Hi-Tech Ambiente n. 4.2017

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXVIII MAGGIO 2017

ESEMPI DI SUCCESSO

USI ENERGETICI E AMBIENTALI

Depurare in 3D

Tante applicazioni per il grafene

a pagina 11 a pagina 50

PROGETTO CYCLED

IL RECUPERO DI METALLI DAI LED

a pagina 28

SPECIALE

a pag. 45

TELECONTROLLO DEI DEPURATORI

N4



SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS

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PANORAMA

Da semi a biomateriali

APPROFONDIMENTI

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Le B.A.T. in chimica Le conclusioni dell’UE sulle migliori tecniche disponibili per il trattamento e gestione dei principali fattori di impatto ambientale

Hera: da biorifiuti a biometano

Depurare in 3D

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ENERGIA

Una breve panoramica di cosa è stato realizzato con queste innovative stampanti per il trattamento e la filtrazione delle acque

Eco-enegia sempre disponibile

BioCrack: digestione breve

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Da quello francese MoDiS–H2, per la produzione, stoccaggio e uso di idrogeno da fonti rinnovabili, fino a quelli italiani H2 Power e H2 SudTyrol

Il progetto OxFloc

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La generazione distribuita

Un impianto modulare che combina la rimozione di solidi sospesi con l’ossidazione avanzata mediante ioni ferrici e H2O2 prodotti per via elettrolitica

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Esistono impianti di medio-grandi capacità, di piccola generazione e di microgenerazione, quest’ultimi in netto sviluppo

GREEN FASHION

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I reflui dell’industria tessile La depurazione delle acque di scarico delle diverse fasi produttive: tecniche collaudate e trattamenti in via di sperimentazione

MACCHINE & STRUMENTAZIONE

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SICUREZZA

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TECNOLOGIE

Tante applicazioni per il grafene

RIFIUTI Di quanti inceneritori c’è bisogno?

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Secondo i vari parametri stabiliti per legge, su scala nazionale, sono da prevedere 8 nuovi inceneritori, più il potenziamento di alcuni degli impianti già esistenti

I reattori per idrocarburi leggeri La biobatteria oggi

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Dissalazione e depurazione delle acque, trattamento dei fumi, bonifica di suoli contaminati da idrocarburi

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Un sistema che costituisce una sorgente di tecnologia per diverse innovazioni ecologiche

Si dovrà arrivare ad una filiera individuale del recupero ma, al momento, è bene migliorarne la progettazione tecnica ed applicare processi ad hoc di trattamento

SPECIALE “TELECONTROLLO DEI DEPURATORI”

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Un circuito virtuoso che parte dalle famiglie e ritorna ai cittadini presto sarà possibile grazie al nuovo impianto di S. Agata Bolognese (BO)

DEPURAZIONE

Il recupero di metalli dai LED

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Pioppo e tabacco come valide materie prime per una gamma di bioprodotti, inclusi biodiesel e bioplastiche

MARKET DIRECTORY

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ENTERPRISE EUROPE NETWORK

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ECOTECH

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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 66 Hi-Tech Ambiente

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panorama nel 2016 i dati elaborati dal Centro di Coordinamento raee, l’organismo centrale che si occupa di ottimizzare la raccolta, il ritiro e la gestione dei raee da parte dei sistemi Collettivi costituiti dai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (aee), registrano una crescita a doppia cifra nella raccolta di questa particolare tipologia di rifiuti. su tutto il territorio nazionale nel corso del 2016 sono state raccolte più di 283.000 tonnellate di raee (quasi +14% rispetto al 2015). nel complesso il dato è molto positivo per tutti i 5 raggruppamenti di raee ad eccezione di un calo fisiologico (-1,5%) nella raccolta di r3 (tv e monitor), causato negli ultimi anni dalla diminuzione del trend di “sostituzione tecnologica” dei vecchi televisori a tubo catodico con quelli a schermo piatto. Un altro dato significativo riguarda l’aumento del numero dei Centri di Conferimento, in crescita del 5,15% a livello nazionale. nonostante permangano differenze tra le diverse aree del paese, la zona del sud italia sta muovendo i primi passi per recuperare il gap accumulato negli ultimi anni. Va infatti ricordato che il numero di infrastrutture a disposizione del cittadino è un parametro cruciale per favorire l’aumento della raccolta pro capite ed è compito dei Comuni investire affinché i cittadini

in italia nel 2016

I raee raccolti

possano contare su un quantitativo di strutture adeguato. ancora troppo contenuto appare il conferimento da parte della Distribuzione a causa di una ridotta attività del ritiro “1contro1” e del mancato decollo del Decreto “1contro0”, che necessita di un lungo percorso per entrare a regime. la strada intrapresa è senza dubbio quella giusta e nei prossimi anni contribuirà al raggiungimento del più ambizioso obiettivo del 65% a partire dal 2019. particolarmente importante è stata l’entrata in vigore a maggio 2016 del nuovo sistema di accreditamento previsto dall’accordo relativo al trattamento dei raee ai sensi dell’art.33 c.5 let.g) del D.lgs 49/2014; i sottoscrittori dello stesso puntano all’innalzamento del livello di qualità del trattamento.

Consorzio italiano Compostatori

La Forsu è in aumento Con una crescita costante negli anni, lo scarto organico continua nel percorso di consolidamento come la componente principale dei rifiuti urbani raccolti in italia, attestandosi al 43% di quanto raccolto in maniera differenziata nel 2015. su un totale di 12,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani differenziati nel paese, la raccolta della frazione organica (umido e scarto verde) è stata di 6,1 milioni di tonnellate (+6,1% rispetto all’anno prima). sono i principali dati che emergono dall’ultimo rapporto del Consorzio italiano Compostatori, secondo il quale a livello nazionale vengono annualmente intercettati 100 kg procapite di rifiuto organico, con una maggiore interHi-Tech Ambiente

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cettazione media nelle regioni del nord, rispetto al Centro e al sud. occorre tuttavia sottolineare che il dato è influenzato dalla diversa estensione delle raccolte nelle diverse realtà regionali: l’intercettazione calcolata sulla quota della popolazione effettivamente servita da circuiti di raccolta differenziata è decisamente superiore al sud, con valori medi, secondo indagini CiC, che oscillano tra 110 e 130 kg procapite.


resta CritiCo il pm2,5

Enea: emissioni in calo

secondo l’ultimo rapporto dell’enea inerente gli effetti dell’inquinamento dell’aria, dal 1990 ad oggi in italia le emissioni dei cinque principali inquinanti sono complessivamente diminuite: so2 (-93%), Co (-69%), nox (61%), CoV non metanici (-57%) e pm2,5 (-31%).

più stringenti nei settori energia e industria, carburanti e autovetture più puliti e l’introduzione del gas naturale nella produzione elettrica e negli impianti di riscaldamento domestici>>. l’agricoltura, in particolare la gestione dei reflui animali, ha registrato la più piccola percentuale di riduzione degli inquinanti: a fronte di un comparto responsabile di oltre il 95% delle emissioni di ammoniaca, la contrazione è stata pari solo al 17%. Di segno opposto quanto avvenuto nel settore civile, che ha regi-

strato un incremento del 46% delle emissioni di pm2,5, principalmente per l’aumento dell’uso di biomassa in impianti di riscaldamento a bassa efficienza. <<le emissioni di ossidi di azoto da trasporto stradale non si sono ridotte quanto atteso con l’introduzione degli standard euro per le macchine a gasolio - sottolinea alessandra De marco, dell’enea - avendo i test su strada mostrato che le emissioni nei cicli reali di guida sono più alte rispetto alle emissioni misurate nei test di omologazione>>.

<<oltre al miglioramento dell’efficienza energetica e alla diffusione delle rinnovabili, questi risultati sono stati ottenuti grazie alla combinazione di molteplici fattori - spiega Gabriele zanini, dell’enea – a cominciare da una più ampia diffusione di nuove tecnologie, limiti di emissione

@AMBIENTE ON-LINE@AMBIENTE ON-LINE@ “progettare riciclo” è la nuova piattaforma web dedicata alle linee guida per la progettazione di imballi più facilmente riciclabili. per il momento sono a disposizione le linee guida dedicate alla progettazione degli imballaggi in plastica e questa scelta deriva dalla consapevolezza della maggiore complessità del materiale, delle applicazioni e della continua evoluzione delle tecnologie di selezione e riciclo. le linee guida sul design il riciclo rientrano nelle attività di prevenzione nell’ottica della strategia “dalla culla alla culla”, rappresentando oggi uno strumento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di economia circolare. Queste linee guida nascono dalla collaborazione tra Conai, Università iUaV di Venezia e Corepla che hanno analizzato ogni fase della selezione e riciclo degli imballaggi in plastica post consumo con l’obiettivo di mettere in luce le

Progettare il riciclo

criticità e peculiarità dei processi e quindi fornire indicazioni progettuali efficaci. all’interno del documento sono a disposizione delle checklist utili ai progettisti che intendono rendere più riciclabili i loro imballaggi. www.progettarericiclo.com è lo strumento scelto per la consultazione pubblica delle linee guida in versione preliminare. l’obiettivo è infatti condividere le indicazioni progettuali con i diversi attori della filiera. aziende produttrici e utilizzatrici di imballaggi, selezionatori e riciclatori, ong ambientali e tutti gli altri addetti ai lavori hanno la possibilità, previa registrazione, di dare il loro contributo con commenti, proposte di modifiche e richieste di chiarimenti.

www.progettarericiclo.com Hi-Tech Ambiente

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imballaGGi in Carta e Cartone

Il packaging contro lo spreco Campioni di sostenibilità grazie anche alle innovazioni delle quali sono stati protagonisti in questi ultimi anni lo spreco alimentare in italia ammonta a circa 16 miliardi di euro all'anno, che corrisponde all'1% del pil: uno scandalo difficile da accettare. Uno dei possibili alleati per contrastare il grave problema dello spreco alimentare è il packaging delle confezioni dei prodotti, che costituiscono il primo biglietto da visita di ogni alimento. molti degli imballaggi prodotti in italia, la cui quota cresce sempre di più nella raccolta differenziata, sono utilizzati nel settore alimentare, anche per il confezionamento di alimenti surgelati. il packaging protegge il prodotto e fornisce al consumatore le informazioni per un'adeguata conservazione. in questo carta e cartone, per le loro caratteristiche di praticità, sicurezza e funzionalità sono dei veri maestri e si prestano a moltissime innovazioni che, una volta applicate, potrebbero segnare un'importante svolta nella lotta contro lo spreco alimentare. il packaging è indispensabile per preservare la qualità e la durata dei prodotti, gli imballaggi attivi addirittura ne allungano il ciclo di vita. e tutto ciò, oltretutto, contribuisce anche a ridurre i rifiuti. stesso dicasi per la family bag, il contenitore per ciò che avanza al ristorante, al fine di accrescere la consapevolezza dei cittadini e incentivare buone pratiche di consumo. Difatti, fino a qualche anno fa il packaging dei prodotti limitava la sua funzione alla protezione del contenuto da contaminazioni esterne, migliorandone in questo modo la conservazione e fornendo al tempo stesso un supporto per comunicare informazioni per il consumatore. l'evoluzione in questo campo ha portato a nuovi scenari e alla contestuale definizione di un nuovo approccio, nel quale l'innovazione più significativa è rappresentata dal packaging funzionale o smart packaging. Questo termine si riferisce a quelle soluzioni in cui è previsto l'im-

piego di un materiale, un trattamento superficiale, una tecnica di confezionamento o altro in grado

di svolgere una funzione aggiuntiva rispetto a quelle tradizionali di contenimento e generica protezio-

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ne dei prodotti. ad esempio il "packaging attivo" interagisce costantemente e attivamente con il prodotto contenuto, mentre il "packaging intelligente" è in grado di rappresentare oggettivamente la storia del prodotto e quindi il suo livello di qualità. se da un lato l'evoluzione del packaging porta allo sviluppo di prodotti che offrono funzionalità aggiuntive, dall'altro lato la costante attenzione alle problematiche ambientali impone di ridurre all'essenziale il packaging per diminuire la quantità di rifiuti. Cosa significa? Che studiare il packaging di un prodotto vuol dire anche pensare al suo possibile riciclo, alla riciclabilità dei materiali. l'esempio più immediato è costituito dallo sviluppo di materiali biodegradabili e le relative tecnologie di processo, ma anche tutti i trattamenti a base naturale che possono essere applicati ai materiali a base cellulosica, insieme a innovazioni quali la nanocellulosa e i nuovi materiali compositi a base cellulosica con aggiunta di biopolimeri. senza dimenticare anche l'importante ruolo svolto dalle etichette che possono fornire informazioni sempre più precise su come conservare correttamente un prodotto prolungandone la shelf life o su come conferire la confezione nella raccolta differenziata.


approfondimenti l’Ue ha individuato, con la Decisione di esecuzione 2016/902, le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (b.a.t.) sui seguenti sistemi di gestione e trattamento nell’industria chimica: sistemi di gestione ambientale; riduzione dei consumi idrici; gestione, raccolta e trattamento delle acque reflue; gestione dei rifiuti; trattamento dei fanghi di depurazione (ad eccezione dell’incenerimento); gestione, raccolta e trattamento delle emissioni gassose (compresa la combustione in torcia); emissioni diffusa di composti organici volatili (CoV) in aria; emissioni di odori; emissioni sonore. SISTEMI DI GESTIONE AMBIENTALE

Come in tutti i documenti sulle bat, si raccomanda l’istituzione e l’attuazione di un sistema di gestione ambientale (sGa). Gli elementi di questo sistema sono analoghi a quelli già visti per le bat di altri settori; per le attività del settore chimico, viene specificamente richiesto di: stabilire ruoli, responsabilità e coordinamento delle procedure negli impianti multisito; istituire inventari dei flussi di acque reflue e scarichi gassosi; se necessario, istituire piani di gestione degli odori e dei rumori.

Le B.A.T. in chimica Per rifiuti, reflui e gas

le conclusioni dell’Ue sulle migliori tecniche disponibili per il trattamento e gestione dei principali fattori di impatto ambientale

re monitorate mediante strumenti portatili (conformi alla norma en 15446) o fissi (secondo tecniche di imaging ottico). È consentito ricorrere al calcolo in base a fattori di emissione, purchè questi vengano convalidati periodicamente. Gli odori possono essere monitorati (nei casi in cui gli inconvenienti sono probabili o comprovati) mediante olfattometria dinamica (norma en 13725), eventualmente integrata da misure o stime delle emissioni delle sostanze odorigene. CONSUMI IDRICI E CONTROLLO EMISSIONI IN ACQUA

la riduzione dei consumi idrici ha anche l’effetto di ridurre la produzione di acque reflue. Gli strumenti da usare sono: raccolta e separazione delle acque reflue; previsione di adeguate capacità di stoccaggio dei reflui, anche in condizioni operative diverse da quelle normali; riutilizzo delle acque reflue nel processo produttivo; recupero e riutilizzo degli inquinanti alla sorgente e delle materie prime in genere. il controllo delle emissioni inquinanti delle acque reflue si basa su sistemi di pretrattamento e trattamento finale. le tecniche previste sono quelle classiche, e cioè: - per il trattamento preliminare sono equalizzazione, neutralizzazione, dissabbiatura, disoleazione, eliminazione dei solidi mediante coagulazione, flocculazione, sedimentazione, filtrazione - per il trattamento biologico sono fanghi attivi, bioreattori a membrana, nitrificazione/denitrificazione, eliminazione del fosforo per via biologica o chimica. i valori dei parametri in uscita (bat-ael, cioè valori di concentrazione media annua) sono: toC pari a 10-33 mg/l, CoD pari

MONITORAGGIO DELLE ACQUE REFLUE

il monitoraggio delle acque reflue dovrà prevedere le misure in continuo di portata, pH e temperatura, in punti chiave del processo (ad esempio, in ingresso e in uscita al sistema di trattamento). Dovranno inoltre essere misurati, conformemente alle norme en, i seguenti parametri: con frequenza almeno giornaliera, toC, CoD, tss, azoto totale e inorganico, fosforo totale; con frequenza almeno mensile, cromo, rame, nichel, piombo, zinco ed eventualmente altri metalli; con frequenza da stabilire in base alla valutazione del rischio, la tossicità nei confronti di diversi organismi (uova di pesce, daphnia, batteri luminescenti, lenticchia d’acqua, alghe). MONITORAGGIO DI EMISSIONI DIFFUSE

le emissioni diffuse devono esseHi-Tech Ambiente

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a 30-100 mg/l, solidi sospesi totali pari a 5-35 mg/l, composti alogenati (aoX) pari a 0,2-1 mg/l, cromo pari a 5-25 microg/l, rame pari a 5-50 microg/l, nichel pari a 5-50 microg/l e zinco pari a 20300 microg/l. l’importanza dei valori batael risiede nel fatto che sono considerati il riferimento per valutare l’accettabilità dei sistemi di depurazione negli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale (aia); per cui, in ogni nuovo impianto che rientri tra quelli per i quali è prevista aia, dovrà essere verificato che i valori dei parametri in uscita rientrino negli intervalli di cui sopra.

i fanghi di depurazione delle acque reflue, le tecniche previste come bat sono quelle note, e cioè: condizionamento chimico (con coagulanti e/ flocculanti) o termico; ispessimento per sedimentazione, centrifugazione, flottazione, nastro a gravità o ispessitori a tamburo rotante; disidratazione con nastropresse o filtropresse; stabilizzazione mediante trattamenti chimici, trattamento termico, digestione anaerobica, compostaggio aerobico; essiccazione termica (raccomandabile solo se vi è disponibilità di calore di scarto). EMISSIONI DIFFUSE E COMBUSTIONE IN TORCIA

RIFIUTI E FANGHI

le sorgenti di emissione in atmosfera devono essere confinate e (per quanto possibile) trattate. Deve essere redatto un inventario dei flussi di scarico gassosi, e per ogni tipo di scarico deve essere individuato un trattamento, preferibilmente mediante tecniche integrate con il processo. il ricorso alla combustione in tor-

Deve essere predisposto un piano di Gestione dei rifiuti che stabilisca le azioni per: prevenire la formazione di rifiuti, trattare i rifiuti in modo da renderli riutilizzabili, riciclare il più possibile i rifiuti prodotti, disporre il recupero in forma di energia di quanto non diversamente riutilizzabile o riciclabile. per quanto riguarda in particolare

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solforato o fissarlo per precipitazione); ottimizzare il trattamento aerobico, garantendo sufficiente apporto di aria o ossigeno puro, eseguendo frequenti manutenzioni del sistema di aerazione, e rimuovendo le schiume; confinare e raccogliere gli odori, mediante copertura delle vasche e degli impianti; trattare i flussi odorosi, mediante biofiltri oppure ossidazione termica (combustione ossidativa).

Le B.A.T. in chimica cia deve essere limitato alle emergenze o alle condizioni di esercizio anomale (avviamento, arresto, manutenzione). Gli impianti devono prevedere un sistema di recupero dei gas a monte della torcia, avente capacità adeguata; le torce devono essere progettate in modo da garantire una combustione completa (senza fumo) e un funzionamento affidabile. i dati di funzionamento delle torce devono essere monitorati e registrati. le emissioni diffuse di CoV possono essere prevenute, o comunque ridotte, mediante: - tecniche relative alla progettazione e quindi limitare il numero di potenziali sorgenti di emissioni, scegliere apparecchiature ad alta integrità (ad esempio valvole a doppia tenuta, pompe e compressori muniti di giunti meccanici anziché guarnizioni), rendere facile la manutenzione garantendo l’accesso alle apparecchiature che potrebbero avere problemi di perdite - tecniche relative a costruzione, assemblaggio, messa in servizio, ossia predisporre procedure dettagliate per la costruzione e l’assemblaggio e per la messa in servizio e consegna, nel rispetto dei requisiti di progettazione - tecniche relative al funzionamento e perciò garantire una corretta manutenzione, con sostituzione tempestiva delle apparecchiature difettose o obsolete, utilizzare un programma di rilevamento e riparazione delle perdite

RUMORI

(liDar, con “sniffing” o imaging ottico), prevenire le emissioni diffuse e, dove possibile, collettarle alla sorgente e trattarle. ODORI

nell’ambito del sistema di gestione ambientale deve essere previsto un piano di Gestione odori, che preveda (in caso vi siano inconvenienti probabili o comprovati): un protocollo di monitoraggio degli odori; un protocollo contenente le appropriate azioni di minimizzazione ed il relativo

crono-programma; un protocollo delle misure da adottare in caso di eventi odorigeni identificati; un programma di prevenzione e riduzione degli odori (identificazione delle sorgenti, misure dell’esposizione e dei diversi contributi, misure applicabili di prevenzione/riduzione). nel caso di odori provenienti dal trattamento di acque reflue e fanghi, le bat applicabili consistono in: ridurre al minimo i tempi di permanenza; neutralizzare chimicamente i composti odorigeni (ad esempio ossidare l’idrogeno

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le bat seguono lo stesso schema già visto per gli odori, e cioè disporre e attuare un piano di Gestione del rumore che comprende identificazione delle sorgenti, monitoraggio, azioni da intraprendere e relativo cronoprogramma, misure da adottare in caso di eventi identificati. le tecniche previste sono: rilocalizzazione delle apparecchiature rumorose, in modo da aumentare la distanza dalle fonti di rumore e sfruttare gli edifici come barriere fonoassorbenti; adozione di misure operative come chiusura di finestre, ispezione e manutenzione rafforzata degli impianti, interruzione (se possibile) delle attività rumorose nelle ore notturne, controllo del rumore durante l’attività di manutenzione; sostituzione delle apparecchiature più rumorose (in particolare compressori, pompe e torce) con altre a bassa rumorosità; installazione di apparecchi o strutture atte a ridurre il rumore quali fonoriduttori, barriere, gabbie di isolamento, sistemi di confinamento e insonorizzazione.


DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

Depurare in 3D Esempi di successo

Una breve panoramica di cosa è stato realizzato con queste innovative stampanti per il trattamento e la filtrazione delle acque Le stampanti in 3D sono semplicemente l’evoluzione della tradizionale stampa in 2D: sono cioè apparecchi in grado di creare oggetti tridimensionali mediante un processo di “produzione additiva”, ossia partendo da un oggetto disegnato tramite software e replicandolo nel mondo reale, con l’ausilio di appositi materiali. La stampante costruisce l’oggetto posizionando uno strato sopra l’altro, procedendo per sezioni trasversali, fino ad ottenere il “prodotto finito”. Le applicazioni sono teoricamente infinite; le limitazioni, per il momento, sono legate alle dimensio-

ni degli oggetti ottenibili ed ai materiali utilizzabili: gli “inchiostri” delle stampanti 3D non hanno le proprietà meccaniche dei metalli o delle ceramiche. Nonostante questo, negli ultimi anni, numerose aziende di tutto il mondo hanno iniziato a studiare le possibilità di impiego delle stampanti in 3D per creare componenti per il trattamento e la filtrazione delle acque. MEMBRANE IN BIOSSIDO DI TITANIO

La NanoSun, con base a Singapore, sta attualmente sviluppando un innovativo filtro a membrane stampato in 3D, basato sul biossido di titanio. La ditta ha scelto questa tecnologia perché è più economica da produrre rispetto a plastica, ceramica o acciaio inossidabile; inoltre, le membrane stampate in 3D non si rompono in condizioni estreme di temperatura, o quando vengono esposte alla luce ultravioletta impiegata per disinfettare l’acqua. Le membrane contenenti biossido di titanio possiedono interessanti qualità, come proprietà antibatteriche e antisporcamento (cioè sono autopulenti) e consentono un miglior passaggio dell’acqua. Grazie alle notevoli potenzialità di questa tecnologia, soprattutto nei territori che stanno vivendo una rapida urbanizzazione e quindi necessitano di tecnologie affidabili ed economiche per la depurazione dell’acqua, due anni fa la NanoSun ha ricevuto finanziamenti per 2 milioContinua a pag. 12 Hi-Tech Ambiente

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Depurare in 3D ni di dollari da parte di investitori privati e Enti pubblici di Singapore. La stabilità di queste membrane, e la loro capacità di sopportare un ampio intervallo di livelli di acidità (pH) e temperature, fa prevedere un loro futuro ruolo chiave nel trattamento dei reflui industriali. Nell’intento di sfruttare queste potenzialità commerciali, nella provincia di Shandong (Cina settentrionale) è stato costruito un impianto su scala industriale, in grado di trattare fino a 1.000 mc/giorno di reflui provenienti da industrie tessili. DEPURATORI E DISSALATORI

Dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti, il colosso industriale General Electric ha annunciato lo scorso novembre di aver ricevuto il benestare dal Dipartimento Usa per l’Energia per lo sviluppo di una innovativa tecnologia di dis-

salazione dell’acqua di mare, basata su microturbine realizzate con stampanti 3D. Le microturbine miscelano l’acqua salata e l’aria, e comprimono la miscela in un circuito di raffreddamento spinto che causa il congelamento dell’acqua; il sale si separa così in forma solida e alla fine rimane solo acqua dissalata in forma di ghiaccio, che viene fatto sciogliere ottenendo acqua potabile. Sempre negli Usa, la società Conwed, leader nella produzione di reti in materiale plastico, impiega le stampanti 3D per la produzione di distanziatori per la sezione di alimentazione dei depuratori a membrana. Questi distanziatori, costituiti da griglie in materiale plastico, sono molto importanti in quanto, oltre a creare lo spazio tra una membrana e l’altra, forniscono un supporto meccanico e creano le condizioni per un regime di flusso turbolento, che mantiene pulita la superficie delle membrane stesse. La Conwed ha utilizzato la tecnologia di stampa in 3D per testare e selezionare rapidamente diversi

modelli di distanziatori: in primo luogo, un computer dotato di software 3D CAD disegna una piccola sezione di un distanziatore, dopodichè il progetto viene inviato a una stampante 3D ad alta risoluzione. La sezione del distanziatore viene sottoposta a test ed esami: se i risultati sono positivi, viene dato il via alla produzione commerciale con i metodi tradizionali. Uno dei problemi principali è stato stampare in 3D una sezione sottile quanto quella di un distanziatore tradizionale, in quanto la maggior parte delle stampanti 3D tradizionali non sono in grado di stampare oggetti così sottili; per questo la Conwed ha avviato una stretta collaborazione con aziende specializzate nella stampa 3D, sperimentando diverse tecnologie di stampa al fine di individuare quella più adatta. Grazie al lavoro di ricerca e sviluppo con le stampanti 3D, Conwed ha sviluppato una nuova linea di distanziatori per la dissalazione a osmosi inversa delle acque salmastre. Questi distanziato-

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ri sono attualmente commercializzati dalla Lanxess con il marchio “Lewabrane ASD”. LA POTABILIZZAZIONE FAI DA TE

Con il progredire delle tecnologie di stampa 3D, si aprono nuove interessanti prospettive, come la produzione di filtri per acqua destinati ad impiego domestico, che potrebbero portare acqua potabile nelle abitazioni di milioni di persone che vivono in luoghi isolati, lontani dai grandi impianti di depurazione. Un numero crescente di aziende di tutto il mondo sta producendo filtri di questo tipo, tra cui la Liquidity Nanotech, che ha recentemente creato l’innovativo Naked Filter; un altro progetto molto interessante è il Fresh Wate Maker, ideato da un giovane ingegnere tedesco, che si distingue per il fatto che esso fornisce agli utenti, in modo aperto e del tutto gratuito, le istruzioni necessarie per la realizzazione “fai da te” di un sistema per il filtraggio dell’acqua, con materiali econo-


ALFA LAvAL

Reflui: buona gestione Al giorno d’oggi sia le realtà industriali che municipali consumano molta acqua, un elemento fondamentale e una risorsa che sta diventando sempre più scarsa. Alfa Laval si impegna costantemente a collaborare con le aziende clienti per raggiungere gli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale, massimizzazione del riutilizzo e trasformazione dei rifiuti in valo-

più semplice e incrementarne capacità e prestazioni. La gamma di Filtro Presse ASH Alfa Laval comprende un vasto range di soluzioni, dalle più piccole manuali, a quelle semiautomatiche e completamente automatiche. Particolarmente innovativi ed efficienti i sistemi di sicurezza e di pulizia automatici sui modelli avanzati. Quanto ai sistemi di scarico a mici e facili da reperire. In parole povere, il Fresh Water Maker funziona come una pentola: l’acqua contaminata viene pompata dentro un contenitore, che viene chiuso con un coperchio; sfruttando il calore solare, l’acqua viene riscaldata fino a una temperatura di 85 °C. Quando l’acqua inizia a evaporare, il vapore non è in grado di uscire dal contenitore (che è chiuso) e quindi la condensa, costituita da acqua potabile, si deposita lentamente sulla superficie inter-

re, riducendo al minimo i consumi e gli sprechi. Qui di seguito i prodotti di maggiore interesse. Innanzitutto un prodotto per la filtrazione terziaria, i AS-H Iso Disc e Membrane Batch Reactor MBR: soluzioni per la linea acque estremamente compatte, funzionano a gravità e comportano ingenti risparmi energetici. Inoltre, assicurano una qualità degli effluenti di alto livello, rendendoli adatti per il riutilizzo ad esempio per irrigazione o per lavaggi in campo produttivo. L’uso di membrane Alfa Laval di osmosi inversa come trattamento di finalizzazione permette inoltre il riutilizzo come acqua potabile. Le pressococlee Alfa Laval, invece, sono soluzioni semplici, che richiedono supervisione minima e assicurano livelli molto bassi di consumi energetici, rumore e vibrazioni. Dal lancio di questa linea di prodotti, l’azienda ha sviluppato ulteriormente le pressococlee per renderne la manutenzione

zero liquidi, gli evaporatori e cristallizzatori basati sullo scambiatore di calore di tipo WideGap 100, recentemente lanciato da Alfa Laval, così come gli scambiatori di calore Alfavap, sono ideali per la concentrazione degli effluenti e la riduzione delle impurità. Questi sistemi consentono il recupero di prodotti valorizzabili e il riutilizzo di acqua in diversi processi produttivi. Gli esempi includono effluenti chimici contenenti sali, acque provenienti da giacimenti petroliferi, reflui da trattamenti con membrane a osmosi inversa e applicazioni riguardanti centrali elettriche. Fiore all’occhiello Alfa Laval è l’ampio range di separatori ad alta velocità orizzontali e verticali (Decanter e HSS) che si mantiene sempre più tecnlogicamente all’avanguardia grazie al focus del dipartimento R&D che permette di operare insieme ai clienti con soluzioni efficienti e di semplice gestione, per ottenere risultati sempre più performanti. Hi-Tech Ambiente

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na del contenitore, da cui può essere raccolta e destinata al consumo umano. La semplicità dell’idea costituisce il suo punto di forza: ad esempio, nelle aree colpite da disastri naturali (dove i superstiti soffrono per la carenza di acqua potabile) le organizzazioni umanitarie potrebbero facilmente stampare in 3D i Water Makers sul posto, e fornirli alle popolazioni, ad un costo veramente risibile (pochi centesimi di euro per unità).


Il processo di trattamento dei fanghi di depurazione può presentare problemi anche seri, in termini di quantitativo di materiale da trattare, tempi di ritenzione, presenza di corpi estranei anche voluminosi che rischiano di compromettere la funzionalità dei dispositivi di movimentazione (pompe, agitatori), se non di ostruire le condutture. vogelsang si occupa da sempre di depurazione, avendo dedicato a questo comparto un settore specifico della propria attività. Negli anni ha affiancato alle pompe volumetriche a lobi, specificamente indicate per l’uso in ambienti difficili come i depuratori, dispositivi altrettanto interessanti e in grado di fare la differenza in situazioni anche molto complesse. Uno di essi è indubbiamente il BioCrack, che funziona secondo il principio della disgregazione elettrocinetica e grazie al quale è possibile sminuzzare particelle fuori dalla portata di un normale trituratore a rulli o coltelli

BioCrack: digestione breve Vogelsang

Minor permanenza nell’impianto e costi di esercizio ridotti grazie alla disgregazione elettrocinetica A seconda delle specifiche esigenze dell’impianto, in abbinamento al BioCrack è possibile aggiungere anche un trituratore a crivello di tipo RotaCut, in cui una serie di lame taglia a dimensione prestabilita tutto quanto attraversa il corpo macchina. RotaCut + BioCrack sono così in grado di trasformare materiale grezzo, ricco di corpi estranei e di difficile digestione, in un’emulsione omogenea, con forte riduzione dei tempi di permanenza nell’impianto.

LA DISGREGAZIONE ELETTROCINETICA

Il processo di disgregazione elettrocinetica è relativamente semplice: il fluido da trattare è pompato attraverso una conduttura nella quale sono inseriti due elettrodi, che generano un campo ad alta tensione in grado di disgregare materiale flocculato o aggregati di materia organica e batteri. Grazie all’azione del BioCrack, la sospensione si presenta più omogenea e fluida, ma soprattutto di facile digestione da parte delle colonie batteriche. Le molecole organiche, infatti, presentano una maggior superficie esposta e possono quindi essere attaccate e scisse in tempi più rapidi.

IL CASO DI SILE-PIAVE

Il sistema combinato BioCrack + RotaCut di Vogelsang installato sul depuratore della società Sile-Piave, in Veneto

I fanghi trattati nel depuratore della Sile-Piave, in Veneto Hi-Tech Ambiente

Un esempio concreto dei benefici ottenibili con BioCrack arriva dal veneto ed esattamente dalla società Sile-Piave, una partecipata che raggruppa 50 comuni tra le province di Treviso e venezia, per un ammon-

RotaCut e pompa VX di Vogelsang

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tare medio di 50.000 abitanti. L’impianto di depurazione a servizio di questo bacino è un processo a fanghi attivi con predenitro-nitrificazione su due linee da 30.000 + 20.000 ab.eq., una linea fanghi con digestione aerobica, una linea trattamento bottini ed una linea di disidratazione finale tramite centrifuga. L’impianto, però, aveva un punto debole proprio nella digestione aerobica, sottodimensionata rispetto alle esigenze di trattamento e con tempi di ritenzione medi di 8 giorni, giudicati eccessivi per la funzionalità generale del processo. <<Eravamo alla ricerca di un metodo per implementare la digestione fanghi in attesa dell’ampliamento futuro del depuratore - spiegano gli amministratori della società – e abbiamo deciso di utilizzare il sistema di disintegrazione elettrocinetica BioCrack della ditta vogelsang. Una scelta dovuta ad alcune precise caratteristiche, ossia la poca invasività e il ridotto costo di applicazione, senza dimenticare la possibilità di reimpiegare il dispositivo in altri comparti dell’impianto, una volta esaurita la sua funzione presso il digestore aerobico>>. È stato così installato un BioCrack, abbinato a un trituratore RotaCut, con funzione, oltre che di sminuzzamento, di separazione dei corpi estranei presenti nei fanghi, anche a protezione della pompa a lobi vX136-105, la quale aspira il fango dalla vasca di digestione aerobica e lo invia ai due moduli BioCrack, per ripomparlo infine nella vasca medesima. Il sistema ha permesso di abbreviare il periodo di permanenza dei fanghi nell’impianto, determinando un incremento di produttività che riduce i tempi di ammortamento a due anni. Facilità di installazione e possibilità di reimpiego in altri comparti del depuratore sono gli altri più evidenti vantaggi del processo.

L’ASSORBENTE PER IL MERCURIO CHE IMITA IL CORALLO Per rimuovere il mercurio dalle acque di scarico vengono generalmente usati ossidi e idrossidi di alluminio, che presentano una struttura porosa, ricca di siti di assorbimento. Tuttavia, questi composti tendono ad aggregarsi durante il processo di assorbimento, riducendo così la loro efficacia.

FORMECO

I reflui recuperati L’evaporazione sottovuoto è ideale per un’ampia tipologia di acque di scarico di diversi processi industriali

Con l’introduzione di sempre più restrittive normative sui COv (Composti Organici volatili) è aumentato notevolmente l’utilizzo di idropitture, che sono quindi diventate una soluzione al problema ecologico. Tuttavia, l’utilizzo dell’acqua per la pulizia di attrezzature ed utensili dopo l’uso ha portato ad un au-

mento delle acque inquinate da idropitture che devono essere conferite allo smaltimento. Un metodo efficace è l’utilizzo della distillazione, largamente collaudata soprattutto per il trattamento dei solventi esausti. L’evaporazione sottovuoto può essere efficacemente utilizzata per un’ampia varietà di acque reflue provenienti da diversi

Ricercatori dell’Università cinese Anhui Jianzhu e dell’Accademia Cinese delle Scienze, insieme all’Università australiana Monash (Melbourne), si sono ispirati alla struttura del corallo per realizzare degli ossidi di alluminio nanoporosi, aventi all’interno una struttura a ricciolo, che li rende resistenti all’aggregazione. Questo risultato è stato ottenuto riscaldando l’ossido idrato di alluminio in presenza di glicol etilenico, che favorisce la

formazione delle strutture porose a ricciolo. Il materiale ottenuto con questo processo è composto da particelle di ossido di alluminio

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processi industriali. La gamma Formeco di apparecchi standard, o progettati a misura su richiesta, garantisce una soluzione per ogni tipo di esigenza. La distillazione, in effetti, risolve efficacemente il problema dello smaltimento delle acque reflue industriali, concentrando per quanto possibile i prodotti contaminanti in esse presenti, come vernici e metalli pesanti, e permettendo allo stesso tempo il loro riutilizzo nel ciclo di produzione. Le restrittive leggi anti inquinamento e una coscienza ambientale sempre più diffusa impongono un nuovo modo di affrontare le tematiche inerenti l’uso delle risorse naturali e il relativo smaltimento. Il riciclaggio delle materie prime e la riduzione pressoché totale dei residui da trattare sono l’ultima conquista della ricerca industriale per la salvaguardia ambientale. Compatti, caratterizzati da un ridotto consumo energetico, completamente automatici e facili da istallare, gli evaporatori Formeco sono disponibili in diverse varianti per trattare differenti volumi giornalieri. La gamma di questi impianti, nella versione a pompa di calore, include modelli con capacità da 250 a 12.000 litri al giorno. Modelli diversi, sfruttando diversi tipi di calore (vapore, acqua calda, fluidi diatermici), possono essere progettati per portate superiori, fino a 250.000 litri al giorno. Formeco propone lo studio e la progettazione dei sistemi di trattamento di prodotti liquidi contaminati, la gestione di progetto di forniture “chiavi in mano”, e l’assistenza e la manutenzione su impianti esistenti. Offre, inoltre, soluzioni professionali e complete in tema di recupero e riutilizzo di scarti di processi produttivi, altrimenti destinati allo smaltimento. con diametro medio di 1,5 micron, che contengono all’interno delle nano-piastrine avvolte a ricciolo, in modo da creare un reticolo di pori con diametro di 2,5 nanometri. La capacità di assorbimento del mercurio risulta di 2,5 volte superiore a quella degli assorbenti attuali, e l’uso è facilitato dalla possibilità di separazione per filtrazione o decantazione, senza bisogno di ricorrere alla centrifugazione.


Il progetto OxFloc Nuovo approccio alla chiarificazione

Un impianto modulare che combina la rimozione di solidi sospesi con l’ossidazione avanzata mediante ioni ferrici e H2O2 prodotti per via elettrolitica I costi per il trattamento delle acque reflue industriali rappresentano oggi un notevole onere economico, e si prevede che aumenteranno in futuro. Questi costi stanno ostacolando la crescita della produzione industriale europea, specialmente nelle aree povere di risorse idriche, nelle quali è necessario spingere al massimo il recupero delle acque. Il progetto OxFloc intende ridurre i costi di trattamento dei reflui industriali mediante un impianto di concezione modulare, che realizzi un trattamento adeguato a un prezzo inferiore rispetto agli impianti attuali, e presenti inoltre vantaggi dal punto di vista ambientale, minori costi operativi e la possibilità di recuperare le acque reflue per nuovi utilizzi. Il progetto parte dalla considerazione che i reflui industriali contengono sia composti chimici non biodegradabili in soluzione (come tensioattivi, ritardanti di fiamma, intermedi farmaceutici, pesticidi e metalli pesanti), sia particelle solide sospese; queste ultime devono essere rimosse nelle prime fasi del trattamento, con processi costosi e ad elevato consumo di energia. Il trattamento OxyFloc combina la rimozione di solidi sospesi con l’ossidazione avanzata, mediante la produzione per via elettrolitica di ioni ferrici (che agiscono da flocculanti e da catalizzatori) e di perossido di idrogeno, che è un potente ossidante. In questo modo il processo non richiede aggiunta di prodotti chimici, ma solo energia elettrica, che può benissimo essere ottenuta da fonti rinnovabili, ricorrendo

Prototipo Oxfloc installato in una discarica

alle forniture di rete solo per bilanciare la domanda e la disponibilità. I RISULTATI DEL PROGETTO

Il team di specialisti, costituito fin dall’inizio del progetto, ha analizzato i diversi aspetti dei processi di assorbimento e di ossidazione. Ossidazione. Partendo dai dati presenti in letteratura, sono stati definiti i parametri del processo di ossidazione, eseguendo vari esperimenti su diversi inquinanti

organici selezionati come modelli (ad esempio fenolo e diclofenac). Successivamente, sono stati eseguiti esperimenti su percolato di discarca, e su reflui industriali sia sintetici che reali. Adsorbimento. Anche per il processo di adsorbimento, partendo dai dati di letteratura si sono identificati i parametri più rilevanti, e sono stati compiuti esperimenti con percolato reale e sintetico, in modo da selezionare le condizioni operative ottimali. I due processi sono stati infine combinati e su questa base è stato

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Flocculazione

messo a punto un prototipo di sistema di trattamento OxyFloc da 50 l/ora, che combina l’elettrocoagulazione con la reazione Fenton, ottenendo ottimi risultati nel trattamento dei percolati di discarica. Il sistema completo è stato installato in una discarica presso Petruvky, nel territorio della Repubblica Ceca, dive ha dimostrato la sua funzionalità nel trattamento del percolato che, come è noto, è particolarmente difficile da trattare con i normali processi di depurazione.


ECO EXHAUST GAS CLEANING

L’aria pulita a bordo La ricerca e la progressiva applicazione di soluzioni tecniche avveniristiche, in grado di fornire risultati importanti sul piano del miglioramento della qualità dell’aria, è uno dei principali obiettivi del nostro piano di riduzione delle emissioni. Mitigare sensibilmente gli agenti inquinanti, quali ad esempio lo zolfo, l’ossido di azoto e il particolato, costituisce una sfida per l’intero comparto marittimo. Consapevoli della nostra responsabilità, abbiamo scelto di essere parte attiva nella realizzazione di un sistema in grado di abbattere questo tipo di emissioni. In collaborazione con Carnival Corporation, Costa Crociere ha lavorato al progetto di Ecospray Technologies per la produzione dell’ECO Exhaust Gas Cleaning (ECOEGC), sistema di filtraggio adibito alla rimozione di agenti inquinanti emessi sia in fase di navigazione, sia durante le manovre e in porto. Caratterizzato da una duplice funzione (filtraggio per la rimozione del particolato dai gas di scarico e utilizzo dell’acqua di mare) il progetto rappresenta una svolta epocale nella gestione delle emissioni, un’innovazione destinata a fissare nuovi standard nell’ambito della tutela ambientale. L’avanguardistica tecnologia alla base del filtro è, infatti, la prima al

grado di abbattere le emissioni di CO2 e di idrocarburi incombusti, rispettivamente, fino al 70% e al 85%. Attualmente applicato e in fase di installazione su diverse navi Costa Crociere, l’ECO Exhaust Gas Cleaning System verrà progressivamente installato sul resto della flotta, a testimonianza dell’impegno del gruppo marittimo in fatto di sostenibilità. Secondo il documento programmatico la strategia aziendale in materia è incentrata sui temi dell’innovazione responsabile e della creazione di valore. Riduzione del 4,8% dei consumi energetici, raccolta differenziata del 100% dei rifiuti, diminuzione del 2,3 % del carbon footprint: i principali risultati raggiunti in termini di tutela ambientale. mondo in grado di garantire contestualmente (ospitandolo in un unico filtro) il trattamento delle emissioni nocive (NOx, SOx e particolati) e la relativa riduzione pari al 90-99%. Per quanto riguarda gli NOx, il sistema prevede che questi siano legati chimicamente in un convertitore catalitico, mentre fuliggine e carburante residui vengono precipitati in un filtro. Per SOx è, invece, prevista la rimozione diretta attraverso il filtro senza l’utilizzo di sostanze chimiche aggiuntive. Allo stesso tempo, il sistema è in

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GREEN FASHION L A

P R O D U Z I O N E

" M O D A "

T U T E L A

L’ A M B I E N T E

I reflui dell’industria tessile Migliori tecnologie disponibili

La depurazione delle acque di scarico delle diverse fasi produttive: tecniche collaudate e trattamenti in via di sperimentazione 2^ parte

sorbimento su carboni attivi - COD (domanda chimica di ossigeno), che esprime la quantità di ossigeno necessario per l’ossidazione chimica totale, in ambiente acido, delle sostanze organiche. E’ spesso usato come misura del carico organico, al posto del BOD5, in quanto la determinazione del COD è più semplice e rapida - cloruri, solfati e fosfati, la cui loro presenza è dovuta all’utilizzo di prodotti chimici di ausilio ai processi tintoriali e di finissaggio, e possono essere eliminati mediante trattamenti di filtrazione su membrane, osmosi inversa o precipitazione chimica; i fosfati possono essere abbattuti mediante depurazione biologica - ammoniaca, nitriti e nitrati, che in genere vengono abbattuti mediante depurazione su fanghi attivi o trattamento di nitrificazione-denitrificazione, ma in casi particolari è possibile ricorrere alle tecniche di scambio ionico, strippaggio in ambiente basico, ossidazione chimica, riduzione ad azoto gassoso e osmosi inversa - metalli pesanti, che sono tossici per i microorganismi e, quindi, devono essere rimossi dagli scarichi per non compromettere la depurazione biologica. L’abbattimento viene effettuato in genere per precipitazione, oppure per scambio ioni-

Nell’industria tessile i parametri più rilevanti dal punto di vista dell’inquinamento delle acque di processo sono: - colore, che può essere causato da sostanza chimiche di diverso tipo. Nel caso di sostanze organiche ad elevata stabilità, i trattamenti convenzionali di rimozione risultano inadeguati e occorre ricorrere a trattamenti di ossidazione spinta o su carboni attivi - materiali in sospensione, costituiti da particelle aventi dimensioni <0,45 micron, che creano opacità e torbidità dell’acqua impedendo la trasmissione dei raggi Uv (e quindi la vita degli organismi acquatici). Questi materiali possono essere rimossi mediante sedimentazione, flocculazione e filtrazione - BOD5 (domanda biologica di ossigeno), ossia l’ossigeno richiesto dai batteri per biodegradare il carico organico in 5 giorni, ed è assunto come misura del carico organico inquinante. Nelle aziende tessili l’aumento del BOD 5 può essere influenzato dal rilascio dei prodotti di idrolisi delle bozzime; in questi casi il carico inquinante può essere ridotto sostituendo le bozzime amidacee con quelle sintetiche. Altri trattamenti possono essere l’ossidazione biologica o chimica, e l’adHi-Tech Ambiente

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co con resine cationiche o meglio ancora resine cationiche chelanti - tensioattivi, che si suddividono in non ionici, anionici e cationici; quelli non ionici sono generalmente meno biodegradabili degli altri. Non sono considerati pericolosi di per sè, ma possono causare problemi ai corsi d’acqua, tra cui fenomeni di eutrofizzazione e formazione di schiuma. I trattamenti di depurazione più efficienti sono ozonizzazione e carboni attivi. Per ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile è necessario anzitutto limitare l’uso di acqua e degli ausiliari tessili più inquinanti, ma anche migliorare le tecniche di depurazione al fine di abbattere il più possibile gli inquinanti stessi. TECNICHE DI DEPURAZIONE

I processi di depurazione dei reflui tessili vengono distinti in tre categorie: depurazione primaria, secondaria e terziaria. La depurazione primaria serve a eliminare le sostanze solide in sospensione, omogeneizzare il refluo e regolarne il pH, mediante trattamenti di decantazione, grigliatura, coagulazione, neutralizzazione chimica, omogeneizzazione e sedimentazione. Nella fase di depurazione secondaria si possono utilizzare due diverse tipologie di trattamento: - trattamento chimico-fisico, impiegato in almeno il 30% degli stabilimenti tessili, e in genere consiste in coagulazione con cloruro ferrico, seguito da alcalinizzazione con calce e flocculazione con polielettroli-

ta anionico e, infine, da filtrazione su sabbia e adsorbimento su carboni attivi - trattamento biologico a fanghi attivi, che rappresenta la soluzione più diffusa ed efficiente per la depurazione dei reflui tessili, in quanto consente di abbattere con successo molte sostanze organiche e i microorganismi patogeni; la successiva filtrazione su carbone attivo migliora l’abbattimento dei tensioattivi e dei coloranti. Talvolta (soprattutto negli impianti di grandi dimensioni) vengono impiegati impianti biologici a doppio stadio

(cioè con due stadi separati di ossidazione biologica disposti in serie, ciascuno seguito da una sedimentazione del fango attivo); negli ultimi anni poi si è diffuso l’uso di ossigeno puro al posto dell’aria, che consente una migliore capacità di far fronte a improvvisi aumenti del carico organico inquinante, grazie alla possibilità di assicurare nelle vasche un maggiore e più diffuso quantitativo di ossigeno. In genere il trattamento biologico non è sufficiente, da solo, al raggiungimento dei parametri imposti dalla legge, né a consentire il riuti-

lizzo dei reflui nel ciclo produttivo; per questo motivo, è generalmente necessario installare, a valle del trattamento biologico, un impianto di depurazione terziaria. I principiali trattamenti terziari sono: - adsorbimento su carbone attivo, che consiste in una filtrazione su un mezzo adsorbente in grado di interagire con le varie sostanze presenti nell’acqua per mezzo di legami chimici (chemiadsorbimento) o soltanto per interazione fisica (legami di van der Waals), senza provocare un’alterazione della struttura molecolare dei componenti. Questo tipo di trattamento è indicato in modo particolare per le sostanze organiche (solventi, tensioattivi e pesticidi) nonché per abbattere il colore; può essere impiegato in serbatoi fissi, analogamente a quanto avviene per i filtri a sabbia, o più raramente dosato come reagente. Quando viene utilizzato in sistemi fissi, questi devono essere periodicamente rigenerati attraverso controlavaggi per allontanare il particolato trattenuto e distruggere i percorsi preferenziali che riducono l’efficienza di adsorbimento - ozonizzazione, in quanto l’ozono è uno dei più potenti ossidanti attualmente impiegati nel trattamento delle acque, e tale trattamento risulta particolarmente efficiente nell’abbattimento del colore e del COD residui, permettendo normalContinua a pag. 20

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I reflui dell’industria tessile mente un recupero dell’acqua depurata e il suo riutilizzo nel ciclo produttivo, soprattutto per le fasi di lavaggio, follatura e risciacqui e, parzialmente, per la tintura dei colori scuri. L’ozono risulta invece insufficiente per l’abbattimento della concentrazione salina, che rappresenta un ostacolo per la tintura dei colori chiari - filtrazione, che si utilizza per l’allontanamento dei corpuscoli di dimensioni comprese tra il millimetro e il micron, e si attua mediante il passaggio su filtri di diverso tipo. La filtrazione più comune è quella con filtri a sabbia posti prima dei

quelli da rimuovere, e che devono essere periodicamente rigenerate. Tale trattamento risulta particolarmente efficiente per la rimozione dei sali presenti nel refluo tessile, fornendo così un’acqua particolarmente adatta al successivo riutilizzo nel ciclo produttivo, anche nella fase di tintura, che risulta più sensibile alle alte concentrazioni saline. LE B.A.T. DEL SETTORE

Le seguenti tecniche sono considerate come B.A.T. generali per il trattamento delle acque reflue: pretrattamenti di singoli flussi selezionati e separati di acque reflue a forte concentrazione (COD >5000 mg/l) contenenti composti non biodegradabili per ossidazione chimi-

sostanze pericolose. Secondo alcune ricerche, il processo è in grado di distruggere più dell’80% dei composti chimici tossici, inclusi solventi industriali, pesticidi, conservanti, coloranti e alcuni combustibili. Il problema principale è la natura intermittente della luce solare, in quanto se il quantitativo del refluo da trattare è limitato, esso può essere immagazzinato per essere poi trattato nei periodi maggiormente soleggiati, oppure è possibile ricorrere alla luce artificiale (lampade Uv) - processi in fase supercritica, che si basano sull’esposizione a pressione e temperatura elevate (374 °C) ed in queste condizioni i composti organici si dissolvono rapidamente, e con l’aggiunta di ossigeno si ossi-

produzione elettrochimica in situ di acqua ossigenata; in questo modo si è ottenuta una completa decolorazione della maggior parte degli effluenti di tintura, mentre a condizione controllate di temperatura (150-250 °C) e di pressione parziale di O2 (0,35-1,4 MPa) si è ottenuta una completa decolorazione e mineralizzazione di soluzioni concentrate di coloranti in 1-4 ore. Altre ricerche sulla capacità dei funghi di degradare i coloranti sono state condotte dal Dipartimento di Biologia vegetale dell’Università di Torino, che hanno portato alla creazione di brevetti. IL RIUTILIZZO DELLE ACQUE TRATTATE

Per poter essere riutilizzata nel ciclo produttivo, l’acqua deve presentare caratteristiche particolari, a seconda della fase del ciclo produttivo in cui essa sarà impiegata. Sono particolarmente critiche le fasi di candeggio, purga e lavaggio, tintura ed alimentazione caldaie. Un esempio interessante di parziale riutilizzo di acque residue è quello di stabilimenti tessili che effettuano la stampa di tessuti in cotone, che riutilizzano fino al 60% le acque residue per il lavaggio dei quadri di stampa; ciò è possibile sottoponendo i reflui a trattamenti di filtrazione, ossidazione biologica a fanghi attivi, sedimentazione e ozonizzazione. TRATTAMENTO E SMALTIMENTO DEI FANGHI

carboni attivi, per abbattere i solidi sospesi presenti e i microfiocchi di fango non sedimentati derivanti dalla sedimentazione secondaria, che andrebbero ad intasare i carboni attivi. Una filtrazione più spinta può essere ottenuta utilizzando membrane; difatti, la microfiltrazione, l’ultrafiltrazione, la nanofiltrazione e l’osmosi inversa sono processi di filtrazione ad alta pressione su membrane aventi micropori di dimensioni prestabilite. Con questi processi si ottiene acqua ad elevata purezza, trattenendo i soluti - scambio ionico, che si attua mediante l’azione di resine, cationiche o anioniche, che hanno la proprietà di cedere i propri ioni fissando

ca; trattamenti terziari successivi al trattamento biologico; trattamenti biologici, fisici e chimici combinati con l’aggiunta di carbone attivo in polvere e sali di ferro al sistema a fanghi attivi, e riattivazione dei fanghi in eccesso per “ossidazione umida” o “perossidazione umida” (se si usa acqua ossigenata); ozonizzazione dei composti resistenti prima del passaggio al sistema a fanghi attivi. vi sono poi altri trattamenti in via di sperimentazione: - decontaminazione solare, che sfrutta il naturale processo di fotodegradazione ultravioletta, potenziata con catalizzatori a base di biossido di titanio, per abbattere le

dano velocemente, portando a una distruzione superiore al 99% dei rifiuti organici e biologici, inclusi i solventi alogenati. Il sistema non produce né emissioni in atmosfera né ossidi di azoto; secondo alcune stime i costi sono inferiori del 50% rispetto a quelli necessari per incenerire la stessa quantità di rifiuti - decolorazione con funghi. Alcune specie di funghi (tra cui Phanerochate chrysosporum) hanno la capacità di mineralizzare molto rapidamente tutti i tipi di coloranti attraverso processi di perossidazione. Ricercatori olandesi hanno sviluppato una tecnica di decolorazione basata sull’uso combinato di degradazione con funghi coadiuvata da

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I fanghi derivanti dalla sgrassatura della lana possiedono eccellenti caratteristiche tecniche quando vengono mescolati con argilla nella fabbricazione di mattoni: questa soluzione è più economica del conferimento in discarica, del compostaggio e dell’incenerimento. I fanghi di depurazione vengono disidratati in genere mediante filtropressa a piastre; spesso la filtrazione è preceduta dal condizionamento chimico, effettuato con l’aggiunta di un polielettrolita cationico, cloruro ferrico o calce, in modo da ottenere una maggior percentuale di sostanza secca finale. Un’altra tecnica di smaltimento, raccomandata come B.A.T., è l’incenerimento dei fanghi con recupero di calore, purchè si tengano sotto controllo le emissioni di SOx, NOx e polveri, e si evitino emissioni di diossine e furani.


KLOPMAN

Il workwear sostenibile Capi in poliestere riciclato, cotone faitrade e/o organico per una collezione sostenibile, comfortevole e di durata Tessuti sostenibili per un ambiente migliore: è questo l’impegno di Klopman che, grazie a una nuova offerta di prodotti in poliestere riciclato, cotone faitrade e/o organico, si rivolge ai confezionatori di abiti da lavoro e alle aziende affinchè sostengano a loro volta un modello di business sempre più attento e consapevole. La produzione e commercializzazione di tessuti in blend 65% poliestere e 35% cotone, intuizione del visionario Bill Klopman nel 1968, ha fatto la fortuna dell’azienda che da allora è specializzata nei comparti workwear, protectivewear, corporatewear. Oggi, la fibra alla base dell’abito da lavoro può essere sostituita da corrispettivi in grado di ridurre l'impronta sull'ambiente, la conservazione delle risorse e di sostenere i Paesi in via di sviluppo. Il poliestere riciclato è infatti realizzato utilizzando il PET delle bottiglie di plastica come materia prima: una risorsa che altrimenti finirebbe in discarica. La sfida affrontata da Klopman è stata quella di sviluppare un prodotto sostenibile che mantiene inalterata l'immagine e lo standard del tessuto in termini di comfort e durata. Infine, una scelta consapevole nella selezione del cotone da utilizza-

re nel tessuto può passare attraverso due opzioni prese singolarmente o combinate tra loro: il cotone organico, coltivato con metodi e prodotti che hanno un basso impatto sull’ambiente (fertilizzazione biologica del terreno, eliminazione dell’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, etc.) oppure il cotone fairtrade, circuito internazionale da anni impegnato e attento alle condizioni di vita dei produttori di cotone e a sostegno delle comunità locali. Klopman ha sempre applicato un costante e appassionato impegno nell'innovazione in funzione della responsabilità etica, ambientale e

volta alla valorizzazione delle persone. Dalla selezione delle materie prime, alla tessitura, tintura e finitura, i tecnici dell’azienda lavorano costantemente per la minimizzazione delle sostanze tossiche, riduzione dei rifiuti, riduzione del consumo energetico e maggior impiego di energie rinnovabili. L’impegno globale “green” giornaliero dell’azienda comprende: - risparmio energetico, poichè produce il 70% del suo fabbisogno elettrico totale (4 MW) attraverso la cogenerazione, utilizzando il vapore del processo di produzione che altrimenti andrebbe disperso - riduzione degli spechi, poiché i

AQUA SPHERE

I costumi con i tessuti riciclati L’impiego di tessuti ottenuti con plastica riciclata per confezionare capi d’abbigliamento outdoor avviene già da tempo, ma il loro uso per realizzare costumi da bagno è invece una novità. Rappresenta questo un settore nel quale solo adesso i brand iniziano ad avvicinarsi, e tra i primi ad averlo fatto c’è Aqua Sphere, un’azienda italiana che produce

tutto ciò che occorre per il nuoto, e che ha cominciato a utilizzare i tessuti prodotti dall’americana Repreve, specializzata nel riciclo delle bottiglie di plastica. Da evidenziare che questi eco-costumi hanno caratteristiche identiche, se non migliori, ai costumi tradi-

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sottoprodotti liquidi impiegati nel processo di fabbricazione, attraverso un doppio passaggio di depurazione vengono poi scaricati nel fiume da cui erano stati prelevati, e l'acqua, ove possibile, viene riciclata - aria pulita, dato che si è dotata di sistemi di estrazione d'aria avanzati che, installati in tutta la fabbrica, filtrano e purificano l'aria minimizzando l’impatto di sostanze dannose verso l’esterno - riduzione delle emissioni a effetto serra, con valori addirittura al di sotto da quanto previsto dalla Direttiva 2003/87/CE (limite di emissione di CO2 fissato da Klopman è di circa 43.833 ton/anno mentre le emissioni prodotte nel corso del 2015 sono state Oltre alla certificazione ISO 9001:2008, Klopman International opera in conformità con gli standard europei per la gestione della qualità ed è certificato BS EN ISO 14001:2004 e BS OHSAS 18001:2007. zionali: non solo al tatto il tessuto Repreve è del tutto identico al tessuto tradizionalmente usato per i costumi, ma mantiene le caratteristiche originali, consente infinite e brillanti varianti di colore, assicura la protezione Uv dai raggi solari e, addirittura, ha il vantaggio di assicurare una maggiore ed elevatissima resistenza al cloro, facendo durare di più il ciclo di vita del costume usato in piscina. L’unico modo per sapere se il costume che si acquista è realizzato con il tessuto Repreve basta controllare il cartellino.


FILATO ALLA CASEINA

Il latte nel guardaroba Tessuti alla moda ottenuti da scarti industriali ed impiegando pochissima acqua Grazie al latte è possibile ottenere dei capi di abbigliamento 100% naturali e sani, biodegradabili e per di più sostenibili, perché per realizzarli non solo si parte dagli scarti industriali del latte (sovraproduzione del latte o latte scaduto), ma si impiega anche pochissima acqua rispetto a quella necessaria per produrre il filato di cotone (solo 2 l contro i 10.000 l per realizzare 1 kg di filato). Il risultato è un tessuto simile alla lana, antibatterico e termoregolatore, dermatologicamente testato e privo di additivi chimici. Il filato è nato dopo due anni di sperimentazione perfezionando la vecchia ricetta italiana del Lanital, prodotto negli anni 30-40 come sostituto economico della lana, ma per il quale venivano impiegate sostanze tossiche e dannose per l’ambiente. Alla base di tutto, comunque, c’è l’estrazione della caseina. Il latte viene versato dentro vasche di coagulazione, ossia grandi recipienti in cui viene riscaldato lentamente fino a raggiungere i 30 °C, poi passa nei tubi di coagulazione dove arriva ad una temperatura di 50 °C e viene miscelato

con acido cloridrico. In seguito all’aumento di acidità, le molecole di caseina si attraggono tra di loro separandosi dalla parte liqui-

da del latte e formando dei grumi, ossia il caglio. Una volta eliminata la componente liquida, il caglio viene trasferi-

2,5 GRAMMI A PAIO

consumi energetici, di acqua e di detersivi. Ma l’impiego del caffè esausto nell’abbigliamento era già stato precedentemente sperimentato: dalla Marks & Spencer, che ad inizio 2015 ha proposto scarpe realizzate con granelli di caffè e bottiglie di plastica; dalla Sloggi, che nel 2014 ha lanciato all'estero la collezione Love Cafè, ossia lingerie ottenuta da caffè riciclato; ancora prima è stata una società californiana che a marchio “virus” ha presentato una collezione di leggings, top e copricapo a base di fondi di caffè; e addirittura nel 2005 una ditta tessile di Taiwan, la Singtex, ha prodotto una linea di abbigliamento per l'allenamento sempre a base di caffè da riciclo.

I fondi di caffè nel tessile La nota ditta di abbigliamento American Eagle ha di recente lanciato sul mercato una nuova linea di jeans realizzati utilizzando nel tessuto anche fondi di caffè; per la precisione, 2,25 gr di caffè riciclato in ogni paio di pantaloni. Il motivo? Secondo la società americana, le naturali proprietà antibatteriche del caffè unitamente alla sua capacità di assorbire gli odori contribuiscono a tenere i pantaloni puliti più a lungo e quindi a ridurre il numero dei lavaggi, e di conseguenza a ridurre i Hi-Tech Ambiente

to in un essiccatore dove un getto d’aria calda sposta il caglio che passa attraverso lame rotanti; in questo modo mentre si essicca viene anche ridotto in granelli di piccole dimensioni. A questo punto la proteina in polvere è pronta per diventare un filo. Attraverso una tramoggia viene introdotta, insieme ad acqua ed altri ingredienti naturali segreti, in un impianto di estrusione dove viene scaldata 80 °C e mescolata fino ad ottenere un impasto morbido, poi spinto in una filiera, ossia una bocchetta con centinaia di piccoli fori che producono fili sottilissimi. I fili durante il loro percorso di caduta si solidificano e vengono spinti da un tecnico verso una macchina filatrice che, facendoli passare attraverso una serie di fusi, li avvolge insieme, per dare così vita ad una bobina di fibre di latte. Occorrono circa 55 litri di latte per ottenere 1 bobina. Adesso il filo è pronto per la tessitura e la tintura, per creare capi d’abbigliamento ma anche tappezzeria per auto, ad esempio, oppure per la preparazione di garze e bendaggi medici.

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La prima pelle dal vino 100% vegetale, 0% inquinante

Un nuovo prodotto ecologico realizzato con le fibre e gli oli contenuti nelle bucce, nei semi e nei raspi dell’uva Wineleather è la prima pelle 100% vegetale prodotta grazie ad uno speciale trattamento delle fibre e degli oli contenuti nella vinaccia, una materia totalmente naturale, costituita dalle bucce, semi e raspi dell’uva che si ricavano durante la produzione vinicola. Pelle dal vino, dunque, senza usare una goccia di petrolio, senza utilizzare sostanze inquinanti, senza consumare acqua e senza, ovviamente, uccidere nemmeno un animale. Si distingue anche dalle pelli “vegan” e quelle che vengono impropriamente chiamate “ecopelli” in quanto queste sono sintetiche e per la loro realizzazione vengono utilizzati prodotti chimici inquinanti. <<Abbiamo creato e brevettato un innovativo processo produttivo - spiega Gianpiero Tessitore, fondatore di vegea e ideatore di Wineleather – che trasforma le fibre e gli oli vegetali presenti nella vinaccia, in un materiale ecologico con le stesse caratteristiche meccaniche, estetiche e sensoriali di una pelle>>. Il risultato è una pelle di grandissima qualità con bassi costi di

anche dal fatto che Wineleather ha vinto il Global Change Award, considerato il premio internazionale più importante dell’economia circolare e dell’innovazione nel fashion business, promosso dal colosso della moda H&M che ogni anno sceglie in tutto il mondo cinque business innovativi e rivoluzionari, con una forte potenzialità industriale, nel campo della moda.

produzione, adattabile e facilmente lavorabile. <<Wineleather è un nuovo materiale Made in Italy - continua Tessitore - un nuovo modo di essere alla moda ed eco-friendly allo stesso tempo. In Italia, peraltro, le vinacce sono una materia che abbonda e di qualità, ed a breve realizzeremo veri e propri cru, delle selezioni speciali di pelle, da grandi produzioni vitivinicole>>. La materia prima di produzione

non manca. Nel mondo ogni anno sono prodotti 26 miliardi di litri di vino. Da questo processo produttivo si possono ricavare quasi 7 milioni di tonnellate di vinaccia da trasformare in una materia prima dal grande valore aggiunto. Calcoli alla mano si potrebbero produrre 3 miliardi di metri quadri di pelle vegetale l’anno di Wineleather. Ed un forte segnale di come l’Italia sia leader nell’innovazione della materia rinnovabile arriva

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DA RIFIUTO A RISORSA

Un cuoio veg da foglie d’ananas Pinatex è il nome dato ad un nuovo materiale estremamente resistente e flessibile che all’apparenza e per la sua specifica duttilità è molto simile al cuoio. Tuttavia, esso è ricavato dalle foglie di ananas mediante un metodo specifico messo a punto da una ricercatrice filippina, Carmen Hijosa ed oggi prodotto industrialmente dalla società britannica Ananas Ana. Questo cuoio alternativo non avendo alcuna derivazione animale è curiosamente definito “vegano”, sebbene non sia ancora eco-

solamente 480 foglie di ananas, corrispondenti a quelle presenti su 16 frutti soltanto. Pinatex è già stato scelto da alcune case di moda per la realizzazione di accessori decisamente belli, alla moda e di qualità, alcuni dei quali già disponibili sul mercato.

sostenibile al 100%. Per arrivare ad una totale biodegradabilità, infatti, è necessario trovare un trattamento completamente naturale per ricoprire il cuoio vegetale e renderlo più resistente. Studi e ricerche naturalmente proseguono,

sebbene, ad oggi, malgrado l’ultimo strato che compone il neo cuoio non sia biodegradabile, il Pinatex è quanto di più ecologico ci sia sul mercato. Per di più, per ottenere 1 mq di cuoio di medio spessore bastano

CON BIOPLASTICA E BIOvERNICE

L’ecomanichino in BPlast gliere. In ragione di ciò Bonaveri, lavorando con istituti di ricerca specializzati nei biopolimeri, è così arrivata a mettere a punto una bioplastica, detta BPlast, composta per il 72% da un derivato della canna da zucchero. Ma non è tutto, i manichini in B Plast vengono anche verniciati con BPaint, una vernice naturale biocompatibile composta esclusivamente da sostanze organiche rinnovabili.

Bonaveri, azienda specializzata nella produzione di manichini, ha avviato nel 2012 un ambizioso progetto di ricerca affidato al Politecnico di Milano, finalizzato a realizzare l’analisi del ciclo di vita del manichino (LCA) e quindi mi-

surare l’impatto ambientale di ciascuna fase: dalla progettazione alla spedizione dei prodotti. Questa analisi ha indicato nella materia prima utilizzata la criticità maggiore e nel fine vita del manichino la vera rivoluzione da coHi-Tech Ambiente

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Al termine della propria vita questo speciale ecomanichino biodegrada, rilasciando CO2 (la stessa che la canna da zucchero ha assorbito nella sua fase vegetativa) e acqua. Il manichino in BPlast è stato presentato nell’ambito del Green Carpet Challenge, l’evento annuale ideato da Livia Firth (Eco–Age) per promuovere la moda sostenibile e mostrare che è possibile unire etica ed estetica. <<E’ stato un percorso difficile e pieno di sorprese – afferma Andrea Bonaveri - ma grazie a impegno e competenza siamo oggi in grado di offrire un prodotto egualmente sostenibile quanto esteticamente ineccepibile>>.


RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

Di quanti inceneritori c’è bisogno? Lo dice il DPCM 10/8/2016

Secondo i vari parametri stabiliti per legge, su scala nazionale, sono da prevedere 8 nuovi inceneritori, più il potenziamento di alcuni degli impianti già esistenti Il Governo ha recentemente emanato un decreto mirante a individuare il fabbisogno residuo di impianti di incenerimento rifiuti del territorio italiano (DPCM 10/8/2016, pubblicato in GU n.233 del 5/10/2016), suddividendo questo fabbisogno nelle diverse Regioni.

di raccolta differenziata per le sole Regioni e Province autonome che hanno individuato, nella propria pianificazione regionale in materia di rifiuti, valori più ambiziosi rispetto al minimo di legge. Si stabilisce poi il principio di autosufficienza e prossimità (sancito dalla Direttiva 2008/98/CE), che significa evitare il ricorso all’esportazione dei rifiuti fuori Italia, e si assume come dato di partenza la conferma delle quantità di rifiuti urbani avviati direttamente ad incenerimento da ciascuna Regione nel 2014 (circa 2,7 mln di ton in totale). Il decreto stabilisce, inoltre, che la gestione dei rifiuti indifferenziati debba essere condotta secondo la disponibilità di capacità di pretrattamento e le previsioni dei piani regionali di ciascuna regione. Si è tenuto conto delle posizioni assai diversificate da regione a regione relativamente al trattamento preliminare dei rifiuti indifferenziati; in particolare, alcune regioni hanno previsto espressamente nella loro pianificazione di non inviare i rifiuti a trattamento preliminare ma di in-

LE CONDIZIONI AL CONTORNO

L’All. II al DPCM riporta una serie di condizioni, che rappresentano la base di calcolo per determinare il fabbisogno di ciascuna Regione. In primo luogo, è stata assunta come base per tale determinazione la produzione di rifiuti urbani registrata nel 2014 (pari a circa 29,655 mln ton); non rientrano in questa quantità i rifiuti ingombranti (447.000 ton nel 2014), che devono essere gestiti in modo separato, nella filiera di preparazione per il riutilizzo. In secondo luogo, viene posta come condizione il raggiungimento della percentuale di raccolta differenziata minima pari al 65% in ogni Regione; sono state considerate anche le diverse percentuali

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Di quanti inceneritori c’è bisogno? viare a incenerimento il rifiuto indifferenziato “tal quale”. Un’altra condizione riguarda gli impianti di trattamento preliminare di rifiuti con efficienza di produzione di frazione secca (FS) e combustibile solido secondario (CSS) pari al 65%. Per la determinazione del fabbisogno nazionale di incenerimento, si è tenuto conto della tipologia di flussi prodotti da tali impianti riferiti alla frazione identificata come FS e CSS, derivante a un processo di trattamento di selezione del rifiuto residuo indifferenziato per la produzione di una frazione umida biodegradabile destinata ai diversi processi di stabilizzazione, e una FS da cui ne può derivare la produzione di CSS. Sono confermate le quantità di FS e CSS avviate nel 2014 presso gli impianti produttivi. Infine, si assume che una quota degli scarti provenienti da raccolta differenziata (pari al 10%) vengano avviati a incenerimento. LA SITUAZIONE PER REGIONE

Il DPCM divide poi l’Italia in cinque macro aree (Nord, Centro, Sud, Sardegna, Sicilia), analizzando la situazione specifica di ciascuna di esse. Il Nord risulta essere tendenzialmente autosufficiente per quanto concerne il trattamento termico dei rifiuti urbani e assimilati. Solo in Veneto e Liguria si registra un elevato fabbisogno residuo di incenerimento (rispettivamente, 234.786 ton/anno e 174.759 ton/anno), mentre la Lombardia presenta addirittura un surplus di incenerimento pari a 578.931 ton/anno e ben 13 impianti distribuiti sul territorio. L’analisi per il Centro mostra un fabbisogno residuo di incenerimento pari a 523.918 ton/anno. Solo la Toscana è sostanzialmente autosufficiente, mentre le Marche presentano un elevato fabbisogno residuo (198.339 ton/anno). In essa non sono presenti impianti di incenerimento operativi (per l’unico impianto, sito a Tolentino, è stata sospesa la AIA), ma è prevista la realizzazione di un nuovo impianto di incenerimento con capacità pari a

190.000 ton/anno. Anche in Umbria si registra un fabbisogno residuo pari a 129.883 ton/anno, e questa regione è attualmente priva di impianti operativi; per questi motivi, l’Umbria è stata individuata per la realizzazione di un nuovo impianto di incenerimento di capacità pari a 130.000 ton/anno di rifiuti urbani e assimilati, tale da soddisfare il relativo fabbisogno residuo. Infine, in Lazio sono presenti 3 impianti di incenerimento operativi (più uno autorizzato ma non in esercizio), con una capacità di trattamento pari a 665.730 ton/anno (pari a poco più del 75% del fabbisogno di incenerimento regionale). Una quota significativa (circa il 10%) di rifiu-

ti urbani e di quelli derivanti dal loro trattamento sono destinati fuori regione, e perlopiù smaltiti in discarica. Nel 2014 la Regione Lazio è stata condannata dalla corte di giustizia europea, per non aver creato una rete integrata e adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili. Per questi motivi, è stata prevista la realizzazione di un nuovo impianto di incenerimento, con capacità di 210.000 ton/anno di rifiuti urbani e assimilati. L’analisi del Sud ha mostrato l’esistenza di un notevole fabbisogno residuo per questa area, pari a complessive 488.432 ton/anno. In particolare, la Regione Campania è stata condannata nel 2015

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dalla Corte di giustizia europea (per violazione dell’art.260 del Trattato sul funzionamento dell’UE), ed è oggetto di una procedura d’infrazione relativa ai Piani di gestione dei rifiuti per violazione dell’art.28, par.1, Dir. 2008/98/CE. Per questi motivi, è stata prevista la costruzione di un nuovo impianto di incenerimento (oltre a quello già in esercizio ad Acerra) di capacità di 300.000 ton/anno di rifiuti urbani e assimilati. Anche la Regione Abruzzo (in cui non sono presenti impianti di incenerimento operativi) è oggetto di una procedura di infrazione analoga a quella della Campania. L’Abruzzo presenta un fabbisogno di incenerimento residuo pari a 121.069 ton/anno, e quindi risulta giustificata la realizzazione di un nuovo impianto da 120.000 ton/anno. Infine in Puglia è stato stimato un fabbisogno residuo pari a 80.701 ton/anno, ragion per cui questa regione è stata individuata per il potenziamento degli impianti di incenerimento esistenti, fino a raggiungere una capacità di trattamento pari a 70.000 ton/anno. Attualmente in Sardegna sono presenti 2 impianti in esercizio, della capacità complessiva di 180.000 ton/anno; tuttavia, questa regione presenta un fabbisogno residuo di incenerimento pari a 120.885 ton/anno. La Sardegna è inoltre oggetto di una procedura d’infrazione relativa ai Piani di gestione dei rifiuti per violazione dell’art.30, par.1, Dir. 2008/98/ CE; perciò la regione ha comunicato il potenziamento degli impianti esistenti, con una potenzialità aggiuntiva pari a 20.000 ton/anno. Si tratta comunque di una misura insufficiente a coprire il fabbisogno residuo e, quindi, risulta necessario realizzare un nuovo impianto di incenerimento, fino al completo soddisfacimento delle esigenze. La Sicilia, infine, risulta priva di qualsiasi impianto di incenerimento dei rifiuti e, inoltre, è oggetto di pre-contenzioso europeo nonché di una procedura di infrazione analoga a quella della Sardegna, in quanto tuttora smaltisce in discarica la quasi totalità dei propri rifiuti urbani e assimilati. È quindi evidente l’assoluta necessità di realizzare almeno 2 impianti di incenerimento, di capacità pari al fabbisogno residuo (685.099 ton/anno).


SIMILE A UN MATERIALE CERAMICo

Il cemento fosfatico dagli scarti Per ottenerlo si possono usare svariati materiali tra cui inerti, fibre vegetali, truciolato di legno, coformulanti Bio Eco Active, progetta, produce (e brevetta) materiali “intelligenti” in grado di fornire applicazioni innovative bio ed eco compatibili e soluzioni tecnologicamente avanzate per le aziende. Ne è un brillante esempio il “cemento fosfatico” realizzato grazie ai materiali di scarto. Questa tipologia di cemento rientra nella famiglia dei materiali denominata CBPCs (chemically bonded phosphate ceramics), presentandosi come una classe di cementi idraulici dalle caratteristiche molto particolari, a cavallo tra un comune cemento e un materiale ceramico. Vengono ottenuti per idratazione con acqua di una miscela di polveri, portando ad un prodotto finito attraverso una reazione di “indurimento e-

Cemento fosfatico sviluppato da Bio Eco Active

sotermica”; il tempo di presa e indurimento sono estremamente modulabili agendo su composizione e caratteristiche delle polveri, e possono variare da pochi secondi a 30-40 minuti. Una vol-

ta indurito, il prodotto finito ricorda, per proprietà meccaniche, leggerezza, omogeneità e finezza, un materiale ceramico, anche se a differenza di questi, non necessita di alcun trattamento termico o cottura per arrivare a solidificazione. La sua particolarità è la possibilità di utilizzare materiali di scarto per ottenere la matrice del cemento stesso, come per esempio inerti (organici o inorganici), fibre vegetali, truciolato di legno, coformulanti, ecc. In fase di miscelazione, i cementi fosfatici mostrano quindi buona lavorabilità e buona affinità interfacciale per essere caricati con alte percentuali di materiali di scarto. Il suo indurimento può essere fatto avvenire entro uno stampo, otte-

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nendo un manufatto di forma e consistenza meccanica, voluta e, peraltro, completamente atossico. Le applicazioni commercialmente disponibili sono piuttosto limitate, soprattutto a causa della scarsa conoscenza di questo tipo di cemento; mentre, è curioso notare, come invece trovi maggior diffusione mediatica un suo “parente” affine, il cosiddetto cemento Sorel, caratterizzato però da importanti limiti fra i quali la scarsa tolleranza all’umidità. Cementi a base di fosfato erano più noti in epoche passate (come per esempio al tempo della Grande Muraglia Cinese), e vennero dimenticati con l’affermarsi del cemento Portland, leggermente più economico e facilmente gestibile, ma caratterizzato da proprietà finali considerevolmente inferiori, sia in termini di modulo che di proprietà isolanti (termiche, elettriche ed acustiche). Attualmente, si trovano in commercio alcune formulazioni utilizzate in applicazioni di nicchia. La scarsa attenzione dedicata a questo prodotto determina altresì che vi siano ancora grosse potenzialità di sviluppo.


Il recupero di metalli dai LED Progetto CYCLED

Si dovrà arrivare ad una filiera individuale del recupero ma, al momento, è bene migliorarne la progettazione tecnica ed applicare processi ad hoc di trattamento Il progetto europeo CYCLED (Cycling resources embedded in systems containing light emitting diodes) è stato istituito per ottimizzare l’uso efficiente e il riciclo di indio, gallio, elementi delle terre rare e dei metalli di transizione, senza compromettere i consolidati percorsi di riciclo per i metalli preziosi. I partner del progetto hanno quindi studiato dei metodi per ottenere un risparmio dei metalli rari nella produzione dei LED e aumentarne la relativa durata. Essi hanno inoltre studiato dei modi per migliorare la progettazione e la realizzazione dei LED con lo scopo di attivare il riciclo dei metalli di destinazione ottenuti dai prodotti LED a fine vita utile. È stato progettato un insieme di strumenti per aiutare una progettazione di prodotti LED efficiente in termini di risorse, fornendo strumenti di supporto per le varie fasi, le quali spaziano dalla progettazione tecnica alla valutazione ambientale. PROLUNGARE LA DURATA DEI PRODOTTI

I LED (diodi ad emissione di luce) rappresentano il futuro dell’illuminazione, in quanto sono altamente efficienti e adatti praticamente per tutte le applicazioni. È previsto quindi un notevole incremento del loro uso, e questo è senz’altro un fattore positivo in quanto contribuirà a ridurre i consumi di energia

elettrica e quindi le emissioni di Co2. Il rovescio della medaglia è che la produzione dei LED si basa su metalli rari, sia quelli più classici (come oro e argento) che altri come le cosiddette “terre rare”. La disponibilità di tutti questi metalli (che sono necessari anche per altre appli-

cazioni nel settore delle energie rinnovabili e in altre aree della tecnologia avanzata) potrebbe diventare un problema nel prossimo futuro, per cui è necessario utilizzare i LED in modo razionale e sviluppare sistemi di raccolta, selezione e riciclaggio al termine della loro vita utile.

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Teoricamente i LED possono durare 50.000 ore (quasi 6 anni di accensione ininterrotta!) o anche più; ma nella maggior parte dei casi sono inseriti come componenti di sistemi destinati ad avere una vita molto più breve. Molto spesso la vita utile dei LED risulta penaliz-


zata dall’inadeguata progettazione dei dispositivi accessori, come gli alimentatori ed i sistemi di dissipazione del calore. I risultati del progetto Cycled indicano che, anche nelle ipotesi più favorevoli, il tasso di recupero effettivo dei metalli che costituiscono i LED non supera il 30%: metà dei metalli vengono dispersi durante la fase di raccolta e 1/3 durante il pretrattamento e il trattamento finale. Inoltre, per alcuni metalli (come gallio, indio, cerio e europio), le concentrazioni nei raee sono per il momento insufficienti ad assicurare un minimo di recupero e questa situazione continuerà verisimilmente fino al 2020. Per tutti questi motivi, il primo passo per una gestione efficiente dei metalli rari e preziosi che sono presenti nei LED è il prolungamento della vita utile dei dispostivi che li contengono; nel quadro del progetto Cycled sono state elaborate alcune raccomandazioni di carattere tecnico, dirette sia ai produttori delle apparecchiature che agli utilizzatori finali. Ad esempio, per i lampioni stradali si raccomanda l’adozione di controlli attivi della temperatura, di sistemi di adeguamento dell’intensità luminosa al traffico, di riduzione dell’energia consumata in standby e di scelte ottimizzate dei componenti elettronici e dei loro collegamenti. In fase di produzione dei LED, l’adozione delle migliori tecniche oggi disponibili (B.A.T.) consentirebbe di ridurre del 50% il contenuto in “fosfori” (che sono le sostanze a maggior contenuto di metalli rari e preziosi) a parità di intensità luminosa. RACCOLTA E RIUTILIZZO

Attualmente i LED sono raccolti insieme ai raee; non esiste nessuna rete separata di raccolta e non ci sono i presupposti economici perché venga creata in un prossimo futuro. Tuttavia, una speciale marcatura per i prodotti che contengono LED, insieme ad accorgimenti costruttivi che ne consentano il facile smontaggio, sarebbe di grande aiuto nel creare una filiera del recupero. Questo vale soprattutto per le lampade LED di uso casalingo, che in assenza di separazione risulterebbero raccolte insieme alle lampade fluorescenti e, pertanto, sottoposte Continua a pag. 30 Hi-Tech Ambiente

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Il recupero di metalli dai LED ad un trattamento di eliminazione del mercurio che costa tra 1.000 e 1.300 euro/ton; mentre un trattamento “su misura” per il LED (che non contengono mercurio) costerebbe meno di 200 euro/ton. Quanto al riutilizzo dei LED “tal quali”, estraendoli dalle apparecchiature di rifiuti per poi re-inserirli in apparecchiature nuove o ricondizionate, l’analisi economica condotta nel quadro del progetto Cycled indica che non è economicamente proponibile, almeno con i costi della manodopera tipici dei Paesi europei; l’unica eccezione potrebbero essere i dispositivi di illuminazione industriale, per i quali si può ipotizzare che vengano raccolti grossi volumi di prodotti a fine vita aventi caratteristiche simili. TRATTAMENTI PER IL RICICLO

I principali costituenti metallici dei LED sono (nell’ordine): alluminio, rame, argento, oro e palladio. Tra le terre rare, quelle riscontrate più frequentemente sono ittrio, lutezio, cerio ed europio, che si trovano soprattutto nei LED a luce bianca. Il primo stadio del riciclo consiste nella separazione delle parti direttamente coinvolte nell’emissione luminosa (converters) dagli alimentatori (drivers). Questa separazione al momento deve essere fatta a mano e costituisce la voce principale nel costo del recupero. I drivers possono essere trattai con i normali processi termici degli altri raee. Il trattamento dei converters punta

a separare la frazione metallica da quella in materiali plastici. Il processo più idoneo sembra attualmente essere il Creasolv, originariamente sviluppato dal Fraunhofer Institute per il recupero delle plastiche dalle auto fuori uso. Dopo il trattamento Creasolv, nel quadro del progetto Cycled sono stati sperimentati vari processi per il recupero selettivo dei metalli rari e preziosi contenuti nei LED. Il processo più promettente è risultato un attacco con soluzioni alcaline forti a 150 °C, che lascia un residuo solido separabile in due fasi, una del-

le quali risulta fortemente arricchita in ossidi delle terre rare (soprattutto lutezio, in misura minore cerio ed europio). Al momento il lutezio ha un prezzo molto elevato (1.000 euro/kg) e questo potrebbe rendere il processo sostenibile dal punto di vista economico; tuttavia, non tutti i LED contengono lutezio e per essere sicuri della redditività del processo occorrerebbe che esistesse un sistema di marcatura che ne consentisse l’identificazione preliminare. Nel quadro del progetto Cycled, inoltre, è stata evidenziata l’impor-

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tanza (dal punto di vista ambientale) di recuperare l’alluminio, che è largamente utilizzato nei dissipatori di calore delle lampade a LED, e dovrebbe essere separato nelle fasi di pretrattamento. Insieme all’alluminio dovrebbero essere separati anche i circuiti stampati (contenenti rame, stagno e metalli preziosi) e, possibilmente, le parti in plastica; al momento queste separazioni sono realizzabili solo con metodi manuali, per cui occorrerebbero incentivi economici per rendere il processo conveniente.


Differenziata: costi e modelli La raccolta in Italia

Come si differenziano i rifiuti e quanto costa raccoglierli e gestirli. L’analisi su un campione di 15 milioni di cittadini Non c’è un modo unico per fare la raccolta differenziata. Raccolta porta a porta o raccolta stradale con campane e cassonetti, ma anche raccolta monomateriale o multimateriale. In Italia, anche per le sue caratteristiche geografiche, la gestione dei rifiuti è influenzata da diverse variabili e ogni città è una storia a sé. Dalla raccolta delle grandi città come Milano o Torino, si va alle peculiarità di Venezia dove i rifiuti si raccolgono con le barche nei canali; dalle città balneari come Rimini che vivono volumi differenti di rifiuti a seconda della stagione turistica, si passa alle città d’arte con la loro viabilità limitata dal patrimonio architettonico; per non parlare di comuni montani e isole. Come è meglio raccogliere vetro, plastica, carta, metallo e organico? Come cambia il costo del servizio di raccolta se basato su un unico cassonetto stradale, o anche sulle campane per il vetro e sui cassonetti per la carta? È più utile la raccolta monomateriale, che segmenta ogni tipologia di rifiuto o quella multimateriale che accorpa nello stesso cassonetto vetro-plastica-metalli oppure cartavetro-plastica-metalli? Quale è la scelta migliore perché un Comune raggiunga gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dalla legge? La scelta degli enti locali e il lavoro delle aziende di igiene urbana può presentare scenari totalmente differenti, che vengono studiati da alcuni anni e lo scenario è tracciato dai risultati dello studio “Analisi Costi Raccolta Differenziata Multimateriale”,

promosso da Utilitalia e realizzato da Bain, su un campione molto rappresentativo del Paese, pari al 24% della popolazione italiana. La fotografia scattata dalla ricerca offre alcuni dati su composizione, modelli, sistemi e analisi dei costi della raccolta differenziata, facendo anche una comparazione tra ritiro stradale e domiciliare. Le imprese che utilizzano almeno una modalità di raccolta multimateriale sono il 94%. I modelli di raccolta sono principalmente cinque, divisi in “leggero” (plastica-metalli e carta-plastica-metalli) e “pesante” (vetrometalli, vetro-plastica-metalli, carta-vetro-plastica-metalli). Il modello “leggero” incide per il 47%, quello “pesante” per il 53%. In tutti e cinque i modelli è presente la raccolta di metalli. Quelli più diffusi sono: plastica-

metalli (42%), vetro-plastica-metalli (25%), vetro-metalli (23%). Guardando alla categoria di rifiuto, per il vetro il modello più diffuso è quello vetro-metalli (23%), per la plastica è plastica-metalli (62%), per i metalli è plasticametalli (36%). Il porta a porta vince, sia pur di poco, con il 51% sulla raccolta stradale (49%). Nello specifico, quando il modello è il “multimateriale leggero” prevale il porta a porta, con il 56%; quando invece il modello è il “multimateriale pesante” la raccolta stradale arriva al 60%. oltre il 30% dei rifiuti della differenziata sono raccolti con modalità multimateriale: circa 1,9 milioni di ton/anno (6% della produzione totale di ru) su un totale di oltre 6,3 milioni di ton. Sono oltre 119 mila le ton di carta e cartone (pari al 4% del totale) raccolte; più di 839 mila quelle di vetro (48%); quasi 819 mila

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di plastica (70%); oltre 132 mila di metalli (51% del totale). La percentuale sale al 56% escludendo dal computo carta e cartone. Perciò, considerando soltanto plastica, vetro e metalli sono quasi 1,8 milioni le ton raccolte con modalità multimateriale su un totale di quasi 3,2 milioni di ton. <<Non c’è un unico modo di fare le cose – osserva il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – ci sono delle variabili che cambiano in base alle caratteristiche del territorio, della popolazione, della stagionalità. Le aziende, in generale, sono attente a tutti i modelli che si stanno sviluppando perché soltanto da un’analisi comparata di dati effettivi, riscontrabili e statisticamente rappresentativi, si riescono a fare scelte di efficienza industriale e di riduzione dei costi di gestione>>. Il costo di raccolta del multimateriale in Italia è pari a 185 euro/ton. In generale per la raccolta multimateriale il porta a porta costa di più, con una differenza che oscilla tra il 30 e il 40%. Costi maggiori che vengono riassorbiti però dal trattamento industriale successivo, che è naturalmente più basso quando concentrato su un'unica tipologia. Guardando invece alla comparazione dei costi, emerge mediamente una maggiore convenienza della raccolta con il sistema multimateriale rispetto a quello monomateriale. La ricerca rileva anche come, a fronte di una maggiore efficienza, i valori di intercettazione della differenziata procapite siano mediamente più bassi.


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B I o g a s

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B I o M e ta n o

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C o g e n e r a z I o n e

Da semi a biomateriali Il progetto MultiBioPro

Pioppo e tabacco come valide materie prime per una gamma di bioprodotti, inclusi biodiesel e bioplastiche L’UE ha messo lo sviluppo di biocombustibili evoluti e prodotti derivati da biomassa al centro della sua bioeconomia e delle sue strategie energetiche. Ma per rendere i prodotti di origine vegetale realmente competitivi rispetto alle fonti tradizionali è necessario fare ricerche sui processi biologici e chimici di una pianta, migliorare i metodi per estrarre e raffinare gli oli utili e sviluppare un settore basato su prodotti derivati da biomassa che attragga gli investimenti privati. Il progetto europeo MultiBioPro ha affrontato tutte queste sfide sviluppando e mettendo in campo delle colture polivalenti capaci di fornire una migliore estraibilità della biomassa e nuove fonti di oli non alimentari, biomateriali e altri preziosi bioprodotti che possono portare benefici alla società nel suo insieme. Un grave ostacolo sulla strada dello sviluppo di un mercato solido dei biocombustibili è rappresentato dal fatto che a volte i danni causati da questi combustibili sono superiori ai vantaggi che essi portano. Questo accade perché i biocombustibili di prima gene-

razione sono ottenuti prevalentemente da colture agricole come il seme di colza e l’olio di palma. Queste piante hanno un effetto indiretto sui cambiamenti nella destinazione del suolo, facendo sì che degli ottimi terreni agricoli siano destinati alla coltivazione di colture per biocombustibili e non più alla produzione di cibo. Per questo motivo, i decisori politici stanno chiedendo un passaggio a piante legnose che possono crescere su terreni marginali inadatti per coltivare altre colture, ed è qui che entra in scena il progetto MultiBioPro. Il progetto si concentra su due specie di piante che sembrano promettenti come materie prime per bioprodotti di

dell’Istituto Max Planck e coordinatore del progetto – offrendo prestazioni simili al mais che è attualmente la fonte preferita di materie prime. La pianta di tabacco ha anche mostrato un buon potenziale quale materia prima per la produzione di bioplastica, che potrebbe prima o poi sostituire la plastica basata su combustibili fossili.” Per trasformare queste piante in combustibile, per prima cosa i ricercatori hanno dovuto comprendere i componenti strutturali della loro biomassa e come questa poteva risultare preziosa nello sviluppo di materiali. Successivamente, hanno sfruttato queste conoscenze per creare dei materiali con delle proprietà persino superiori rispetto ai materiali naturali formati dalle piante stesse. Con queste informazioni e insieme ai partner industriali del progetto, i ricercatori hanno potuto iniziare a identificare possibili nuovi mercati capaci di soddisfare le necessità di utenti reali. “I nostri ricercatori hanno valutato non solo il valore produttivo di queste piante, abbiamo anche valutato le differenze strutturali nelseconda generazione: tabacco e pioppo. “Abbiamo determinato che gli alberi di pioppo e le piante di tabacco possono fungere da valide materie prime per la bioraffinazione - dice Alisdair Fernie,

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olio da cucina usato disponibile. Per creare un mercato del biodiesel redditizio era necessaria una fonte sostenibile a lungo termine di materie prime per il biodiesel. La ricerca in laboratorio di MultiBioPro è stata applicata direttamente allo sviluppo di un merca-

to per i bioprodotti. I ricercatori hanno scoperto che un possibile sostituto per l’olio da cucina è la pianta di tabacco. La pianta, che può essere coltivata su terreni marginali che sono altrimenti inadatti per scopi agricoli, può essere prodotta su larga scala senza

le proprietà delle loro pareti cellulari allo scopo di accertare delle possibili applicazioni commerciali”.

andare direttamente in competizione con le colture alimentari. Attualmente, gli scienziati stanno cercando di capire quale qualità di diesel può essere prodotta da questa pianta e se questo combustibile è in grado di soddisfare gli standard internazionali. Concentrandosi sulla ricerca e su soluzioni basate sul mercato, MultiBioPro è destinato a fornire un contributo duraturo in vista di un futuro energeticamente sostenibile. Diverse aziende sia esterne sia partner, infatti, hanno già manifestato l’interesse a portare avanti le ricerche, anche se su scala più piccola, sulla base dei promettenti risultati ottenuti attraverso MultiBioPro.

LINEA DIRETTA DAL LABORATORIO AL MERCATO

Un esempio di questa linea diretta dal laboratorio al mercato che il progetto MultiBioPro sta sviluppando è quella riguardante il biodiesel. Tradizionalmente, le aziende hanno MultiBioPro l’olio da cucina quale materia prima per produrre biodiesel. Il problema con questo modello aziendale, tuttavia, è rappresentato dal fatto che esiste una scorta limitata di

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Hera: da biorifiuti a biometano raccolta differenziata dell'organico

Un circuito virtuoso che parte dalle famiglie e ritorna ai cittadini presto sarà possibile grazie al nuovo impianto di S. Agata Bolognese (BO) Un investimento di 30 milioni di euro che consentirà ogni anno la produzione, a regime, di 20.000 tonnellate di fertilizzante naturale di alta qualità e 7,5 milioni di metri cubi di biometano, combustibile rinnovabile al 100%. Si parte dalle famiglie con gli scarti provenienti dalla cucina di casa, cioè il rifiuto organico separato per la raccolta differenziata, e si torna al territorio, grazie all’immissione in rete del gas prodotto, per alimentare mezzi privati o del trasporto pubblico o per usi domestici, come cucinare o riscaldarsi, con immediati benefici per la qualità dell’aria. E’ il ciclo virtuoso immaginato, e presto realizzato, da Hera, attraverso la produzione di biometano, un combustibile sostenibile e rinnovabile, nel nuovo impianto che l’azienda realizzerà a S. Agata Bolognese (BO) entro il 2018, all’interno del sito di compostaggio già presente e attivo, senza alcun consumo ulteriore di suolo. Un progetto importante, che consentirà di evitare l’utilizzo di oltre 6.000 tonnellate di petrolio all’anno e che prende spunto da iniziative simili realizzate nelle realtà eu-

ropee più avanzate nel campo del recupero dei rifiuti, quali Scandinavia e Olanda. L’impianto si allineerà, quindi, alle migliori tecnologie previste dalla Unione Europea per l’economia circolare e agli indirizzi regionali per il trattamento della frazione organica, e avrà dimensioni significative perché richiederà un investimento complessivo di circa 30 milioni di euro. L’iter autorizzativo è stato completato con l’approvazione da parte della Giunta regionale ed a breve partiranno i lavori. DAI RIFIUTI ORGANICI IL BIOMETANO

Già da anni Hera produce biogas

per la generazione di energia elettrica rinnovabile, attraverso i biodigestori e le discariche, ora però si tratta di raffinarlo per farne del biometano perfettamente analogo a quello che alimenta i mezzi o scorre nei tubi di casa. Nel nuovo impianto di S. Agata Bolognese i rifiuti organici saranno soggetti a un processo di biodigestione anaerobica per la produzione di biogas. In sostanza il rifiuto organico, triturato e vagliato, rimarrà per circa 21 giorni in 4 digestori orizzontali, chiusi ermeticamente, dove idonei microrganismi compiranno il processo di digestione producendo biogas, costituito da metano e anidride carbonica, che verrà sottoposto a una operazione di upgrading (purificazione)

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attraversando in controcorrente acqua pressurizzata: l’anidride carbonica si scioglierà separando così il metano. Si otterrà quindi biometano, un gas con una percentuale di metano superiore al 95%, una fonte di energia completamente rinnovabile. Al termine del processo di digestione, alla parte solida organica in uscita verrà aggiunto materiale lignocellulosico per ottenere una massa compatta che sarà avviata a una fase di compostaggio da cui si ricaverà compost di qualità, utilizzabile come terriccio per vasi o fertilizzante in agricoltura. Nell’impianto di biometano di S. Agata Bolognese, quindi, si avvierà un processo con grandi potenzialità: grazie all’implementazione delle nuove e migliori tecnologie di digestione anaerobica (la svizzera Kompogas) e up-grading (la svedese Malberg) si produrrà biometano senza rinunciare al recupero di materia e alla produzione di compost per agricoltura. Da 100.000 tonnellate annue di rifiuti organici della raccolta differenziata, a cui si sommeranno 35.000 tonnellate dalla raccolta di verde e potature, sarà possibile ricavare a regime 20.000 tonnellate di compost e 7,5 milioni di metri cubi di biometano, evitando un utilizzo di combustibile fossile pari a oltre 6.000 tonnellate equivalenti di petrolio annue, pari a 14.600 tonnellate di CO2 evitate. Il biometano potrà così diventare carburante per Continua a pag. 36


IMPIANTI A BIOGAS PIU’ rEDDITIzI

Il controllo dell’olio motore La biomassa è una delle più grandi e importanti opzioni per l’energia rinnovabile attualmente disponibili. In Europa, vi sono attualmente oltre 13.800 impianti a biogas con ampi margini di miglioramento per aumentare la produttività e la redditività. Ad esempio, le operazioni relative ai biogas spesso soffrono di alti costi associati alla degradazione degli oli, che può portare a usura corrosiva e guasto precoce dei componenti del motore. L’iniziativa europea Condimon (Development of an in-line multiparameter oil condition monitoring system including a novel oil corrosion sensor for bio-gas operated power generator engines) ha lavorato per sviluppare un sistema di sensori per il monitoraggio della qualità dell’olio nei motori a biogas. L’innovativo sistema valuta i più importanti parametri della condizione dell’olio, inclusa la sua corrosione (aci-

dità), e indica quando il lubrificante deve essere cambiato. I ricercatori coinvolti nel progetto hanno utilizzato un nuovo senso-

re per la corrosione, in aggiunta a elementi commerciali di rilevamento che misurano permettività, conduttività, viscosità, tempera-

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tura e umidità. Il team ha integrato questi sensori in un sistema di acquisizione dati con PLC e ha elaborato i dati utilizzando un nuovo algoritmo. Sono stati anche sviluppati la cassa e l’unità di alloggiamento del sensore oltre ai componenti elettronici per la lettura del segnale del sensore e per controllare il sistema di acquisizione dati PLC. I ricercatori hanno prodotto un sistema multisensoriale capace di fornire agli operatori di impianti a biogas degli utili dati relativi alla qualità dell’olio in tempo reale e online. Il nuovo sistema multisensoriale dovrebbe ridurre i costi di manutenzione dei motori a biogas e garantire una maggiore durata del motore stesso.


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sito venivano conferiti rifiuti indifferenziati per essere trattati e smaltiti nell’attigua discarica. Una volta esaurita quest’ultima, Herambiente, in coerenza con gli obiettivi dell’economia circolare, ha scelto di non ampliarla, pur essendo già in possesso dell’autorizzazione e previsto dalla pianificazione provinciale. I macchinari e le lavorazioni del nuovo impianto saranno al chiuso nei fabbricati, e ciò consentirà di ridurre al minimo l’impatto acustico e odorigeno verso l’esterno. E’ previsto anche il potenziamento del sistema di trattamento dell’aria dell’attuale impianto di compostaggio per abbattere gli odori prodotti dalle fasi di lavorazione del materiale. La sezione di compostaggio sarà svolta in celle, realizzate internamente ai fabbricati, chiuse e aspirate una a una. Le arie esauste aspirate saranno avviate a un sistema di deodorizzazione costituito da biofiltri e dall’unità di lavaggio ad acqua (scrubber), una tecnologia già utilizzata nel nord Europa in impianti analoghi. Inoltre, sarà realizzato un locale filtro, denominato avanfossa, in corrispondenza

Hera: da biorifiuti a biometano i veicoli a metano e per il trasporto pubblico locale, grazie a partnership con aziende di trasporto pubblico locale, ed i cittadini potranno muoversi su automezzi totalmente alimentati dal nuovo combustibile green. Si tratta di un'iniziativa che, se replicata, può rappresentare un contributo importante per la strategia energetica nazionale e per il raggiungimento dei target europei del 20-20-20. UN IMPIANTO RICONVERTITO E AMMODERNATO

Con questo progetto di riconversione e ammodernamento, si interviene su un sito esistente in cui da molti anni è presente e operativo un impianto autorizzato per quantità maggiori rispetto a quelle ora previste a regime (si passerà da 150.000 a 135.000 ton/anno, con conseguente riduzione del traffico veicolare) e che tratterà esclusivamente rifiuti provenienti da raccolta differenziata. In precedenza, nel

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dell’area di conferimento e stoccaggio rifiuti, che avrà la funzione di isolare ulteriormente l’area di scarico e stoccaggio del rifiuto in ingresso dall’ambiente. Non sono, dunque, previsti impianti di combustione. UNA SOLUZIONE INNOVATIVA PER IL MERCATO ITALIANO

Le tecnologie utilizzate nell’impianto sono frutto di ricerche, studi e gare europee che hanno portato a selezionare il meglio di ciò che og-

centrano le politiche innovative di Hera, con l’obiettivo di valorizzare, traendone il massimo beneficio, gli scarti e i rifiuti - commenta Tomaso Tommasi di Vignano, presidente esecutivo del Gruppo Hera – e per questo stiamo lavorando a vari progetti e il più importante è l’impianto di biometano di S. Agata Bolognese, che rappresenta anche la risposta concreta al bisogno di trattamento dei crescenti volumi di rifiuti raccolti in modo differenziato e alla esigenza di contribuire al miglioramento della qualità dell’aria e dell’impronta di carbo-

Tomaso Tommasi di Vignano, presidente Gruppo Hera

gi è sul mercato. Il progetto sta già diventando un benchmark per il mercato italiano e sarà sicuramente di indirizzo per il paese. Non dimentichiamo che è attesa entro l’estate la nuova normativa nazionale che promuoverà questa tipologia di impianti in quanto fonte di energie rinnovabili, incentivando in particolare la produzione di biometano a uso autotrazione, una normativa che darà certamente ulteriore impulso a progetti come questo. <<La sostenibilità ambientale e l’economia circolare sono tra i principali filoni nei quali si con-

nio. Il progetto è in linea con i nuovi indirizzi contenuti nel pacchetto “Clean energy for all” della Commissione Europea sia su efficienza energetica, per ridurre il consumo di fonti fossili, sia su produzione di biocarburanti di seconda generazione, fra cui il biometano, provenienti da rifiuti invece che da prodotti coltivati. Inoltre, stiamo già studiando processi innovativi per valorizzare altre filiere, quali i fanghi da depurazione e le potature, per ottenere combustibili di nuova generazione>>. Hi-Tech Ambiente

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energia

eco-energia sempre disponibile Progetti in corso

Da quello francese MoDiS–H2, per la produzione, stoccaggio e uso di idrogeno da fonti rinnovabili, fino a quelli italiani H2 Power e H2 SudTyrol

Console LabView, analisi gas di scarico, termo coppie, controllo ECU, navigatore (H2 Power)

Schema progetto MoDiS-H2 Hi-Tech Ambiente

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Fase di rifornimento (H2 Power)

È noto che le fonti rinnovabili di energia elettrica (solare ed eolico) hanno il problema della discontinuità, che ne ha finora limitato l’utilizzo. Questo problema potrebbe essere superato producendo idrogeno (per elettrolisi dell’acqua) nei periodi in cui l’elettricità rinnovabile è in eccedenza; l’idrogeno potrà poi essere immesso in una rete di distribuzione, analoga a quella oggi esistente per il metano, e utilizzato per produrre energia meccanica in ambito industriale, per la propulsione di autoveicoli o per produrre energia elettrica (mediante pile a combustibile) in momenti di punta della domanda. A questo proposito è stato ideato il progetto francese MoDiS-H 2 (Modelisation et Diagnostic des Systemes multi-sources pour la production et le stockage d’Hydrogene). Tuttora in corso, si propone di sviluppare metodi innovativi per la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili e per lo stoccaggio e l’utilizzo dell’idrogeno stesso. Il progetto si svolge in due fasi: prove di simulazione e impianto pilota. Le prove di simulazione comprendono l’elaborazione di modelli matematici del sistema mediante il sistema HBG (Hybride Bond Graph), lo studio del dimensionamento previsto per l’impianto pilota, la previsione delle sue modalità ottimali di funzionamento e l’approntamento di strumenti diagnostici per l’identificazione e la soluzione dei problemi


e degli algoritmi relativi. Il sistema che è stato elaborato consente la registrazione in continuo degli input di energia elettrica da parte dei generatori solare ed eolico, e dell’eventuale prelievo di energia dalla rete; inoltre, visualizza lo stoccaggio dell’idrogeno prodotto dall’elettrolizzatore. L’unità dimostrativa, o impianto pilota, sarà composta da: sistemi per la produzione di idrogeno con elettricità di diverse provenienze; unità di stoccaggio dell’idrogeno prodotto; sistemi di utilizzazione mediante motori alternativi o pile a combustibile. Si prevede che l’unità dimostrativa sarà installata presso il laboratorio CrIStAL dell’Università di Lille; il suo compito sarà soprattutto la verifica dei modelli e dei parametri elaborati nella fase di simulazione, in modo da garantire la loro applicabilità pratica in un sistema caratterizzato da elevata qualità del servizio. Le apparecchiature previste sono di taglia piuttosto ridotta: generatori eolici da 350-450 W, pannelli fotovoltaici da 400 W, gruppo elettrolizzatore di capacità intorno a 60 litri/ora di idrogeno, bombole da 760 litri per lo stoccaggio dell’idrogeno, pile a combustibile da 1.200 W. È prevista la connessione dell’unità alla rete nazionale di distribuzione dell’energia elettrica, in modo da compensare eventuali situazioni di sovra-produzione o sotto-produzione dell’energia elettrica generata dall’unità dimostrativa. Una volta completata l’installazione dell’apparecchiatura dimostrativa, sarà verificata la validità degli algoritmi di simulazione dei difetti e dei parametri di funzionamento ottimale elaborati dal simulatore.

pianto, situato a Bolzano, comprende 3 elettrolizzatori modulari, in grado di produrre fino a 180 Nmc/ora di idrogeno. L’idrogeno prodotto viene utilizzato per rifornire fio a 15 autobus urbani, con percorrenze giornaliere di 200-250 km. Il progetto H2 Power si è invece concentrato sull’uso di miscele metano+idrogeno (idrometano) nei veicoli di trasporto urbano, approfondendo il tema delle modifiche alla centralina di comando e dei sensori che agiscono sul processo di combustione. E’ stato

Progetto H2 Power

Fase di registrazione dei consumi (H2 Power)

ALTRI PROGETTI IN CORSO

Il progetto francese MoDiS-H 2 non è l’unico che punta alla produzione di idrogeno da fonti energetiche rinnovabili: in Italia sono in avanzata fase di realizzazione due progetti con obiettivi analoghi, uno nell’area di Perugia (H2 Power) ed uno in Alto Adige (H2 SudTyrol). Quest’ultimo progetto, iniziato 10 anni fa, ha portato alla realizzazione di un impianto di produzione di idrogeno considerato tra i più grandi e innovativi a livello mondiale: l’im-

Preparazione degli strumenti di misura (H2 Power) Hi-Tech Ambiente

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possibile verificare che l’adozione di una miscela al 35% di idrogeno non comporta problemi di funzionamento e consente di ottenere notevoli vantaggi ambientali: una riduzione delle emissioni di monossido di carbonio tra l’80 e il 90% e una riduzione della CO 2 emessa (rispetto all’uso di metano puro) tra il 20 e il 40%. Sono state inoltre ottenute significative riduzioni nei consumi (circa il 30% in peso in meno rispetto al metano). E’ recente la fondazione di un Ente di ricerca, denominato “Hydrogen Council”, che destinerà nei prossimi 5 anni finanziamenti di quasi 11 miliardi di dollari allo sviluppo di progetti aventi al centro l’idrogeno. Uno dei fondatori del neonato Ente è la Shell, che ha già in esercizio stazioni di rifornimento di idrogeno in Germania e negli Stati Uniti; la stessa Shell ha annunciato l’installazione di “pompe all’idrogeno” in una sua stazione di servizio lungo l’autostrada inglese M25.


La generazione distribuita Vantaggi e svantaggi

Esistono impianti di medio-grandi capacità, di piccola generazione e di microgenerazione, quest’ultimi in netto sviluppo produzione distribuita gli investimenti sono minori, ma le economie di scala sono ancora possibili puntando sulla standardizzazione e sulla modularità - a parità di fonte di produzione, un piccolo impianto inquina generalmente di più, a causa della ridotta efficienza e delle limitate tecnologie antinquinamento; esistono però fonti energetiche particolarmente “pulite”, che non si prestano all’impiego nei grandi impianti (ad esempio il fotovoltaico) - la produzione distribuita richiede sistemi di automazione informatici più capillari e complessi per il controllo dei numerosi piccoli impianti sparsi sul territorio (smart grids); inoltre, le fonti energetiche rinnovabili basate su sole e vento creano difficoltà nell’assicurare la continuità della fornitura di elettricità, a causa del loro carattere intermittente, poco prevedibile e non controllabile - mentre i grandi impianti sono allacciati alla rete di alta tensione, quelli piccoli sono collegati in media o bassa tensione; a parità di distanza, il trasporto di energia a bassa tensione comporta un aumento delle dispersioni di energia elettrica; tuttavia, nella generazione distribuita gli impianti di produzione sono posti in prossimità dei luoghi di utilizzo, e ciò riduce le distanze che l’energia deve percorrere con un sostanziale azzeramento delle dispersioni. Nell’ambito della generazione distribuita si distinguono: GD, ossia impianti medio-grandi (capacità > 1 MW); GD10, ossia impianti di piccola generazione (capacità tra 0,05 e 1 MW); PG, ossia impianti di microgenerazione (capacità < 0,05 MW).

Col termine “generazione distribuita” (GD), secondo la definizione della Direttiva 2009/72/CE, si intende la produzione di energia elettrica in unità di piccole dimensioni, sparse in più punti sul territorio e allacciate direttamente alla rete elettrica di distribuzione a bassa tensione: si tratta, quindi, di un sistema di produzione decentralizzato che si contrappone al tradizionale modello centralizzato in cui la produzione elettrica è concentrata in poche grandi centrali, collegate alla rete mediante elettrodotti ad alta tensione. La generazione distribuita presenta una serie di vantaggi e svantaggi rispetto alla produzione centralizzata: - la produzione centralizzata necessita grandi investimenti e concentra la fornitura elettrica nella mani di pochi produttori, che possono sfruttare le economie di scala dovute alle dimensioni degli impianti; con la

LA PRODUZIONE ITALIANA DI ENERGIA ELETTRICA

Su un totale di 267 TWh di energia Hi-Tech Ambiente

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elettrica prodotta in Italia nel 2014, l’energia prodotta in impianti GD è stata pari a 64,3 TWh (circa il 23% dell’intera produzione nazionale di elettricità), con un modesto incremento (+0,9 TWh) rispetto al 2013. Per quanto riguarda in particolare gli impianti GD10, la produzione lorda di energia elettrica nel 2014 è stata pari a 52 TWh (pari a circa il 18% dell’intera produzione nazionale, con un incremento di circa 4,8 TWh rispetto all’anno precedente); di essa, 9,84 TWh sono stati consumati in loco, mentre 40,3 TWh sono stati immessi in rete. Nel 2014 risultavano installati 657.180 impianti, così distribuiti: 3.076 impianti idroelettrici, con una produzione pari a 12 TWh; 4.143 impianti termoelettrici, con una produzione pari a 17 TWh; 1 impianto geotermoelettrico, con una potenza pari a 0,006 TWh; 1.579 impianti eolici, con una potenza pari a 1 TWh; 648.381 impianti fotovoltaici, con una produzione pari a 21 TWh. Gli impianti esclusivamente alimentati da fonti rinnovabili rappresentano il 99,7% degli impianti totali GD e GD10. Considerando invece gli impianti PG, il mix di fonti è più spostato verso la produzione

da energia solare e biomasse, biogas e bioliquidi, con una scarsa incidenza delle fonti non rinnovabili. In maggior dettaglio, il 98,2% dell’energia elettrica prodotta dagli impianti PG è di origine rinnovabile (in particolare energia solare, con un’incidenza del 58,7%). Gli impianti alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili rappresentano il 99,8% degli impianti totali PG e il 98,6% della potenza efficiente lorda totale in PG. UBICAZIONE DEGLI IMPIANTI E DESTINAZIONE DELL’ENERGIA

Gli impianti termoelettrici classici si trovano nelle vicinanze dei luoghi di consumo, in quanto la loro funzione è soddisfare le richieste locali di energia; gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, invece, sono situati nei luoghi in cui si trovano le risorse di cui essi si alimentano (salvo che per gli impianti fotovoltaici, che non hanno praticamente vincoli di reperibilità, in quanto il sole è dappertutto). Con riferimento alla destinazione Continua a pag. 42

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La generazione distribuita dell’energia elettrica prodotta e immessa in rete, il 28,5% del totale dell’energia elettrica prodotta è stata ceduta direttamente sul mercato, il 23,5 % utilizzato per altroconsumo e impieghi ausiliari, mentre il restante 48% è stato ritirato dal GSE. Il consumo “in loco” è particolarmente rilevante per gli impianti termoelettrici, dove rappresenta il 38%. Questi dati evidenziano il ruolo tuttora prevalente del GSE: la generazione distribuita è ancora lontana dal poter costituire “isole” indipendenti dalla rete nazionale, al contrario di quanto avviene in altri Paesi. LE TIPOLOGIE IMPIANTISTICHE

Impianti termoelettrici. Nell’ambito della GD termoelettrica, è molto rilevante l’utilizzo del gas naturale, seguito dal biogas; seguono biomasse, rsu e bioliquidi .Il biogas è invece la fonte maggiormente impiegata per la GD10 (46,1%), seguito dal gas naturale (39,5%); seguono bioliquidi, biomasse e rsu. In generale si nota, per la GD10, un maggior impiego delle fonti rinnovabili (biogas in particolare) rispetto alla GD, a causa della presenza in GD di impianti termoelettrici alimentati da gas naturale e di potenza maggiore o uguale a 10 MVA connessi alla rete di distribuzione; l’89% degli impianti GD sono costituiti da motori a combustione interna, per lo più di taglia fino a 1 MW. Nel 2014 la produzione GD10 termoelettrica è stata pari a 17,3 TWh, con 4.143 impianti in esercizio, e una potenza efficiente lorda totale pari a 3.972 MW. Quanto alla PG, nel 2014 la produzione termoelettrica è stata pari a 8.331 GWh, con 3.315 impianti in esercizio e una potenza lorda totale pari a 1.551 MW. Impianti idroelettrici. Nel 2014, la fonte idrica ha rappresentato la seconda per la produzione di energia elettrica, sia nell’ambito della GD che della GD10, con 12,3 TWh di elettricità prodotta da 3.076 impianti per 2.726 MW (pari al 20,4% dell’intera produzione idroelettrica italiana). In particolare, gli impianti ad acqua fluente, in termini di produzione lorda, incidono sul totale idroelettrico per circa il 79,9% nell’ambito della GD e per l’87,7% nell’ambito della GD10, mentre l’incidenza a livello nazionale è pa-

LA GD NEGLI ALTRI CONTINENTI

ri al 42,6%. Per quanto riguarda la PG, nel 2014 sono stati prodotti 3.148 GWh da fonte idrica (11% dell’intera produzione lorda da impianti PG) attraverso 2.304 impianti per una potenza installata totale pari a circa 678 MW; di questi, circa il 97% sono ad acqua fluente. Impianti fotovoltaici. L’analisi dei dati relativi agli impianti fotovoltaici mostra una notevole crescita del numero di impianti nel 2014. In quell’anno, la produzione lorda di elettricità dagli impianti fotovoltaici di GD è stata pari a 20.853 GWh, mentre la produzione lorda di energia elettrica da impianti fotovoltaici di GD10 è stata pari a 21.177 GWh, relativa a 648.381 impianti per una potenza efficiente lorda totale pari a 17.805 MW. Impianti eolici. Gli impianti eolici sono poco diffusi nell’ambito della GD e della GD10, a causa della loro elevata potenza. Nel 2014, nell’ambito della GD10, risultavano installati 1.579 impianti eolici per una potenza pari a 710 MW e una produzione pari a 1.153 GWh; quanto alla PG, nello stesso anno e-

rano installati 1.477 impianti eolici per una potenza pari a 233 MW e una corrispondente produzione pari a 333 GWh. L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA ELETTRICO NAZIONALE

Nel 2014 si è avuto un incremento nel numero di impianti GD rispetto all’anno precedente, pari a 69.909 impianti, quasi tutti fotovoltaici. L’incremento della produzione elettrica è stato pari a 870 GWh, da imputare principalmente a impianti idroelettrici (+1.745 GWh) e fotovoltaici (+500 GWh). Il nostro Paese sta assistendo ad una rapida evoluzione del sistema elettrico verso la creazione di una moltitudine di impianti di taglia ridotta; l’incremento del numero di impianti è quasi del tutto dovuto al settore fotovoltaico. Inoltre, anche nell’ambito della produzione termoelettrica in GD, si sta assistendo a una progressiva sostituzione degli impianti alimentati da fonti fossili con impianti alimentati a fonti rinnovabili (biogas e biomasse).

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Attualmente, oltre un miliardo di persone non ha accesso all'elettricità; il 95% di queste vive nelle aree rurali di Asia e Africa sub-sahariana. Qui la generazione distribuita di energia elettrica sta emergendo come una delle realtà in crescita, ponendo le premesse per una "economia delle microimprese". Gli impianti sono per lo più alimentati con fonti rinnovabili: energia solare e micro-idroelettrica. A differenza di quanto avviene in Europa, in queste aree la generazione distribuita porta alla creazione di micro-reti locali di distribuzione dell'energia elettrica, come nel programma indiano "Smart Power India": con il finanziamento della Fondazione rockefeller, questo programma si propone di portare l'energia elettrica a 1.000 villaggi del Bihar e dell'Uttar Pradesh, dove ad oggi l'elettricità raggiunge solo il 10% delle abitazioni rurali. Un altro programma di questo tipo è stato lanciato dal governo del Kenya, che si propone di installare 23 mini-centrali fotovoltaiche e alcune centrali a energia eolica, consentendo l'accesso all'energia elettrica a 7 provincie a clima arido situate nel nord del Paese.



macchine & strumentazione Noto con il nome di “Cool Truck”, questo speciale carrello si basa sulla gamma Hyster H4.0-5.5FT ed è perfettamente attrezzato per fronteggiare i difficili ambienti tipici delle attività di riciclaggio e trattamento dei rifiuti. <<I radiatori dei normali carrelli elevatori utilizzati nel settore del riciclaggio e trattamento dei rifiuti tendono facilmente ad ostruirsi con conseguenti surriscaldamenti e fermi macchina – spiega David reeve industry manager – e questo, oltre ad essere frustrante, rappresenta anche un costo per le aziende in termini di mancata produzione e può portare ad altri problemi>>. Con portate da 4 a 5,5 tonnellate, il Cool Truck è stato appositamente studiato per i centri di riciclaggio o gli impianti di trattamento rifiuti, nei quali ci possono essere notevoli quantitativi di detriti e sporcizia o balle di materiali polverosi da trasportare. E’ stato necessario innanzitutto fare in modo di ridurre il quantitativo di detriti che penetravano nel vano motore rimanendo bloccati sulla trasmissione o sul radiatore, sebbene anche le fascette impiegate per legare le balle possono rimanere impigliate ed eventualmente danneggiare le alette della ventola del radiatore. <<Come prima contromisura – aggiunge reeve – abbiamo realizzato un telaio completamente chiuso con sfiati di ventilazione su coperchio motore, pannelli laterali e coperchio radiatore per limitare l'aspirazione di sporcizia e detriti dal pavimento all'interno del vano motore, ma il componente veramente intelligente è il radiatore>>. Ogni 20 minuti, la ventola del radiatore Combi Cooler inverte il senso di rotazione per 20 secondi, espellendo la polvere indesiderata depositatasi durante l'aspirazione dell'aria. Questo consente di impiegare più a lungo il carrello, minimizza l'esigenza di pulizia del radiatore e aiuta a mantenere refrigerato il carrello anche a temperature ambientali elevate. Inoltre, il radiatore Combi Cooler raffredda sia il refrigerante del motore sia l'olio della trasmissione. L'Hyster Cool Truck, distribuito in Italia da CLS, offre anche un indicatore opzionale del peso del carico, che semplifica il sollevamento di carichi pesanti o ingombranti, consentendo di risparmiare tempo, migliorando l'efficienza e aumentando l'affidabilità per l'utente finale.

La potenza è di serie Hyster Cool truck

Un carrello ideale per fronteggiare i difficili ambienti tipici delle attività di riciclo e trattamento dei rifiuti

<<Le balle di rifiuti o di materiali riciclati possono avere dimensioni e pesi non standard – continua reeve – e le balle, se lasciate all'aperto, possono anche assorbire l'acqua piovana con conseguente aumento di peso. Quindi per tranquillizzare gli operatori ci sono gli indicatori integrati di peso del carico>>. L'estrazione di carichi da balle sal-

damente compattate su un veicolo può anche sottoporre attrezzatura, rulli del montante e piastra portaforche a forti urti. Questo rischia di danneggiare gravemente la trasmissione e l'attrezzatura, sottoponendo al tempo stesso il motore e l'impianto di raffreddamento del carrello elevatore a possibili sovraccarichi.

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La trasmissione Hyster Duramatch con la sua funzione di inversione del senso di marcia a potenza controllata, attenua le sollecitazioni trasmesse alla trasmissione e aiuta a prolungare la durata dei pneumatici, a tutto vantaggio dell'affidabilità e del basso costo di proprietà di questi robusti carrelli. Inoltre, l'accumulatore idraulico, montato di serie sul Cool Truck, funge da smorzatore per il montante del carrello, ammortizzando il carico e l'attrezzatura e contribuendo a limitare le sollecitazioni. Il robusto frontale è stato progettato per l'utilizzo con una vasta gamma di attrezzature per permetterne la personalizzazione per l'adattamento a qualsiasi applicazione delle industrie di riciclaggio o trattamento rifiuti. Il pacchetto Cool Truck comprende una serie di modifiche al carrello, fra cui una protezione in gomma sull'assale di trazione, protezioni per tubazioni freni e protezioni in nylon balistico per i cilindri di inclinazione e sterzo. Sono inoltre previsti un robusto pianale chiuso sotto il vano motore, una protezione resistente al calore sul turbocompressore e un'aspirazione elevata con prefiltro. I freni in bagno d'olio Premium contribuiscono ulteriormente a ridurre la manutenzione e aumentare l'affidabilità del carrello, mentre l'olio idraulico per alte temperature prolunga la durata dell'olio e mantiene il potere lubrificante alle alte temperature. Il sistema idraulico con rilevamento del carico (Load Sensing) alimenta l'olio solo quando è necessario, riducendo la temperatura dell'olio idraulico e il consumo di carburante, consentendo a molte aziende di risparmiare denaro. Ulteriori dotazioni comprendono la protezione del gruppo trasmissione, il monitoraggio Premium e le mini-leve TouchPoint opzionali. Sono anche disponibili dotazioni opzionali come i dispositivi luminosi di avvertimento per pedoni, la riduzione automatica della velocità interna e il sistema di gestione della flotta Hyster Tracker per favorire l'efficace gestione delle flotte anche nelle gravose attività di riciclaggio e trattamento dei rifiuti. <<Questo carrello elevatore - conclue reeve - è appositamente progettato per continuare a funzionare in gravose applicazioni e ciò aumenta l'affidabilità che le aziende e gli utenti finali esigono dalle loro attrezzature>>.


HI -TE CH

AMBIENTE

SPECIALE

TELECONTROLLO DEI DEPURATORI


SPECIALE TELECONTROLLO DEI DEPURATORI ALEXA Alexa progetta e installa sistemi di telecontrollo innovativi, economici e soprattutto funzionali per la risoluzione di tutti i problemi legati al controllo a distanza nel ciclo integrato dell'acqua. Sono composti da centri di supervisione, unità periferiche, sistemi di automazione a PLC e software in grado di soddisfare le esigenze di monitoraggio di enti, aziende multi-utilities, consorzi di bonifica, Ambiti Territoriali Ottimali (A.T.O.). Si tratta di software specifici, adeguati alle aziende operanti nel ciclo dell'acqua, che si distinguono per le alte prestazioni, per la versatilità e per l'affidabilità nel trasferire grandi moli di dati. I sistemi installati permettono gestione, registrazione e notifica remota di eventi di allarme provenienti da sensori, impianti, ecc. e consentono di: effettuare misure sugli ingressi delle schede collegate ed archiviare i dati per la visualizzazione grafica o tabellare; generare eventi di allarme al superamento di soglie, alla chiusura o apertura di contatti o in caso di errori di comunicazione con le sche-

E.T.C. ENGINEERING de di I/O; notificare gli allarmi a video; notificare gli allarmi via sms ed e-mail ad uno o più utenti o a gruppi di utenti; rispondere ad interrogazioni sullo stato del sistema inviate via sms o e-mail; eseguire azioni quando si verificano o cessano degli allarmi o su richiesta via e-mail o sms; inviare report periodici sullo stato del sistema via e-mail o sms; esportare i dati real-time o i dati storici verso applicazioni esterne; ricevere, gestire ed archiviare allarmi provenienti via sms o e-mail da altri sistemi (teleletture o allarmi provenienti da moduli GSM); espandere il sistema con applicazioni sviluppate su richiesta. Le applicazioni più frequenti che Alexa è in grado di garantire riguardano: monitoraggio e rilevazione dei dati relativi allo stato funzionale delle stazioni di trattamento; monitoraggio di impianti di depurazione industriali; telecontrollo di acquedotti, impianti di potabilizzazione e di depurazione.

www.gruppoalexa.it

PPT PPT propone un nuovo sistema di automazione, telecontrollo e telegestione denominato PPT-Portal, basato su un portale internet nel quale è possibile interagire con gli impianti periferici e raccogliere i dati di funzionamento. Con tale sistema gli utenti sono in grado di: ricevere allarmi "intelligenti" che identificano l'impianto e il motivo dell'allarme; visualizzare in tempo reale lo stato dell'impianto; comandare apparecchiature e variare i set-points di funzionamento; consultare i dati storici memorizzati in un database e visualizzarli in forma tabellare/grafica; consultare, inserire note sul ebook dell'impianto e la cartella allarmi inviati dagli impianti; inserire un programma di manutenzioni su ogni apparecchiatura ed essere allertati da apposita segnalazione con l'inserimento e compilazione automatica di un quaderno di manutenzione visibile on-line. Questo sistema si realizza tramite l'installazione di centraline che provvedono a controllare la logica

Il controllore di processo O.S.C.A.R. (Optimal Solutions for Cost Abatement in nutrients Removal) è la soluzione di ETC Engineering per l’automazione avanzata dei processi di trattamento acque reflue ed è disponibile in tre versioni SW gestite da un PLC-PCS: - aerazione intermittente implementa il processo ad alternanza di fasi nel comparto biologico a fanghi attivi in vasca unica, ottimizzando le utenze più energivore (soffiatori). Analizza in tempo reale l’efficienza della rimozione dell’azoto basandosi sui parametri diretti (NH4+, NO3-), regolando così dinamicamente il funzionamento di soffiatori e miscelatori - automazione linea fanghi permette di gestire l’intera filiera di trattamento fanghi sulla base di misure specifiche in determinati punti dello schema di trattamento, TSS, Q, spessore let-

to di fango - defosfatazione chimica ottimizza il dosaggio di reagenti chimici per la precipitazione degli ortofosfati, gestendo le pompe dosatrici Oscar lavora perfettamente collegato a sonde spettrometriche, che misurano spettri ottici da 200 a 750 nm direttamente nel liquido, sono senza manutenzione e si calibrano una volta all’anno. Specificamente Oscar usa una sonda che misura simultaneamente COD+O3-N+TSS ed una per NH4-N, temperatura, pH e potassio. Entrambe le sonde possono essere gestite con il principio “plug & measure”.

www.etc-eng.it

SCHNEIDER ELECTRIC dell'impianto e di comunicare con un software sul sito di PPT. L'utente, dopo aver selezionato dal menu la voce "telecontrollo", potrà effettuare il login di accesso personalizzato e quindi iniziare ad utilizzare il servizio. L'autenticazione permette di selezionare la visione degli impianti del committente e di differenziare le competenze dei vari operatori abilitati all'accesso. L'accesso a PPT-Portal offre numerosi vantaggi: collegarsi al sito web centrale mediante qualsiasi internet browser; effettuare il login sul sito, autenticandosi; differenziare le visualizzazioni e i comandi in linea con le autorizzazioni rilasciate ai vari utenti; identificare e visualizzare le periferiche in allarme; selezionare quale impianto si intende visionare; consultare i dati delle apparecchiature verificandone stato, allarmi, dati storici ed altri dati caratteristici dell'impianto.

www.pptsrl.it

I depuratori di acque reflue sono impianti tipicamente distribuiti sul territorio, non presidiati, di piccola entità, spesso distanti tra loro e, per quel che riguarda le stazioni di captazione, difficilmente raggiungibili. Da qui l’esigenza di avere un unico sistema di telecontrollo centralizzato, un’unica postazione di supervisione per il monitoraggio e controllo a distanza di tutti i siti gestiti, pur mantenendo il funzionamento di ogni sito indipendente ed autonomo, grazie all’impiego di apposite RTU. La soluzione di telecontrollo proposta da Schneider Electric soddisfa i principali bisogni espressi dal gestore idrico: gestione ottimizzata di operatori e infrastrutture; riduzione del fermo impianto per guasti, garantendo così minori costi di gestione. Per piccoli siti, in cui il controllo è limitato al monitoraggio di serbatoi, pozzi, o al massimo due pompe, Schneider Electric propone l’uso in campo di RTU indipendenti ed autonome, in grado di: controllare e regolare in modo automatico e indipendente, storicizzare i dati e gli allarmi acquisiti; trasmet-

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tere informazioni a distanza da everso un sistema di controllo remoto. Il sistema proposto supporta diversi canali di comunicazione, con possibilità di gestione del canale ridondato per garantire un’alta efficienza di servizio. A seconda delle esigenze varia la soluzione da adottare, ma il top è rappresentato dalla piattaforma scada di supervisione Vijeo Citect: una postazione centralizzata di supervisione, attraverso cui l’operatore può esercitare il monitoraggio e il controllo multisito da remoto. La soluzione adottata, comunque, permette di accedere alla postazione scada centralizzata da altri computer remoti, collegati via intranet e/o internet.

www.schneider-electric.it


SPECIALE TELECONTROLLO DEI DEPURATORI SDI La piattaforma eXPert di SDI in ambito telecontrollo consente di realizzare sistemi completi, costituiti da un sistema centrale e da periferiche (RTU). Il sistema centrale è composto da vari elementi, tra cui postazioni operatore a singolo o multiplo monitor (videowall), apparati scada e componenti per la connessione remota (I/O server, set di modem, ecc.). Il sistema è scalabile ed interfacciabile con apparati di terzi, essendo possibile utilizzare il centro eXPert con RTU di terze parti o viceversa, integrare RTU della famiglia Star con apparati di centro pre-esistenti. I depuratori delle acque richiedono sistemi basati su DCS (Distributed Control System), che permettono l'uso di loop di regolazione, oltre a procedure batch per la gestione dei cicli

SENECA di trattamento nelle vasche di depurazione. In generale vengono usati diversi nodi DCS, uno per ogni processo (ossigenazione, gestione Fenton, gestione denitro, ecc.). Ogni nodo è interconnesso e l'intero sistema è completato da RTU dedicate ai sistemi di sollevamento e pompaggio. I benefici del telecontrollo sono: gestione dell’impianto semplice e completa; interventi rapidi; postazioni operatore sia centralizzate che distribuite; poche operazioni manuali; attivazione sia dei servizi di chiamata del personale in caso di allarme (eXPert Remote Call) che della connessione da remoto alle funzioni operatore (eXPert Remote HMI); riduzione del consumo di reagenti chimici (ottimizzazione dei dosaggi) e più in generale risparmio energetico ottimizzando l'apporto di ossigeno. Il sistema è completato dalle funzioni di reportistica utilizzate sia per la pubblicazione dei dati per le Arpa sia per un costante controllo dell'impianto a fini manutentivi.

www.sdiautomazione.it

SIMAM Simam propone un sistema di monitoraggio e controllo in tempo reale di tutti i suoi impianti di trattamento acque basato su cloud computing. E' stato sviluppato, infatti, l'evoluto portale di telecontrollo Simam dal quale è possibile gestire l'intero impianto. Ciò permette di avere notevoli vantaggi come l'immediata tempestività nell'intervento in caso di malfunzionamenti, la supervisione in tempo reale dei valori

Nel trattamento delle acque Seneca offre servizi innovativi legati al telecontrollo, all’acquisizione dei dati, all’analisi dei consumi e alla protezione elettrica, in particolare laddove si rende necessaria una gestione ottimizzata e razionale della manodopera, per le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria è fondamentale l’utilizzo di un sistema aperto e integrato. Apparati di telegestione Seneca di nuova concezione, basati su comunicazione 3G, permettono il datalogging delle misure in campo, l’analisi della rete elettrica, l’invio di SMS di allarme, la trasmissione dati multipiattafoma, lo scambio dati sicuro tramite VPN e password multilivello. Tra le applicazioni nel ciclo integrale delle acque, la strumentazione proposta consente la gestione delle stazioni remote di pompaggio negli acquedotti, il control-

lo di impianti di sollevamento, la supervisione di pozzi di rilancio e torri piezometriche. L’hardware di controllo e comunicazione offerto dall’azienda si integra con facilità con i sistemi di supervisione sviluppati per funzioni di acquisizione e visualizzazione delle misure, nonché controllo delle variazioni di stato e comando delle utenze.

www.seneca.it

T.& A. provenienti da ogni fase e modulo presente. Il sistema composto da hardware e software permette di consultare le variabili di processo direttamente da un computer o smartphone e, inoltre, di visualizzare grafici, statistiche e video in tempo reale per la supervisione dell'impianto.

www.simamspa.it

T.& A., da sempre impegnata esclusivamente nella produzione di impianti di telecontrollo, ha conosciuto negli anni uno sviluppo costante che si concretizza in oltre 300 impianti realizzati in acquedotti Comunali e Consortili di tutta Italia. Dei vantaggi offerti dai sistemi di telecontrollo, infatti, beneficia enormemente anche la gestione delle reti di depurazione e fognatura dei Analogamente agli acquedotti è importante l’analisi dei parametri di livello, portata e pressione, che testimoniano il buon funzionamento degli impianti. I report delle portate sostituiscono le letture manuali e la gestione degli allarmi è fondamentale per intervenire tempestivamente in caso di emergenza, così da ridurre i tempi di fermo impianto ed i consumi

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energetici. Le moderne stazioni periferiche sono anche in grado di gestire l’automazione delle pompe in funzione dei livelli e controllare il dosaggio delle sostanze chimiche utilizzate nei vari stadi della depurazione; ciò, naturalmente consente di evitare sprechi o sottodosaggi.

www.telecontrolli.biz


sicurezza

I campi elettromagnetici Una guida dedicata alle PMI

La sicurezza dei lavoratori esposti, le valutazioni da fare, i possibili rischi, le necessarie precauzioni Entro il 1 luglio 2016 l’Italia (al pari degli altri Paesi europei) dovrà recepire nel proprio ordinamento la Direttiva europea 2013/35/UE, che indica le disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici (CEM). Per agevolare il recepimento di questa Direttiva, la Commissione Europea ha elaborato una serie di guide non vincolanti, la cui traduzione in italiano è stata recentemente pubblicata; tra queste, la guida dedicata alle piccole e medie imprese (PMI). È importante ribadire che tale Guida non impone obblighi, nè fornisce un’interpretazione ufficiale delle norme della Direttiva; inoltre, è opportuno ricordare che, trattandosi di una Direttiva, essa stabilisce solo delle prescrizioni minime, che non possono essere derogate ma possono essere anche “superate” dalle normative nazionali di recepimento (nel senso che queste potranno dettare disposizioni anche più severe rispetto a quelle della Direttiva). La Guida si presenta quindi come un valido ausilio per effettuare una valutazione iniziale dei rischio derivante dai campi elettromagnetici sul luogo di lavoro, come richiesto dal D.Lgs 81/08, Tit. VIII, Capo IV.

sposti ai campi elettromagnetici che si generano ogni volta si utilizza l’elettricità; e spesso l’intensità del campo è a un livello tale da non poter causare alcun effetto nocivo sulla salute. A tal fine, la Guida contiene un elenco di attività lavorative, apparecchiature e luoghi di lavoro generici in cui i campi sono talmente deboli che i datori di lavoro non sono tenuti ad adottare ulteriori misure. Se invece il rischio non può essere considerato basso, o è sconosciuto, il datore di lavoro dovrà effettuare una valutazione più approfondita e adottare le necessarie precauzioni, anche avvalendosi delle informazioni sul livello dei CEM ottenute da banche dati o dai fabbricanti, oppure effettuando calcoli e misurazioni. LAVORATORI ESPOSTI A PARTICOLARI RISCHI

Alcuni gruppi di lavoratori sono considerati particolarmente a rischio, e non possono essere protetti adeguatamente mediante i livelli di azione stabiliti nella Direttiva 2013/35; quindi, i datori di lavoro devono valutare la loro esposizione separatamente da quella degli altri lavoratori. In questa categoria rientrano: i lavoratori che portano dispostivi medici impiantati attivi o passivi contenenti metallo, i lavoratori portatori di dispositivi medici indossati sul corpo ed i lavoratrici in gravidanza.

VALUTARE E MISURARE

La Guida consiglia anzitutto di eseguire una valutazione preliminare dei rischi dovuti ai campi elettromagnetici sul luogo di lavoro: se essi risultano essere bassi, il datore di lavoro non è tenuto ad attuare ulteriori azioni (si consiglia comunque la registrazione dell’esecuzione dell’esame e il suo esito). Infatti, in quasi tutti i luoghi di lavoro i lavoratori possono essere e-

LA PIATTAFORMA OIRA

Nell’ambito delle iniziative di supporto alle PMI, l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha messo a punto una piattaforma interattiva online (OIRA) per la valutazione dei rischi. Questo strumento, ospitato su un sito dedicato (www.oiraproject.eu) ha lo scopo di Hi-Tech Ambiente

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aiutare i datori di lavoro nell'esecuzione di un processo di valutazione dei rischi articolato in quattro fasi: preparazione (offre una panoramica della valutazione che si sta per avviare), identificazione (tramite un questionario diretto a individuare i potenziali problemi o pericoli per la salute e la sicurezza che potrebbero interessare il luogo di lavoro), valutazione (ossia la determinazione del livello di rischio connesso a ciascuna delle voci individuate come “da trattare” nella fase di identificazione), piano d’azione (relativo alle misure da adottare per far fronte ai rischi precedentemente identificati). La preparazione consiste sostanzialmente in una raccolta di informazioni sulle attività lavorative svolte. È importante garantire che la valutazione riguardi sia le operazioni di routine che quelle straordinarie o intermittenti (pulizia, manutenzione, ecc). L’identificazione dei pericoli consiste nell’individuazione delle attività e delle apparecchiature che generano campi elettromagnetici nel luogo

VALUTAZIONI PARTICOLARI La Guida indica (Tab. 3.2) una serie di prescrizioni per le valutazioni specifiche dei campi elettromagnetici relative ad attività lavorative, apparecchiature e luoghi di lavoro comuni, che possono essere così suddivise: - esempi di apparecchiature che non richiedono nessuna valutazione. Rientrano in questa categoria computer e apparecchiature informatiche, apparecchiature elettriche per ufficio (fotocopiatrici, scanner, ecc), telefoni fissi e fax, conduttore nudo aereo con tensione nominale inferiore a 100 kV o linea aerea inferiore a 150 kV sopra il luogo di lavoro - esempi di apparecchiature che richiedono una valutazione solo se sono presenti lavoratori con dispositivi impiantabili attivi. Tra essi, ad esempio, i telefoni cellulari, i dispositivi di comunicazione senza fili (Wi-Fi e Bluetooth) comprendenti punti di accesso per WLAN, utensili da giardino elettrici, metal detector, generatori (anche di emergenza), saldatori ad arco manuali, caricabatterie industriali, pistole incollatrici, macchine utensili (trapani a colonna, smerigliatrici, torni, fresatrici, se-

ghe, ecc.), macchinari per cantieri (betoniere, vibratori, gru, ecc), trasmettitori a batteria - esempi di apparecchiature che richiedono valutazione se sono presenti dispositivi passivi o se usati da lavoratrici in gravidanza. Questo elenco comprende turbine eoliche e apparecchiature per la verniciatura elettrostatica - esempi di apparecchiature che richiedono valutazioni in ogni caso. Questo gruppo comprende conduttore nudo aereo con tensione nominale superiore a 100 kV o linea aerea superiore a 150 kV sopra il luogo di lavoro, riscaldamento a induzione, saldatura a in-

duzione, riscaldamento ad essiccazione a microonde nelle industrie del legno (essiccazione, piegatura e incollaggio del legno), dispostivi al plasma a radiofrequenza (compresi quelli per deposizione e polverizzazione catodica in vuoto), saldatura a resistenza manuale (saldatura a punti, saldatura continua), elettrolisi industriale, forni fusori ad arco, forni fusori a induzione, radar di controllo del traffico aereo, militari, meteorologici e a lungo raggio, treni e tram a trazione elettrica, sistemi e dispositivi di radiodiffusione (radio e TV: LF, MF, HF, VHF e UHF).

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di lavoro, per poi confrontarle con l’elenco degli “esempi citati”; in molti casi, infatti, la natura di un’attività o la progettazione dell’apparecchiatura saranno tali da produrre soltanto campi deboli, che non risulteranno pericolosi. Quanto all’identificazione delle misure di prevenzione e protezione esistenti, nella maggior parte dei luoghi di lavoro sono già predisposte una serie di misure di prevenzione e precauzione, attuate specificamente per i campi elettromagnetici, oppure in relazione ad altri pericoli (ma efficaci anche per limitare l’accesso ai CEM, quali le schermature antirumore). In merito, infine, all’identificazione dei soggetti a rischio, occorre innanzitutto identificare gli addetti che svolgono attività lavorative o utilizzano apparecchiature che generano forti campi elettromagnetici; ma occorre anche considerare coloro che svolgono altre mansioni o lavorano con altre apparecchiature, ma che potrebbero comunque essere occasionalmente esposti ai CEM. I lavoratori esposti a particolari rischi dovrebbero essere oggetto di una specifica valutazione dei rischi, al fine di stabilire se è necessario adattare le condizioni di lavoro per riduree il rischio. IL CASO “OFFICINA MECCANICA”

La Guida dedica un volume allo studio di un caso pratico, quello di un’azienda meccanica che ha valutato in che modo sarebbe stata interessata dall’applicazione della Direttiva relativa ai CEM. Lo studio elenca i risultati ottenuti per le varie apparecchiature, tra cui: - ispezione con particelle magnetiche, di cui è stato rilevato il possibile superamento dei limiti in alcune aree. Perciò è necessario adottare specifiche misure preventive e precauzionali, tra cui in particolare il divieto di utilizzo per lavoratori portatori di dispositivi medici impiantati attivi e per le lavoratrici in gravidanza - smagnetizzatore, di cui si è riscontrato il possibile superamento dei limiti entro 1 metro dal magnete. Pertanto, si è stabilito il divieto di utilizzo per lavoratori portatori di dispostivi medici impiantati attivi e per lavoratrici in gravidanza; se possibile, si consiglia di installare ripari protettivi e automatizzare le operazioni di smagnetizzazione più ripetitive.


tecnologie

Tante applicazioni per il grafene Usi energetici e ambientali

Dissalazione e depurazione delle acque, trattamento dei fumi, bonifica di suoli contaminati da idrocarburi Anche se sono passati 12 anni dalla sua scoperta, le proprietà e le applicazioni del grafene non sono state ancora del tutto esplorate. La singolarità di questo materiale (che non si trova in natura, ma deve essere preparato artificialmente per esfoliazione della grafite) è dovuta alla sua struttura: il grafene è costituito da uno strato monoatomico di atomi di carbonio, disposti in forma di esagoni regolari adiacenti tra loro, come le celle di un alveare. La sua singolarità chimica consiste nel fatto che ogni atomo di carbonio ha disponibili 4 elettroni di legame, cioè tenderebbe a formare 4 legami con gli atomi adiacenti; ma una struttura a esagoni regolari consente solo 3 legami, per cui “avanza” un elettrone per ogni atomo di carbonio. Questi elettroni liberi formano una “nuvola” che copre le due facce del piano di atomi di carbonio e consente la conduzione di calore e di elettricità. Un’altra importante caratteristica del grafene è la possibilità di variare la configurazione planare, inserendo un numero controllato di difetti, cioè di celle che anziché essere esagonali sono pentagonali o ettagonali. In particolare, l’inserimento di celle pentagonali arrotola il piano di atomi di carbonio, creando dei nanotubi. Per lungo tempo il grafene è stato considerato una curiosità da laboratorio; le prime applicazioni si sono avute nella realizzazione di transistor ad alta velocità (fino a 300 GHz). Successivamente il campo delle applicazioni si è allargato, comprendendo le aree dell’energia e dell’ambiente.

sere più economiche da produrre. Un’altra applicazione del tipo energetico è l’uso come serbatoio per l’idrogeno: il grafene, sottoposto a deformazione meccanica, forma delle “creste”, in corrispondenza delle quali si accumulano le molecole di idrogeno. Quando la deformazione viene rilasciata, l’idrogeno viene liberato; questa proprietà potrebbe essere utile per realizzare serbatoi di idrogeno per le auto a fuel cells. Infine, il grafene potrebbe consentire di realizzare celle solari alimentate sia dal sole che dalla pioggia. Applicando un sottile rivestimento di grafene sulla superficie di una normale cella ossido di indio-stagno, l’acqua piovana (che contiene sali e ioni con cariche sia positive che negative, raccolti durante il passaggio nell’atmosfera) deposita cariche negative sul grafene, mentre lo strato di acqua piovana assume una carica positiva. Questo doppio strato di cariche elettriche produce una corrente. DISSALAZIONE E DEPURAZIONE DELLE ACQUE

APPLICAZIONI ENERGETICHE

Il grafene è stato realizzato da ricercatori della Columbia University per realizzare lampade ad alta efficienza energetica; è stata formata una società (Graphene Ligh-

ting PLC) per realizzare industrialmente queste lampade, che dovrebbero avere un rendimento luminoso maggiore del 10% rispetto alle attuali lampade a risparmio energetico, aver vita più lunga, non richiedere materiali nocivi per la realizzazione ed es-

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I ricercatori del MIT hanno realizzato una membrana per osmosi inversa creando dei nanofori nella superficie del grafene. Le dimensioni dei nanofori consentono il passaggio delle molecole d’acqua, mentre bloccano i sali e gli altri contaminanti; rispetto alle attuali membrane polimeriche, il passaggio dell’acqua è 1.000 volte più rapido ed i consumi di energia sono molto più bassi. La capacità del grafene di tratte-


nere i contaminanti può essere efficacemente sfruttata per depurare le acque contaminate direttamente nei luoghi ove si verificano emergenze ambientali. L’italiana Directa Plus ha realizzato unità containerizzate contenenti un macchinario in grado di produrre sul posto membrane in grafene, collegandole ai sistemi di depurazione già esistenti. DEPURAZIONE DEI FUMI

Il grafene potrebbe vantaggiosamente sostituire il carbone attivo nei sistemi di depurazione dei fumi e, in particolare, per la captazione degli inquinanti emessi dai termovalorizzatori. Un grammo di grafene riesce a trattenere fino a 13,5 grammi di sostanze inquinanti, mentre 1 grammo di carbone attivo trattiene solo 30 mg. Per quanto riguarda le diossine, il grafene può trattenerle dal 97 al 99% del suo peso. Queste interessanti premesse hanno spinto la Regione Lombardia ad autorizzare la realizzazione di un impianto pilota, che dovrà trattare una parte dei fumi emessi dall’inceneritore di Valmadrera, in provincia di Lecco. I primi risultati sono incoraggianti e le ricerche si stanno ora orientando sul modo di rigenerare “in situ” gli assorbenti a base di grafene. BONIFICA DI SUOLI CONTAMINATI DA IDROCARBURI

Ricerche compiute presso l’Università della Basilicata e presso i laboratori di tre industrie italiane (Directa Plus, Hydrolab Ferrandina, Biocart) hanno portato alla realizzazione di un materiale denominato “Grafysorber”, che assorbe gli idrocarburi ed ha comportamento altamente idrofobico. Questo nuovo materiale è già stato approvato dal Ministero dell’Ambiente per la rimozione degli idrocarburi in ambiente marino; inoltre, la capacità di rimozione selettiva degli idrocarburi da matrici solide lo rendono particolarmente adatto alla bonifica di spiagge e terreni contaminati da spandimenti di petrolio e oli pesanti. Il Grafysorber è già stato sperimentato con successo nella depurazione di acqua contaminate da uno spandimento di idrocarburi in un lago della Romania.

PRODOTTO CON IL SOLE

Il biocherosene per jet L’attuale produzione di combustibili per l’aviazione dipende dalla trasformazione di carbone, gas o biomassa in combustibile liquido. Tuttavia, questi approcci non sono sostenibili o sono difficili da portare a livelli industriali. Il gas di sintesi, o syngas, è un nuovo prodotto intermedio del combustibile che offre una fonte più sostenibile di carbonio per la produzione di combustibile. Il progetto SOLAR-JET (Solar chemical reactor demonstration and optimization for long-term availability of renewable jet fuel)

ha ottimizzato un ciclo termochimico in due fasi basato su reazioni di ossidoriduzione del cerio per produrre syngas a partire da CO2, acqua e luce solare concentrata come fonte energetica ad alta temperatura. Il syngas è stato quindi convertito in cherosene mediante la tecnologia commerciale Fischer-Tropsch già disponibile. Incorporando i risultati ottenuti dalla modellazione di differenti geometrie con trasferimento di calore combinato a reazioni chimiche, il reattore chimico solare di Solar-Jet ha raggiunto un’effi-

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cienza senza precedenti nella conversione dell’energia da solare a combustibile pari al 2,7%. Per accompagnare la dimostrazione sperimentale è stato creato un modello computazionale che descrive accuratamente il comportamento del reattore solare. E’ stato scoperto che il modello concorda con gli effettivi dati sperimentali ottenuti in laboratorio, fornendo perciò uno strumento prezioso per acquisire ulteriori informazioni riguardo alle caratteristiche del trasferimento di calore e massa. Esso è stato anche usato per modellare reattori su scala più grande capaci di fornire 50 kWth di calore. Facendo affidamento su materie prime abbondanti come acqua, CO2 e luce solare, la tecnologia di Solar-Jet dovrebbe produrre un precursore di alta qualità per la lavorazione petrolchimica per ottenere prodotti raffinati. Oltre che per il combustibile raffinato per aviogetti, la tecnologia potrebbe essere usata per produrre sostituti sostenibili per tutti i prodotti basati sul petrolio nelle future strutture aeronautiche leggere.


I reattori per idrocarburi leggeri Il progetto Carena

Sviluppati catalizzatori e processi ad hoc per trasformare metano, propano e anidride carbonica in prodotti chimici alternativi Il gas naturale è una delle principali fonti di energia dell’Unione Europea, ma il suo impiego potrebbe allargarsi ad usi più “nobili” della combustione. Il metano, il propano e perfino la CO2 (che si trova come impurità nel gas naturale) possono essere valorizzati trasformandoli in prodotti chimici, che attualmente vengono ottenuti a partire dal petrolio. Il progetto europeo CARENA (CAtalytic membrane REactors based on New materials for C1C4 valorization) si è posto come obiettivo lo sviluppo di catalizzatori e di processi adatti a trasformare gli idrocarburi leggeri e la CO2 in prodotti chimici utilizzabili come “building blocks” per la produzione di solventi, adesivi e rivestimenti protettivi. Il progetto si è concentrato sulla possibilità di utilizzo di tre costituenti del gas naturale: metano, propano e anidride carbonica (CO2).

Il metano può essere utilizzato anche per la produzione di idrogeno mediante “steam reforming”. Questo processo consiste nel far reagire metano e vapor acqueo a 700-1.000 °C e 20 atm, producendo un gas di sintesi composto da ossido di carbonio e idrogeno. L’ossido di carbonio viene poi fatto reagire ancora con acqua su un catalizzatore a base di ossido di ferro, ottenendo idrogeno e CO2. Nel quadro del progetto Carena sono state sperimentate membrane contenenti palladio, che catalizza la produzione di idrogeno, in un reattore con produzione di 20 mc/ora situato presso l’Università di Chieti. PROPANO

Attualmente il propano viene usato per produrre acido acrilico (materiale di partenza per la produzione del plexiglass e di altri materiali plastici, oltre che di adesivi e vernici), mediante un processo in due stadi: prima il propano viene deidrogenato a propilene e, successivamente, questo viene ossidato ad acido acrilico. Nel quadro del progetto Carena è stato messo a punto un nuovo

METANO

Il metano costituisce già oggi la base per numerosi processi chi-

Molecola di metano

mici, come la produzione di idrogeno, quella di gas di sintesi per il progetto Fischer-Tropsch e la produzione di metanolo. Questo composto viene largamente usato come solvente e per la produzione di biodiesel, oltre che come reagente in molti processi chimici industriali e per la produzione di materie plastiche trasparenti

(plexiglass). Nel quadro del progetto Carena sono state sviluppate speciali membrane permeabili all’ossigeno, sulle quali depositare un catalizzatore adatto alla conversione diretta del metano in metanolo. Tuttavia, l’analisi economica indica che attualmente questo processo non è conveniente.

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Molecola di propano


processo in un unico stadio, basato su membrane contenenti palladio, che prevede la deidrogenazione ossidativa del propano e la successiva ossidazione selettiva ad acido acrilico in una miscela costituita da propano e propilene. Le membrane contenenti palladio hanno presentato la tendenza a formare coke, per cui è stato necessario definire le condizioni operative più adatte ad evitare questo fenomeno e scegliere membrane contenenti composti del tipo MOF, come lo ZIF-95 (Zeolitic Imidazolate Framework).

da oligomeri sil-sesquiossanici (POSS), strutture ceramiche ad alta densità o supportate su polimeri, altre strutture tra cui quelle basate su carburo di silicio amorfo. In particolare, le membrane basate sui MOF hanno mostrato una buona selettività per la separazione dell’idrogeno, e una resistenza alla contaminazione da coke superiore a quella delle membrane basate su palladio. Le membrane tubolari a base di perovskite, sviluppate dalla Saint Gobain a livello pre-industriale, hanno mostrato ottime caratteristiche di permeabilità all’ossigeno, e sono quindi molto interessanti per le reazioni di ossidazione. Per quanto riguarda invece le reazioni di idrogenazione e deidrogenazione, le membrane a base di palladio sono al momento le migliori; sono stati condotti espe-

ANIDRIDE CARBONICA

L’uso della CO 2 come materia prima per l’industria chimica è stato uno dei principali obiettivi del progetto Carena, non solo per evitare lo scarico in atmosfera dell’anidride carbonica contenuta nel gas naturale, ma soprattutto per trovare nuovi modi di utilizzare quella contenuta nei gas di combustione dei grandi impianti termici. Sono stati studiati due diversi processi: produzione di metanolo da CO2 e idrogeno; produzione di dimetilcarbonato (DMC), per reazione tra metanolo e CO2. Riguardo al primo processo, come già detto la conversione diretta del metano a metanolo non è al momento conveniente dal punto di vista economico. Tuttavia, il metano può essere usato per produrre idrogeno e questo può essere fatto reagire con CO2, ottenendo il metanolo. Il processo è stato realizzato grazie ad un reattore costituito da un singolo tubo contenente una membrana catalitica di nuovo tipo e definendo le condizioni ottimali di temperatura e pressione. Quanto al secondo processo, invece, il dimetilcarbonato (DMC) è utilizzato per la produzione di elettroliti usati nelle batterie al litio, come solvente (in sostituzione di solventi alogenati, notoriamente nocivi sia per l’uomo che per l’ambiente), e per la produzione del policarbonato (il materiale plastico trasparente ad alta resistenza usato per i caschi dei motociclisti). Viene normalmente prodotto facendo reagire il metanolo con fosgene, che è una sostanza altamente tossica; pertanto, la produzione del DMC da metanolo e CO 2 costituisce un

notevole progresso anche in termini di sicurezza. Per produrre il DMC con questo processo sono state messe a punto membrane zeolitiche SOD (Solid Organic Derivate), che hanno mostrato interessanti caratteristiche di selettività. Tuttavia non sono stati condotti esperimenti approfonditi, in quanto la valutazione economica non risulta al momento positiva.

LE NUOVE MEMBRANE CATALITICHE

Il principale obiettivo del progetto Carena era lo sviluppo e l’approfondimento delle conoscenze relative alle membrane catalitiche. Sono stati sperimentati diversi materiali per la produzione di queste membrane, come perovskiti, zeoliti, strutture metallo-organiche (MOF), strutture derivate

Il numero di giugno di Hi-Tech Ambiente lo trovate in distribuzione alla fiera Metalriciclo (21-24/6) di Verona

Molecola di anidride carbonica

Membrane con MOF Hi-Tech Ambiente

rimenti per trovare la tecnologia più adatta per depositare il palladio sulle membrane, considerando le tecnologie di “sputtering” e di deposizione auto-catalitica (“electroless plating”). Infine, un’importante area del progetto Carena è stata lo studio delle configurazioni dei reattori più adatte per ospitare le membrane catalitiche.

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La biobatteria oggi Valorizzazione delle biomasse

Un sistema che costituisce una sorgente di tecnologia per diverse innovazioni ecologiche Il termine “biobatteria” dovrebbe indicare un sistema in grado di produrre energia elettrica grazie a reazioni biochimiche, cioè a trasformazioni compiute da batteri. Dispositivi di questo tipo sono allo studio da vari anni: qualche anno fa la Sony ha presentato Eco Product un prototipo che otteneva energia elettrica dalla cellulosa, grazie ad una serie di enzimi che dapprima scomponevano la cellulosa in glucosio e, successivamente, catalizzavano la riduzione del glucosio con produzione di elettroni. Più recentemente, un gruppo di scienziati inglesi della East Anglia University ha scoperto che un batterio che vive sui fondali oceanici (Shewanella Oneidensis) ha la capacità di prelevare elettroni da alcuni minerali contenenti ferro, trasferendo poi questi elettroni ad elettrodi esterni. Partendo dal comportamento di questo batterio, gli scienziati ne han-

no creato una versione sintetica, composta dalle proteine attive nella raccolta e nel trasferimento degli elettroni, racchiuse in microcapsule lipidiche. Queste ricerche sono però ancora lontane dalla fase applicativa. Al contrario, la biobatteria sviluppata dall’istituto tedesco Fraunhofer Umsicht è già a livello di impianto pilota. LA BIOBATTERIA TERMOCATALITICA

Il punto di partenza delle ricerche del Fraunhofer Umsicht è costituito dalla combinazione di tre problemi: l’esigenza di trovare un modo di accumulare la corrente in eccedenza prodotta dalle fonti rinnovabili quando la domanda sulla rete è scarsa; la presenza di grandi quantità di biomasse di rifiuto, che solo in parte vengono Continua a pag. 56 Hi-Tech Ambiente

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La biobatteria oggi valorizzate dagli attuali impianti di digestione anerobica; i notevoli costi di trasporto che si incontrano per rimuovere le biomasse (che spesso hanno un ridotto peso specifico) dai luoghi di produzione fino agli impianti anaerobici. La biobatteria è in questo caso un sistema integrato, comprendente: - un impianto di produzione del biogas mediante digestione anaerobica - un sistema di pirolisi termica denominato Thermo Catalytic Reforming (TCR) - un sistema a cogenerazione che produce energia elettrica e calore - un gruppo di accumulatori mobili di calore. Il sistema richiede energia elettrica per il suo funzionamento e questa energia viene direttamente prelevata dalla rete nei periodi in cui vi è eccedenza di elettricità da fonti rinnovabili rispetto alla domanda della rete stessa, oppure viene ottenuta dal gruppo di cogenerazione dell’impianto stesso. L’impianto viene alimentato da fanghi di acque reflue, digestato da impianti anaerobici esterni (oltre che dal digestato prodotto internamente), paglia e altri sottoprodotti agroalimentari, scarti legnosi, escrementi animali ed altri materiali oggi difficilmente valorizzabili. Tutti questi materiali vengono miscelati, omogeneizzati e trasferiti in una coclea rotante riscaldata (in pratica, un estrusore) che opera in ambiente privo di ossigeno. All’uscita dall’estrusore si ottengono: - una fase gassosa incondensabi-

le, che viene bruciata nel gruppo di cogenerazione producendo energia termica ed energia elettrica - una fase di vapori condensabili, che vengono raffreddati in modo da ottenere un liquido composto da una fase acquosa e da una fase oleosa - una fase oleosa liquida, che contiene in sospensione particelle carboniose di biochar. Questa fase viene filtrata e la parte liquida riunita alla fase oleosa ottenuta per condensazione, mentre il biochar viene raccolto e rivenduto come fertilizzante. La fase acquosa liquida, che contiene un’elevata percentuale di composti di carbonio a catena corta, facilmente biodegradabili,

viene inviata all’impianto di digestione anaerobica dove aumenta la resa in metano. La fase oleosa finale viene utilizzata come combustibile nell’impianto di cogenerazione, alternandola con la fase gassosa secondo le esigenze; oppure può essere miscelata con petrolio grezzo e sottoposta ai normali processi di raffinazione, ricavando da essa carburante per trasporti marittimi o gasolio per autocarri. Il calore prodotto da questo impianto viene utilizzato in parte per riscaldare l’impianto di digestione anaerobica ed il reattore pirolitico; il calore in eccedenza viene accumulato in sistemi mobili a calore latente (in pratica, autocisterne coibentate che contengono

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una sostanza con punto di fusione da 80 a 100 °C), che possono poi trasferire il calore ad altre industrie o sistemi di riscaldamento che ne abbiano bisogno. Infine, il digestore anaerobico viene utilizzato per il trattamento di rifiuti umidi, che non si prestano al trattamento TCR; questi vengono trasformati in metano, che alimenta il gruppo di cogenerazione. Attraverso tutti questi passaggi è possibile utilizzare fino al 75% dell’energia contenuta nei materiali introdotti nel sistema. Il sistema è concepito per essere modulare, facilmente trasportabile e di costo contenuto; attualmente è in funzione un impianto pilota da 30 kg/ora.


ECOTIME A T T U A L I T A ’

E

C R O N A C A

E C O L O G I C A

La nuova economia della plastica Innovare, ripensare e attrarre

Promosso un piano di azione globale per portare il recupero di questi imballaggi dall’attuale 14% fino al 70% cate reazioni, che ormai non sono più confinate all’interno dei movimenti ambientalisti, ma stanno coinvolgendo gran parte dell’opinione pubblica e si traducono nell’emanazione di misure limitative e restrittive. Occorre quindi ripensare al modo in cui vengono prodotti e utilizzati gli imballaggi plastici, seguendo i principi dell’economia circolare.

Al recente World Economic Forum di Davos i dirigenti di oltre 40 grandi gruppi industriali attivi nel settore degli imballaggi in plastica hanno promosso un nuovo piano di azione globale per portare il recupero di questi imballaggi dall’attuale 14% fino al 70%. Gli elementi essenziali di questo piano sono contenuti in un rapporto dal titolo “The New Plastic Economy: Catalysing Action”, pubblicato dalla Ellen MacArthur Foundation. Qui di seguito i punti principali di tale rapporto.

TRE AREE DI AZIONE

Il rapporto identifica tre diverse aree di azione: ripensare e innovare gli imballaggi; rendere economicamente attraente il riutilizzo, almeno per il 20% degli attuali imballaggi plastici; rendere economicamente attraente il riciclaggio, almeno per il 50%. Mettendo in atto queste azioni si riporterebbe sotto controllo più del 70% degli imballaggi prodotti e il rimanente potrà essere inviato a recupero energetico o a riciclaggio chimico. Per quanto riguarda il “ripensare e innovare gli imballaggi”, dobbiamo riconoscere che circa metà (in termini numerici) o il 30% (in termini di peso) di tutti gli imballaggi plastici sono, per loro stessa natura, non riutilizzabili e scarsamente

IL PUNTO DI PARTENZA

La quantità di materiali plastici prodotti ed utilizzati nel mondo è cresciuta di 20 volte negli ultimi 50 anni, arrivando a 322 milioni di ton/anno (dati del 2014). L’imballaggio è l’applicazione più importante, che rappresenta il 40% del totale, cioè circa 129 milioni di ton/anno; solo il 14% viene attualmente raccolto e riciclato. In altre parole, ogni anno 111 milioni di tonnellate di plastica finiscono disperse nell’ambiente, per un valore intorno a 100 miliardi di dollari; e poichè tutto, prima o poi, arriva al mare, si calcola che, continuando con questo andamento, nel 2050 in mare ci sarà più plastica che pesci. Questa situazione provoca giustifi-

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La nuova economia della plastica riciclabili in termini di recupero di materia. Questa categoria comprende: tutti gli imballaggi di piccolo formato (sacchettini, chiusure strappabili, piccoli coperchi, involucri di caramelle, cioccolatini e simili); gli imballaggi multi-materiali, costituiti da abbinamenti plastica+carta, o anche da plastiche diverse, coestruse o accoppiate per ottenere particolari requisiti estetici o funzionali (come la barriera all’ossigeno, indispensabile per confezionare alimenti a lunga conservazione); gli imballaggi costituiti da materiali plastici poco comuni, come il PVC e il polistirene rigido; gli imballaggi destinati a contenere gli alimenti umidi, come quelli per il cibo da asporto, i sughi pronti, gli alimenti per animali. Questi imballaggi sono difficili da raccogliere e ancor più difficili da riciclare, ed è quindi necessario tener conto di ciò e ripensare l’utilizzo dei materiali plastici, in qualche caso abbandonando i materiali tradizionali a favore dei nuovi materiali biodegradabili. Gli imballaggi di piccolo formato andrebbero il più possibile evitati e così pure gli imballaggi multimateriali o costituiti da materiali plastici poco comuni. In alternativa, occorre sviluppare tecnologie di recupero chimico tecnicamente valide ed economicamente sostenibili, in modo che le plastiche non riciclabili possano essere convertite in monomeri per la produzione di nuove materie plastiche. Relativamente, invece, al “rendere economicamente attraente il riuti-

Il problema delle microplastiche

Con il termine “microplastiche” si indicano i frammenti o corpuscoli con dimensioni inferiori a 2 mm, praticamente invisibili ad occhio nudo ma che si trovano in notevoli quantità anche nei nostri mari. Una ricerca condotta dall’ISMCNR indica che nel Mediterraneo si trova una media di 1,25 milioni di frammenti di plastica per kmq; in termini di peso, nel tratto di mare tra Toscana e Corsica si è riscontrata la presenza di circa 10 kg di microplastiche per kmq. Le microplastiche provengono da

molte fonti: dalla frammentazione (per effetto di azione meccanica e dei raggi UV del sole) degli oggetti di plastica di maggiori dimensioni; dalle fibre sintetiche (si calcola che ogni ciclo in una lavatrice domestica scarichi nell’ambiente oltre 700.000 microfibre); dall’igiene quotidiana dell’uomo con l’impiego di dentifrici e cosmetici nella cui composizione sono presenti piccolissimi granuli di plastica. L’effetto delle microplastiche sugli organismi marini non è chiaro. La plastica è biologicamente i-

lizzo”, bisogna dire che purtroppo il basso costo degli imballaggi plastici ha reso popolare l’usa e getta, ma questa pratica non è sostenibile e deve essere il più possibile scoraggiata, anche attraverso l’applicazione di contributi di riciclo e di ecotasse. I consumatori hanno mostrato di accettare di buon grado l’uso di sacchetti e borse durevoli e di contenitori riempibili per i detersivi; alcuni supermercati stanno

estendendo queste pratiche ai cibi secchi per animali. La pratica del vuoto a rendere potrebbe essere ripristinata, almeno per le bottiglie di grande formato; e le cassette da frutta a perdere dovrebbero essere sostituite da quelle con le pareti ripiegabili, che possono essere restituite e riutilizzate a costi contenuti. Nel settore degli imballaggi industriali, i sacchi e lo stretch film dovrebbero essere abbandonati in fa-

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nerte, ma pesci ed altri animali che la ingeriscono possono avere una sensazione di sazietà, e quindi non cibarsi in quantità adeguate al loro fabbisogno vitale. Inoltre, è noto che alcuni prodotti tossici di origine industriale, come i PCB e gli ftalati, tendono ad essere adsorbiti dai frammenti di plastica e, quindi, possono entrare nelle catene alimentari marine, fino alla nostra tavola. Il problema delle microplastiche deve essere affrontato su due versanti: - vietando l’uso delle microplastiche nei dentifrici e nei cosmetici. Provvedimenti di questo tipo sono stati auspicati dall’Agenzia per l’Ambiente dell’Onu e sono già stati emanati da alcuni Paesi (tra cui Inghilterra e alcuni Stati dell’Usa) - intercettando le microplastiche presenti nelle acque di scarico urbane e industriali. Gli attuali depuratori realizzano un’eliminazione solo parziale, ma esistono processi di filtrazione spinta e di centrifugazione in idrocicloni che sono allo studio in Università e grandi industrie del settore depurazione, come Suez-Degremont. vore di cassoni riutilizzabili. Anche se l’imposizione di contributi e tasse non è mai bene accetta, il mondo della plastica deve essere lungimirante. Incentivare il riutilizzo può significare una riduzione del 20% nei rifiuti plastici, per un valore corrispondente ad almeno 9 miliardi di dollari/anno. In merito, infine, al “rendere ecoContinua a pag. 60



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La nuova economia della plastica nomicamente efficiente il riciclo”, il primo passo è sicuramente un efficiente sistema di raccolta differenziata, che può essere creato (come dimostra l’esperienza italiana del Conai) grazie all’applicazione di contributi di riciclaggio. Questi contributi, essendo applicati su grandi quantitativi, sono relativamente modesti come importo per unità di peso e non hanno quindi nè effetti distorsivi sul mercato nè incrementi dell’inflazione. I contributi di riciclo devono servire anche a finanziare le ricerche sui metodi di separazione, purificazione e riciclaggio, in particolare per gli imballaggi flessibili; un campo da esplorare è l’impiego di “marcatori chimici”, cioè sostanze che impartiscano ai diversi materiali delle caratteristiche facilmente rilevabili a occhio nudo (come il colore) o con semplici strumenti (come le proprietà magnetiche). Re-

centissima è poi la scoperta della capacità di degradare il polietilene (una delle plastiche più utilizzate e diffuse anche nelle buste shopper) da parte della larva della tarma della cera (Galleria mellonella), un parassita degli alveari, peraltro comunemente usato dai pescatori come esca. Questo bruco riesce a “mangiare” la plastica in modo estremamente rapido rispetto a quanto finora osservato con alcuni batteri. La cera d’api sulla quale crescono le tarme della cerca è composta da una miscela molto varia di composti lipidici: le molecole di cui sono fatte le cellule viventi, come grassi, oli e alcuni ormoni. I ricercatori dicono che probabilmente per digerire cera d’api e polietilene è necessario spezzare legami chimici simili, sebbene è necessario studiare più a fondo la biodegradazione della cera a livello molecolare. Per confermare che non era semplicemente il meccanismo di masticazione delle larve a degradare la plastica, l’equipe di scienziati ha schiacciato alcuni vermi e li ha

messi su sacchetti di plastica, ottenendo risultati analoghi. I bruchi, quindi, non mangiano semplicemente la plastica senza modificarne la composizione chimica, ossia spezzano le catene polimeriche del polietilene grazie a qualcosa che producono che potrebbe essere presente forse nelle ghiandole salivarie o nei batteri simbiotici del loro intestino. Il prossimo passo sarà proprio cercare di identificare i processi molecolari di questa reazione e arrivare ad isolare l’enzima responsabile per poi riprodurlo su larga scala utilizzando le biotecnologie. Intanto, l’equipe di scienziati ha brevettato la scoperta. L’uso dei materiali riciclati dovrebbe comunque essere il più possibile incoraggiato, sia con sgravi fiscali che con strumenti come il Green Public Procurement, cioè l’inserimento di clausole vincolanti o preferenziali nei capitolati di appalto degli Enti Pubblici. LE AZIONI IN PROGRAMMA

La “New Plastic Economy” non è

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solo un insieme di buoni propositi: le 40 aziende firmatarie del progetto hanno messo a disposizione un fondo di 10 milioni di dollari per una serie di azioni, che inizieranno già nel corrente anno 2017 e proseguiranno negli anni successivi. È prevista una serie di contatti e riunioni, fino all’elaborazione di un documento comune (il Global Plastics Protocol). In questo documento saranno stabilite le priorità di intervento e lanciati i programmi di ricerca per ripensare e innovare gli imballaggi “difficili” e di piccolo formato. Verrà inoltre definito il programma di cooperazione con il Plymouth Marine Laboratory, per lo studio dell’impatto della plastica sull’ambiente marino. L’innovazione di progetto verso gli obiettivi dell’economia circolare verrà stimolata mediante una Circular Design Guide, che sarà elaborata in collaborazione con la società Ideo, specializzata nella progettazione innovativa.


MARKET DIRECTORY

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ECOTECH

a cura di ASSITA

Assorbente a basso costo per il mercurio

zolfo-limonen-polisolfuro nella depurazione dei fumi degli inceneritori e delle centrali termoelettriche a carbone.

Lo stoccaggio energetico su sabbia È noto che il solfuro di mercurio è uno dei composti meno solubili che esistano, per cui sostanze contenenti ioni solfuro (come carboni attivi specificamente additivati) sono spesso utilizzate per rimuovere questo elemento nocivo dai gas di scarico e dalle acque reflue. L’università australiana di Flinders ha scoperto una nuova sostanza, contenente ioni solfuro in forma polimerica, che ha basso costo essendo prodotta a partire da materiali di scarto, e promette di essere altamente efficace contro il mercurio. La nuova sostanza è denominata zolfo-limonen-polisolfuro, e viene preparata facendo reagire lo zolfo (ottenuto come sottoprodotto della raffinazione del petrolio) con il limonene, che è anch’esso un sottoprodotto, derivante dall’industria degli agrumi. Il nuovo materiale può essere preparato semplicemente riscaldando lo zolfo fino al suo punto di fusione (170-180 °C) e aggiungendo il limonene alla massa fusa; non occorrono né catalizzatori né solventi. Attualmente, lo zolfo-limonenpolisolfuro è stato prodotto su scala di laboratorio, ma si sta lavorando per mettere a punto una produzione industriale. Le prime applicazioni sono previste nell’industria mineraria, dove le acque contenenti solfuri potrebbero essere depurate facendole passare su filtri o setacci contenenti il polisolfuro; successivamente, il polisolfuro saturo di mercurio verrebbe separato e trattato in modo da recuperare il mercurio e rigenerare il polisolfuro. In tempi successivi si prevede di esplorare l’uso dello

La società australiana Latent Heat Storage ha recentemente ottenuto un finanziamento governativo di 400.000 dollari australiani per lo sviluppo su scala industriale del suo prototipo di stoccaggio energetico su sabbia, denominato TESS (Thermal Energy Storage System). Il sistema consente lo stoccaggio di energia elettrica, convertendola in calore che viene utilizzato per far fondere a 1.400 °C grandi masse di silicio; il calore viene poi riconvertito in energia elettrica immergendo nel silicio fuso un fascio di tubi nel quale circola acqua, che viene così convertita in vapore surriscaldato, utilizzato per azionare un turbogeneratore. Il sistema è molto flessibile e può essere realizzato su scale molto diverse, da 500 kW fino a varie centinaia di MWh; i modelli più piccoli sono realizzati in versione trasportabile mediante containers.

Biocarburanti dalle alghe Da vari anni si parla della possibilità di sfruttare, per ottenere biocarburanti, la capacità di alcune alghe di accumulare sostanze grasse nel loro organismo; ma finora alle molte ricerche non era seguita un’attività a livello industriale. Finalmente

in Giappone un consorzio di diverse industrie ha deciso di iniziare la costruzione di un impianto, per ora in scala pilota (125 mc/anno di prodotti), nel sito industriale della Asahi Glass, e che sarà operativo nel 2018. A questo impianto dovrebbe seguire, dopo il 2019, la costruzione di un impianto industriale in piena scala. Le microalghe, del tipo Englena, saranno fornite dalla società omonima, che si incaricherà anche della gestione dell’impianto. I prodotti principali del processo saranno biocherosene e biogasolio; il primo verrà miscelato al 10% con il normale jetfuel, e utilizzato dalla All Nippon Airways (anch’essa associata al consorzio), mentre il biogasolio verrà utilizzato dalla Isuzu Motors, noto costruttore di motori diesel.

Semiconduttori a ridotto effetto serra La produzione dei semiconduttori impiega attualmente come agenti di pulizia (dopo la deposizione sotto vuoto in fase vapore) tre gas che hanno un potentissimo effetto serra: l’esafluoroetano, il tertraflorometano, e il trifluoruro di azoto. Quest’ultimo gas, che è quello più usato, è oltre 17.000 volte più potente della CO2 per quanto riguarda il potenziale di riscaldamento globale. Per ridurre l’impatto ambientale della produzione di semiconduttori è stato recentemente lanciato il progetto ecoFluor, cui partecipano Solvay, GBU Special Chem, Texas Instruments ed il Fraunhofer Institute.

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Il progetto si propone di sostituire i gas ad alto effetto serra con miscele di fluoro, azoto e argon, che avrebbero un effetto serra paragonabile a quello della CO2.

Butadiene dallo zucchero Il butadiene è un intermedio chimico molto importante, utile soprattutto per la produzione della gomma sintetica e di materie plastiche per uso ingegneristico, come l’ABS (acrilonitrilebutadiene-stirene). Fino ad oggi il butadiene era considerato un sottoprodotto dell’etilene, in quanto veniva prodotto (assieme all’etilene) nel processo di cracking della “virgin naphta”; tuttavia, oggi buona parte dell’etilene viene prodotto per deidrogenazione dall’etano (ottenuto a sua volta per cracking degli scisti bituminosi) e quindi la disponibilità di butadiene sul mercato è notevolmente diminuita. Questo ha spinto la società brasiliana Braskem, già attiva nel settore della produzione di idrocarburi olefinici con processi biologici, a realizzare con la società californiana Genomatic un progetto di ricerca che ha portato ad un processo continuo di fermentazione degli zuccheri per ottenere butadiene. Il processo è stato collaudato su scala di laboratorio dal 2015 ed è ora pronto per lo sviluppo industriale. La chiave del successo di questo programma è stata la selezione di un particolare ceppo batterico, capace di utilizzare zucchero per la produzione bio-


logica di butadiene; successivamente, la produttività del batterio è stata potenziata mediante ingegneria genetica, in modo da ottenere vantaggiose modifiche agli enzimi prodotti.

Terre rare dalla Groenlandia È noto che l’attuale monopolio cinese della produzione dei metalli appartenenti al gruppo delle “terre rare” è motivo di preoccupazione da parte della Commissione Europea, in quanto le terre rare sono materiali indispensabili alle produzioni ad alta tecnologia. Per questo motivo è stato lanciato il programma di ricerca EURare, che si propone di trovare nuove fonti per l’approvvigionamento di questi metalli strategici. Nel quadro del progetto è stata intrapresa dalla società finlandese Outotec (con la collaborazione delle ditte australiane Tetra Tech Proteus e Greenland Minerals and Energy) una prova pilota di sfruttamento del giacimento groenlandese di Kvanefield, che è considerato tra i primi tre giacimenti di terre rare più importanti su scala mondiale. Il progetto punta a produrre 40.000 ton/anno di ossidi di terre rare, più 1.200 ton/anno di ossidi di uranio; quest'ultima produzione posizionerebbe il progetto tra i primi 10 produttori mondiali di uranio e contribuirebbe sostanzialmente alla redditività del progetto.

Per sfruttare al meglio i minerali presenti nel giacimento groenlandese è stato messo a punto un nuovo processo di raffinazione, che prevede: la separazione iniziale dell’uranio mediante attacco con acidi deboli; la trasformazione delle specie chimiche presenti nei minerali in idrossidi, mediante due distinte fasi di attacco chimico (inizialmente con acido solforico e, successivamente, con soda caustica); la solubilizzazione degli idrossidi e l’estrazione con solventi della soluzione per separare gli ossidi di lantanio e cerio, che verranno ottenuti con purezza 99%; la preparazione di una miscela di carbonati delle restanti terre rare, che verrà inviata allo stabilimento cinese della società Non Ferrous China, per essere separata in 14 diversi ossidi secondo le diverse terre rare presenti.

Carburanti dal biogas di discarica

La società americana Velocys PLC, specializzata nella realizzazione di impianti in piccola scala per la conversione di biogas e biomassa in carburanti liquidi mediante la sintesi Fischer-Tropsch, ha recentemente firmato una joint-venture con altre industrie per utilizzare il biogas della discarica di Oklahoma City per produrre carburanti a base di idrocarburi paraffinici a 5 atomi di carbonio e oltre. Il progetto prevede la realizzazione di un impianto commerciale, basato sull’impiego della tecnologia Velocys e sulla modularizzazione ideata dalla Ventech Engineers (altro partner della joint-venture), impiegando una combinazione di gas di discarica e gas naturale come materia prima. Il processo GTL (Gas To Liquid) della Velocys prevede due fasi principali: la produzio-

ne di gas di sintesi mediante processi come reforming del metano con vapore o autoreforming termico, seguita dal processo Fischer-Tropsch per convertire il gas di sintesi in idrocarburi paraffinici. Il reattore Fischer-Tropsch della Velocys compie il secondo stadio del processo utilizzando uno speciale catalizzatore super-attivo inserito in una struttura a microcanali. I prodotti così ottenuti possono essere miscelati con olio combustibile di origine naturale per produrre un’ampia gamma di prodotti finiti di alta qualità, tra cui diesel ultra-puro, kerosene per l’alimentazione di aerei, benzina leggera, ingredienti base per la produzione di lubrificanti sintetici e cere.

Come accumulare l’energia sott’acqua I sistemi di accumulo dell’energia sono indispensabili per lo sfruttamento delle energie rinnovabili di tipo discontinuo, come solare ed eolica. Sono stati proposti molti diversi sistemi; recentemente ricercatori canadesi della Hydrostor stanno costruendo un prototipo che sfrutta la pressione idrostatica dell’acqua. L’energia momentaneamente disponibile in eccesso viene utilizzata per azionare un compressore che spinge aria compressa entro una serie di accumulatori subacquei (simili alle casse di zavorra dei sommergibili), dove l’aria viene immagazzinata ad una pressione uguale o poco superiore rispetto a quella dell’ambiente acquatico in cui sono posti. Quando è necessario ottenere energia viene aperta una valvola, che consente l’ingresso dell’acqua entro gli accumulatori; l’acqua spinge l’aria verso l’esterno e, lungo il percorso, questa produce elettricità mediante un espansore accoppiato a un generatore.

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Sono previsti anche scambiatori di calore per recuperare il calore sviluppato durante la fase di compressione ed annullare l'effetto refrigerante nella fase di espansione. Gli accumulatori possono essere di tipo flessibile o rigido; il sistema non ha parti subacquee in movimento e può essere realizzato con componenti standard; per cui, nonostante sembri complesso a prima vista, dovrebbe risultare di costo contenuto.

Fibre di carbonio a basse emissioni Le fibre di carbonio sono un materiale di rinforzo utilizzato in moltissime applicazioni, con un mercato in continua crescita. Un gruppo di industrie giapponesi (Toray, Teijn, Toho Tenax, Mitsubishi Rayon) in collaborazione con l’Università di Tokio e con l’Istituto per la Scienza e la Tecnologia Industriale (AIST) hanno portato a termine con successo un progetto per produrre le fibre di carbonio partendo da un nuovo polimero, diverso dal poliacrilonitrile (PAN) finora utilizzato. Grazie a questo nuovo polimero (messo a punto dalla Toray), e ad altri perfezionamenti nel processo di produzione, le emissioni di CO2 verranno dimezzate ed i costi di produzione (soprattutto quelli associati ai consumi energetici) verranno sensibilmente ridotti. Le fibre prodotte con il nuovo processo non richiedono trattamenti di ossidazione per acquisire proprietà ritardanti della fiamma; inoltre, la loro carbonizzazione avviene a pressione atmosferica, grazie ad un processo a microonde sviluppato da Teijn. La stessa azienda ha messo anche a punto un processo di trattamento superficiale al plasma, grazie al quale è possibile ottenere particolari caratteristiche della superficie delle fibre. Le nuove fibre hanno un diametro da 9 a 17 micron, che è circa il doppio di quello delle fibre attualmente prodotte a partire dal PAN; le proprietà meccaniche sono press’a poco equivalenti. È previsto a breve l’inizio di lavori per la costruzione di una linea produttiva di tipo industriale.


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EURARE project Tel +30.210.7722177 Fax +30.210.7724181 E-mail thymis@metal.ntua.gr

Alfa Laval Italy Srl Tel 039.2704444 Fax 039.2781000 E-mail alessandra.buffelli@alfalaval.com

Bio Eco Active Srl Tel 051.916667 E-mail info@bioecoactive.it Bonaveri Srl Tel 051.6832011 Fax 051.6836823 E-mail bonaveri@bonaveri.com CARENA project Tel +33.467.149140 Fax +33.467.149119 E-mail gilbert.rios@iemm.univ-montp2.fr CLS Spa - CGT Logistica Sistemi Tel 02.925051 Fax 02.9250111 E-mail carrelli@cls.it CONDIMON project Tel +36.1.7874024 Fax +36.1.7874390 E-mail condimon@ateknea.com Consorzio CIC Tel 02.95019471 Fax 0363.1801012 E-mail segreteriatecnica@compost.it Conwed Tel +32.89.848310 Fax +32.89.848320 E-mail sales@conwedplastics.com CYCLED project Tel +49.30.46403157 E-mail otmar.deubzer@izm.fraunhofer.de

OXFLOC project Tel +49.7119704131 Fax +49.7119704200 E-mail christiane.chaumette@igb.fraunhofer.de

Formeco Srl Tel 049.8084811 Fax 049.8084888 E-mail vendite@formeco.it

QMilk Tel +49.511.37413059 Fax +49.511.37455783 E-mail l.voelsgen@qmilk.eu

Fraunhofer Umsicht Tel +49.9961908410 E-mail samir.binde@umsicht.fraunhofer.de Gruppo Hera Tel 051.287595 E-mail cecilia.bondioli@gruppohera.it H2 Power project Tel 075.5771 E-mail ilaria.bellini@h2power.it Hydrogen Council E-mail secretariat@hydrogencouncil.com

Repreve – Unifi Inc. Tel +1.336.2944410 E-mail info@repreve.com Solvay Fluor Gmbh Tel +49.511.8572446 E-mail jeanette.regeniter@solvay.com Utilitalia Tel 06.94528270 Fax 06.94528203 E-mail stampa@utilitalia.it

Hydrostor Inc. Tel +1.416.5672695 E-mail curt@hydrostor.ca

Vegea Srl Tel 0464.443111 Fax 0464.44311 E-mail info@vegealeather.com

Klopman International Srl Tel. 0775 298245 Fax 0775 298 375 E-mail sales@klopman.com

Velocys PLC Tel +1.614.7333300 Fax +1.614.7333301 E-mail info@velocys.com

Latent Heat Storage Pty Ltd E-mail jonathan.whalley@latent-heat.com

Vogelsang Italia Srl Tel 0373.970699 Fax 0373.91087 E-mail info@vogelsang-srl.it

Liquidity Nanotech Tel +1.510.5221735 E-mal info@liquico.com

Hi-Tech Ambiente

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