diventati obsoleti, inefficienti e non più rispondenti ai requisiti legali di sicurezza ambientale, protezione della salute collettiva e sicurezza sul lavoro. Di conseguenza, alcuni di essi sono stati sottoposti a “decommissioning”. La sfida, quindi, è come portare avanti questi progetti, che richiedono competenze tecniche specifiche e intense e dettagliate attività preparatorie, e sono spesso condizionati dall’urgenza e dalla disponibilità di risorse. Hi-Tech Ambiente

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ne mediante gru pesanti. Qualche volta, invece, è preferibile la demolizione totale dell’impianto dismesso. Ciò deve essere effettuato con tutti gli accorgimenti necessari per la protezione dell’ambiente, la prevenzione delle emissioni o dispersioni pericolose e la corretta gestione dei rifiuti. Se le operazioni di decontaminazione e smantellamento vengono condotte considerando la “gerarchia dei rifiuti”, è possibile massimizzare la quantità di materiali che può essere recuperata e avviata a riciclaggio portando, in alcuni casi, a un guadagno significativo grazie alla vendita di rottami e materiali di risulta. Un esempio documentato è stato lo smantellamento totale di un impianto per la produzione di ammoniaca da 4.500 ton/anno: tutto è stato meticolosamente smontato, ripulito, etichettato, catalogato e trattato in modo da proteggere le diverse parti contro la corrosione. Alla fine i diversi pezzi sono stati stivati in 120 containers, 60 cassoni chiusi e 80 contenitori aperti, e spediti via mare ad un nuovo utilizzatore. DISMISSIONE DI UN IMPIANTO DI TRATTAMENTO FANGHI

Il caso pratico di seguito esaminato riguarda la dismissione di un impianto di trattamento fanghi derivanti dal trattamento di reflui civili, che impiegava l’ossidazione chimica in fase liquida dei fanghi. La dismissione è stata divisa in varie fasi: - fermo impianto e recupero di reagenti e metalli presenti (come olio combustibile e reagenti chimici) - scollegamento delle apparecchiature elettromeccaniche dalla rete elettrica, con successivo stoccaggio, identificazione del codice CER e smaltimento (i materiali risultanti dallo smantellamento dell’impianto sono principalmente motori elettrici fuori uso e raee, alluminio, ferro e acciaio, metalli misti, cavi elettrici) - mappatura della presenza di materiali potenzialmente pericolosi (soprattutto fibre artificiali vetrose e amianto), e nel caso in cui ne sia riscontrata la presenza occorre procedere alla bonifica con rimozione dei materiali pericolosi (in particolare della coibentazione, costituita da lana minerale e lamierino in alluminio) - smontaggio e demolizione

approvvigionamento idrico occorre predisporre teli antipolvere nelle zone di lavorazione, in modo da contenere possibili dispersioni. IL CASO DELLE PIATTAFORME OFFSHORE

dell’impianto - separazione dei rifiuti per diversa tipologia - trasporto dei carichi (ad opera di imprese autorizzate) verso impianti per la demolizione e il recupero di materie prime, con smaltimento dei pezzi presso discariche e impianti di recupero, oppure invio ad altri impianti per trattamento e recupero di materie prima quali acciaio, ferro, metalli misti, plastica ecc. E’ necessario individuare specifiche aree dove posizionare i cassoni per il conferimento e lo stoccaggio differenziato dei vari materiali. Nel caso di presenza di materiali potenzialmente pericolosi, le attività di bonifica e smaltimento devono essere effettuati in conformità alla normativa ambientale e alle normative specifiche di settore. In particolare: - nelle fasi di demolizione e rimozione, occorre bagnare costante-

mente con naspi, idranti, cannoni ad acqua al fine di impedire la diffusione delle polveri in atmosfera - durante la rimozione delle fibre artificiali vetrose, occorre seguire le stesse modalità previste per la rimozione dell’amianto, al fine di ridurre al minimo la dispersione di polveri o/e fibre (e ciò significa effettuare le seguenti attività: compartimentazione statica con effettuazione della prova fumi, installazione della camera filtro e uso di DPI per la rimozione dell’amianto, rimozione vera e propria dell’amianto e/o delle fibre artificiali vetrose, pulizia delle superfici mediante aspirazione, indagini strumentali per scoprire la presenza di fibre residue nell’ambiente, restituzione finale dell’area bonificata) - durante la frantumazione dei materiali inerti, è necessario assicurare la compartimentazione dell’area ed eseguire costantemente le lavorazioni a umido, ma in assenza di

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Esistono attualmente nei mari italiani 138 piattaforme offshore per estrazione di idrocarburi (quasi tutte ubicate nel Mar Adriatico). Otto di queste non sono più operative per esaurimento del giacimento e 49 sono già state dismesse in passato, in certi casi con riconversione completa a fini ambientali (come la vecchia piattaforma Paguro a largo di Ravenna, che oggi ospita un’oasi di ripopolamento della fauna marina). Il decommissioning delle piattaforme offshore può prevedere la rimozione totale o parziale della piattaforma; più raramente, l’intera struttura può essere riconvertita per altri impieghi. Nel caso di rimozione parziale l’intervento riguarda solo le parti superiori della piattaforma, mentre la base e i piloni di sostegno vengono lasciati sul posto; così come le condutture sottomarine, che possono essere completamente rimosse o lasciate, in tutto o in parte, in loco (ovviamente previa bonifica, onde evitare danni all’ambiente sottomarino). L’aspetto più interessante, però, è la possibilità di riconvertire le strutture per altre finalità: sono in corso studi di fattibilità sul loro riuso per la produzione di energia fotovoltaica, eolica, da moto ondoso o anche per la loro riconversione in osservatori ambientali. Per quanto riguarda i costi, il decommissioning di una piattaforma monotubolare con profondità compresa tra 10 e 30 metri prevede 10 giorni di lavoro e un costo di circa 3 milioni di euro; impianti con 4,5 o 6 gambe e una profondità compresa tra 30 e 80 metri richiedono 40 giorni di lavoro e 20 milioni di euro. La dismissione delle piattaforme di maggiori dimensioni (8 gambe e una profondità compresa tra 80 e 150 metri) richiede 60 giorni di lavoro e un investimento di circa 30 milioni di euro. Tali costi rappresentano comunque una stima approssimativa, soggetta a una variabilità del 40%, in funzione del valore di mercato dei servizi al momento dell’esecuzione del lavoro.


Da fly ash a zeoliti Con acqua di mare e basse temperature

La trasformazione economicamente conveniente di uno scarto industriale in un materiale utile per la bonifica Il processo messo a punto presso i laboratori dell’IMAA-CNR riguarda la trasformazione di un prodotto di scarto in un materiale utile, in modo economicamente conveniente utilizzando acqua di mare e basse temperature. Lo scarto industriale in questione è il fly ash, un prodotto da smaltire in discarica derivante dalla combustione del carbone nelle centrali termoelettriche. Il materiale utile di risulta dal processo brevettato è rappresentato invece dalle zeoliti, che sono dei minerali con grandi cavità strutturali, caratteristica questa che le rende molto utili in vari contesti e particolarmente nel campo della bonifica ambientale. Oggetto del brevetto è un processo che permette la formazione di zeoliti riscaldando a basse temperature il fly ash in una soluzione costituita da acqua di mare. L’invenzione evidenzia che vi è un sorprendente aumento della produzione di zeoliti se il processo viene effettuato a basse temperature utilizzando acqua di mare piuttosto che acqua distillata. In

particolare, la temperatura di incubazione deve essere compresa tra 25 e 70 °C, preferibilmente tra 30 e 60 °C, più preferibilmente tra 35 e 43 °C. I vantaggi di questo processo sono molteplici, a cominciare dal fatto che si ha una riduzione della quantità di fly ash da deporre in

discarica. Inoltre, il processo può essere applicato utilizzando fly ash con composizione chimica differente, oltre che utilizzando miscele di fly ash e altri prodotti di scarto, come ad esempio il fango rosso. Ed ancora, il processo comporta l’impiego di acqua di mare piuttosto che di acqua di-

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stillata durante la fase di cristallizzazione delle zeoliti, e questo implica una drastica riduzione dei costi dovuti all’impiego di una risorsa naturale facilmente reperibile. Per di più, la sintesi delle zeoliti, che generalmente è effettuata ad alte temperature (oltre 100 °C), avviene invece a basse temperature, con conseguente riduzione dei costi. Il processo descritto può essere applicato direttamente in suoli contaminati permettendo la sintesi di zeoliti capaci di incapsulare gli elementi tossici nella loro struttura durante la crescita. Ma le zeoliti sintetizzate da fly ash possono essere utilizzate anche come filtro per la bonifica di acque contaminate o come ammendate nei suoli per ridurre la concentrazione di elementi tossici. Infine, utilizzando miscele di due scarti (fly ash e red mud) si determina la sintesi di zeoliti con proprietà magnetiche senza l’aggiunta di costose nano-cariche di ferro, ma semplicemente sfruttando la composizione chimico-mineralogica degli scarti utilizzati.


Plastica e metanolo dall’anidride carbonica Enormi potenzialità

In sperimentazione due interessanti tecnologie a ridotto dispendio energetico per il riutilizzo del gas serra grazie a processi e catalizzatori speciali Il continuo aumento dei livelli di CO2 nell’atmosfera sta spingendo i ricercatori e le industrie a trovare mezzi per utilizzare questo gas, convertendolo in biocarburanti o altri materiali utili. Il problema è reso complicato dalla grande stabilità della molecola di CO2, che per essere trasformata richiede molta energia; occorre, quindi, ridurre la richiesta di energia mediante processi e catalizzatori speciali e ricavare questa energia da fonti rinnovabili.

secondo la Econic, per ogni tonnellata di CO2 che viene impiegata per produrre polimeri si evita di immetterne in atmosfera ulteriori due tonnellate. Secondo le previsioni dell’azienda, se entro il 2026 il 30% delle materie prime di origine fossile fosse sostituito con la CO2, sarebbe possibile ridurre le emissioni di CO2 di 3,5 milioni di ton/anno (per dare un'idea, sarebbe come eliminare dalle strade del nostro pianeta oltre 2 milioni di automobili all'anno). I polimeri ottenuti dalla CO2 appartengono alla famiglia dei poliuretani e possono essere impiegati per la produzione di una ampia gamma di prodotti, come schiume poliuretaniche (impiegate per la produzione di pannelli isolanti per edilizia e solette per scarpe), schiume flessibili per materassi, elastomeri destinati alla produzione di prodotti sigillanti per finestre, o rivestimenti protettivi per mobili e arredi in legno. L'impiego della CO2, inoltre, migliora le proprietà del prodotto fi-

PLASTICA DA CO2

La britannica Econic Technologies sta conducendo il progetto CO2Catalyst (in parte finanziato dall'UE), diretto all’implementazione di una nuova tecnologia di co-polimerizzazione catalitica in grado di sostituire le materie prime di origine fossile con la CO2 per la produzione di materiali plastici di alta qualità. Teoricamente, la CO2 ha costo zero ed è quindi gran lunga più economica rispetto alle materie prime di origine fossile attualmente impiegate per la fabbricazione dei polimeri. La tecnologia Econics consente di sostituire fino al 50% delle materie prime di origine fossile con la CO2 atmosferica, o derivante da altri processi industriali. Il riutilizzo della CO2 ha, ovviamente, anche benefici ambientali, in quanto riduce le emissioni in atmosfera del principale gas serra:

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Plastica e metanolo dalla CO2 nale: le schiume impiegate per la produzione di pannelli isolanti hanno dimostrato di essere ottimi ritardanti di fiamma e di ridurre la produzione di fumi in caso di incendio; e i rivestimenti per arredi in legno hanno dimostrato una maggior robustezza, una maggior resistenza ai cambiamenti di temperatura, ai cambi di stagione e all'acqua piovana, e sono risultati a prova di abrasione. Nell'ambito del progetto CO2Catalyst, la Econic ha progettato e costruito un impianto dimostrativo nella città di Runcom, presso Liverpool (UK). BIOCARBURANTE DA CO2

Un altro progetto che punta all'utilizzo della CO 2 atmosferica è Willpower, che si propone di convertire la CO2 presente in atmosfera in metanolo, utilizzabile per il riscaldamento domestico e per l’industria. Infatti, il riscaldamento domestico è responsabile di circa il 54% di tutte le emissioni di CO2 in Europa (dati Eurostat 2016) e rappresenta un settore particolarmente ricco di potenzialità per il transito verso una economia a basse emissioni. Su questi presupposti, la società tedesca Gensoric ha sviluppato il “Sistema Willpower”, un progetto (cofinanziato dall’UE), che produce metanolo a partire da acqua e dalla CO2 presente in atmosfera, con un processo elettro-bio-catalitico che ha luogo a temperatura ambiente e che utilizza enzimi di facile reperibilità, evitando l’impiego di materiali pericolosi o

serbatoi ad alta pressione e, quindi, non richiede particolari misure di sicurezza. Tutte queste caratteristiche danno alla tecnologia enormi potenzialità commerciali: basti pensare che l’energia contenuta in 10 kg di metanolo “pulito” equivale a quella presente in 625 kg di batterie al litio.

Il team della Gensoric ha costruito un reattore basato sull’azione combinata di elettrodi ed enzimi i quali, una volta che la CO2 atmosferica viene catturata nell’acqua, danno luogo a una serie di reazioni chimiche che producono metanolo, un combustibile che non dà problemi di sicurezza ed è facile

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da trasportare. L’energia richiesta viene ottenuta da fonti rinnovabili, per cui il sistema rappresenta una modalità di stoccaggio energetico superiore a quello di batterie e sistemi di accumulo attualmente in uso. Per realizzare il progetto, il team ha impiegato enzimi non specifici e facilmente reperibili in commercio, raggiungendo circa il 20% di efficienza. Comunque, i ricercatori credono che modificando gli enzimi sia possibile raddoppiare l’efficienza, e che con altri accorgimenti (attualmente tenuti segreti, essendo la tecnologia oggetto di brevetto) l’efficienza potrebbe raggiungere l’80%. Il sistema (reattore e unità di cattura della CO 2) è progettato per essere modulare e, quindi, può essere adattato a seconda delle esigenze, rendendolo abbastanza flessibile per impiegare la CO 2 proveniente da altre fonti (come scarichi di industrie e centrali termiche). Oltre alla riduzione delle emissioni, il progetto Willpower persegue altri obiettivi stabiliti dalla legislazione europea, come offrire un’alternativa ai carburanti fossili attualmente importati da Paesi del Medio Oriente caratterizzati da elevata instabilità politica. Per affrontare la fase commerciale, la Gensoric sta lavorando all’ottimizzazione di efficienza e costi, sperimentando nuovi materiali per gli elettrodi e modificando gli enzimi catalitici per aumentare la resa in metanolo. Inoltre, la combustione del metanolo per il riscaldamento rilascia acqua e CO2, che possono essere nuovamente impiegate nel processo (in modo “circolare”) per produrre ulteriore metanolo.


Biometano liquido e ghiaccio secco dal biogas Ricerca bavarese

Messo a punto su scala di laboratorio un processo applicabile anche a impianti di medio-piccole dimensioni Il gas naturale liquefatto (LNG, Liquified Natural Gas) viene attualmente prodotto in Qatar e in Australia, sia per consentire il trasporto via mare con le navi metaniere, che per l’utilizzo diretto nella propulsione di mezzi pesanti come navi e autocarri. Rispetto ai carburanti derivati dal petrolio, l’impiego di LNG consente di diminuire del 25% le emissioni di CO2 e di azzerare (o quasi) le altre emissioni inquinanti: si elimina totalmente il particolato, si riducono gli NOx del 90% e l’ossido di carbonio del’80%. Il biometano liquefatto (LBM) può svolgere le stesse funzioni del LNG, e in effetti esistono già in Svezia e Olanda alcuni impianti di liquefazione del bioCH4. Tuttavia, i processi utilizzati in questi impianti richiedono grandi quantità di biogas in entrata (circa 250 mc/ora) per poter funzionare in modo economico; inoltre, non è

stato ancora approfondito il tema dell’utilizzo della CO2 che viene separata nel processo di produzione di LBM. Per superare le limitazioni di cui sopra, il governo regionale della Baviera ha finanziato una ricerca, condotta dalle Università di Landshut e Freising, mirante a sviluppare un processo per la produzione contemporanea di LBM (con purezza analoga a quella di LNG) e di anidride carbonica solida (ghiaccio secco), che risultasse applicabile anche a impianti di biogas di medio-piccole dimensioni (circa 1.000 Nmc/ora). Un altro requisito di base era l’elevata purezza del ghiaccio secco prodotto, tale da consentirne l’utilizzo diretto nell’industria alimentare. Il processo è stato attualmente messo a punto su scala di laboratorio, ma è prevista la realizzazione di un impianto dimostrativo; la descrizione che segue è pertanto

da considerare indicativa, in quanto sono stati omessi i dettagli tecnici relativi alle apparecchiature impiegate.

vo è preceduta da un raffreddamento a 7 °C e da una deumidificazione su gel di silice. TRATTAMENTO CRIOGENICO

DESOLFORAZIONE DEL BIOGAS

L’aggiunta di sali di ferro nel digestore è un accorgimento ben conosciuto, che consente di ridurre la concentrazione di idrogeno solforato nel biogas a valori intorno a 100 ppm; ma questo non è ancora sufficiente, se si vuole ottenere ghiaccio secco di qualità idonea agli usi alimentari. L’unico modo è l’impiego di carbone attivo, ma non tutte le qualità commerciali si sono rivelate adatte; è stato necessario un programma di prove esteso a 13 tipi di carbone attivo, per identificare quello con le caratteristiche adeguate. La desolforazione su carbone atti-

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La liquefazione del metano richiede una temperatura di -162 °C, che è stata ottenuta con un compressore criogenico a elio. La temperatura ottimale per la condensazione della CO2 in forma di ghiaccio secco è invece -150 °C; pertanto, il raffreddamento del biogas viene ottenuto con 3 diversi scambiatori di calore, il primo dei quali costituisce uno stadio preliminare a -80 °C, utile per completare la rimozione dell’umidità e delle tracce di ammoniaca; il successivo stadio a -150 °C, su uno scambiatore rivestito in Teflon, consente la separazione del ghiaccio secco in forma di neve microcristallina, e l’ultimo stadio (a -162 °C) separa il metano liquido.


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a cura di ASSITA Le card in bio-PVC

Da oggi le smart card tradizionanalmente in PVC vengono proposte anche in versione biodegradabile grazie al lavoro in R&S che c’è dietro a questo settore. Se da un lato, infatti, le card sono un prodotto molto richiesto, tanto che vi è una diffusione massiccia di carte di credito, badge per il controllo accessi, gift card e loyalty card usate nel retail e nella GDO, dall’altro sempre più aziende richiedono card in PVC biodegradabile, per puntare all’ecosostenibilità dei loro prodotti e per adeguarsi alle linee guida europee, con vantaggi anche in termini di marketing. Il PVC standard, un polimero termoplastico composto per il 57% da sale marino e per il 43% da petrolio greggio, è da sempre il materiale più utilizzato per la produzione delle card. Una materia prima resistente e flessibile, che però al momento dello smaltimento causa importanti conseguenze per l’ambiente, come specifica il Libro Verde “Problematiche ambientali del PVC”, presentato a Bruxelles dalla Commissione Europea a giugno 2000: “Quando vengono inceneriti i rifiuti di PVC generano nel gas di scarico acido cloridrico che deve essere neutralizzato”. Cioè, mediante incenerimento, il polimero rilascia nell’atmosfera diossine ed altri organocloruri. Dunque, la svolta green del settore (grazie ad aziende come ad esempio Partitalia) nasce dall’esigenza di immettere sul mercato un materiale meno inquinante. La composizione chimica del PVC biodegradabile è caratterizzata dall’aggiunta di additivi che ne accelerano la degradazione in ambienti ricchi di batteri. Si tratta di additivi particolarmente ‘appetibili’

dai microrganismi normalmente presenti nella spazzatura, che metabolizzano le sostanze di cui è composto il PVC, trasformando il polimero in molecole semplici (acqua, anidride carbonica, metano), biomassa e composti inorganici. Per questo, le card in bio-PVC si decompongono in tempi più rapidi rispetto al materiale tradizionale, già nella frazione organica. Invece, per quanto riguarda la tecnologia, le performance tecniche non cambiano.

Meno smog e consumi più bassi

con le tecnologie convenzionali. I contributi più importanti allo sviluppo del nuovo catalizzatore sono stati portati dall’Università di Tokio e dalla Mitsubishi Chemical, che hanno messo a punto la configurazione dei reattori; altri partners, come il National Institute of Advanced Industrial Science and Technology (AIST), la Ashizawa Finetech e il Fine Ceramics Center, hanno sviluppato una tecnologia di produzione su scala industriale, che consente il pieno controllo del diametro delle particelle presenti nei siti attivi del catalizzatore, sopprimendo la formazione di zeoliti amorfe.

L’adesivo reversibile riduce i rifiuti in discarica

I catalizzatori oggi installati nelle marmitte catalitiche delle auto funzionano bene solo ad alta temperatura. Questo comporta che in fase di avviamento si hanno emissioni inquinanti e che parte del carburante viene utilizzato per il riscaldamento della marmitta. Un nuovo catalizzatore zeolitico, sviluppato da un consorzio di 6 industrie e università giapponesi nell’ambito di un progetto del NEDO (New Energy and Industrial Technology Development Organization), promette di cambiare la situazione, grazie alla sua attività anche a basse temperature. Il processo di produzione del nuovo catalizzatore si basa su un metodo ultrarapido per introdurre ioni positivi di rame nel reticolo cristallino della zeolite sodica, riducendo contemporaneamente al minimo i difetti della struttura. La modifica della zeolite viene ottenuta in poche decine di secondi, contro i giorni o le settimane occorrenti

Molti prodotti di largo consumo sono realizzati incollando insieme materiali diversi: plastica e carta, plastica e metallo, oppure plastiche di diversi tipi. Questo rende impossibile il loro riciclaggio, per cui finiscono in discarica o negli inceneritori. I ricercatori dell'Università inglese del Sussex hanno trovato l'uovo di Colombo: un adesivo che si stacca da solo quando viene esposto a un campo magnetico. Il segreto consiste nell'incorporare piccole particelle di metallo magnetico entro l'adesivo; quando questo adesivo viene sottoposto ad un campo magnetico alternato, le particelle metalliche si muovono rapidamente seguendo le oscillazioni del campo, e ciò provoca un intenso riscaldamento localizzato che fa fondere l'adesivo in appena 30 secondi. E' possibile, quindi, realizzare un sistema per suddividere un oggetto nei suoi componenti, semplicemente con un elettromagnete a induzione posto sopra un nastro trasportatore in movimento: all'uscita del nastro i vari pezzi di diversi materiali si troveranno separati, e potranno essere facilmente avviati a sistemi di identificazione e riciclaggio selettivo, secondo la loro natura.

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Case fresche grazie al "biomattone"

Fresche d’estate grazie a uno speciale biomattone che evita così il ricorso alla climatizzazione nelle abitazioni. Si tratta di un materiale composito ideale per il clima presente nella nostra penisola, poiché nei periodi di grande caldo consente di mantenere una temperatura media di 26 °C dentro casa. Questo biomattone, risultato dello studio condotto da Enea (Centro Ricerche Brindisi) e Politecnico di Milano e finanziato dal RSE, è ricavato da una miscela di calce e canapulo, lo scarto legnoso della canapa. Il materiale abbina basso impatto ambientale, alte prestazioni energetiche, traspirabilità, ottime capacità isolanti, protezione dall’umidità e comfort. Costruire e riqualificare il patrimonio edilizio nazionale in un’ottica green potrebbe migliorare l’efficienza energetica nell’edilizia dei paesi a clima caldo-temperato, caratterizzati dall’elevato fabbisogno di energia nei periodi estivi, e far risparmiare il 50% di energia e quindi anche ridurre le emissioni di CO2. <<Per il mercato italiano dell’edilizia, l’introduzione delle normative in ambito energetico ha rappresentato un forte stimolo a innovare materiali e componenti per garantire prestazioni più elevate in linea con i nuovi standard - spiega Vincenza Luprano, dell’Enea – e la canapa e i suoi sottoprodotti agricoli hanno un ruolo importante per la nascita di nuove filiere, incentivate anche da leggi nazionali, per l’ampia disponibilità sul territorio e per il basso impatto del ciclo produttivo sull’ambiente, in un’ottica di economia circolare>>.


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LE AZIENDE CITATE Anaergia Srl Tel 0363.1970144 E-mail info@anaergia.com

Enea Tel 06.36271 E-mail roberto.deritis@enea.it

IMAA-CNR Tel 010.6598747 E-mail referenti.titolo@cnr.it

Thearen Srl Tel 011.0655171 E-mail sales@thearen.com

Cesaro Mac Import Srl Tel 0421.231101 E-mail cesaro@cesaromacimport.com

Federdistribuzione Tel 02.89075150 E-mail info@federdistribuzione.it

Ispra Tel 06.50072076 E-mail cristina.pacciani@isprambiente.it

Università Ca' Foscari Venezia Tel 041.2346745 E-mail comunica@unive.it

C-FOOT-CTRL project Tel +30.210.7722902 E-mail andre1@central.ntua.gr

Formeco Srl Tel 049.8084811 E-mail vendite@formeco.it

Korec Srls Tel 0587.755596 E-mail info@ko-rec.com

Venetian Green Building Cluster Tel 041.5093110 E-mail chapter.venetofvg@gbcitalia.org

Con.Tec Engineering Srl Tel 02.26684830 E-mail info@conteng.it

Gensoric Gmbh Tel +49.381.33707338 E-mail info@gensoric.com

MRU Italia Srl Tel 0445.851392 E-mail info@mru.it

Vinicola Serena Srl Tel 0438.2011 E-mail info@serenawines.it

Econic Technologies Ltd Tel +44.1625.238645 E-mail enquiries@econic-technologies.com

Hera Spa Tel 0542.621123 E-mail elena.marchetti@gruppohera.it

Nuovo Srl Tel 085.9218154 E-mail info@nuovosrl.it

Vogelsang Italia Srl Tel 0373.970699 E-mail info@vogelsang-srl.it

Enea Brindisi Tel 0831.201452 E-mail vincenza.luprano@enea.it

Korec Srls Tel 0587.755596 E-mail info@ko-rec.com

Rivierasca Spa Tel 035.907474 E-mail omnia.res@rivierasca.it

Xebec Adsorption Europe srl Tel 02.64672619 E-mail sales@xebecinc.com

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