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AMBIENTE
MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -
ANNO XXVII SETTEMBRE 2016
PRINCIPI E APPLICAZIONI
NUOVI SVILUPPI
L’analisi per pirolisi e GC/MS
Il recupero dei metalli preziosi
a pagina 26
a pagina 54
LANDFARMING E BIOPILE
LA BONIFICA BIOLOGICA “EX-SITU”
a pagina 10
SPECIALE
a pag. 17
DECANTER CENTRIFUGHI
N6
SOMMARIO 5
PANORAMA
ENERGIA
Pompe e compressori “green”
APPROFONDIMENTI
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La caratterizzazione chimica dei reflui Fondamentale l’assegnazione del codice CER, le indagini da svolgere, il campionamento e l’interpretazione dei risultati di analisi
L’energia che viene dal mare
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Trattamenti semplici, economici, a basso impatto ambientale ed anche eseguibili all’interno dello stesso sito contaminato
Una bonifica “hi-tech”
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Stato dell’arte, aspetti economici e di mercato: maree, moto ondoso, conversione termica ed osmosi
DEPURAZIONE La bonifica biologica “ex-situ”
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Corretta progettazione, regolazione della velocità, riparazione delle perdite, ottimizzazione della pressione di erogazione
MACCHINE & STRUMENTAZIONE
Sempre più IQ 14
Risanamento di un’area industriale dismessa con innovative tecnologie in situ ed ex situ
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La gamma di pompe compatte si amplia con due nuovi modelli, per una capacità teorica fino a 154 mc/h
LABORATORI
Il reattore EOX per reflui zootecnici
L’analisi per pirolisi e GC/MS
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La tecnologia della microbioflottazione con un impianto brevettato per liquami sia tal quali che digestati
La ricerca sui reflui conciari
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Studi, sperimentazioni ed impianti attivi per l’estrazione di oro, platino, palladio, rodio, rutenio, indio, gruppo delle terre rare e mercurio
L’assorbi mercurio
TECNOLOGIE
La metatesi efficiente
MARKET DIRECTORY
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ENTERPRISE EUROPE NETWORK
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ECOTECH
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SPECIALE “DECANTER CENTRIFUGHI”
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BIOMASSE & BIOGAS 34
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Applicati con successo i catalizzatori stereospecifici a base di molibdeno e tungsteno alla reazione tra etilene e oli vegetali
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Grazie al progetto Soreme è stato sviluppato un prototipo di impianto pirolitico per convertire i PFU in materiale valorizzabile
Una nuova tecnologia per il biometano
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Studi e indagini sperimentali a scala banco, pilota e pre-industriale inerenti acque di scarico ed effluenti gassosi
RIFIUTI Il recupero dei metalli preziosi
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Una tecnica rapida e versatile per identificare e caratterizzare le sostanze ad alto peso molecolare
Sviluppati materiali in fase solida per l’assorbimento della CO2 presente nel biogas
Il digestato è innocuo
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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 66 Hi-Tech Ambiente
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panorama DIvErSIfIcazIonE contrIbutIva
La plastica non è tutta uguale conai ha di recente lanciato il progetto di diversificazione contributiva per gli imballaggi in plastica. un passaggio fondamentale, che vede il superamento della regola del contributo ambientale unico per le varie categorie di imballaggio dello stesso materiale, premiando l’impegno delle imprese per imballaggi meglio concepiti ai fini della sostenibilità ambientale e dell’economia circolare. Il nuovo contributo ambientale, che sarà effettivo entro 12 mesi, dopo il necessario adeguamento dei sistemi informativi ed un periodo di test per le imprese, sarà modulato sulla base di tre parame-
IntESa raGGIunta
Il nuovo accordo sui raee
È stato sottoscritto a metà aprile scorso il nuovo accordo di Programma sul trattamento dei raee volto ad assicurare adeguati e omogenei livelli di trattamento e qualificazione delle aziende di settore. L’accordo è stato firmato dal dal cdc raee e da assoraee, assorecuperi e assofermet, associazioni che rappresentano le aziende che gestiscono gli impianti di trattamento dei raee, e prevede l’entrata in vigore 30 giorni dopo la sua sottoscrizione. I Sistemi collettivi, ai fini del trattamento dei raee di loro competenza, in continuità con il precedente accordo, hanno l’obbligo di rivolgersi ai soli impianti accreditati. Per la gestione dell’accordo sono stati istituiti un comitato paritetico, con il compito di monitorare l’applicazione dei contenuti dell’accordo,
e un tavolo tecnico, cui spetterà il ruolo di definire e mantenere aggiornati tutti i riferimenti allo sviluppo tecnologico e all’evoluzione normativa. E’ previsto, inoltre, che il cdc raee implementi il proprio portale per mettere a disposizione servizi dedicati agli impianti accreditati, e che quest’ultimi forniscano annualmente al cdc raee i dati percentuali relativi alla composizione di ciascun raggruppamento, per favorire la dichiarazione resa dallo Stato italiano alla comunità Europea. <<E’ un accordo che va nella duplice direzione di migliorare il sistema raee in Italia e di tutelare maggiormente l’ambiente - afferma Giancarlo Dezio, presidente del cdc raee – e ispirandoci ai più evoluti standard europei, vogliamo raggiungere quei target qualitativi nel trattamento dei raee richiesti dalla uE. Il rispetto delle regole previste vincolerà anche il trattamento di raee raccolti nel nostro paese che dovessero essere inviati in impianti esteri, garantendo così un livello qualitativo di eccellenza ovunque avvenga la lavorazione>>. <<L’accordo – dichiara Giuseppe Piardi, presidente assoraee - fortemente voluto dalle aziende del
trattamento dei raEE, si configura come uno strumento fondamentale per una migliore qualificazione degli impianti e una maggiore uniformità dei livelli di trattamento, purtroppo non sempre garantita
Gli incentivi per le rinnovabili Il decreto metterà a disposizione, a regime, 435 milioni di euro/anno è quanto predisposto per i nuovi impianti selezionati nel 2016. Il periodo di incentivazione avrà durata di 20 anni (25 per il solare termodinamico), per un totale di 9 miliardi di euro. Questo pacchetto di incentivi, chiamato #energienove, cesserà al raggiungimento del tetto o entro il 31/12/2016. Gli incentivi sono specifici per ciascuna fonte energetica: 105 mln di euro per le biomasse, 98 mln di euro per il solare termodinamico, 85 mln per l'eolico on-shore e 10 mln per l'eolico off-shore, 61 mln per l’idroelettrico, 37 mln per il geotermi-
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tri fondamentali: la facilità di selezione degli imballaggi dopo il conferimento per il riciclo; l’effettiva riciclabilità, valutate sulla base delle tecnologie disponibili industrialmente note; il circuito di destinazione (domestico o commercio/industria). Le diverse tipologie di imballaggi in plastica sono state classificate in 3 categorie alle quali corrispondono altrettanti valori del contributo ambientale: godranno dei valori più bassi gli imballaggi maggiormente selezionabili e riciclabili, pagheranno maggiori oneri gli imballaggi più “difficili”. <<abbiamo cominciato dalla plastica - afferma roberto De Santis, Presidente di conai - il materiale più complesso per la varietà delle tipologie e per le tecnologie di selezione e di riciclo, ma procederemo anche con gli altri materiali>>. dalle autorizzazioni, con conseguenti benefici sia dal punto di vista ambientale che economico. nell’attesa delle future norme nazionali che dovranno disciplinare il settore in attuazione degli standard europei sul trattamento, l’accordo può costituire inoltre un momento importante di rodaggio ed un banco di prova per valutare l’attuazione e l’efficacia delle misure e degli standard previsti>>. co. 29 milioni di euro, invece, saranno messi a disposizione dei “rifacimenti”, ovvero bonifiche e riqualificazioni di vecchie centrali per mantenerne in efficienza la potenza (eolica e idrica, soprattutto). Per richiedere gli incentivi sono previste tre differenti modalità, a seconda della tipologia di fonte e della potenza dell’impianto: accesso diretto, iscrizione in appositi registri (pubblicati dal GSE), procedure di aste al ribasso.
accorDo EnEa-MIPaaf
L’ecoefficienza in agricoltura nali. Inoltre, Enea e Mipaaf supporteranno imprese ed enti di ricerca nazionali nella partecipazione a progetti europei e internazionali, anche attraverso la costi-
tuzione di partenariati e l’elaborazione delle proposte. Il settore agricolo e agroindustriale consuma ingenti quantità di energia, soprattutto calore ed elettricità per la produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti di origine animale e vegetale, per il funzionamento delle macchine e la climatizzazione degli ambienti di produzione e trasformazione.
Il Conto Termico 2.0
Promuovere l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti rinnovabili nel settore agricolo, forestale e nell’agroindustria, ottimizzando i consumi e migliorando i risparmi, in particolare delle attività a più alta intensità energetica. È questo uno dei principali obiettivi del Protocollo di intesa firmato dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MiPaaf) e l’Enea. Il Protocollo prevede una rafforzata collaborazione fra le due strutture per migliorare l’efficienza energetica nel sistema agricolo-alimentare, diminuirne gli impatti ambientali e rafforzare il
trasferimento di know-how e metodologie innovative, anche attraverso attività di informazione e comunicazione sui consumi di energia, in ambito nazionale e regionale, così come stabilito dalla Direttiva Europea 27/Eu/2014. L’Enea, inoltre, sosterrà l’introduzione di processi e tecnologie innovative per la realizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, l’efficientamento di quelli esistenti e di progetti pilota; verrà inoltre promosso l’utilizzo efficiente di prodotti agricoli e agroindustriali a fini energetici e per la produzione di biometano e di biocarburanti da filiere nazio-
a meno di un anno dalla sua nascita, il comitato Energia da biomasse Solide consolida il suo percorso e diventa associazione. Scopo dell'associazione EbS è rappresentare, in maniera ancora più incisiva, un vero e proprio settore industriale che genera molteplici benefici per il sistema Italia e che non è in competizione con il settore food. non solo da un punto di vista ambientale, grazie a sofisticati sistemi di controllo delle emissioni, assicurando la regolare manutenzione del patrimonio boschivo ed evitando combustioni incontrollate, ma anche da un punto di vista economico, soprattutto per il comparto agricolo, attraverso le produzioni agroenergetiche, la valorizzazione dei terreni marginali, l'impiego dei sottoprodotti e per tutto il settore della logistica della biomas-
sa. Le imprese del settore rappresentano, poi, un punto di riferimento per lo sviluppo di una tecnologia nazionale per la costruzione e la manutenzione di impianti energetici. Inoltre, l'associazione avrà il compito di vigilare sulla tutela e sullo sviluppo di tutte le imprese e associazioni operanti nell’ambito della produzione di energia da fonti rinnovabili, dello studio e della ricerca relativa alle biomasse solide legnose e, soprattutto, della filiera industriale a essa collegata.
@AMBIENTE ON-LINE@AMBIENTE ON-LINE@
Buone pratiche di eco-efficienza È attivo il sito www.eumerci.eu, dedicato al progetto biennale EuMerci, che supporterà l’industria europea a realizzare progetti di efficienza energetica nei processi produttivi. finanziato da Horizon 2020, il progetto metterà a disposizione un’estesa banca dati di buone pratiche per favorire l’efficienza energetica e la competitività nell’industria. La selezione delle best practices si baserà principalmente sull’analisi di migliaia di progetti concretamente realizzati a livello europeo nei diversi settori industriali. In questa prima fase è in corso la raccolta e l’analisi dei casi di stu-
dio; la banca dati delle buone pratiche sarà disponibile a partire da febbraio 2017. nel frattempo, il lancio del sito permetterà anche la raccolta di buone pratiche direttamente provenienti da aziende appartenenti a diversi settori industriali e a differenti Paesi europei, che potranno così mettere in evidenza i propri risultati di efficienza energetica. allo scopo, le aziende che hanno intrapreso la strada dell’efficienza energetica ed hanno raggiunto obiettivi degni di nota possono condividere la propria esperienza usufruendo della piattaforma “Do you have best pratice to share?” presente sul si-
to del progetto. Sulla base dell’analisi delle applicazioni reali, Eu-Merci valuterà anche l’efficacia delle politiche e degli schemi di sostegno dell’efficienza energetica nell’industria (come stabilito dall’art.7 della Direttiva 2012/27/uE per l’efficienza energetica sui regimi obbligatori di efficienza energetica). Eu-Merci, inoltre, condividerà il database di buone pratiche raccolte anche attraverso un consistente programma di capacity building e di diffusione con il mondo industriale e con i policy makers. tra i partners del progetto, che vede coinvolte strutture di nove Paesi
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uE, vi sono anche la federazione italiana per l’uso razionale dell’energia (fIrE) e il rSE-ricerca sul Sistema Energetico, che ne è il coordinatore.
www.eumerci.eu
approfondimenti
La caratterizzazione chimica dei rifiuti Per definirne la pericolosità
fondamentale l’assegnazione del codice cEr, le indagini da svolgere, il campionamento e l’interpretazione dei risultati di analisi La legge 116/2014 (che ha convertito in legge il D.L. 91/2014) ha introdotto una nuova classificazione dei rifiuti. La nuova disciplina, contenuta all’art. 13, comma 5, lettera b-bis del D.L. 91/2014, è stata inserita come Premessa nell’all. D alla Parte Iv del tu ambientale (D.Lgs. 152/2006); i punti principali si possono così riassumere:
prietà di pericolo del rifiuto, definite da H1 a H15, devono comunque essere determinate al fine di procedere alla sua gestione (trasporto secondo la normativa aDr, valutazione dell’ammissibilità in discarica) - rifiuti caratterizzati da codice cEr privo di asterisco. Si tratta di rifiuti denominati “non pericolosi in assoluto”, che quindi vanno sempre considerati come non pericolosi, a prescindere dalla concentrazione di sostanze pericolose in essi contenute. teoricamente, quindi, per questi rifiuti non sarebbero necessarie analisi, salvo necessità connesse alla gestione del rifiuto (ad es. ammissibilità in discarica) - rifiuti caratterizzati da codici cEr speculari (“a specchio”), uno pericoloso e l’altro non pericoloso. In questo caso, per stabilire se il rifiuto è pericoloso o meno, devono essere determinate le sue proprietà di pericolo. LE INDAGINI DA SVOLGERE
nell’ultimo caso, ossia rifiuti con codici cEr speculari, le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono: - indagine tecnica, diretta a individuare i composti presenti nel ri-
IL CODICE CER
In primo luogo, la classificazione deve essere effettuata dal produttore, attraverso l’assegnazione ai rifiuti del competente codice cEr, prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione. Possono verificarsi tre diverse situazioni: - rifiuti caratterizzati da codice cEr con asterisco. Questi rifiuti, denominati “pericolosi in assoluto”, vanno sempre considerati come pericolosi, a prescindere dalla concentrazione di sostanze pericolose in essi contenuto. Le pro-
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La caratterizzazione chimica dei rifiuti fiuto attraverso la scheda informativa del produttore, la conoscenza del processo chimico, il campionamento e l’analisi del rifiuto - indagine bibliografica, il cui scopo è determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso la normativa europea sull’etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi, le fonti informative europee ed internazionali, la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto - indagine analitica, che serve a stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia (stabilito secondo il regolamento uE 1357/2014) per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo. Senza entrare nel dettaglio dei valori soglia, essi sono concentrazioni di riferimento oltre le quali il rifiuto deve essere classificato come pericoloso e associato ad un certo tipo di pericolo. Diventa quindi necessario, in molti casi, procedere ad analisi di caratterizzazione, condotte attraverso metodi di analisi e di campionamento ufficiali e standardizzati.
del campione ed analisi degli eluati”. Si tratta di una norma applicabile a tutte le tipologie di rifiuti (liquidi, liquefacibili per riscaldamento, fanghi liquidi, fanghi pastosi, polveri o rifiuti granulari, rifiuti grossolani, monolitici o massivi), che descrive la definizione del piano di campionamento, le tecniche di campionamento manuale e le modalità di conservazione dei campioni, le procedure di riduzione dimensionale dei campioni per il trasporto e l’analisi, la documentazione per la rintracciabilità delle operazioni di campionamento. La norma, inoltre, descrive i procedimenti di preparazione e analisi degli eluati, che costituisce test per la valutazione di conformità in caso di conferimento in discarica o di re-
cupero. Per la preparazione del piano di campionamento il riferimento è la norma unI En 14899:2005 “caratterizzazione dei rifiuti – campionamento dei rifiuti – Schema quadro di riferimento per la preparazione e l’applicazione di un piano di campionamento”. nel processo di definizione del piano di campionamento l’obiettivo è tradotto in istruzioni tecniche specifiche e concrete per il campionatore: utilizzando queste istruzioni, il campionatore preleva il tipo e il numero di campioni adeguato a soddisfare l’obiettivo del programma di prova, fornendo al responsabile decisionale le informazioni richieste sulla caratterizzazione dei rifiuti oggetto dell’indagine.
IL CAMPIONAMENTO
Dato che nella maggior parte dei casi i rifiuti si presentano in modo piuttosto eterogeneo, e viste le implicazioni legali di carattere anche penale di una non corretta classificazione dei rifiuti, è chiaro che le attività di campionamento devono essere eseguite in modo da garantire che la porzione che andrà a costituire il campione di laboratorio presenti la massima rappresentatività della massa complessiva. Il riferimento comunemente utilizzato per il campionamento, ufficialmente richiamato nel Decreto 24/6/2015 per il conferimento dei rifiuti in discarica, è la norma unI 10802:2013, dal titolo “campionamento manuale, preparazione Hi-Tech Ambiente
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INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI DI ANALISI
un caso particolare ricorre quando i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti che lo costituiscono. In questo caso, per individuare le caratteristiche del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori (“composti virtuali”), in applicazione del principio di precauzione. Il caso tipico si verifica quando la presenza di un metallo pesante viene individuata dall’analisi chimica solo nella forma elementare del metallo per cui questo può essere presente in composti (ad esempio ossidi) fra loro assai diversi per tossicità. In assenza di informazioni più precise, si deve tener conto del composto più pericoloso, riferendo ad esso, attraverso un calcolo stechiometrico, la concentrazione del metallo rinvenuta in sede di analisi. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con modalità che consentano di definire chiaramente le caratteristiche di pericolo, il rifiuto si classifica come pericoloso, in applicazione del principio di precauzione. L’unica eccezione è costituita dai rifiuti contenenti idrocarburi, per i quali ai fini della valutazione di carcinogenicità si deve considerare il contenuto di idrocarburi policiclici aromatici (IPa) e non quello degli idrocarburi totali.
IL CASO DEI RIFIUTI IN DISCARICA
nel caso dei rifiuti da conferire in discarica, il Decreto 24/6/2015 (come già in precedenza il D.M. 27/9/2010) indica chiaramente le metodiche da utilizzare per i diversi parametri. L’all. III al Decreto (“campionamento e analisi dei rifiuti”), specifica che il metodo di campionamento da utilizzare per la caratterizzazione dei rifiuti deve essere la norma unI 10802, con riferimento anche alla norma unI 14899 ed alla unI En 15002. Per i soli rifiuti urbani e biodegradabili il riferimento è dato dai metodi Irsa, cnr, norma cII – unI 9246. Per quanto riguarda l’aspetto analitico, il Decreto contiene numerose indicazioni: ad esempio, la determinazione del contenuto di oli minerali (frazione c10-c40) deve essere eseguita secondo la norma unI En 14039, basata sull’estrazione con solvente e successiva analisi gascromatorgrafica; la determinazione del carbonio organico totale (toc) deve essere effettuata utilizzando la norma unI En 13137. Sono anche presenti indicazioni precise
circa i metodi da utilizzare per la preparazione e l’analisi dei test di cessione, che servono a fornire specifiche indicazioni del comportamento del rifiuto in discarica in termini di possibile rilascio di inquinanti verso il sottosuolo. Il decreto indica anche i metodi per la digestione dei rifiuti (processo di attacco con acidi, diretto a solubilizzare i metalli contenuti nei rifiuti e poterli quindi determinare con analisi successive), che devono essere quelli di cui alle norme unI En 13656 o unI En 13657. È poi presente un’indicazione importante circa la modalità di quantificazione di inquinanti quali i Pcb (policlorobifenili), che sono costituiti da diversi tipi di molecole appartenenti alla stessa famiglia (“congeneri”); il Decreto esplicita i singoli congeneri significativi, per i quali occorre effettuare la quantificazione per definire l’ammissibilità o meno in discarica, suddividendoli in due categorie: quelli significativi dal punto di vista igienico-sanitario (17) e quelli individuati dall’oMS come “dioxin-like”, ovvero simili alle diossine dal punto di vista tossicologico (12).
DEPURAZIONE A C Q U A - A R I A - S U O L O
La bonifica biologica “ex-situ” Landfarming e biopile
trattamenti semplici, economici, a basso impatto ambientale ed anche eseguibili all’interno dello stesso sito contaminato
Landfarming
I trattamenti biologici dei siti contaminati hanno lo scopo di accelerare e rendere più efficaci i processi di degradazione dei contaminanti, che avvengono normalmente in natura, ma con tempi lunghi ed esisti spesso incerti. alcuni considerano come trattamento anche la “natural attenuation”, cioè il semplice monitoraggio dei processi naturali; ma normalmente i trattamenti biologici
di bonifica vengono distinti tra quelli “ex situ” (che prevedono lo scavo del terreno ed il suo trattamento) e quelli “in situ”, che non rimuovono il terreno ma intervengono direttamente su di esso insufflando aria o vapore e iniettando batteri e sostanze promotrici delle reazioni di degradazione degli inquinanti. Per quanto i trattamenti “in situ” siano in linea di massima preferi-
bili (e questa preferenza è stata esplicitamente codificata nella normativa italiana), i trattamenti "ex situ" di landfarming e biopile presentano molti aspetti positivi per le loro caratteristiche di semplicità, economicità e basso (o nullo) impatto ambientale. Inoltre, questi trattamenti possono di solito essere eseguiti all’interno dello stesso sito contaminato, evitando il trasporto di materiali
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da classificare come rifiuti. Landfarming e biopile non richiedono l’allestimento di impianti fissi e, pertanto, il loro iter autorizzativo si limita all’approvazione da parte della conferenza dei Servizi del progetto operativo di bonifica. PRINCIPI GENERALI E APPLICABILITA’
Landfarming e biopile sono basati sulla stimolazione della crescita e della moltiplicazione dei batteri aerobici presenti nel terreno, mediante insufflazione o aspirazione di aria e eventuale aggiunta di ammendanti e nutrienti per i batteri stessi. La differenza principale è che nel landfarming il terreno viene ossigenato movimentandolo, mentre nelle biopile il terreno è disperso in cumuli fissi, entro i quali viene fatta arrivare l’aria mediante un sistema di tubazioni. Entrambe le tecniche sono risultate particolarmente efficaci per la rimozione di inquinanti di origine petrolifera, soprattutto quando si tratta di distillati (benzina, cherosene, gasolio). Gli oli combustibili ed i residui asfaltosi possono essere anch'essi trattati, ma contengono idrocarburi aromatici pesanti, che richiedono tempi molto lunghi per la loro degradazione. I tempi di trattamento sono generalmente compresi tra 6 mesi e 2 anni; i costi sono limitati (da 25 a 50 euro/ton di terreno per il landfarming, un po’ di più per le biopile). Entrambi i processi, ma soprattutto il landfarming, richiedono parecchio spazio, e possono produrre vapori, che necessitano di un trattamento per essere immessi in atmosfera; in questo caso risultano più convenienti le biopile, che possono essere progettate come sistema chiuso. INDAGINI PRELIMINARI
Per decidere se il landfarming o le biopile siano applicabili ad un sito contaminato, è necessario condurre alcune indagini preliminari, relative a: Continua a pag. 12
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La bonifica biologica “ex-situ” - densità della popolazione microbica. Per ottenere un trattamento efficace, il terreno deve contenere almeno 1.000 ufc (unità formanti colonie) di batteri aerobi eterotrofi per grammo. Se la quantità è inferiore, è probabile la presenza di condizioni tossiche, che devono essere investigate e corrette - pH del terreno, che deve essere compreso tra 6 e 8; valori inferiori a 6 possono essere corretti con l’aggiunta di calce, mentre valori superiori a 8 richiedono l’aggiunta di gesso o di soluzioni acide - tasso di umidità, che deve essere compreso del 12-30% in peso di acqua. terreni troppo umidi devono essere preventivamente asciugati all’aria; i terreni secchi vengono innaffiati, tenendo conto che nel corso del trattamento è necessario aggiungere acqua, per compensare quella perduta per evaporazione - concentrazione di nutrienti. Il rapporto tra il contenuto di carbonio del terreno e quello di azoto e fosforo dovrà essere compreso tra 100:10:1 e 100:1:0,5. Se necessario possono essere aggiunti fertilizzanti chimici a lento rilascio - struttura del terreno. La biodegradazione aerobica ha bisogno di un afflusso constante e uniforme di ossigeno, per cui è spesso necessario un trattamento di vagliatura e di frantumazione di blocchi e aggregati argillosi. I terreni a prevalente struttura limosa o argillosa richiedono l’aggiunta, in fase di formazione dei cumuli, di materiali rigonfianti biodegradabili, che facilitino il passaggio di aria; allo scopo, si
Biopile
Biopile
impiegano generalmente segatura, paglia, cippato, o residui di potatura triturati - concentrazione degli inquinanti. concentrazioni troppo elevate possono essere tossiche per i batteri, mentre concentrazioni troppo basse non forniscono loro un nutrimento sufficiente. nel caso più comune di contaminazione (idrocarburi) è sconsigliabile trattare terreni con oltre 50.000 mg di idrocarburi per kg; deve essere inoltre evitata la presenza di metalli pesanti in concentrazioni superiori a 2.500 mg/kg. LANDFARMING
Il landfarming viene generalmente praticato all’aperto. Il terreno dove verranno disposti i cumuli di materiale da bonificare non deve essere prossimo a falde acquifere; viene preparato mediante re-
golarizzazione, stesa di tessutonon tessuto, sabbia e telo impermeabilizzante di HDPE. viene poi predisposto il sistema di raccolta del percolato ed il sistema di irrigazione superficiale. Il terreno da bonificare viene disposto in lunghi cumuli, a sezione triangolare o trapezoidale, di altezza variabile tra 30 e 50 cm. Si procede successivamente al rivoltamento dei cumuli, utilizzando macchine che percorrono i corridoi tra un cumulo e l’altro, e miscelano il terreno mediante coclee, vomeri, aspi o altre parti in movimento. Inizialmente, i cumuli vengono rivoltati ogni 15 giorni; successivamente, la frequenza può essere ridotta in funzione della progressiva diminuzione della concentrazione dei contaminanti (da misurare mediante analisi periodiche). La durata prevedibile del trattamento
Biopile Hi-Tech Ambiente
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dovrà essere valutata con una prova pilota, o per confronto con bonifiche analoghe già intraprese in passato; è comunque stimabile in settimane o mesi. Si deve considerare che nella stagione invernale, quando la temperatura all’interno dei cumuli scende sotto 5 °c, i processi di degradazione biologica risultano grandemente rallentati, per cui è opportuno sospendere il rivoltamento dei cumuli. Durante il trattamento è necessario eseguire controlli periodici, per valutare l’avanzamento della bonifica e l’eventuale necessità di interventi correttivi. In particolare, le concentrazioni di azoto e fosforo del terreno devono essere controllate dopo 15 giorni dall’inizio e, successivamente, ogni 3 mesi; se l’azoto totale risulta inferiore a 50 mg/kg, o se il fosforo è inferiore a 5 mg/kg, si devono
Biopile
aggiungere fertilizzanti appropriati. È necessario inoltre controllare ogni mese la temperatura all’interno dei cumuli, il pH, e ogni 15 giorni l’attività microbica (mediante test respirometrici). BIOPILE
oltre a quanto già detto per il landfarming, la biopila richiede un sistema di aerazione, composto da una pompa, una tubazione di collegamento e un reticolo orizzontale di tubazioni fessurate,
Landfarming
che saranno coperte dal cumulo su uno o più livelli. Se si impiega un solo livello, l’altezza del cumulo non dovrà superare i 3 metri. oltre al sistema di aerazione, è necessario predisporre un sistema di iniezione dell’acqua (alla quale possono essere miscelati opportuni nutrienti e/o correttivi del pH), ed il posizionamento di alcuni strumenti per il monitoraggio dei parametri fondamentali (termocoppie, sensori di pH e umidità, tubazioni per il campionamento dei gas).
Il sistema di aerazione può essere in pressione (mediante aria pompata da una soffiante) o in modalità estrattiva, cioè creando una depressione che favorisce l’ingresso di aria dall’ambiente entro il cumulo; quest’ultimo sistema è preferibile in presenza di sostanze volatili nel terreno da trattare, in quanto le S.o.v. non biodegradate possono essere catturate su biofiltri o filtri a carbone attivo. una volta completata la costruzione della biopila, questa viene coperta con teli impermeabili
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(possibilmente del tipo traspirante), fissati alla base con pneumatici usati o sacchi di sabbia. Il monitoraggio del processo è simile a quello del landfarming, tenendo però presente che l’assenza di rivoltamento e la copertura del cumulo richiedono un attento controllo della temperatura: i processi di degradazione biologica producono calore, ed è necessario evitare che la temperatura all’interno dei cumuli superi 40 °c, perché temperature superiori uccidono i batteri.
Una bonifica “hi-tech” Ladurner
risanamento di un’area industriale dismessa con innovative tecnologie in situ ed ex situ rem-tec (Gruppo Ladurner) in ati con arcadis Italia si è aggiudicata l’appalto di un sofisticato intervento di risanamento di un’area industriale dismessa a vicenza. L’area era adibita fino al 1980 alla produzione di prodotti farmaceutici e si trova all’interno di una zona residenziale. Il sito è caratterizzato da una complessa situazione geologica ed idrogeologica, con quattro strati acquiferi sovrapposti. L’elevata presenza di terreni a granulometria fine, l’elevata contaminazione con sostanze recalcitranti (clorobenzeni, idrocarburi alifatici clorurati e idrocarburi aromatici) e l’immediata vicinanza di complessi residenziali rendono l’intervento di risanamento particolarmente impegnativo. Per poter raggiungere gli standard necessari per un utilizzo residenziale del sito ed allo stesso tempo evitare qualsiasi impatto per la salute pubblica nelle aree residenziali adiacenti, si è resa necessaria una sofisticata combinazione di varie tecnologie di bonifica sia in-situ che ex-situ. Gli interventi di bonifica previsti sono: bonifica amianto degli edifici
esistenti; demolizione degli edifici esistenti; scavo, trattamento on-site e/o smaltimento esterno del suolo insaturo; bonifica delle aree di sorgente mediante trattamento termico in-situ; risanamento della falda acquifera superficiale mediante combinazione di ossidazione chimica in-situ (ISco), multiphase extraction (MPE), pump&treat; contenimento idraulico delle falde confinate profonde. a seguito della bonifica di amianto e della demolizione di tutti gli edifici esistenti verrà effettuato lo sbancamento dei terreni insaturi contaminati. I terreni contaminati da composti volatili verranno sottoposti ad un trattamento di ventilazione forzata in pila all’interno di appositi capannoni; mentre, i terreni contaminati da composti inorganici ed altri rifiuti residui verranno smaltiti in impianti esterni. nelle due aree di sorgente è previsto un intervento di desorbimento termico in-situ (IStt) in quanto questa tecnologia è idonea al trattamento dei composti volatili (voc) e semivolatili presenti sul sito an-
che in terreni poco permeabili. Le tecnologie IStt prevedono l’apporto di energia nel sottosuolo per incrementare la temperatura del terreno e dell’acqua interstiziale. Questo aumenta la volatilità dei voc. Gli inquinanti, anche in fase separata (naPL), vengono desorbi ti dalla matrice del terreno. creando vapore e voc in fase gassosa nei micropori gli inquinanti possono essere trasportati ed allontanati dalla zona di trattamento. un apposito sistema di estrazione garantisce una controllata migrazione degli inquinanti e il loro trasferimento all’unità di trattamento. nel caso in oggetto, il riscaldamento del terreno avviene tramite riscaldamento resistivo (ErH - Electrical resistance Heating) che utilizza una maglia regolare di elettrodi installati nell’area di trattamento e che raggiungono l’intera estensione verticale della contaminazione. a seguito della resistività elettrica del sottosuolo, l’energia elettrica si trasforma in energia termica riscaldando così i terreni nell’area d’intervento. nelle due aree di sorgente sono
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previsti complessivamente circa 200 elettrodi ErH e circa 100 pozzi di estrazione e una temperatura di processo di 100 °c. I fluidi ed i gas estratti verranno trattati in un impianto di trattamento a carboni attivi con rigenerazione a vapore. Per il risanamento dei tre pennacchi di contaminazione nella falda acquifera superficiale è previsto un intervento combinato di ossidazione chimica in-situ iniettando reagenti ossidanti (reagente di fenton). Per il dimensionamento dell’intervento sono previste una serie di prove pilota. una parte del pennacchio con presenza di prodotto in fase separata sarà sottoposto ad un intervento di multiphase extraction e da un intervento di pump&treat. tutti gli interventi di risanamento sono stati programmati attraverso un modello numerico di flusso e trasporto che è servito al dimensionamento ed alla previsione dell’andamento della bonifica. Durante l’esecuzione dell’intervento il modello numerico sarà un utile strumento di confronto e valutazione del progresso di bonifica.
MEMbranE bIorEactor EvoLutIon
E’ l’era di Bio-Cel L Smart, semplice e sicuro: i plus del nuovo modulo Mbr evoluto di Microdyn-nadir Il bio-cel sommerso di Microdyn-nadir copre tutti questi attributi ed è quindi un’ottima scelta quando si tratta di trattamento delle acque reflue! I moduli sommersi hanno infatti dimostrato di essere la tecnologia “state-of-the-art” quando si parla di processi Mbr. E risale al 2005 Microdyn-nadir ha il lancio del suo prodotto per i processi Mbr, ossia il modulo bio-cel sommerso Mbr, che offre il meglio di due tecnologie. fino al 2014 bio-cel era disponibile con superficie di membrana di 10, 50, 100 e 416 mq, ma il crescente successo e richiesta di tecnologia Mbr in tutto il mondo, hanno spinto Microdyn-nadir a sviluppare il modulo di bio-cel XL con 1.920 mq di superficie di
membrana, che è stato lanciato sul mercato a Ifat dello stesso anno, e da allora questo mega modulo ha dimostrato un grande successo! Il passo successivo è recentissimo. Durante Ifat di quest’anno l’azienda ha lanciato una versione più evoluta del modulo, il nuovo bio-cel L, ossia il successore del famoso bio-cel bc 416. Inoltre, il modello bio-cel XL è diventato disponibile anche con superficie di membrana di 480 mq per modulo, con alloggiamento in acciaio inox e massima stabilità (+20% densità di impaccamento). Ma cosa è che rende la tecnologia bio-cel L smart, sicura e semplice? - Smart: bio-cel L è l’unico modulo con tecnologia a membrana
a lamina, ossia la combinazione di due delle migliori tecnologie. non una fibra cava e non un piatto, ma un foglio cavo! a differenza di queste due strutture, biocel L è backwashable come un modulo a fibra cava ma senza i problemi di intasamento e per di più può essere pulito meccanicamente. Il processo di pulizia meccanica intelligente (McP) riduce al minimo la domanda di prodotti chimici o addirittura li rende del tutto inutili, e ciò consente di risparmiare i costi, di minimizzare i tempi di inattività a causa della fase di lavaggio intensivo e di mantenere una ottimale permeabilità. - Safe: la tecnologia Mbr a lamina ha un meccanismo di auto-
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guarigione che permette alla struttura del modulo di ripararsi in meno di 2 minuti, così da garantire comunque l’alta qualità del refluo trattato anche in caso di danni alla membrana. - Simple: semplice pre-trattamento, semplice installazione, semplice funzionamento, semplice pulizia del modulo.
Il reattore EOX per reflui zootecnici Riduzione biologica dell’azoto
La tecnologia della microbioflottazione con un impianto brevettato per liquami sia tal quali che digestati La cIEM Impianti applica con successo già da alcuni anni la tecnologia di microbioflottazione con reattore EoX per il trattamento di liquami zootecnici (suini, vitelli, bovini, avicoli, etc.) tal quali e digestati ad alto contenuto di azoto. Il sistema è applicato per la riduzione del tenore di azoto dei reflui, per ridurre la superficie per lo spandimento sui campi come
descritto nella 91/676/cEE (Direttiva nitrati). IN PRESENZA DI ALTO CONTENUTO DI AZOTO
Dal punto di divista tecnico-ambientale, la gestione di un processo nitro-denitro efficiente e sostenibile per il trattamento di reflui ad alto contenuto di azoto, richie-
de alcuni accorgimenti specifici che devono essere valutati con molta attenzione, che riguardano la qualità del refluo in ingresso e la gestione aziendale dello stesso. In particolar modo i “liquami tal quali” o “liquami + biomasse” che hanno subito un processo di digestione anaerobica, contengono un elevato quantitativo di solidi fangosi finemente dispersi
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(biomassa anaerobica) e di sostanze colloidali difficilmente separabili (soprattutto se il liquame è additivato con biomasse) che vanno a gravare sull’efficienza dei sistemi di ossigenazione installati e sulla vita degli impianti stessi. un’ossigenazione inefficiente è uno dei primi fattori di cattivo funzionamento del processo di nitrificazione. Inoltre, le biomasse solitamente aggiunte nella fase di digestione anaerobica, se non correttamente gestite, oltre a provocare un aumento della quantità complessiva di azoto da trattare, diminuiscono il rapporto ammoniaca/azoto organico e quindi richiedono tempi di trattamento più elevati al fine di ottenere una completa idrolisi dell’azoto organico. al contrario, nel caso di digestione anaerobica di soli liquami, si può incorrere nello sbilanciamento del rapporto boD/n, a sfavore di una completa denitrificazione. Il refluo in uscita dalla fase di digestione anaerobica ha solitamente una temperatura molto elevata (>35°c) e pH neutro. Le condizioni di pH e temperatura sono parametri vincolanti al buon funzionamento del processo di nitrificazione e regolano il rapporto nH 3 /nH 4 + ; all’aumentare della temperatura e del pH, aumenta l’ammoniaca gas libera che è tossica per le popolazioni nitrificanti. Il mancato rispetto degli aspetti di cui sopra, può portare ad una nitrificazione inefficiente ed incompleta e, come conseguenza indiretta, portare all’emissione di nH3 e n2o in atmosfera per strippaggio. 12 ANNI DI ESPERIENZA
Le esperienze processistiche nel trattamento dei questo tipo di reflui hanno permesso a cIEM Impianti di acquisire un know-how specifico e di applicarlo con successo su scala industriale. La selezione del sistema più idoneo di separazione primario è il primo tassello fondamentale per il buono e duraturo funzionamento dell’impianto di abbattimento azoto. I sistemi utilizzati spaziano dai separatori a compressione elicoidale ai decanter centrifughi, la cui scelta viene fatta in funzione della tipologia di solido da separare (fibroso o fangoso), dal rapContinua a pag. 25
SPECIALE
DECANTER CENTRIFUGHI
SPECIALE DECANTER CENTRIFUGHI presse. I sistemi a centrifuga presentano numerosi vantaggi e sono largamente diffusi nelle applicazioni relative ai fanghi di depurazione. COME FUNZIONA UNA CENTRIFUGA?
La centrifugazione dei fanghi Semplice ed efficiente
Esistono diversi tipi di macchine che si differenziano in base alla funzione, tra queste vi è la disintegrazione Qualsiasi sia il tipo di smaltimento finale per i fanghi di depurazione delle acque reflue, è necessario ridurre la quantità di acqua in essi presente. L’uso del calore è energeticamente dispendioso ed è opportuno che venga riservato solo alle fasi finali di essiccamento; finchè è possibile, conviene ricorrere ai sistemi meccanici, come le centrifughe, i filtri sottovuoto, le nastropresse e le filtro-
La centrifuga separa i materiali in base al loro diverso peso specifico, secondo lo stesso principio della decantazione naturale per azione della forza di gravità. Il vantaggio della centrifuga è la sostituzione della gravità naturale con la forza centrifuga prodotta dalla rotazione: una centrifuga che ruota a 5.000 giri produce una forza circa 3.500 volte superiore alla gravità terrestre. La disidratazione per centrifugazione sfrutta la differenza di peso specifico tra il fango e l'acqua: il fango, essendo più pesante, risente maggiormente dell'azione della forza centrifuga. Generalmente una centrifuga per disidratazione (chiamata anche centrifuga “decanter”) è costituita da un corpo cilindrico ad asse orizzontale, rastremato in forma tronco-conica ad una estremità. Il fango da disidratare viene alimentato in corrispondenza dell’asse del corpo cilindrico, che ruota ad elevata velocità, spingendo il fango contro le sue pareti. All’interno del cilindro c’è una coclea, che ruota nello stesso senso ma a velocità leggermente inferiore (da 1 a 5 giri/min in meno); la rotazione della coclea trascina i solidi verso l’estremità del cilindro, corrispondente al vertice della parte conica; di qui, dopo aver percorso un breve tratto a sezione cilindrica, i fanghi disidratati escono attraverso apposite feritoie. La parte acquosa si raccoglie in corrispondenza dell’asse della coclea, formando il cosiddetto “centrato”, che viene scaricato all’altra estremità. In sostanza, i fanghi compiono un complicato percorso elicoidale, per un tempo di residenza di 10-15 minuti; durante questo percorso si può distinguere una fase iniziale di filtrazione (durante la quale l’acqua libera viene separata dalle particelle di fango), ed una di spremitura, corrispondente all’eliminazione dell’acqua interstiziale e dell’umidità superficiale. Poiché l’eliminazione dell’acqua avviene grazie all’azione di compressione Continua a pag. 20
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SPECIALE DECANTER CENTRIFUGHI Continua da pag. 18
La centrifugazione dei fanghi esercitata dalla forza centrifuga, le particelle di fango adiacenti alle pareti esterne della centrifuga vengono maggiormente spremute rispetto a quelle che si trovano più vicine all’asse di rotazione; la differenza è in genere del 10% di sostanza secca in più. PARAMETRI DI FUNZIONAMENTO
I principali parametri che influenzano le prestazioni di una centrifuga sono: qualità del fango (dipendente soprattutto dal tipo di condizionamento), portata in alimentazione, velocità di rotazione del tamburo, differenza di velocità tra tamburo e coclea, spessore dell’anello liquido. Il condizionamento ottimale deve essere ricercato con prove di laboratorio; vengono normalmente impiegati polielettroliti cationici, che neutralizzano la carica negativa superficiale dei fiocchi di fango, facilitando l’avvicinamento delle particelle e la conseguente eliminazione dell’acqua interstiziale e di quella superficiale. Per le centrifughe a disidratazione spinta sono particolarmente indicati polielettroliti a struttura non lineare, ad alto peso molecolare e con catene parzialmente reticolate. Il dosaggio tipico di polielettrolita va da 5 a 8 kg di polimero per ogni tonnellata di sostanza secca nel caso di fanghi non digeriti, mentre può essere ridotto (da 1,5 a 3 kg/ton) per i fanghi digeriti. Oltre al polielettrolita, viene
spesso utilizzato il policloruro di alluminio (PACl), che elimina gli effetti di appiccicosità che possono mandare in sovraccarico l’azionamento del motore elettrico della coclea; è utile anche l’aggiunta di calce, in quantità di almeno il 20%, per accrescere il peso specifico dei fanghi e ren-
derli quindi più sensibili all’effetto della forza centrifuga. Per quanto riguarda gli altri parametri di funzionamento, si può in linea generale dire che: - aumentando la portata di alimentazione, diminuisce sia il recupero dei solidi che la concentrazione del fango disidratato
- aumentando la velocità del tamburo, migliorano sia il recupero di solidi che la concentrazione del fango - aumentando il differenziale di velocità tra tamburo e coclea, aumenta il recupero dei solidi ma diminuisce la concentrazione del fango, ed un effetto analogo si ha aumentando lo spessore dell’anello liquido. Le centrifughe oggi sul mercato sono differenziate secondo la funzione: per compattare il fango di supero fino ad un tenore di sostanza secca del 5-8%, adatta ad alimentare i digestori anaerobici, si usa una configurazione che punta a minimizzare i costi di esercizio (basso consumo di polielettroliti e di energia elettrica); mentre per la disidratazione finale del fango digerito, che viene portato al 25-30% di sostanza secca, si usano centrifughe ad alte prestazioni, con azionamenti elettrici e sistemi di trasmissione ad elevata coppia motrice e sistemi automatici di adeguamento della coppia alle condizioni di flusso. CENTRIFUGHE, NASTROPRESSE E FILTROPRESSE
Le centrifughe per la disidratazione dei fanghi devono competere, in termini di costi e prestazioni, con altri sistemi meccanici, come le nastropresse e le filtropresse. Le filtropresse sono generalmente utilizzate per fanghi inorganici; per la disidratazione dei fanghi biologici sono svantaggiate da alti costi, sia di impianto che di manodopera. A favore delle filtropresse vi è la possibilità di ottenere un pannello
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SPECIALE DECANTER CENTRIFUGHI CENTRIFUGHE DISINTEGRATRICI
filtrato con alto tenore di sostanza solida (purchè si usino dosaggi elevati di condizionanti e polimeri) e la bassa contaminazione del filtrato liquido. Le nastropresse sono adatte per impianti con portata medio-piccola; hanno il vantaggio di poter funzionare in continuo, senza richiedere molta manodopera, e di essere facilmente trasportabili. Hanno come svantaggi una disidratazione relativamente bassa e la necessità di un dosaggio elevato di polielettroliti. Le centrifughe, rispetto alle nastropresse, presentano costi e ingombri ridotti, minore incidenza di manodopera, funzionamento continuo 24 ore su 24, ridotti consumi di condizionanti e polielettroliti, e un processo completamente al chiuso, che evita l’esposizione del personale ad aerosol ed a cattivi odori. Tra gli svantaggi ci sono gli elevati consumi energetici (intorno a 0,8-0,9 kWh/mc di fango disidratato), un livello di rumorosità che può raggiungere 82 dB(A), e un contenuto di solidi sospesi nel “centrato” relativamente alto.
Un particolare sviluppo dei sistemi di centrifugazione dei fanghi di depurazione sono le centrifughe disintegratrici, che vengono usate per il pretrattamento dei fanghi destinati alla digestione anaerobica; si differenziano dalle normali centrifughe per ispessimento in quanto hanno un anello che dissipa l’energia cinetica prodotta dalla centrifuga, trasformandola in un’azione di sbattimento e di taglio. Il fango non viene macinato, ma si distruggono le strutture cellulari resistenti alla degradazione anaerobica; poiché l’anello è posto all’uscita, le caratteristiche del centrato non vengono influenzate. Sono state realizzate una decina di installazioni in Europa Centrale (Repubblica Ceca e Germania). Le prestazioni medie indicano un incremento della produzione di biogas dal 15 al 26%, una rimozione dei solidi volatili del fango digerito del 45-63% ed una riduzione complessiva dal 5 al 7% nel volume di fango da smaltire.
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SPECIALE DECANTER CENTRIFUGHI BAIONI CRUSHING PLANTS
BARIGELLI DECANTER
La capacità di progettare con cura e attenzione per le molteplici esigenze di una vasta clientela hanno permesso alla Baioni Crushing Plants di essere, un’ importante realtà sul mercato nazionale e internazionale (in oltre 50 paesi del mondo). Da tempo investe nel settore degli impianti per la depurazione dei fanghi da cava e biologici, dove il mercato richiede alte performance e tecnologie all'avanguardia. Ad oggi i prodotti Baioni sono sinonimo di affidabilità, qualità e robustezza. L’ufficio progettazione opera per l’industrializzazione dei macchinari e per la realizzazione progettuale degli impianti. L’ufficio assistenza clienti fornisce un servizio post-vendita completo: laddove è necessario invia tecnici specializzati per interventi in loco, utilizza tele-assistenza per garantire velocità in ogni momento, organizza attività di training al
Nell’estrattore centrifugo Barigelli la separazione avviene grazie all’elevatissima accelerazione centrifuga sviluppata dalla rotazione, che agisce amplificando le differenze di peso specifico delle varie fasi, e che garantisce elevati rendimenti di funzionamento. Tutte le macchine centrifughe proposte possono essere configurate per una lavorazione a “due fasi” (separazione di una fase solida da un liquida), oppure a “tre fasi” (separazione di una fase solida da due liquide a differente peso specifico), ma è normalmente la prima configurazione che trova applicazione nel settore ecologico, ad esempio per disidratazione dei fanghi. Tutta la produzione Barigelli è comunque pensata per rispondere alle moderne esigenze di affidabilità e di raggiungimen-
personale dedicato alla cura dell’impianto. Un ampio e fornito magazzino ricambi, invece, garantisce al cliente una tempistica d’intervento veloce e funzionale, capace di ridurre al minimo i tempi di attesa per la sostituzione dei componenti della produzione Decanter. Nove i modelli disponibili: Baidec26Lv da 6.000 l/h, Baidec36v da 13.000 l/h, Baidec36Lv da 18.000 l/h, Baidec47 da 30.000 l/h, Baidec46v da 30.000 l/h, Baidec46L da 42.000 l/h, Baidec46Lv da 42.000 l/h, Baidec62 da 68.000 l/h, Baidec65L da 68.000 l/h.
www.baionienvironment.com
CBB I decanter centrifughi CBB sono dei separatori orizzontali concepiti per la separazione di 2 o 3 fasi contenute in un prodotto di origine civile e/o industriale (depurazione di acque reflue e disidratazione fanghi e liquami). Tali macchine possono essere viste come dei particolari serbatoi di chiarifica, con l’unica differenza della presenza della forza centrifuga che migliora il tempo e l’efficacia di separazione. Infatti, nei decanter CBB l’accelerazione può raggiungere valori compresi fra 3.000 e 5.000 volte l’accelerazione di gravità. Tutto il ciclo di lavoro della macchina è gestito e controllato tramite una scheda DPC (Decanter Process Controller), ossia un’elettronica dedicata progettata, costruita e programmata (linguaggio Assembly) per ottimizzare al meglio il processo di separazione.
to di elevati rendimenti di marcia; per questo l’attuale gamma produttiva prevede, per ogni modello ad “alto rendimento”, sia la versione a giri fissi della macchina che la versione con controllo automatico dei giri differenziali. Infatti, tali macchine hanno, tra gli altri accorgimenti, la possibi-
lità di essere equipaggiate con un dispositivo idraulico ad alta pressione per il controllo automatico e continuo del regime differenziale della coclea interna. Ciò porta gli estrattori centrifughi Barigelli ad avere uno standard qualitativo estremamente elevato.
www.barigellidecanter.com
CORIMA In questa maniera l'intero processo potrà essere adattato alle varie esigenze del cliente soddisfacendole in pieno. CBB propone numerose versioni di decanter, dal modello CD10E da 0,35 mc/h al CD80EV da 210 mc/h. Tutti si distinguono per: copertura divisa in 4 parti apribili ed ispezionabili singolarmente; gruppo rotore facilmente estraibile dall’alto; boccole di scarico solido e piatti livelli di scarico liquido, entrambi facilmente accessibili; pala raschia fanghi montata sul gruppo rotore, che impedisce il deposito di fango sulle pareti dello scarico solido della macchina; gruppo trasmissione con possibilità di recupero dell’energia durante la fase di lavoro; coclea con disco di sbarramento, che aumenta la capacità di lavoro del decanter e migliora il processo di separazione; sistema di smorzamento delle vibrazioni fissato ai piedi del telaio del decanter; possibilità di assistenza da remoto per la risoluzione di eventuali problematiche
Innovazione e tradizione sono le parole d’ordine che guidano l’attività di questa nuova realtà industriale, creata da uomini con ventennale esperienza nel settore dei separatori centrifughi. L’azienda fa della flessibilità tecnica, delle nuove soluzioni rapidamente applicate e perfezionate per il mondo della centrifugazione, del ridotto delay time tra problema e soluzione la sua forza, permettendole di ottimizzare ogni macchina per la sua specifica applicazione. Qualità, innovazione, affidabilità sono le caratteristiche dei separatori centrifughi ad asse orizzontale Corima, caratterizzati da: testate di scarico solido e liquido entrambe intercambiabili e in acciaio inox aisi 304; telaio portante in acciaio isolato da terra tramite 4 sup-
www.cbbdecanter.com Hi-Tech Ambiente
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porti antivibranti per il filtraggio delle vibrazioni; luci di scarico della fase solida regolabili, sostituibili in loco e realizzate in materiale ceramico per una lunga vita operativa; coclea in acciaio inox 304 con protezione di carburo di tungsteno nei punti di elevato rischio abrasione; tamburo ruotante cilindrico + tronco conico in acciaio inox X3 CrNiMo 13.4; struttura in acciaio al carbonio ad elevata resistenza e rigidità che garantisce anche notevole schermatura al rumore, verniciatura interna ed esterna adatta all’applicazione. Svariati i modelli disponibili di decanter centrifugo: dal C2.50 da 6 mc/h fino al C8.00 HRY da 190 mc/h di portata idraulica.
www.corima-srl.it
SPECIALE DECANTER CENTRIFUGHI CRIFI CRIFI Crushing Plant, da sempre sensibile alla tutela ambientale, è impegnata con studi e ricerche tecniche volti a progettare, produrre e commercializzare macchine ed impianti efficienti e all’avanguardia per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente. Tutti gli estrattori centrifughi prodotti sono macchine ad elevati rendimenti di lavoro e trovano la loro naturale collocazione in campo ecologico. Un settore questo di estrema importanza e responsabilità che ha indotto l’aziendaad instaurare un filo diretto con enti pubblici, privati ed autorità preposte alla gestione ed alla sovrintendenza delle problematiche ecologiche ur-
DALMON bane ed industriali. Svariate le possibili applicazioni, tra cui: disidratazione fanghi di depurazione di origine civile ed industriale (biologici e chimico – fisici) e trattamento liquami zootecnici (fanghi e tal quali), reflui di distilleria (fanghi e borlande) e di industrie conciarie. CRIFI studia con rigore le caratteristiche dei materiale da lavorare e dei contenuti della acque di risulta e riesce a garantire la fornitura di impianti con rendimenti elevati in termini di secco, in modo costante e adattabile a diverse situazioni operative. Nei decanter proposti avviene la separazione della parte solida dal liquido attraverso un tamburo rotante dalla forma troncoconica/cilindrica, sulla cui zona periferica viene sedimentata la fase solida (più pesante) e continuamente espulsa dalla coclea interna. Il tutto avviene in totale autonomia.
Il processo di centrifugazione viene largamente adottato in industria, per la separazione di liquidi a differente densità, per ispessire fanghi o rimuovere solidi. In brevissimo tempo i solidi si addensano contro la parete interna del tamburo. All'interno del cilindro c'è una coclea, che ruota nello stesso senso del tamburo ma ad una velocità inferiore. Questa trascina continuamente i solidi verso l'estremità del tamburo stesso dove è situato lo scarico. Lungo questo percorso, il fango perde parte della sua acqua che viene scaricata all'esterno attraverso un disco sfioratore. Particolarmente importante nella centrifugazione risulta il condi-
zionamento dei fanghi. Infatti, bastano piccole quantità di un idoneo polielettrolita organico per far aumentare notevolmente il recupero di solidi. Il fango, a seconda della provenienza, può raggiungere percentuali di secco variabili tra il 20 e il 30%. La scelta del tipo di condizionamento e del tipo di centrifuga da utilizzare va fatta di volta in volta sulla base di prove di laboratorio e, se possibile, su scala pilota. Dalmon fornisce impianti di trattamento fanghi completi e strutturati secondo le esigenze del cliente.
www.dalmon.it
www.crifi.it
FLOTTWEG Dal 1956 Flottweg costruisce decanter, caratterizzati da qualità, efficienza e resistenza. Le versioni speciali Tricanter (separazione trifase), Sorticanter (riciclaggio e condizionamento di plastiche) e Sedicanter (per materiali difficilmente sedimentabili) sono in grado di soddisfare qualsiasi richiesta, rendendo il decanter una centrifuga versatilissima. Per la disidratazione e l'ispessimento di piccoli carichi di fanghi da depurazione è stata appositamente sviluppata la centrifuga decanter C2E, che racchiude tutto il knowhow Flottweg in un design compatto e poco ingombrante. La macchina ha un tamburo in acciaio duplex e tutte le parti a contatto con il prodotto sono in acciaio inox e resi-
GETECH stente agli acidi. L'applicazione di interessanti innovazioni al tamburo e alla geometria della coclea, nonché l'elevata coppia della coclea e l'elevato fattore di accelerazione (gforce) garantiscono eccellenti risultati di separazione. La C2E dispone anche del sistema brevettato Flottweg Simp Drive, che regola il differenziale tra il tamburo e la coclea del decanter in relazione alla coppia della coclea. Facoltativo è il sistema Flottweg Recuvane, che consente un recupero di energia rotazionale con uno scarico mirato del centrifugato, supportando in tal modo l'azionamento principale e riducendo il consumo energetico del 20%. Sebbene la C2E, con una portata di circa 10 mc/h nella disidratazione dei fanghi e 15 mc/h nell'ispessimento, sia progettata per piccoli centri, i costi di smaltimento svolgono un ruolo centrale. L'efficienza della macchina in termini di risultato di separazione riduce al minimo i costi del suo ciclo di vita.
www.flottweg.com
I decanter centrifughi Getech marchio Gennaretti hanno portate da 1 a 150 mc/h. La versione GHT PF (proporzionale) è caratterizzato da un solo motore elettrico, azionato con inverter, che trasmette il movimento alla coclea ed al tamburo, consentendo così una variazione diretta dei giri del tamburo e della coclea. Ciò rende la trasmissione compatta e silenziosa, con un sistema di tensione automatico delle cinghie. Tale modello è indicato per le situazioni in cui il prodotto da trattare ha caratteristiche costanti in ingresso e si vuole un secco fisso in uscita.Nel decanter centrifugo GHT VF (variabile) il movimento al tamburo è dato dal solo motore elettrico, azionato ad inverter, mentre la coclea è azionata da un sistema idraulico alimentato dall’unico motore elettrico. La variazione della velocità di rotazione della coclea è continua ed automatica ed avviene con due procedure: a giri costanti (variazione della potenza trasmessa in funzione delle percentuale di solido in ingresso), oppure a coppia costante (modulazione dei
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giri differenziali in funzione della percentuale del solido in ingresso). La potenza trasmessa ed il regime di rotazione della coclea sono controllati elettronicamente per mezzo di sensori. Questo modello è consigliato quando il prodotto da trattare ha caratteristiche variabili in ingresso e si desidera una percentuale di solido secco in uscita molto elevata. Grazie alla loro compattezza e versatilità tutti i decanter centrifughi Gennaretti possono essere installati in container: nasce così Spaci (Stazione polimero automatica in container industriale), una soluzione impiantistica completa, chiavi in mano, facile da trasportare e da installare, e adattabile ai vari settori di impiego.
www.getech.it
SPECIALE DECANTER CENTRIFUGHI PIERALISI Pieralisi propone diverse serie di decanter centrifughi studiati per risolvere qualsiasi problema tecnologico di separazione solido-liquido e solido-liquido-liquido. Si va dal modello Baby 1 fino al Giant III, con un ampio range di portate diverse. Tutti i modelli sono dotati di: telaio portante dalle vibrazioni e rumore minimi; rapporti di snel-
lezza che assicurano capacità di lavoro elevata e importanti vantaggi operativi; sistema di rilievo e monitoraggio delle vibrazioni; parti in acciaio inox ad elevate caratteristiche chimico-meccaniche idonee alle esigenze specifiche del prodotto/processo; protezione contro l’usura su spire della coclea e su bocca d’ingresso e di scarico;
QUATTRO SEPARATOR funzionamento automatico e ridotti consumi energetici; sistema di sospensioni per isolamento delle vibrazioni così da minimizzare le sollecitazioni; avviamento graduale dell'estrattore centrifugo e regolazione della velocità di rotazione del tamburo tramite inverter su motore principale. Come optional: il rotovariatore elettronico, un dispositivo, coperto da brevetto internazionale Pieralisi, per la regolazione continua ed automatica del decanter in base alle caratteristiche del prodotto alimentato, grazie al controllo elettronico che regola i giri differenziali della coclea in relazione al carico istantaneo; consente risparmio energetico poiché restituisce al motore principale la coppia assorbita,
sce elevati rendimenti di funzionamento. Durante il funzionamento, il prodotto da trattare viene immesso in centrifuga attraverso un tubo coassiale al fusto della coclea stessa, e viene separato secondo il principio della separazione controcorrente. Tale prodotto, sotto l’azione della elevata accelerazione radiale, stratifica disponendo la fase pesante (normalmente il solido) sul mantello, mentre la fase leggera si dispone verso l'asse all'interno della fase pesante. La fase liquida viene poi espulsa dal tamburo per semplice sfioro di livelli, regolabili, posti sul terminale della parte cilindrica; mentre la fase solida viene espulsa dalle aperture poste sul terminale del tamburo dal lato tronco–conico.
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TEKNODEPURAZIONI I decanter centrifughi, di Teknodepurazioni, estremamente all'avanguardia, adottano innovativi dispositivi di controllo che li rendono decisamente affidabile nel tempo. Gli automatismi predisposti permettono la funzionalità dell'impianto senza la presenza dell'uomo, fattore fondamentale per ridurre i costi di gestione e poter avere, al tempo stesso, un'operatività di 24 ore al giorno. La vasta gamma produttiva proposta consente una scelta di decanter con portate da 1 a 100 mc/h. La struttura della macchina è costruita in acciaio al carbonio, e poggia su quattro antivibranti. Le parti a contatto con il prodotto da trattare sono in acciaio inox aisi 304. Il tamburo, di 30 mm di spessore, ha gli scarichi rivestiti con materiale anti-usura, facilmente sostituibili.
Il principio su cui si basa il funzionamento del decanter è la differenza di densità dei prodotti da separare. Data l’elevata velocità di rotazione la separazione è pressoché istantanea e consente di separare solidi da liquidi in modo efficiente e con grande precisione, in un modo che è facile da controllare. A seconda della particolare configurazione, un decanter centrifugo può essere impiegato per separare una vasta gamma di solidi diversi da uno o due liquidi, in un processo di separazione continua. Nell’estrattore centrifugo Quattro Separator, la separazione avviene grazie all’elevatissima accelerazione centrifuga sviluppata dalla rotazione del tamburo, che agisce amplificando le differenze di peso specifico delle varie fasi, e che garanti-
VITONE ECO All'interno del tamburo ruota una coclea in inox, esternamente protetta con riporto in carburo di tungsteno. La fuoriuscita della fase liquida viene regolata in base al prodotto trattato. Per impedire intasamenti, lo scarico del solido è munito di palette raschianti in inox. Tamburo e coclea sono azionati da motori elettrici comandati da inverter, e ciò consente un miglior impiego del decanter, una sua più lunga durata ed un notevole risparmio energetico. La trasmissione variabile a 2 motori elettrici permette di ottenere una portata più alta ed una percentuale di secco in uscita maggiore, grazie alla gestione dei giri differenziali della coclea attraverso un sistema automatico elettronico, il quale riesce ad adattare istante per istante la regolazione alle variazioni del prodotto in ingresso. Tutte le centrifughe hanno un software di controllo inserito nel PLC fornito a corredo del quadro elettrico di comando che viene sviluppato direttamente da Teknodepurazioni.
Il decanter centrifugo rappresenta la più moderna tecnologia per ridurre i volumi di smaltimento e di trasporto, ed il suo utilizzo comporta una significativa riduzione dell'impatto sull'ecosistema. Facilità d’installazione e regolazione, limitato ingombro, assenza di gocciolamenti ed esalazioni rendono il decanter vincente rispetto a nastropresse e filtropresse. Il più alto contenuto di sostanza secca in uscita, la limitata manutenzione necessaria e la possibilità di lavoro in automatico 24 ore al giorno, so-
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no i requisiti che fanno della tecnologia della centrifugazione la scelta ottimale per l'ispessimento e la disidratazione. Di elevato standard qualitativo e con design italiano, i decanter centrifughi di Vitone Eco sono disponibili in vari materiali per tamburo e coclea, protezioni della coclea con speciali miscele di carburo di tungsteno, variazione differenziale completamente automatica gestita dal nostro software Vtronic, che consente un notevole risparmio energetico rispetto ai sistemi tradizionali. La gamma produttiva di decanter centrifughi proposti dall’azienda, a 2 o 3 fasi a seconda delle necessità, comprende i seguenti modelli: Vitone Eco V Zero da 5 mc/h, V1 da 10 mc/h, V2 da 15 mc/h, V3 da 20 mc/h, V4 da 35; V5 da 45 mc/h, V6 da 60 mc/h, V7 da 70 mc/h, V8 da 80 mc/h, V9 da 90 mc/h.
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Il reattore EOX per reflui zootecnici porto SST/ST e dall’eventuale necessità di ottenere maggiori separazioni di P e/o K. Il sistema brevettato EOX da CIEM Impianti è stato espressamente sviluppato per il trattamento di questo tipo di reflui, in particolare per le seguenti peculiarità impiantisticostrutturali: è totalmente installato esternamente alla vasca, permettendo una facile manutenzione, al fine di conservare le performance di ossigenazione sempre al 100%; è dotato di un sistema di controlavaggio automatico, al fine di rimuovere gli eventuali accumuli di solidi anche con presenza di concentrazioni in vasca di SST >20 g/l; è realizzato con materiali nobili quali aisi316/duplex/PRFV, al fine di essere sempre facilmente rigenerabile con un semplice lavaggio senza la sostituzione di particolari ad usura. Dal punto di vista del processo, il sistema EOX è sviluppato per ottenere un’intima miscelazione fra biomassa batterica ed aria, per garantire sempre la somministrazione corretta di ossigeno senza eccessi e con efficienze di trasferimento elevatissime (consumi elettrici inferiori rispetto ai sistemi convenzionali di aerazione). Il sistema, infatti, sviluppa una miscela aerata caratterizzata dalla presenza di piccolissime bollicine (tipo DAF) la quale, una volta reimmessa sul fondo della vasca, si distribuisce nel volume grazie all’azione di uno o più miscelatori lenti, in assenza quasi totale di turbolenza superficiale (no formazione di aerosol ed emissioni) Il sistema di alimentazione della vasca di trattamento è un ulteriore fondamentale aspetto per la stabilità del processo. Il refluo va caricato con un’opportuna distribuzione temporale e fra le fasi di processo di nitrificazione e denitrificazione, per supportare tutti i processi biologici senza squilibri. Infatti, non controllando questo aspetto, si possono originare reazioni esotermiche incontrollate, formazioni di schiume biologiche e a denitrificazioni parziali con liberazione in atmosfera di N2O. Il processo viene gestito in modalità CSTR al fine di mantenere sempre costanti e più basse possibili le concentrazioni di NH4+ (e
quindi di gas NH 3) in vasca di trattamento, con lo scopo di ridurre il rischio di inibizione della biomassa nitrificante e di strippaggio in atmosfera di NH3. I RISULTATI OTTENUTI SU IMPIANTO ESISTENTE
Nella prima fase, il liquame da trattare proveniente dai digestori anaerobici, viene convogliato ad una vasca di equalizzazione, per il trattamento di separazione solido/liquido con separatore a compressione elicoidale. Nel separatore avviene la separazione della parte solida dai liquami prima di essere alimentati alla fase di Microbioflottazione tramite reattore EOX. Nella seconda fase, il separato liquido confluisce nella vasca di trattamento, dove il processo biologico attivato (nitro-denitro) dal sistema di “aerazione-ossidazione forzata” brevettata EOX, riduce del 70-80% l’azoto TKN e più del 90% di riduzione dell’azoto ammoniacale. Riduzioni per via biologica dell’azoto ammoniacale inferiori ai valori sopra indicati, sono sintomo di malfunzionamento della nitrificazione, che dà luogo così ad accumuli di azoto ammoniacale e quindi di ammoniaca libera che può essere strippata e rilasciata in atmosfera. Sull’impianto esistente, sono state effettuate delle analisi di emissioni di NH3 e N2O con cappa aspirante (wind chamber da 1 mq). L’impianto mediamente viene caricato con 133 Kg/giorno di TKN, con una resa di abbattimento del 78% (TKN medio out = 29 Kg/giorno). Le analisi delle emissioni sono state effettuate durante il periodo estivo, con i seguenti risultati: NH3 emesso in atmosfera 0,8 Kg/giorno, pari al 0,6% sul totale in ingresso, mentre non sono stati rilevati emissioni di N2O in atmosfera perché tutte le misurazioni si sono attestate sotto il limite di rilevabilità dell’analisi (5 mg/m3). Il liquame trattato dalla vasca biologica viene inviato direttamente senza nessuna separazione secondaria della biomassa formata, alle vasche di stoccaggio per uso agronomico. I liquami trattati sono privi di odori, di solidi grossolani e non danno formazione di schiume e sono quindi idonei anche nell’utilizzo in ferti-irrigazione. Hi-Tech Ambiente
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RIFIUTI T R A T T A M E N T O
E
S M A L T I M E N T O
Il recupero dei metalli preziosi Nuovi sviluppi
Studi, sperimentazioni ed impianti attivi per l’estrazione di oro, platino, palladio, rodio, rutenio, indio, gruppo delle terre rare e mercurio I metalli preziosi destinati alla produzione di oggetti e monete, come l’oro e l’argento, vengono riciclati fin dall’antichità; ma accanto a questa attività (in gran parte a carattere artigianale) si è sviluppata una vera e propria industria, che oltre ad oro e argento recupera i metalli del gruppo del platino e delle cosiddette “terre rare”.
li preziosi. I granuli vengono separati e sciolti in acido solforico; dalla soluzione si ricava il rame con processo di elettrodeposizione, mentre i fanghi residui dell’attacco acido vengono concentrati e trattati con diversi processi, ottenendo i singoli metalli preziosi. Attualmente, le ricerche si concentrano sui modi per estrarre l’oro dei circuiti stampati, in particolare da quelli dei cellulari: da 1 ton di scarti di questi circuiti si potrebbero ricavare oltre 400 gr di oro. I metodi prevalentemente usati si basano su un attacco dei circuiti con “acqua regia” (una miscela di acido cloridrico e acido nitrico, altamente corrosiva e inquinante) e un successivo trattamento di purificazione con cianuro (altamente tossico). La società taiwanese UWin Nanotech ha recentemente brevettato il composto UW-700 a base di solfuri, che è molto meno aggressivo dell’acqua regia ma è capace di solubilizzare selettivamente l’oro, senza danneggiare i componenti di plastica, ceramica, silicio, titanio e acciaio inox. Un altro prodotto della stessa società, che oltre all’oro solubilizza altri metalli preziosi, ha per sigla UW-860 ed è a base di citrati. La UWin ha anche realizzato
ORO
La percentuale di oro presente nei raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) è superiore a quella dei minerali auriferi. Il recupero di oro dei raee è praticato su scala industriale dalla società belga Umicore, che ne produce 25 ton/anno, mediante un processo integrato nel quale entrano ogni giorno 30.000 ton di raee e di scarti provenienti dalla raffinazione di piombo, rame e zinco. La fase iniziale del processo Umicore è una fusione assistita da iniezione di ossigeno mediante lancia sommersa, che porta il materiale fino a 1.100 °C, bruciando completamente tutti i materiali non metallici. Dal forno di fusione si ottengono dei granuli costituiti principalmente da rame, che contengono la maggior parte dei metalHi-Tech Ambiente
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una macchina per eseguire l’estrazione dell’oro dai circuiti stampati in modo completamente automatico. In Italia, l’Enea ha in costruzione l’impianto sperimentale Romeo (Recycling Of MEtals by hydrOmetallurgy) per il recupero di oro e argento con un processo idrometallurgico di attacco acido, denominato; mentre, il CSM (Centro Sviluppo Materiali) sta sperimentando un processo pirolitico in assenza di ossigeno, a 400-900 °C in un reattore orizzontale a tamburo rotante. Un processo pirolitico analogo è in esercizio in Francia (ad opera della società TerraNova Metal, appartenente al consorzio Team2). Un processo decisamente innovativo, ma ancora a livello di laboratorio, è in corso di sperimentazione presso il VTT Technical Research Centre (Finlandia). Il processo è basato su speciali funghi che assorbono fino all’80% dell’oro presente nei rifiuti elettronici (preventivamente frantumati e trattati per galleggiamento e flottazione). Altri processi sono allo studio presso l’Università di Cagliari (estrazione con composti di iodio e ditio-ossamide); mentre, negli Usa ricercatori della Northwester University hanno sperimentato con successo l’alfa-ciclodestrina (un polisaccaride ciclico derivato dall’amido). GRUPPO DEL PLATINO
I metalli di questo gruppo (platino, palladio, rodio e rutenio) sono soprattutto utilizzati come catalizzatori nelle marmitte catalitiche e in
L’ORO DAI RAEE CON L’ACETO Un team di ricercatori canadesi dell’Università del Saskatchewan ha dichiarato di aver trovato un metodo veloce, economico e sostenibile per estrarre l’oro dai raee, e per di più senza danneggiare il materiale contenente l’oro che, in questo modo, è recuperabile e quindi riciclabile. Come? Utilizzando una soluzio-
ne di acido acetico e un ossidante, che permette di sciogliere l’oro in appena 10 secondi ed estrarlo dai circuiti stampati lasciando intatte le componenti in rame, nichel, ferro e altri metalli. Eccezionali i vantaggi economici derivanti da tale tecnica: a fronte di un processo estrattivo tradizionale che costa 1.520 dollari/kg di oro, l’uso di acido acetico abbatterebbe le spese a 66 dollari/kg.
nea ha recentemente brevettato un processo che prevede l’attacco con acido cloridrico e acqua regia, e la successiva estrazione del platino con il “Cyanex 921” (nome commerciale dell’ossido di triottil-fosfina). Il processo può essere realizzato in continuo e si presta anche al trattamento di catalizzatori industriali. Altri metodi di recupero di platino e palladio da marmitte catalitiche utilizzando reagenti a basso impatto ambientale sono stati studiati dall’Università di Cagliari, in un progetto congiunto con la ditta 3R Metals. Il processo impiega leganti donatori di zolfo combinati con alogeni, in modo da abbinare l’azione complessante con quella ossidante; risulta così possibile portare in soluzione, in un unico stadio ed a temperatura ambiente, metalli preziosi difficilmente attaccabili. INDIO
molti processi dell’industria chimica e petrolchimica. I processi attuali di recupero di basano sulla fusione e successiva raffinazione, analogamente a quanto illustrato per il recupero dell’oro con il processo della Umicore; processi analoghi sono utilizzati dalla
multinazionale chimica Basf e dalla ditta italiana Chimet. Un processo di fusione a 1.600 °C con torcia al plasma è stato messo a punto dalla ditta inglese Tectronis, e viene impiegato dalla società giapponese Furuya Metal nel suo impianto di Tsuchiura. L’impianto lavora 2.000 ton/anno di catalizzatori esausti e recupera (oltre a platino, palladio e rodio) anche il rutenio, con rese superiori al 98%. Un’interessante alternativa è costituita dai processi di attacco acido ed estrazione con solvente; esistono vari processi, alcuni dei quali hanno raggiunto lo stadio industriale. L’E-
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L’indio è un metallo poco noto e piuttosto raro (ha la stessa abbondanza dell’argento). Attualmente, se ne producono circa 670 ton/anno, che vengono utilizzate quasi completamente per produrre l’ossido di indio e stagno, indicato commercialmente con la sigla ITO (Indium Tin Oxide). L’ITO è indispensabile per la realizzazione di schermi LCD e celle solari a film sottile; processi per il suo recupero sono stati proposti in Francia (progetti RM-Pulse e Medusa, per il recupero degli schermi LCD) e in Germania, dalla FNE Entsorgungdienste Freiberg, per il recupero delle celle solari a film sottile. In queste, l’indio si trova sotto forma di seleniuro di rame e indio; il residuo solido ottenibile dal recupero delle celle contiene altri metalli, tra i quali l’argento, che contribuiscono alla redditività del processo di Continua a pag. 28
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Il recupero dei metalli preziosi recupero. Il processo prevede una fase iniziale di attacco acido, seguito da un passaggio su una membrana di scambio ionico che trattiene l’indio e altri metalli; questi vengono recuperati per diffusione e il pH viene poi portato a 2,3-3,0 in modo da precipitare l’indio come idrossido, con purezza di oltre il 99%. TERRE RARE
Nonostante tutti riconoscano l’importanza strategica dei metalli del gruppo delle cosiddette “terre rare”, ci sono molti progetti di ricerca ma finora pochissime iniziative industriali, per di più orientate sul recupero da scarti di produzione e non da rifiuti post-consumo. Questa situazione è dovuta, da un lato, alla mancanza di strutture di raccolta dei rifiuti contenenti questi metalli e, dall’altro, alle difficoltà tecnologiche di separare le diverse terre rare tra loro: ce ne sono 15, con proprietà chimico-fisiche molto simili. In Francia, la Solvay ha in esercizio un impianto per recuperare i “fosfori” contenenti terre rare dai rifiuti di lampade fluorescenti. Il processo viene realizzato in due diversi siti: a Saint-Fons (nei pressi di Lione) si separano i fosfori dagli altri componenti e si prepara un concentrato in polvere, che viene poi spedito a La Rochelle per separare e purificare 6 diverse terre rare (lantanio, cerio, terbio, ittrio, europio e gadolinio). In Belgio, la già citata Umicore dispone di un impianto per concentra-
re le terre rare contenute nelle batterie di NiMH e nelle batterie per auto elettriche di nuova generazione. Negli Stati Uniti la 3S ha annunciato lo scorso anno l’inizio della lavorazione di estrazione delle terre rare e mercurio dai raee con un processo denominato BlueBox; l’azienda ha in programma la realizzazione negli Usa di altri 6 impianti analoghi, ognuno dei quali può lavorare 1 ton/ora di raee. Un impianto analogo, specializzato nel recupero da lampade fluorescenti, lavora 7.000 ton/anno ed è gestito dalla Veolia ES Technical Solutions. In Giappone, la Hitachi ha in esercizio un impianto per il recupero di neodimio e disprosio dai magneti
permanenti dei motori elettrici, mediante un processo pirometallurgico che utilizza magnesio allo stato fuso per separare le terre rare dagli altri metalli. Tra i progetti di ricerca attualmente in corso, interessante citare quello del laboratorio norvegese Sintef, che impiega un processo di elettrolisi ad alta temperatura in cui gli scarti provenienti dai magneti vengono fusi e portati allo stato ionico nel compartimento anodico, e successivamente depositati in forma di lega nel compartimento catodico. Lo stesso Sintef ha sviluppato un processo pirometallurgico per estrarre le terre rare dalle batterie NiMH. Un altro processo particolarmente
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innovativo, che parte dai rottami di lampade fluorescenti e lampade a basso consumo, è stato sviluppato dall’Università belga di Leuven. Dopo la rimozione del mercurio, la polvere contenente i “fosfori” viene trattata con un liquido ionico, che ha la capacità di sciogliere selettivamente il “fosforo rosso”, cioè la sostanza fluorescente che trasforma i raggi UV emessi dai vapori di mercurio in luce visibile. Il fosforo rosso contiene ossidi di ittrio ed europio, che possono essere direttamente riutilizzati; anche il liquido ionico viene riciclato nel processo, che risulta così molto vantaggioso, sia in termini economici che ambientali, rispetto ai normali processi di attacco con acidi.
È noto che le emissioni di mercurio costituiscono un serio pericolo per la salute umana e l’ambiente; d'altra parte, anche lo smaltimento dei pneumatici fuori uso costituisce attualmente un notevole problema ambientale. Ad oggi, la migliore tecnologia per la rimozione del mercurio dalle emissioni industriali è l’assorbimento su carboni attivi; il progetto europeo SOREME (low cost SOrbent for REducing MErcury emissions) è nato con lo scopo di risolvere contemporaneamente due problemi ambientali: le emissioni di mercurio nei gas in uscita dagli impianti e il recupero dei pneumatici fuori uso. In particolare, lo scopo del progetto è dimostrare che la produzione pirolitica di carboni attivi dalla gomma dei vecchi pneumatici è in grado di assorbire il mercurio con elevata efficienza. Questo obiettivo rappresenta una soluzione innovativa e ambientalmente sostenibile per il riciclaggio di rifiuti pericolosi in materiali economicamente valorizzabili, che vengono impiegati per rimuovere un inquinante altamente tossico (il mercurio) dal flusso dei gas in uscita. Il progetto Soreme ha realizzato con successo la costruzione di un prototipo di impianto pirolitico per la produzione di un innovativo assorbente del mercurio dai vecchi pneumatici. Mediante prove a livello industriale e semi-industriale è stata dimostrata la flessibilità di impiego degli assorbenti Soreme in diversi impieghi industriali: forni crematori, trattamento di rifiuti medici e ospedalieri, impianti industriali per la produzione di materiali in calcestruzzo (mattoni ignifughi, ceramica), impianti industriali per il trattamento di rifiuti urbani, impianti di trattamento delle emissioni gassose negli impianti di incenerimento della Epenz in Estonia e della Geofor a Pisa. IL PROCESSO DI PRODUZIONE
Nell’ambito del progetto, Cnr ed Enea hanno ottimizzato il processo pirolitico per la trasformazione della gomma dei vecchi pneumatici nell’impianto pilota in un carbone attivo di alta qualità con un’elevata capacità di assorbimento del mercurio (0,53-1,75 ng/g, a seconda delle condizioni
L’assorbi mercurio Dai vecchi pneumatici
Grazie al progetto Soreme è stato sviluppato un prototipo di impianto pirolitico per convertire i PFU in materiale valorizzabile no il processo Soreme un’alternativa ambientalmente sostenibile per convertire i pneumatici fuori uso in materiale valorizzabile, che può essere impiegato per interventi di bonifica ambientale (carbone per l’assorbimento del mercurio) e produzione di energia attraverso la combustione del catrame (un sottoprodotto del processo Soreme). COSA FARE DELL’ASSORBENTE ESAUSTO?
Il prototipo di impianto pirolitico
operative, con una resa media pari a 0,81+0,44 ng/g. min.). I migliori risultati sono stati ottenuti con un processo di carbonizzazione-attivazione in due stadi. Le migliori condizioni pirolitiche sono state selezionate sulla base delle proprietà di assorbimento del mercurio; non è necessaria l’aggiunta di soda o di solfuro di
sodio per ottenere la migliore resa di assorbimento, probabilmente a causa del fatto che circa l’80% del contenuto di zolfo nella gomma dei pneumatici, in idonee condizioni di attivazione, viene mantenuto nel carbone e può essere coinvolto nell’assorbimento chimico del mercurio. Tutte queste caratteristiche rendo-
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Tutti gli assorbenti esausti sono stati caratterizzati impiegando diverse metodologie, al fine di darne una caratterizzazione chimicofisica comparata. I test di desorbimento effettuati sugli assorbenti esausti hanno mostrato che il mercurio è strettamente legato agli assorbenti Soreme, senza rilasci significativi a 100 °C, e solo con un rilascio del 40-45% a 200 °C. Le prove di cessione effettuate sugli assorbenti esausti, eseguite secondo la norma UNI 10802, mostrano che anche in condizioni reali il mercurio viene assorbito più strettamente dall’assorbente Soreme che da altri assorbenti commerciali. Questi nuovi assorbenti (così come quelli commerciali) non possono essere riutilizzati; la ritenzione del mercurio fino a 200 °C dà indicazioni sul suo smaltimento come rifiuto. LE PROVE INDUSTRIALI
È stato valutato anche il rilascio Continua a pag. 30
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(Cei/Sercim di Modena) - emissioni gassose da trattamento/rimozione di COV.
L’assorbi mercurio di composti organici volatili (COV) da assorbenti Soreme esausti rispetto ad altri assorbenti commerciali: questa analisi comparata ha mostrato che gli assorbenti commerciali non sono in grado di assorbire quantità significative di COV, mentre gli assorbenti Soreme hanno assorbito diversi composti volatili, e ciò depone a favore di un futuro sfruttamento dei questi potenti assorbenti come soluzione per composti tossici, organici e volatili. È stato inoltre rilevato che se impregnati con cloruro di sodio e ioduro di potassio hanno un’efficienza migliore degli stessi non trattati, in quanto presentano una capacità di assorbimento del mercurio 4 volte superiore (151,7 ng/g contro 43 ng/g). Questi risultati sono fondamentali per le loro future applicazioni: non solo perché cloruro di sodio e ioduro di potassio sono composti non pericolosi, ma anche perché, nella prospettiva di uno sfruttamento economico e ambientalmente sostenibile di questi assorbenti, potrebbe essere impiegata
PROBLEMI NORMATIVI E TECNICI
Un’attenta analisi rivela che l’attuale panorama normativo limita severamente l’impiego di assorbenti Soreme e altri prodotti derivanti da pneumatici esausti. In Italia, e anche in Europa, non esiste ad oggi una legge che stabilisca quando un materiale proveniente da pneumatici esausti cessa di essere un rifiuto se utilizzato anche l’acqua del mare. Il team di ricerca ha anche condotto la caratterizzazione chimico-fisica e ambientale dell’assorbente esausto Soreme impiegato nelle sperimentazioni industriali. Ciò è stato effettuato in un periodo di 9 mesi nei seguenti contesti industriali: - gas da impianti industriali per il trattamento (incenerimento) di rifiuti urbani (Epenz in Estonia e Geofor a Pisa) - acque reflue urbane e industriali (Origgio, in provincia di Varese) - reflui da impianti crematori
Il prototipo di impianto pirolitico
IBM RESEARCH
Il riciclo di plastica tossica Ogni anno vengono generate nel mondo più di 2,7 milioni di tonnellate di una plastica nota come policarbonato, per creare i comuni articoli di uso quotidiano, come CD, biberon, lenti per occhiali e smartphone. Nel tempo i policarbonati si decompongono e rilasciano bisfenoloA (BPA), una sostanza chimica ancora oggi oggetto di studi e discussioni in merito alla sua tossicità. Di recente, IBM Research ha annunciato che i ricercatori del laboratori di Almaden (CaliforniaUsa), hanno scoperto un nuovo processo chimico monofase in grado di convertire i policarbonati in plastica sicura per la depurazione dell’acqua, la fibra ottica e le apparecchiature mediche. Nello studio, gli scienziati hanno aggiunto ai vecchi CD un reagente a base di fluoruro, una base (simi-
le a lievito artificiale) e calore per produrre una nuova plastica con temperatura e resistenza chimica superiori a quelle della sostanza originaria. Quando la polvere viene
ricostruita in nuove forme, la sua forza previene il processo di decomposizione che causa la lisciviazione di BPA. <<I policarbonati sono un tipo di
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Assorbente Soreme
per scopi particolari. In sostanza, gli assorbenti Soreme hanno elevate rese in termini di assorbimento di mercurio in molti processi industriali, ma le loro potenzialità non sono ancora pienamente sfruttabili, a causa di una inadeguata situazione normativa che li classifica come rifiuti, costringendo chi li utilizza a pesanti adempimenti burocratici. Vi sono, inoltre, alcuni problemi di carattere tecnico; in particolare, l’assorbente Soreme è caratterizzato da granuli di varie dimensioni (da centinaia di nanometri a millimetri) e sono necessarie ulteriori ricerche per selezionare le dimensioni ottimali ai fini della capacità di assorbimento. plastica comune nella nostra società - commenta Gavin Jones, membro dello staff di ricerca di IBM Research - soprattutto nell’elettronica di consumo, in cui sono presenti sotto forma di schermi led, smartphone e blu-ray disc, così come in comuni lenti per occhiali, utensili per la cucina e contenitori per l’imballaggio domestico. Ora abbiamo una nuova modalità di riciclo, che migliorerà l’impatto di questa importante sostanza su salute e ambiente a livello mondiale>>. <<Oltre a impedirle di raggiungere le discariche - afferma Jeanette Garcia, ricercatrice in IBM Research Almaden - ricicliamo la sostanza in un nuovo tipo di plastica - sufficientemente sicura e resistente per la depurazione dell’acqua e la produzione di apparecchiature mediche. È una vittoria per l’ambiente su molti fronti>>. Per giungere alla scoperta, i ricercatori hanno utilizzato una combinazione di modellazione predittiva e lavoro di laboratorio sperimentale.
DIFFERENZIAMOCI NEL MONDO DELL’E-COMMERCE CAMPANIA, CALABRIA, LIGURIA
Raee Coupon!
Cinque tra i maggiori consorzi italiani senza scopo di lucro hanno dato vita al progetto Raee Coupon per facilitare il riciclo degli apparecchi elettrici ed elettronici acquistati online e arrivati a fine vita, e offrire una soluzione all’avanguardia per l’attuazione del decreto ministeriale n.65/2010. Comunemente conosciuto come “uno contro uno”, il decreto permette la riconsegna gratuita del vecchio apparecchio al momento dell’acquisto di un nuovo prodotto equivalente. Grazie all’iniziativa, i consumatori online potranno conferire gratuitamente un raee di piccole dimensioni presso uno dei Centri di Assistenza Tecnica (CAT) presenti su tutto il territorio nazionale, identificando il punto più vicino sul sito internet dedicato (www.raeecoupon.it) o sull’app Raee Coupon per dispositivi Android e iOS. Il comportamento virtuoso dal punto di vista ambientale, potrà essere premiato con un coupon da spendere direttamente presso il centro prescelto per la consegna. Nel dettaglio, RAEE Coupon agirà da collettore per i profili di responsabilità convolti nella filiera, garantendo diffusi vantaggi per tutti i soggetti aderenti. Attraverso la sottoscrizione di un contratto, i rivenditori online potranno adempiere agli obblighi pagando solo per il reso effettivamente consegnato dal consu-
Il RiciclaEstate
matore. Per facilitare l’intero meccanismo e garantire una gestione semplificata e controllata, nel totale rispetto dell’ambiente, è stata istituita una rete capillare di luoghi idonei al raggruppamento.
Si è conclusa a metà settembre l’edizione 2016 di RiciclaEstate in Campania, Calabria e Liguria, evento promosso dai circoli locali di Legambiente, dalle rispettive Regioni, da Conai e dagli altri Consorzi di filiera per il riciclo degli imballaggi. Tre mesi di campagna di informazione, sensibilizzazione e anima-
UN VIAGGIO NEL RICICLO
Carta d’Imbarco Comieco porta a teatro “Carta d’Imbarco – Un viaggio nel riciclo di carta e cartone”. Si tratta di uno spettacolo che, raccontando il ciclo del riciclo della carta, tocca temi come prendersi cura del luogo in cui abitiamo, salvaguardare l’ambiente, porre attenzione al rifiuto e allo spreco. L’iniziativa si rivolge ai ragazzi delle scuole superiori e lo fa con il linguaggio semplice e diretto del giornalista e autore Luca Pagliari che, prendendo spunto dalla lettera enciclica “Laudato sì’” racconta il viaggio di una scatola di cartone verso una nuova vita grazie al riciclo appunto. <<Per il 2016 abbiamo previsto un tour che, attraverso 8 tappe - dichiara Carlo Montalbetti,
direttore generale di Comieco toccherà l’Italia da nord a sud coinvolgendo circa 4.000 ragazzi>>.
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zione sulla differenziata, con l’adesione di numerosissime località turistiche, grazie alla collaborazione con le Capitanerie di Porto, con la partecipazione di stabilimenti balneari e strutture ricettive. Un’occasione per rendere partecipi residenti e turisti di riscoprire in spiaggia e nei punti informativi quei comportamenti virtuosi e attenti alla raccolta differenziata che poi possono riproporre in casa. Nei tre mesi della campagna è stato realizzato un vero e proprio tour che prevede un laboratorio ludico sulla differenziata e sulla riduzione dei rifiuti con la distribuzione di materiale informativo presso spiagge, approdi e strutture ricettive delle località coinvolte, con l’obiettivo di aumentare la percentuale di raccolta differenziata migliorandone la qualità, rendere più efficiente raccolta e riciclo dei rifiuti presso i Comuni. Un Ludobus di Legambiente ha toccato le principali località turistiche nei mesi di luglio e agosto, periodo di massima affluenza. Il mezzo ha allestito il punto informativo presso gli stabilimenti balneari, nei tratti di spiaggia libera, ma diversi sono gli appuntamenti organizzati anche in piazza o all’interno di altri eventi in orario serale. Nelle postazioni sono state effettuate attività di sensibilizzazione e distribuzione di gadget e materiale informativo sulla raccolta differenziata, insieme a laboratori e giochi di riciclo creativo destinati ai più giovani utilizzando un variegato assortimento di materiale di rifiuto e giochi di ruolo per adulti.
BiomAsse & BiogAs B i o m A s s A
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B i o g A s
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B i o m e tA n o
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C o g e n e r A z i o n e
Una nuova tecnologia per il biometano Ammine supportate su allumina
Sviluppati materiali in fase solida per l’assorbimento della CO2 presente nel biogas La RSE (Ricerca sul Sistema Energetico) è una nuova società per azioni interamente a capitale pubblico, che fa parte del gruppo GSE (Gestore Servizi Energetici). Nelle sue attività rientrano alcune recenti ricerche per la valorizzazione a biometano del biogas di diverse provenienze; in particolare, RSE ha puntato allo sviluppo di nuovi materiali in fase solida per l’assorbimento della CO2 presente nel biogas, in concentrazioni che sono normalmente del 30-40% nel biogas da digestione anaerobica, ma che possono arrivare al 50% nel caso del biogas da discariche “giovani”. Attualmente, le tecnologie per l’assorbimento della CO2 presente nel biogas sono soprattutto basate sul lavaggio con acqua (34% degli impianti su scala mondiale), sull’assorbimento chimico (23% degli impianti), su cicli alternati di pressione (19%), su processi a membrana (8%) e sul lavaggio con solventi organici (6%). VANTAGGI E SVANTAGGI DEI SISTEMI
Il lavaggio con acqua si basa sul fatto che la CO2 è più solubile in acqua rispetto al metano. Ha efficienza elevata (oltre 97%), ma consuma molta acqua e molta energia; inoltre, richiede pressioni
Ammine supportate su allumina
piuttosto elevate (da 4 a 10 bar); tuttavia, è il processo maggiormente diffuso, per i bassi costi di investimento. Il lavaggio con solventi organici (glicol polietilenico, conosciuto con i nomi commerciali di Selexol o Genesorb) opera in modo simile al lavaggio con acqua, ma ha il vantaggio di richiedere impianti di minori dimensioni. La rigenerazione del solvente avviene mediante riscaldamento e/o depressurizzazione. L’assorbimento chimico (general-
mente eseguito con soluzioni acquose di etanolammine) ha un’efficienza ancora più elevata (99%) e non richiede alte pressioni; comporta però elevati consumi energetici, richiede uno stadio di pretrattamento (desolforazione) ed è penalizzato dal costo di sostituzione della soluzione di etanolammine, che si degrada termicamente nel corso dei cicli di rigenerazione e deve essere sostituita una volta l’anno. L’assorbimento a pressione oscillante (PSA - Pressure Swing Ad-
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Unità di ssorbimento/ desorbimento senza e con sorbente solido collocato
sorption) viene compiuto su carboni attivi o zeoliti che trattengono la CO2 quando la pressione è elevata, per poi rilasciarla diminuendo la pressione. Ha il vantaggio di non impiegare soluzioni acquose, per cui non è richiesto il trattamento finale di disidratazione. Tra gli svantaggi vi sono la necessità di pretrattamento (per eliminare umidità e idrogeno solforato), i costi elevati di investimento e gestione, e gli alti consumi energetici. La separazione su membrana può essere eseguita ad alta pressione (la CO2 attraversa la membrana e viene aspirata via) o bassa pressione (la CO2 attraversa la membrana e viene trattenuta da soluzioni di ammine o di soda). È attraente per la semplicità del processo e per i bassi consumi energetici, ma ha costi di investimento elevati e richiede il pretrattamento del gas. Inoltre, la permeabilità delle membrane tende a diminuire nel tempo, per cui è necessario prevedere trattamenti periodici di pulizia o sostituzione. L’esperienza degli impianti costituiti finora indica che i costi delle diverse tecnologie sono piuttosto simili per capacità di trattamento elevate (da 1.500 Nmc/ora in su), mentre differiscono significativamente quando la capacità scende sotto 500 Nmc/ora: per i piccoli impianti le tecnologie con minori costi di investimento sono le membrane e il lavaggio con acqua. Un’analisi più approfondita evidenzia che i punti deboli dei
processi a base di ammine sono: l’elevata energia termica richiesta per la rigenerazione, i fenomeni di corrosione, la degradazione termico-ossidativa dell’ammina nel tempo, le difficoltà operative dovute alla formazione di schiume.
o altri materiali solidi, ossia una tecnologia molto promettente sviluppata da RSE nel 2014 e già sperimentata presso la centrale termoelettrica di Brindisi Sud e presso il digestore anaerobico del Centro di Trattamento Etra di Camposampiero (PD). L’ammina viene depositata su pellets di allumina ad elevata area superficiale (270 mq/g), mediante impregnazione con soluzione acquosa di DEA al 36%.
ASSORBENTI IN FASE SOLIDA
I problemi degli attuali sistemi potrebbero essere superati passando ad assorbenti in fase solida; e, in effetti, sono state condotte molte ricerche in questa direzione che hanno esplorato la possibilità di impiego di diversi materiali: - zeoliti modificate con imidazolo, ossia polimeri inorganici nanoporosi, indicati con la sigla ZIF (Zeolitic Imidazolate Frameworks), e caratterizzati da pori di grandi dimensioni, con elevata superficie specifica e presenza di siti chimicamente attivi all’interno. Questi materiali sono stati approfonditamente studiati nell’ambito del progetto europeo AMCOS (Advanced Materials as CO2 removerS). Sembra che questi materiali abbiano un’elevata ca-
SVILUPPO INDUSTRIALE DEL PROCESSO
pacità di assorbimento, ma restano da approfondire gli aspetti legati alla rigenerazione - composti metallo-organici solidi (come i cosiddetti MOF - Metal Organic Frameworks), come ad esempio la basolite C-300 (tricarbossilato di rame e benzene) della Basf - ammine supportate su allumina
Il processo si svolge in 3 fasi, utilizzando unità concepite come scambiatori di calore a fascio tubiero alettato, nelle quali il sorbente è caricato nelle intercapedini tra le alette. Nella fase di assorbimento l’unità è raffreddata con acqua, che circola nel fascio tubiero, mentre il gas da depurare attraversa il sorbente; durante la fase di rigenerazione, nel fascio
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tubiero viene fatta circolare acqua calda, in modo da portare la temperatura a 70 °C, mentre contemporaneamente si riduce la pressione a 0,1 bar. In questa seconda fase si libera la CO2 e si rigenera l’assorbente, che per ricominciare il ciclo di lavoro deve però essere raffreddato a 40 °C (terza fase). Occorrono quindi almeno 3 reattori, in modo da assicurare un funzionamento continuo. È necessario un pretrattamento, per eliminare dal biogas l’umidità e l’idrogeno solforato; il costo di investimento, per un impianto da 500 Nmc/ora, è di 1,8 milioni di euro, mentre i costi annui di funzionamento sono intorno a 296.000 euro/anno. Complessivamente, il costo di trattamento è di 0,12 euro/Nmc di biometano prodotto. Da notare che i consumi energetici dell’impianto sono interamente coperti dalla produzione di energia del motore cogenerativo, che utilizza parte del biometano prodotto e produce un surplus di 135 kW, cedibile alla rete pubblica, con ulteriore riduzione dei costi annui.
L'europa a biogas rapporto ecoprog
Il vecchio continente rimane il mercato più importante per i nuovi impianti fino al 2025
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Attualmente, oltre 12.000 impianti a biogas sono attivi in tutto il mondo, raggiungendo una capacità di circa 7.000 MWel. Oltre il 90% di tali impianti si trovano in Europa, dove diversi stati hanno introdotto già dal 1990 regimi di sovvenzione per le energie rinnovabili. Circa due terzi di tutti gli impianti a biogas del mondo sono installati nella sola Germania, dove ne sono stati costruiti circa 8.000 grazie alle leggi tedesche sulle energie rinnovabili. Tuttavia, la Germania nel 2012 ha tagliato considerevolmente i finanziamenti e il mercato del biogas ne ha molto risentito. Anche altri paesi hanno seguito l’esempio tedesco ed alcuni, tipo Bulgaria e Repubblica Ceca, hanno addirittura interrotto completamente il sostegno statale. Di conseguenza, negli anni a venire il numero di impianti a biogas aumenterà, ma in misura significativamente minore rispetto agli anni boom dei primi anni 2010. Mentre tra il 2010 e il 2015 sono stati installati circa 3.000 MWel, dal 2016 fino al 2025 la capacità installata aumenterà solo da 2.600 MWel a circa 9.600 MWel. Negli anni del boom (intorno al 2011) è stata installata circa il 90% di tutta la capacità costruita in Europa, ma la quota per le nuove costruzioni si ridurrà a circa il 75% entro il 2025. L'Europa, tuttavia, rimarrà di gran lunga l’area geografica più forti a livello planetario in materia di biogas. I mercati ancora forti presenti in Francia, Regno Unito, Italia e Polonia riusciranno a compensare il calo del mercato tedesco. Sarà soprattutto la Francia il mercato in maggiore crescita del mondo entro il 2025. Circa 440 MWel sarà costruito lì, grazie al potenziamento del sistema di sovvenzioni nazionali: grazie alla nuova legge energetica approvata nel 2015 è stato aumentato il Conto Energia ed introdotto un aggiuntivo sistema di aste. In crescita, comunque, anche il mercato asiatico e nord americano, oltre che singoli paesi sparsi a macchia di leopardo dove si iniziano a sentire gli effetti delle sovvenzioni statali, quali ad esempio la Thailandia. Nelle regioni del Sud America, Australia e Pacifico, così come Africa e Medio Oriente, la costruzione di impianti a biogas rimarrà
limitata a singoli progetti. Nella maggior parte dei paesi di queste aree, la mancanza di sovvenzioni è la causa della stagnazione del mercato. Il Giappone, diversamente, lotta soprattutto contro i grossi ostacoli nei processi di approvazione. La riorganizzazione del mercato globale del biogas ha anche modificato le condizioni di mercato per molti fornitori di tecnologia e gestori di impianti. Molte aziende che fino ad ora hanno lavorato principalmente a livello regionale o al massimo nazionale, adesso cercano di sfruttare nuovi mercati emergenti per internazionalizzare la loro attività. Molti fornitori di tecnologia, inoltre, stanno implementando anche le tipologie di servizio offerto, tra cui l'attività di repowering per gli impianti esistenti. La domanda di ottimizzare impianti datati è infatti in aumento, sia perché anche gli impianti a biogas invecchiano sia perché, grazie all’autorizzazione all'immissione del biometano nella rete del gas naturale, diventa sempre più importante raffinare il biogas in un biometano di alta qualità.
D.LGS 118/2016
il decreto Cot A fine giugno scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto COT, ovvero il Decreto Legislativo n. 118 del 19/5/2016. Tale decreto va a modificare i valori limite di emissione in atmosfera per le emissioni di carbonio
organico totale degli impianti alimentati a biogas, prevedendo appositi valori limite del COT da riferirsi alla sola componente non metanica. Entrato in vigore il 15 luglio, modifica infatti la tabella A, della parte III, dell' all.1 alla
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parte V del D.Lgs 152/2006 relativa alle emissioni degli impianti alimentati a biogas (per potenza inferiore ai 3 MW) inserendo la dicitura ”escluso il metano salvo il caso in cui i provvedimenti di cui all'art.271, c.3 o le autorizzazioni di cui all'art.271, c.5 ne prevedano l'inclusione” al primo punto, relativo al carbonio organico totale (COT), e portando il relativo valore limite da 150 mg/Nmc a 100 mg/Nmc.
Secondo due recenti studi condotti sul biogas in agricoltura dal Crpa (Centro Ricerche Produzioni Animali) di Reggio Emilia e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, si evince che la digestione anaerobica di matrici agrozootecniche è un processo biologico innocuo e il digestato derivante è utilizzabile senza timori anche sui terreni dedicati alle produzioni Dop. Lo studio, infatti, aveva l’obiettivo di indagare i rischi igienico-sanitari per i prodotti Dop e per la salute umana legati all’uso agronomico del digestato, essendo tale prodotto (in uscita dagli impianti a biogas) può essere infatti utilizzato come fertilizzante in agricoltura. I due progetti di ricerca, “BiogasDop” finanziato dal Mipaaf e “Biogas micotossine clostridi” finanziato dalla Regione EmiliaRomagna, sono stati condotti sia su scala reale, con il coinvolgimento di sei impianti di biogas nel territorio di produzione del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, sia in laboratorio con un impianto pilota in condizioni di mesofilia (38-40 °C). <<I risultati – dichiara Lorella Rossi, ricercatrice del Crpa e coordinatrice del progetto – sono stati molto confortanti, perché hanno evidenziato che la digestione anaerobica migliora lo stato igienico sanitario delle matrici di ingresso, gli effluenti della zootecnia, principalmente, e i sottoprodotti agroindustriali. In estrema sintesi, ciò che esce da un impianto a biogas è decisamente migliore di ciò che entra>>. La ricerca, che ha visto la collaborazione dei Consorzi di tutela del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano e del Consorzio italiano biogas, si è focalizzata su tre aspetti: analisi igienico-sanitaria dei digestati, presenza e comportamento dei batteri clostridi nella fase di digestione anaerobica e, infine, effetti di abbattimento della digestione anaerobica sulle micotossine di farine di mais contaminate. Il monitoraggio, svolto prima e dopo il processo di digestione anaerobica, ha riguardato i cosiddetti organismi indicatori, previsti dalle normative nazionali ed europee: Escherichia coli, Streptococchi fecali (enterococchi) e Salmonella. Il livello di contaminazione delle deiezioni animali viene ab-
il digestato è innocuo Due studi recenti
E’ quanto emerge dai progetti “BiogasDop” e “Biogas micotossine clostridi
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battuto significativamente durante la fase di digestione anaerobica negli impianti a biogas. I livelli di E.coli ed Enterococchi diminuiscono fino a due ordini di grandezza. Lo stato igienico-sanitario dei digestati migliora ulteriormente nella fase di stoccaggio. Gli studi hanno poi escluso che la digestione anaerobica possa causare un aumento del contenuto di patogeni nel digestato. L’ultimo obiettivo della ricerca riguarda infine il comportamento in digestione anaerobica di farine di mais contaminate da micotossine (aflatossine). Partendo da miscele di farine con livelli di aflatossina AFB1 (quella più pericolosa per la salute dell’uomo), le indagini hanno dimostrato come la digestione anaerobica sia in grado di degradare drasticamente il livello di micotossine dal 62% al 98%. <<Auspichiamo che con questi studi – sottolinea Piero Gattoni, presidente del Cib – si abbatta finalmente un po’ di diffidenza verso il digestato, che la normativa europea include tra i fertilizzanti utilizzabili in agricoltura biologica>>.
È possibile produrre biogas da un impianto di digestione anaerobica che impiega batteri per degradare materiale organico in assenza di ossigeno. Nonostante gli impatti ambientali positivi di questi impianti, gli elevati costi dell’investimento e la bassa redditività hanno limitato la loro diffusione in Europa. Un miglior controllo e monitoraggio della produzione di biogas aiuterebbe ad accrescere redditività e stabilità. Il progetto europeo OPTIVFA (Novel monitoring and process control system for efficient production of VFA and biogas in anaerobic digestion plant) si è posta come obbiettivo lo sviluppo di un prototipo di un sistema di monitoraggio e controllo on-line basato sulla misurazione della produzione di acidi grassi volatili (VFA) nei digestori anaerobici. Inizialmente, nell’ambito delll’iniziativa sono stati intervistati agricoltori e altri operatori di numerosi impianti di digestione anaerobica in Europa per individuare le loro esigenze. Il sondaggio ha evidenziato l’importanza di un sistema di monitoraggio VFA. È stato realizzato un vasto studio sulla quantificazione dei composti dei modelli con uno
MONITORAGGIO ON-LINE
il controllo di acidi grassi Sviluppato un prototipo per la misurazione della produzione di VFA nei digestori anaerobici
strumento FTIR commerciale per selezionare la tecnologia di misurazione adatta e sviluppare modelli di calibrazione per monitorare gli acidi VFA in un digestore anaerobico. Per i prototipi futuri è stato scelto un interferometro di Fabry-Perot con attuatore piezoelettrico operante nel medio infrarosso. Il passo successivo è stato quello di
modellare diversi aspetti del digestore proposto e progettare un sistema di misurazione adatto che comprendesse un prototipo di misurazione, una sonda ottica e un sistema di controllo. Una volta che il prototipo è stato progettato, i ricercatori lo hanno costruito e testato in laboratorio. I partner commerciali hanno fornito commenti sul dispositivo.
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Il prototipo OPTI-VFA utilizza la spettroscopia infrarossa e i modelli di calibrazione sviluppati per rilevare i cambiamenti nelle concentrazioni di VFA all’interno del digestore, ed è controllato attraverso un’interfaccia software intuitiva. I test di laboratorio hanno dimostrato che il sistema è in grado di misurare in tempo reale le principali concentrazioni di VFA con precisione. È stata sviluppata una metodologia generale basata sulla simulazione per progettare e convalidare controllori automatici per i digestori anaerobici convenzionali. Una strategia di controllo per un sistema a 2 fasi da laboratorio è stata testata e dimostrata. Il prototipo avrà un impatto positivo sull’aumento della produzione di biogas e sulla crescita del settore della chimica verde.
energia
Pompe e compressori “green” L’efficienza energetica nelle industrie
Corretta progettazione, regolazione della velocità, riparazione delle perdite, ottimizzazione della pressione di erogazione 4^ parte
Tra le apparecchiature industriali maggiormente rilevanti ai fini dell’efficienza energetica ve ne sono due tipologie che hanno lunghissima diffusione, soprattutto nell’industria chimica: le pompe centrifughe per acque ed i compressori per aria e gas.
Sulla base di queste statistiche, è stato emanato nel 2012 il Regolamento n.547/2012/UE, che stabilisce specifiche minime di efficienza idraulica, in 2 diversi passaggi: a partire dal 1° gennaio 2013 e 2015. Il Regolamento riguarda specificamente la progettazione delle pompe; le specifiche minime relative ai
motori sono stabilite in un altro Regolamento Europeo, il n. 640/2009/UE. Lo scopo del Regolamento 547/2012/UE è di consentire la marcatura “CE” (e quindi la possibilità di vendita sul mercato europeo) solo alle pompe che abbiano un’efficienza idraulica superiore ad
POMPE CENTRIFUGHE
Le pompe centrifughe per il movimento delle acque sono presenti in moltissime industrie, oltre che nelle reti idriche a servizio del pubblico. Uno studio della Commissione UE stima che l’energia elettrica consumata per azionare questo tipo di pompe ammonti ad oltre 120 TWh/anno, che corrispondono a circa 55 Mt di CO2 emessa in atmosfera; pertanto, anche miglioramenti relativamente modesti nell’efficienza delle pompe hanno impatti ambientali molto favorevoli. Hi-Tech Ambiente
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un valore minimo chiamato MEI (Minimum Efficiency Index), che è in sostanza la misura della qualità di una pompa rispetto alla sua efficienza. Il MEI viene determinato attraverso un algoritmo che considera prevalenza, portata, velocità, ed un parametro legato alla tipologia della pompa; il calcolo viene eseguito in tre punti del campo prestazionale della pompa, e cioè: - BEP (Best Efficiency Point), il punto dove la pompa lavora con la massima efficienza idraulica - PL (Part Load), corrispondente al 75% della portata misurata al BEP - OL (Over Load), corrispondente al 110% della portata misurata al BEP. Attualmente (cioè dopo il 1/1/15), il MEI è stato fissato a 0,4; per dare un’idea del livello di severità di questo parametro, è sufficiente rilevare che il 40% delle pompe vendute 10 anni fa sarebbero oggi “fuori norma”.
AZIONAMENTI A VELOCITA’ VARIABILE
citazioni meccaniche sui macchinari.
Oltre all’impiego di pompe correttamente progettate per l’alta efficienza, un notevole risparmio energetico può essere ottenuto mediante sistemi di regolazione che adeguano automaticamente la velocità della pompa alle effettive richieste di acqua, invece di utilizzare i vecchi sistemi basati sul controllo meccanico mediante valvole e serrande. I risparmi di energia possono arrivare al 70% e, inoltre, si ottengono riduzioni nei costi di manutenzione, perché vengono eliminate le correnti di picco ed i sovraccarichi di coppia; per di più, si evitano colpi d’ariete, fenomeni di cavitazione e vibrazioni potenzialmente dannose. Questi obiettivi possono essere raggiunti mediante i convertitori di frequenza, che adattano la velocità, e conseguentemente l’energia assorbita, a quanto è esattamente richiesto dal sistema utilizzatore. I benefici maggiori si hanno nelle applicazioni in cui la coppia varia in funzione del carico, come è nelle pompe centrifughe: in queste applicazioni l’energia consumata varia con il cubo della velocità del motore e,
COMPRESSORI E DISTRIBUTORI D’ARIA COMPRESSA
pertanto, una riduzione del 20% nella velocità corrisponde ad un risparmio energetico del 50%. Due esempi “sul campo”: - le pompe della raffineria Shell di Kaiser-Worthlafen sono state regolate per funzionare al loro punto ottimale, e l’azionamento è stato ristrutturato eliminando le valvole meccaniche e installando un sistema di inverters comandati con un apposito software. Si sono ottenuti risparmi di 36.000 euro/anno sui consumi energetici, oltre a riduzioni nei costi di manutenzione e aumento delle ore di marcia dell’impianto; complessivamente, i costi di instal-
lazione del nuovo sistema si sono ripagati in 14 mesi - l’impianto di cogenerazione con fornitura pubblica di calore mediante teleriscaldamento della città tedesca di Chemnitz ha sostituito i motori delle pompe di circolazione dell’acqua calda, che erano sovradimensionati rispetto all’utilizzo, con motori a bassa tensione ed alta efficienza, accoppiati con inverters. In questo modo è stato possibile ridurre del 35% il consumo di energia elettrica impiegata per le pompe di circolazione dell'acqua calda, ottenendo inoltre un controllo della portata più preciso e riducendo le solle-
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I sistemi di produzione e distribuzione dell’aria compressa vengono al terzo posto, dopo le pompe ed i ventilatori, tra le applicazioni industriali dei motori elettrici. Si stima che in Italia la produzione di aria compressa assorba circa l’11% di tutta l’energia impiegata per usi industriali. L’aria compressa è facile da produrre e distribuire; per questo motivo è spesso impiegata “a sproposito”, per applicazioni per le quali esistono alternative più efficienti ed economiche dal punto di vista energetico. Nella valutazione del risparmio energetico è quindi opportuno estendere le analisi alle possibili opzioni di sostituzione, come ad esempio la sostituzione delle attrezzature pneumatiche con quelle elettriche. Complessivamente, un programma di ottimizzazione energetica dei sistemi ad aria compressa può portare Continua a pag. 42
Robox Screw Vacuum
Robox Screw Hi-Pressure
il robox screw Compressore a vite oil-free
Efficiente, silenzioso, di semplice installazione e manutenzione, flessibile e personalizzabile In fatto di efficienza energetica ap- nenti innovativi e ad un design esplicata all’industria e ai suoi più senziale: efficiente, grazie ai suoi svariati settori, la gamma dei com- straordinari rotori brevettati, RSW, pressori a vite “oil free” a bassa che riducono il numero di giri e mipressione Robox di Gardner Denver gliorano il rapporto tra portata e – divisione Robuschi conosce ben pochi rivali. Di recente, la gamma si è anche arricchita con Robox Energy, capace di unire le peculiarità del "cuore" del gruppo, RSW (brevetto), con l'innovativo motore a magneti permanenti con quadro elettrico integrato, che è in grado di offrire la massima efficienza, compattezza, manutenzione estremamente semplice e flessibilità alle diverse esigenze dell'impianto di depurazione. Disponibile nelle configurazioni ad alta pressione, a bassa pressione ed in vuoto, il gruppo compressore a vite “oil free” Robox Screw coniuga le consolidate caratteristiche di semplicità ed affidabilità di Robuschi a compo- Robox Screw Energy
pressione; silenzioso, grazie all’elevata efficienza della compressione interna, agli speciali silenziatori ed alla cabina di insonorizzazione; semplice installazione e lay-out; flessibile, per garantire il punto di massimo rendimento; oil free, per un funzionamento ancora più rispettoso dell’ambiente; facile manutenzione, grazie alla robustezza e semplicità costruttiva; personalizzato, con un’ampia gamma di opzioni disponibili.
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IDEALE PER OGNI APPLICAZIONE
Con configurazioni flessibili e caratteristiche tecniche ancora maggiormente ottimizzate, il gruppo compressore Robox Screw è ideale per una vasta gamma di ap-
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plicazioni industriali e per il trattamento delle acque. Negli impianti di depurazione, infatti, il consumo di energia rappresenta oltre 50% del costo annuale, per questo motivo la gamma Robox Screw, risponde al meglio alle necessità di riduzione dei costi, in quanto permette di risparmiare dal 15% ad oltre il 30% rispetto ad altre tecnologie: fornisce la massima quantità di aria al minor consumo energetico, grazie alla compressione interna di RSW, risultando, inoltre, estremamente versatile, sia per un impiego continuo sia intermittente. Inoltre, grazie alla possibilità di lavorare anche a pressioni oltre 1 bar, Robox Screw è in grado di alimentare le vasche di raccolta reflui di altezze elevate, unendo così il migliore sfruttamento degli spazi urbani con un basso livello di inquinamento acustico. Nel settore industriale, invece, Robox Screw viene impiegato nei principali processi di trasporto pneumatico, per il trasferimento di polveri o granuli di qualsiasi natura (plastica, farine, semi, ecc.), in configurazione sia in pressione sia in vuoto, per i processi di fluidificazione, di fermentazione, per vuoto centralizzato, per sistemi di sollevamento e per il trasferimento di aria e gas. La macchina assicura processi di lavorazione a bassa temperatura (minore del 20% se confrontata con altre tecnologie), senza nessun pericolo di deterioramento e/o inquinamento del materiale trasportato (oil free). Robuschi è in grado di offrire un vero e proprio pacchetto di soluzioni, integrando la propria offerta di Robox Screw in base alle reali esigenze del cliente, con un’ampia gamma di opzioni: - Robox Screw Hi Pressure, un gruppo compressore oil free estremamente efficiente, in grado di raggiungere 2,5 bar e 9.500 mc/h di portata - Robox Screw Low Pressure che, grazie alla semplicità ed essenzialità dei componenti, risulta essere la risposta ideale per la depurazione e trattamento delle acque. Può raggiunge 1 bar di pressione e 10.500 mc/h di portata - Robox Screw Vacuum, la soluzione migliore per il vuoto centralizzato, in grado di garantire estrema resistenza, affidabilità e costi di manutenzione minimi, con un vuoto massimo di 300 mbar e portate di 8.700 mc/h.
Continua da pag. 41
Pompe e compressori “green” al 33% annuo di riduzione delle spese di esercizio. Alcuni interventi sono relativamente semplici, come: identificazione e riparazione delle perdite, ottimizzazione della pressione di erogazione. Le perdite attraverso accoppiamenti, valvole, manichette, ecc., possono rappresentare il 20% o più dell’aria prodotta. In molti casi le perdite possono essere localizzate “a orecchio” e con una soluzione di acqua saponata, durante le ore di fermo dell’impianto; è anche possibile utilizzare misuratori a ultrasuoni. In un grande stabilimento l’eliminazione delle perdite può portare a risultati di notevole rilevanza economica: ad esempio, nello stabilimento olandese della Tate & Lyle (produttrice di sciroppo di glucosio e altri ingredienti per alimenti e bevande), un “audit” condotto appositamente ha consentito di eliminare 296 punti, che causavano complessivamente la perdita di 1.625.815 mc/anno, per un valore di quasi 30.000 euro. Il costo dell’intero programma si è ripagato in poco più di
1 anno. Quanto, invece, all’ottimizzazione della pressione di erogazione, un compressore ad alta efficienza richiede circa 62 kWh per produrre 1.000 Nmc di aria compressa a 2 bar, ma lo stesso compressore richiede 85 kWh se la pressione sale a 10 bar. È importante quindi: regolare la pressione di distribuzione in funzione delle reali necessità di utilizzo, installare regolatori di pressione vicino ai punti di consumo finali, installare serbatoi di stoccaggio di capacità e localizzazione adeguate ad evitare le fluttuazioni di pressione, pulire o sostituire i filtri se la caduta di pressione supera 0,5 bar.
Le industrie che forniscono compressori e sistemi per aria compressa mettono a disposizione dei loro clienti sistemi molto sofisticati di analisi energetica, come ad esempio: l’audit energetico basato sulla misura degli assorbimenti elettrici, che fornisce una stima del risparmio ottenibile introducendo compressori a velocità variabile; l’audit energetico che alla funzione precedente aggiunge la possibilità di simulazione di profili di consumi diversi; oppure l’audit energetico che, mediante misure in continuo di tutti i parametri elettrici, offre una precisa quantificazione dei risparmi ottenibili con l’impiego di compressori più appro-
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priati per le diverse applicazioni. Un’interessante possibilità di risparmio energetico è il recupero del calore prodotto dai sistemi di produzione dell’aria compressa, che può arrivare al 94% per i compressori lubrificanti e quasi al 100% per i compressori “oil free”. Il calore recuperato può essere impiegato per produrre acqua calda per usi sanitari, riscaldamento di ambienti o impieghi di processo; interventi di questo tipo possono usufruire di contributi tramite il meccanismo dei Titoli di Efficienza Energetica (Certificati Bianchi). Due interessanti esempi da citare sono i seguenti: - GKN Sinter Metals di Brunico (BZ), che ha convertito i suoi 4 compressori raffreddati ad aria al recupero termico attraverso uno scambiatore di calore olio/acqua. In questo modo vengono recuperati ogni mese circa 60.000 kWh, utilizzati per riscaldamento e acqua sanitaria - Fonti di Posina, che recupera il 70% del calore prodotto nei compressori a media ed alta pressione, ottenendo ogni anno oltre 1 milione di kWh, che hanno consentito di ttenere un ricavo in TEE di 29.500 euro/anno per 5 anni.
Progetto Marinet
L’energia che viene dal mare tecnologie e prospettive
Stato dell’arte, aspetti economici e di mercato: maree, moto ondoso, conversione termica ed osmosi
L’energia cinetica delle onde marine è sembrata per lungo tempo la fonte rinnovabile ideale: basso impatto visivo (gli impianti sono ubicati lontani dalle coste), continua e affidabile (moto ondoso e correnti non variano in base alle stagioni o alle condizioni meteo, come invece fanno l’energia solare e quella eolica) e disponibile in abbondanza (dato che due terzi della superficie terrestre è coperta dagli oceani). Ciononostante, molte aziende che hanno investito in questo settore o sono fallite o hanno abbandonato i progetti (o drasticamente ridimensionato gli investimenti): complessivamente è stato investito circa un miliardo di dollari, senza riuscire a creare un impianto in grado di raggiungere la fase commerciale. Rispetto ai 2.250 MW previsti in Europa per il 2020, attualmente sono in corso progetti per meno di 70 MW. Ciò in quanto produrre energia elettrica dal moto ondoso si è rivelato decisamente più costoso del previsto, a causa delle condizioni di elevata corrosività in cui opera l’impianto, delle forti correnti marine che rendono difficile e costosa la posa e manutenzione, e degli alti costi delle tecnologie necessarie; in definitiva, i costi di produzione arrivano facilmente ad essere 4 volte superiori rispetto a quelli degli impianti a carbone. Un punto sulla situazione complessiva delle fonti di energia derivanti dal mare è fornito dal rapporto “Ocean Energy Status Report – Technology, market and economic aspects of ocean energy in Europe”, recentemente pubblicato dal Joint Research Centre (il Centro ricerche della Commissione Europea). Il rapporto analizza lo stato delle tecnologie e gli aspetti economici e di mercato delle due tecnologie già consolidate (energia dalle maree ed energia dal moto ondoso) e di due tecnologie emergenti: conversione dell’energia termica e sfruttamento del gradiente osmotico di salinità. ENERGIA DALLE MAREE
L’energia delle maree può essere sfruttata per produrre energia elettrica con diverse tecnologie. Le maree rappresentano una fonte rinnovabile che ha il vantaggio della stabilità (infatti i cicli delle Hi-Tech Ambiente
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maree sono stabili e non variano in base alle stagioni e alle condizioni meteo) e quindi possono fornire un flusso continuo alla rete elettrica. La tecnologia più consolidata è la diga, che viene impiegata nella maggior parte degli impianti installati in tutto il mondo; ciò nonostante, nel Regno Unito è stato respinto più volte un progetto che prevedeva l’impiego di questa tecnologia (Severn Barrage), a causa del potenziale impatto ambientale sugli ecosistemi e dell’incerta resa economica. Un’altra opzione è la creazione di lagune artificiali, che minimizzano l’impatto ambientale (in quanto le lagune possono essere costruite ovunque, anche in alto mare); il potenziale produttivo globale di questa tecnologia è stimato in 80 GW. Infine, la tecnologia meno utilizzata è rappresentata dai sistemi che sfruttano le correnti di marea (TEC, Tidal Energy Converter), che hanno raggiunto lo stesso livello di maturità tecnica e commerciale delle altre e che presentano le migliori potenzialità di sviluppo nel prossimo futuro in Europa; per questi motivi, il rap-
porto si concentra su di esse. Esistono numerosi tipi di sistemi TEC. Attualmente, quello più comune è quello ad assi orizzontali; si stima che ad oggi questa tecnologia copra il 76% degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore dell’energia marina a livello mondiale. Lo sfruttamento delle maree resta ancora un settore di nicchia: manca un consenso sulla tecnologia più idonea, e lo sviluppo industriale è ancora fermo allo stadio
dei prototipi. Agenzie locali, governi nazionali e l’UE stanno lavorando per creare un mercato per queste tecnologie, creando infrastrutture e stanziando fondi per finanziare iniziative di ricerca. Negli ultimi anni sono state lanciate diverse iniziative e richieste di finanziamento da parte dell’UE e dei singoli Paesi europei; ma finora solo uno ha ottenuto un finanziamento di 50 milioni di sterline: si tratta del progetto MeyGen, nel cui ambito si è dato il
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via alla costruzione di un impianto, tuttora in corso. Recentemente è stata messa in mare al largo delle isole Orcadi una turbina a flusso di marea su scala ridotta, che dovrebbe preludere all'installazione di una turbina in piena scala, lunga 42 m e pesante 350 ton (progetto europeo Marinet). Inoltre, nel dicembre 2014 il fondo francese Ademe ha annunciato i vincitori per la costruzione di due Continua a pag. 46
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L’enegia che viene dal mare impianti pilota in Francia, della potenza rispettivamente di 5,6 e 14 MW. In tutta Europa sono stati annunciati numerosi progetti: nel solo Regno Unito sono state individuate 26 zone per lo sviluppo di progetti sullo sfruttamento delle maree, cui se ne sono aggiunti altri 11 nel 2014; in Scozia ne sono stati individuati tre, e cinque in Francia, dove si prevede che gli impianti diverranno operativi entro il 2016. Infine per il 2016 è stata annunciata la costruzione di impianti di piccole dimensioni sulle dighe olandesi. Entro il 2018 la capacità europea di produzione energetica dalle maree potrebbe vedere una crescita significativa (fino a 40 MW). Progetto MeyGen
ENERGIA DALLE ONDE
L’energia delle onde marine presenta il maggiore potenziale di sviluppo in Europa, che si stima sia 30 volte superiore rispetto all’energia delle maree. In Europa, l’area più promettente è la fascia costiera che si affaccia sull’Oceano Atlantico. Come per l’energia dalle maree, l’energia delle onde non ha ancora raggiunto il livello di maturità necessario per penetrare nel mercato energetico; ed è proprio a causa di questa lentezza del progresso tecnologico che molte imprese del settore si sono tirate fuori. Gli sforzi maggiori si sono concentrati nello sviluppo di dispositivi destinati ad essere installati a largo delle coste, cui devono essere accoppiati sistemi di conversione dell’energia cinetica in energia elettrica (gli impianti di questo tipo sono il 64%). Attualmente, comunque, non esistono impianti posti a più di 5 km dalla costa ed a più di 75 metri di profondità. Ad oggi esistono almeno 9 impianti, dei quali i più sperimentati sono quelli a colonna d’acqua e quelli a masse oscillanti. L’ostacolo principale per la sfruttamento dell’energia delle onde marine è assicurare la piena affidabilità e operatività degli impianti in acque aperte. Molti dei convertitori dell’energia delle onde (Wave Energy Converter WEC) di prima generazione sono
stati concepiti per operare nei siti costieri dove l’energia delle onde è maggiore; ma operare in questi ambienti crea problemi riguardo alla capacità degli impianti di resistere alle sollecitazioni causate dall’energia delle onde. Per questo motivo, alcune imprese del settore hanno proposto lo sviluppo di piccoli impianti, che possono essere impiegati in siti costieri in cui le onde sono meno impetuose, con ulteriori vantaggi (costi di manutenzione inferiori, riduzione dei rischi economici derivanti dal passaggio dalla fase di laboratorio alla sperimentazione sul campo). Le aziende, quindi, stanno dedicando i loro sforzi a migliorare le tecnologie attuali, in modo da portare l’affidabilità dell’energia dalle onde marine allo stesso livello delle altri fonti rinnovabili; dal 2009 sono stati annunciato so-
lo in Europa oltre 100 progetti, per una capacità complessiva di 1.200 MW (sebbene 770 MW sono già stati scartati a causa di incertezze economiche e lo stato immaturo delle tecnologie). Di essi, la maggior parte riguarderanno la realizzazione di singole unità e di impianti dimostrativi. Una stima più realistica prevede che entro il 2020 saranno installati nuovi impianti per una capacità complessiva pari a 25,9 MW. Le previsioni mostrano che questa filiera è destinata a crescere nel prossimo futuro, e le imprese del settore stanno cercando investitori per sviluppare i loro progetti; gli obiettivi a lungo termine per questo settore sono il raggiungimento della competitività economica, e la creazione di un’alternativa valida e affidabile alle altre fonti energetiche (rinnovabili e tradizionali).
LE TECNOLOGIE EMERGENTI
La conversione dell’energia termica degli oceani (OTEC) cattura la differenza di temperatura tra le fredde profondità dei mari e la superficie più calda per produrre elettricità. Occorre una differenza di temperatura di almeno 20 °C, che può essere trovata perlopiù nelle zone tropicali; pertanto, questa tecnologia offre un potenziale limitato nelle acque europee. OTEC mostra potenzialità teoricamente superiori rispetto a ogni altro tipo di energia marina: essa potrebbe generare da 30.000 a 90.000 TWh/anno di energia, senza alcun impatto ambientale sulle coste o sugli ecosistemi marini. I primi studi su questa tecnologia risalgono ai 19° secolo e sono stati ripresi negli anni ’70 del secolo scorso, a causa della crisi petrolifera dell’epoca. Una nuova fase di ricerca e sviluppo è partita negli Usa nel 2006, e nel 2014 è stato installato un impianto pilota costituito da una turbina da 100 kW e un generatore. Attualmente, i principali ostacoli allo sviluppo di questa tecnologia sono i problemi tecnici (scarsa efficienza, necessità di tubazioni di ampio diametro, problemi di corrosione e sporcamento delle tubazioni) e i costi di investimento molto alti. La tecnologia che sfrutta il gradiente osmotico di salinità, inveContinua a pag. 50
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Teoricamente, dal moto ondoso marino si potrebbero ottenere circa 32.000 TWh di energia elettrica ogni anno, molto più dei consumi di elettricità di tutta la popolazione mondiale (che sono meno di 20.000 Twh/anno). Il maggior potenziale di energia ottenibile dal moto ondoso si trova nelle coste che si affacciano sui grandi oceani; questo spiega come in Europa la maggior parte degli impianti per lo sfruttamento di questo tipo di energia si trovino in Scozia, Norvegia, Irlanda e Portogallo. Tuttavia, l’elevata energia delle onde che arrivano sulle coste oceaniche comporta notevoli problemi per quanto riguarda la resistenza delle strutture e la loro manutenzione. In mari più “tranquilli”, come il Mediterraneo, l’energia ottenibile è minore, ma sono minori anche i problemi tecnici ed i costi di installazione e manutenzione. Per questi motivi l’Enea e vari altri Enti di ricerca e università italiane hanno da tempo in corso molte ricerche e sperimentazioni sulle tecnologie di conversione dell’energia marina; ricerche che spesso sono note solo a pochi “addetti ai lavori”. Per diffondere una maggiore conoscenza delle ricerche italiane in questo settore, l’Enea ha recentemente pubblicato uno “speciale”, contenente informazioni riguardanti: valutazione delle risorse, sistemi di conversione, rete internazionale di collegamento. Diversi i sistemi di conversione realizzati, ma non per tutti hanno le sperimentazioni sul campo sono state positive. IL SISTEMA A RISONANZA
Turbina
Un “mare” di ricerche sperimentazioni italiane
I sistemi di conversione che hanno dato esito positivo quando provati sul campo
Con il nome di Resonant Wave E-
nergy Converter (REWEC) si indica un sistema in cui l’energia delle onde in arrivo contro una barriera viene sfruttata per comprimere l’aria contenuta entro una cavità. Il flusso di aria compressa aziona una turbina, connessa ad un generatore di elettricità; quando l’onda si ritira, l’aria viene richiamata dall’esterno entro la cavità, azionando nuovamente la turbina, ma in senso inverso. In condizioni di moto ondoso costante, il sistema può essere regolato in modo da oscillare con una determinata frequenza (chiamata “frequenza di risonanza”), alla quale corrisponde l’assorbimento di circa il 50% dell’energia delle onde in arrivo, con la produzione di 500 kW di elettricità per ogni modulo Rewec. Il sistema è particolarmente interessante perché può essere integrato nelle esistenti dighe frangiflutti, riducendo quindi i costi di installazione e manutenzione rispetto ai sistemi concepiti per funzionare in mare aperto. Tale sistema è frutto degli studi condotti negli ultimi 10 anni dalla Università Mediterranea di Reggio Calabria; nel 2005 il dispositivo è stato sperimentato su scala di laboratorio, con risultati incoraggianti. Negli anni 2013 e 2014 è stata compiuta una sperimentazione più completa, utilizzando una turbina Wells da 2 kW. È attualmente in corso una sperimentazione in piena scala presso il porto di Civitavecchia, dove il sistema Rewec ha dimostrato che con onde di 1 metro di altezza è possibile ottenere da 500 a 1.500 W di energia elettrica. Una volta che la struttura sarà completata, potrà fornire il 10% dell’energia elettrica richiesta per le attività dell’intero porto di laziale. IL SISTEMA EDS
L’Energy Double System, designato con la sigla EDS, è dovuto alla ricerca del Laboratorio di Idraulica del Politecnico di Milano; è stato progettato per essere installato vicino alla costa, in corrispondenza dello “zoccolo” dove le onde iniziano a piegarsi; è comunque possibile l’installazione in corrispondenza di strutture esistenti, come moli e dighe frangiflutti. Il sistema EDS ricava enerIl sistema EDS
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nanza quando le onde hanno un periodo di 5,5 secondi. Sistemi a generatori lineari potrebbero essere disposti in più file, in modo che ciascuna unità interagisca in modo ottimale con le altre. La configurazione migliore è quella con i generatori disposti in fila, ad un angolo di 45° rispetto alla direzione prevalente delle onde in arrivo.
Un “mare” di ricerche gia da due diversi elementi: un galleggiante (che si alza e si abbassa seguendo le onde), ed una pala immersa per metà, che si muove avanti e indietro secondo le onde che si spostano verso la costa. Questi due elementi mobili sono incernierati assieme in una struttura posta sulla terraferma, che contiene un sistema di smorzamento, per limitare le eccessive oscillazioni. Attualmente, il sistema è stato collaudato solo con onde artificiali prodotti in laboratorio, dove ha mostrato un’efficienza dal 30 al 50%; i ricercatori del Politecnico di Milano ritengono possibile aumentare questi valori, in particolare lavorando sulla forma dell’elemento a pala e sul sistema di smorzamento.
TURBINE ACCOPPIATE PER SFRUTTARE LE CORRENTI
UN GENERATORE LINEARE PER I MARI ITALIANI
I sistemi di tipo lineare progettati per le condizioni oceaniche non sono adatti a funzionare nel Mediterraneo, neppure nelle aree dove si trovano le condizioni più favorevoli, come Alghero e Mazara del Vallo. Infatti, mentre in Atlantico le onde sono prevalentemente lunghe e costanti nella loro direzione, nel Mediterraneo l’andamento è prevalentemente incostante e casuale; pertanto, i sistemi per ottenere energia dalle onde devono essere di tipo puntiforme e di struttura il più possibile semplice. L’Università di Bologna ha scelto di valutare un sistema sviluppato in Svezia, in quanto le condizioni del moto ondoso nel Baltico e nel Mediterraneo sono abbastanza simili. Il sistema è costituito da una boa galleggiante, connessa mediante un cavo al pistone di un generatore elettrico lineare, fissato al fondo. Mediante una serie di esperimenti è stato accertato che per un generatore lineare da 10 kW la configurazione migliore per la boa è un cilindro con diametro 5 m e oscillazione 0,8 m. E’ risultato possibile aumentare di circa il 40% il rendimento del sistema interponendo un elemento sommerso, con densità intorno a 1, tra la boa e il generatore lineare: in questo modo è possibile sfruttare il fenomeno della riso-
Generatore OWC
L’Università “Federico II” di Napoli ha costruito e sperimentato un prototipo di sistema a basso costo per produrre energia dalle correnti marine. Si tratta di due turbine affiancate, intubate e controrotanti, montate su una struttura simile a quella di un aliante; il tutto viene agganciato a un sistema di cavi, che lo mantiene a mezz’acqua, nella zona di massimo flusso della corrente. Il prototipo ha una lunghezza di 9 m ed un’apertura alare di 10 m; è stato dimensionato per una produzione di 20 kW, con una corrente avente velocità di 1,5 m/sec. Dopo verifiche nella galleria del vento, il prototipo è stato installato nella laguna di Venezia, ad una profondità di 15 m. La velocità delle correnti di marea presenti nel sito durante la sperimentazione è stata in media di 1,2 m/sec; a questa velocità le turbine hanno prodotto in media 6 kW ciascuna. I risultati sono incoraggianti e consentono di prevedere che un’apparecchiatura in piena scala, installata in un sito con correnti di marea a 2,6 m/sec, potrebbe produrre 300 MWh/anno; particolarmente importanti si sono rivelati il profilo innovativo delle pale delle due turbine, realizzate in fibra di carbonio, ed il profilo del condotto in fibra di vetro che racchiude le pale. UN PENDOLO DA 3 TONNELLATE
Risale all’estate scorsa la presentazione da parte dell’Enea di un prototipo, denominato PEWEC (PEndulum Wave Energy Converter), sviluppato in collaborazione con il Politecnico di Torino. Si tratta di uno scafo da posizionare in mare aperto, avente al suo interno un pendolo collegato ad un generatore di energia elettrica;
Il sistema Pewec Hi-Tech Ambiente
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Il sistema Pewec
l’energia deriva dal movimento relativo che le onde producono tra lo scafo e il pendolo. Il sistema è costruttivamente semplice e particolarmente adatto alle condizioni prevalenti nel Mediterraneo, dove le onde sono di piccola altezza ma si succedono con frequenza relativamente alta. Il prototipo è un modello in scala 1/12, che tuttavia pesa 3 ton; è in corso la costruzione del primo modello in piena scala, che avrà una potenza di 400 kW. L’Enea stima che una decina di questi dispositivi potrebbe produrre energia sufficiente per un Comune di 3.000 abitanti, e avrebbe anche effetti positivi sulla riduzione dell’erosione costiera. Questa nuova tecnologia Continua a pag. 50
Il sistema Rewec
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di membrane. Quindi, oggi gli sforzi della ricerca sono rivolti a migliorare l’efficienza delle membrane e ridurre gli interventi di manutenzione e sostituzione.
L’enegia che viene dal mare ce, impiega la differenza della concentrazione salina tra l’acqua di mare e l’acqua dolce per produrre elettricità, e può essere impiegata in ogni luogo in cui i corsi di acqua dolce sfociano nel mare; essa ha un potenziale energetico notevole (1.300-2.000 TWh/anno). Attualmente vengono impiegate due soluzioni: elettrodialisi inversa (RED) e osmosi a pressione ritardata (PRO), entrambe basate su membrane ioniche. L’origine di questa tecnologia risale agli anni ’50 del secolo scorso; all’inizio del 21° secolo, essa venne ripresa e sviluppata dalla compagnia norvegese Statkraft, che nel 2009 ha aperto il primo impianto pilota in Norvegia, della capacità di 10 kW. Nel dicembre 2013, però, la Statkraft ha annunciato la chiusura dell’impianto e la cessazione delle sue attività di ricerca sul gradiente di salinità. Più recentemente, la compagnia olandese RED ha realizzato in Olanda un impianto pilota da 50 kW, già in funzione, con una capacità di 220 mc/ora. Il punto centrale del gradiente di salinità sono le dimensioni delle membrane: per un impianto da 1 MW sono necessari 200.000 mq Continua da pag. 49
Un “mare” di ricerche risulterebbe particolarmente adatta per le isole, dove l’energia è oggi prodotta da costose e inquinanti centrali a gasolio. ENERGIA DALLA COMPRESSIONE DEGLI ELASTOMERI
Un sistema innovativo per convertire l’energia meccanica delle onde in elettricità sfrutta le pro-
CONCLUSIONI
In conclusione, l’energia del mare come fonte rinnovabile è un settore ancora allo stadio iniziale. Si prevede che entro il 2018 il numero dei nuovi impianti operativi nei mari europei salirà a 5; d’altronde, le previsioni circa l’energia ricavata dal mare per il 2020 sono state riviste al ribasso, a causa della lentezza dei progressi tecnologici e le difficoltà di attirare investimenti. Esistono comunque buone potenzialità, considerando che: - circa 70 aziende europee sono giunte a uno stadio avanzato di sviluppo tecnologico - l’Europa potrebbe ricavare 40 MW dall’energia delle maree e 26 MW dall’energia delle onde entro il 2018, se i progetti attualmente in corso verranno portati a compimento - lo sviluppo delle tecnologie relative allo sfruttamento dell’energia dalle onde marine è rimasto indietro rispetto a quello dell’energia dalle maree; ma nuovi progetti stanno prendendo piede in Europa, Usa e Australia. prietà di alcuni elastomeri, che producono energia elettrica quando sono sottoposti a cicli alternati di compressione e di espansione. Uno studio condotto dalla Scuola Superiore Sant'Anna (Pisa) indica che si possono realizzare generatori di 3 tipi diversi: - a braccio oscillante (adatto per fondali costieri, fino a 10 m di profondità), in cui il corpo del generatore (contenente un modulo a losanga con gli elastomeri) è fissato al fondo e l’energia delle onde è raccolta da una paratia incernierata che si muove avanti e inIl sistema Rewec
dietro (sistema Poly-Surge). - a boa oscillante, in cui gli elastomeri sono contenuti in un modulo cilindrico, che viene stirato e compresso dal movimento della superficie marina (sistema PolyBuoy) - a colonna d’acqua oscillante (OWC, cioè Oscillating Wave Column), in cui l’acqua a seguito Hi-Tech Ambiente
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delle onde fa espandere un diaframma circolare in elastomero. Tutti questi sistemi presentano notevoli vantaggi potenziali in termini di semplicità costruttiva e costo rispetto ai loro equivalenti meccanici; ad oggi, però, la tecnologia degli elastomeri dielettrici non è ancora stata adeguatamente sperimentata.
macchine & strumentazione Il pompaggio dei fanghi negli impianti di depurazione è un'operazione relativamente semplice, ma richiede comunque strumenti affidabili, a basso costo di esercizio e soprattutto di rapida e semplice manutenzione, dal momento che lunghi fermi dell'impianto risultano complessi e antieconomici. In quest'ottica, le pompe a lobi rotativi della serie IQ di Vogelsang rappresentano una soluzione ideale, poiché uniscono una buona affidabilità a un'estrema semplicità strutturale e soprattutto di gestione. Del resto sono state pensate proprio come alternativa economica alle più performanti pompe VX per tutte quelle situazioni in cui non siano richieste portate eccessive o quando, ancor più, sia necessario realizzare l'installazione in spazi ridotti, un ambito in cui le IQ risultano assolutamente vincenti. Infatti, la struttura di queste pompe è particolarmente compatta, con una profondità molto ridotta che rende agevole il montaggio in ogni condizione di lavoro. I VANTAGGI DEL “PIGGY BACK“
Oltre alla tradizionale configurazione della pompa con il motoriduttore “in linea“, è disponibile la versione “Piggy Back“, con il motore sovrapposto e la trasmissione a cinghia. Questa soluzione riduce gli ingombri a terra ed è particolarmente interessante per risolvere i problemi di spazio. In entrambe le versioni la pompa ha la carcassa costituita da un solo componente e le condotte di entrata e uscita orientabili e poste al di sopra della camera di pompaggio. In questo modo i nostri ingegneri hanno reso la pompa particolarmente versatile e sempre adescata, dal momento che il liquido pompato non esce mai interamente dalla camera. Ciò accelera il processo di pompaggio, ma soprattutto preserva da usure precoci dovute a ripetuti avvii a secco. Per il suo particolare disegno, inoltre, la IQ di Vogelsang ha tempi di manutenzione estremamente ridotti: basta smontare la carcassa per avere accesso a tutte le parti soggette a usura: lobi rotativi, piastre di protezione e tenute meccaniche. In questo modo è possibile effettuare gli interventi nella metà del tempo richiesto normalmente e soprattutto senza scollegare il corpo della
sempre più iQ Vogelsang
La gamma di pompe compatte si amplia con due nuovi modelli, per una capacità teorica fino a 154 mc/h pompa dal circuito. Un altro fattore che semplifica le manutenzioni è la ben nota Quality Cartridge, la tenuta meccanica pre-assemblata di Vogelsang, che può essere sostituita con poche mosse e soprattutto senza possibilità di errori nel suo montaggio.
ASPETTI ECONOMICI
Non soltanto la manutenzione si effettua in metà tempo, ma richiede anche metà dei componenti, dal momento che la versione IQ, rispetto a una pompa della serie VX, è costruita con il 50% in meno di
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pezzi e minuterie. Questo aspetto la rende particolarmente competitiva rispetto ad altre pompe volumetriche per le portate, comprese tra 20 e 80 mc/ora, sostanzialmente in linea con le necessità operative degli Continua a pag. 53
monet rileva i CoV monitoraggio nelle acque
Uno strumento che misura, sul posto e in continuo, la loro concentrazione a livello di microogrammi per litro MONET è l’acronimo di MOnitoring NETworks, cioè reti di monitoraggio ambientale: si tratta, infatti, di uno strumento ideale per formare reti di questo tipo, in quanto consente il monitoraggio remoto e in continuo di microinquinanti organici (in particolare composti organici volatili - COV) nell’ambiente. Lo strumento, attualmente prodotto e commercializzato dalla ditta italiana ARS – Analytical Research Systems, è frutto di un lavoro di ricerca svolto nel Dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna. A questo lavoro ha collaborato il gruppo Hera, che utilizza lo strumento presso i suoi impianti di trattamento acque di Forlì e Bologna. I COV NELLE ACQUE
Fin dal 1998, con la Direttiva 98/83/EC relativa alle acque per consumo umano, erano stati stabiliti livelli massimi di concentrazione per una serie di composti chimici raggruppati nella categoria “COV” (benzene, dicloroetano, tetracloro- e tricloro-etilene,
cloroformio, trialometani; ma i COV presenti nelle acque come possibili inquinanti sono molti di più, almeno una sessantina). Tuttavia, il controllo delle acque potabili si basa di solito su parametri semplici (temperatura, pH, torbidità), per i quali esistono misuratori in continuo; fino a poco fa non era disponibile una strumentazione capace di misurare, sul posto e in continuo, la concentrazione di COV nelle acque, a livello di microgrammi per litro. La presenza di queste sostanze nelle acque deriva dalla maggior parte dei casi da inquinamenti di tipo industriale (tricloetilene nelle lavanderie, altri idrocarburi clorurati per la pulizia di superfici metalliche); alcuni COV clorurati si formano come sottoprodotti della disinfezione delle acque con cloro o ipoclorito. I metodi di analisi normalmente utilizzati per la determinazione dei COV in tracce nelle acque prevedono il prelievo del campione, il suo trasporto in laboratorio, e l’analisi gascromatografica con rivelatore a cattura di elettroni o spettrometria di massa. Questa
procedura richiede 2-3 giorni, durante i quali un possibile inquinamento potrebbe diffondersi pericolosamente; inoltre, comporta errori dovuti a possibili modificazioni del campione tra il momento del prelievo e quello dell’analisi. LA TECNICA MIMS
Con la sigla MIMS (Membrane Inlet Mass Spectrometry) si indica una tecnica analitica in cui l’introduzione di COV in uno spettrometro di massa avviene attraverso una speciale membrana polimerica di tipo idrofobico, scelta in modo da essere selettiva nei confronti dei COV cercati: questi si dissolvono nella membrana, permeano attraverso di essa e, infine, entrano nello spettrometro. I vantaggi della MIMS sono la rapidità (l’identificazione e la quantificazione avvengono in pochi minuti), l’estrema sensibilità (limiti di rilevabilità inferiori al microgrammo per litro) e, soprattutto, la possibilità di eseguire analisi in continuo.
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In pratica, il campione viene immesso entro una cella di misura, nella quale si trova la membrana; questa ha l’aspetto di una sottile fibra cava, nella quale scorre un flusso costante di elio, diretto verso lo spettrometro di massa. I COV diffondono attraverso la membrana, arrivando al suo interno, dove vengono trascinati dall’elio che li trasporta allo spettrometro; qui avviene l’analisi vera e propria. Il rivelatore a spettrometria di massa produce una corrente, che è caratteristica del composto in esame e aumenta fino al raggiungimento dell’equilibrio tra la velocità di diffusione attraverso la membrana e la velocità di trasporto al rivelatore; si genera cioè un diagramma “a scalino”, in cui l’altezza dello scalino è proporzionale alla concentrazione della sostanza cercata. LO STRUMENTO MONET
Lo strumento consiste in un’unità di campionamento e controllo, in un rivelatore (spettrometria di massa a trappola ionica) e in una pompa da vuoto. Attraverso l’u-
nità di campionamento possono essere introdotti fino a 4 flussi di campioni diversi, più la soluzione di calibrazione. Il software di controllo visualizza la risposta dello strumento in un grafico a barre di facile lettura, dove sono riportati i nomi dei diversi composti e la loro concentrazione; le barre sono di colore rosso se viene superato il livello di concentrazione prefissato come “valore limite”. In caso di superamento del limite viene attivato un allarme sonoro e viene automaticamente inviata una e-mail alla centrale di controllo. I risultati vengono archiviati e possono essere visualizzati in funzione del tempo, oppure tabulati in formato excel. La sequenza di analisi e di trasmissione dei risultati sono facilmente programmabili; inoltre, è possibile installare un sistema chimico-criostatico, che aumenta la sensibilità di circa 100 volte, e controllare da remoto più strumenti installati in diverse localizzazioni, creando una rete di monitoraggio. Il limite inferiore di quantificazione, misurato con una soluzione contenente Continua da pag. 51
Sempre più IQ impianti di depurazione. ACCESSORI E APPLICAZIONI
La semplicità strutturale non rende le pompe IQ meno performanti o versatili. A questa serie, infatti, si possono applicare tutti gli accessori del reportorio Vogelsang, a cominciare dal vastissimo ventaglio di lobi di ogni forma e composizione, adatti per i più diversi materiali. Alcune soluzioni normalmente of-
0,4 ppb di cloroformio in acqua, è di 0,03 ppb; la deviazione standard relativa è inferiore al 10%. Il limite superiore è intorno a 1 ppm, ma può essere ampliato utilizzando una membrana speciale. Monet consente di rivelare in continuo e in tempo reale un’ampia gamma di inquinanti organici (composti organici alogenati, BTEX, stirene, altri idrocarburi volatili, composti organici solforati, composti aromatici azotati, MTBE ecc.); permette, quindi, interventi tempestivi in caso di emergenza, che non sono possibili con nessun’altra tecnica analitica. Le principali limitazioni riguardano la scarsa sensibilità ai campioni fortemente polari, e la difficoltà di distinguere alcune coppie ferte come optional, peraltro, sono già integrate di serie nelle pompe IQ. Per esempio l'InjectionSystem, una particolare conformazione dei fori di entrata e uscita grazie alla quale i corpi estranei sono convogliati nel centro della camera di pompaggio affinché restino nella medesima per il minor tempo possibile e non arrechino danni ai lobi. Per le applicazioni più difficili e quando è necessario sminuzzare le fibre e i solidi presenti nel fluido, è disponibile il trituratore della serie RotaCut o della serie XRipper, da posizionare a monte della pompa.
di composti, che danno la stessa risposta nello spettrometro di massa. Si tratta però di limitazioni che in pratica hanno scarso valore: i composti fortemente polari sono rari e vengono facilmente rivelati con altri tipi di prove, e la differenziazione tra coppie di composti viene facilmente risolta con i metodi gascromatografici. In pratica, Monet non sostituisce completamente le analisi di laboratorio, ma consente di esentare il laboratorio dalla routine, ricorrendo ad indagini più approfondite solo in caso di allarme. APPLICAZIONI SUL CAMPO
Grazie allo strumento Monet è stato possibile monitorare la contaminazione da tricloroetilene e tetracloroetilene di un campo di pozzi per acqua potabile, e l’efficacia del trattamento con filtri a sabbia ed a carbone attivo. I filtri a sabbia si rivelarono inadeguati, mentre con i filtri a carbone attivo si è ottenuta una riduzione del 30% nel tricloroetilene e di oltre il 90% nel tetracloroetilene. È stato anche verificato che il trattaCon questo accorgimento si ha una duplice funzione: quella di triturare il materiale pompato e di proteggere le apparecchiature installate a valle. Le applicazioni principali della pompa IQ con e senza trituratore, sono l‘alimentazione dei digestori oppure il trasferimento dei fanghi primari e secondari e l'alimentazione delle centrifughe di disidratazione. LA GAMMA SI AMPLIA
Per andare incontro alla sempre
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mento di disinfezione con biossido di cloro non provoca formazione di composti organoclorurati. Un’altra applicazione, sempre nel settore della potabilizzazione, è il controllo dell’inquinamento da idrocarburi, in impianti situati nei pressi di depositi di carburanti o in prossimità di strade a intenso traffico. Un caso particolarmente interessante è l’applicazione al controllo dei reflui in un impianto per il trattamento di fanghi industriali. Questi reflui vengono convogliati a un depuratore biologico per reflui urbani, ed è quindi necessario assicurarsi che non contengano inquinanti tossici per i microorganismi che effettuano la depurazione. Lo strumento ha mostrato un’ottima sensibilità e linearità nella risposta, anche in presenza di una matrice particolarmente complessa. Un altro caso di applicazione su matrici complesse è la determinazione di tracce di acrilonitrile in acque di processo di un’industria chimica, in presenza di grandi quantità di idrocarburi aromatici. crescente domanda di portata, Vogelsang ha recentemente messo a punto una nuova gamma di pompe IQ, la 152, composta da due modelli: 122 e 158, rispettivamente da 110 e 154 mc/ora. Da notare che la portata massima è raggiunta, differentemente che per i due modelli di IQ112, a 700 e non 900 giri/min. Le IQ152 risultano pertanto, oltre che più performanti, meno soggette a usura e con una maggior durata di esercizio teorica. Queste nuove pompe saranno presentate per la prima volta in Italia a Ecomondo il prossimo novembre.
laboratori
L’analisi per pirolisi e GC/MS Principi e applicazioni
Una tecnica rapida e versatile per identificare e caratterizzare le sostanze ad alto peso molecolare L’analisi mediante pirolisi consiste nella degradazione termica, in atmosfera inerte, del materiale da analizzare, e nella successiva analisi dei prodotti di degradazione, sia liquidi che gassosi. In base alla modalità di riscaldamento si distinguono due tipi di pirolisi: - riscaldamento istantaneo, per tempi intorno al millisecondo, a temperature fisse comprese tra 500 e 900 °C - riscaldamento programmato, secondo un gradiente di temperatura preventivamente impostato (di solito tra 5 e 10 °C/min). I tipi di pirolizzatori oggi in commercio sono principalmente quattro: a fornace, a filamento, a punto di Curie, a laser. I prodotti gassosi di pirolisi vengono analizzati trasferendoli direttamente ad un gascromatografo avente come rivelatore uno spettrometro di massa; dagli spettri di massa ottenuti è possibile identi-
ficare i diversi prodotti di pirolisi. I prodotti liquidi di pirolisi vengono raffreddati e iniettati anch’essi entro un sistema GC/MS, dotato di riscaldamento programmabile della colonna.
PRINCIPI DI BASE DEL GC/MS
La gascromatografia è una tecnica che separa i diversi componenti di una miscela gassosa mediante la loro distribuzione tra due di-
verse fasi: una fissa (fase stazionaria) ed una mobile (di solito un gas). In pratica la fase fissa è costituita da un liquido, che viene depositato sulle pareti di un lungo tubo avvolto a spirale (colonna gascromatografica) posto entro una camera riscaldata. Il campione viene introdotto mediante una siringa all’inizio della colonna, dove viene vaporizzato per azione della temperatura, e trasportato da un gas inerte (di solito elio) lungo la colonna; i diversi componenti vengono più o meno trattenuti dalla fase stazionaria, per cui fuoriescono dalla colonna in tempi diversi (vengono cioè separati). Per identificare e misurare quantitativamente i componenti così separati è necessario un rivelatore, che nei sistemi GC/MS è costituito da uno spettrometro di massa a quadrupolo. Continua a pag. 56
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nel trentennale dell'incidente di Chernobyl, l’enea presenta il Laboratorio di caratterizzazione radiologica e gestione dei rifiuti (CrGr) attrezzato con le più recenti soluzioni hi-tech per gestire in sicurezza il materiale radiologico e nucleare. Si tratta di un veicolo attrezzato con strumentazione portatile che consente mobilità e operatività “on-time” sul territorio, per tutte le attività di controllo, caratterizzazione e consulenza. Il veicolo è stato ideato e progettato nel quadro delle attività di sicurezza e salvaguardia nucleari del Ministero dell’economia previste dal Protocollo aggiuntivo all’Accordo di verifica del Trattato di non-proliferazione nucleare. Questo laboratorio mobile si rivolge, in particolare, agli operatori del settore del ciclo del combustibile nucleare, Autorità di controllo, Agenzie regionali, Capitanerie di porto e dogane. I controlli su rifiuti o campioni ambientali contenenti materiale fissile o radioattivo, infatti, sono fondamentali nei punti di transito (porti, aeroporti o scali ferroviari) in caso di materiale ritrovato in
AnALISI rAdIoLoGIChe
Il laboratorio mobile
stato di abbandono, di stoccaggio improprio, perdita di tracciabilità o, ad esempio, nei casi di personale addetto ai controlli non adeguatamente formato. Il mezzo si presta ad un ampio spettro di interventi, tenuto conto delle numerose tipologie di potenziali componenti e materiali radiologici a rischio, come i vec-
chi parafulmini e i rivelatori di fumo contenenti americio, un elemento radioattivo usato come sorgente di radiazioni ionizzanti. <<Si tratta di una soluzione tecnologica versatile, compatta e innovativa che raccoglie l’eredità di competenze, strumentazioni e professionalità dell’Agenzia sottolinea Alessandro dodaro, re-
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sponsabile della divisione tecnologie, impianti e materiali per la fissione dell’enea - il laboratorio è corredato di strumenti di misura, validati sia sperimentalmente sia attraverso opportuni modelli di calcolo, basati su spettrometria gamma e alfa, sulla rivelazione di neutroni. Inoltre, sono disponibili dosimetri attivi e strumenti per la misura della contaminazione superficiale con l'obiettivo di garantire il rispetto della normativa vigente relativa ai lavoratori esposti a radiazioni ionizzanti>>. Le tecnologie hi-tech installate nel laboratorio permettono di individuare con rapidità le caratteristiche fisiche e radiologiche del materiale sottoposto ad esame, intervenendo direttamente sul sito. Il rinvenimento di materiale sospetto presuppone una gestione complessa che si identifica nelle attività di mitigazione del rischio per la popolazione e l’ambiente, nell’identificazione e valutazione della sostanza radioattiva, nella bonifica del sito e messa in sicurezza del materiale da identificare e nell’attività investigativa, ove la sostanza sia stata oggetto di furto.
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L’analisi per pirolisi e GC/MS Questa apparecchiatura è composta da tre parti principali: un sistema a ionizzazione, nel quale le sostanze da analizzare vengono bombardate da elettroni ad alta energia, formando degli ioni (cioè frammenti di molecole elettricamente carichi); un sistema per la separazione degli ioni (in base al loro rapporto carica/massa), costituito da quattro barre metalliche parallele, alle quali vengono applicate tensioni continue di segno opposto, insieme ad un campo elettrico oscillante con frequenza di onde radio; un rivelatore, costituito da moltiplicatori elettronici che generano una corrente proporzionale al numero di ioni che li colpiscono. L’identificazione delle diverse sostanze viene eseguita per confronto dei tempi impiegati ad uscire dalla colonna gascromatografica (tempi di ritenzione) e mediante il confronto dei tipi di ioni prodotti (spettri di frammentazione), con spettri tipici pubblicati in appositi “database”.
APPLICAZIONI
L’accoppiamento della pirolisi con l’apparecchiatura GC/MS consente di superare la principale limitazione dei metodi gascromatografici, cioè la necessità di ottenere il campione in fase vapore. In altre parole, il gascromatografo non può essere utilizzato per
campioni solidi, o per liquidi che si decompongono prima di raggiungere la temperatura di ebollizione. La pirolisi trasforma le sostanze solide in frazioni gassose e liquide, e costituisce pertanto una tecnica molto efficiente per identificare e caratterizzare molecole complesse ad alto peso molecolare; è stata utilizzata per lo studio dei polimeri, sia di origine naturale (lignina, cellulosa e altri biopolimeri vegetali) che di origine sintetica (materie plastiche). Un’applicazione particolarmente interessante è lo studio dei dipinti e degli affreschi, per risalire ai tipi di colori utilizzati e scoprire eventuali falsificazioni: infatti, le pitture utilizzate in passato contengono polimeri naturali (come proteine o gomme vegetali), spesso unite a materiali ad alto peso molecolare derivanti da alterazione delle resine e degli oli siccativi
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per azione dell’aria e della luce. Le pitture moderne sono invece basate su resine sintetiche, che producono molecole polari e poco volatili, che richiedono un trattamento particolare per essere identificate. Un’applicazione importante dal punto di vista tossicologico e ambientale è l’identificazione dei plastificanti a base di ftalati, che in passato erano largamente utilizzati per rendere flessibile il PVC, come veicolo di aromi nei deodoranti, nelle lacche per capelli e in altri prodotti cosmetici, oltre che come co-formulanti in molti diversi prodotti (gomme sintetiche, lubrificanti, additivi per l’industria tessile, capsule per prodotti farmaceutici, ecc.). Gli ftalati sono oggi considerati “disturbatori endocrini” o cancerogeni e il loro uso nei giocattoli e negli imballaggi per alimenti è stato vietato o fortemente limitato; gli organi di controllo trovano però difficoltà a far rispettare questi divieti, perché i metodi per l’identificazione degli ftalati nei prodotti commerciali sono lunghi e laboriosi. È stato pertanto messo a punto un sistema di pirolisi abbinata a GC/MS, appositamente studiato per l’identificazione rapida degli ftalati, e denominato “Py-Screener” (prodotto dalla società giapponese Shimadzu); il sistema può essere equipaggiato di un campionatore automatico, che consente il funzionamento in assenza di operatori. Inoltre, può essere utilizzato anche per identificare altre sostanze oggi riconosciute come nocive e, in particolare, i ritardanti di fiamma a base di bifenili polibromurati.
IL LAborATorIo Cer²Co
La ricerca sui reflui conciari Studi e indagini sperimentali a scala banco, pilota e pre-industriale inerenti acque di scarico ed effluenti gassosi Il Cer²Co (Centro di ricerca sui reflui Conciari) è un laboratorio congiunto università-impresa istituito dal dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (dICeA), dal Consorizio Cuoiodepur e da Po.Te.Co. Il laboratorio nasce nel 2008 come strumento per valorizzare e promuovere l'intensa attività di collaborazione che, dal 2002, vede i suoi promotori impegnati in numerose attività di ricerca. Le tecnologie e le soluzioni di processo oggetto di studio e di indagini sperimentali a scala banco, pilota e pre-industriale applicate ai reflui ed agli effluenti gassosi dell'industria conciaria sono molteplici, tra cui: disegno e applicazione di tecniche respirometriche e titrimetriche per la caratterizzazione dei reflui e delle biomasse; sviluppo e calibrazione di modelli matematici per la rappresentazione dei processi biologici; applicazione di processi di ossidazione avanzata per la rimozione dei composti recalcitranti; caratterizzazione dei reflui conciari da un punto di vista chimico e biologico; trattamento dei reflui tramite processi anaerobici e tramite biomasse fungine; rimozione dei solfuri dalla fase liquida attraverso formazione di zolfo elementare; sviluppo di reattori innovativi per la rimozione dell'acido solfidrico dagli effluenti gassosi; ottimizzazione della filiera di trattamento nell'ottica della riorganizzazione del comprensorio del cuoio. Il Cer²Co ha sede presso l'impianto di depurazione Cuoiodepur ed è costituito da un'area coperta per le installazioni a scala pilota e da locali attrezzati per le analisi chimiche e biologiche. Le attività del laboratorio sono supervisionate e coordinate congiuntamente dal personale del consorzio e dell’Università di Firenze, che hanno promosso e curato l’istituzione di questo nuovo Centro. Inoltre, nel corso degli anni hanno lavorato presso il laboratorio circa cinquanta persone tra tirocinanti, tesisti di laurea di primo livello e spe-
cialistica, dottorandi e personale assunto a progetto. oltre alle risorse messe a disposizione dai membri, il Cer²Co è stato capace di attrarre finanziamenti pubblici per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie di trattamento, come nel caso dei progetti "Tios", “bacon” e "Meta", finanziati dalla regione Toscana, sui temi della rimozione dei nutrienti, dei solfuri e del trattamento anaerobico dei reflui e dei fanghi conciari e nel caso del progetto Life+ biosur, finanziato dall'Unione europea, sul trattamento degli effluenti gassosi tramite un innovativo reattore biologico a letto mobile. Attualmente, sono in fase di svolgimento due nuovi progetti: “FIr (futuro in ricerca) Miur 2014-2017” e il “Lightan”. Il primo ha come obiettivo lo sviluppo di nuove strategie e soluzioni tecnologiche per consentire l'applicazione dei funghi nel trattamento biologico dei reflui, in sinergia con il trattamento convenzionale basato sulla selezione di comunità batteriche per permettere la rimozione di sostanze recalcitranti dalle acque reflue. L’obiettivo del secondo progetto, invece, è di innovare la filiera del comparto conciario toscano dai punti di vista della qualità del prodotto, della competitività sul mercato e della mitigazione degli impatti ambientali attraverso un approccio integrato innovativo tra tutti gli attori che ne gestiscono le singole fasi. In particolare, tale progetto intende sviluppare un processo e-
cosostenibile, operando attraverso soluzioni integrate per la gestione delle acque reflue, efficienza dei processi produttivi, minor consumo dei prodotti chimici. Gli obiettivi specifici saranno: formulare e utilizzare prodotti chimici di nuova
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concezione, che minimizzino l’impatto allo scarico in conceria, valutare l’effetto di composti e miscele sui processi depurativi, recuperare dai bagni esausti i prodotti chimici ancora “non utilizzati” ad alto valore aggiunto e alto impatto ambientale, ottimizzare pretrattamenti innovativi a piè di conceria utilizzando un nuovo processo di ossidazione avanzata (non Thermal Plasma), sviluppare una tecnologia innovativa per la rimozione di composti recalcitranti basata sull’impiego di biomassa fungina, formulare un sistema tariffario nel consorzio che promuova innovazioni ecosostenibili nella filiera di produzione conciaria. Il Centro collabora attivamente da anni con diversi altri enti di ricerca e aziende impegnate nell'applicazione e sviluppo di processi per il trattamento di acque reflue ed effluenti gassosi industriali: dipartimento di biologia dell'Università di Pisa, dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze, Università del Manitoba (Canada), enea, Università Autonoma de barcelona (Spagna), IPICYT (Messico), Italprogetti engineering, Laboratori Archa.
tecnologie nel 2013 è iniziata la trasformazione della “storica” raffineria eni di Porto Marghera (Ve) in bioraffineria, nella quale non verrà più utilizzato il petrolio come materia prima bensì oli vegetali e grassi animali. Questo progetto è il primo caso al mondo di riconversione di una raffineria convenzionale in bioraffineria, per il quale è previsto un investimento complessivo di circa 100 milioni di euro. Il primo processo che verrà introdotto nella nuova bioraffineria è denominato ecofining; sviluppato congiuntamente da eni e honeywell UoP, punta alla produzione di biodiesel mediante trattamento con idrogeno, invece della tradizionale trans-esterificazione. Il processo si compie in due stadi: nel primo si ha la idrodeossigenazione dell’olio vegetale, che viene ridotto alla sola catena idrocarburica (con saturazione dei doppi legami), mentre la glicerina si trasforma in propano; come sottoprodotti si hanno acqua e Co2. Segue la fase di isomerizzazione, nella quale gli idrocarburi saturi a catena diritta ottenuti dalla prima fase vengono ridotti nella lunghezza della loro catena e trasformati in idrocarburi a catena ramificata. Infine, i prodotti vengono separati in una colonna di distillazione convenzionale, dalla quale si ottiene prevalentemente biodiesel (con resa 90%), con biobenzina e biocherosene come sottoprodotti.
La metatesi efficiente Per le bioraffinerie
Applicati con successo i catalizzatori stereospecifici a base di molibdeno e tungsteno alla reazione tra etilene e oli vegetali
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UNA CATALISI INNOVATIVA
La sezione di ecofining della bioraffineria di Porto Marghera non differisce molto dal processo di idrodesolforazione catalitica oggi presente in tutte le raffinerie di petrolio, e in effetti è stata realizzata utilizzando parte delle attrezzature di questo tipo già presenti a Marghera. Il catalizzatore è diverso, ma i due processi sono sostanzialmente simili: nella idrodesolforazione l'idrogeno si lega allo zolfo e si forma h2S, mentre nella idrodeossigenazione l'idrogeno si lega all'ossigeno e si forma h2o. Un carattere molto più innovativo è previsto per la sezione basata sulla tecnologia di metatesi, la cui scoperta ha portato al premio nobel per la chimica nel 2005. Questa tecnologia è stata sviluppata da Versalis (società del Gruppo eni) insieme alla società america-
na elevance renewable Sciences. La metatesi è una reazione della chimica organica che ricorda lo scambio delle dame nella quadriglia: due olefine (molecole contenenti doppi legami carbonio-carbonio) si scambiano i gruppi chimici connessi ai doppi legami, formando nuove molecole. La reazione era stata scoperta intorno agli anni ’60 dello scorso secolo, anche grazie al contributo di Giulio natta; nel 2005 tre ricercatori di diversa provenienza (Chauvin, Grubbs e Schrock) ottennero il premio nobel per aver chiarito il meccanismo della reazione e scoperto il catalizzatore adatto. Tuttavia, la reazione di metatesi aveva trovato scarse applicazioni industriali, perchè i prodotti della reazione non avevano ancora una purezza sufficiente: infatti, erano presenti sia gli isomeri cis (con i sostituenti dalla stessa parte rispetto al doppio legame) che quelli trans (con i sostituenti da parti opposte). Solo recentemente si è riusciti a produrre nuovi “catalizzatori stereospecifici”, capaci di produrre prevalentemente gli isomeri cis, che sono quelli che interagiscono meglio con le strutture biologiche. La elevance renewable Sciences ha recentemente annunciato di aver applicato con successo i catalizzatori stereospecifici a base di molibdeno e tungsteno alla reazione di metatesi tra etilene e oli vegetali. Questa reazione, denominata etanolisi, consentirà la produzione di olefine complesse funzionalizzate ed esteri metilici; da questi composti per idrogenazione successiva si possono ottenere fluidi per la perforazione di pozzi petroliferi, detergenti, lubrificanti e idrocarburi utilizzabili come
biocarburanti. La realizzazione a Porto Marghera dell’impianto di metatesi, che costerà 20 milioni di euro, è prevista per il prossimo anno.
QUALI BIOMASSE UTILIZZARE?
Attualmente, le materie prime utilizzate sono soprattutto oli vegetali, cioè le cosiddette “biomasse di
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prima generazione”, che potrebbero essere utilizzate anche per l’alimentazione umana e animale. Sono allo studio i processi che impiegheranno le biomasse di “seconda generazione”, cioè i rifiuti agricoli e forestali costituiti da sostanze lignocellulosiche. Queste biomasse dovranno essere convertite in zuccheri mediante processi di idrolisi biologica; dagli zuccheri si otterranno sostanze grasse mediante trasformazione con lieviti oleaginosi, e dai grassi si otterranno biocarburanti con il processo ecofining. Il percorso è piuttosto complesso, ma è già stato realizzato su scala pilota dall’Istituto eni donegani di novara. Le biomasse di “terza generazione” sono quelle che crescono in terreni marginali, non utilizzabili per coltivazioni agricole (come le canne palustri), o addirittura in mare, come le alghe. Un impianto pilota per la produzione di biodiesel a partire dalle alghe è stato realizzato nel polo Agip di Gela; esiste una proposta per realizzare a Marghera una “centrale bioelettrica”, nella quale la biomassa algale (cresciuta utilizzando la Co2 emessa da una vicina centrale termoelettrica) dovrebbe essere miscelata con altre biomasse di scarto e convertita in energia, realizzando così un’economia circolare della Co2.
Il riciclo biotecnologico Progetto BioClean
Soluzioni più ecologiche utilizzando i batteri per scomporre i rifiuti di plastica Il nuovo processo biotecnologico, sviluppato dal progetto europeo bioClean, attenuerà gli effetti dell’inquinamento da plastica in ambienti delicati, aiuterà l’industria delle materie plastiche a raggiungere una produzione efficiente e fornirà agli esperti del recupero e del riciclaggio una guida relativa alle opzioni più efficaci per scomporre differenti tipi di plastica. Il progetto ha avuto inizio con l’isolamento e la selezione di microbi prelevati da rifiuti plastici provenienti da mare, discariche, strutture per il compostaggio, impianti di trattamento anaerobico dei rifiuti e siti industriali inquinati. Sono stati quindi valutati i batteri ed i funghi, e quelli che mostravano di essere efficaci nella scomposizione, detossificazione e valorizzazione della plastica sono stati isolati. I batteri promettenti sono stati combinati mediante pretrattamenti chimici e testati su una gamma di plastiche eternogenee. Questo processo è stato poi portato su scala industriale nella struttura comunale di compostaggio di Chania, sull’isola greca di Creta, dove ha dimostrato la sua capa-
cità di migliorare la naturale biodegradazione della plastica nel compostaggio dei rifiuti organici. Inserire la plastica nella cosiddetta economia circolare, quella in cui i materiali sono valorizzati e riutilizzati quando un prodotto viene dismesso, porterà quindi grandi benefici all’ambiente e creerà delle opportunità commerciali nel settore del recupero dei rifiuti. Gli scienziati sono a conoscenza che le plastiche sintetiche si biodegradano in alcuni am-
bienti marini e anche nelle discariche, nel compost e nel terreno, ma i processi e le condizioni necessari non sono ancora del tutto chiari. bioClean ha aiutato ad accrescere la comprensione scientifica di questo processo, e ha mostrato che le soluzioni biotecnologiche per uno smaltimento efficace e sostenibile dei rifiuti plastici sono realizzabili. In particolare, il consorzio si è concentrato su PVC, polistirene, polipropilene e
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polietilene, che sono ampiamente usati nell’industria e sono responsabili di una grande quantità di rifiuti plastici. Questa importante svolta nel trattamento potrebbe portare dei benefici all’industria della plastica, che sta cercando di ridurre il proprio impatto sull’ambiente e di raggiungere una produzione efficiente mediante tassi di riciclaggio più elevati. I prodotti in plastica sono largamente usati in numerose industrie, da quella automobilistica a quella dei dispositivi elettrici, da quella dei materiali per l’edilizia a quella del confezionamento degli alimenti. Poiché è molto flessibile, la plastica viene largamente usata in applicazioni di innovazioni ad alta tecnologia, e si prevede che questa tendenza cresca nel tempo. Tuttavia, anche se il riciclo della plastica è aumentato dopo che la crisi del 2008 ha reso evidente la necessità di una maggiore efficienza economica, si potrebbe fare di più. La plastica, un materiale usa e getta non biodegradabile, ha iniziato a inquinare gravemente gli oceani in tutto il mondo. I piccolissimi pezzi di plastica, a causa della loro struttura e delle ridotte dimensioni, agendo come delle spugne concentrano contaminanti e anche altre sostanze chimiche inquinanti. Una carenza di punti di raccolta dei rifiuti nei porti ha gravemente ostacolato i tentativi di riciclaggio delle plastiche presenti in mare, e di conseguenza questo materiale nocivo spesso non viene raccolto e viene quindi semplicemente rigettato in mare. Persino quando questo rifiuto derivato dal petrolio viene rimosso dall’oceano, esso tende a finire in una discarica o ad essere bruciato, e questo causa emissioni che sono nocive per l’ambiente o porta all’inquinamento del suolo.
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ECOTECH
a cura di ASSITA
Nuovo catalizzatore per fuel cells a bioetanolo
periori a quelli normalmente ottenibili con i catalizzatori al platino-stagno. I ricercatori giapponesi stanno ora lavorando per produrre quantità maggiori del nuovo catalizzatore, in modo da condurre prove su scala pilota su fuel cells a più moduli.
Panificare con forni a IR a bassa energia Il bioetanolo è il più promettente dei biocarburanti: facile da produrre, miscelabile con il gasolio per motori diesel e con la benzina, non tossico. Tuttavia, il suo utilizzo come carburante nei motori diesel e a scoppio presenta alcuni inconvenienti, come la diminuzione di rendimento e la produzione di gas inquinanti allo scarico, come ossido di carbonio e ossidi di azoto (NOx). Questi problemi potrebbero essere superati utilizzando direttamente etanolo al 100% nelle fuel cells; ma gli attuali catalizzatori, basati su composti di platino e stagno, producono poca corrente, costringendo ad assemblare molti moduli se si vuole ottenere elettricità adeguata per i normali utilizzi. Un importante passo avanti verso l’impiego di bioetanolo nelle fuel cells è stato compiuto da ricercatori giapponesi del National Institute for Materials Science (NIMS), in collaborazione con il Green (un centro di ricerche sull’impiego dei nanomateriali in applicazioni ambientali ed energetiche) e con l’Università di Tohoku. I ricercatori giapponesi hanno prodotto un nuovo catalizzatore, a base di un composto tra platino e tantalio in forma di nanoparticelle, che si è dimostrato capace di funzionare a temperatura e pressione ambiente, senza produrre gas nocivi. In prove di laboratorio condotte con fuel cells a membrana polimerica (PEM) sono state ottenute densità di corrente di circa 4 mA/cmq, con tensione all’elettrodo di 0,4 Volt; valori che sono quasi 10 volte su-
I forni prodotti dal progetto LEO (Low Energy Ovens) usano un’innovativa tecnologia a infrarossi (messa a punto grazie al progetto europeo Freshbake) che permette di ridurre l’energia necessaria durante il processo di cottura del 20-40% e di risparmiare fino al 70% del tempo rispetto ai forni tradizionali. Il progetto Leo è stato creato per sviluppare ulteriormente tale tecnologia a infrarossi e costruire prototipi di forni e valutare se essi fossero adatti alla commercializzazione. Ebbene, i risultati finali indicano che la tecnologia IR ha forti potenzialità di mercato e che potrebbe trasformare l’industria della panificazione europea. Difatti, il team di ricerca ha preparato un business plan dettagliato per la commercializzazione dei forni a IR, lavorando in stretta collaborazione con tutti gli esponenti della catena di valore della panificazione. I tre prototipi di LEO (un forno a ripiani multipli, un forno ventilato e un forno a tunnel) sono stati costruiti e testati non solo in laboratorio ma anche in due panifici professionali in Francia e in Germania. Questo è stato fatto per assicurare che sarebbero stati appetibili per un ampio
gruppo target, che comprendesse panifici sia artigianali che con prodotti pronti da cuocere. Le piccole e medie imprese (PMI) rappresentano un’importante quota delle aziende produttrici di prodotti pronti da cuocere, circa il 40 %, e la maggior parte di questi panifici usano forni di media grandezza, simili al prototipo di forno a tunnel di Leo. I prototipi di forni sono stati costruiti appositamente pensando ai piccoli panifici artigianali tradizionali, che rappresentano la maggior parte dell’industria della panificazione europea (oltre il 60 % del mercato totale) e sono la fonte principale di pane fresco in Europa. Per garantire la capacità dei forni di risparmiare tempo ed energia, gli specialisti hanno condotto un’approfondita valutazione ambientale, sociale ed economica in linea con il Sistema internazionale di riferimento dei dati sul ciclo vitale. Hanno fatto anche un’appropriata analisi sensoria e uno studio di accettazione da parte dei consumatori. È stato preparato uno studio del mercato della panificazione che è diventato un documento di riferimento per il settore della panificazione e della produzione di forni. Anche se il progetto si è ufficialmente concluso alla fine del 2015, i partner di Leo continueranno la loro collaborazione per fare nuovi test sui prototipi e migliorare i forni prima che cominci la produzione e che siano formalmente introdotti sul mercato.
Come aumentare la resistenza dei lieviti Da secoli l’etanolo si prepara per fermentazione degli zuccheri, usando i lieviti naturali. È noto che i lieviti non possono produrre alcool a concentrazioni superiori al 14-15%; per questo motivo non si trovano in com-
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mercio vini con gradazione superiore al 14% e per ottenere gradazioni superiori occorre ricorrere a trattamenti di evaporazione e distillazione. Questo limite è dovuto a un vero e proprio avvelenamento dei lieviti, causato dall’eccessiva acidità indotta dai sottoprodotti della fermentazione. Ricercatori del Massachussets Institute of Technology hanno scoperto un metodo semplice e poco costoso per aumentare la resistenza dei lieviti all’alcool, incrementando quindi la resa in etanolo. È sufficiente “tamponare” l’acidità,
usando sali di fosforo (in particolare, il fosfato tripotassico); altri fosfati (di calcio, di sodio o di ammonio) hanno dato risultati inferiori. Attualmente, sono in corso approfondimenti per valutare i benefici su scala industriale e per esaminare la possibilità di estendere l’additivazione di fosfato tripotassico anche ad altri processi di produzione di biocarburanti per via fermentativa, come quello per la produzione di biobutanolo.
Batterie al vanadio per le smart grids La messa a punto delle “reti intelligenti” di distribuzione dell’energia elettrica, in grado di integrare fonti intermittenti e non programmabili (come l’energia eolica e quella solare), richiede la presenza di unità di stoccaggio su larga scala dell’energia elettrica, cioè di batterie ad alta capacità e alta densità di corrente. Un nuovo concetto di batteria,
basato su reazioni di ossido-riduzione degli ioni vanadio, è attualmente in fase di sperimentazione sul campo da parte della Thyssen Krupp Industrial Solutions, a Dortmund in Germania. L’elettrolita, contenente ioni vanadio in soluzione acquosa di acido solforico, viene alimentato in senso orizzontale e incontra le piastre elettrolitiche verticali attraversandole grazie ad un certo numero di canali predisposti. Questo consente una minore resistenza al flusso, che risulta indipendente dall’altezza delle piastre elettrolitiche, e quindi una maggiore capacità di stoccaggio dell’energia ed un funzionamento sicuro anche con densità di corrente elevate. Dopo aver superato con successo le prove di laboratorio presso il Aidersachsen Energy Research Center, è stato costruito un prototipo con 0,7 mq di area delle piastre ed è in progetto un’unità industriale con 2,7 mq di area e 20 MW di potenza.
stenti alla corrosione e, quindi, di costo elevato. Inoltre, la MEA tende a degradarsi per effetto del calore, per cui deve essere sostituita dopo un certo numero di cicli. Questi inconvenienti potrebbero essere superati grazie ad un nuovo materiale assorbente, denominato CDR Max e sviluppato dalla società indiana Carbon Clean Solutions. Questo composto viene ottenuto facendo reagire le ammine con dei sali; funziona in modo analogo alla MEA, cioè facendo assorbire la CO 2 per gorgogliamento, e poi rilasciando la CO2 per riscaldamento a 100 °C. I vantaggi rispetto alla MEA consistono nel fatto che non è corrosivo ed è molto più stabile al calore, per cui le perdite nel ciclo di rigenerazione vengono ridotte da 9540% a 5-10%. La sostituzione della MEA con il CDR Max non richiede modifica agli impianti ed è già stata vantaggiosamente eseguita in diverse installazioni in India, Europa e Stati Uniti. È prevista a breve la partenza del primo impianto costruito ad hoc per il nuovo assorbente.
Degasaggio ultrasonico delle fusioni di alluminio
Assorbimento della CO2 a basso costo Il metodo più utilizzato per catturare e concentrare la CO 2 emessa dai camini dei grandi impianti di combustione è l’assorbimento con soluzioni di monoetanolammina (MEA). La CO 2 viene poi liberata per riscaldamento, rigenerando la MEA, che viene rimessa in ciclo. Il metodo è ben collaudato ed efficace, ma richiede un impianto costruito con leghe resi-
La fusione di leghe a base di alluminio richiede un intervento di degasaggio, necessario per estrarre le bolle di idrogeno dal metallo fuso; in caso contrario, nella massa fusa resterebbero delle cavità che ne comprometterebbero le caratteristiche meccaniche. L’operazione è normalmente compiuta immergendo fino in fondo nella massa fusa un corpo rotante in grafite porosa, attraverso il quale viene pompata una corrente di argon, che trascina via l’idrogeno. Questo sistema, per quanto largamente usato, non è privo di inconvenienti: elevata formazione di scorie, distacco di grafite dal rotore e conseguente contamina-
zione della massa fusa, costi elevati a causa del consumo di argon e dell’energia termica necessaria per il mantenimento della fusione fino al termine del processo. Un gruppo di ricercatori dell’università inglese di Brunel, insieme ad un consorzio europeo che comprende industrie in Spagna, Ungheria e Austria, propone un sistema di degasaggio a ultrasuoni, basato su un emettitore piano che si è dimostrato più efficiente di quelli cilindrici finora utilizzati. La maggior efficienza consente di svolgere il processo in modo continuo, su volumi molto più grandi di massa fusa, in modo più rispettoso dell’ambiente e con minori consumi energetici.
Disoleazione con membrane ceramiche
La società giapponese per lo sfruttamento delle risorse minerarie (Japan Oil, Gas and Metal National) ha recentemente incaricato le ditte Inpec e Metawater (entrambe di Tokio) di realizzare un impianto dimostrativo su piccola scala per il trattamento dell’acqua in uscita dai pozzi di petrolio situati nella Prefettura di Akita. L’impianto sarà realizzato con le membrane ceramiche sviluppate dalla Metawater e già sperimentate con successo su scala di laboratorio, dove hanno dimostrato di poter ottenere concentrazioni in uscita inferiori a 5 mg/l di solidi sospesi e 10 mg/l di idrocarburi. Le membrane della Metawater sono costituite da elementi ceramici del diametro di 18 cm e della lunghezza di 1,5 m, con una porosità nominale di 0,1 micron ed una superficie filtrante di 25 mq. Il flusso di alimentazione è di 75.000 l/giorno per ogni elemento; nell’impianto industriale ne sono stati impiegati due, usandoli come pretrattamento per un impianto di dissalazione a osmosi inversa, capace di produrre 150.000 l/giorno di
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acqua con un contenuto di solidi totali disciolti inferiore a 500 mg/l.
Acidi glucarico e adipico dal glucosio
L’acido adipico è uno dei materiali di base per la produzione del nylon e di altri polimeri ad alte prestazioni, oltre che per i poliuretani e gli esteri adipici utilizzati per produrre plastificanti esenti da ftalati. Il suo mercato su scala mondiale ha un valore di molti miliardi di dollari, oggi coperti con processi che partono dal petrolio; vie alternative di sintesi, basate su prodotti di origine naturale come il glucosio, potrebbero avere notevole importanza nei futuri sviluppo della “chimica verde”. Un importante passo in questa direzione è stato compiuto da ricercatori della società inglese Johnson Matthey Process Technologies, insieme con la società californiana Rennovia. Il loro lavoro si è concretizzato in un impianto pilota installato presso il centro ricerche della JMPT: questo impianto produce acido glucarico per ossidazione catalitica del glucosio, in un reattore a letto fisso contenente un catalizzatore metallico supportato. Il processo utilizza, oltre al glucosio, unicamente aria ed acqua, ed è pertanto più semplice da gestire e meno inquinante del processo convenzionale di ossidazione con acido nitrico, che produce ossidi di azoto (NOx) come sottoprodotto di reazione. L’acido glucarico, anche se ha applicazioni nella formulazione dei detersivi e prodotti anti-corrosione, è comunque solo il primo passo; nel corso del 2016 verrà messa a punto la seconda fase, cioè l’ossidazione dell’acido glucarico ad acido adipico.
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AMBIENTE LE AZIENDE CITATE
ARS â&#x20AC;&#x201C; Analytical Research Systems Srl Tel 348.0040067 E-mail info@analyticalresearchsystems.it BIOCLEAN project Tel 051.2090330 Fax 051.2090348 E-mail fabio.fava@unibo.it Centro di Coordinamento RAEE Tel 800.894097 E-mail info@cdcraee.it CIB Tel 0371.4662633 Fax 0371.4662401 E-mail segreteria@consorziobiogas.it CIEM Impianti Srl Tel 0332.831776 Fax 0332.319278 E-mail dario.pagani@ciemimpianti.com Conai Tel 02.54044264 E-mail gorani@conai.org CSM Spa Tel 06.50551 Fax 06.050250 E-mail r.bruno@c-s-m.it CRPA Spa Tel 0522.436999 Fax 0522.435142 E-mail info@crpa.it Cuoiodepur Spa Tel 0571.44871 Fax 0571.450538 E-mail info@cuoiodepur.it DICeA - CER²CO Tel 055.2758851 Fax 055.2758800 E-mail giulio.munz@unifi.it Ecoprog Gmbh Tel +49.221.788038814 Fax +49.221.788038810 E-mail m.siebertz@ecoprog.com Elevance Renewable Sciences Tel +1.866.6257103 Fax +1.630.6337295 E-mail renewicals@elevance.com
Enea Laboratorio CRGR Tel 06.303451 Fax 06.30483031 E-mail alessandro.dodaro@enea.it
RSE Spa Tel 02.39921 Fax 02.39925370 E-mail rse@legalmail.it
Enea - Romeo Tel 06.30484173 Fax 06.30484203 E-mail danilo.fontana@enea.it
Shimadzu Italia Srl Tel 02.57409690 Fax 02.57409588 E-mail simmail@shimadzu.it
Gardner Denver Srl - Divisione Robuschi Tel 0521.274911 Fax 0521.771242 E-mail info.italy@gardnerdenver.com
Sintef Tel +47.73.593000 Fax +47.73.593350 E-mail anamaria.martinez@sintef.no
IBM Italia Spa Tel 02.59624114 Fax 039.6007150 E-mail paola_piacentini@it.ibm.com
SOREME project Tel 050.3152293 Fax 050.3152555 E-mail bramanti@pi.iccom.cnr.it
Istituti Eni Donegani spa Tel 0321.447288 Fax 0321.447378 E-mail gianluigi.marra@eni.com
Team2 Tel +33.3.21209162 E-mail info@team2.fr
Ladurner Srl Tel 0471.949800 Fax 0471.949805 E-mail bruno.doni@ladurner.it
TerraNova Metal E-mail contact@terranovametal.fr UWin Nanotech Tel +886.2.22691477 Fax +886.2.24254219 E-mail service@uwin-nano.com
LEO project Tel +352.26394233 Fax +352.26394234 E-mail flavien.massi@intelligentsia-consultants.com
Veolia ES Technical Solutions Tel +1.312.5522800 E-mail denisse.ike@veoliaes.com
Metawater Co. Ltd. Tel +81.3.68537317 E-mail info-meta@metawater.co.jp
Versalis Spa Tel 02.5201 E-mail green.chemistry.crn@versalis.eni.com
Microdyn-Nadir Gmbh Tel +49.611.9625868 Fax +49.611.9629893 E-mail k.sauter@microdyn-nadir.de
Vogelsang Italia Srl Tel 0373.970699 Fax 0373.91087 E-mail info@vogelsang-srl.it
Northwester University Tel +1.847.4913793 E-mail stoddart@northwestern.edu
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