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AMBIENTE Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/Milano In caso di mancato recapito inviare al CMP MILANO ROSERIO per la restituzione al mittente previo pagamanto resi
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MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -
I BIOREATTORI MBR
La depurazione con membrane sommerse
ANNO XXVIII FEBBRAIO 2017
IL PROGETTO ALUSALT
Alluminio: scorie riciclate
a pagina 20
a pagina 14
REGOLE, INCENTIVI, CRITICITA’
IL MIRAGGIO DEL BIOMETANO
a pagina 32
SPECIALE
a pag. 27
PELLETTIZZATORI
N1
SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS
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PANORAMA
Il miraggio del biometano
APPROFONDIMENTI
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La ricarica delle falde I nuovi criteri per il rilascio dell’autorizzazione all’accrescimento artificiale controllato dei corpi idrici sotterranei
Il biometano dai reflui fognari
DEPURAZIONE I solidi sospesi grossolani
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LABORATORI
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L’antincendio nell’industria
TECNOLOGIE
L’acqua ultrapura
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Praticamente considerata un solvente, risulta essenziale nel settore dell’elettronica e farmaceutico
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Un sistema a valle separa i rifiuti in base al diverso colore dell’involucro utilizzato per il loro conferimento
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L’ultimo aggiornamento in materia si ha con il D.M. 3/8/2015, che tiene conto dei migliori standard tecnologici e tecnici di prevenzione
Impianti su misura, per ottenere resa termica al top, minor costo di esercizio, bassa rumorosità e basse emissioni
SPECIALE “PELLETTIZZATORI”
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SICUREZZA
Un processo di recupero delle croste saline di fusione dell’Al, con capacità di trattamento di circa 10.000 ton/anno
Occhio ai sacchi!
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Tecnologie di analisi innovative per ottimizzare i processi di riduzione dell’anidride carbonica
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RIFIUTI
La tecnologia dell’essiccazione
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MACCHINE & STRUMENTAZIONE
La misura US per i gas torcia
Grazie al programma di ricerca di NCR Biochemical con l’Università di Ferrara è nato Ecosana L, un ceppo batterico di grande flessibilità metabolica
Alluminio: scorie riciclate
L’ecoprogettazione oggi L’efficienza energetica nelle industrie: trasformatori di potenza e apparecchi illuminanti
Agiscono come una barriera per i fanghi attivi e i solidi sospesi, e lasciano passare il permeato limpido e senza batteri
La biotecnologia “tailor made”
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ENERGIA
Il trattamento di questi materiali eterogenei è essenziale e richiede l’installazione di appositi sistemi
La depurazione con membrane sommerse
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Un interessante studio sul settore evidenzia le problematiche, il sistema di incentivazione e l’analisi economica della filiera
ECOTIME
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MARKET DIRECTORY
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ENTERPRISE EUROPE NETWORK
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ECOTECH
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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 66 Hi-Tech Ambiente
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panorama BANDO COMIECO-ANCI
Raccolta carta: aumenta al Sud La raccolta differenziata di carta e cartone in Italia è solida: ad oggi registra oltre 3,1 mln di ton e la media nazionale di raccolta pro capite è di 51,5 kg, con una sostanziale stabilità al Nord e al Centro mentre il Sud continua il suo trend di crescita Se lo “stallo” di Nord e Centro, in un contesto dove comunque il livello di differenziazione è elevato, può essere sicuramente imputato alla generale contrazione della produzione complessiva dei rifiuti e al minor consumo di carta grafica; la crescita del Sud è invece decisamente dovuta da una parte, ad un maggior coinvolgimento e responsabilizzazione di cittadini e amministrazioni sul tema dei rifiuti, ma dall’altra anche ad un servizio di raccolta che nei comuni più attivi diventa sempre più efficiente. <<Il Sud sta cambiando marcia nella raccolta di carta e cartone -
dichiara Ignazio Capuano, past president di Comieco – ma sono numerose le aree del Mezzogiorno in cui è possibile intercettare ancora tonnellate di carta e cartone. Stimiamo, infatti, che siano 625.000 le tonnellate da recupe-
rare che in termini economici corrispondono a oltre 40 milioni di euro>>. Per questo motivo, il Consorzio ha attuato importanti iniziative per lo sviluppo della raccolta differenziata, riservando fondi straordinari per l’acquisto di at-
trezzature e automezzi in otto regioni del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia Sardegna, Sicilia). Rivolto invece a tutti i Comuni d’Italia che presentano risultati non soddisfacenti nella raccolta differenziata di carta e cartone, ma con potenzialità di crescita, è il bando Comieco-Anci, giunto alla sua 4° edizione e destinato, appunto, all’acquisto di attrezzature preposte allo scopo. L’ammontare stanziato del finanziamento a fondo perduto e con obiettivi di raccolta vincolanti è di 1 milione di euro. Nelle precedenti tre edizioni i Comuni beneficiari sono stati più di 270, con un bacino di utenza superiore a 3 mln di abitanti; l’80% degli interventi ha riguardato realtà del Sud Italia. La soglia di accesso al bando di quest’anno è di 35 kg/ab. Il bando, unitamente alla documentazione di riferimento, è disponibile su www.comiecoancibando.it/bando/ e le domande di partecipazione dei Comuni interessati possono essere presentate fino al 31 marzo 2017.
MATERIE PRIME CRITICHE
OTTO REGIONI AL 50%
“CRM Recovery”
La differenziata cresce
“CRM (Critical Raw Material) Recovery” è un’iniziativa europea finalizzata ad incrementare il tasso di recupero delle materie prime critiche dai raee. Allo scopo, è stato messo a disposizione dal Consorzio Ecodom un apposito container operativo a Milano, in cui è possibile conferire i propri piccoli elettrodomestici non più funzionanti. Questo progetto non ha solamente l’obiettivo di facilitare il conferimento dei raee da parte dei cittadini milanesi, ma è parte di una ricerca europea
sulla possibilità di incrementare del 5% il recupero di oro, argento, cobalto, grafite e platino dai raee appunto. L’idea vincente di CRM Recovery, con il quale l’Italia si è confermata in prima fila a livello europeo per innovazione nell’ambito della circular economy, è semplice: i dispositivi più interessanti e quelli riutilizzabili saranno raccolti e trattati separatamente dal resto delle apparecchiature, per aumentare la concentrazione dei materiali critici e facilitarne il recupero. In base al V rapporto “Le circular city 2014” di Anci-Conai inerente raccolta differenziata e riciclo, ben 8 Regioni hanno raggiunto nel 2014, con sei anni di anticipo, l'obiettivo UE del 50% di avvio al riciclo, stabilito per il 2020. Queste sono: Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Sardegna, Emilia Romagna. Tuttavia, Val d'Aosta, Toscana, Umbria, Abruzzo e Campania sono vicine al raggiungiHi-Tech Ambiente
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mento dell'obiettivo. Milano e Torino sono, invece, le due le città metropolitane più virtuose, a testimonianza del forte divario ancora presente tra centro-nord e sud Italia. Nel complesso, comunque, il nostro paese fa registrare un +3,67% in raccolta differenziata. Sempre lo studio rileva un aumento della produzione dei rifiuti (+2,03% nel 2014) che sta ad indicare anche un aumento e quindi una ripresa dei consumi.
EcoIsola è un cassonetto intelligente di prossimità che permette ai cittadini di buttare gratuitamente cellulari, piccoli elettrodomestici, elettronica di consumo e lampadine a risparmio energetico non più funzionanti, utilizzando la tessera sanitaria e senza la necessità di recarsi alla piattaforma ecologica. Questo particolare contenitore non solo risponde al principio dell’ “Uno contro Zero”, ma garantisce anche la tracciabilità dei rifiuti raccolti. <<L’EcoIsola nasce dall’esperienza che abbiamo maturato con il progetto europeo Identis WEEE spiega Fabio Bianchi, responsabile Affari generali di Ecolight - al fine di sviluppare soluzioni innovative per incrementare la raccolta dei rifiuti elettronici. E, dopo un periodo di sperimentazione, abbiamo deciso di renderla fruibile. L’attenzione è stata posta sui rifiuti elettronici di piccole dimensioni che risultano essere quelli più difficili da intercettare e che danno un’elevata percentuale di recupero. Si stima, infatti che solamente il 20% di cellulari, ferri da stiro e frullatori seguano un corretto per-
“UNO CONTRO ZERO”
L’EcoIsola per i raee
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Nuovo look al CdC Raee Il Centro di Coordinamento Raee ha lanciato la nuova versione del sito corporate www.cdcraee.it, frutto di un restyling grafico e di un significativo arricchimento dei contenuti. Attraverso il miglioramento del suo sistema informativo virtuale, il CdC Raee vuole rispondere alle esigenze dei suoi portatori d'interesse, offrendo uno strumento di comunicazione ancora più efficace e intuitivo. Per questo è stato attivato il nuovo servizio di informazione LiveChat, che consente al visitatore di chattare con il call center del CdC Raee e richiedere informazioni utili senza tempi di attesa telefonici. Il portale presenta una interfaccia grafica rinnovata e una attenta profilazione dei visitatori: gli utenti possono ora accedere direttamente dalla homepage alle sezioni dedicate a Cittadini, Co-
muni, Gestori, Distributori e Impianti di Trattamento, ed effettuare con un semplice link sia la ricerca dei CdR (Centri di Raccolta), LdR (Luoghi di Raggruppamento aperti alla Distribuzione) e impianti, sia di tutte le
informazioni relative agli Accordi di Programma e ai documenti correlati. Un’altra importante novità riguarda l’arricchimento della sezione inerente ai dati numerici sulla raccolta dei raee e l’inserimento dell'area dedicata al “Target Europa”, che permette di monitorare costantemente la situazione del Paese rispetto agli obiettivi imposti dall’UE. Accanto alla sezione "Comunicazione", che propone aggiornamenti puntuali sulle attività istituzionali, è stato inserito uno spazio dedicato alle news con articoli di approfondimento sul mondo dei raee. Infine a livello grafico sono state rinnovate tutte le icone che identificano i Centri preposti alla raccolta e i soggetti del Sistema Raee.
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www.cdcraee.it
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corso di smaltimento, con conseguenti danni per l’ambiente e dispersione di importanti quantitativi di materie, come plastiche e metalli, che possono essere riciclate>>. L’EcoIsola ha dimensioni contenute (1,5x1,2x1,5 metri) e non necessita della presenza di alcun operatore. L’accesso per il consumatore è estremamente semplice: basta l’identificazione con la tessera sanitaria e, indicando il tipo di prodotto da smaltire, il cassonetto apre lo sportello giusto, nel quale mettere il rifiuto. Quando i contenitori interni sono pieni, la macchina avvisa i tecnici via sms. I rifiuti conferiti vengono tracciati dal momento del conferimento fino al trattamento e recupero, nell’intento di prevenire il traffico illegale dei raee. Al consumatore viene poi rilasciato uno scontrino a conferma dell’avvenuto conferimento. Ad oggi sono 47 le EcoIsole posizionate da Ecolight in prossimità di centri commerciali e grandi punti vendita di Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio.
CALA L’ECO-CONTRIBUTO PER IL VETRO Il Conai e Coreve hanno deliberato la diminuzione del contributo ambientale per gli imballaggi in vetro. Tale variazione, che non avrà effetti sulle procedure forfettarie, sarà operativa a partire dal 1° luglio 2017. Si passerà dagli attuali 17,30 euro/ton a 16,30 euro/ton.
AL VIA COBAT ZERO WASTE
VERE PROIEZIONI SCIENTIFICHE
Il fine vita garantito
Giocare a inquinare Lanciata nell'ambito dell'ultima conferenza sul clima di Marrakech, in Marocco, "Carbon Warfare" è una nuova applicazione (per Android e iOS) il cui scopo è quello di mostrare ai più giovani gli effetti che determinate scelte industriali, e non solo, hanno sul clima e sulla sopravvivenza del pianeta Terra. Si gioca a inquinare, quindi, scegliendo le fonti energetiche sbagliate e rilanciando un'economia il meno sostenibile possibile. Naturalmente vince chi inquina di più, perchè così facendo distrugge il globo con una serie di effetti e fenomeni a catena provocati dal riscaldamento glo-
Una garanzia totale sui prodotti, che copra anche il ritiro gratuito quando questi smetteranno di funzionare e l’acquirente se ne vorrà disfare. È questo Cobat Zero Waste, il nuovo progetto del Consorzio, che in questo modo anticipa le nuove linee guida dell’Unione Europea con un servizio che tutela produttori, cliente finale e ambiente. Il progetto, quindi, permetterà ai produttori di avere la certezza che i propri beni siano davvero a impatto zero, trasformandosi grazie al riciclo in nuove materie prime da reimmettere nel ciclo industriale, e agli acquirenti di avere un servizio personalizzato di ritiro di questi beni quando vogliono sostituirli o gettarli. Il sistema è semplice e rivoluzionario. Chi compra un prodotto che aderisce al progetto Cobat Zero Waste, troverà una garanzia
aggiuntiva da attivare tramite un portale ad hoc. Attraverso il software di Cobat, potrà scaricare l’attestato e richiedere il ritiro del prodotto quando se ne vorrà disfare. Senza limiti di tempo e gratuitamente. <<Cobat Zero Waste nasce dall’esigenza dei produttori di offrire un servizio che tuteli davvero i propri clienti – spiega Giancarlo Morandi, presidente di Cobat - Non si tratta solo di vendere un prodotto, ma di garantirlo per tutto il suo ciclo di vita, anche quando smetterà di funzionare. Una garanzia per l’ambiente, perché si avrà la certezza che questo bene finisca nel circuito virtuoso del riciclo attraverso un sistema di tracciabilità tra i più avanzati al mondo. E una garanzia per i cittadini, che hanno finalmente la possibilità di fare scelte ecosostenibili con la semplicità di un click”. La prima azienda ad aderire al progetto è ABB. <<Dato il nostro impegno nel campo delle energie rinnovabili e eco-sostenibilità - spiega Fabrizio Lorito, Marketing Manager DM Division ABB Italia - abbiamo deciso di aderire al progetto Cobat Zero Waste. L’abbiamo fatto per dare maggior garanzia ai clienti attraverso la tracciabilità delle batterie dei nostri inverter solari con accumulo nel loro intero ciclo di vita, dall’acquisto fino allo smaltimento>>.
bale e dai cambiamenti del clima. Si tratta, in effetti, di reali conseguenze basate sui modelli scientifici che vengono impiegati da climatologi ed esperti in ambito di ricerca. Diverse le proiezioni su cui si basa il gioco relativamente a cosa accadrebbe se la temperatura media della terra si alzasse da 15 a 21 °C, in modo da far comprendere al giocatore i meccanismi e le cause del riscaldamento globale. Continuando ad inquinare, quindi, incendi, tempeste di sabbia, alluvioni, ecc. non rappresentano quindi fantascienza bensì scenari assolutamente possibili!
JOINT RESEARCH UNIT
SOS aria Quindici tra istituti, centri e università italiane hanno istituito, primi in Europa, una Joint Research Unit (JRU), ovvero un accordo di collaborazione grazie al quale si impegnano a sostenere e promuovere la partecipazione italiana in ICOS-RI (Integrated Carbon Observation System – Research Infrastructure), l’infrastruttura europea di ricerca distribuita che fornisce misure di alta qualità sul ciclo del carbonio, sulle emissioni di gas serra e sulla loro concentrazione atmosferica a scala europea. Quello italiano è un ruolo alta-
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mente qualificato e di estrema rilevanza per numerose attività che riguardano anche il monitoraggio della CO2 e degli altri gas a effetto serra a livello europeo. L’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO) ha di recente affermato che la concentrazione di CO2 in atmosfera non è mai stata così alta, sottolineando che nel 2015 i valori hanno superato quei 400 ppm (parti per milione) che costituiscono una soglia molto importante nello studio dei cambiamenti climatici, delle loro cause e dei loro impatti.
approfondimenti
La ricarica delle falde Decreto Ministeriale 100/2016
I nuovi criteri per il rilascio dell’autorizzazione all’accrescimento artificiale controllato dei corpi idrici sotterranei
Falda acquifera sotterranea
Il Decreto del Ministero dell’Ambiente n.100 del 2/5/2016 (entrato in vigore il 28 giugno scorso), definisce i nuovi criteri per il rilascio dell’autorizzazione al ravvenamento o all’accrescimento artificiale dei corpi idrici sotterranei tramite interventi di ricarica controllata. Si tratta in pratica di interventi diretti ad aumentare artificialmente la consistenza idrica di falda (che altrimenti sarebbe troppo povera per essere sfruttata), per mezzo di canali di irrigazione, scavo di pozzi o infiltrazione delle acque di un fiume deviato artificialmente. Lo scopo di questi interventi è il perseguimento degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici sotterranei fissati dal D.Lgs 152/2006 (TU Ambientale), in coerenza con le misure atte a prevenire o limitare le immissioni di inquinanti nelle acque sotterranee stabiliti dall’art.7 del D.Lgs
30/2009 (che stabilisce i criteri per la definizione del buono stato chimico dei corpi idrici sotterranei). Tali operazioni rientrano tra le “misure supplementari” che possono essere intraprese ai sensi del’art.116 e del punto XIV
dell’All. 11, Parte 3, dello stesso TU Ambientale. Secondo consuetudine, il Decreto si apre (art.2) con una serie di definizioni: Corpo idrico donatore: corpo idrico da cui provengono le acque con
le quali viene effettuato l’intervento. Corpo idrico sotterraneo ricevente: corpo idrico sotterraneo sottoposto ad intervento di ricarica controllata Ricarica controllata: immissione diretta o indiretta delle acque provenienti dai corpi idrici donatori nel corpo idrico sotterraneo Immissione diretta: il corpo ricevente riceve le acque senza processi di filtrazione attraverso gli strati superficiali del suolo e del sottosuolo Immissione indiretta: il corpo idrico sotterraneo riceve le acque mediante processi di filtrazione attraverso gli strati superficiali del terreno. I CRITERI PER LA RICARICA
Ai sensi dell’art.3, può essere autorizzata la ricarica controllata dei corpi idrici sotterranei in stato non “buono”, ma anche di quelli in stato “buono” qualora essi presentino una tendenza significativa e duratura all’aumento della concentrazione di inquinanti. Sostanzialmente, un corpo idrico sotterraneo può essere definito in “buono” stato chimico se non reca danni significativi agli ecosistemi terrestri direttamente dipendenti da esso; questo requisito è esplicitato da tabelle di “standard di qualità” e “valori soglia”, che comprendono in tutto 56 parametri. I criteri generali per la ricarica sono diversificati in base alla provenienza delle acque: infatti, l’uso di acque prelevate da corpi idrici superficiali è ammessa quando essi sono classificati “in buono stato chimico” in base ai criteri stabiliti dall’All. I, Parte III del D.Lgs 152/2006, mentre per l’uso di acque prelevate dai corpi idrici sotterranei la normativa di riferimento è la Tab.3 all’All.III del D.Lgs 20/2009. COMPETENZE E ADEMPIMENTI
Regioni e Province Autonome sono indicate dal D.M. come le autorità competenti a individuare i corpi idrici da ricaricare e quelli donatori. Esse formano appositi elenchi dei corpi idrici e li trasmettono alle Autorità di bacino distrettuali territorialmente competenti; l’intervento di ricarica è soggetto agli adempimenti previsti dalle norme vigenti in materia di valutazione di impatto ambientale. Regioni e Province Autonome in-
Monitoraggio di acque di falda Hi-Tech Ambiente
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Ricarica della falda acquifera
dividuano i corpi idrici idonei a ricevere interventi di ricarica controllata in base alle informazioni raccolte sullo stato quantitativo e chimico dei corpi idrici sotterranei riceventi, tra cui quelli in stato non “buono” e quelli in stato “buono” che tuttavia presentano una tendenza significativa e duratura all’aumento delle concentrazioni di inquinanti. COME INDIVIDUARE I CORPI IDRICI DONATORI
Le risorse idriche potenzialmente utilizzabili per la ricarica, purchè conformi ai requisiti stabiliti dall’art.3, includono le acque prelevate sia dai corpi idrici superficiali che quelle derivanti dai corpi idrici sotterranei. In particolare, i corpi superficiali devono presentare adeguati valori
di portata, regime idrico perenne e un surplus idrico che garantisca il mantenimento dello stato “buono” anche dopo le operazioni di ricarica. Possono essere considerate idonee per i prelievi anche le acque superficiali a carattere torrentizio o intermittente, durante i periodi di piena stagionale. In ogni caso, la risorsa idrica deve provenire da una fonte affidabile, che assicuri quantità sufficienti e qualità idonea per il sito oggetto della ricarica. MODALITA’ DI RILASCIO DELL’AUTORIZZAZIONE
L’autorizzazione alla ricarica controllata dei corpi idrici sotterranei viene rilasciata da Regioni o Province Autonome dopo la presentazione di un progetto preliminare e di uno definitivo.
Il progetto preliminare deve contenere alcune informazioni minime relative al corpo idrico ricevente e al corpo donatore: - informazioni generali sul corpo idrico ricevente, ossia esplicitazione degli interventi di ricarica controllata, modello concettuale e bilancio idrico, ubicazione del sito, informazioni sulle interazioni tra acque sotterranee e acque superficiali, caratterizzazione geologica e geochimica del serbatoio acquifero, caratterizzazione geochimica delle acque, esame degli utilizzi in atto e/o prevedibili - caratteristiche dei siti di ricarica, ossia geomorfologia del sito, stratigrafie del suolo e del sottosuolo, idrologia superficiale e caratteristiche idrogeologiche del sito, attività antropiche presenti e potenzialmente interferenti, disponibilità e accessibilità delle aree
Pozzo di falda Hi-Tech Ambiente
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- informazioni sul corpo idrico donatore. Nel caso in cui il donatore sia un corpo idrico superficiale, il progetto preliminare deve indicare dati sullo stato ecologico e chimico del sito e il bilancio idrico del corpo donatore, informazioni su interazioni con altri corpi idrici sotterranei e sul deflusso minimo vitale. Nel caso in cui il corpo idrico donatore sia sotterraneo, il progetto deve indicare il modello concettuale dell’acquifero, dati sulla qualità chimica e microbiologica, il bilancio idrico del corpo donatore. Il progetto definitivo, invece, deve riportare le modalità di realizzazione della ricarica, gli scenari idraulici, idrochimici e socioeconomici derivanti dall’intervento, evidenziando in particolare alcuni aspetti: - per il corpo idrico ricevente va indicato l’andamento dei livelli piezometrici del corpo idrico sotterraneo, l’andamento delle portate delle sorgenti connesse al corpo ricevente, la capacità di immagazzinamento, l’andamento temporale dei parametri chimici significativi, le informazioni sul fenomeno della subsidenza e sui benefici che possono derivare da un intervento di ricarica controllata della falda - per il corpo idrico donatore va indicata la modellazione del prelievo e della sua non interferenza con le altre concessioni già in essere Il progetto definitivo, inoltre, deve includere la descrizione dei sistemi di monitoraggio e di controllo adottati, la cui configurazione minima deve prevedere portate fluviali, piezometria della falda acquifera in un adeguato numero di punti ed eventuali portate sorgive ad essa connesse, parametri chimici e fisici atti a definire lo stato qualitativo dei corpi idrici coinvolti.
Ricarica artificiale di falda acquifera
DEPURAZIONE A C Q U A
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A R I A
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S U O L O
I solidi sospesi grossolani Evitare problemi ai depuratori
Il trattamento di questi materiali eterogenei è essenziale e richiede l’installazione di appositi sistemi
A MONTE DELLA FOGNATURA
Auger Montser di JWC Environmental
La presenza di solidi sospesi grossolani nelle acque in ingresso agli impianti di depurazione provoca una serie di problemi, come intasamento e usura delle pompe, riduzione progressiva della capacità delle vasche, intasamento dei sistemi di aerazione, blocco dei
sistemi di trasferimento dei fanghi, ecc. La natura di questi solidi grossolani è la più varia: oltre alle sabbie vere e proprie, si trovano semi di piante, fondi di caffè, frammenti di ossa e di plastica, assorbenti igienici, gusci di uova, in-
bloccano le condutture e le valvole. I tradizionali sistemi di dissabbiatura per sedimentazione sono inadatti a trattare materiali così eterogenei: è quindi necessario installare sistemi specifici di trattamento. Il problema deve essere inquadrato dividendolo in due aspetti distinti: i materiali eterogenei presenti a monte della fognatura pubblica, cioè fino al sifone intercettatore e al relativo pozzetto di ispezione (compresi); i materiali eterogenei che, trasportati dalla fognatura pubblica, arrivano all’impianto di depurazione.
dumenti intimi, ritagli di stoffa, confezioni di medicinali, profilattici e qualsiasi tipo di piccoli oggetti dei quali l’uomo sia tentato di sbarazzarsi. A questi residui si attaccano facilmente le particelle di grasso e altri materiali fibrosi, formando spesso grovigli che
Hi-Tech Ambiente
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La normativa prevede che il collegamento delle condutture di scarico private alla fognatura pubblica avvenga attraverso un pozzetto dotato di sifone intercettatore. Questo manufatto ha due funzioni: impedire il ritorno all’interno dei fabbricati di gas ed esalazioni che dovessero formarsi nella rete fognaria stradale; impedire che corpi estranei passino nel fognolo di collegamento o nella rete fognaria principale. Il sifone intercettatore presenta normalmente due bocche di ispezione, rivolte verso l’alto e dimensionate in modo da consentire le operazioni di pulizia e disostruzione. In reti fognarie costruite a regola d’arta gli interventi di disostruzione sono poco frequenti; ma non mancano casi di scarichi sottodimensionati, o con pendenza inadeguata oppure particolarmente soggetti a problemi a causa delle caratteristiche degli utenti. Questo tipo di problemi si presenta per ospedali, case di cura, residenze per anziani e strutture carcerarie: si tratta di situazioni in cui l’utente non si sente responsabile e spesso trova comodo utilizzare il wc per sbarazzarsi di cose che non vuole far conoscere, che trova imbarazzanti o scomode da gettare nei contenitori appropriati. Un caso esemplare è quello verificatosi nella città di Cranston (Rhode Island, Usa), in cui il sistema fognario risultava spesso
Auger Montser di JWC Environmental
Storm King di Hydro
intasato da stracci e altri corpi estranei. Una indagine dettagliata rivelò che la maggior parte dei materiali estranei proveniva da un complesso carcerario; oltre che con azioni di educazione degli utenti, il problema fu risolto installando speciali trituratori “montser”, costituiti da una coppia di torri verticali in acciaio a denti taglienti (Auger Montser, della ditta JWC Environmental), azionati da un motore da 3,7 kW. Naturalmente esistono anche versioni di minori dimensioni, adatte all’installazione in condomini o montate spesso sulle autobotti destinate alla vuotatura delle fosse biologiche. Apparecchiature di questo tipo sono installate ovunque nel mondo, in quanto sono efficaci, di limitato ingombro e richiedono minima manutenzione; il loro impiego è frequente anche per proteggere le stazioni di pompaggio e sollevamento, spesso presenti nelle reti fognarie. Una soluzione alternativa per le stazioni di pompaggio è l’impiego di “chopper pumps”, cioè di pompe centrifughe dotate di speciali meccanismi di triturazione, oppure di pompe che evitano i fenomeni di bloccaggio consentendo lo spostamento in senso verticale dall’asse alla girante, come la pompa Concertor di Flygt (Xylem).
essenziali per garantire l’efficacia dei bioreattori a membrana. Oltre alle griglie piane, che sono quelle più frequentemente utilizzate, si usano anche griglie a coclea, a tamburo rotante ed a nastro. I sistemi di pulizia sono di solito meccanici: il materiale raccolto viene lavato, asciugato, compattato sotto pressione e inviato a smaltimento (è assimilabile ai rifiuti urbani). Per ridurre il costo dello smaltimento, spesso gli scarichi delle griglie fini vengono sminuzzati in acqua mediante
gliatura. La griglia viene installata nel canale di arrivo all’impianto, allargando il canale stesso in modo che la velocità di attraversamento sia compresa tra 0,6 e 0,9 m/sec. Normalmente sono previste due griglie: la prima grossolana (interasse tra barre di 5-10 cm), e la seconda media (interasse 2,5-5 cm) o fine (interasse 1-2,5 cm). Recentemente sono stati sviluppati sistemi a griglie ultrafini, in grado di trattenere efficacemente anche capelli e piccole fibre; questi dispositivi sono
IN INGRESSO AI DEPURATORI
Per trattenere i solidi grossolani si usano di solito i sistemi di griHi-Tech Ambiente
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speciali pompe dilaceratrici e reimmessi nell’influente; la frazione biologica viene metabolizzata nella vasca a fanghi attivi, mentre i materiali inerti vengono recuperati nei fanghi dei decantatori primari. Il passaggio successivo è costituito da vasche di dissabbiatura, che avviene di solito in vasche ove il flusso di refluo viene rallentato a circa 0,3-0,4 m/sec, in modo da consentire la separazione dei corContinua a pag. 12
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I solidi sospesi grossolani pi solidi per gravità. Con questo metodo si rimuove circa il 70% dei solidi sospesi, lasciando solo quelli con diametro inferiore a 200 micron. Tuttavia, anche la frazione di solidi fini che riesce a passare oltre il dissabbiatore può creare problemi, soprattutto nella fase di digestione anaerobica dei fanghi di supero: i solidi si accumulano nei digestori, riducendo la loro capacità finchè non si rende necessario fermare il processo per rimuoverli. IL CASO DELLE RETI DI RACCOLTA MISTE
Nonostante oggi le reti di raccolta delle acque pluviali siano separate da quelle delle acque nere, esistono ancora sistemi misti o sistemi in cui sono presenti scaricatori di piena che, quando si supera la capacità d raccolta delle acque pluviali, convogliano queste acque entro le fognature. In questi casi la capacità di trattamento dei depuratori non è più sufficiente, per cui la maggior
Auger Montser di JWC Environmental
parte delle acque finisce direttamente nei fiumi, senza alcun trattamento, trasportando anche i materiali grossolani che in condizioni normali verrebbero trattenuti dai sistemi di grigliatura. Una soluzione sperimentata con
successo nella città di Columbus (Georgia, Usa) è l’uso di un separatore a vortice, denominato Storm King e realizzato dalla Hydro International. In caso di eventi atmosferici eccezionali, l’acqua viene inviata a una rete di 12 separatori a vortice, che separano i solidi grossolani per azione della forza centrifuga causata dal movimento dell’acqua entro serbatoi circolari. I solidi si raccolgono al
Concertor di Flygt-Xylem
Storm King di Hydro
Storm King di Hydro Hi-Tech Ambiente
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fondo, mentre l’acqua viene inviata ai successivi stadi di trattamento. Questi separatori non hanno parti meccaniche in movimento e, quindi, richiedono pochissima manutenzione; occupano appena 1/10 dello spazio a terra richiesto dalle vasche di decantazione tradizionali, pur consentendo un tempo di contatto sufficiente per i trattamenti di disinfezione.
FUNGHI E BATTERI PER DECONTAMINARE IL SUOLO
La bonifica con Bio ResNova
Decontaminare il suolo utilizzando funghi e batteri appositamente selezionati in base alla loro capacità di metabolizzare le sostanze inquinanti. Dopo una sperimentazione triennale, riparte il progetto Bio ResNova del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa grazie ad un nuovo finanziamento della Fondazione Pisa che vedrà coinvolte anche aziende del territorio che si occupano di smaltimento di rifiuti e bonifiche. L’obiettivo di questa seconda fase, che durerà due anni, è di realizzare un impianto pilota di decontaminazione per arrivare poi alla brevettazione del processo biotecnologico di bonifica di suoli e dei sedimenti contaminati. <<Siamo partiti isolando popolazioni di batteri e funghi nei sedimenti da decontaminare dove vivono proprio perché si nutrono degli stessi inquinanti - spiega il professore Roberto Lorenzi dell’Università di Pisa - abbiamo quindi moltiplicato i microrganismi in laboratorio e li abbiamo reimmessi nella matrice da decontaminare dove, degradando le molecole tossiche attraverso la loro normale attività metabolica, riescono così a ridurre la concentrazione dei contaminanti>>. I biotrattamenti messi a punto dal team Bio ResNova si possono applicare a suoli contaminati da idrocarburi pesanti consentendo un loro riutilizzo in ambito civile e industriale piuttosto che lo smaltimento in discarica, come solitamente avviene oggi. Il metodo ideato dai ricercatori dell’Ateneo pisano non solo rispetta i limiti di legge relativi ai livelli massimi del contaminante principale, ma tiene anche conto delle
sostanze dannose che possono formarsi durante la degradazione delle molecole inquinanti, insistendo nei trattamenti sino a raggiungere buoni risultati anche negli esami ecotossicologici. <<La tecnologia BioResnova – conclude Lorenzi - potrà essere sfruttata sia sul mercato italiano, dove le bonifiche ambientali dei suoli e dei sedimenti riguardano i maggiori poli chimici e petrolchimici e le principali autorità portuali, sia sul mercato europeo e nord africano, con stime previsionali che potrebbero superare di un ordine di grandezza il mercato Italiano>>.
IMPIANTI FORMECO
Gli evaporatori per acqua
Formeco, già specializzato nella produzione di distillatori per il recupero di solventi, ha affrontato il problema del trattamento di reflui acquosi inquinati, progettando e realizzando una linea di evaporatori sottovuoto che offre una risposta efficiente ed economica a tutte le aziende che si trovano ad affrontare tali problematiche. Il principio di funzionamento consiste nell’ebollizione del refluo; l’acqua, così distillata, sarà rimessa nel ciclo produttivo, mentre l’inquinante concentrato potrà essere smaltito a costi notevolmente ridotti. Il prodotto da distillare viene aspira-
to nell’evaporatore sfruttando la depressione esistente nel bollitore creata dal circuito del vuoto. Il ciclo frigorifero a pompa di calore effettua il riscaldamento del liquido in trattamento e il raffreddamento dei vapori prodotti nella fase di ebollizione. Liquido distillato e residuo del processo vengono così scaricati a fine ciclo. Prerogativa di questa tecnologia è il basso costo di esercizio della sua applicazione. La distillazione sottovuoto, abbinata alla pompa di calore, permette infatti la separazione dell’acqua dai componenti inquinanti in essa contenuti con un con-
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sumo energetico veramente minimo. La gamma degli evaporatori Formeco, nella versione a pompa di calore, include modelli con capacità da 250 a 12.000 litri al giorno. Modelli diversi, sfruttando diversi tipi di calore (vapore, acqua calda, fluidi diatermici), possono essere progettati per portate superiori, fino a 250.000 litri al giorno. Gli impianti sono progettati per lavorare in completa autonomia e possono operare in ciclo continuo 24/24 ore. Sono realizzati in materiali diversi e attrezzati in modo da soddisfare le esigenze specifiche di ogni singolo cliente. Le applicazioni di questi evaporatori sono le più svariate: dal trattamento delle acque di lavaggio alla concentrazione dei brodi alimentari, dal recupero dei metalli dai bagni galvanici alla separazione delle emulsioni oleose, fino alla concentrazione dei mosti e al trattamento dei percolati. La gamma standard degli evaporatori a pompa di calore include diverse serie: a serpentina immersa, con intercapedine di riscaldamento esterna e rotore interno, per concentrazioni spinte, per liquidi corrosivi. Queste macchine permettono: la separazione dell’acqua dalle sostanze inquinanti in essa contenute, il suo immediato riutilizzo nel ciclo produttivo, la drastica riduzione del volume del refluo da smaltire, il recupero di eventuali materie prime in esso contenute, la realizzazione di impianti a scarico zero.
La depurazione con membrane sommerse I bioreattori MBR
Agiscono come una barriera per i fanghi attivi e i solidi sospesi, e lasciano passare il permeato limpido e senza batteri I bioreattori a membrana (indicati comunemente con la sigla MBR) combinano il ben noto processo di depurazione a fanghi attivi con la separazione dei fanghi mediante membrane di ultra- o microfiltrazione. Nelle configurazioni più “antiche” (intorno agli anni ’60 dello scorso secolo) la vasca di filtrazione su membrane era posta all’esterno del reattore di ossidazione biologica, e in pratica sostituiva il sedimentatore secondario; ma oggi si preferisce la configurazione a membrane sommerse entro la vasca di ossidazione. In altri termini, la membrana agisce come una barriera, che da un lato trattiene i fanghi attivi e gli altri solidi sospesi, e dall’altro lascia passare un permeato limpido e privo di batteri. La pressione necessaria all’attraversamento della membrana è assicurata dalla gravità oppure, se la configurazione dell’impianto non consente il sufficiente dislivello tra la vasca a fanghi attivi e la vasca di raccolta dell’acqua depurata, da un sistema di aspira-
zione mediante vuoto. La pulizia delle membrane viene ottenuta mediante un flusso di bolle d’aria. MEMBRANE PIANE O A FIBRA CAVA?
La configurazione più frequente per i depuratori a membrane sommerse è quella a fogli piani; specialmente per i piccoli impianti, questo consente una struttura rela-
tivamente semplice, di facile pulizia e agevole accessibilità. Inoltre la sporcizia di tipo fibroso viene più facilmente rimossa dalla superficie delle membrane piane, mentre tende ad aggrovigliarsi entro le membrane a fibra cava, creando così difficoltà per la rimozione. Le membrane piane sono supportate da un telaio, che consente loro di resistere alla pressione sia durante l’esercizio che durante il controla-
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vaggio. Durante l’esercizio, il refluo contenente i fanghi attivi scorre da un lato della membrana; l’acqua pura attraversa la membrana e viene raccolta dall’altro lato, mentre i fiocchi di fango attivo vengono continuamente rimossi dalla superficie delle membrana da un flusso di bolle d’aria prodotto da un aeratore. Un tipico impianto a membrane piane sommerse è quello di Swanage (UK), realizzato nel 2000 dalla EIMCO Water Technologies. L’impianto serve un’area turistica con una popolazione che arriva a 28.000 abitanti nel periodo estivo, producendo 12.700 mc/giorno di liquami; comprende una sezione di pretrattamento mediante filtrazione e un bioreattore a membrane sommerse con vasca di denitrificazione, dove sono installate membrane piane per una superficie complessiva di 15.840 mq. Non occorre il sedimentatore secondario, perché l’effluente può essere direttamente scaricato in mare (dopo disinfezione).
sponibile lo spazio per installare la vasca anossica di denitrificazione, richiesta dalle norme europee. Il nuovo impianto ha una capacità di trattamento di 50.000 mc/giorno; l’acqua in uscita dalle membrane è batteriologicamente pura, per cui non è necessaria la disinfezione. VANTAGGI E SVANTAGGI DELLE MEMBRANE
Un impianto di capacità molto maggiore è quello di Al Ansab, situato nel sultanato di Oman e costruito nel 2009 dalla ACWA Services. L’acqua in uscita viene interamente riutilizzata per irrigazione; l’impianto tratta attualmente 220.000 mc/giorno di reflui. Le membrane a fibra cava sono preferite negli impianti di maggiori dimensioni, in quanto hanno minori consumi energetici per l’aerazione. Le fibre sono di solito disposte in verticale, raggruppandole in moduli; l’acqua fluisce dall’esterno di ogni fibra verso l’interno. L’aria che viene pompata dal basso svolge due funzioni: fornire l’ossigeno necessario per lo sviluppo della popolazione batterica, che assicura la demolizione delle sostanze inquinanti; mantenere pulite le membrane, impedendo che su di esse si depositino grassi, sedimenti e altre impurità, e per facilitare questa azione le fibre sono montate in modo da consentire una certa mobilità sotto l’azione delle bolle d’aria. Un esempio di impianto a fibre cave è quello italiano di Brescia, costruito nel 2002 dalla Aprica Studi Engeneering in collaborazione con la GE Water & Process Technologies. La trasformazione del precedente impianto (che aveva la configurazione tradizionale comprendente i chiarificatori primario e secondario) in impianto MBR con membrane sommerse, ha consentito di eliminare entrambi i chiarificatori, riducendo notevolmente lo spazio occupato; si è così reso di-
Dal punto di vista gestionale, il principale vantaggio della depura-
zione con membrane sommerse è che i fanghi attivi vengono trattenuti entro la vasca di ossidazione. Questo consente di controllare il tempo di ritenzione dei solidi (SRT) in maniera indipendente dal tempo di ritenzione idraulico (HRT); in altre parole, non è più necessario dare ai fiocchi di fango attivo il tempo per diventare sedimentabili, perché ora la separazione del fango dall’effluente depurato non viene più fatta per sedimentazione, ma sulle membrane. Inol-
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tre, l’allungamento del tempo di ritenzione dei solidi fornisce migliori prestazioni depurative, in quanto si incoraggia la formazione di microorganismi a lento accrescimento, specialmente efficaci nello stadio di nitrificazione. Dal punto di vista “ecologico”, cioè della qualità dell’effluente, la dimensione media dei pori delle membrane utilizzate (0,5 micron) garantisce un effluente limpido e Continua a pag. 16
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La depurazione con membrane sommerse quasi del tutto privo di batteri patogeni. Non ci sono quindi limitazioni allo scarico nei corpi idrici superficiali (anche in quelli classificati “sensibili”), ed è possibile utilizzare il refluo depurato in varie applicazioni, come l’innaffiamento di parchi e giardini, il lavaggio delle strade e i circuiti domestici delle acque grigie. Dal punto di vista costruttivo, l’eliminazione del sedimentatore secondario (e in molti casi anche di quello primario, che può essere sostituito da uno stadio di filtrazione meccanica) riduce notevolmente l’area occupata dall’impianto, consentendo modifiche e incrementi di capacità rispetto alla classica configurazione degli impianti a fanghi attivi. Anche nel settore della depurazione dei reflui industriali, gli impianti a membrana sono largamente diffusi, particolarmente dove si formano reflui con un elevato BOD (come nelle industrie agroalimentari). Non mancano, tuttavia, applicazioni anche su reflui “recalcitranti”, in quanto la possibilità di prolungare il tempo di ritenzione dei solidi consente un trattamento più efficace rispetto ai fanghi attivi tradizionali; tra le applicazioni documentate si riporta il trattamento dei reflui farmaceutici e di percolati da discariche.
Tra gli svantaggi degli impianti a membrane viene di solito citato il costo delle membrane stesse, che per impianti di grande capacità poteva in passato scoraggiare l’investimento. Tuttavia, la riduzione nei prezzi delle membrane, insieme alla accresciuta importanza di fattori come i costi dell’energia e la superficie occupata dagli impianti, hanno consentito una sempre maggiore diffusione degli impianti a membrana, il cui numero aumenta di circa il 15% ogni anno. Partico-
LA MEMBRANA CHE SI AUTOPULISCE Il principale nemico delle membrane è l’intasamento; mentre i contaminanti fisici (sabbia, fibre e simili) e gli oli possono essere rimossi con adeguati stadi di pretrattamento, la rimozione della contaminazione biologica (cioè il biofilm aderente alla superficie) è molto più difficile. Per questo motivo è stato lanciato il progetto europeo ConductMem, coordinato dal Fraunhofer Institute Gesellschaft (Germania) con la partecipazione di altri 5 partners di 4 diversi Paesi. L’idea-base del progetto è la creazione di una membrana conduttrice di corrente, che distrugga il biofilm attraverso la produzione di sostanze ossidanti per via elet-
Il prototipo del progetto ConductMem
trochimica. Nel quadro di questo progetto è stato realizzato un prototipo su scala dimostrativa, che ha dato buoni risultati.
larmente rilevante è la diffusione degli impianti a membrana in Estremo Oriente: in Cina sono già operativi impianti per una capacità di 1,4 milioni di mc/giorno, e altri 730.000 mc/giorno sono in programma a breve termine. La dimensione degli impianti non è più considerata un limite: esistono numerosi impianti a membrane con capacità di oltre 100.000 mc/giorno. Restando sul versante degli svantaggi, è opportuno tenere presente che le membrane sono sensibili a danneggiamenti da agenti fisici (come graffi e perforazioni da materiali abrasivi, e accumulo di materiali fibrosi), e intasamento da parte di sostanze grasse o oleose. È necessario quindi provvedere adeguati stadi di pretrattamento: per la rimozione dei materiali solidi sono necessari sistemi di filtrazione a griglie (con luce non inferiore a 3 mm per le membrane piane, ed a 1 mm per quelle a fibra cava); mentre, per la rimozione di oli e grassi possono essere necessari separatori a piastra o stadi di flottazione con aria disciolta. I MATERIALI PER LE MEMBRANE
Gli impianti a membrane sommerse utilizzano di solito membrane polimeriche, che devono essere prodotte in modo da avere un elevato numero di pori per cmq, ed una distribuzione il più possibile
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stretta dalle dimensioni dei pori (cioè la presenza di pori più larghi o più stretti rispetto al valore medio deve essere ridotta il più possibile). I materiali utilizzati devono garantire resistenza alle sollecitazioni meccaniche ed all’attacco chimico, e respingere il più possibile le sostanze estranee ed i batteri che possono intasare i pori. La migliore combinazione di queste caratteristiche è offerta dal fluoruro di polivinilidene (PVDF), con il quale viene realizzata circa metà delle membrane in commercio; è apprezzato anche il polietilsolforone (PES), soprattutto per la sua resistenza all’intasamento biologico. Il difetto di questi materiali è il loro costo; materiali più economici sono le poliolefine (polietilene e polipropilene), utilizzati in particolare per le membrane a fibra cava. Oltre al prezzo più basso del polimero di base, le poliolefine possono formare i pori mediante un processo di estrusione relativamente semplice (“dry spinning”). DIGESTIONE ANAEROBICA SU MEMBRANE
L’idea di far avvenire il processo di digestione anaerobica su membrane risale alla fine degli anni ’80, con il progetto giapponese Aqua-Renaissance. Inizialmente era stata adottata una configurazione con il reattore anaerobico posto in derivazione rispetto alla vasca di ossidazione; questa configurazione, tuttavia, fu abbandonata perché la resa in biogas non era sufficiente a compensare i maggiori costi. A partire dal 2010, in impianti di trattamento delle acque di scarico delle industrie agroalimentari è stata introdotta la configurazione a membrane sommerse, nella quale le bolle del biogas prodotto mantengono pulita la membrana. In questo tipo di impianti vengono eliminate le soffianti, e conseguentemente l’energia occorrente per l’aerazione; è necessario però che il BOD del refluo sia sufficientemente elevato da generare un flusso di biogas sufficiente alla pulizia delle membrane, cioè da 5 a 10 Nmc di biogas per mc di permeato. Gli impianti costruiti fino ad oggi utilizzano membrane piane; tuttavia, la GE Waters & Process Technologies ha recentemente presentato un bioreattore anaerobico basato sulle membrane a fibra cava Zee Weed 500.
NCR Biochemical ha condotto un programma di ricerca industriale in collaborazione con l’Università di Ferrara per la messa a punto di un'innovativa biotecnologia applicabile al settore di trattamento biologico di reflui, basata su una classe di archeobatteri suscettibili di grande flessibilità metabolica se opportunamente stimolati in fase applicativa di bioaugmentation. Il ceppo identificato ha mostrato di avere grandi potenzialità di utilizzo nel campo della depurazione biologica delle acque e nel trattamento dei reflui con significativi tenori di sostanza organica (BOD) e sostanze inorganiche quali derivati dell'azoto e dello zolfo ridotto (H 2S e addirittura verso agenti biostatici come SO3). Il ceppo selezionato e commercialmente denominato Ecosana L appartiene al gruppo dei batteri fototrofi ed è presente in numerosi habitat naturali grazie alla elevata versatilità metabolica che gli permette di crescere in diversi ambienti, in diverse condizioni e utilizzando diverse fonti di nutrimento ed energia. Queste caratteristiche lo rendono particolarmente idoneo alla rimozione della sostanza organica e delle varie forme di azoto e zolfo presenti normalmente in un refluo biologico di un impianto di depurazione civile o industriale. L’attività sperimentale che è stata realizzata ha permesso di valutare tutte le variabili relative alle esigenze nutritive e di crescita del microrganismo e di ottenere un protocollo di utilizzo su impianto di depurazione. Dal momento che è noto che il microrganismo si sviluppa su molte fonti carboniose e in diverse condizioni, sono state testate le condizioni ottimali per l’ottenimento della maggior quantità possibile di corredo enzimatico, contestualmente alla verifica delle condizioni ottimali di processo. Lo scopo di questo studio è stato l’ottimizzazione della bioaugmentation in condizioni di aerobiosi e anaerobiosi, in luce o buio, in terreno complesso o minimo, e la verifica delle potenzialità di biotrattamento del ceppo inoculato su campioni di mixed liquor da impianto di depurazione civile. Il protocollo sperimentale ha visto l'isolamento di colture batteriche in purezza svolte secondo le
La biotecnologia “tailor made” Trattamento reflui
Grazie al programma di ricerca di NCR Biochemical con l’Università di Ferrara è nato Ecosana L, un ceppo batterico di grande flessibilità metabolica
Fermentatore primario di NCR Biochemical
seguenti prove: creazione dei master cell banks e working cell banks, una volta selezionato il microrganismo di interesse, è stato necessario creare le unità microbiche di riserva e di lavoro per garantire la ripetibilità degli esperimenti. La master cell bank è conservata a -20 °C in cryovials, mentre la working cell bank è conservata su slant in terreno agarizzato a 4 °C. Il microrganismo è stato fatto crescere: - in condizioni di aerobiosi (ossigeno alla saturazione) al buio su terreno specifico. Beute vegetative sono state inoculate con una sospensione di microrganismo e fatte crescere per 72 ore a 30 °C a
pH=6,8 in condizioni di agitazione meccanica a 120 rpm. I prelievi di controllo sono stati effettuati ogni 12 ore circa (la biomassa ottenuta in queste condizioni sarà di seguito nominata AE-LT). - in condizioni di anaerobiosi (assenza di ossigeno) in luce su terreno specifico contenente. I prelievi di controllo sono stati effettuati ogni 12 ore circa (la biomassa ottenuta in queste condizioni sarà di seguito nominata ANDK). Le curve di crescita del microrganismo nelle due condizioni. sono state ottenute attraverso misure di conta cellulare sui campioni prelevati. Nel caso della crescita in condi-
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zioni di anaerobiosi e luce si raggiungono rese maggiori di un ordine di grandezza rispetto alla crescita in condizioni di aerobiosi e buio. In entrambi i casi si ottiene il massimo della crescita dopo 30 ore dall’inoculo ed una concentrazione cellulare massima compatibile con quanto deve essere usato nei processi industriali di bioremediation. E’ stato ritenuto opportuno portare avanti nella sperimentazione entrambe le biomasse, in modo da valutare comparativamente le performance di bioremediation nelle varie condizioni operative. Da un lato, infatti, la biomassa cresciuta in condizioni di anaerobiosi e luce è maggiore, ma le condizioni operative rendono un processo di più difficile gestione (le condizioni di anaerobiosi vanno realizzate in apposite camere in corrente di azoto o anidride carbonica) e il terreno è molto più complesso e costoso. Le due biomasse ottenute sono state sottoposte a test specifici per la verifica delle potenzialità metaboliche esprimibili su mixed liquor di impianti municipali in impianto pilota di NCR Biochemical gestito dai ricercatori dell'Università di Ferrara. In particolare è stata verificata la capacità di metabolizzare azoto nitrico in condizioni di anaerobiosi (test NUR_nitrogen uptake rate per la Continua a pag. 19
Le navi usano un tipo di diesel a basso costo che ha alte concentrazioni di zolfo ed altri inquinanti. Nel 2010, l’Organizzazione marittima internazionale (IMO) ha applicato severi regolamenti sulle emissioni delle navi per limitare questa importante fonte di inquinamento dell’aria. Il progetto europeo DEECON (Innovative after-treatment system for marine diesel engine emission control) è arrivato a costruire un’unità modulare per l’abbattimento a bordo degli inquinanti dai gas di scarico diesel, da installare a bordo di navi sia nuove sia esistenti. Il lavoro è iniziato con un’analisi completa dei motori delle navi per determinare i requisiti del sistema. Il dispositivo realizzato è costituito da diverse subunità, ciascuna delle quali ottimizzata per eliminare specifici inquinanti (SOx, NOx, PM, VOC and CO). Le sottounità sono rappresentate da uno scrubber elettrostatico per acqua di mare (ESWS-electrostatic sea water scrubber), un reattore al plasma (NTPR-non thermal plasma reactor), un reattore catalitico (SCR- selective catalytic reactor ed un’unità di trattamen-
PROGETTO DEECON
Meno smog dalle navi Un dispositivo pluri unità che abbatte gli inquinanti di scarico dei motori ti rilasciati nell'acqua dal sistema ESWS, così da consentire lo scarico in sicurezza dell'acqua di processo in mare. Subito dopo i test, tutte le subunità sono state assemblate su una piattaforma per arrivare al prototipo del Deecon. Per trattare i gas di scarico di un motore diesel marino è stata svolta una dimostrazione da cui è emerso che il sistema consuma molta meno energia e acqua rispetto ai dispositivi esistenti. Ammodernando quindi le flotte commerciali con questa soluzione innovativa che rimuove adeguatamente tutti gli inquinanti gassosi dai loro gas di scarico, si avrebbero navi più rispettose dell’ambiente che riducono l’inquinamento dell’aria e causano molti meno danni alle comunità costiere e alla vita marina.
Il sistema Deecon in scala laboratotio
to dell’acqua di lavaggio (WWTwash water treatment). Le prove effettuate hanno mostrano che l’ESWS, con capacità di trattamento di 200 kg/sec di gas di scarico, può rimuovere fino al 93% del particolato (101.000 nm) e ridurre l’anidride solforosa (SO 2 ) di circa il 70%. In modo simile, il prototipo del reattore al plasma non termico che usa le microonde come fonte di energia, può eliminare fino al 90% degli NOx e COV, e ridurre l’SO 2 quasi del 100%. Il reattore SCR consente, invece, la riduzione degli NOx ad azoto elementare grazie da uno specifico catalizzatore; mentre, l’unità di lavaggio è stata progettato per il trattamento dei sottoprodotti inquinan- Il sistema Deecon in scala industriale Hi-Tech Ambiente
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La biotecnologia “tailor made” denitrificazione) e di respirare in condizioni di aerobiosi (test OUR_oxygen uptake rate per la nitrificazione). I test sono stati effettuati utilizzando campioni di mixed liquor da impianto di depurazione civile forniti da NCR Biochemical. I risultati del test NUR mostrano come in entrambi i casi la biomassa ha una buona capacità di utilizzare il nitrato come fonte accettore di elettroni in condizioni di assenza di ossigeno, e quindi è potenzialmente utilizzabile per realizzare la denitrificazione biologica in un impianto di depurazione, contestualmente alla capacità di consumo della sostanza organica presente nel refluo. Nel caso della biomassa AN-LT la capacità di consumare nitrato è più efficiente, molto probabilmente perché essa è stata prodotta nelle stesse condizioni in cui avviene la denitrificazione e, quindi, possiede già il patrimonio enzimatico necessario per le reazioni metaboliche indotte. Nel caso della biomassa AE-DK è necessaria una fase di latenza prima di poter iniziare il processo. I risultati del test OUR, invece, mostrano come la biomassa AEDK sia maggiormente efficiente nel processo di respirazione aerobica di quanto non sia la biomassa AN-LT. In entrambi i casi il ceppo è in grado, nelle condizioni opportune, di indurre un metabolismo aerobico che porta all’utilizzo di ossigeno come accettore finale degli elettroni. Questa prima evidenza permette a NCR Biochemical la produzione di colture batteriche specifiche in funzione dei diversi ambiti applicativi, creando veri e propri formulati “tailor made” per il cliente. Gli esperimenti su mixed liquor da impianto di depurazione civile hanno confermato i risultati ottenuti in fase di test pilota. E’ stata osservato come le due biomasse mantenessero un’elevata efficienza di rimozione del nitrato dal refluo, contestualmente al consumo della frazione biodegradabile del COD in fase anossica di denitrificazione. Anche nel caso dei test di nitrificazione, sono stati confermati i risultati in entrambi i casi. Le ri-
levazioni sperimentali meritano però un'osservazione particolare. Normalmente i batteri utilizzati nella nitrificazione biologica delle acque reflue hanno la capacità di ossidare l’ammonio in condizioni autotrofiche, utilizzando cioè soltanto la CO2 atmosferica come fonte di carbonio; il processo tradizionalmente impiegato, perciò, prevede la produzione di forme ossidate dell’azoto senza rimozione della sostanza organica, fisiologicamente non necessa-
ria ai batteri nitrificanti. Nel caso di Ecosana L, invece, i risultati sono piuttosto sorprendenti, dal momento che si rileva una indubbia attività nitrificante, visibile attraverso la produzione di nitrato, ma anche un consumo della sostanza organica presente. Quindi il microrganismo, noto per la grande versatilità metabolica, nelle condizioni mantenute manifesta insieme alla normale assimilazione di ammonio per la crescita cellulare una certa atti-
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vità nitrificante eterotrofica. In conclusione, queste prove dimostrano che Ecosana L, nelle condizioni di processo scelte sulla base delle esigenze applicative del cliente, raggiunge livelli di crescita adatti per le applicazioni industriali, e possiede una flessibilità di utilizzo nei trattamenti per la rimozione dell’azoto, dello zolfo e della sostanza organica, combinando un’elevata sinergia di metabolismi eterotrofi/autotrofi.
RIFIUTI T R A T T A M E N T O
E
S M A L T I M E N T O
Alluminio: scorie riciclate Il progetto Alusalt
Un processo di recupero delle croste saline di fusione dell’Al, con capacità di trattamento di circa 10.000 ton/anno È noto che il riciclaggio dell’alluminio è vantaggioso da tutti i punti di vista: rimuove dall’ambiente rifiuti non degradabili e altamente visibili, consente un risparmio energetico del 95% rispetto alla produzione di alluminio dai minerali vergini, e può essere ripetuto un numero infinito di volte. Secondo i dati forniti da CiAl, lo scorso anno in Italia sono state recuperate quasi 900.000 ton di alluminio (delle quali oltre 50.000 ton provenienti da imballaggi), pari al 75,5% di quanto immesso sul mercato. L’Italia occupa il terzo posto (dopo Usa e Giappone, e a pari merito con la Germania) nella classifica mondiale dei riciclatori di Al; il 100% dell’alluminio prodotto ogni anno nel nostro Paese proviene dal riciclo, e il 52% del metallo riciclato proviene dall’estero. IL PROCESSO DI RICICLAGGIO
Il processo di riciclaggio dell’alluminio si differenzia secondo che il materiale trattato sia di provenienza industriale (vecchi radiatori, carter di protezione di catene e ingranaggi, torniture, pentole e vasellame, lastre, scarti di fonderia) oppure da imballaggi. Nel primo caso si procede a riduzioni di pezzatura con frantumatore e mulino a martelli e successivamente invio a fusione, mentre per l’alluminio proveniente da imballaggi occorre, dopo la fase di selezione iniziale, procedere a Hi-Tech Ambiente
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cesoiatura e successiva macinazione in mulino a martelli. Nei passaggi successivi, sistemi di deferrizzazione eliminano i metalli ferrosi, e sistemi di setacciatura separano le frazioni inferiori a 1 mm, che sono prevalentemente costituite da materiali inerti non utilizzabili nel processo. I rottami provenienti da lavorazioni meccaniche (che sono contaminati con oli da taglio) e quelli verniciati (come le lattine) vengono poi essiccati in corrente d’aria a 460480 °C, in modo da bruciare gli oli e le vernici. Lo stadio finale, in tutti i casi, è la fusione a 700800 °C in forno rotativo; è necessario aggiungere ossidi, leganti e sale per formare una crosta che protegge il metallo dall’ossidazione. Questa crosta si ritrova come scoria alla fine del processo; si tratta di un rifiuto classificato come nocivo, che non può essere smaltito nelle normali discariche e deve quindi essere raffreddato e successivamente avviato a impianti specializzati di recupero, con conseguenti spese di trasporto e di trattamento. La composizione tipica di queste scorie comprende una miscela di cloruro di sodio e cloruro di potassio (circa il 50%), ossido di alluminio (30%), alluminio metallico (15%) e altre sostanze non metalliche, per il rimanente 5%. Per ogni tonnellata di scarto di alluminio in entrata al forno, si generano da 300 a 1.000 kg di scorie, in misura proporzionale al grado
massimo grado di trasferimento termico dei gas alla soluzione. Per lo stadio finale di asciugamento delle polveri saline recuperate è previsto l’uso di un sistema cogenerativo; l’intero processo è controllato da un sistema automatico altamente sofisticato, che è necessario per sincronizzare la raccolta dei gas caldi del forno con le operazioni di carico e scarico del forno stesso. di contaminazione del rottame di alluminio in entrata. IL PROGETTO ALUSALT
Il progetto europeo ALUSALT (Efficient Aluminium Salt cake recycling technology) si propone di sviluppare tecnologie che consentano il riciclaggio “in situ” delle scorie di fusione dell’alluminio, con capacità di trattamento intorno alle 10.000 ton/anno (corrispondenti cioè alla produzione annua di scorie di un tipico impianto di recupero). Il processo di recupero sviluppato nel corso del progetto si basa sulla macinazione delle scorie saline, in modo da recuperare il metallo in esse contenuto; successivamente le polveri vengono sciolte in acqua, entro un sistema completamente chiuso. La soluzione viene filtrata sotto vuoto e riscaldata in modo da far evaporare l’acqua e provocare la cristallizzazione dei sali, che ven-
gono separati per filtrazione o per evaporazione a spruzzo, essiccati e re-immessi nel processo di produzione. Rispetto ad altri processi già in uso, il processo sviluppato nel quadro del programma Alusalt si differenzia perché utilizza il calore dei gas in uscita dal forno rotativo per ottenere l’evaporazione della soluzione salina, realizzando così un consistente risparmio energetico, che si riflette in una riduzione del 75% delle spese di funzionamento dell’impianto. Per ottenere questo risultato sono stati messi a punto speciali ugelli di immissione del gas; temperatura e pressione di questo vengono controllate mediante immissione di vapore surriscaldato. È stato inoltre realizzato un sistema di pulizia degli ugelli mediante ultrasuoni. L’evaporazione dell’acqua contenuta nella soluzione salina viene ottenuta mediante un nuovo tipo di evaporatore monostadio a circolazione forzata, che assicura il
BILANCIO ECONOMICO
Si stima che un normale impianto di recupero dell’alluminio produca circa 10.000 ton/anno di scorie saline. Rispetto agli attuali impianti centralizzati di recupero di queste scorie, che recuperano il 5% come alluminio metallico e il
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45% come sali riutilizzabili, inviando il 50% a discarica, un riciclatore medio che installa un impianto Alusalt risparmierebbe 350.000 euro/anno di costi di smaltimento, più 225.000 euro/ anno di costi di trasporto. Il metallo recuperato porta un valore di almeno 450.000 euro/anno, e i sali recuperati consentono di risparmiare 180.000 euro/anno sull’acquisto di nuovi sali. Inoltre, sono ipotizzabili recuperi economici della vendita della frazione non metallica recuperata alla fine del processo. In aggiunta ai benefici economici, occorre considerare il vantaggio per l’ambiente derivante dalle mancate emissioni di CO2 e altri gas di scarico durante il trasporto delle scorie.
La tecnologia dell’essiccazione Nuova sede per Scolari
Impianti su misura, per ottenere resa termica al top, minor costo di esercizio, bassa rumorosità e basse emissioni Il nome Scolari per gli addetti ai lavori è sicuramente sinonimo di impianti di essiccazione. Azienda nata negli anni ‘50 ha sempre progettato e proposto impianti di essiccazione, fino agli anni ‘90, per il settore agricoltura (cereali e foraggi). Dagli anni ‘90 ad adesso si è proposta un nuovo progetto che si fonda sull’idea di diversificare la produzione progettando tecnologie diverse per differenti settori, in modo da essere presente non solo nel comparto agricolo ma anche in quello agroalimentare, ambientale, industriale, ambientale, farmaceutico e della cogenerazione. Negli ultimi 20 anni l’azienda ha iniziato a crescere ed ha ampliato notevolmente i settori di intervento e le nazioni estere in cui opera. Infatti, oltre che in Italia, ha realizzato impianti in Spagna, Francia, Romania, Ungheria, America, Cina, Bangladesh, Algeria, Grecia, ecc. Per soddisfare una sempre maggior
richiesta ha abbandonato la sede storica in Ospitaletto (BS) ed ha realizzato una nuova sede a Paderno Franciacorta, sempre in provincia di Brescia, che si sviluppa su una superfice totale di 7.500 mq, di cui 4.200 mq ospitano l’officina e 500 mq sono destinati agli uffici. Le tecnologie proposte sono differenti e si individuano in funzione delle esigenze specifiche del cliente. Gli impianti, infatti, sono progettati e costruiti su misura, per ottenere il massimo rendimento termico e quindi il minor costo di esercizio. In particolare, tutti gli impianti Scolari sono realizzati rispettando le normative comunitarie specifiche e le normative ambientali, con particolare riferimento alla rumorosità ed alle emissioni in atmosfera. E’ doveroso ricordare gli impianti realizzati per l’essiccazione della frazione separata liquida o della
frazione separata solida del digestato (refluo degli impianti di biogas), che permettono di ottenere un fertilizzante praticamente senza con costi d’esercizio. Infatti gli impianti di essiccazione, per il riscaldamento dell’aria di processo, recuperano totalmente la termica dall’acqua calda di raffreddamento dai cogeneratori e/o dai gas di scarico dei motori. In questo caso gli impianti prevedono, per l’aria in uscita dal camino, l’abbattimento delle polveri e dell’azoto. Negli ultimi anni sono state anche realizzate numerose installazioni nel settore “rifiuti organici urbani“, ambito in cui, recuperando calore da fonti esistenti, vengono essiccati forsu, fanghi civili, CDR, ossia materiali che sono recuperati e riutilizzati sotto forma di combustibile per cementifici od in altre industrie. Altro settore che si è molto sviluppato è quello del compostaggio, sia in Italia sia all’estero, e lo
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testimonia l’ultimo progetto destinato all’Algeria grazie al quale, entro giugno 2017, Scolari deve realizzare un centro di compostaggio ed essiccazione per un allevamento di 500.000 galline ovaiole e produrre fertilizzante organico utilizzando deiezioni avicole come materia prima. Operando in settori industriali gli impianti della Scolari sono progettati per lavorare 8.000 ore all’anno. Nella fase di realizzazione Scolari applica sistemi di costruzione certificati. Per garantire e cercare di ridurre al minimo i tempi di fermo impianto quasi tutti i quadri di comando installati sugli impianti, in Italia ed all’estero, sono predisposti per il collegamento alla sede Scolari. L’utilizzatore, in caso di contrattempi o problemi, può contattare i tecnici Scolari per risolvere il problema telefonicamente senza perdite di tempo.
Occhio ai sacchi! Gestione di RSU
Un sistema a valle separa i rifiuti in base al diverso colore dell’involucro utilizzato per il loro conferimento Nel 2008 la città di Oslo (Norvegia) ha adottato alcune misure dirette a conseguire l’obiettivo di diminuire del 50% le emissioni di CO2 entro il 2030; tra esse, la raccolta differenziata dei rifiuti. Invece di collocare per strada 5 diversi cassonetti (indifferenziato, biologico, plastica, vetro/metalli, carta), organizzando per ciascuno di essi un circuito separato di raccolta, l’amministrazione cittadina ha preferito mantenere il cassonetto singolo, eseguendo la separazione dei rifiuti "a valle". Anzichè ricorrere a complessi sistemi automatici di separazione, questo risultato è stato ottenuto in modo molto semplice: distribuendo ai cittadini sacchi di diverso colore, ed equipaggiando gli impianti per il trattamento dei rifiuti di sistemi ottici, che compiono la separazione dei rifiuti in base al diverso colore dei sacchi utilizzati per il conferimento (verde per i rifiuti
alimentari, blu per i rifiuti plastici). In pratica, il sistema di separazione (elaborato e fornito dalla ditta svedese Envac Optibag) si basa su visori ottici che riconoscono il colore dei sacchi al momento del loro passaggio, e quindi li separano in due flussi differenti. I rifiuti diversi (non alimentari né plastici, come vetro, metallo, carta e cartone) vengono gestiti con sistemi di raccolta di tipo tradizionale. Sembra che questo sistema abbia dato buoni risultati: nel 2014 i cittadini di Oslo hanno prodotto 85,5 kg/ab di rifiuti alimentari, dei quali il 40% è stato separato e riciclato utilizzando il sistema ottico. Si tratta indubbiamente di un risultato positivo, se paragonato alla città di Gothenburg (simile ad Oslo per estensioHi-Tech Ambiente
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ne e cittadinanza) che ha adottato il sistema dei cassonetti differenziati, e dopo 20 anni è ancora ferma a una percentuale di riciclo dei rifiuti alimentari pari al 20%. Un altro vantaggio è che con questo sistema la capitale norvegese ha evitato di modificare la logistica del sistema di raccolta rifiuti (aggiunta di nuovi cassonetti, modifica dei percorsi e degli orari dei camion, ecc.). Per di più, questo sistema evita fenomeni di contaminazione incrociata. Una volta che il carico giunge all’impianto di trattamento, il sistema ottico divide i sacchi in base al colore; dopo la separazione, i sacchi verdi e blu vengono aperti (i sacchi vengono poi riciclati come materiale plastico o inviati all’incenerimento). Successivamente, i rifiuti alimentari vengono ulteriormente trattati per la produzione di biogas (poi impiegato per produrre biocarburanti) e biofertilizzanti; i rifiuti plastici vengono invece compressi e avviati al riciclaggio. In definitiva, la soluzione scelta dalla città di Oslo è semplice e di facile applicazione, oltre ad essere estremamente economica. Un impianto Optibag consiste di un numero di linee variabile da 1 a 4, ognuna delle quali ha una capacità di 7-9 ton/ora; ciò significa che un impianto medio (dotato di 3 linee) ha una capacità annuale pari a 50.000 ton. Lo stesso impianto ha una potenza installata pari a circa 140 kW (anche se di solito impiega solo il 30-50% della potenza installata); in genere, occorre una potenza variabile da 3 a 6 kW per ton di rifiuto trattato. Un impianto che lavora a ritmo continuo (senza pause o interruzioni) è in grado di ottenere un’efficacia pari al 98%. L’investimento necessario per la realizzazione di un impianto a 2 frazioni (più la frazione indifferenziata) della capacità 30.000 ton/anno ammonta a 3,2 milioni di euro, che possono salire a 4,3 milioni nel caso di un impianto a 6 frazioni.
Il concetto di gestione dei rifiuti alimentari ha guadagnato slancio in seguito all’identificazione della riduzione dei rifiuti alimentari come target negli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2015. I paesi di tutto il mondo stanno mostrando maggiore interesse per la riduzione e gestione degli scarti alimentari. L’attuale divario tra la quantità di rifiuti alimentari prodotti a livello globale e il numero di impianti di stoccaggio e riciclaggio operativi si traduce in significative opportunità per lo sviluppo di tecnologie efficaci per la gestione dei rifiuti alimentari. Una nuova analisi di Frost & Sullivan, intitolata “Emerging Trends and Opportunities in Food Waste Management” rileva che le politiche per la riduzione dei rifiuti alimentari in Europa e Nord America e l’impostazione di obiettivi globali favoriscono molto lo sviluppo di tecnologie per la gestione dei rifiuti alimentari. Attualmente, i metodi più popolari sono compostaggio e digestione anaerobica. Tuttavia, non aiutano a recuperare dagli scarti alimentari il cibo ancora integro. Questi processi possono anche essere dispendiosi dal punto di vista energetico, riducendo così i benefici ambientali complessivi della gestione dei rifiuti alimentari. “Attualmente, c’è domanda di tecIl futuro della raccolta differenziata passa dall’applicazione di un sistema di tariffazione puntuale grazie al quale il cittadino paga solo per i rifiuti che produce e conferisce. Un sistema decisamente più equo e più trasparente. Se i Comuni adottano anche una forma di riscossione diretta del tributo è possibile raggiugere elevati livelli di raccolta differenziata, sia in termini quantitativi che qualitativi, e una solida capacità finanziaria che consente ai Comuni di affrontare con serenità le sfide nella gestione dei rifiuti urbani e assimilati. Sperimentata, infatti, attraverso Questa pratica è stata sperimentata con dal Consorzio dei Comuni dei Navigli, dimostrando come la riscossione coattiva in forma diretta dei tributi per i Comuni non solo conviene ma garantisce anche migliori performance di efficienza ed efficacia nell’azione di recupero rispetto alle modalità in concessione. Analizzando i dati dell’attività ingiuntiva da luglio
OPPORTUNITA’ EMERGENTI
Gli scarti di cibo Conversione in plastica, succhi di frutta, ingredienti alimentari e combustibili liquidi
nologie in grado di convertire il cibo non adatto al consumo umano in alimenti per animali - afferma Lekshmy Ravi, analista di F&S – e gli sviluppatori della tecnologia stanno
contemporaneamente lavorando sul repackaging o la conversione degli scarti alimentari in cibo adatto al consumo umano usando soluzioni meno dispendiose dal punto di vista
COMUNI DEI NAVIGLI
La tariffa puntuale
2015 a settembre 2016 del Consorzio dei Comuni dei Navigli, nel quale si adottano sia sistemi di prelievo della Tari a coefficienti che la Tariffa Puntuale
(Tarip), si evince che anche con la Tarip si ottengono elevate performance di riscossione coattiva, addirittura superiori alla Tari. Anche se la tariffa puntuale a
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energetico e applicando nuovi modelli gestionali.” C’è un gran numero di iniziative di ricerca e industriali per la conversione dei rifiuti alimentari in prodotti come plastica, succhi di frutta e ingredienti alimentari. Inoltre, le aziende innovative che si occupano di gestione dei rifiuti alimentari stanno cercando di convertire gli scarti alimentari in prodotti di valore come i carburanti liquidi. Se da una parte gli sviluppatori tecnologici stanno cercando di eliminare le inefficienze della gestione dei rifiuti alimentari, è necessario anche stringere partnership strategiche lungo la catena di approvvigionamento. Queste sinergie possono aiutare a migliorare l’efficienza della gestione dei rifiuti alimentari e facilitare lo scambio di tecnologie e tecniche. “Alla lunga, è probabile che le aziende adotteranno modelli che rendono possibile l’estrazione efficiente ed economica di prodotti di valore dagli scarti alimentari – osserva Ravi - e, complessivamente, si prevede che le opportunità emergenti chiave saranno relative all’estrazione di ingredienti commestibili dai rifiuti alimentari, conversione dei frutti con forma irregolare in prodotti vendibili e conversione dei sottoprodotti della produzione alimentare”. corrispettivo non ha il sostegno di strumenti normativi per la riscossione coattiva come la Tari, nelle applicazioni pratiche, proprio per la sua natura, ricava quell’efficacia che favorisce anche un incremento della raccolta differenziata e della entità delle somme riscosse. L’economia circolare, cornice di senso di ogni azione volta al raggiungimento di una più diffusa sostenibilità, è favorita quindi dall’applicazione della tariffazione puntuale e dall’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici a supporto, come software gestionali potenti e spedifiche app ad essi collegati. Entrambi gli strumenti, se ben studiati, permettono sia agli uffici comunali di rendere più efficiente ed efficace il proprio operato per la gestione del tributo o del corrispettivo, sia ai cittadini di avere accesso immediato ed agevole alle informazioni di base sul servizio erogato dal proprio Comune e magari anche sulla propria posizione Tari o Tarip.
La saccheria Lema inizia a produrre contenitori flessibili (Big Bag) a partire dal 1991 per soddisfare una sempre più crescente richiesta di ottimizzazione della gestione dei materiali sfusi per il loro contenimento, lo stoccaggio nei depositi, la movimentazione ed il trasporto. La semplicità del concetto di gestione del materiale (è solo un sacco!), le elevate caratteristiche di sicurezza (grande resistenza anche allo schiacciamento), la possibilità di raggiungere portate notevoli (un solo Big Bag può contenere una quantità di materiale equivalente a 5/6 fusti metallici, 40/60 sacchi di carta, etc) e la straordinaria gestione dello spazio fisico (circa 1t di materiale ogni m2 di magazzino), sono le principali caratteristiche di tali contenitori. L’azienda opera su commessa e, di norma, i contenitori vengono prodotti secondo le specifiche richieste dal committente. Tale organizzazione produttiva determina una gamma di prodotti particolarmente ampia, che annovera, tra gli altri, i big bag per il settore ambientale e quelli per i rifiuti cimiteriali. I contenitori per l'ambiente sono sacchi idonei per il contenimento di rifiuti solidi industriali pericolosi (e non) e dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue industriali. Da evidenziare che i fanghi, una volta contenuti, continuano a perdere per traspirazione l’acqua residua). I principali materiali che possono essere contenuti dentro tali big bag sono: polveri tossiche, carbone attivo contaminato, stracci e carta imbevuti di prodotti pericolosi quali
SACCHERIA LEMA
I big bag flessibili
oli, solventi, ecc., fanghi contenenti solventi, fanghi a base di metalli pesanti, polveri e morchie di verniciatura, polveri e morchie di rettifica metalli, batterie esauste (procedura specifica Cobat). Di seguito l Le caratteristiche tecniche del prodotto possono essere così riassunte: realizzati in tessuto di polipropilene 100% vergine, completamente riciclabile e stabilizzato ai raggi UV; per meglio adattarsi ad ogni specifica esigenza il tessuto può essere, oltre che normale, anche PP laminato (su uno o entrambe i lati), oppure conduttivo/antistatico; di diverse forme come a 4 pannelli, U-Panel, circolare, antispanciamento, clover bags per ottimizzare stabilità, stoccaggio e volumi di carico; con portata di carico da 500 a 2.000 kg; con fattore di sicurezza a partire da 5:1;
con applicazione di una fodera interna (liner) in PE/HDPE che consente di proteggere il materiale insaccato da agenti esterni e/o evitare le fuoriuscite; con cuciture, così come l’accoppiamento dei pannelli, eseguiti per ottimizzare ogni tipo di esigenza e garantire la massima resistenza a seconda del carico nominale, nonché evitare fuoriuscite (se il materiale insaccato è in polvere, speciali cuciture a prova di polvere evitano perdite di materiale); dotati di maniglie o bretelle in PP o PPMF (multifilament) a 4 punti, cross corner, stavedore, etc.; dalla stampa personalizzabile con marchio aziendale o riferimenti produzione, con tasca portadocumenti; sottoposti ai rigorosi test interni in relazione alla portata e al relativo fattore di sicurezza, ed ai test di certificazione per gli standard europei secondo la nor-
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mativa UNI EN ISO 21898; customerizzabili dato che la molteplicità e varietà di caratteristiche e forme li rende particolarmente adatti ad una personalizzazione basata sull’esigenza specifica di ogni singolo utilizzatore, e quindi possono presentare la bocca di carico a tutta ampiezza, il fondo piano oppure becco di carico e/o di scarico a diametri variabili. I contenitori per i rifiuti cimiteriali, invece, sono flessibili a perdere, specifici per rifiuti da esumazione ed estumulazione, conforme a quanto stabilito dalla norma recante la disciplina della gestione dei rifiuti sanitari. Il big bag in rafia di polipropilene di colore bianco, reca la scritta “rifiuti da esumazioni ed estumulazioni” e per le sue caratteristiche costruttive e funzionali può essere impiegato: per il deposito dei rifiuti da esumazione ed estumulazione in apposita area confinata individuata dal comune all‘interno del cimitero, qualora tali operazioni si rendano necessarie per garantire una maggiore razionalità del sistema di raccolta e trasporto per l’avvio a discarica senza preventivo trattamento di taglio o triturazione di rifiuti quali assi e resti delle casse utilizzate per la sepoltura, avanzi di indumenti, imbottiture e similari, ecc. Lo spessore del tessuto conferisce grande resistenza al contenimento di parti metalliche, legnose, ecc., garantendo l‘integrità del contenitore e la sicurezza degli addetti. Inoltre, il sistema di imbragamento di cui è dotato, permette un’agevole movimentazione del contenitore, anche meccanica.
HI -TE CH
AMBIENTE
SPECIALE
PELLETTIZZATORI
SPECIALE PELLETTIZZATORI AUTECHNO Autechno realizza sistemi d'automazione anche per presse cubettatrici, in maniera tale da ottenere sul processo di cubettatura: ripetibilità del prodotto cubettato (uguali caratteristiche fisiche nel tempo); minor consumo di energia e incremento della produttività, entrambi pari a circa il 20% in quanto la macchina può essere sfruttata fino al 100% della sua
DEMETRA potenzialità; minor usura delle parti meccaniche dovuto ad un utilizzo più razionale della macchina stessa (avviamenti e fermate controllate automaticamente, iniezioni liquidi e vapore solo quando vi è la presenza di prodotto, operazioni di rimedio controllate della macchina per evitare intasamenti e slittamenti cinghie, ecc.); non è necessaria la presenza costante di un operatore per la conduzione della macchina (l’operatore deve solo preoccuparsi di parametrizzare la macchina stessa a seconda dei prodotti e dare lo start/stop della stessa), in caso di anomalia (termici, mancanza prodotto, ecc.) la macchina si pone automaticamente nello stato di sicurezze e segnala l’anomalia; possibilità di supervisionare a distanza una o più macchina memorizzando su database i consumi effettuati i tempi di funzionamento delle parti meccaniche (trafila).
Demetra propone la I-CUB225/2, un impianto di pellettatura a doppia testa, ideale per la valorizzazione degli scarti di produzione di piccole/medie falegnamerie e delle lavorazioni agricole. Ha consumi elettrici modesti e consente la massima personalizzazione, a fronte di un investimento limitato. Si tratta di una macchina che è estremamente versatile e che quindi si presta a diverse collocazioni. Gli optional proposti consentono di automatizzare il collegamento ad impianti preesistenti derivati da solo o altri sistemi di stoccaggio del materiale da pellettizzare. Queste le sue dimensioni: 1,8m larga, 3,1m lunga, 2,5m alta. Ha il contenitore del materiale in ingresso della capacità di 1,5 mc e
una produzione oraria pari a 320400 kg di pellet dal diametro di 6mm.
www.demetra-srl.it
www.autechno.it
GENERAL DIES La linea di pellettatura trova le sue principali applicazioni dove è necessario ridurre il volume del materiale. Il prodotto in entrata alla cubettatrice deve avere granulometria fine, essere uniforme ed avere un’umidità mediamente non superiore al 15%. La compressione del prodotto durante la pellettatura valorizza il prodotto stesso che viene ad avere peso specifico più elevato, diviene facilmente trasportabile e necessita di minori spazi per lo stoccaggio. Principali settori di applicazione: RSU, compost da letame, CDR,
ITALPROGET fanghi, scarti di cibo, sottoprodotti molitori, scarti di oleifici, di lavorazione della birra, sottoprodotti agroindustriali e biomasse, scarti della carta e della plastica; scarti forestali e potature, scarti di falegnameria, ecc. La pressa Pellettatrice permette di trasformare un prodotto o una miscela in forma di farina, fibra macinata o piccolo granulo in pellet: il prodotto, forzato dai rulli a passare attraverso i fori della trafila, esce in forma di piccoli cilindri.
La macchina pellettizzatrice PM di Italproget consente di trasformare in pellet prodotti o miscele in forma di farina, fibre macinate o di piccola granulometria. Il prodotto, precedentemente ridotto in piccole dimensioni (tipicamente 0.5-3 mm), viene caricato entro la camera di lavoro della macchina dove, tramite l’azione di rulli pressori, viene forzato a
www.generaldies.com
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passare entro i fori della trafila originando così il pellet. Da evidenziare che il processo non richiede l’uso di additivi o colle. Le dimensioni del pellet vengono definite dai fori presenti nella trafila e dalla distanza di questa dagli utensili di taglio, posti esteriormente alla trafila stessa.
www.italprogetfc.it
SPECIALE PELLETTIZZATORI LA MECCANICA La linea di macchine proposte da La Meccanica hanno una capacità di 200-1.500 kg/h e 110-350 kW di potenza. Hanno tutte una coclea di alimentazione costruita a passo variabile e comandata da motovariariduttore idraulico. La cassa e la vite (compreso anche l'albero) sono costruiti in acciaio inox aisi304. La vite è dotata di sportello di emergenza in caso di intasamento. Il condizionatore è comandato da proprio motore.
MTD Sono previsti due attacchi per l'iniezione dei liquidi. La costruzione è interamente in acciaio inox, incluso albero e palette. Per ottenere le migliori condizioni di miscelazione e condizionamento, l'omogenizzatore è provvisto di palette orientabili. La porta della macchina è costruita interamente in acciaio inox ed è dotata di due gruppi tagliacubetti fissati su un settore indipendente, in modo da permettere l'apertura della porta senza dover allontanare i coltelli. La porta è anche dotata di un sistema di sicurezza costituito da un pistone pneumatico con elettrovalvola interbloccato con la rotazione della puleggia, condotta in modo da evitarne l'apertura con macchina in movimento. La macchina, inoltre, è costruita con un basamento in ghisa per assicurare un miglior assorbimento delle vibrazioni.
www.lameccanica.it
NEGRI BIO La pellettatrice P70 permette di trasformare il cippato, ulteriormente raffinato, in piccoli granuli pressati, chiamati pellet, che grazie a questa pressatura raddoppiano il loro potere calorifico rispetto alla legna. Il pellet si può ottenere utilizzando qualsiasi tipo di cippato (abete, nocciolo, larice, rovi, ricci di castagno, etc.) purché il materiale introdotto nella pellettatrice abbia dimensioni ridotte (max. 1 cm) e abbia un tasso di umidità compreso tra il 10% e il 15%. Il cippato raffinato, inserito in un’unica tramoggia verticale, viene spinto da due rulli compressori verso i fori d’uscita della trafila e assume la classica forma cilindrica con un diametro di 6 mm. Tutte le versioni possono essere fornite con una tramoggia più ampia (carico max 30 kg) dotata di un caricatore automatico con griglia selezionatrice e coclea che trascina meccanicamente il cippato verso i due rulli compressori, senza l’intervento dell’operatore. La P70 viene proposta con motore elettrico monofase 4hp–3kW, che consente una produzione di 25-40 kg/h, con
Il cuore dell’impianto MTD consta nella pellettizzatrice o pressa cubettatrice, che si divide in tre tipologie: anulare, piana e la waferizzatrice. Nella pressa cubettatrice anulare la trasmissione del moto avviene per mezzo di cinghie trapezoidali o di ingranaggi, mentre in quella piana e nella waferizzatrice il moto è trasmesso per mezzo di un meccanismo a treno di ingranaggi. Queste ultime, poi, si distinguono tra loro per la tipologia della filiera. Serie anulare modello Titanic: cubettatrici versatili e semplici nell’utilizzo, adatte a prodotti di piccola pezzatura. Si possono trovare sia nella versione a cinghie che ad ingranaggi. Serie piana modello Miura: cubettatrici adatte a trattare prodotti difficili e particolari come quelli a fibra lunga e prodotti di grossa pez-
zatura, come il CDR con risultati molto soddisfacenti. Questa serie è ad ingranaggi. Waferizzatrici modello Diablo: cubettatrici con trafila orizzontale utilizzate qualora il prodotto finale debba avere elevati diametri, come nel caso dei rifiuti. La MTD fornisce, oltre alle presse cubettatrici, gli altri componenti degli impianti, quali raffreddatori per il pellet (disponibili nella tipologia controcorrente e verticale), sbriciolatori costruiti per la frantumazione di vari prodotti e vagli per setacciare e calibrare i cubetti.
www.mtdsrl.it
NOVA PELLET motore elettrico trifase 5,5hp – 4kW con una produzione di 50-70 kg/h, con motore elettrico trifase 7,5hp – 5,5kW con una produzione di 70-90 kg/h, oppure in versione con attacco a trattore (min. 15hp–11kW) con una produzione di 50-70 kg/h. I modelli con motore elettrico, grazie alle loro ruote, risultano estremamente maneggevoli da spostare. Tutte le versioni sono dotate di sistema di sicurezza in conformità con le ultime normative europee.
www.negri-bio.com
La Nova Pellet da anni, ormai, si dedica allo studio, progettazione e costruzione di macchinari per la produzione di pellet combustibile. La linea di pellettizzatrici si compone di macchinari di diverse dimensioni e produttività: N-Pico e N-Mini per piccole quantità, NEco e N-Midi per medie quantità ed ideali per impianti in linea, NPlus per grandi quantità e ad elevato risparmio energetico. La pellettizzatrice N-Plus, infatti, è stata sviluppata per generare una bassa relazione tra kWe installati e produzione oraria di pellet. Il pellet viene prodotto senza l’uso di additivi o collanti. Tale macchina monta un telaio ed un sistema di alimentazione entrambi brevettati. Altre caratteristiche innovative sono: settaggio posizionamento rulli pressore esterno, con possibilità di variazione durante il ciclo lavorativo senza dover fermare la pellettizzatrice; motori in alta classe di efficienza energetica IE2; inverter per il comando e la gestione del motore principale (optional); cari-
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co del materiale in ingresso nella trafila di compressione tramite unica coclea centrale; rulli pressore non a sbalzo ma agganciati alla struttura della pellettizzatrice; trafila ad anello di facile sostituzione e ridotti consumi degli utensili; additivazione con olio vegetale per inizio e fine ciclo di lavorazione (onde evitare indurimenti del materiale residuo nel circuito di compressione quando la macchina non è in funzione); miscelatore acqua e aria per l’additivazione di acqua vaporizzata per l’umidificazione della materia prima; ridotti ingombri; ridotti tempi di pulizia e manutenzione grazie all’apertura della zona di pellettizzazione diretta e sostituzione utensili rapida; controllo e gestione tramite PLC e touch screen; evacuazione pellet posteriore; sensore di livello meccanico installato sul serbatoio di carico materiale; lunghezza fori di compressione della trafila da 14 a 50 mm, variabile a seconda del materiale da pellettizzare.
www.biomassimpianti.com
SPECIALE PELLETTIZZATORI O.M.A. IMPIANTI O.M.A., da alcuni anni, progetta e realizza impianti completi per la produzione di pellets, che vanno dallo stoccaggio della materia prima al confezionamento finale per la vendita. La pellettizzatrice OM22 è una macchina robusta ed innovativa
OMER ECOLOGY nel suo design, interamente costruita in acciaio al carbonio è in grado di sfruttare al massimo la sua potenza tramite trasmissione a cinghie, progettata per soddisfare le esigenze di piccole aziende nella produzione di pellet di legno e biomassa. La macchina è dotata di quadro elettrico con monitor touch screen per la visione ed il controllo dell'utente: motore principale pellettizzatrice, contenitore agitatore segatura, dosatore a coclea, livello minimo segatura, alimentazione forzata, pompa lubrificazione completa di dosatori per campana e rulli pressori con macchina in marcia, pompa lubrificazione trafila, controllo rotazione anti slittamento cinghie, tutto quanto gestito da PLC e software in automatico. La capacità produttiva di questa macchina varia in base al modello: nella versione con motore da 7,5 kW è pari a 80-100 kg/h con oppure 100-130 kg/h con motore da 11 kW.
Le pellettizzatrici sono macchine progettate per produrre piccoli cilindretti di materiale compresso chiamati “pellet”. Sono generalmente composte da un sistema di iniezione del materiale da comprimere e da un gruppo pressa. È possibile produrre pellet a partire dai materiali più disparati: l’esempio classico è la segatura di legno (pellet ad uso combustione), ma non dimentichiamoci di plastiche, polveri metalliche
(come quelle di bronzo e alluminio), rifiuti, etc. La pellettatrice OPI 304-2.5 è la più piccola delle versioni prodotte dalla Omer Ecology, che variano per potenza e produzione oraria, a partire da 300 kg/ora fino a 3.500 kg/ora. Questa macchina, da 300-500 kg/ora, ha un diametro interno di trafila pari a 304 mm, fascia lavoro da 60 mm e due rulli.
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Grazie al know-how completo i macchinari di Por Micucci System rendono il processo di recupero il più efficiente e pratico possibile. Oltre alle tradizionali bricchettarici oleodinamiche per il recupero degli scarti di legno, metalli e tessili, l’azienda ha realizzato e testato macchine per lavorare una vasta gamma di materiali con tipologie diverse di riutilizzo. Tutti i macchinari sono sottoposti a severi collaudi qualitativi al fine di ottenere un prodotto che rispecchi tutti i canoni di sicurezza
La pellettarice Sicma PTO 80 va ad inserirsi nella gamma verde delle cippatrici per la valorizzazione efficace degli scarti di lavorazione. Dodata di presa di forza, risulta ideale se accoppiata alle cippatrici Sicma EC 100 e EC100 HY. E’ adatta per tutte quelle situazioni in cui si vuole sfruttare ad uso energetico le colture vegetali e/o scarti scarti delle lavorazioni agricole/industriali realizzando pellet. Si presenta come una macchina robusta ma dal peso contenuto, capace di produrre 60100 kg/h di pellett (a seconda del prodotto pellettato), con una potenza assorbita di circa 11 kW. Le dimensioni della PTO 80 sono: altezza 105 cm, larghezza 65,5 cm, lunghezza 59 cm. L’altezza di scarico del pellet (di diametro 6mm) si attesta su 0,5 m e il peso a vuoto è di circa 120 kg. La macchina viene verniciata a polvere, così da garantire colore e brillantezza più durature. In sintesi, Sicma presenta in gamma questa nuova pellettatrice con l’intento di mettere a disposizione del cliente finale un prodotto com-
affidabilità e qualità richiesti dalla normativa CE. La linea produttiva è composta dalle seguenti macchine, adatte per il trattamento di da scarti di cibo, biomasse, legno, carta e plastica: Junior, da 0,46 mc/ora e bricchetti da 50 mm di diametro; A6, da 0,585 mc/ora e bricchetti da 60 mm di diametro; A6 Plus, da 0,819 mc/ora e bricchetti da 60 mm di diametro; Standard, da 0,89 mc/ora e bricchetti da 65 mm di diametro; A10N, da 1,454 mc/ora e bricchetti da 65 mm di diametro; Oscar, da 1,623 mc/ora e bricchetti da 70 mm di diametro; Oscar Plus, da 2,76 mc/ora e bricchetti da 70 mm di diametro; Super Oscar, da 3,409 mc/ora e bricchetti da 70 mm di diametro. A questa linea si unisce la Metalbrick, nelle versioni Easy, Normal e Super, tutte specifiche per il trattamento dei metalli.
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plementare alla Eco Chipper 100, creando così i presupposti per lo sfruttamento delle risorse naturali in modo semplice, efficace ed economico.
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SPECIALE PELLETTIZZATORI TENCHINI Le cubettatrici Tenchini sono particolarmente robuste, con costi di manutenzione contenuti e dotate di una tecnologia molto semplice, per cui non sono richiesti tecnici specializzati per la loro manutenzione. Si tratta di macchine silenziose, affidabili, ad alto rendimento di produzione ed a basso assorbimento di energia. Sono dotate di apparecchiature per la lubrificazione automatica, di raffreddamento ad aria ambiente pilotato da un sensore, e sono adatte a tutti i tipi di prodotti con possibilità di aggiunta del vapore. Personalizziamo le vostre esigenze con una tecnologia avanzata applicata a soluzioni innovative "una macchina per ogni esigenza ". La gamma produttiva si compone di diversi modelli: FT-300, con capacità produttiva di 5001.200 kg/h; FT-320, con capacità produttiva di 900-3.000 kg/h; FT-420, con capacità produttiva
ZEPI di 1.500-6.000 kg/h; FT-540, con capacità produttiva di 2.00010.000 kg/h; FT-660, con capacità produttiva di 3.000-16.000 kg/h. Quest’ultima versione ha un ampio campo di regolazione dell’alimentazione eseguibile micrometricamente variando il numero di giri. E’ inoltre dotata di servocomando, di termometro segnalatore della temperatura del prodotto in entrata, e di gruetta posizionatrice della filiera.
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La linea di pellettizzazione proposta da Zepi differisce sensibilmente in base al tipo di materiale da processare, che è per sua natura variegato e comporta, quindi, l’attuazione dei necessari interventi correttivi alle macchine. Una linea tipo (per rsu/plastiche), tuttavia, può essere schematizzata nelle seguenti sezioni: rottura sacchi tramite macchine rompisacco, separazione grossi corpi rsu su vaglio rotante, omogeneizzazione iniziale con macinatore sgrossatore, separazione metalliplastiche, separazione vetri, separazione parti pesanti da cdr (plastica e cartone con separatori ad aria), compostaggio parte organica ed essicazione compost, pressaggio carta/cartoni, omogeneizzazione ed essicazione cdr, stoccaggio e miscelazione, macinazione secondaria cdr, macinazione secondaria compost, pellettizzazione cdr, pellettizzazione compost, raffreddamento/vaglio, stoccaggio e caricamento camion per trasporto. Zepi è in grado di curare l'intero ciclo di lavorazioni su misura: dalla progettazione alla realizzazione, dalla fase di collaudo e controllo alla spedizione e al mon-
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taggio. Il know-how specifico acquisito in 50 anni di esperienza le consente di approcciare le commesse in modo mirato ed efficace. Nello specifico alle macchine di pellettizzazione, queste sono realizzate di varie dimensioni e tipologie.
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BIOMASSE & BIOGAS B I O M A S S A
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B I O G A S
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B I O M E TA N O
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C O G E N E R A Z I O N E
Il miraggio del biometano Regole, incentivi, criticità
Un interessante studio sul settore evidenzia le problematiche, il sistema di incentivazione e l’analisi economica della filiera Il biometano rappresenta l’ultima frontiera nel panorama dei biocarburanti. In particolare, nel settore dei trasporti il biometano prodotto da forsu (frazione organica dei rifiuti solidi urbani) può essere competitivo rispetto al metano di origine fossile. Sull’argomento la RSE (Ricerca Sistema Energetico), in collaborazione con la Regione Lombardia, ha recentemente presentato uno studio approfondito. IL SISTEMA DI INCENTIVAZIONE
L’incentivazione del biometano è disciplinata dal D.M. 5/12/2013, il quale prevede tre tipi di incentivi, distinti a seconda della destinazione d’uso: il biometano utilizzato per i trasporti è incentivato tramite il rilascio di Certificati di Immissione in Consumo (CIC); il biometano immesso nella rete di trasporto o di distribuzione del gas naturale (senza specifica destinazione d’uso), è incentivato con maggiorazioni rispetto al prezzo del gas naturale; il biometano utilizzato in impianti di cogenerazione ad alto rendimento è incentivato con le tariffe per la produzione di energia elettrica da biogas. Incentivazione del biometano come carburante L’art. 4 del D.M. 5/12/2013 prevede il rilascio dei CIC per un periodo di 20 anni dalla data di entrata in esercizio dell’impianto di
erogazione del biometano. Ai sensi del comma 2, il produttore stipula con il soggetto che immette in consumo il biocarburante un contratto bilaterale di fornitura, che stabilisce la quota parte di CIC riconosciuta al produttore dal soggetto che immette al consumo il biocarburante e la durata della fornitura stessa. Attualmente, i CIC sono rilasciati unicamente ai “soggetti obbligati”, ossia le società che distribuiscono i carburanti sul mercato italiano. Essi possono acquisire i
CIC in due modi: acquistando il biometano e immettendole al consumo, oppure stipulando contratti bilaterali con soggetti non obbligati che mettono direttamente in consumo il biometano. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha poi emanato il D.M. 10/10/2014, che riconosce al biometano prodotto da determinate matrici lo status di “biocarburante avanzato”, e stabilisce per esso quote minime da immettere obbligatoriamente al consumo. I biocarburanti avanzati sono in so-
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stanza biocarburanti prodotti in modo maggiormente efficiente e sostenibile, che derivano da materie prime non alimentari o che valorizzano rifiuti, residui e sottoprodotti; le matrici previste dal D.M. 10/10/2014 comprendono un’ampia gamma di materie prime, fra cui alghe, rifiuti urbani non differenziati, forsu, scarti dell’industria agroalimentare, concime animale, fanghi di depurazione. Incentivazione per vendita senza destinazione specifica I soggetti produttori possono vendere il biometano immettendolo nella rete di trasporto o distribuzione del gas naturale, senza specifica destinazione finale di utilizzo. L’ammontare degli incentivi e la possibilità di usufruirne sono condizionati sia dalla taglia dell’impianto che dalla tipologia di biomasse impiegate per produrre il biogas, secondo meccanismi piuttosto complessi (per il dettaglio dei quali si rinvia al testo del D.M. 5/12/13). L’erogazione dell’incentivo avviene da parte del GSE (Gestore Servizi Energetici), in base alla quantità di gas immesso in rete espressa in MWh, certificata e trasmessa al GSE. Ritiro dedicato dal GSE In alternativa alla vendita diretta sul mercato, il produttore può optare per il “ritiro dedicato”, ossia il ritiro da parte del GSE del biometano prodotto. Questa opzione è prevista dall’art.3, c.3, D.M.
5/12/2013, per gli impianti con capacità produttiva inferiore o uguale a 500 Smc/h. I produttori che intendono avvalersi di questa opzione devono richiedere al GSE il ritiro dell’intera produzione, al netto di eventuali autoconsumi; similmente a quanto stabilito per il settore elettrico, il GSE è tenuto a vendere i quantitativi acquistati dai produttori a condizioni di mercato, previa autorizzazione ad operare al punto di scambio virtuale. I commi 1, 4 e 5 dell’art.3 del D.M. 5/12/2013 individuano una tariffa fissa, pari al doppio del prezzo medio annuo del gas naturale riscontrato del 2012 sul mercato di bilanciamento del gas naturale (pari a 28,52 euro/MWh), cui andranno ad aggiungersi possibili ulteriori maggiorazioni previste dal D.M; la tariffa base riconosciuta dal GSE è quindi pari a 57,04 euro/MWh. Il D.M. 5/12/2013, inoltre, prevede maggiorazioni di incentivo per i piccoli impianti e penalizzazioni per gli impianti con capacità oltre 1.500 Smc/h; esso riconosce anche una maggiorazione del 50% rispetto alle variazioni previste
dal c.4 nel caso in cui il biometano sia prodotto esclusivamente a partire da sottoprodotti (come definiti nella Tab.1° del D.M. 6/7/2012). Incentivazione per cogenerazione ad alto rendimento (CAR) Nel caso in cui il biometano sia
destinato alla cogenerazione ad alto rendimento, esso non viene incentivato direttamente, bensì attraverso il riconoscimento delle tariffe per la produzione di energia elettrica da biogas, secondo le modalità e condizioni definite dal D.M. 6/7/2012.
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Il produttore del biometano dovrà stipulare un contratto di fornitura con il gestore dell’impianto CAR e inviarne copia al GSE, il quale invierà al gestore gli incentivi sotto forma di tariffa riconosciuta Continua a pag. 34
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Il miraggio del biometano per i MWhe immessi nella rete elettrica, misurati e comunicati al GSE stesso. Vendita diretta Volendo esaminare i costi connessi alla vendita diretta del biometano In una stazione di servizio tipo (caratteristiche: erogatore doppio, sistema di compressione ordinario in container di primo grado, pressione di alimentazione dalla rete pari a 22 bar, erogato annuale
pari alla media nazionale (circa 1 mln di mc di gas naturale, corrispondenti a circa 3.600 mc/giorno) e contratto di gestione con un gestore avente a suo carico l’onere di condurre l’impianto e la manutenzione ordinaria), l’investimento è di circa 800.000 euro, mentre i costi di gestione per il funzionamento sono di circa 0,07 euro/mc (esclusa la manutenzione straordinaria e il costo dell’energia elettrica, che incide per circa 30.000-40.000 euro/anno). I costi generali derivanti dalla proprietà dell’impianto e gli oneri relativi alle verifiche periodiche
da parte degli Enti preposti (ASL, VV.FF.,ARPA), oltre che la tenuta dei registri obbligatori per legge, sono di circa 9.000 euro/anno. L’ANALISI ECONOMICA
L’analisi economica si è focalizzata sulle filiere di maggior interesse e fattibilità, ossia il biometano trasportato extra-rete e quello immesso in rete. È stato inoltre considerato il caso della riconversione di un impianto per la produzione di biogas preesistente. Per quanto attiene al biometano trasportato extra-rete, vi rientra il
7 IMPIANTI PER 25 MLN DI METRI CUBI
Biometano: lavori in corso!
La produzione del biometano da rifiuti rappresenta una filiera di interesse strategico che porta a risultati positivi per tutti. <<Da un lato le città vedono i propri rifiuti diventare combustibile per autotrazione – afferma Filippo Brandolini, vice presidente di Utilitalia - e vedono diminuire le emissioni inquinanti, dall’altra per i gestori dei servizi pubblici ambientali rappresenta un’opportunità per la valorizzazione sia energetica sia come materia dei rifiuti organici, che in misura sempre crescente vengono raccolti in modo differenziato in una perfetta ottica di economia circolare>>. Nell’ambito di questa filiera, infatti, cresce esponenzialmente l’interesse all’uso come combustibile per autotrazione. <<Risulta attualmente in corso, da parte di aziende associate – aggiunge Brandolini - l’iter autorizzativo per 7 impianti di produzione di biometano
da frazione organica differenziata dei rifiuti urbani (impianti nuovi o riconversioni) per una capacità totale pari a circa 25 milioni di mc>>. Il binomio rifiuti e mobilità sostenibile potrebbe portare una mini-rivoluzione se venissero confermati i dati che stimano, una volta raggiunto il target del 65% di raccolta differenziata a livello nazionale, una produzione potenziale di circa 600 milioni di metri cubi di biometano dalla forsu, a fronte di un consumo di metano in autotrazione pari a circa 1 miliardo di metri cubi annui (dato 2014). Proprio per il raggiungimento degli obiettivi della raccolta differenziata e sul trattamento a valle dei rifiuti raccolti, il ruolo delle utilities è determinante, tant’è che è stata istituita una Piattaforma Tecnologica Nazionale sul Biometano, che raccoglie tutti gli operatori che a diverso titolo intervengono nella filiera produttiva del combustibile.
Con il coordinamento di CIC-Consorzio Italiano Compostatori e CIB-Consorzio Italiano Biogas, e la partecipazione di Anigas, Assogasmetano, Confagricoltura, Fise-Assoambiente, Legambiente, NGV Italy, Utilitalia, la Piattaforma intende valorizzare le soluzioni tecnologiche innovative per far sì che l’Italia diventi uno dei principali produttori di biometano ed esprima tutto il potenziale nel futuro greening delle attività produttive, della rete gas e della mobilità. Prodotto sia dai sottoprodotti di origine agricola, sia dalla frazione organica dei rifiuti urbani, il biometano rappresenta una soluzione per il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni per il contrasto ai cambiamenti climatici. Ma in Italia mancano ancora alcuni punti regolamentari necessari per dare il via ai progetti e sostenere l’operatività del settore. Fra le azioni volte allo sviluppo della produzione del biometano: rivedere l'intervallo temporale per l'accesso agli incentivi; prevedere entro il 2030 un target annuo minimo di immissione di biometano in rete pari ad almeno il 10% del metano immesso in rete nello stesso periodo; prevedere un sistema di contabilizzazione che valorizzi la capacità delle imprese agricole e degli impianti di digestione anaerobica e compostaggio di sequestrare la CO2 in atmosfera; istituire un Registro delle Garanzie di Origine del biometano per sviluppare un mercato attivo di scambi che faccia emergere il legame di valore tra biometano ed emissioni evitate di carbonio; modificare la regolamentazione del mercato dei CIC (certificati di immissione in consumo).
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biometano destinato all’autotrazione, che può essere prodotto da un’azienda agricola o di raccolta rifiuti. Per quanto riguarda i costi, essi variano da 1,24 mln euro/anno per il biometano di produzione agricola, e 1,93-2,71 mln euro per quello derivante da forsu; i ricavi sono rispettivamente 2,49 mln e circa 5 mln euro/anno, per cui il tempo di ritorno sull’investimento è 5,3 anni per la produzione agricola e mediamente 4 anni per quella da forsu. Riguardo al biometano immesso in rete, sono state considerate tre ipotesi: immissione in rete e ritiro dedicato GSE, immissione in rete senza destinazione specifica, immissione in rete per autotrazione. In tutti i casi i tempi di ritorno dell’investimento per il biometano agricolo sono eccessivamente lunghi (da 12 a 17 anni), mentre prospettive migliori (da 4 a 8 anni) si hanno per il biometano da forsu. Relativamente, infine, alla riconversione di un impianto a biogas preesistente, alimentato con scarti agricoli e finalizzato alla generazione di energia (circa 1 MW), è stata scelta, come destinazione dell’impianto, la produzione di biometano utilizzato nei trasporti tramite connessione a distributore proprio. In questa configurazione, si possono applicare i CIC, riconosciuti in misura pari al 70% degli incentivi spettanti a un analogo nuovo impianto. La conversione non risulta conveniente finchè perdura l’incentivazione dell’energia elettrica; al suo termine, il periodo di incentivazione risulterebbe di 5 anni, appena sufficiente a recuperare gli investimenti necessari. LE CRITICITA’
Esistono attualmente una serie di carenze, essenzialmente di carattere normativo, che frenano lo sviluppo del biometano. - Qualità del biometano per immissione in rete. A questo proposito, è stata pubblicato nel settembre 2016 la seconda edizione della norma UNI TR 11537, che contiene indicazioni sulla normativa applicabile per la misurazione delle impurezze del biometano, frequenza dei controlli e criteri per valutare l’odorizzabilità del metano. La carenza normativa per l’immissione in rete sarà quindi colmata entro pochi mesi.
- Qualità del biometano per autotrazione. La nuova versione del documento prEN 16723-2 è disponibile solo da novembre scorso e deve essere sottoposto a una nuova inchiesta pubblica. Il biometano non è infatti al momento incluso tra i gas che si possono trovare ai distributori di metano per auto e per superare questo ostacolo occorrerà più di un anno. - Scelta della destinazione. Ad oggi non è consentita la scelta contestuale di più di una destinazione del biometano prodotto (trasporti, immissione in rete, cogenerazione), con grave diminuzione della flessibilità nella gestione. - Coproduzione di biometano, elettricità e calore. Un sistema di incentivazione maggiormente
- Utilizzo sottoprodotti. Il Ministero dell’Ambiente non ha ancora emesso il decreto attuativo sui sottoprodotti utilizzabili negli impianti a biomasse e biogas, e ciò limita i sottoprodotti impiegabili nella produzione di biometano. - Rifiuti ammessi e accesso a maggiorazioni di cui all’art.33, c. 5, D.Lgs 28/2011. Il D.M. 5/12/2013 offre una definizione ambigua dei rifiuti ammessi alla produzione di biometano di cui è consentita l’immissione in rete. Occorre quindi un chiarimento sulla terminologia “utilizzo esclusivo” riportata nel D.M. - Tempistica di scadenza degli incentivi. Il D.M. 5/12/2013 stabilisce in 5 anni dalla pubblicazione il termine per l’accesso agli incentivi, e si tratta di un termine
flessibile, e quindi in grado di valorizzare le diverse opportunità di utilizzo del biogas, consentirebbe di modulare la produzione elettrica e termica senza limitare la produzione di biometano; ma il D.M. 5/12/2013 non prevede questa possibilità. - Prezzo di riferimento dei CIC. Attualmente non esiste un valore certo dei CIC: ciò penalizza le filiera dell’utilizzo del biometano per autotrazione previa immissione nella rete. Anche considerando che il D.M. 10/10/2014 ha introdotto la definizione di “biocarburanti avanzati”, stabilendo per essi una quota minima che deve essere immessa obbligatoriamente al consumo a partire dal 2018, resta oggi valida la considerazione che l’impiego per autotrazione non comporta un valore certo per l’incentivo, come invece avviene per l’immissione in rete senza destinazione specifica.
eccessivamente ristretto se si considera che sono ormai trascorsi due anni e mezzo dalla pubblicazione del D.M. e che il superamento delle diverse criticità richiederà ancora diversi mesi. - Inadeguato stimolo alla conversione degli impianti esistenti. Come già evidenziato, la definizione di un incentivo ridotto al 40% rispetto a quello previsto per l’avvio di nuovi impianti non favorisce la riconversione degli impianti a biogas esistenti; occorrerebbe quindi aumentare i termini di durata degli incentivi. Un ulteriore limite alla riconversione degli impianti a biogas esistenti è l’incentivazione vincolata all’impiego del 50% di biomassa definita nell’elenco dei sottoprodotti del D.M. 6/7/2012, che dovrebbe essere modificato includendo le nuove matrici (con le conseguenti modifiche in termini autorizzativi, economici e organizzativi).
DISTRIBUTORE A KM ZERO
Il biometano dai reflui fognari Il Gruppo CAP sta trasformando alcuni dei suoi impianti di depurazione in bioraffinerie che producono ricchezza Il Gruppo CAP, che gestisce acquedotto, fognatura e depurazione di Milano, ha spinto l’acceleratore sull’economia circolare e sta trasformando i principali dei suoi circa 60 depuratori in bioraffinerie in grado di produrre ricchezza dai reflui fognari. Biometano, fertilizzanti ed energia elettrica sono già realtà e presto sarà anche possibile estrarre nutrienti come fosforo e azoto. Presso il depuratore di Cassano D’Adda è stata avviata una produzione sperimentale di fertilizzante, mentre dal depuratore di Niguarda-Bresso le acque convogliate permetteranno di far viaggiare centinaia di automobili. In base agli studi dei tecnici CAP, si stima infatti che il solo depuratore di Bresso potrebbe arrivare a sviluppare una produzione annua di biometano di 341.640 kg, sufficienti ad alimentare 416 veicoli per 20.000 km all’anno: 8.320.000 km percorribili complessivi, equivalenti a oltre 200 volte la circonferenza della Terra. Significativi anche i risparmi grazie al costo di produzione di 0,58 euro/kg, sensibilmente inferiore ai circa 0,9 euro/kg a cui il metano è oggi acquistabile sul mercato. Grazie a questo immenso potenziale energetico, disponibile ma attualmente non sfruttato, il depuratore di Niguarda-Bresso potrebbe comodamente alimentare da solo l’intero parco auto aziendale CAP, permettendo di conseguire al contempo un impor-
tante contenimento dei costi oggi sostenuti per l’acquisto di carburante. E’ prossima, infatti, l’attivazione di un vero e proprio distributore di metano a km 0. La sperimentazione di CAP, condotta con CNR e che vede la collaborazione tecnologica di FCA, prevede il trattamento dei fanghi residui della depurazione di tipo biologico a schema classico (fanghi attivi) per via anaerobica e la trasformazione in biogas. Successivamente il biogas viene purificato attraverso la tecnologia a membrane che può garantire biometano di ottima qualità (9599%). L’obiettivo della sperimentazione è quello di realizzare una
serie di campionamenti e di verifiche analitiche sia sul biometano prodotto che sugli off-gas generati ed immessi in atmosfera coinvolgendo i diversi Enti interessati, con la finalità di valutare l’immissione in rete del gas naturale e
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l’utilizzo come combustibile per i trasporti, mediante veri e propri distributori di carburante simile a quello oggetto di sperimentazione. <<Puntare sulla sostenibilità per una grande azienda pubblica come CAP – afferma Alessandro Russo, Presidente di Gruppo CAP – significa prima di tutto innovare, sperimentare e progettare il futuro delle nostre città. Un futuro in cui l’acqua e l’energia saranno sempre più preziose. Trasformare i depuratori in bioraffinerie in cui dall’acqua sporca nascono nuovi prodotti, riaprire i canali e le rogge costruiti nel medioevo per ridurre l’impatto delle bombe d’acqua, mettere in campo le tecnologie più avveniristiche per il controllo dell’acqua potabile e della falda, sono tutte tessere del mosaico di sostenibilità che CAP sta componendo con la grande collaborazione delle istituzioni e degli stakeholder>>. <<In campo ci sono più di 455 milioni di euro in investimenti – spiega Michele Falcone, direttore generale di CAP - che spaziano dall’efficientamento dei depuratori, al potenziamento di acquedotti e reti fognarie, con risparmi ambientali significativi e risultati importanti in termini di tutela della qualità dell’acqua, difesa della biodiversità e riduzione della CO2 immessa in atmosfera>>.
Trasformare i rifiuti urbani delle città in energia sfruttando il biogas da discarica attraverso impianti di ultima generazione, è questo l’ambizioso progetto fortemente voluto da Solvì, società brasiliana di punta nel trattamento ecologico dei rifiuti in Brasile, e che ha portato alla realizzazione di due siti di cogenerazione alimentati con biogas da discarica, rispettivamente a Caieiras, nella regione di São Paulo, ed a Minas do Leão, nella regione del Rio Grande do Sul. L’impianto di Caieiras, inaugurato nell’autunno scorso, costituisce uno fra i più grandi siti di produzione di energia da biogas da discarica al mondo. La discarica riceve 10.000-12.000 tonnellate di rifiuti al giorno, servendo un numero di persone pari a 13 milioni. Il sistema di trattamento del biogas è composto da 3 linee da 7.500 mc ciascuna, con una deumidificazione del biogas a 5 °C e il trattamento degli silossani con carbone attivato. Nel polo cogenerativo funzionano contemporaneamente 21 impianti da 1.407 kWe, per una potenza complessiva pari a 29.547 kWe. L’elettricità prodotta viene ceduta alla rete pubbli-
TRA GLI IMPIANTI PIU’ GRANDI AL MONDO
Il biogas dà energia in Brasile ca in alta tensione. Questo polo permette un risparmio di circa 300.000 ton/anno di anidride carbonica, altrimenti emessa nell’atmosfera. Da sottolineare il fatto che in questo sito è previsto, in futuro, un incremento fino ad un
massimo di 36 moduli di cogenerazione. La discarica di Minas do Leão e le collegate tecnologie per l’impiego del biogas, inaugurate nel 2015, sfruttano invece soprattutto i rifiuti urbani della città di Porto Alegre, per un quantitativo
di oltre 3.500 ton/giorno. A pieno regime il sito genera 8,5 MWe, servendo i fabbisogni energetici di oltre 200.000 persone. Cuore del sistema sono 6 impianti da 1.426 kWe, per una potenza totale pari a 8.556 kWe. L’impianto di Caieiras
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energia
L’ecoprogettazione oggi Regolamenti europei e casi pratici
L’efficienza energetica nelle industrie: trasformatori di potenza e apparecchi illuminanti
6^ parte
Per tradurre in atti giuridicamente vincolanti i principi esposti nella Direttiva 2009/125/CE sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia, sono stati emanati diversi Regolamenti, ciascuno relativo a differenti tipologie di apparecchiature. Due di questi sono particolarmente interessanti, e precisamente: il Regolamento 548/2014/UE, relativo alla progettazione ecocompatibile dei trasformatori di potenza, ed il Regolamento 1428/2015/UE, relativo alla progettazione ecocompatibile delle lampade.
una migliore progettazione questa cifra potrebbe essere ridotta di 16 TWh/anno, corrispondenti a 3,7 Mt di emissioni di CO 2 evitate. Per dare un’idea, 16 TWh/anno corrispondono al 50% dell’energia consumata in un anno da una piccola nazione europea, come la Danimarca. In Europa si stima che siano attualmente installati circa 4 milioni di trasformatori di potenza, e la vita utile di queste macchine supera spesso 30 anni. Pertanto, miglioramenti anche piccoli nell’efficienza dei trasformatori produ-
cono notevoli risultati di lungo periodo in termini di risparmio energetico complessivo su scala europea. I trasformatori non hanno parti in movimento e, in condizioni ideali, dovrebbero avere un rendimento del 100%. In pratica, però, il rendimento è intorno al 98% per i grossi trasformatori (come quelli usati nelle reti di distribuzione dell’energia elettrica), ma può scendere fino all’85% per le piccole apparecchiature. Le perdite nei trasformatori derivano da: resistenza all’avvolgimento, che si
TRASFORMATORI DI POTENZA
La Commissione Europea ha condotto, in collaborazione con i produttori e gli utilizzatori di trasformatori, uno studio sugli aspetti ambientali ed energetici di queste apparecchiature. Lo studio indica che ogni anno nell’UE vengono dispersi in calore, attraverso le perdite dei trasformatori, quasi 100 TWh di energia elettrica; e che attraverso Hi-Tech Ambiente
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riscalda per effetto Joule; isteresi magnetica, cioè la resistenza che il nucleo del trasformatore oppone alle variazioni di campo magnetico indotte dalla frequenza della corrente alternata che circola negli avvolgimenti; correnti parassite, anche queste dovute alle variazioni di frequenza, che si creano entro il materiale del nucleo; perdite meccaniche, dovute alle vibrazioni (i trasformatori in genere emettono un caratteristico ronzio, che è dovuto alle vibrazioni indotte dalle variazioni di campo magnetico). Per migliorare il rendimento dei trasformatori (riducendo cioè le perdite) occorre agire in diverse direzioni. In particolare: l’avvolgimento deve avere il minor numero di spire possibile; il nucleo deve essere il più possibile compatto e realizzato con materiale ferromagnetico, avente una resistenza elettrica il più possibile alta, e un ciclo di isteresi magnetica il più possibile stretto (vengono generalmente utilizzati lamierini di acciaio magnetico al silicio, incollati tra loro). E’ infine necessario che i trasformatori, specialmente se di potenza
elevata, siano dotati di un sistema di raffreddamento che ne impedisca il surriscaldamento. Le prestazioni energetiche minime dei trasformatori di potenza sono state regolamentate con il Regolamento 548/201/UE, pubblicato sulla GUUE n. L152/2014. Questo Regolamento ha stabilito due diverse scadenze: apparecchiature immesse sul mercato dal luglio 2015 al luglio 2021 e apparecchiature immesse sul mercato dopo il 1/07/2021. Attualmente, il Regolamento si applica ai trasformatori trifase classificati “medi” (cioè con tensione di uscita da 1,1 a 36 kV, e con potenza nominale da 5 kVa a 40 MVA) e “grandi” (tensione in uscita superiore a 36 kV, potenza nominale oltre 40 MVA). Entro il giugno 2017 verranno riesaminati gli aspetti tecnici ed ambientali relativi all’applicazione de Regolamento, valutando in particolare l’opportunità di stabilire requisiti minimi di rendimento per i trasformatori monofase e per quelli classificati “piccoli”, cioè con tensione di uscita massima sotto i 1,1 kV. Infine, è opportuno rilevare che, mentre per i trasformatori di media potenza esistevano già diverse norme europee (la più recente delle quali è la EN 50588-1, “Trasformatori di potenza di taglia media a 50 Hz, con tensione massima non superiore a 36 kV, e potenza da 25 kVA a 40 MVA”), il problema della normazione delle perdite dei grandi trasformatori di potenza non era mai stato affrontato a livello mondiale. La definizione delle prestazioni energetiche, delle massime perdite ammissibili per i diversi tipi (a secco o immersi in un liquido) e degli indici PEI (Peak Efficiency Index) in funzione della potenza nominale, costituiscono quindi un primato europeo. Alcune categorie di trasformatori sono escluse dal Regolamento: trasformatori che alimentano strumenti di misura, forni elettrici, impianti offshore e di emergenza, sistemi di alimentazione ferroviaria, sistemi per l’avviamento di motori trifase, saldatrici ad arco o a resistenza, apparecchiature antideflagranti e destinate all’utilizzo in miniere e acque profonde; grandi trasformatori di potenza, nel caso che la loro sostituzione comContinua a pag. 40
LA FOTOGRAFIA DELL’ENEA
L’agroindustria efficiente
I consumi di energia nel sistema agricolo-alimentare italiano sono diminuiti sia in termini assoluti (-21% da 16,79 a 13,3 Mtep) sia come quota parte dell’energia finale consumata in Italia fra il 2013 e il 2014 (dal 13% all’11,1%), ma restano spazi importanti per ulteriori riduzioni con soluzioni e tecnologie green, ad esempio nel settore alimentare che consuma il doppio di quello agricolo (8,57 contro 4,73 Mtep). Questa la fotografia presentata di recente dall’Enea, che stima possibili risparmi energetici del 25% nell’irrigazione, del 70% nella ventilazione degli ambienti industriali e del 20% nella produzione e trasformazione agroalimentare, con interventi di efficienza energetica e tecnologie verdi da applicare sia nella produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti, compresi fitosanitari e fertilizzanti, sia nella climatizzazione degli ambienti di lavoro. Si tratta di soluzioni con un tempo di ritorno dell’investimento da 5 a 7 anni, basate principalmente su impianti di solar cooling, led ad alta efficienza e software per l’autodiagnosi energetica. Gli impianti di solar cooling sfruttano la radiazione solare per produrre acqua refrigerata per la climatizzazione estiva dei sistemi serra. Nell’ambito del progetto Adriacold, sviluppato da Enea in collaborazione con l’Università di Bari, è stato realizzato un impianto dimostrativo a Valenzano (BA) con una potenzialità di raffrescamento della serra pari a 113 GJ/anno.
L’Enea ha anche sviluppato sistemi di serre sostenibili (serra building) alimentati con energia fotovoltaica e illuminati a led (nell’ambito della filiera le coltivazioni in serra sono il settore più energivoro, con un rapporto tra energia nel prodotto/energia immessa per produrre pari a 0,04 contro 1,23 delle coltivazioni in pieno campo) basate su tecnologie colturali senza suolo, in un'ottica di incremento della produttività (10 volte i sistemi tradizionali) e risparmio di risorse. Inoltre, per aumentare l’isolamento termico, ridurre le emissioni e i consumi da climatizzazione, l’Enea ha sviluppato modelli di green roof e green wall, tetti e pareti verdi, grazie
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a soluzioni tecnologiche innovative che ricorrono alla natura per migliorare l’efficienza energetica degli edifici. A livello operativo, l’Ente ha realizzato una guida alle diagnosi energetiche per le imprese del settore, sulla base di 110 audit energetici di aziende europee, oltre ad attività di formazione, divulgazione, guide sulle best practice per comparto e lo sviluppo di software ad hoc per l’autodiagnosi, nell’ambito del progetto TESLA (Transfering Energy Save Laid on Agroindustry) per ridurre i costi energetici delle cooperative europee del comparto agroalimentare, in collaborazione con Legacoop, Confagri e altri centri di ricerca. Un altro progetto per la riduzione dei consumi energetici delle PMI agroalimentari è SCOoPE (Saving COOperative Energy) che prevede il coinvolgimento di 81 aziende target e l’istituzione di 6 cluster industriali per promuovere, fra l’altro, acquisti in comune e l’utilizzo di procedure condivise per la raccolta e il monitoraggio dei dati per migliorare l’efficienza energetica e ridurre i consumi di energia. <<È necessario attivare nuove strategie produttive ed industriali da integrare all’interno del sistema agricoloalimentare - sottolinea Tullio Fanelli, vice direttore generale dell’Enea che, accanto all’ottimizzazione tecnologica, siano in grado di privilegiare il rispetto delle risorse naturali di energia, acqua, suolo e atmosfera>>.
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L’ecoprogettazione oggi porti “costi sproporzionati legati al trasporto e all’installazione”, e nel caso siano utilizzati in applicazioni dove “non sono disponibili alternative tecnicamente praticabili che soddisfino i requisiti minimi di efficienza del Regolamento”. APPARECCHI ILLUMINANTI
L’ottimizzazione dell’illuminazione può avere un notevole impatto positivo sull’ambiente, in quanto i consumi di energia per illuminazione incidono per oltre il 40% sui consumi di elettricità dell’edilizia non residenziale. La progettazione ecocompatibile di lampade di vari tipi era stata oggetto di specifiche Direttive e Regolamenti europei negli anni 2000, 2009 e 2012; il Regolamento n.1428/2015/UE (GUUE N. L224/2015) abroga le precedenti disposizioni, adeguando al progresso tecnologico i requisiti energetici delle lampade, e in particolare di quelle classificabili nella classe di efficienza A o superiore. Il tema dell’efficienza energetica nell’illuminazione è da tempo oggetto di un ampio programma europeo, denominato “Greenlight”, e destinato ai consumatori non residenziali di elettricità. Lo scopo di questo programma, iniziato nel 2000 e tuttora in corso, è la riduzione del consumo di energia per l’illuminazione, sia interna che esterna, migliorando contemporaneamente la qualità delle condizioni di illuminazione e riducendo i costi di esercizio. In 15 anni di attività, al programma Greenlight hanno partecipato oltre 800 partners, con un risparmio di energia elettrica stimato in circa 4.800 GWh. In Italia, il settore dell’illuminazione consuma ogni anno circa 51 TWh di energia elettrica; quasi il 9% dei consumi di energia del set-
tore industriale è dedicato all’illuminazione. Le tecnologie di illuminazione attuali (in primo luogo i LED) offrono grandi potenzialità di risparmio, considerando che il 70% degli impianti di illuminazione industriale è vecchio e tecnicamente obsoleto. Il vantaggio dei LED è in primo luogo la loro resa: per ogni watt di energia utilizzato i LED emettono da 80 a 120 lumen, mentre le vecchie lampade a incandescenza emettono da 10 a 19 lumen per watt. Inoltre, i LED durano a lungo (fino a 50.000 ore), non contengono mercurio né altri materiali inquinanti, ed essendo di ridotte dimensioni consentono una maggior libertà di Design ed una più facile adottabilità ai diversi ambienti. Per cogliere tutte le opportunità
offerte dalle tecnologie LED è opportuno non limitarsi ad una semplice sostituzione delle vecchie lampade alogene o fluorescenti con nuove lampade a LED; è invece bene ridisegnare l’impianto di illuminazione, installando corpi illuminanti che sfruttino pienamente le caratteristiche delle nuove lampade, garantendo il miglior risultato illuminotecnico. Un esempio di progetto con queste caratteristiche è Smart, cui partecipano il Centro Ricerche Plast-Optica del gruppo Magneti Marelli. L’obiettivo di questo progetto è lo sviluppo di un sistema di illuminazione a LED che permetta a stabilimenti industriali, centri logistici e parcheggi la ristrutturazione degli impianti di illuminazione esistenti in nuovi impianti che siano attenti all’ambiente, migliorati-
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vi per la produttività e il benessere dei lavoratori, e installabili in modo semplice e senza costi aggiuntivi. I risparmi ottenibili con sistemi di questo tipo sono impressionanti, come, citando un caso su tutti, l’esempio di un’industria tessile che aveva costi di gestione dell’impianto di illuminazione intorno a 400.000 euro/anno e che ha ridotto i consumi di energia elettrica del 52% e azzerato i costi di manutenzione e ricambi. L’investimento si è ripagato in 10 mesi, e tra 16 anni (termine di vita stimato per il nuovo impianto) il risparmio sarà di 3 milioni di euro. Risultati ancora migliori sono stati ottenuti da un’industria produttrice di cavi elettrici, che ha ottenuto il 55% di risparmio nel consumo di energia elettrica, con un tempo di ritorno dell’investimento di circa 7 mesi. Risparmi di energia superiori (64%) sono stati ottenuti da un’industria alimentare situata negli Usa e da una siderurgica europea. Nel caso dell’industria siderurgica, che lavora a ciclo continuo, la durata delle lampade è inferiore (10 anni), ma consente sempre un risparmio a fine vita di 1 milione di euro; l’industria alimentare, con un orario di lavoro di 8 ore/giorno, può contare su una vita utile di 26 anni, al termine dei quali avrà risparmiato quasi 4 miliardi di dollari.
macchine & strumentazione OSMOTECH
Il campionamento di aria La Low Speed Wind Tunnel (LSWT) è un dispositivo per il convogliamento delle arie da campionare derivanti da sorgenti areali passive e quindi senza flusso indotto; ne sono un esempio le vasche degli impianti di depurazione dei reflui o i cumuli di diverso materiale come lo stoccaggio dei fanghi essiccati. Il corpo centrale dell’apparecchiatura, che andrà a contatto con le aree da campionare, è costituito interamente da acciaio ed è predisposto per essere equipaggiato da galleggianti (in dotazione) e, quindi, poter essere utilizzato su superfici liquide. LSWT è progetto e costruita da Osmotech secondo quanto specificato dal D.G.R. n. IX/3018 del 20/2/2012 “Determinazioni generali in merito alla caratterizzazione delle emissioni gassose derivanti da attività a forte impatto odorigeno”. Il sistema “wind tunnel” è dise-
Il Low Speed Wind Tunnel (LSWT) di Osmotech
gnato per simulare la condizione atmosferica di flusso parallelo senza rimescolamento verticale: una corrente di aria orizzontale nota, passante sulla superficie,
raccoglie i composti odorigeni volatilizzati provocando un’emissione di odore. Una corrente di aria neutra viene introdotta nella cappa a velocità
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nota e, al di sopra della superficie emissiva, avviene un trasferimento di massa convettivo. Gli odoranti si mescolano alla corrente gassosa e fuoriescono dal condotto di uscita dal quale viene prelevato il campione. Sempre di Osmotech è il campionatore a depressione, ossia una pompa per il prelievo passivo utilizzata per il campionamento dell’aria in sacchetti di Nalophan, poi sottoposta ad analisi olfattometrica e/o chimica. Questo campionatore utilizza il “principio a polmone” (lung principle), ideale per evitare contaminazioni dovute al lavoro della pompa di aspirazione. L’aria viene rimossa dal contenitore utilizzando una pompa a vuoto così che la depressione nel contenitore riempia il sacchetto di Nalophan con un volume di campione pari a quello che è stato rimosso dal contenitore. Osmotech realizza il campionatore a depressione CDHD 2.0 ad elevate prestazioni per affidabilità, peso, misure e maneggevolezza, su proprio progetto per l’esecuzione di prelievi di aria in accordo con quanto stabilito dalla norma UNI EN 13725:2004
La misura US per i gas torcia Monitoraggio delle emissioni
Tecnologie di analisi innovative per ottimizzare i processi di riduzione dell’anidride carbonica
Come previsto dal Quadro 2030 per le politiche dell’energia e del clima della Commissione Europea, entro il 2030 i Paesi dell’UE dovranno ridurre le emissioni di gas serra almeno del 40% rispetto ai valori registrati nel 1990, unicamente mediante interventi interni all’Unione. Una sfida importante, in cui raffinerie e poli petrolchimici sono chiamati a rispondere con impegno, rispettando precise normative. Ecco perché diventa sempre più importante adottare soluzioni
smart capaci di misurare con precisione ed affidabilità, anche nel lungo termine e in ambienti difficili, la quantità di gas torcia bruciati in atmosfera. E quando si tratta di monitorare le emissioni di CO 2 Sick gioca un ruolo fondamentale, proponendo soluzioni complete capaci di raccogliere i dati registrati dai sensori presenti sui collettori di scarico dei gas di torcia, elaborarli in piena autonomia secondo variabili preimpostate e restituire, infine, i valori della portata massica per
un controllo totale sulle emissioni e sui processi. Oltre che nell’utilizzo di sensori intelligenti, il segreto di questa efficienza risiede anche nell’adozione della tecnologia ad ultrasuoni, la più avanzata presente sul mercato. Non prevedendo parti in movimento, la misura ultrasonica non è soggetta ad usura meccanica e quindi azzera i rischi di guasto e fermo impianti, oltre che limitare le perdite di carico. La precisione di misura risulta essere così ele-
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vata che le soluzioni Sick sono certificate anche per fini fiscali. Un ulteriore vantaggio degli smart meter di Sick è dato dalla loro funzionalità diagnostica. La famiglia di misuratori di portata FlowSic100, ad esempio, grazie ad una centralina di controllo MCU, restituisce informazioni utili sul processo di gas flaring e possiede, inoltre, una funzionalità diagnostica per un miglioramento continuo delle prestazioni dell’impianto. Tutela dell’ambiente nel pieno rispetto delle normative, ottimizzazione energetica degli impianti, utilizzo di strumenti intelligenti per la gestione dei processi produttivi con Sick Industry 4.0 è già nell’aria. LA SOLUZIONE PER I GAS TORCIA
FlowSic100 Flare è un misuratore ultrasonico di portata per gas di torcia affidabile sia quando il flusso di gas è quasi impercettibile sia quando raggiunge repentinamente livelli elevati. La sonda di misura è disegnata e sagomata per coprire un range di portate da 0,03 a 120 m/s senza generare turbolenze attorno al sensore. Si tratta di uno strumento molto accurato e, tramite il calcolo del peso molecolare del gas durante la misura, consente di individuare la provenienza di eventuali perdite di porzioni di impianto, anche in aree esplosive. Il sistema è disponibile in due versioni “cross duct” e una a singolo probe per tutti quei casi in cui non è possibile o è sconsigliata l’installazione su due lati del collettore di flare. Per ogni versione esiste un modello dotato di un meccanismo retraibile per installare o sostituire il dispositivo senza interrompere le attività produttive. L’unità di controllo si può porre fino a 1 km dal punto di misura e può essere installata anche all’esterno dell’area esplosiva. Infine, la funzionalità di diagnostica automatica individua e segnala prontamente situazioni anomale.
laboratori PER PANNELLI FOTOVOLTAICI
La tecnologia Pannel Plus Il nuovo trattamento nanotecnologico che si attiva grazie alla luce del sole È una nuova tecnologia, quella del Pannel Plus, nata dalla ricerca nell’ambito dei materiali biogenici e biomateriali, mirata nella sintesi di materiali con applicazioni innovative completamente bio ed eco compatibili. Un brevetto di BioEcoActive, azienda start-up dell’Università di Bologna, che utilizza in modo innovativo le nano e biotecnologie per progettazione, sintesi e caratterizzazione chimico-fisica di materiali nuovi (smart materials) tecnologicamente avanzati, in grado di fornire applicazioni in vari ambiti, tra cui quello ambientale. E’ nata così una linea di progetti, messi a frutto in anni di ricerca, che si pone come obiettivo lo studio di nuovi materiali “intelligenti” e applicazioni innovative, perseguendo processi di sintesi che mimano in modo molto similare i processi biologici naturali (sintesi biomimetiche). Fra tutti spicca una gamma di materiali fotocatalitici, in grado di interagire con la luce, proprio come accade in molti sistemi di origine vegetale, per scomporre le molecole organiche e rendere più facile la loro rimozione dalla superficie. PANNEL PLUS
Pannel Plus è un prodotto innovativo costituito da una soluzione idroalcolica di nanocristalli di ossidi metallici fotocatalitici semiconduttori, sintetizzati appositamente, attraverso un processo brevettato, per renderli ancora più fortemente fotocatalitici in modo da aumentare le loro proprietà autopulenti, antibatteriche e antinquinanti, mediante processi naturali attivati dalla luce del sole. La radiazione UV, fornendo energia al pannello, attiva un meccanismo di reazione fotocatalitica degli ossidi inorganici che sarà in grado, a sua volta, di svolgere in soluzione acquosa, una forte azione antinquinamento, trasformando i gas atmosferici
come NO X, SO X, CO X, VOC, in composti (sali inorganici) facilmente rimovibili per drenaggio, da parte delle piogge. Uno degli ossidi semiconduttori presente nella soluzione idroalcolica è il biossido di titanio (TiO2), assolutamente non commerciale. Una miscela brevettata, creata in modo specifico e sintetizzata mediante tecnologia sol-gel, in modo innovativo da BioEcoActive. I nanocristalli ossidi sintetizzati permettono, sotto illuminazione (luce UV), di rendere la superficie del pannello fortemente idrofila, mentre in assenza di luce, la superficie trattata risulta idrofoba. Di conseguenza, di giorno, in presenza di luce, lo sporco si diluirà nell’acqua, mentre di notte, al buio, si formeranno goccioline tonde sulla superficie (diventata idrofoba) che scorreranno via per il cosiddetto “effetto lotus”; in questo modo si produrrà una forte azione autopulente. Inoltre, la superficie trattata con questo prodotto diventa fortemente antibatterica per effetto delle forme radicaliche che rompono la membrana cellulare, in tal modo non si prolificheranno batteri, alghe e muffe sulla superficie. Il trattamento con Pannel Plus è anche in grado di rifrangere una parte della radiazione infrarossa, riducendone l’effetto riscaldante, tale da diminuire la temperatura superficiale di 1-2 gradi.
gio con acqua almeno ogni sei mesi per garantire la loro massima efficienza. Tra un lavaggio e l’altro le condizioni atmosferiche e l’inquinamento riducono in modo imprevedibile, variabile e disomogeneo l’efficienza del pannello. I prodotti commerciali attualmente sul mercato per la pulizia dei pannelli, consistono prevalentemente in detergenti pronti all’uso che si pongono come obiettivo di rimuovere lo sporco dalla superficie, lasciandole il più possibile prive di residui. Alcuni di essi vengono proposti come materiali nano-tecnologici, senza tuttavia possedere le proprietà innovative che derivano da anni di ricerca nella sintesi di componenti, come il biossido di
APPLICAZIONI
Normalmente i pannelli fotovoltaici vengono sottoposti a lavagHi-Tech Ambiente
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titanio, in grado di generare recuperi di efficienza elevati e per una durata significativa. Pannel Plus, invece, una volta vaporizzato (10 ml/mq) permette, mediante processi naturali attivati dalla radiazione solare, di aumentare l’efficienza per anni grazie all’azione foto-catalitica dei nanocristalli sintetizzati di biossido di titanio, migliorandone la resa di circa il 3-5% annuo, senza necessità di ulteriori interventi. BioEcoActive si pone quindi come obiettivo anche quello di portare un prodotto innovativo sul mercato nazionale e internazionale. Perseguire questo obiettivo è senza dubbio un traguardo notevole messo a frutto dopo anni di ricerca e di studio su quello che viene definito essere il gigantesco mondo delle nanotecnologie. È con una frase che si potrebbe identificare il vero contenuto di questi progetti: “credere sempre nelle ricerche innovative di valore…e che un giorno possano essere trasferite nelle più svariate applicazioni industriali”. Dr.sa Vanessa Tessore Dr Eros D’Amen
sicurezza persone; sono stati inoltre introdotti il calcolo delle vie di esodo, il calcolo degli impianti di ventilazione, il calcolo della compartimentazione e delle distanze di sicurezza. Alle norme tecniche di prevenzione è dedicato l’Allegato al D.M., articolato in Sezioni. Le prime due (G e S, rispettivamente Generalità e Strategia antincendio) introducono le nuove regole generali applicabili per la progettazione antincendio: sono le regole tecniche orizzontali (RTO), che riportano i criteri ed i metodi che consentono di determinare le misure di sicurezza antincendio per tutte le attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco. La terza sezione (V) contiene invece le regole tecniche verticali (RTV) di prevenzione incendi, applicabili a specifiche attività o ad ambiti di esse.
L’antincendio nell’industria
CAMPO DI APPLICAZIONE
Le nuove disposizioni
L’ultimo aggiornamento in materia si ha con il D.M. 3/8/2015, che tiene conto dei migliori standard tecnologici e tecnici di prevenzione Nella G.U. 20/8/2015 è stato pubblicato il D.M. 3/8/2015 (“Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs 139/2006”). Il decreto, noto anche come “Codice di prevenzione incendi”, è entrato in vigore il 18/11/2015, e nasce dalla necessità di semplificare e razionalizzare l’attuale corpo normativo relativo alla prevenzione incendi. Rispetto alle precedenti norme, il Codice rappresenta un aggiornamento, che tiene conto dei migliori standard europei e mondiali di tecnologia e tecnica antincendio. In materia di norme tecniche, il Codice introduce il concetto di “indice di rischio”, oltre al rischio relativo alla vulnerabilità delle
L’ambito di applicazione del D.M. è definito dall’art. 2, il quale individua una serie di attività, che in pratica comprendono la maggior parte delle attività industriali, con l’esclusione di alcune industrie particolarmente pericolose sotto il profilo del rischio incendi (raffinerie, depositi e distributori di petrolio, prodotti derivanti da questo e gas naturale, produzione e depositi di esplosivi e prodotti chimici instabili, centrali termoelettriche, installazioni nucleari). Sono inoltre escluse le attività non produttive, come: locali pubblici di spettacolo, alberghi, scuole, ospedali, fiere, uffici pubblici, musei, stazioni, autorimesse, stazioni ferroviarie, marittime e aeroportuali, gallerie stradali oltre 500 m e ferroviarie di oltre 2 km. Le attività escluse sono oggetto di regolamenti specifici, già emanati o da emanare in un secondo tempo. PRODOTTI ANTINCENDIO
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In base all’art. 3, i prodotti per uso antincendio impiegati nel campo di applicazione del D.M., devono essere: identificati univocamente sotto la responsabilità del produttore; qualificati in relazione alle prestazioni richieste e all’uso previsto; accettati dal responsabile dell’attività, ovvero del responsabile dell’esecuzione dei lavori, mediante acquisizione e verifica della documentazione di identifi-
cazione e qualificazione. Inoltre, il loro impiego è consentito se essi sono utilizzati conformemente all’uso previsto, sono rispondenti alle prestazioni richieste dal D.M stesso e: - sono conformi alle disposizioni comunitarie applicabili - se non ricadenti nel campo di applicazione delle disposizioni comunitarie, sono conformi alle apposite disposizioni nazionali applicabili già sottoposte con esito positivo alla procedura di informazione di cui alla Direttiva 98/34/CE - qualora non rientranti nei due casi precedenti, sono legittimamente commercializzati in uno degli Stati UE o in Turchia in virtù di specifici accordi stipulati con l’UE, o legalmente fabbricati in uno degli Stati membri dell’EFTA per l’impiego nelle stesse condizioni che permettono di garantire un livello di protezione, ai fini della sicurezza antincendio, equivalente a quello previsto nelle norme tecniche allegate al D.M. LA PROGETTAZIONE
Dopo un capitolo che riporta le definizioni e i simboli grafici usati nel testo delle norme, il capitolo G2 è dedicato alla “Progettazione per la sicurezza antincendio”. È compito del progettista valutare il rischio di incendio, secondo quanto esposto al punto G2.5.1, attribuendo tre tipologie di “profili di rischio” (R-vita, relativo alla salvaguardia della vita umana, Rbeni, relativo alla salvaguardia dei beni economici, e R-ambiente, relativo alla tutela dell’ambiente). La metodologia per la determinazione quantitativa dei profili di rischio è dettagliatamente esposta nel capitolo G3. Il progettista stabilisce poi la strategia di mitigazione (punto G2.5.2), composta di misure antincendio, di protezione e gestionali; per ciascuna di queste, sono previsti diversi livelli di prestazione in funzione degli obiettivi di sicurezza da raggiungere, graduati in funzione della complessità crescente delle prestazioni previste ed identificati da numeri romani. Per ogni livello di prestazione sono possibili diverse soluzioni progettuali (punto G2.4); l’applicazione della soluzione progettuale scelta deve garantire il raggiungimento del livello di prestazione richiesto.
LA STRATEGIA ANTINCENDIO
La sezione S (strategia antincendio) è la parte più importante del documento; infatti, contiene le misure di protezione, prevenzione, gestione e controllo atte a ridurre il rischio di incendio. In particolare: Protezione Si attua attraverso la scelta di materiali aventi livelli di reazione al fuoco adeguati a limitare l’innesco e la propagazione dell’incendio. I livelli di prestazione per la reazione al fuoco sono descritti nella tab. S.1-1: per il livello I non è richiesto nessun requisito,
al livello II corrispondono materiali che contribuiscono in modo “non trascurabile” all’incendio, al livello III quelli che contribuiscono “moderatamente” e infine il livello IV (materiali che contribuiscono “limitatamente” all’incendio). Inoltre, le strutture dovranno possedere una resistenza al fuoco adeguata a impedire il collasso strutturale, almeno per un tempo sufficiente a garantire l’evacuazione. La prestazione per la resistenza al fuoco è distinta in 5 livelli, come da tab. S.2.2.: - I, assenza di conseguenze esterne per il collasso strutturale - II, mantenimento dei requisiti di
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resistenza al fuoco per un periodo sufficiente all’evacuazione degli occupanti in luogo sicuro all’esterno della costruzione - III, mantenimento dei requisiti di resistenza al fuoco per un periodo congruo con la durata dell’incendio - IV, requisiti di resistenza al fuoco tali da garantire, dopo la fine dell’incendio, un limitato danneggiamento della costruzione - V, requisiti di resistenza al fuoco tali da garantire, dopo la fine dell’incendio, il mantenimento della totale funzionalità della costruzione stessa. Il capitolo descrive poi i metodi di calcolo e di verifica, definendo le classi di resistenza al fuoco per i diversi elementi delle opere di costruzione, compresi gli elementi dei sistemi di ventilazione, delle installazioni tecniche, dei sistemi di controllo del fumo e del calore. Prevenzione La prevenzione si esplica con le misure di compartimentazione, il cui scopo è limitare la propagazione dell’incendio e dei suoi effetti verso altre attività o all’interno della stessa attività. La tab. S3-1 indica i livelli di prestazione: al livello I non corrisponde alcun requisito, mentre al livello II la propagazione dell’incendio verso altre attività o all’interno della stessa è contrastata per un periodo Continua a pag. 46
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L’antincendio nell’industria congruo con la durata dell’incendio; il punto III ripete il precedente, aggiungendo però anche il contrasto per un congruo periodo della propagazione dei fumi freddi all’interno della sessa attività. Una particolare misura di compartimentazione è definita “Filtro”, che può essere o meno a prova di fumo. Si tratta di un compartimento antincendio avente classe di resistenza al fuoco non inferiore a 30 min, almeno due porte munite di congegni di autochiusura e un carico di incendio specifico non superiore a 50 MJ/mq. Il filtro a prova di fumo presenta una delle seguenti caratteristiche aggiuntive: - dotato di camino di ventilazione ai fini dello smaltimento dei fumi d’incendio adeguatamente progettato e di sezione comunque non inferiore a 0,10 mq, sfociante al di sopra della copertura dell’opera di costruzione - mantenuto in sovrappressione, ad almeno 30 Pa in condizioni di emergenza, da specifico sistema progettato, realizzato e gestito secondo la regola dell’arte - aereato direttamente verso l’esterno, con aperture di superficie utile complessiva non inferiore a 1 mq. Tali aperture devono essere permanente aperte o dotate di chiusura facilmente apribile in caso di incendio in modo automatico o manuale, con l’esclusione dell’uso di condotti. La successiva misura di preven-
zione consiste nella predisposizione di un sistema sicuro di esodo, che è trattato nel capitolo S.4. Sono definiti il numero, le dimensioni e le caratteristiche delle vie di esodo e delle relative porte, e la massima “densità di affollamento” (numero di persone per mq) per le diverse attività. In presenza di disabili sono previste misure supplementari, come la presenza di uno “spazio calmo” (area adatta ad accogliere tutti i disabili, dotati di attrezzature di assistenza e sistemi di comunicazione bidirezionale). Gestione La gestione della sicurezza antincendio (GSA) si esplica nell’adozione di una struttura organizzativa che, attraverso la definizione di ruoli, compiti, responsabilità e procedure, garantisca nel tempo un adeguato livello di sicurezza in caso di incendio. Secondo i profili di rischio, l’affollamento, il carico d’incen-
dio e altri parametri, sono definiti 3 livelli di prestazione del GSA (base, avanzato, avanzato per attività complesse); per ogni livello sono definiti, nel capitolo S.5, i compiti e le funzioni delle diverse posizioni nell’organizzazione. Vengono inoltre date indicazioni sul mantenimento del registro dei controlli, sulla redazione del piano per il mantenimento del livello di sicurezza, sul controllo e la manutenzione di impianti e attrezzature antincendio, sulla preparazione all’emergenza nelle diverse circostanze. Controllo Il capitolo S.6 (controllo dell’incendio) tratta in dettaglio gli strumenti tecnici (presidi antincendio, come estintori, idranti, sistemi di spegnimento manuali o automatici) finalizzati al controllo o all’estinzione degli incendi. Sono definiti 5 livelli di prestazione, indicando per ogni livello i mezzi tecnici appropriati. Nel capitolo S.7 (rivelazione ed allarme) sono invece indicate le prescrizioni per i sistemi di allarme, secondo 4 diversi livelli di prestazioni. Nel capitolo S.8 (controllo di fumi e calore) vengono descritti i presidi antincendio da installare per consentire il controllo, l’evacuazione o lo smaltimento dei prodotti della combustione in caso di incendio. In generale, le misure antincendio consistono in: - aperture di smaltimento di fumo e calore d’emergenza che, avendo lo scopo di facilitare l’opera di estinzione da parte dei soccorritori, consentono lo smaltimento dei prodotti della combustione verso l’esterno dell’edificio (finestre, lucernari, ecc.) - sistemi per l’evacuazione di fu-
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mo e calore (SEFC), che hanno lo scopo di creare e mantenere uno strato d’aria sostanzialmente indisturbato nella porzione inferiore dell’ambiente protetto mediante l’evacuazione di fumo e calore prodotti dall’incendio. Essi aiutano a mantenere le vie di esodo libere da fumo, agevolano le operazioni antincendio, ritardano o prevengono la generalizzazione dell’incendio, limitano i danni agli impianti ed al contenuto dell’ambiente protetto, riducono gli effetti termici sulle strutture dell’ambiente protetto. Si distinguono in SEFC ad evacuazione naturale e SEFC ad evacuazione forzata. Nella tab. S.8-1 sono indicati i livelli di prestazione per queste misure antincendio: - I, nessun requisito - II, deve essere possibile smaltire fumi e calore dell’incendio da piani e locali del compartimento durante le operazioni di estinzioni condotte dalle squadre di soccorso - III, deve essere mantenuto nel compartimento uno strato libero da fumi che permetta la salvaguardia degli occupanti e delle squadre di soccorso e la protezione dei beni (se richiesta). Fumi e calore generati nel compartimento non devono propagarsi ai compartimenti limitrofi. Nel capitolo S.9 (operatività antincendio) sono descritte le prescrizioni relative agli interventi che facilitano l’intervento dei VdF, come accessibilità per i mezzi antincendio, pronta disponibilità di agenti estinguenti, accessibilità protetta ai locali; sono definiti 4 livelli di prestazione.
tecnologie L’acqua ultrapura, cioè trattata in modo da eliminare completamente ogni tipo di contaminanti, particelle e ioni che non stiano H+ e OH-, può essere considerata un solvente di uso industriale. Il suo principale impiego è nell’industria dei componenti elettronici, dove è necessaria per le operazioni di lavaggio, incisione e risciacquo dei chips; ma è utilizzata anche per produrre schermi LCD e pannelli fotovoltaici. L’altro importante settore di utilizzo è l’industria farmaceutica, dove è essenziale per produrre le soluzioni da iniettare, e per la pulizia dei macchinari. Acqua ultrapura è necessaria anche per l’alimentazione delle caldaie per la produzione di vapore ad alta temperatura, specialmente negli impianti IGCP (Integral Gasification Combined Cycle); ma anche le turbine a gas richiedono acqua ultrapura, che nella stagione calda viene vaporizzata all’ingresso dell’aria per abbassarne la temperatura e quindi aumentare l’ossigeno. Si stima che attualmente il mercato mondiale dell’acqua ultrapura valga oltre 5 miliardi di dollari; l’area che mostra una crescita maggiore è quella cinese, sia perché molta energia elettrica viene prodotta da centrali a carbone, sia perché il mercato cinese dell’elettronica di consumo ha enormi potenziali di crescita.
L’acqua ultrapura Per usi industriali
Praticamente considerata un solvente, risulta essenziale nel settore dell’elettronica e farmaceutico
I TRATTAMENTI PER L’ELETTRONICA
Un impianto di produzione di semiconduttori consuma acqua come una città di 50.000 abitanti, e presenta picchi di consumo che possono arrivare a 7.600 l/min. Particolarmente critica è la fase di pulizia dei singoli strati che andranno successivamente a costituire i microchip: poiché lo spessore dei singoli strati è spinto verso valori sempre più bassi (in alcune applicazioni si è già al di sotto di 15 nanometri), anche particelle di dimensioni molecolare possono creare problemi. La produzione di acqua ultrapura per uso elettronico a partire dall’acqua “naturale” richiede almeno otto diversi tipi di trattamento. Il principale passaggio è l’osmosi inversa, che viene però preceduta da uno o più trattamenti di filtrazione, sia meccanica che su membrane. In alcuni casi può essere conveniente eliminare gli
ioni mediante passaggio su colonne di resine scambiatrici, in modo da alleggerire il carico sulle membrane di osmosi inversa: quest’ultima è però sempre necessaria, per
eliminare i residui organici non ionizzati. A valle dell’osmosi inversa viene spesso impiegata la elettrodeionizzazione (EDI), che utilizza speciali membrane, che so-
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no semipermeabili agli ioni secondo la loro carica. Un sistema EDI contiene una resina a scambio ionico a letto misto, posta tra una membrana a scambio cationico ed una a scambio anionico; la resina “cattura” gli ioni, ma applicando un campo elettrico alle membrane gli ioni vengono espulsi dalla resina e sospinti verso gli elettrodi. In questo percorso gli ioni sono canalizzati dalle membrane semipermeabili secondo la loro carica, per ciò vengono rimossi dal flusso senza raggiungere gli elettrodi. Contemporaneamente il potenziale elettrico applicato scinde l’acqua in ioni H+ e OH- sulla superficie dei granuli di resina, che vengono così rigenerati in continuo. Con la EDI si raggiunge facilmente un valore di conducibilità inferiore a 1 microsiemens/cm, con un consumo elettrico ridotto del 50% rispetto ad un sistema osmotico a doppio stadio. Inoltre, il voltaggio applicato alla cella (circa 100 V a corrente continua) distrugge virus e batteri. Rimuovere gli ioni non è sufficiente: l’acqua ultrapura deve essere priva di batteri e residui organici. Per raggiungere questo obiettivo sono spesso necessari trattamenti di foto-ossidazione con raggi UV. Infine, l’acqua deve essere priva di gas disciolti: in particolare, l’ossigeno deve essere inferiore a 1 parte per bilione (PPB). Questo può essere ottenuto con speciali membrane a trasferimento di gas. Le specifiche finali dell’acqua ultrapura per uso elettronico prevedono: - resistenza elettrica > 18,2 megaohm/cm (corrispondente ad una conducibilità di circa 0,054 microsiemens/cm) - meno di 50 ppt di ioni metallici, anioni inorganici e ammoniaca - meno di 0,2 ppb di anioni organici - meno di 1 ppb di ossigeno disciolto, carbonio organico totale (TOC) e silice (sia disciolta che colloidale). L’acqua con queste caratteristiche è tossica per il nostro organismo, perché elimina i minerali presenti nel corpo umano e indispensabili al suo funzionamento; inoltre, corrode molti materiali, per cui deve essere conservata e trasportata usando materiali altamente inerti. Continua a pag. 48
Continua da pag. 47
L’acqua ultrapura ACQUA PER USI FARMACEUTICI
L’acqua per uso farmaceutico viene classificata secondo le indicazioni delle Farmacopee dei diversi Stati, che non sono ancora del tutto armonizzate. La Farmacopea italiana definisce i seguenti tipi, in accordo con le linee guida della EMA (European Medicines A-
gency): acqua depurata o purificata, acqua altamente depurata, acqua per preparazioni iniettabili. L’acqua depurata viene prodotta per semplice distillazione o deionizzazione dell’acqua potabile, e per abbattere la carica batterica è spesso eseguito un trattamento di microfiltrazione. L’acqua altamente depurata si ottiene a partire dall’acqua depurata, mediante ulteriori trattamenti che comprendono filtri per la rimozione del carbonio organico (TOC), debatterizzazione con UV e rimo-
zione osmotica degli ioni fino ad una conducibilità inferiore a 1 microsiemens. L’acqua per preparazioni iniettabili non deve contenere più di 0,25 U.I./ml di endotossine batteriche, deve essere sterile e apirogena. L’unico metodo di preparazione ammesso in Europa è la distillazione di acqua potabile o acqua depurata, eseguita in apparecchiature di vetro neutro, quarzo o metallo idoneo; il distillatore deve essere provvisto di un dispositivo che impedisca il trascinamento
delle gocce. Negli Stati Uniti l’acqua per preparazioni iniettabili (WFI-Water for Injection) può essere prodotta anche per osmosi inversa. La Farmacopea Usa prevede anche la Ultra Pure Water (UPW), che in pratica corrisponde all’acqua per usi elettronici; viene raccomandata in particolare per le soluzioni per dialisi, in quanto durante ripetuti trattamenti di dialisi l’accumulo degli ioni può portare a conseguenze negative per i pazienti.
e più difficile passaggio è quello della devulcanizzazione: cioè, un processo chimico che rompe i legami carbonio-zolfo e ripristina (almeno parzialmente) la struttura originaria della gomma naturale.
Tra i molti processi proposti a questo scopo, il più recente è quello della società americana Lehigh Technologies, che ha sviluppato un particolare processo di turbo-macinazione criogenica, in presenza di sostanze chimiche la cui composizione è tenuta riservata. Grazie a questo processo si ottengono particelle con dimensioni da 50 a 400 micron, con una struttura chimica parzialmente devulcanizzata, nella quale sono presenti siti attivi che consentono la miscelazione con la gomma naturale e la partecipazione ad un nuovo processo di vulcanizzazione. Il materiale ottenuto con questo processo è stato denominato EkoDyne; può essere miscelato con la gomma naturale in proporzione fino al 10% e utilizzato anche nella formulazione dei poliuretani e di altri elastomeri, consentendo di abbassare i costi senza compromettere le caratteristiche prestazionali e migliorando la lavorabilità delle mescole. Altri impieghi in fase di studio sono la formulazione di materiali plastici per lo stampaggio ad iniezione e l’uso in miscela con l’asfalto per le pavimentazioni stradali.
PROCESSO EKODYNE
Più riciclo di pneumatici A prima vista, il modo più semplice per riciclare i vecchi pneumatici sembrerebbe quello di ricavare da essi la gomma e utilizzarla per fare pneumatici nuovi. Questo sistema, che si usa in alcuni casi per le materie plastiche, non può purtroppo essere usato per la gomma, perché nella fabbricazione dei pneumatici questa viene “vulcanizzata”, cioè trattata a caldo con zolfo (o composti di zolfo). Questo trattamento modifica la struttura della gomma, rendendola più elastica e resistente e meno appiccicosa; ma la gomma vulcanizzata non si mescola più con quella naturale, se non in proporzioni massime del 5%. Per aumentare la percentuale di pneumatici riciclati (o, più correttamente, di polverino di gomma micronizzata, spesso indicato con la sigla MRP), occorre in primo luogo macinare i vecchi pneumatici in modo da non invecchiarli ulteriormente; cioè in pratica ricorre-
re alla macinazione criogenica, nella quale i vecchi pneumatici vengono resi fragili raffreddandoli con azoto liquido, in modo che possano essere macinati facilmente senza surriscaldamento. Il secondo
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IBM RESEARCH E STANFORD UNIVERSITY
La bioplastica economica Troppo spesso i prodotti di plastica biodegradabile presenti in commercio costano di più rispetto ai corrispettivi tradizionali derivati dal petrolio, che quindi vengono preferiti. Ma le cose potrebbero cambiare grazie ai ricercatori di IBM Research, che hanno individuato un catalizzatore chimico che può essere utilizzato per creare materie plastiche biodegradabili e più convenienti delle attuali partendo da piante come palme e barbabietole. Queste materie plastiche molto economiche possono essere utilizzate per la fabbricazione di comuni oggetti di consumo in plastica, come ad esempio le posate, ma anche di dispositivi medicali. <<L’aspetto più entusiasmante di questa scoperta - dichiara Gavin O. Jones, chimico computazionale presso IBM Research – è che ora abbiamo a disposizione un modo più economico di convertire alcune piante in comuni materie pla-
stiche di consumo, offrendo quindi un'alternativa al riciclaggio della plastica. Rendere di uso comune le materie plastiche biodegradabili significa ridurre l’impatto sui nostri sistemi di gestione dei rifiuti solidi>>. Attualmente, il metodo utilizzato per convertire le piante in plastica biodegradabile implica la presen-
za nel processo di metalli pesanti che, sebbene utilizzati in piccole quantità, sono estremamente difficili da rimuovere, per cui permangono nel materiale e non si decompongono nel corso del tempo. Il nuovo catalizzatore è una sostanza organica che riduce l'energia necessaria per effettuare la conversione delle piante in plasti-
DA RADICI DI DENTE DI LEONE
I pneumatici in Taraxagum Continental ha un ambizioso obiettivo a lungo termine, ossia la produzione di pneumatici più sostenibile e meno dipendente dalle materie prime tradizionali. Per raggiunge questo importante traguardo ha iniziato, già da diversi anni, un progetto di ricerca finalizzato all’industrializzazione della gomma a partire da radici di Dente di leone (tarassaco). Sono già stati fatti i primi test mettendo a confronto una serie limitata di pneumatici (i WinterContact TS 850 P), con battistrada realizzato interamente con il materiale innovativo chiamato Taraxagum, con pneumatici tradizionali e i risultati sono stati estremamente positivi. <<Dopo molti anni di un intenso lavoro di sviluppo insieme al Fraunhofer Institute, siamo stati molto eccitati all’idea di vedere i primi pneumatici da tarassaco sulla strada - confessa Nikolai Setzer, membro dell’Executive
Board di Continental responsabile della divisione Tire – e per ottenere risultati di test il più possibile affidabili abbiamo puntato su pneumatici invernali per auto, che contengono una spiccata quantità di gomma naturale. Continuiamo a perseguire l’obiet-
ca. Esso non contiene metalli pesanti e, quindi, può decomporsi nell'ambiente nel corso del tempo proprio come la plastica stessa. <<In questo studio - commenta Robert Waymouth, del Dipartimento di Chimica dell’Università di Stanford - abbiamo utilizzato una combinazione di modelli predittivi e attività sperimentale di laboratorio per arrivare a questa scoperta. Tale approccio di tipo “tag-team” elimina gran parte delle congetture e dei tentativi e contribuisce ad accelerare il processo di individuazione di materiali>>.
tivo di sviluppare pneumatici con la gomma da dente di leone per essere pronti a produrli in serie entro i prossimi cinque-dieci anni>>. <<Il processo di sviluppo del Taraxagum finora è stato molto promettente - spiega Andreas Topp,
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responsabile sviluppo materiali e processi e industrializzazione pneumatici in Continental – e intendiamo portare avanti la fase di industrializzazione insieme ai nostri partner. Allo scopo Continental investirà molto nella realizzazione di un centro di ricerca dedicato, che si chiamerà “Taraxagum Lab Anklam”>>. Quale risultato della ricerca estensiva, negli ultimi cinque anni sono stati fatti ottimi progressi verso la coltivazione ad alto rendimento di una specie molto robusta di dente di leone russo. Questa pianta, infatti, è stata coltivata in maniera tale da poter essere prodotta in quantità maggiori rispetto alla tradizionale produzione di alberi da gomma ai tropici. L’obiettivo, non a caso, è di individuare una valida risposta dal punto di vista ecologico, economico e sociale, alla crescente domanda di gomma naturale, così da allenterebbe la pressione sulle piantagioni tradizionali e, altresì, di ridurre la dipendenza dalla gomma naturale che può essere soggetta a significative fluttuazioni di prezzo sulle borse merci.
Chimica: meno acqua Alcuni esempi di successo
Un’analisi dei trattamenti e delle strategie adottate che hanno portato alla riduzione dei consumi idrici in questo settore produttivo 1^ parte
Nonostante la presenza di notevoli riserve idriche sul nostro pianeta, la scarsezza di acqua dolce e lo stress idrico degli ecosistemi acquatici rappresentano problemi di importanza primaria per tutto il mondo. In particolare, l’Europa si sta confrontando con problemi urgenti legati all’acqua: l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’esigenza di contrastare i rischi di inondazioni e siccità, il raggiungimento e il mantenimento di un buono stato di salute dei corpi idrici superficiali, la necessità di assicurare una sufficiente disponibilità di acqua a beneficio della natura e dell’economia. La gestione eco-efficiente e sostenibile dei reflui industriali è considerata una delle principali strategie per la protezione dell’ambiente in molti Paesi europei; questo vale in particolare per l’industria chimica, che rappresenta uno dei principali settori dell’economia europea e presenta ottime potenzialità per migliorare l’eco-efficienza della gestione dei reflui industriali. A questo proposito, interessanti i risultati raggiunti dal progetto eu-
ropeo “E4Water”, conclusosi nell’aprile 2016 dopo 4 anni di attività, i cui obiettivi sono stati appunto come arrivare a una gestione economicamente e ecologicamente efficiente della gestione dei reflui industriali prodotti dalle industrie chimiche europee, creando un “approccio integrato” per la gestione dei reflui industriali. Il progetto ha esaminato alcuni processi indu-
striali che necessitano di essere perfezionati per raggiungere una gestione integrata ed efficiente dei reflui industriali. DISSALAZIONE PARZIALE DI ACQUE SALMASTRE
L’impianto della Dow Benelux (Terneuzen, Olanda) necessita di grandi volumi di acqua, impiegata
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in particolare per il raffreddamento e la produzione di vapore. L’impianto è ubicato presso l’estuario del fiume Scheldt, in una regione dove la disponibilità di acqua dolce è piuttosto scarsa. Nel quadro del progetto E4Water sono state esplorate varie opzioni per riutilizzare reflui industriali di diverso tipo (definiti CTBD in quanto composti da Collected rain
Impianto di elettrodialisi inversa (EDR)
water, Treated process waste water e Blow Down delle torri di raffreddamento), che attualmente vengono scaricati nel fiume. L'utilizzo di queste acque è ostacolato dalla elevata salinità, che le rende inadatte all'uso agricolo; per l'utilizzo industriale occorre trovare un processo di dissalazione che fornisca acqua con conducibilità inferiore a 1 mS/cm, a costi contenuti (circa 0,4 euro/mc). E' stato costruito un impianto pilota, composto da un pretrattamento mediante flocculazione e sedimentazione su separatore a lamelle, ultrafiltrazione, nanofiltrazione ed elettrodialisi inversa; è stata anche sperimentata la distillazione su membrana, utilizzando un piccolo impianto pilota a parte. Le conclusioni sono: Ultrafiltrazione. Il trattamento di coagulazione/flocculazione, per rimuovere i solidi sospesi, seguito dall'ultrafiltrazione su membrane di polietersolfone o di PVDF, si è dimostrato efficace. Per le acque piovane di recupero e per l'effluente dell'impianto di depurazione è stato necessario aggiungere 5-10 ppm di ferro. Si è ottenuto un funzionamento stabile, con una percentuale di recupero dell’83-92%; i risultati migliori sono stati ottenuti con le membrane di PVDF. Elettrodialisi inversa (EDR). Il trattamento EDR presenta una buona stabilità di processo, con recuperi vanno da 70 a 85%. La rimozione del TOC (<15 mg/LC) richiede un’ulteriore fase di trattamento per scambio ionico. Nanofiltrazione. Il trattamento mediante nanofiltrazione su membrane in poliammide produce acqua di ottima qualità, ma ha dato risultati
instabili a causa di fenomeni di sporcamento ireversibile delle membrane, dovuti a idrocarburi; anche il pre-trattamento mediante una combinazione di coagulazione e ultrafiltrazione si è dimostrato insufficiente. Distillazione su membrana. La desalinizzazione mediante distillazione su membrana è una tecnica promettente, in quanto può essere alimentata con il calore residuo a 6080 °C, spesso disponibile negli impianti industriali. Potrebbe quindi rappresentare una soluzione economica per la desalinizzazione, in particolare per reflui difficili da trattare; la sperimentazione in impianti pilota ha mostrato la possibi-
MEMBRANE INNOVATIVE PER I REFLUI INDUSTRIALI COMPLESSI Il risultato principale ottenuto in questa fase del progetto E4Water è stata la sperimentazione di una tecnologia denominata "membrana integrata a canale permeato" (IPC), specificamente ideata per le applicazioni su reflui industriali contenenti composti polimerici e detergenti. Le membrane IPC sono le prime membrane piane completamente adatte al trattamento di controlavaggio e le loro prestazioni sono state sperimentate in laboratorio e confrontate con quelle delle membrane attualmente in commercio, con ottimi
lità di recuperare fino all’80% delle acque CTBD. La presenza di biocidi e composti organici non ostacola la distillazione su membrane; nel corso della sperimentazione si è ottenuto costantemente una bassa conduttività dell'acqua in uscita (0,1 mS/cm), senza bisogno di aggiungere antiincrostanti. Tuttavia, al momento la valutazione economica su scala industriale di questa tecnologia non è positiva. RIDUZIONE DI CONSUMI E REFLUI CON L’USO DI MEMBRANE
Presso il sito della Inovyn risultati: dopo la fase di adattamento iniziale, è stata riscontrata una elevata rimozione di COD (<15 mg/L) con un carico dei fanghi di 0,15 g COD/g MLSS.giorno. Durante la sperimentazione sono state impiegate sia membrane IPC che membrane standard, a un flusso costante di 25 L/mq; ma mentre per le seconde è stato necessario effettuare 8 interventi di pulizia nel corso della sperimentazione, con una graduale perdita di permeabilità ad ogni intervento, le membrane IPC hanno richiesto solo 3 interventi di pulizia, senza mostrare diminuzioni della permeabilità. Queste membrane sono state sviluppate dalla società olandese Vito, che ne ha iniziato recentemente la commercializzazione.
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(Antwerp, Belgio) sono state sviluppate soluzioni per ridurre sostanzialmente il volume di acqua potabile in ingresso, portando la produzione di sali e di reflui a livelli prossimi allo zero. Gli obiettivi principali della sperimentazione sono: graduale riduzione dei consumi di acqua potabile dal 20 fino al 60%; riduzione del carico inquinante nei reflui in uscita, sostituendo i trattamenti che generano residui con trattamenti avanzati. E' stato realizzato un impianto dimostrativo, composto da 3 unità: - Demo 1, con produzione di acqua di alta qualità da acque freatiche e reflui. L’unità dimostrativa è costituita da un pretrattamento su filtri a disco e un modulo a ultrafiltrazione-osmosi inversa. È stata effettuata solo la valutazione tecnologica, in quanto il trattamento dei reflui non è stato possibile a causa della presenza di minuscole particelle di carbone (<50 nm) e di piccole fibre plastiche, che provocavano l'intasamento delle membrane di ultrafiltrazione - Demo 2, con produzione di acqua di alta qualità da acque salmastre. L’impianto dimostrativo consiste in un pretrattamento mediante filtro Amiad, seguito da moduli di ultrafiltrazione e osmosi inversa. Questo impianto sta attualmente producendo 12 mc/ora di acqua demineralizzata partendo da acqua salmastra con conducibilità 15 mS/cm - Demo 3, con riutilizzo di reflui ad elevata salinità (8-14% NaCl) mediante elettrolisi su membrana. Continua a pag. 52
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Chimica: meno acqua Sono state sperimentate tre tecnologie (EBDM, cioè elettrodialisi su membrane bipolari, cristallizzazione mediante distillazione su membrana, ed elettrolisi) per evitare lo scarico di acque salate e valorizzare i sali estratti dai reflui. In particolare, l’adozione di un impianto EDBM a 5 compartimenti aumenta leggermente la tolleranza al calcio, ma non è ancora in grado di garantire risultati stabili nel lungo termine. La distillazione su membrane consente di concentrare i sali, in modo da un lato ottenere acqua dolce e dall'altro un retentato costituito da una soluzione salina pressochè satura, che potrebbe essere utilizzata per alimentare un impianto di produzione cloro-soda.
Unità di nanofiltrazione
IL BIOTRATTAMENTO IN INDUSTRIE DI PVC
L’obiettivo perseguito nel casostudio condotto presso l’impianto di Barcellona (Spagna) della Inovyn è l’incremento dell’uso sostenibile dell’acqua nei processi chimici attraverso lo sviluppo e la dimostrazione del recupero dell’effluente, e l’implementazione di un “ciclo chiuso” in un impianto per la produzione di PVC, considerando ovviamente sia gli aspetti tecnici che quelli economici. In particolare, questa esigenza è prioritaria nel sito spagnolo di Martorell, dove è situato l'impianto, in quanto oggetto di una situazione di prolungata siccità. L’ostacolo principale per l’implementazione del ciclo chiuso in questo tipo di industrie è la presen-
za di alcol polivinilico (PVA) nei reflui da recuperare, che interferisce con la separazione a membrana. In genere, i reflui provenienti da questo tipo di industrie sono caratterizzati da pH neutro, bassi tenori di COD, alte concentrazioni di PVA e assenza quasi totale di residui solidi. Dopo un approfondito studio bibliografico, è stato realizzato un impianto pilota, costituito da un
reattore aerobico MBR provvisto di membrane di diversi tipi, seguito da sistemi diversi per la desalinizzazione: osmosi inversa, dissalazione capacitiva ed elettrodialisi. Lo scopo finale era l'ottenimento di acqua idonea all'ingresso nell'impianto di polimerizzazione del PVC, per il quale è richiesta una conducibilità inferiore a 10 microsiemens/cm, un contenuto in alluminio inferiore a 0,1 mg/l, e un
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TOC inferiore a 10 mg/l. Bioreattori a membrana. Sono stati installati tre bioreattori a membrana (MBR) in parallelo (uno per il trattamento di reflui sintetici e due per il trattamento di reflui industriali da impianto per la produzione di PVC. Nei tre reattori sono state sperimentate diverse tecnologie a membrana (membrane piane con o senza controlavaggio e membrane a fibre cave), e tutte hanno dato risultati simili dopo una fase di adattamento delle biomasse al COD specifico (principalmente PVA) e in condizioni operative normali (0,15 gr COD/g MLSS.giorno a 35 °C). I parametri che devono essere accuratamente monitorati durante il trattamento a membrane sono il carico di massa, la temperatura (<40 °C), il pH e la tendenza alla formazione di schiume. Sono stati riscontrati buoni risultati, in particolare per quanto riguarda la permeabilità delle membrane. Dopo il trattamento può essere ottenuto un permeato adatto per alimentare il processo di desalinizzazione necessario per riutilizzare i reflui nella fase di polimerizzazione; il PVA viene totalmente rimosso, evitando fenomeni di intasamento delle membrane. Anche l'efficienza di rimozione del BOD è risultata prossima al 100% , con buone prestazioni di nitrificazione dell'ammoniaca. Desalinizzazione. Per riciclare l’effluente in uscita dal reattore MBR nel processo di polimerizzazione del PVC è necessario che esso abbia determinate caratteristiche: contenuto in PVA <1/mg/l, azoto ammoniacale <2 mg/l. La desalinizzazione è stata sperimentata a livello di laboratorio impiegando sei diverse tecnologie: distillazione su membrane (MD), osmosi inversa (RO) con diverse membrane, deionizzazione capacitiva (CDI), resine a scambio ionico ed elettrodialisi. I migliori risultati in termini di conduttività sono stati raggiunti con la distillazione su membrana, l'osmosi inversa a doppio passaggio e la deionizzazione capacitiva in due fasi. Il costo varia tra 1,01 e 11,76 euro/mc. A seguito dei buoni risultati economici ottenuti nelle prove di laboratorio, è stato realizzato un impianto pilota RO dotato di membrane in poliammide. Si conferma che sono necessari 2 passaggi per ottenere valori di conducibilità inferiori a 10 microsiemens/cm.
ECOTIME A T T U A L I T A ’
E
C R O N A C A
E C O L O G I C A
La tossicità dei biocidi Linee guida europee
Tipologie e raggruppamenti, principi attivi, procedure di valutazione e documentazione, secondo quanto stabilito dal Regolamento 528/2012/CE I biocidi sono sostanze chimiche utilizzate per eliminare o inattivare gli organismi nocivi (parassiti, germi, alghe, insetti, roditori, uccelli, pesci, molluschi, vermi) con qualsiasi mezzo diverso dalla pura azione fisica o meccanica. Per fare un esempio, una trappola a scatto per topi non è un biocida, in quanto agisce con mezzi meccanici; mentre un topicida è classificato come biocida, sia per quanto riguarda i suoi principi attivi, che per quanto riguarda gli “articoli” che li contengono (cioè le esche ed i relativi contenitori). Esistono oggi in commercio nell’Europa circa 20.000 biocidi, con 275 principi attivi utilizzati; questi principi attivi non si limitano agli insetticidi o ai topicidi, ma si ritrovano in una grande quantità di articoli, anche in quelli che vengono a contatto con il corpo umano (disinfettanti, saponi, repellenti per insetti, prodotti per il trattamento delle piscine e dell’acqua potabile). È comprensibile, pertanto, che la sicurezza nell’uso dei biocidi e l’armonizzazione delle norme relative all’autorizzazione dei principi attivi siano state un obiettivo primario della legislazione europea; il primo atto normativo è stata la Direttiva n. 98/8/CE, recepita dal diritto italiano con il D.Lgs n.174 del 25/2/2000. I principi base di questa direttiva, e cioè l’obbligo di autorizzazione, il mutuo
riconoscimento tra gli Stati Europei e il principio della “lista positiva” (possono essere commercializzati solo prodotti contenenti i principi attivi autorizzati ed elencati in apposita lista) sono stati trasferiti nel nuovo Regolamento n. 528/2012/CE, entrato in vigore a partire dal 1/9/2013 (senza bisogno di atti formali di recepimento da parte dei singoli Stati). PANORAMA DEI BIOCIDI
Per rendersi conto del campo di applicazione del Regolamento 528/2012/CE, è utile fare un rapido elenco dei tipi di biocidi che rientrano nel Regolamento stesso. Si distinguono 4 gruppi principali: disinfettanti, preservanti, agenti per il controllo degli animali nocivi, “altri”. Nel gruppo dei disinfettanti sono compresi 5 tipi di prodotto: disinfettanti per l’igiene umana, disinfettanti per superfici, aria, acqua e tessuti, prodotti per igiene veterinaria, disinfettanti per attrezzature e contenitori del settore alimentare, disinfettanti per acqua potabile. I preservanti comprendono 7 tipi, tra i quali rientrano i prodotti utilizzati per prevenire lo sviluppo di microbi o alghe in prodotti finiti, carta, sigillanti, articoli in legno, fibre, cuoio, gomma, materiali da
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La tossicità dei biocidi costruzione, liquidi di raffreddamento, fluidi da taglio per lavorazione di metalli. Sono esclusi i prodotti destinati a prevenire contaminazioni in alimenti, mangimi, cosmetici, giocattoli, medicinali e dispositivi medici, che per il momento sono oggetto di norme separate. Anche i prodotti per il controllo di animali nocivi annoverano 7 tipi: insetticidi, rodenticidi, avicidi, pescicidi, e prodotti che senza procedere all’uccisione di animali nocivi, ne limitano l’effetto attirandoli in trappole o respingendoli (come i repellenti per igiene umana e veterinaria, ed i prodotti antizanzare). Nella categoria “altri biocidi”, invece, sono attualmente compresi solo due tipi di prodotti: gli anti-incrostanti per imbarcazioni e acquacoltura ed i fluidi usati per imbalsamazione e tassidermia. I PRINCIPI ATTIVI “NUOVI” E QUELLI “ESISTENTI”
Il Regolamento 528/2012/CE di-
stingue tra i principi attivi “esistenti” (quelli utilizzati prima del 15/5/2000) e quelli “nuovi”, ossia non presenti sul mercato alla stessa data. I principi attivi esistenti, che erano già approvati ai sensi della precedente Direttiva 98/8/CE, si considerano automaticamente approvati e sono iscritti nella “lista positiva” dei principi attivi approvati. Tuttavia, la Commissione Europea intende esaminare sistematicamente tutti i principi attivi esi-
stenti, per verificarne la loro sicurezza e la conformità con i principi generali del Regolamento Reach sulla registrazione e autorizzazione delle sostanze chimiche in commercio. I principi attivi autorizzati o registrati dopo il 15/5/2000 ma prima del 1/9/2013 (entro il periodo in cui era ancora applicabile la precedente direttiva 98/8/CE), possono essere utilizzati fino alla scadenza della autorizzazione (cioè per 10 anni). L’immissione sul
mercato di un nuovo biocida che impieghi soltanto i principi attivi già approvati non è automaticamente consentita; deve essere autorizzata, seppure con una procedura semplificata. L’autorizzazione viene rilasciata dall’ECHA (Agenzia Europea per gli Agenti Chimici), dopo una valutazione compiuta dalla Autorità Competente dello Stato richiedente (per l’Italia, l’Autorità Competente è il Ministro della Sanità); una volta ottenuta questa autorizzazione, il biocida può essere commercializzato in tutti gli Stati UE senza che sia necessario il riconoscimento reciproco (è sufficiente un’informazione da parte del titolare dell’autorizzazione). Molto più complessa è la procedura per l’autorizzazione di un nuovo principio attivo. Questa autorizzazione deve essere richiesta dall’ECHA, convalidata e valutata dalla Autorità competente dello Stato del richiedente, che trasmette le proprie conclusioni all’ECHA; questa trasmette (entro 270 giorni) un parere alla Commissione Europea, che approva (o meno) il nuovo principio attivo. Il documento di approvazione contiene le condizioni di impiego; l’approvazione è valida per 10 anni, salvo alcuni casi particolari per i quali è previsto una validità ridotta a 5 anni. LA PROCEDURA DI VALUTAZIONE
L’All. V del Regolamento 528/2012/CE stabilisce i principi in base ai quali deve essere effettuata la valutazione delle domande di autorizzazione, con particolare riguardo alla valutazione dei rischi. Questi vengono distinti in: rischi dovuti a proprietà fisico-chimiche, rischio per l’uomo e per gli animali, rischio per l’ambiente. I rischi dovuti alle proprietà chimico-fisiche sono facilmente individuabili in base ai dati riportati nelle schede di sicurezza. La valutazione dei rischi per la salute e per l’ambiente è più complessa. La valutazione del rischio per la salute umana viene effettuata determinando le concentrazioni di principio attivo che sono prevedibilmente prive di effetti sull’uomo, considerando però anche i possibili effetti cumulativi derivanti dalla presenza di diversi principi attivi nello stesso preparato. La valutazione deve tenere conto dei diversi aspetti della tossicità (aHi-Tech Ambiente
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cuta, cronica, orale, dermale, inalatoria, per irritazione e sensibilizzazione) e anche degli “scenari di esposizione”, cioè dei modi in cui possono venire a contatto o essere comunque esposti sia gli operatori professionali che la popolazione esposta direttamente o indirettamente attraverso l’ambiente. Se non sono disponibili dati relativi all’esposizione umana, si considerano i dati di tossicità sugli animali, adeguatamente estrapolati tenendo conto del grado di incertezza (si usa di solito un fattore 10, assumendo cioè che l’uomo sia 10 volte più suscettibile dell’animale). Tuttavia, le sperimentazioni su animali devono essere ridotte al minimo indispensabile, per cui è consentito utilizzare “dati di letteratura”, purchè la loro qualità sia sufficiente. Una volta determinate le condizioni in cui non sono prevedibili effetti sull’uomo, senza che sia previsto l’uso di dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine e simili), il prodotto deve risultare efficace. Se per ottenere l’efficacia è necessaria una dosa alla quale sono necessari dispositivi di protezione, il prodotto può essere autorizzato solo per usi professionali. Per valutare il rischio ambientale, invece, si considera il rapporto tra la concentrazione prevedibile nelle 3 diverse matrici ambientali (aria, suolo, acqua) e la concentrazione al di sotto della quale il prodotto è privo di effetto. Questo rapporto deve essere sempre minore di 1; il valore della concentrazione priva di effetto viene determinato utilizzando i dati sull’ecotossicità e sugli effetti relativi a singoli a singoli organismi. Per ciascuna matrice ambientale è
necessario determinare uno “scenario di esposizione”, che consenta di prevedere la concentrazione di ogni principio attivo o sostanza contenuti nel biocida in esame; devono essere considerati anche i prodotti di degradazione e trasformazione. Nella valutazione degli effetti sull’acqua, sulle falde acquifere e sui sedimenti contenuti nei corpi idrici, si tiene conto dei limiti di concentrazione stabiliti dalle direttive europee in materia.
serie di documenti, alcuni dei quali erano già in preparazione nel quadro della vecchia Direttiva 98/8/CE. Questi documenti sono definiti di “Orientamento transitorio”, in quanto sono validi finchè non verranno emanati corrispondenti documenti sostitutivi ai sensi del Regolamento 528/2012/CE. Attualmente, sono stati emanati (nel maggio 2014) tre di questi “documenti provvisori”, che trattano le modalità di scelta e condu-
LIMITAZIONE DEGLI EFFETTI SUGLI ORGANISMI VIVENTI
Gli effetti sugli organismi viventi vengono valutati considerando separatamente gli “organi non bersaglio” e gli “organi bersaglio”. La valutazione degli effetti sugli organismi non bersaglio (inclusi i microorganismi degli impianti di depurazione delle acque di scarico) viene condotta con gli stessi criteri già visti per gli effetti sull’ambiente, considerando anche il potenziale di bioaccumulo degli organismi acquatici e terrestri, e il rischio di avvelenamento degli organismi che stanno ai vertici delle catene alimentari. Per quanto riguarda gli organismi bersaglio, è ovvio che il biocida avrà su questi un impatto negativo; questo scopo deve essere però raggiunto senza causare inutili sofferenze, in particolare sugli organismi vertebrati. I DOCUMENTI DI ORIENTAMENTO TRANSITORIO
Per facilitare le aziende che volessero immettere sul mercato nuovi biocidi, l’ECHA ha pubblicato una Hi-Tech Ambiente
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zione delle prove di laboratorio destinate a: determinare l’efficacia dei prodotti preservanti; valutare l’efficacia dei prodotti cosiddetti “antifouling”, che sono quelli utilizzati per impedire lo sviluppo di alghe, mitili e altri organismi nella parte immersa delle navi, delle strutture immerse in acqua e delle attrezzature per acquicoltura; determinare la tossicità di formulazioni multi-componenti, tenendo conto dei possibili effetti sinergici.
La nuova ISO 14000 Sistemi di gestione ambientale
Tra le novità principali: l’analisi del contesto in cui opera l’azienda e la figura del “top management“ La certificazione dei sistemi di gestione ambientale (SGA) attesta la conformità di un’azienda o di un ente alla norma internazionale UNI EN ISO 14001, adottata nel settembre 1996 dall’International Organization for Standardization, organizzazione non governativa con sede in Svizzera (a Ginevra), costituita dagli enti normatori di circa 130 Paesi. Tale norma consente a qualunque organizzazione di raggiungere concretamente e dimostrare un buon livello di comportamento, mediante il controllo degli impatti ambientali connessi alle proprie attività, prodotti e servizi. La ISO 14001 non specifica livelli di performance ambientale; d’altra parte ha come pre-requisito il rispetto delle leggi esistenti in materia, e richiede di partire da un’analisi degli impatti ambientali e di sviluppare progetti specifici di miglioramento. L’organizzazione che intende perseguire la certificazione ISO 14001 deve: - definire la politica ambientale e diffonderla al personale - pianificare per individuare gli aspetti ambientali delle attività dell’impresa che necessitano di monitoraggio - attuare il sistema di gestione ambientale (ruoli, responsabilità e autorità) - introdurre procedure di controllo - riesaminare di continuo il sistema di gestione ambientale implementato. La norma ISO 14001 è una delle più utilizzate al mondo e costituisce uno strumento essenziale per molte organizzazioni. Con oltre 300.000 certificati emessi ogni anno a livello globale, si colloca a primi posti nell’agenda di molte organizzazioni che hanno dato importanza al loro impatto sull’ambiente.
soggetti che, direttamente o indirettamente, interagiscono con l’azienda medesima (clienti e fornitori, comunità locali ed Enti pubblici). L’azienda quindi, all’interno del proprio contesto, dovrà definire le parti che possono essere direttamente o indirettamente essere coinvolte nel proprio sistema di gestione ambientale, e dovrà identificarne i “bisogni e le aspettative” (così espressamente definiti dalla norma), alcuni dei quali si configureranno come “obblighi di conformità” (nuova definizione introdotta nell’Elenco dei termini e delle definizioni ufficiali), che costituiscono un’implementazione delle prescrizioni legali e delle “altre prescrizioni”, definite in modo più generico nella precedente norma. IL RUOLO DEL “TOP MANAGEMENT”
L’ultima versione della norma, pubblicata nel settembre 2015, presenta numerose differenze rispetto alla precedente, tra cui: un più rilevante coinvolgimento della leadership; un miglioramento della performance ambientale, con particolare accento sulle iniziative proattive; una comunicazione più efficace guidata da una strategia comunicativa; un approccio al ciclo di vita che considera ogni fase di un prodotto o di un servizio, dallo sviluppo a fine vita. IL CONTESTO DELL’ORGANIZZAZIONE
Rispetto alla versione precedente,
è stato introdotto un nuovo “Punto Norma” (il n.4), che chiede all’impresa di analizzare il contesto in cui opera. Il “contesto” è definibile come “l’ambiente generale all’interno del quale l’impresa è chiamata a svolgere le sue funzioni, definito da una serie di condizioni politiche, legislative, sociali, culturali ed economiche, che determinano il sistema di vincoli-opportunità entro cui dovrà trovare sviluppo la gestione aziendale”. L’obiettivo principale della modifica apportata al testo è quello di mettere in relazione diretta il SGA con il contesto complessivo all’interno del quale opera l’azienda e all’interno del quale operano anche i
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Con riferimento alle specifiche definizioni, elemento di novità è rappresentato dal “Top Management” inteso come “la persona o il gruppo di persone che dirigono e governano l’organizzazione a livello più elevato”. Il nuovo concetto di leadership si basa essenzialmente sull’azione diretta del top management nell’integrazione del SGA con gli obiettivi produttivi/di mercato dell’azienda, e inoltre nel coinvolgimento diretto/indiretto di tutte le altre figure che, all’interno dell’azienda, occupano ruoli di leadership nei vari
settori (HSE, produzione, progettazione, acquisti, ecc.). Il top management sarà quindi responsabile di: garantire l’efficacia del SGA, integrare il SGA con le strategie aziendali in termini di produzione/mercato (business aziendale), garantire che la politica ambientale tenga conto del contesto nel quale è inserita l’azienda, corretta gestione delle risorse per il mantenimento del SGA, comunicazione all’interno dell’azienda, promozione del miglioramento continuo, supporto e integrazione con altri ruoli di leadership all’interno dell’azienda. La politica ambientale includerà un impegno verso la “protezione dell’ambiente”, che comprende la prevenzione dell’inquinamento, come per esempio l’uso sostenibile delle risorse, la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, la protezione della biodiversità e degli ecosistemi. Il focus principale è sul miglioramento della performance relativa alla gestione degli aspetti ambientali. L’organizzazione deciderà i criteri per valutare la sua performance ambientale, utilizzando gli indicatori corretti. Nella nuova norma sono stati inseriti requisiti più specifici relativi alla valutazione delle prestazioni ambientali, inclusa la necessità di stabilire criteri e indicatori per analizzare e valutare le proprie prestazioni ambientali. Sono stati inoltre rafforzati alcuni elementi connessi al monitoraggio e alla comunicazione delle performance. È richiesto più chiaramente all’organizzazione di determinare: - quali aspetti debbano essere monitorati e misurati, in relazione a specifici fattori - gli indicatori con cui sarà misurata la performance ambientale - quando i risultati del monitoraggio e delle misurazioni dovranno essere analizzati e valutati.
retti. Esso pone maggiore enfasi sui requisiti ambientali richiesti nell’approvvigionamento dei beni e servizi e nel controllo dei processi affidati in outsourcing, traducendosi in un’esplicita richiesta da parte della norma di: controllare i processi di outsourcing; determinare i requisiti ambientali per il procurement; considerare i requisiti ambientali delle attività di sviluppo, consegna e trattamento di fine vita dei prodotti/servizi; considerare la necessità di fornire informazioni sugli impatti ambientali potenziali durante la consegna di prodotti, servizi e trattamento di vita del prodotto. È importante sottolineare che l’adozione del concetto di “prospet-
tiva del ciclo di vita” avrà un impatto significativo sui SGA, i quali non potranno più escludere dal proprio campo di applicazione, ad esempio, gli aspetti indiretti legati all’esternalizzazione di servizi o parti di essi (ad es. fornitori, conto-terzisti). LA PIANIFICAZIONE DEL SGA
Ai sensi della nuova ISO 14001:2015, il processo di pianificazione del SGA si sviluppa lungo una serie di direttrici definite, che conducono in ultima istanza alla definizione: degli obiettivi del SGA e delle azioni da mettere in atto per gestire gli aspetti ambientali significativi e gli
obblighi di conformità, nonchè i rischi e le opportunità connessi a entrambi. Per quanto riguarda le “direttrici” di sviluppo, la nuova ISO 14001 chiede alle organizzazioni di pianificare gli obiettivi e le azioni del sistema sulla base degli input emergenti dallo svolgimento di tre attività chiave: - l’identificazione degli aspetti ambientali e la valutazione della loro significatività, adottando una LCP - la definizione delle modalità dio attuazione e soddisfacimento degli obblighi di conformità identificate nell’ambito dell’ “analisi del contesto”, in termini di implicazioni strategiche, organizzative e operative per la propria realtà aziendale - la definizione dei rischi e delle opportunità connessi agli aspetti ambientali e agli obblighi di conformità, nonché a eventuali altre questioni emergenti dall’ “analisi del contesto”. Per lo svolgimento di queste tre attività, la nuova ISO 14001 non delinea un percorso basato sull’applicazione di specifici criteri di analisi e di valutazione, lasciando alle organizzazioni la facoltà di identificare un proprio approccio metodologico e operativo. In ogni caso (stabilisce la norma), nell’ambito della pianificazione del SGA l’organizzazione deve definire e ricomprendere nelle proprie valutazioni anche le eventuali situazioni di emergenza che potrebbero verificarsi nel campo di applicazione del SGA stesso. I PROCESSI DI SUPPORTO
Gli elementi di supporto del SGA (cioè le risorse, i processi e le attività che rendono possibile la “vita” del SGA e il raggiungimento dei suoi obiettivi) sono ricondotti dalla ISO 14001:2015 a cinque tipologie essenziali: risorse, materiali e immateriali; competenze delle persone; loro consapevolezza; processi di comunicazione, interna ed esterna; documentazione del SGA. Alcuni fra questi sono elementi già presenti nella precedente versione della norma, altri invece sono nuovi; altri ancora sono rafforzati e hanno maggiore rilievo rispetto alla ISO 14001:2004. In
LE PROSPETTIVE DEL “CICLO DI VITA”
La nuova norma introduce il concetto di Life Cycle Perspective (LCP), un approccio che prevede l’attenzione alla tutela dell’ambiente in tutte le fasi produttive: progettazione e sviluppo, individuazione delle materie prime, imballaggio e distribuzione, riuso e riciclo, smaltimento finale; e si applica sia ai prodotti che ai servizi, anche nei loro aspetti indiHi-Tech Ambiente
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Scania: emissioni monitorate Sistemi di gestione ambientale
Il rapporto d’impatto ambientale è un servizio offerto alle aziende di trasporto per rilevare e quindi contenere il livello di gas inquinanti dei veicoli in flotta
Oggi, la diffusa consapevolezza delle tematiche ecologiche richiede alle aziende di trasporto di curare con attenzione tutti gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale delle loro attività e di ridurre così la loro carbon footprint, poichè il trasporto deve diventare sempre più sostenibile. Il Rapporto d’Impatto Ambientale (RIA) è divenuto, quindi, l’alleato ideale con il quale il mondo dell’autotrasporto può vincere queste nuove sfide. E
Scania offre questo servizio che rappresenta la carta vincente per conquistare un vantaggio competitivo in un nuovo scenario, nel quale ogni protagonista della filiera ha il dovere di contribuire minimiz-
zando l’impatto legato alla propria attività. Nel RIA della casa svedese vengono indicati i valori delle seguenti sostanze inquinanti: ossidi di azoto (NO e NO2), particolati (PM), idrocarburi (HC), ossido di
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carbonio (CO), anidride carbonica (CO2). Informazioni utili per il gestore della flotta, quindi, che accedendo al portale Scania Fleet Management può visualizzare da remoto i dati relativi alle emissioni di ogni veicolo, calcolate in base ai chilometri percorsi, al consumo di carburante e al tipo di motore. Attualmente in Italia i veicoli Scania connessi sono oltre 8.200 e appartengono ad aziende di varie dimensioni. Tra queste realtà, quelle che usufruiscono del Pacchetto Controllo possono sfruttare al massimo i vantaggi derivanti dalla supervisione in tempo reale delle informazioni dei propri veicoli. La reddittività aziendale ne trae beneficio così come l’ambiente, e le informazioni raccolte divengono il contenuto per il RIA. Il dati raccolti da questo rapporto, inoltre, mettono in evidenza i miglioramenti del singolo veicolo o dell’intera flotta in termini di riduzione delle emissioni in funzione del tempo e delle tratte percorse. Alle aziende che si sono già convertite ad un trasporto intelligente attraverso la connettività dei servizi tramite Scania Fleet Management, Scania propone delle soluzioni per abbattere ulteriormente il loro impatto sull’ambiente: carburanti alternativi ed efficienza dei consumi. Alla possibilità di configurare veicoli su misura, ovvero ottimizzati per le singole esigenze operative, Scania affianca un’indispensabile offerta di servizi dedicati alla formazione degli autisti. I benefici conseguenti alla formazione portano ad un risparmio di carburante che può arrivare a superare il 10%, riducendo il livello di emissioni inquinanti. Con Scania Driver Support gli autisti ricevono, in tempo reale, la valutazione del loro stile di guida attraverso un display digitale presente sulla plancia del cruscotto. Un valido aiuto per l’autista che, abbinato al confronto costante e diretto con un istruttore Scania, può indirizzare i comportamenti verso stili di guida sempre più efficienti. Ecco quindi gli Scania Driver Services. Il servizio Driver Training prevede le lezioni in aula e su strada, utilizzando i veicoli che gli autisti guidano quotidianamente e sui percorsi a loro familiari. Il confronto dei dati rilevati durante la guida e le approfondite spiegazioni degli istruttori aiutano a raggiungere sin da subito gli obiettivi prefissati.
Benefici che si protraggono nel tempo se affiancati dal Driver Coaching. L’istruttore, dopo aver analizzato le prestazioni dell’autista con il sistema di connessione satellitare Scania Fleet Management, contatta telefonicamente il singolo autista per commentare i dati raccolti e promuove eventuali azioni volte a migliorarne la guida.
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La nuova ISO 14000 particolare: la consapevolezza (che riguarda anche gli obblighi di conformità a leggi e regolamenti) è elevata a requisiti del SGA; viene data particolare importanza alla comunicazione, sia interna che esterna; la documentazione (definita “informazione documentata”) deve prevedere: - il campo di applicazione del SGA, che deve essere reso disponibile alle parti interessate - la Politica Ambientale - l’intero processo di pianificazione (e, in particolare, i criteri utilizzati per identificare e valutare gli aspetti ambientali significativi, la definizione dei rischi e delle opportunità, la definizione degli obblighi di conformità, la fissazione degli obiettivi ambientali) - l’evidenza delle competenze possedute e delle attività svolte per acquisirle e mantenerle - l’evidenza inerente ai processi e le attività di comunicazione pianificate e svolte - l’evidenza dei processi inerenti la pianificazione e lo svolgimento
del controllo operativo, la preparazione e risposta alle emergenze, la misurazione e il monitoraggio e le correlate analisi e valutazioni (inclusa la valutazione della capacità di soddisfare gli obblighi di conformità) - l’audit, il cui processo deve essere documentato - il riesame della direzione
cessario prevedere l’attenzione alla tutela dell’ambiente in tutte le fasi produttive: progettazione e sviluppo, individuazione delle materie prime, imballaggio e distribuzione, riuso e riciclo, smaltimento finale. Come già visto, parlando di LCP, la nuova norma pone maggiore enfasi sui requisiti ambientali richiesti nell’approvvigionamento di beni e servizi e nel controllo dei processi affidati in outsourcing. IL MIGLIORAMENTO
- non conformità e azioni correttive intraprese, e relativi risultati. La norma lascia flessibilità alle organizzazioni rispetto ad eventuali ulteriori esigenze specifiche. LE ATTIVITA OPERATIVE
In base al concetto di LCP, è ne-
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Il concetto di “miglioramento continuo” viene associato anche alle performance ambientali, oltre che al miglioramento del sistema di gestione. È chiaramente esplicitato l’obiettivo del sistema di gestione ambientale, ovvero il miglioramento delle performance ambientali dell’organizzazione. La nuova edizione della norma rende tale obiettivo più concreto ed effettivo, inserendo in questo capitolo anche la gestione delle non conformità e delle azioni correttive.
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ECOTECH
a cura di ASSITA
Cattura microbiologica della CO2
processo molto interessante sia per ottenere “crediti di CO 2”, che per ridurre i costi di smaltimento delle ceneri.
Letto fluidizzato con ilmenite
In natura le rocce silicatiche assorbono lentamente la CO 2 atmosferica, trasformandosi in rocce carbonatiche e silice. Questo processo può essere riprodotto in forma accelerata mediante una nuova tecnologia, chiamata “cattura microbico-elettrolitica del carbonio” (in inglese MECC-Microbial Electrolytic Carbon Capture) scoperta nell’Università di Boulder (Colorado, Usa). Il processo realizza contemporaneamente l’assorbimento della CO2, la depurazione delle acque di scarico e la produzione di energia (mediante una fuel cell alimentata a idrogeno). L’acqua da depurare viene immessa nel compartimento anodico di una cella a due compartimenti, separata da una membrana a scambio cationico, in presenza di una popolazione di batteri aerobici e di silicato di calcio (ma vanno bene anche le ceneri leggere delle centrali termoelettriche). Gli ioni calcio attraversano la membrana e catturano la CO2, formando carbonato di calcio insolubile, che si deposita al fondo del reattore; contemporaneamente si libera idrogeno, che può essere utilizzato per produrre energia. L’ostacolo principale alla commercializzazione del processo è attualmente il recupero e la valorizzazione dei fanghi a base di carbonato di calcio, che sono innocui ma privi di interesse economico. Sono in corso contatti per sviluppare un impianto pilota in cooperazione con centrali termoelettriche, che considerano il
I combustori a letto fluido circolante utilizzano generalmente sabbia silicea; secondo i ricercatori dell’Università svedese di tecnologia Chalmers, l’efficienza di questi dispositivi potrebbe essere significativamente migliorata impiegando un letto a base di ilmenite, che è un ossido misto di ferro e titanio, con formula FeTiO3. Rispetto alla sabbia silicea, l’ilmenite ha analoghe caratteristiche di distribuzione del calore, ma in più è in grado di cedere ossigeno, migliorando l’efficienza della combustione. Prove in piena scala condotte su diversi impianti di combustione situati in Svezia hanno mostrato una combustione più uniforme ed efficiente, con minori emissioni di ossido di carbonio e minore produzione di ceneri.
Idrogeno dall’acqua con la fotosintesi artificiale È noto che la produzione di idrogeno per elettrolisi dell’acqua non ha avuto finora lo sviluppo che ci si aspettava, a causa dello scarso rendimento del processo. Un modo alternativo per produrre idrogeno dall’acqua potrebbe essere la fotosintesi artificiale, nella quale l’energia per la scis-
sione della molecola d’acqua viene fornita completamente gratis dal sole; interessanti passi avanti in questa direzione sono stati recentemente compiuti da ricercatori americani e giapponesi. Il Caltech (California Institute of Technology) ospita un Centro per la Fotosintesi Artificiale, che ha annunciato di aver messo a punto un sistema per produrre idrogeno usando l’energia solare con una efficienza di oltre il 10%, e la capacità di funzionare in modo stabile per lunghi periodi. Nel sistema è presente un fotoanodo in arseniuro di gallio, rivestito con uno strato di biossido di titanio amorfo spesso 60 nanometri; il rivestimento impedisce l’ossidazione del fotoanodo, pur consentendo che venga raggiunto dalla luce e possa emettere elettroni. Un altro elemento importante è il catalizzatore, che non richiede metalli preziosi, ed è costituito da uno strato di nichel spesso 2 nm depositato sul biossido di titanio; questo catalizzatore facilita la scissione dell’acqua in ossigeno, protoni ed elettroni. Il sistema comprende, inoltre, un catalizzatore a base di nichelmolibdeno sul fotocatodo, dove protoni ed elettroni si ricombinano generando idrogeno. Infine, un elemento di vitale importanza è la membrana polimerica che separa i due compartimenti (anodico e catodico) evitando che i gas si mescolino, ma consentendo il passaggio degli ioni. Un sistema con efficienza ancora più alta (24,4%) è stato sviluppato da ricercatori giapponesi delle Università di Tokio e
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Miyazaki. Si basa su moduli fotovoltaici a concentrazione di alta efficienza, e su una cella a tre giunzioni indio-fosfuro di gallio/arseniuro di gallio/germanio, unita ad un sistema con elettrolita polimerico. L’elemento determinante è la cella a tre giunzioni, che ha una efficienza di conversione della luce solare in elettricità di circa il 31%.
Catalizzatori al cobalto per sintesi chimica La reazione di ciclizzazione di alcoli allilici per ottenere sostanze come indoli, pirroli e fenil-pirroli è molto utile per la sintesi di intermedi nella preparazione di prodotti per uso farmaceutico e cosmetico. Questa reazione viene di solito condotta usando catalizzatori a base di complessi ciclopentadienilici del rodio, che però sono costosi e richiedono un pretrattamento di attivazione dei materiali di partenza. Questo pretrattamento comporta la produzione di rifiuti chimici; inoltre, la resa degli attuali catalizzatori al rodio è spesso modesta. I ricercatori giapponesi delle Università di Hokkaido e di Hoshi hanno messo a punto un catalizzatore a base di complessi del cobalto, che ha dimostrato una resa del 62-99% durante una reazione protrattasi per 8 ore a 60 °C, in dicloroetano come solvente. Il grande vantaggio del nuovo catalizzatore è il suo basso costo, inferiore di 1.000 volte a quello dei catalizzatori a base di rodio.
Gas naturale dalle biomasse
d’api; questa struttura assicura elevata conducibilità termica e alta resistenza meccanica, con un minimo ingombro. Qualora fosse necessario un apporto aggiuntivo di idrogeno per ottenere la conversione completa del carbonio contenuto nella biomassa, è previsto un impianto di produzione dell’idrogeno dall'acqua per via elettrolitica.
Litio dalle ceneri di carbone
La produzione di SNG (Substitute Natural Gas, cioè un combustibile gassoso con caratteristiche simili a quelle del gas naturale) è un vecchio processo, caduto da tempo in disuso grazie alla abbondante disponibilità di metano. Tuttavia, bruciando metano si incrementa l’effetto serra, mentre il gas derivato dalle biomasse è neutro sotto questo aspetto: la CO2 emessa corrisponde alla CO2 che le piante hanno catturato mediante la fotosintesi durante la loro crescita. Per questo motivo in Germania è stato lanciato il progetto DemoSNG, coordinato dall’Associazione Tecnico-Scientifica Tedesca per il Gas e l’Acqua (DVGW). Nel quadro di questo progetto, il Karlsruhe Institute of Technology ha realizzato un impianto pilota mobile, che dopo i primi collaudi verrà trasportato nella città svedese di Koping, dove è già operativo un impianto per la gassificazione di biomasse legnose, che produce il classico gas di sintesi composto da idrogeno, ossido di carbonio e CO2. Il nuovo impianto produrrà metano mediante la reazione dell’ossido di carbonio con l’idrogeno, su uno speciale catalizzatore a base di nichel disposto su una struttura compatta a nido
Il litio è sempre più richiesto per la produzione delle batterie ricaricabili di smartphone e altri dispositivi portatili, per cui si ricercano fonti di questo elemento che siano economiche e consentano di ridurre la dipendenza dai giacimenti del Sud America. Un’interessante fonte di litio potrebbero essere le ceneri leggere delle centrali a carbone: un gruppo di ricercatori dell'università cinese di Handan ha scoperto che nelle ceneri degli impianti sudafricani si trovano da 65 a 287 mg di litio per kg, e in quelle cinesi si trovano in media 46 mg/kg. Per ricavare il litio dalle ceneri occorre sinterizzare la massa con zolfo e successivamente operare un attacco acido; in questo modo si recupera (come carbonato di litio) fino al 60% del metallo originariamente presente. Un processo alternativo prevede la sinterizzazione con soda; non occorre impiegare zolfo, ma la resa è minore (55%). L'estrazione del litio dalle ceneri potrebbe contribuire in futuro a migliorare il bilancio ecologico del carbone, che in Cina si prevede verrà ancora largamente utilizzato nei prossimi anni.
Lubrificanti biodegradabili per perforazioni
Nella perforazione dei pozzi di petrolio o gas naturale è spesso necessario utilizzare oli lubrificanti, per ridurre l’attrito nell’inserimento dei tubi e nell’azionamento delle teste di perforazione. Questi oli si miscelano con l’acqua utilizzata per il raffreddamento della testa e per l’asportazione dei detriti, rendendo necessario un trattamento di depurazione. La società americana Solazyme. ha di recente lanciato un lubrificante biodegradabile, dalla formulazione fortemente innovativa, denominato Encapso. Questo prodotto è costituito da gocce di trigliceridi (cioè grassi biodegradabili, simili a quelli naturali) specialmente formulati, incapsulate entro “cellule” formate da polisaccaridi (polimeri naturali simili all’amido o alla cellulosa); il prodotto finito si presenta come una polvere leggera, che viene facilmente trasportata e dosata entro il fluido di perforazione. Quando le cellule incontrano aree di attrito, si rompono e liberano il liquido interno, che svolge la sua azione lubrificante sul posto e nella quantità strettamente necessaria. La Solazyme ha recentemente concluso un accordo di commercializzazione con la società chimica Versalis, appartenente al gruppo Eni.
Batteria a flusso redox senza acidi Le batterie redox a circolazione di elettrolita, che utilizzano vanadio in diversi stati di ossidazione, sono considerate molto promettenti tra i sistemi avanzati di stoccaggio dell’energia. È infatti possibile variare la capacità di queste batterie sempliceHi-Tech Ambiente
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mente aumentando o diminuendo le dimensioni dei serbatoi della soluzione di acido solforico, che, insieme ai sali di vanadio, costituisce l’elettrolita di queste batterie; inoltre, la durata in vita è praticamente illimitata, in quanto gli elettrodi non partecipano direttamente alle reazioni elettrochimiche, e le varie parti del sistema possono essere sostituite nel corso della vita dell’impianto. Tuttavia, queste batterie presentano problemi di sicurezza a causa della presenza al loro interno di una soluzione concentrata di acido solforico, che deve essere mantenuta costantemente in circolazione mediante speciali pompe. Il Centro per l’Energia e la Chimica Ambientale dell’Università Friedrich Schiller (Germania), insieme con la ditta Jena Batteries, stanno cercando di rendere queste batterie più sicure mediante la sostituzione della soluzione di acido solforico con un gel di resina polistirenica, funzionalizzato inserendo gruppi chimici capaci di accettare o donare elettroni; il gel è separato dagli elettrodi mediante una semplice membrana cellulosica, di basso costo. Le prove finora condotte hanno mostrato che il nuovo modello di batteria redox conserva le caratteristiche di stabilità del sistema “classico”, in quanto ha sopportato 10.000 cicli di carica e scarica senza perdere apprezzabilmente la sua capacità. La densità energetica è buona (10 Wh/litro) e la Jena Batteries sta ora cercando di industrializzare il processo, in modo da costruire sistemi di maggiore capacità, adatti per un uso commerciale.
HI -TE CH
AMBIENTE LE AZIENDE CITATE
Alfa Laval Italy Srl Tel 039.2704444 Fax 039.2781000 E-mail alessandra.buffelli@alfalaval.com
Ecodom Tel 02.92274600 Fax 02.92274601 E-mail info@ecodom.it
Lehigh Technologies Tel +1.678.4952200 Fax +1.678.4952201 E-mail kmurthy@lehightechnologies.com
ALUSALT project Tel +44.1246.383737 Fax +44.1246.383738 E-mail sales@altek-al.com
Enea Tel 06.30481 Fax 06.30484203 E-mail carloalberto.campiotti@enea.it
Lema Sas Tel 0141.951533 Fax 0141.953800 E-mail info@lemasas.it
Bio Eco Active Srl Tel/fax 051.916667 E-mail info@bioecoactive.it
Envac Optibag AB Tel +46.142.18500 Fax +46.142.18540 E-mail info@optibag.se
N.C.R. Biochemical Spa Tel 051.6869611 Fax 051.6869617 E-mail info@ncr-biochemical.it
Formeco Srl Tel 049.8084811 Fax 049.8084888 E-mail vendite@formeco.it
Osmotech Srl Via F.lli Cuzio, 42 â&#x20AC;&#x201C; 27100 Pavia Tel/Fax 0382.1726292 E-mail info@osmotech.it
Boulder University Tel +1.303.4924137 Fax +1.303.4927217 E-mail jason.ren@colorado.edu
Forward Water Technologies Tel +1.416.4518155 E-mail info@forwardwater.com
Scolari Srl Tel 030.6848012 Fax 030.6848032 E-mail info@scolarisrl.com
CIB - Consorzio Italiano Biogas Tel 0371.4662633 Fax 0371.4662401 E-mail segreteria@consorziobiogas.it
Friedrich-Schiller University Tel +49.3641.948200 Fax +49.03641.948002 E-mail ulrich.schubert@uni-jena.de
CIC - Consorzio Italiano Compostatori Tel 06.4740589 Fax 06.4875513 E- mail cic@compost.it
Frost & Sullivan Tel 02.48516133 Fax 02.48027054 E-mail anna.zanchi@frost.com
Cobat Tel 06.487951 Fax 06.42086985 E-mail info@cobat.it
Gruppo CAP Tel 02.825021 Fax 02.82502281 E-mail info@capholding.gruppocap.it
Comieco Tel 02.550241 Fax 02.54050240 E-mail info@comieco.org
Hydro International Tel +44.1353.645700 E-mail enquiries@hydro-int.com
BioResNova project Tel 050.2212931 Fax 050.2212678 E-mail m.magnani@adm.unipi.it
Consorzio dei Comuni dei Navigli Tel 02.94921163 Fax 02.94921161 E-mail info@consorzionavigli.it
Stanford University Tel +1.650.7234515 Fax +1.650.7362262 E-mail waymouth@stanford.edu
IBM Italia Spa Tel 02.59624114 Fax 039.6007150 E-mail paola_piacentini@it.ibm.com
Continental Italia Spa Tel 02.42410246 E-mail alberto.bergamaschi@conti.de
Italscania Spa Tel 0461.996392 Fax 0461.996183 E-mail italscania@scania.it
DEECON project Tel +44.1895.266206 Fax +44.1895.269748 E-mail teresa.waller@brunel.ac.uk
Jena Batteries Gmbh Tel +49.3641.948765 Fax +49.3641.948762 E-mail georg.hochwimmer@jenabatteries.de
Ecolight Tel 02.33600732 Fax 02.3315870 E-mail ecolight@ecolightitaly.it
JWC Environmental Int. Tel +44.1260.277047 Fax +44.1260.277557 E-mail jwce@jwce.com
Hi-Tech Ambiente
Sick Spa Tel 02.27434207 Fax 02.27409087 E-mail marketing@sick.it
SolvĂŹ Tel +55.11.31243500 E-mail comunicacao@solvi.com Utilitalia Tel 06.94528270 Fax 06.94528203 E-mail stampa@utilitalia.it Vito Nv Tel +32.14.335747 Fax +32.14.335599 E-mail peter.cauwenberg@vito.be Xylem Water Solutions Italia Srl Tel 02.903581 Fax 02.9019990 E-mail watersolutions.italia@xyleminc.com
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