Appunti Matematici 01

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

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numero 1 - gennaio 2015


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INDICE

I CONTENUTI DI QUESTO NUMERO

RUBRICHE LA MATEMATICA IN PILLOLE Le funzioni di una variabile reale. Generalità. I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO Leonardo Eulero.

RIFLESSIONI IL REGIME DI CAPITALIZZAZIONE SEMPLICE L’ELASTICITÀ DELLA DOMANDA E DELLA SPESA DEL CONSUMATORE

LE MIE RICERCHE RIFLESSIONI DIOFANTINE SULL’EQUAZIONE Y =AX + B

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I CONTENUTI DI QUESTO NUMERO In questo numero introdurrò la teoria elementare delle funzioni. Questo è solo l’inizio di un percorso che certo sarà arduo. Nel prossimo numero mi dedicherò allo studio del concetto di limite di una funzione reale. I contenuti delle successive “pillole” sono facilmente prevedibili ma vorrei anche intersecarli con tematiche più tipiche della geometria. Così, ad esempio, l’anello dei polinomi verrà riconsiderato quando si studieranno gli spazi vettoriali, proprio per evidenziarne la struttura di spazio vettoriale. A partire dal prossimo numero nella rubrica relativa alle “pillole matematiche” introdurrò anche degli esercizi, sempre citando la fonte di acquisizione. Mi si deve solo la soluzione indipendente di essi. Quanto ai grandi matematici del passato ho deciso che fosse opportuno partire da Leonardo Eulero, un vero e proprio primus inter pares. Snobbato da Federico II, che gli preferiva Voltaire, e voluto a San Pietroburgo da Caterina II Egli fu un matematico davvero “candido”. Ho deciso di partire da Lui anche perché la matematica odierna, come vedremo, gli deve molto a partire dal formalismo utilizzato e dallo stesso concetto di funzione matematica, reale e complessa. Fanno parte di questo primo numero due miei elaborati, scritti, circa 7/8 anni or sono, in occasione di un concorso pubblico presso il Dipartimento di studi economici dell’Università degli studi di Bari. Ottenni 24/30 in ognuna delle due prove che ho cercato di trattare con una certa originalità, almeno nei limiti del possibile, evitando una pappagallesca ripetizione di elaborati pure pregevoli, solitamente utilizzati per la preparazione dei concorsi. Il primo elaborato è l’esplicazione del concetto di regime di capitalizzazione semplice. Esso è anche “semplice” da comprendere. Il secondo appunto è lo svolgimento della seconda traccia. Esso ha ad oggetto il concetto di elasticità della domanda e della spesa del consumatore. Quel viaggio a Bari fu la prova generale di quello che decisi di fare successivamente: l’iscrizione alla Facoltà di economia per l’acquisizione di una seconda laurea. Concludo con la rubrica Le mie ricerche, che ho dedicato, in questo numero alle soluzioni intere di y = ax + b. (Patrizio Gravano)

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LA MATEMATICA IN PILLOLE Le funzioni di una variabile reale. Generalità.

Nei corsi istituzionali di analisi, dopo una breve introduzione sugli insiemi numerici, viene introdotto l’importante concetto di funzione reale di una variabile reale.

1. Che cosa è una funzione matematica? In termini intuitivi una funzione è una relazione che associa ad un elemento di un insieme uno ed un solo elemento di un altro insieme. Il criterio (legge di corrispondenza) che consente di associare un elemento di un insieme ad uno ed un solo elemento di un altro insieme è stabilito rigorosamente, onde evitare incertezze e fraintendimenti.

2. Definizione formale di funzione La matematica si è dotata di un formalismo per descrivere rigorosamente le funzioni. Le funzioni matematiche vengono rappresentate con lettere (f, g, Ф, λ, etc). Una stenografia particolarmente usata è la seguente f: R → R. Essa si interpreta dicendo che “f è una funzione che a valori di R fa corrispondere valori di R”, è insomma “una funzione reale di una variabile reale”.

3. Un esempio: la funzione affine Per precisare meglio il significato della formalizzazione delle funzioni è forse opportuno considerare un caso particolare: la funzione affine y = ax + b, che, come noto, nel piano cartesiano individua una retta passante per (0 , b) e ( - b/a , 0). Tali punti sono detti “intersezioni con gli assi”. Le quantità a e b devono intendersi note. Tale funzione è immediatamente costruibile nel sistema cartesiano nel senso che assegnati i valori alla x si ottengono (univocamente) i corrispondenti valori per la y.

4. La dipendenza funzionale L’esempio della funzione affine conduce al concetto di dipendenza funzionale. Come detto il valore della y “dipende” dal valore assunto dalla x, noti a e b (come solitamente è!). Questo stato di cose si esprime formalmente nel modo seguente y = f(x) da intendersi quindi nel senso che il valore della y dipende, secondo f, dal valore assunto dalla x.

5. Le funzioni come coppie ordinate Questo modo di procedere evidenzia che ogni funzione può essere intesa come un insieme i cui elementi sono tutti e soli quelli costituiti dalle coppie ordinate (x , y=f(x)) con l’avvertenza che ad un valore della x può corrispondere al più un solo y=f(x). Non è vero il contrario, nel senso che a distinti valori della x può corrispondere lo stesso y.

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6. Le funzioni iniettive Una funzione per la quale a distinti valori di x corrispondono distinti valori della y è detta funzione iniettiva o iniezione. Ăˆ il caso della funzione affine, come è immediato dimostrare. Non tutte le funzioni godono di questa proprietĂ . Esistono funzioni per le quali a distinti valori di x corrisponde lo stesso valore della y. Ăˆ il caso delle funzioni dette “pariâ€?, per le quali f(x) = f(-x). Ăˆ il caso delle parabole.

7. Il dominio (o campo) di definizione di una funzione L’esempio della funzione affine potrebbe essere fuorviante e va precisato. Riconsiderando attentamente la scrittura y = ax + b si osserva agevolmente che alla x può essere assegnato qualunque valore reale per ottenere un y reale. Questo stato di cose non è vero in generale. Infatti, se considero la funzione y = a/x devo ammettere che sia x ≠0. Ăˆ quindi utile definire un ulteriore concetto: l’insieme di definizione di una funzione. Esso costituito da tutti gli x tali che la funzione sia definita, intendendo con ciò che ad x debba corrispondere un y reale.

7.1 Esempi di domini di definizione di funzioni Per il caso della funzione affine il dominio di definizione della funzione è il continuo reale, mentre nel caso della funzione y = a/x è il continuo reale non munito dello zero reale. In termini formali si ha: dom đ?‘“1 (x) = ax + b = ( - ∞, + ∞) dom đ?‘“2 (x) = a/x = ( - ∞, 0) âˆŞ (0 , ∞)

8. Terminologia Nel linguaggio spicciolo la x è detta variabile indipendente, mentre la y è detta variabile dipendente (nel senso della sua dipendenza funzionale). La x è anche detta “indeterminataâ€?).

9. Significato geometrico In �2 (riferimento cartesiano) f: R → R individua un luogo geometrico, una retta, una parabola, etc

9. Affinamento della definizione Le considerazioni appena sviluppate consentono di formulare una definizione piĂš precisa di funzione. Una funzione è definita da una legge di corrispondenza e da un dominio di definizione. Se đ?‘“1 ed đ?‘“2 sono definite dalla medesima legge ma sono riferite a distinti domini di definizione devono essere intese come funzioni distinte. In questo caso đ?‘“1 ed đ?‘“2 conducono a luoghi distinti.

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10. Il codominio L’insieme i cui elementi sono gli y tali che y = f(x) è definito codominio (o range) della funzione.

11. “Funzioni particolariâ€? Non è infrequente imbattesi in funzioni del tipo y = k oppure x = h, ove k e h sono due numeri reali, generalmente noti. Esse denotano, rispettivamente la funzione costante, costituita da una retta parallela all’asse delle ascisse, e la retta parallela all’asse delle ordinate.

12. Intersezioni di un luogo con gli assi coordinati Esse si ottengono molto semplicemente: ponendo x = 0 nella relazione y = f(x) per ottenere le intersezione con l’asse delle x e; ponendo y = 0 per ottenere l’intersezione con l’asse delle ordinate.

13. Funzioni di primo grado Esse sono sostanzialmente due: la funzione lineare e la funzione affine. Formalmente esse sono definite nel modo seguente. funzione lineare (o della proporzionalitĂ diretta) đ?‘“1 (x) = ax, con a ∈ R. Come ovvio dom đ?‘“1 = (- ∞ , +∞). Parimenti pure il codominio si identifica con il continuo reale; funzione affine đ?‘“2 (x) = ax + b, con a e b reali. Parimenti si ha dom đ?‘“2 = (- ∞ , +∞) e anche in questo caso il codominio si identifica con il continuo reale. Con riferimento alle classi di funzioni considerate il numero reale a è detto coefficiente angolare della retta, mentre il numero dato b è detto ordinata dell’origine. Si dimostra agevolmente che a = tgÎą, ovvero Îą è l’arco (in radianti) che la retta forma con il semiasse positivo delle ascisse. Nel caso della đ?‘“1 (x) = ax ove si ponga a = 1 si ha đ?‘“1 (x) = 1x = x che individua la bisettrice del I e del III quadrante cartesiano, ben nota come y = x. In questo caso arctg1 = Ď€ / 4 (in radianti).

14. Funzioni illimitate Le funzioni appena introdotte sono esempi semplici di funzioni illimitate, sia superiormente che inferiormente. Assegnando alla x valori modulari arbitrariamente grandi si ottengono valori della y che in modulo risultano arbitrariamente grandi. Ciò si esprime formalmente nel modo seguente lim đ?‘“đ?‘– = ∞ per │x│→ +∞ Nel caso della funzione affine (ma alla stessa conclusione si giunge pure nel caso della funzione lineare) è possibile scrivere che: lim đ?‘Žđ?‘Ľ + đ?‘? = ∓∞ a seconda che a < 0 oppure a > 0, con a ≠0, ma đ?‘Ľâ†’ + ∞

anche

lim đ?‘Žđ?‘Ľ + đ?‘? = ∓∞ a seconda che a > 0 oppure a < 0 con a ≠0.

đ?‘Ľâ†’ − ∞

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Queste sono considerazioni intuitive che discendono dal fatto che il dominio di definizione di dette funzioni è tutto R che è illimitato sia superiormente che inferiormente. Quindi assegnando alla x valori arbitrariamente grandi in valore assoluto si ottengono corrispondenti valori della y (arbitrariamente grandi in valore assoluto). La nozione di limite è ben piĂš rigorosa e sarĂ aggetto di una successiva “pillola matematicaâ€?.

15. ContinuitĂ Una primissima proprietĂ di cui godono molte funzioni matematiche usuali è la continuitĂ . Essa ha un evidente significato intuitivo, anche s a livello avanzato viene studiata formalmente. Una prima definizione di funzione continua potrebbe essere la seguente: una funzione è continua se per ogni x del suo dominio di definizione y = f(x) ∈ R. Se esiste almeno un x, chiamiamolo x* tale che f(x*) ∉ R allora la funzione non è definita in quel punto e non è neppure continua. Si parla di discontinuitĂ . Esiste una tassonomia delle discontinuitĂ , come potremo vedere nel futuro. La continuità è una proprietĂ di cui godono molte funzioni e quindi molti luoghi geometrici di đ?‘…2 . Essa caratterizza in generale le funzioni dette polinomiali, ma non solo.

15-bis. Nesso continuità – tipologia del dominio di definizione Una funzione il cui dominio di definizione è tutto R, ovvero (-∞. +∞), è continua e priva di punti di discontinuitĂ . Parimenti è continua una funzione il cui dominio di definizione è un insieme (o intervallo) del tipo (a, b) ⊂ (-∞. +∞), ove b potrebbe essere = + ∞. Un esempio particolare di funzione continua è la funzione logaritmica la quale è definita, come vedremo, nell’intervallo (0, +∞), detto comunemente đ?‘… + , insieme dei numeri reali positivi escluso lo zero. Per contro vedremo che non sono continue in un punto (o piĂš punti) funzioni che hanno domini di definizione piĂš complessi. Al riguardo si rimanda al § 26, relativo ad una funzione fratta (rapporto di due polinomi reali).

15-ter. Formalismo per le funzioni. Con queste premesse è ben evidente che si può scrivere f: dom f → R.

16. Funzioni polinomiali Le funzioni polinomiali sono funzioni del tipo y(x) =∑đ?‘›0 đ?‘Ľ đ?‘– đ?‘Žđ?‘– Il numero intero n è detto grado del polinomio. Solitamente è n > 0. Le funzioni polinomiali sono continue ovvero y(x) è un numero reale per ogni x del dominio di esse che, salva l’introduzione di restrizioni (che conducono peraltro ad una distinta funzione), si identifica con l’intero asse reale. Un polinomio è detto nullo ( p ≥ 0 ) se e solo se đ?‘Žđ?‘– = 0 per ogni i ≤ n.

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16-bis. Principio di identitĂ dei polinomi Due polinomi đ?‘Ś1 (x) =∑đ?‘›0 đ?‘Ľ đ?‘– đ?‘Žđ?‘– e đ?‘Ś2 (x) =∑đ?‘›0 đ?‘Ľ đ?‘– đ?‘?đ?‘– si dicono identici (in pratica sono lo stesso polinomio) se e solo se sono dello stesso grado se đ?‘Žđ?‘– = đ?‘?đ?‘– per ogni i.

17. Funzioni del tipo 2đ?‘˜âˆšđ?‘ƒ(đ?‘Ľ) ove P(x) è un polinomio in x In casi del genere il domino di definizione della funzione è dato dalla condizione P(x) ≼ 0. Gli intervalli (se esistono) per i quali P(x) < 0 non appartengono al dominio di definizione della funzione.

18. Funzioni fratte del tipo đ?‘“đ?‘“ = P(x)/S(x) Per queste particolari funzioni deve essere garantita la condizione S(x) ≠0. Pertanto non appartengono al dominio di definizione della funzione fratta gli zeri del polinomio S(x). Pertanto il dominio della funzione è dom đ?‘“đ?‘“ = R/âŚƒâˆŞ đ?‘&#x;đ?œ ⌄, ove le đ?‘&#x;đ?œ sono le radici (gli zeri reali) del polinomio S(x) se esistono. Non è detto che esistano zeri reali che annullano il denominatore: basti ricordare il caso del polinomio reale di secondo grado nel quale δ < 0. Quanto ai gradi dei due polinomi non sono date a priori limitazioni, come si vedrĂ nello studio dei limiti per dette funzioni.

18-bis. Nesso tra asintoti verticali e zeri reali di S(x) Le funzioni fratte di cui al § 18 non sono definite per gli x tali che S(x) = 0. Gli x =đ?‘&#x;đ?œ per i quali si ha S(x) = 0 sono altrettanti asintoti verticali della funzione đ?‘“đ?‘“ = P(x)/S(x). Ad esempio se si ammette che sia S(x) una funzione affine avendosi S(x) = ax + b per x = - b/a si ha S(-b/a) = 0, indi x = - b/a è un asintoto verticale di detta funzione. In generale poichĂŠ una funzione S(x) può avere grado arbitrario al piĂš esiteranno n soluzioni distinte. Tali zeri costituiranno altrettanti asintoti verticali per detto luogo.

19. Funzioni crescenti e decrescenti (strettamente) Le funzioni solitamente oggetto di studio hanno un andamento crescente e decrescenti a tratti, quindi con riferimento a intervalli distinti la cui unione insiemistica costituisce il dominio di definizione della funzione assegnata. Sia assegnato un intervallo I ⊂ dom f. In I è sempre definibile una relazione d’ordine stretto e totale tra due qualunque punti di esso, risultando đ?‘Ľ1 < đ?‘Ľ2 . Se ∀(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) sotto la condizione data si ha f (đ?‘Ľ1 ) < f (đ?‘Ľ2 ) allora la funzione f è crescente strettamente in I. Se invece si ha f (đ?‘Ľ1 ) > f (đ?‘Ľ2 ) allora in I la funzione è strettamente decrescente.

20. Monotonia stretta Una funzione è monotona quando essa è strettamente crescente (o strettamente decrescente) con riferimento non ad un intervallo incluso propriamente in dom f ma con riferimento al dominio di definizione. Infatti risultando đ?‘Ľ1 < đ?‘Ľ2 , đ?‘ e ∀(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) ⊂ dom f si ha f (đ?‘Ľ1 ) < f (đ?‘Ľ2 ) allora la funzione f è monotona crescente (strettamente). Se invece si ha f (đ?‘Ľ1 ) > f (đ?‘Ľ2 ) allora la funzione è monotona

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decrescente. La scrittura (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) deve intendersi come coppia ordinata, la cui prima componente è minore (strettamente) della seconda. Tra le funzioni monotone vi sono due funzioni particolarmente importanti: la funzione esponenziale đ?‘“1 (x) = đ?‘’ đ?‘Ľ e la funzione logaritmo đ?‘“2 (x) = ln đ?‘Ľ Tali funzioni saranno oggetto di un approfondito elaborato.

20-bis . Nota sulle funzioni esponenziale e logaritmica Nel proseguo ci si riferirĂ costantemente alle funzioni đ?‘“1 (x) = đ?‘’ đ?‘Ľ e đ?‘“2 (x) = ln đ?‘Ľ dovendo comunque precisare che esistono funzioni del tipo đ?‘“đ?‘’ (x) = đ?‘Ž đ?‘Ľ e la funzione logaritmo đ?‘“đ?‘™đ?‘œđ?‘” (x) = log đ?‘Ž đ?‘Ľ, ove a è un qualunque numero non negativo. In ogni caso tutte queste funzioni al variare di a > 0 sono monotone.

21. Non decrescenza (e non crescenza) Se nella logica delle riflessioni di cui al par. 19 si hanno scritture del tipo f (�1 ) ≤ f (�2 ) oppure f (�1 ) ≼f (�2 ) piÚ propriamente di funzioni non decrescenti e di funzioni non crescenti.

22. Funzioni definite a tratti Per esigenze pratiche, molto spesso nel campo delle scienze sperimentali, vengono definite delle funzioni particolari, dette definite a tratti. Ad esempio è possibile definire una funzione nel modo seguente f(x) = ax + b per x < a e f(x) = cđ?‘Ľ 3 per x ≼ a, ove a ∈ R. Queste vengono “costruiteâ€? e studiate di volta in volta.

23. Funzioni dispari GiĂ ho dato la definizione di funzione pari. Esistono pure funzioni che sono dette dispari. Per esse vale la relazione f(-x) = - f(x). Anche in questo caso è ben evidente una simmetria di dominio di definizione, nel senso che se a > 0 appartiene al dominio di definizione anche il numero – a < 0 appartiene al dominio (e viceversa). Ăˆ immediato constatare le funzioni dispari sono simmetriche rispetto all’origine del riferimento cartesiano ortogonale.

24. Funzioni nĂŠ pari nĂŠ dispari Le funzioni pari e le funzioni dispari non esauriscono l’“universoâ€? delle funzioni algebriche e trascendenti. Esistono infatti funzioni che non sono nĂŠ pari nĂŠ dispari. Capire se una funzione è pari o dispari aiuta, semplificandolo, lo studio della funzione.

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25. Successioni numeriche Esistono particolari funzioni aventi come dominio di definizione l’insieme N dei numeri naturali. Formalmente si ha f: N → R. La successione numerica è quindi definibile in termini di coppie ordinate ( n, đ?‘Žđ?‘› ) la cui prima componente è un intero e la seconda in generale è un numero reale (non necessariamente un intero!). Tali funzioni reali di una variabile intera sono rappresentabili nel piano cartesiano – coinvolgendo i quadranti I e/o IV – indicando i punti ( n, đ?‘Žđ?‘› ). Giova osservare che mentre n > 0 sempre! đ?‘Žđ?‘› può assumere qualunque valore reale, positivo, negativo o nullo. Alle successioni numeriche sono applicabili i concetti di crescenza, decrescenza, monotonia, limitatezza, illimitatezza visti in precedenza.

25-bis. Esempi banali di successioni numeriche reali Per esse il formalismo matematico è particolarmente semplice del tipo đ?‘Žđ?‘› = 2n + 1/ 3n – 1 oppure đ?‘?đ?‘› = 1/ n, Questa ultima è banale. Si può dire con semplicitĂ che al crescere di n si ha đ?‘?đ?‘›+1 < đ?‘?đ?‘› (decrescenza monotonica) con limite 0 per n → +∞. Queste riflessioni intuitive verranno rinforzate rigorosamente dopo l’introduzione della nozione di limite. Per impratichirci un poco possiamo concentrarci su đ?‘Žđ?‘› = 2n + 1/ 3n – 1. Si ha đ?‘Ž1 = 3/2 > 1, đ?‘Ž2 = 5/5 = 1. Esiste anche un metodo “artigianaleâ€? per trovare il valore di đ?‘Žđ?‘› per n → +∞. Si può dividere sia il numeratore che il denominatore per n avendosi đ?‘Žđ?‘› = 2n + 1/ 3n – 1 = (2 + (1/n))/ (3 – (1/n)) = 2/3 (quando si ammette 1/n trascurabile, ammissibile per valori elevati di n). Con il formalismo del limite si evidenzierĂ meglio che la successione considerata è limitata superiormente ed inferiormente, quindi è limitata.

25-ter Generalizzazione da successione a funzione Data đ?‘Žđ?‘› = 2n + 1/ 3n – 1 è possibile rimuovere l’ipotesi che il dominio sia N e introdurre una funzione di una variabile reale f(x) = 2x + 1/ 3x – 1. Essa è definita quando 3x – 1 ≠0 da cui 3x ≠1 ovvero x ≠1/3. Pertanto dom f(x) = R/âŚƒ1/3⌄. Con riflessioni analoghe a quelle del § 25-bis si evidenzia che la funzione f(x) si “avvicinaâ€? dall’alto alla retta g(x) = 2/3. Nel linguaggio dell’analisi matematica la retta “avvicinataâ€? dalla funzione f(x) è detta asintoto orizzontale.

25-quater. Ulteriori osservazioni su f(x) = 2x + 1/ 3x – 1 Ăˆ istruttivo ricavare le intersezioni di detta curva con gli assi cartesiani. L’intersezione con l’asse delle y si può ricavare ponendo x = 0 ed avendo quindi y(0) = 1/-1 = - 1. Il punto (0. -1) individua l’intersezione con l’asse delle ordinate. Quanto all’intersezione con l’asse delle ascisse è necessario e sufficiente porre y = 0, ma, nel caso concreto, è verificata la condizione per 2x + 1 = 0, ovvero 2x = - 1, ovvero x = -1/2. La curva interseca l’asse delle ascisse nel punto ( -1/2 , 0). Vedremo nel proseguo quale interesse abbia studiare la funzione in un intorno infinitesimo simmetrico centrato nel punto x = 1/3, punto nel quale la funzione non è definita.

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26. Osservazione sulla continuitĂ Una funzione il cui dominio di definizione è [a, b) âˆŞ(b, c] non è continua in b. Con il formalismo dell’analisi studieremo il limite sinistro e destro in prossimitĂ di x = 1/3. Vedremo se tali limiti sono eguali e finiti. In questo caso è introducibile il prolungamento analitico, introducendo quindi una nuova funzione. Potrebbe capitare che i due limiti siano entrambi infiniti e allora la retta x = 1/3 sarebbe un asintoto verticale.

27. Asintoti orizzontali, verticali e obliqui A questo punto è abbastanza intuitivo definire gli asintoti orizzontali e verticali di una funzione. Gli asintoti orizzontali sono connessi al “comportamentoâ€? della funzione quando alla x si assegnano valori positivi e/o negativi arbitrariamente grandi. Gli asintoti verticali sono riconducibili ad una discontinuitĂ di una funzione in un punto e alla determinazione dei limiti sinistro e destro. Giova osservare che esistono anche asintoti obliqui. L’asintoto è sempre una retta. L’esposizione degli asintoti obliqui è prematura per l’apparato matematico che presuppone e sarĂ trattata al momento opportuno.

28. Limiti sinistro e destro La funzione dei §§ 25-ter e 25-quater, stante quanto scritto al § 26, è discontinua nel punto x = 1/3. Ma occorre chiederci “come si comportaâ€? la funzione per valori infinitesimi minori e − + infinitamente maggiori di 1/3. Detti numeri sono 1â „3 = u e 1â „3 = đ?‘Ł . Se lim đ?‘“(đ?‘Ľ) = lim đ?‘“(đ?‘Ľ) = r đ?‘Ľâ†’đ?‘˘ đ?‘Ľâ†’đ?‘Ł finito allora la funzione è prolungabile analiticamente e si ammette che sia f(1/3) = r Una nota funzione prolungabile analiticamente è f(x) = sin(x) / x. Essa non è definita per x = 0 in quanto dividere un numero per zero non è ammesso, ma si dimostra che per valori infinitesimi minori di zero e per valori infinitamente maggiori di zero i due limiti sono eguali a 1 e pertanto viene definita una nuova funzione f*(x) = sin x/x quando x ≠0 e f*(0) = 1 per x = 0 (e solo per esso).

29. Funzioni periodiche Una f: R → R è detta periodica di periodo T > 0 se e solo se f(x) = f(x + T). In generale si ha che f(x) = f(x + T) = f(x +nT) per ogni n intero. Tipici esempi di funzioni periodiche sono le funzioni trigonometriche circolari sin(.), cos(.), tang(.). Esse possono essere studiate nel dominio del tempo con la sostituzione x = t.

30. Funzione inversa di una funzione Sia assegnata una f: R → R tale che ad un x ∈ A (A è il dominio di definizione) corrisponda uno ed uno solo y = f(x). Ammettiamo che sia dato (come solitamente è) l’insieme i cui elementi sono tutti e soli gli y tali che y = f(x). Affinchè sia possibile far corrispondere ad ognuno degli y=y(x) uno ed un solo x elemento di A, ovvero affinchè esista una legge inversa đ?‘“ −1 è necessario e sufficiente che f sia una funzione iniettiva. Infatti se f non è una iniezione allora esistono due x, detti x’ ed x’’, distinti, avendosi identicamente f(x’) = f(x’’) = y per un qualche assegnato x del dom f. Applicando la đ?‘“ −1 si giunge ad una contraddizione. Tramite đ?‘“ −1 a partire da y (quello per il quale, non essendo

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f una iniezione) si otterrebbe che ad un y corrispondono (almeno) due valori distinti x’ ed x’’ elementi di A. đ?‘“ −1 non sarebbe una legge di corrispondenza in senso canonico.

31. Criterio di esistenza della đ?‘“ −1 data f La condizione di esistenza della funzione inversa đ?‘“ −1 data la funzione f è che f sia una funzione iniettiva. Una funzione iniettiva è detta anche funzione invertibile. La funzione inversa è unica, se esiste. Essa è ricavabile algebricamente esplicitando x = x(y). Una funzione pari non è invertibile.

32. Composizione non commutativa di funzioni Ricordo che una operazione ♣ è detta commutativa se e solo per due qualunque elementi a e b di un insieme si ha a ♣ b = b ♣ a. In analisi viene definita una operazione della composizione di funzioni. Viene introdotta un funzione (risultato dell’operazione) detta funzione composta. Si evidenzia che l’operazione di composizione di due funzioni non è generalmente commutativa. Sia f : R → R una f tale che y = f(x) e sia assegnata una funzione g: R → R. Viene dato un significato al formalismo g(f(x) nel senso che alla x viene “applicataâ€? la funzione e si ottiene f(x) indi al valore di f(x) viene, tramite la g, fatto corrispondere il valore g(f(x). Ma il ragionamento può essere fatto dicendo che alla x viene “applicataâ€? la funzione g, ottenendo come risultato il numero g(x) indi viene a detto numero applicata la funzione f ottenendo il valore f(g(x). Ăˆ possibile dimostrare che in generale f(g(x)) ≠g(f(x). Nel linguaggio formale dell’analisi la composizione di funzioni, che conduce al risultato della funzione composta, è fâ–Şg ≠gâ–Şf. Anche in questo caso si tratta di una prima introduzione al problema che nelle linee generali è anche abbastanza complesso. Basti al riguardo riflettere al caso che in questo lavorio dovesse risultare f(x) o g(x) non definito.

33. Conclusioni 1. Fin da ora il lettore, con ragionamenti simili a quelli di questi ultimi paragrafi, potrebbe provare a dimostrare che đ?‘“ −1 â–Ş f = x, con x ∈ dom f. Ăˆ possibile, in questo caso, parlare di commutativitĂ ? 2. Nel prossimo numero proporrò la risoluzione mia personale di alcuni semplici esercizi relativi all’oggetto di questa sezione. Li ho trovati su un testo americano di Advanced Calculus. 3. La prossima “pillolaâ€? conterĂ diversi approfondimenti sulle funzioni e dovrebbe poter contenere, compatibilmente con i limiti di spazio, la nozione di limite (dimostrazioni δ- Îľ).

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I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO LEONARDO EULERO Il matematico svizzero Leonardo Eulero è considerato uno dei piĂš grandi matematici di tutti i tempi. Fu prolifico matematico di corte sia in Prussia che in Russia. Visse nel secolo dei Lumi ma non fu mai Illuminista, anzi fu fervente nella sua professione luterana, essendo ancora oggi ricordato (24 maggio) nel Calendario dei santi della Chiesa Luterana. Non è agevole – per certi aspetti non ne sarei neppure capace – illustrare i contenuti della sua opera che fu davvero enciclopedica, abbracciando sia il contesto teorico che quello piĂš applicativo della matematiche. Ricordo che il governo della Confederazione svizzera raccolse in ben 24 volumi i suoi elaborati. Non credo sia sensato stilare graduatorie ma certo ci si potrebbe chiedere perchĂŠ iniziare da Eulero e non da altri seppur bravi matematici. La ragione è abbastanza semplice. Eulero è per ampia parte l’iniziatore dell’utilizzazione del formalismo matematico ancora oggi utilizzato ampiamente ed univocamente. Quello di una utilizzazione univoca di un dato simbolo matematico è un elemento di non poco conto nella intelligibilitĂ e nella speditezza del dialogo tra matematici. Una evidente azione di semplificazione e di chiarezza. Parlare di Eulero consente quindi anche di rispolverare vecchi concetti e consolidate nozioni matematiche. A cominciare dallo stesso concetto di funzione matematica. La sostanza e il formalismo che la circoscrive sono dovuti ad Eulero. Prima di allora concetti come quelli di funzione risultavano ambigui e non ben formalizzati. Anche molti simboli che designano altrettante costanti matematiche sono stati formalizzati da Eulero. Senza alcuna pretesa di esaustivitĂ vorrei infatti ricordare – come ampiamente riportato – che la corrente notazione per le funzioni goniometriche circolari (seno e coseno, per esempio), il simbolo di sommatoria ∑(. ), l’uso della lettera e per denotare la base dei logaritmi naturali e la lettera i utilizzata per indicare l’unitĂ immaginaria, ovvero la coppia (0 , 1) gli sono attribuibili. Mentre il simbolo Ď€, detta comunemente pi greca, per denotare il rapporto (irrazionale) tra la circonferenza rettificata e il suo raggio, introdotto da Jones, all’inizio del XVIII secolo, divenne di uso comune dopo che venne “rispolveratoâ€? da Eulero. Avremo modo, nel proseguo, di comprendere il numero e – come risultato di una particolare operazione di passaggio al limite. Per tale numero – pure esso irrazionale (ma anche trascendente) – ho constatato quante distinte lettere fossero state usate. Una confusione totale! Anche dai piĂš elementari studi di elettronica è possibile ricordare una nota formula dovuta al suo genio, ovvero đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘ = cos(φ) + i sin(φ) dalla quale Egli ottenne quella che è stata “democraticamenteâ€? considerata una delle piĂš “belleâ€? formule della matematica đ?‘’ đ?‘–đ?œ‹ + 1 = 0. Certo Egli non fu un analista ottocentesco ma molte sue intuizioni aprirono la strada ai suoi successori. Trovò un metodo per risolvere l’equazione di IV grado.

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RiuscĂŹ a dimostrare l’ultimo teorema di Fermat per il caso n = 3. A Lui si devono le relazioni numeriche che individuano le infinite terne pitagoriche, ovvero le terne di interi a, b e c tali che đ?‘Ž2 + đ?‘?2 = đ?‘?2 . Sarebbe assurdo collazionare in due pagine tutti i contributi. Molti (certo non tutti) dei concetti dovutigli e dei risultati da Lui conseguiti si ritroveranno nei prossimi numeri. Vorrei, da ultimo, ricordare che da un caso pratico diede avvio alla teoria dei grafi – sulla quale, almeno per i rispetti piĂš elementari – mi cimentai nei mio corso di Ricerca operativa. Mi riferisco al problema della passeggiata che consentisse – passando una sola volta su ciascuno dei sette ponti della cittĂ natia – di ritornare al punto di partenza. Dall’evoluzione della teoria dei grafi sarebbe nata la topologia, “lo studio dei luoghiâ€?, gli spazi topologici, l’omeomorfismo che consente di definire equivalenti un cubo e una sfera, etc. Eulero poi ci è ben noto per una nota relazione che si apprende solitamente studiando i cristalli ma che è vera in senso matematico: per i poliedri convessi si ha che f + v = s + 2. Per i poligoni come noto è invece f + v = s + 1. Ho però constatato che la dimostrazione rigorosa di queste relazioni è dovuta a L. A. Cauchy, altro matematico che ho inserito nel nutrito elenco dei matematici del passato che dovrò ricordare. Fu un grande divulgatore della geometria analitica. Gli si devono l’equazione del cono, del cilindro e di varie superfici di rotazione, ivi comprese quelle generate da funzioni trascendenti come la sinusoide. Gli si deve una prima trattazione moderna delle coordinate polari, oggi a tutti note. RiuscĂŹ nel dominio della geometria sintetica a dimostrare l’allineamento del circocentro, del baricentro e dell’ortocentro di un triangolo, giacendo essi su una retta detta di Eulero. Ăˆ considerato anche l’iniziatore di una disciplina molto specialistica detta teoria analitica dei numeri. Egli dimostro che lim ∑đ?‘? ≤đ?‘Ľ 1/đ?‘? = ∞ essendo p un numero primo, ovvero un dispari mai đ?‘Ľâ†’∞

esprimibile come il prodotto di un certo numero di dispari minori di esso e maggiori di 1. In Wikipedia (“Dimostrazione della divergenza della serie dei reciproci dei primi) ho rinvenuto anche una dimostrazione tranquilla.

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RIFLESSIONI IL REGIME DI CAPITALIZZAZIONE SEMPLICE Il quesito della prova scritta estratta fu il seguente: “Il candidato descriva la “legge di capitalizzazione sempliceâ€? e riporti qualche esempio esplicativo.â€? Questo è lo svolgimento. “Nell’ambito della teoria dei regimi di capitalizzazione si ricomprende pure il regime di capitalizzazione semplice che si applica a operazioni finanziarie di durata inferiore all’anno. Per operazione finanziaria si intende lo scambio di denaro contro denaro tra due soggetti (mutuante e mutuatario). Al tempo t = x un soggetto “prestaâ€? una quantitĂ di denaro ad altro soggetto, il qualche al tempo t = y ( y > x) cede al soggetto creditore una somma M (detta montante) che per definizione è M:= P + I, ove P è il valore del capitale prestato al tempo x e I è l’interesse giacchè il contratto di mutuo si intende oneroso. Si ammette P = 1 (prestito unitario) il montante unitario è pari a s = 1 + i, ove i è il tasso effettivo dell’interesse che per definizione è espresso dalla seguente relazione i:= I/P. Ove si consideri un rapporto contrattuale di durata annuale il montante M di un capitale P preso a prestito è dato dalla seguente relazione: M = P + Pi = P(1 + i). Ove poi si ammetta P = 1 allora la considerata relazione diviene s:= 1(1 + i) = 1 + i (1 + i) è detto fattore di capitalizzazione. Con riferimento ai vari regimi di capitalizzazione viene poi definito il tasso effettivo di sconto eguale al rapporto tra lo sconto e il montante. Ăˆ noto che lo sconto D è eguale all’interesse I. Si ha cioè D = I. Il tasso effettivo di sconto è dato dal rapporto tra lo sconto e il montante e lo si indica con la lettera d. In simboli si ha d.= D/M = I/P +IP = iP/P(1 + I). Nella quale P = 1 e conseguentemente I = i pertanto d = i/1(1+i) = i/ 1 + i Viene poi definito il valore attuale di un capitale M che per definizione è dato dal rapporto seguente V = P/M = P/P +iP = P/P(1 + i) Per P = 1 si ha v = 1/1+1 = (1 + đ?‘–)− 1 Con riferimento ai rapporti contrattuali di durata inferiore all’anno il tasso di interesse praticato effettivamente è dato dalla seguente relazione đ?‘–đ?‘” = (g/360)i, ove i è il tasso annuo.

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Ulteriore formula ammessa è la seguente đ?‘–đ?‘”′ = (g/365) i ove in entrambi i casi il numeratore della frazione è g che rappresenta il numero dei giorni di durata del rapporto contrattuale. Se si opera per valori di durata superiore all’anno il regime di capitalizzazione semplice è espresso dalla seguente relazione đ?‘–đ?‘Ą = ti da cui si ha đ?‘‘đ?‘Ą = ti/ 1 + ti (con 1 + it ≠0) e đ?‘Łđ?‘Ą = (1 + đ?‘–đ?‘Ą)−1 Si osservi poi che per un particolare valore i = đ?‘–0 del tasso di interesse si ha una legge finanziaria definita. Noto i = đ?‘–0 si ricavano – date le relazioni che collegano le variabili finanziarie – pure i valori di đ?‘&#x;0 = f(đ?‘–0 ), đ?‘Ł0 = â„Ž(đ?‘–0 ), đ?‘Ł0 = â„Ž(đ?‘–0 ), ove f(.), g(.) e h(.) sono tre funzioni reali. Nell’elaborato furono inseriti i grafici đ?’Šđ?’• = ti e đ?’…đ?’• (t) che per comoditĂ sono in questa sede omessi.

Con considerazioni del tutto analoghe è possibile studiare la funzione đ?‘Łđ?‘Ą = (1 + đ?‘–)−1 đ?‘Łđ?‘Ą = 1/ 1 + i . Abbiamo che (1+i)đ?‘Łđ?‘Ą = 1 Con considerazioni algebriche si può ricavare la seguente relazione d + v = 1 Si ha infatti il seguente sistema algebrico d = i / 1 + i ; v = 1/1 + i → (1 + i)d = i ; v + iv = 1 → d + id = i ; iv 0 1 – v → id – i = - d ; i = 1 – v /v → i = - d/d-1 , i = 1 – v/v → - d/d-1 = i – v / v → -dv = (d – 1)(i – v) → - dv = d –dv – 1 + v → 0 = d + v – 1 → d = 1 – v ; d + v = 1 ; v = 1 – d. Nell’elaborato utilizzai il simbolo implica, in questa sede ho utilizzato il simbolo “ottengoâ€? (→).

Esempi Le considerazioni teoriche fatte possono essere utilmente esemplificate. Si consideri il prestito di un capitale P = 10.000 euro al tasso di interesse reale annuo del 2%. Se si ipotizza una durata contrattuale di un anno il montante è M = P + iP = 10.000 + 10.000(2/100) = 10.000( 1 + 2/100) = 10.000((100+2/100) = (10.000/100)102 = 100*102 = 10.200 euro. Dopo un anno il creditore riceverĂ 10.200 euro e l’interesse per lui sarĂ 200 euro. Se il rapporto contrattuale dura k anni (con k∈N) allora ogni anno verranno pagati interessi I = P(2/100) = 200 euro (per ogni anno). Il montante corrispondente (per la durata di k anni) è: M’ = P + kiP = P(1 + ki). Se si pone k = 3 si ha M’ = 10.000(1 + 3(2/100)) = ------ = 10.600 euro. Se il rapporto ha durata T < 1 anno allora si applica all’esempio la relazione đ?‘–đ?‘” = (g/360)i. Si ammetta la durata sia di 36 giorni. Si ha g = 36. Sostituendo in formula si ha đ?‘–đ?‘” = (g/360)i = (36/310) (2/100) = (1/10)(2/100) = 2/1000 = 0,002 = 0,2%

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Il relativo montante sarĂ pari a M’’ = P + P(đ?‘–đ?‘” ) = ------- = 10.020 euro. Se il contratto ha durata superiore all’anno si può utilizzare la relazione đ?‘–đ?‘”′ = (g/365)i, applicata alla durata residua a k*365, ove k è un intero. Esempio. Se il contratto dura 3 anni e ½ si determina il montante per i primi tre anni poi si considera la metĂ di anno. A paritĂ di dati (considerano gli stessi dati del problema dei tre anni) si ha: M’’’ = M’ = 10.600 euro. Poichè si opera in regime di capitalizzazione semplice e quindi gli interessi non vengono capitalizzati si deve considerare il successo ½ anno. Ometto un’ultima parte non essenziale.â€?

Pur non avendo trovato le correzioni degli esaminatori con il senno del poi devo ricordare che i deve intendersi come tasso di interesse nominale e non reale, come frettolosamente ebbi a scrivere. Ho rinvenuto poi un secondo banale errore, dovuto alla fretta e alla tensione d’esame, certo non sfuggitomi in questi giorni nel rivedere quanto scrissi ormai molti anni fa. Nell’esempio dei 36 giorni posi 2/1000 = 0,002 %. Ciò è sbagliato e nella trascrizione ho riportato il valore esatto! Forse anche queste imprecisioni giustificano un 24 in luogo di un voto piĂš alto‌

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L’ELASTICITA’ DELLA DOMANDA E DELLA SPESA DEL CONSUMATORE Il quesito proposto era il seguente: “Il candidato illustri i principi della elasticitĂ della domanda e della spesa del consumatoreâ€?. Questo fu lo svolgimento: “Particolare rilevanza assume nell’ambito dell’economia politica il concetto di elasticitĂ che viene studiata sotto diversi profili. In generale per elasticitĂ si intende la variazione proporzionale (o percentuale) di una data grandezza con riferimento alla variazione proporzionale (o percentuale) di un’altra grandezza. Nella teoria economica si distingue, avuto riguardo alla elasticitĂ , tra elasticitĂ di un bene economico atto a soddisfare determinati bisogni (desideranda) e variazione del prezzo del bene considerato. In termini matematici si scrive: e = (δđ?‘„đ?‘‘ /đ?‘„đ?‘‘ )/ (đ?›żđ?‘ƒ/đ?‘ƒ) ove δđ?‘„đ?‘‘ /đ?‘„đ?‘‘ è la variazione proporzionale della quantitĂ domandata per effetto della variazione del prezzo del bene considerato. Non infrequentemente si osserva (concettualmente) l’esistenza di una elasticitĂ della domanda di un bene avuto riguardo alla variazione del prezzo di un bene economico che si ammette sia in grado di soddisfare lo stesso bisogno economico (“bene economico succidaneoâ€? o sostitutivo). L’elasticitĂ di domanda può essere studiata pure sotto un ulteriore e particolarmente importante profilo, quello della variazione del reddito del consumatore. In astratto dovremmo considerare il caso di una unitĂ decisionale di consumo che abbia a disposizione un certo reddito R che sotto il profilo degli impieghi può essere parzialmente destinato al consumo e in parte risparmiato. Se si considera il reddito nominale R effettivamente disponibile per il consumatore vige la seguente relazione R=C+S Ove C costituisce il consumo. Al riguardo è possibile ammettere che per livelli di reddito non particolarmente elevati la quasi totalitĂ del reddito nominale abbia l’impiego del consumo. Ulteriore considerazione che può farsi è che (osservazione dovuta agli studi di E. Engels) i soggetti meno abbienti ripartiscono la quota C che sostanzialmente si confonde con R per l’acquisto di beni di prima necessitĂ . Per i beni di prima necessitĂ la relazione quantitĂ consumata – reddito disponibile è definita come segue: una variazione del reddito disponibile non porta come conseguenza una variazione della quantitĂ domandata della stessa entitĂ . L’elasticitĂ della domanda rispetto al reddito è del tipo (utilizzando per il reddito la lettera Y) E = (δđ?‘„đ?‘‘, /đ?‘„đ?‘‘,0 )/ (đ?›żđ?‘Œ/đ?‘Œ0 )

(1)

ove đ?‘„đ?‘‘,0 è la quantitĂ domandata al tempo t = 0 e đ?‘Œ0 è il reddito disponibile per il consumo al tempo t = 0, δđ?‘„đ?‘‘, e đ?›żđ?‘Œ sono le variazioni della quantitĂ considerate con riguardo al tempo t = 1 rispetto al tempo t = 0.

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Ăˆ possibile, senza perdita di generalitĂ , passare da variazioni discrete delle quantitĂ a variazioni infinitesimali, ovvero valutare gli effetti sulla domanda di una variazione infinitesimale del reddito destinato al consumo. In simboli si ha E = (dQ/ đ?‘„đ?‘‘,0 ) (đ?‘Œ0 /dY) = (dQ/dY)(đ?‘Œ0 /đ?‘„đ?‘‘,0 ) Relativamente a variazioni del reddito per i beni di prima necessitĂ l’elasticitĂ tiene conto del fatto che la variazione della quantità è modesta. Ometto il grafico Q=Q(Y). In effetti avevo introdotto in esso due rette una meno inclinata per i beni di prima necessitĂ .

Nell’esempio pratico riferito a beni economici di prima necessitĂ đ?›żđ?‘Œ = 1 đ?‘Œ0 = 1 δQ/Q < 1

0 < ��/� < 1

Per semplificare ho ammesso l’esistenza di una relazione espressa da una curva affine (retta) in realtĂ per ragioni legate al postulato della utilitĂ marginale decrescente è piĂš significativo riferirsi ad una curva del tipo seguente: A questo punto introdussi un grafico Q = Q(Y) con esistenza di un Y oltre il quale la quantitĂ domandata si mantiene costante al crescere di Y. Ciò esprime una condizione di sazietĂ .

La variazione del reddito disponibile per il consumo in senso positivo ovvero đ?›żđ?‘Œ > 0 pone particolari questioni legate a variazioni della quantitĂ acquistata di beni e servizi. Un aumento del reddito del consumatore ha come conseguenza una riduzione della quantitĂ domandata di particolari beni detti beni inferiori. δY > 0 in astratto può portare per tali beni a δQ = đ?‘„1 - đ?‘„0 = 0 - đ?‘„0 = - đ?‘„0 che con una opportuna sostituzione in formula nella relazione definitoria dell’elasticitĂ della domanda rispetto al reddito porta ad un caso limite E = (δQ/đ?‘„0 ) (đ?‘Œ0 /đ?›żđ?‘Œ) =------ = - Y/δY facilmente interpretabile. Per i beni inferiori e < 0. Vi sono poi beni che vengono consumati - cioè acquistati dal consumatore – solo a partire da un dato reddito, ovvero per Y > đ?‘Œđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘Ą Ometto di inserire il grafico Q = Q(Y) che denota la quantitĂ domandata oltre un dato Y.

Si può pure considerare il caso di una variazione negativa del reddito reale per effetto di una situazione di aumento dei prezzi. La diminuzione del reddito reale è la conseguenza. Se un soggetto abbisogna di patate e fagioli ed ha un reddito monetario costante il verificarsi di un aumento del prezzo delle patate in misura meno marcata rispetto al prezzo dei fagioli lo porterĂ a consumare piĂš patate. L’aumento del prezzo delle patate (bene economico inferiore) porta ad un aumento della quantitĂ domandata di patate. Tale situazione non si sarebbe realizzata se il soggetto consumatore non avesse a disposizione un reddito con minore potere di acquisto.

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Variazioni positive del reddito, specie oltre livelli medi, portano come conseguenza all’acquisto di beni economici non primari (beni di lusso). Per i beni di lusso la situazione è quella che il loro consumo avviene a partire da livelli di reddito molto elevati. In astratto con riferimento al reddito la relazione potrebbe essere quella del grafico‌. (ometto di rappresentare il grafico Q = Q(Y))

Pertanto la relazione (1) è del tipo E > 0 e un rilevamento sperimentale potrebbe evidenziare E > 1. Ăˆ noto (T. Veblen) che i beni di lusso costituiscono una eccezione alla relazione funzionale tra quantitĂ domandata e prezzo nel senso che per esso scattano meccanismi per i quali đ?›żđ?‘ƒ > 0 implica δđ?‘„đ?‘‘ > 0 contro l’ipotesi canonica đ?›żđ?‘ƒ > 0 implica δđ?‘„đ?‘‘ < 0. In astratto si potrebbe pure supporre la condizione di assoluta non sazietĂ per i beni di lusso: prezzo maggiore implica quantitĂ domandata maggiore implicata da un reddito maggiore. (omissis)

Come riflessione credo sia importante osservare che la valutazione dei fatti economici del consumatore vada riferita sempre al concetto di reddito reale e quindi con particolare riguardo al potere d’acquisto.

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LE MIE RICERCHE RIFLESSIONI DIOFANTINE SULL’EQUAZIONE Y = AX + B Ăˆ ben noto che l’equazione y = ax + b individua per (a, b) ∈ R X R una retta del piano cartesiano đ?‘…2 . Il parametro a è detto inclinazione della retta mentre il parametro b è detto ordinata dell’origine. Le questioni della retta nel piano cartesiano sono ben note. L’equazione y = ax + b può essere considerata come una equazione diofantina (o diofantea) nel senso che vanno definite le necessarie restrizioni per (a, b) tali che per x intero risulti y intero (non necessariamente trattandosi di interi assoluti, o naturali). In termini del tutto equivalenti occorre considerare le opportune restrizioni su (a, b) di guisa si abbia (x, y) come coppia di interi ovvero sia (x, y) ∈ đ??ź0 X đ??ź0 . In particolare ∀(a, b) ∈ đ??ź0 X đ??ź0 e ∀x ∈đ??ź0 ⇒ y ∈đ??ź0 . Ăˆ immediato convincersene. Ăˆ anche immediato estendere le riflessioni all’insieme đ?‘?0 , essendo questo l’insieme degli interi relativi. Formalmente possiamo affermare che ∀(a, b) ∈đ?‘?0 X đ?‘?0 e ∀x ∈đ?‘?0 ⇒ y ∈ đ?‘?0 . Le cose si complicano quando (a, b) ∈đ?‘„Âą X đ?‘„Âą , ove đ?‘„Âą denota l’insieme dei razionali relativi. Ăˆ possibile quindi porre a = m/n e b = r/s. Ăˆ sufficiente limitarsi a considerare il caso di razionali assoluti. Quanto si considerano razionali muniti di segno, ovvero razionali relativi, la sostanza delle cose non muta. L’obiettivo infatti è assegnata la coppia (a, b) di numeri razionali dire quando per x intero pure y è un intero. ∀ (a= m/n ∈đ?‘„Âą , b = r/s∈đ?‘„Âą , đ?‘› ≠0 , đ?‘ ≠0) e ∀x ∈ đ?‘?0 ⇒ y ∈ đ?‘?0 or y ∈đ?‘„Âą . Sotto le condizioni poste y non può essere irrazionale. Il caso diviene banale quando si debba trattare il caso dell’equazione lineare, espressione della proporzionalitĂ diretta. In questo caso è immediato dimostrare che non esistono coppie intere (x, y) che verificano le condizioni. Da y = (m/n)x si evince immediatamente che per ogni coppia di interi (m, n) primi tra loro da x intero non discende mai y intero. Il caso della funzione affine y = ax + b con b ≠0 è molto meno immediato. Vi sono dei casi particolari che conducono alla inesistenza di soluzioni intere. Il caso della soluzione (0, b) si ha per b razionale apparente. Un caso particolare molto semplice è quello per il quale m / n = r/s per m = r e per n = s. Infatti in questo caso si avrebbe y = (m/n)(x+1). La quantitĂ (x+1) è intera sicuramente per x intero. Ma anche in questo caso si ricade nel caso precedente e quindi da x intero non è possibile avere y intero comunque si considerino due interi m ed n primi tra loro. Ma deve essere considerato pure un secondo caso – all’uopo ricordando il teorema degli equimultipli di Cantor. In effetti m / n = r/s vera per m = r e per n = s è pure vera per le coppie (kr , ks) per ogni k intero assoluto. Formalmente essa è vera anche per k intero relativo. Ăˆ pure immediato constatare che il problema non ammette soluzioni intere quando m/n = intero (ovvero quando m è un multiplo di n) e si ha r < s. In questo caso si avrebbe la somma di un intero (m/n)x e del razionale r/s è tale che y = (m/n)x + r/s < ((m/n)x+1). Ma (m/n)x > x quindi non può esistere un y intero in quanto y è maggiore di un numero e minore del successivo. A riflessioni analoghe, mutatis mutandis, si arriva quando si considera il caso y = ax – b (con b > 0). A condizioni di inesistenza si perviene pure quando a è un intero e r > s. In questi casi, applicando l’algoritmo di Euclide al numero razionale r/s > 1, si ha y = ax + qs + (đ?‘&#x;đ?‘’ / s) ove đ?‘&#x;đ?‘’ < s è il resto

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intero della divisione. Ăˆ immediato constatare che per x intero il numero (ax + qs) è intero ma il numero y “non può aspirare aâ€? essere intero perchĂŠ (đ?‘&#x;đ?‘’ / s) < 1. Pertanto y = ax + r/s non ammette soluzioni intere quando a ∈ N e (r,s) ∈ đ??ź0 X đ??ź0 . PiĂš in generale ∀ (x, y) con x ∈ đ?‘?0 │y = ax + r/s ⇒ (x, y) ∉ đ??ź0 X đ??ź0 ∀a: a ∈ đ??ź0 , ∀(r,s) ∈ đ?‘?0 X đ?‘?0 . Sono stati definiti una molteplicitĂ di casi in cui non possono esistere soluzioni intere. Resta da considerare il caso piĂš generale y = (m/n)x + (r/s) con m ed m primi tra loro e con r ed s primi tra loro. Dire che due interi sono primi tra loro significa semplicemente affermare che non è vera per essi la relazione “essere multiplo intero diâ€?. Esiste un caso pre-generale. Se si ammette che “m è multiplo intero di nâ€? è un assunto falso e se si ammette che “r è multiplo intero di sâ€? è parimenti un assunto falso, è ben possibile avere come caso particolare quello per il quale siano veri entrambi i due seguenti assunti:(1) m è multiplo intero di s secondo l’intero Îą; (2) r è multiplo intero di n secondo l’intero β. In questo caso si ottiene y = Îą(đ?‘ 2 )x(đ?‘›âˆ’1 ) + βn . Il numero Îą(đ?‘ 2 )x(đ?‘›âˆ’1 ) ∈ (0 ,1) quando l’intero x è tale che x < n/ms, non conduce a y intero. In questo caso, e quindi sotto le condizioni poste, eventuali soluzioni intere si hanno per x ≼ n/ms. Soddisfano le condizioni del problema gli x interi per i quali il numero msx è multiplo di n. Queste comunque sono argomentazioni parziali e il problema va considerato e termini piĂš generali che di fatto sono i seguenti. Dire quando per x intero il numero (m/n)x +(r/s) è intero quando m ed n siano primi tra loro e r ed s pure siano primi tra loro. In estrema sintesi per x intero il numero (m/n)x è razionale. Quindi deve essere stabilito in via generale a quali condizioni la somma di due razionali è un intero. Siano (a/b) e (c/d) i due razionali. Si consideri la loro somma (a/b) + (c/d) = (ad +cb)/bd. Ăˆ immediato constatare che detta somma non è un numero intero, quando esistono due interi (n-1) ed n tali che sia n-1 < (ad + cb)/db < n da cui db(n-1) < ad + cb < bdn. Giova osservare che i numeri db(n-1) e dbn sono due successivi multipli interi del numero bd. Verificate queste condizioni la somma di detti razionali non è un intero. Per pervenire al problema basta porre a = mx e b = n. Per queste ipotesi si discute il problema per il caso piĂš semplice y = (m/n)x + (c/d) quando da x intero assoluto per m/n ∈ đ?‘„+ = đ?‘ 0 X N e per c/d ∈ đ?‘„+ = đ?‘ 0 X N con (m, n) ≠( kr, ks) , ∀k: k ∈ N. Questa è comunque una sistemazione sommaria estensibile al caso y = (m/n)x – c/d. Dovrò verificare se (e in che misura) queste argomentazioni sono estensibili al caso di dover considerare razionali con il segno (relativi). Nel caso y = (m/n)x – c/d ho considerato c e d come coppia di đ?‘„+ piuttosto che considerare i scrivere y = (m/n)x + (c/d) con la condizione c/d < 0. PiĂš sopra conclusi le argomentazioni ricordando la necessitĂ di dover introdurre un problema generale, ovvero stabilire la condizione per la quale la somma di due numeri razionali propri è un razionale improprio ovvero un intero assoluto. Ăˆ ben evidente che le argomentazioni colĂ fornite, che costituiscono una prima introduzione delle problematiche, vanno precisate con riferimento ad un ulteriore importante contesto operativo, quello per il quale la somma di due numeri razionali è un razionale proprio. Per definizione un numero razionale (a , b) è proprio quando a < b ≠0. Ogni razionale proprio (a, b) è tale che (a, b) ∈ (0 , 1). Ăˆ ben evidente che la condizione necessaria ma non sufficiente affinchĂŠ la somma di due numeri razionali sia un razionale proprio è che essi siano razionali propri (entrambi). La non sufficienza della condizione è ben evidente quando si considerano due razionali appartenenti all’intervallo, aperto a destra e chiuso a sinistra, [

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1 2

, 1). In tali


condizioni è facile convincersi che detta somma vale una quantità ≥ 1. Ove, invece, i due razionali impropri siano appartenenti (entrambi) all’intervallo (0, ½) la condizione che la somma sia un razionale improprio è ben certa. Ove poi si ammetta che uno dei due razionali è eguale a ½ allora per l’altro deve essere imposta la condizione di appartenenza all’intervallo (0, ½). Nei termini più generali la formalizzazione algebrica è la seguente: 0 < (a/b) + (r/s) < 1, da cui ovviamente si ottiene as + rb < bs. Ma, ove si tenga conto della sostituzione ampiamente considerata nell’elaborato citato nelle prime righe, è anche possibile scrivere che msx + rb < bs da cui msx < bs – rb ovvero x < (bs – rb)/ms , limitandosi agli x interi tali che x ≤ [(bs – rb)/ms ]. Sotto le particolari condizioni il problema non ha soluzioni perché da x intero si ottiene y < 1 sicuramente non intero. Per a/b = r/s = ½ si ottiene y = 1 e x = 1. Quindi (1, 1) è soluzione intera. Quando a = mx > b si esce dal caso considerato in quanto la somma di un razionale improprio e di un razionale proprio è sicuramente un razionale apparente. È forse utile fare una precisazione terminologica. Dato un razionale assoluto a/b, ovvero (a , b), ove a e b sono interi, con b ≠ 0, esso è detto numero razionale assoluto proprio quando a < b, mentre è detto numero razionale assoluto improprio quando a > b. Quando a è multiplo di b, ovvero quando esiste un intero k tale che a = kb, allora il numero razionale definito è detto apparente. Alla coppia così definita è associato un numero intero. Quando a = b allora alla coppia (a, b) ∀a= b è associato il numero intero assoluto 1. Riflessioni analoghe possono essere fatte per i razionali relativi. I razionali relativi (con il segno, quindi) che appartengono all’intervallo ( -1 , 0) sono detti propri, mentre quelli appartenenti a ( -∞, -1) sono detti impropri. I razionali relativi apparenti di fatto coincidono con gli interi relativi. Va rimarcato che in ogni caso la seconda componente della coppia ordinata deve essere diversa da zero. È ovvio il caso di soluzione intera per a intero relativo e per x intero relativo. y è intero relativo per la chiusura sulla moltiplicazione. È già stato ricordato che non ci sono soluzioni per a razionale non apparente e per a irrazionale. Infatti, per a irrazionale, moltiplicando esso per qualunque intero x (dovendo trovare soluzioni intere!) il numero ax è irrazionale per ogni x intero. Fuori da questa limitazione le cose cambiano alquanto in 2

quanto il prodotto di due irrazionali ben può essere razionale, come, per esempio, (√2)(√2) = 22 = 2. Fermi restando i contenuti del paragrafo 1 della presente comunicazione è ben evidente che il problema non ammette soluzioni intere quando a/b < ½ e r/s < ½. In questo caso la somma dei numeri razionali è < 1. Ciò è vero per mx < b ovvero per x < b/m = n/m, tenendo conto che si considerano solo gli x interi, ovvero i numeri interi maggiori di zero e minori eguali di parte intera di b/m. Sia Ψdetto insieme (sottoinsieme di N). Si ha Ψ= {1, 2, ….., [b/m]}. La limitazione su x esprime la condizione che sia la somma dei razionali assegnati minore di uno, ovvero si tratti di un razionale proprio.

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pubblicazione a cura di Pascal McLee

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