Appunti Matematici 10

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

Andrej Nikolaevič Kolmogorov Tambov, 25 aprile 1903 Mosca, 20 ottobre 1987

numero 10 – ottobre 2015


Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

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Patrizio Gravano

(foto da un recente viaggio in Turchia)

APPUNTI MATEMATICI

In questo numero 

PILLOLE MATEMATICHE 1. Complementi di Analisi 1

PILLOLE MATEMATICHE 2. Esercizi relativi a integrali di linea e multipli

I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO. Andrej N. Kolmogorov

L’ANGOLO DEL FISICO. Introduzione ai fenomeni elettrici e magnetici

SUL PIANO STATISTICO. Il calcolo delle probabilità.

LE MIE RICERCHE 1. La stabilità. I diagrammi di Bode e Nysquit

LE MIE RICERCHE 2. Le economie di scala

LE MIE RICERCHE 3. L’ultimo teorema di Fermat

LE MIE RICERCHE 4. Soluzioni approssimate (… senza usare l’Analisi)

APPROFONDIMENTI ANALITICI 1. Integrazione complessa

APPRFONDIMENTI ANALITICI 2. La rappresentazione conforme

L’indice è già di per se rappresentativo dei contenuti di questo numero. Buona lettura!

Patrizio Gravano

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APPUNTI MATEMATICI

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PILLOLE MATEMATICHE 1

COMPLEMENTI DI ANALISI 1

1. Una importante diseguaglianza In Analisi è utile la seguente diseguaglianza, detta di Bernoulli, verificata per ogni x reale tale che x ∈ ⌋ -1 , +∞) .

APPUNTI MATEMATICI

La diseguaglianza è la seguente: (1 + đ?‘Ľ)đ?‘› ≼ 1 + nx.

Essa è immediatamente dimostrabile per induzione.

2. Esponenziale complesso Sia dato il numero complesso z = x + iy. Viene definito l’esponenziale complesso come segue: exp(z) = đ?‘’ đ?‘§ = đ?‘’ đ?‘Ľ (cosy + isiny) Sono conservate le proprietĂ della funzione esponenziale. E’ pure immediatamente ricavabile la forma polare del numero complesso z. z = a + ib = Ď đ?‘’ đ?‘–đ?œƒ

3. Teorema di Bolzano degli zeri e di Weirstrass dei minimo e massimo assoluti Sia f una funzione continua in ⌋a, bâŚŒ tale che f(a)f(b) < 0 allora esiste un punto đ?‘Ľ0 ∈ (a, b) tale che f(đ?‘Ľ0 ) = 0. Detto punto è unico se f è monotona in ⌋a, bâŚŒ. Se f: I → R e I è un intervallo se in esso la funzione è continua allora f(I) è un intervallo. Una funzione continua in ⌋a, bâŚŒ è ivi limitata. Infine, una funzione continua in ⌋a, bâŚŒ ha un minimo e un massimo assoluti.

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Patrizio Gravano 4. Derivata di funzione inversa Sia f crescente e derivabile in (a, b) con f’(x) ≠0 per ogni x ∈ (a, b). La funzione inversa đ?‘“ −1 è derivabile in (f(a), f(b) e la sua derivata è cosĂŹ formalizzata (đ?‘“ −1 )(y) =

1 � ′ (�)

APPUNTI MATEMATICI

5. Teoremi di Rolle, Lagrange e Cauchy Per ogni f di dominio ⌋a, b âŚŒ ivi continua e derivabile in (a, b) se si verifica che f(a) = f(b) allora esiste almeno un c in (a, b) tale che f’(c) = 0. Questa è la enunciazione del teorema di Rolle.

Sotto le medesime condizioni (stesse ipotesi) viene introdotto un ulteriore teorema, detto di Lagrange, Esso è anche detto teorema del valore medio . Per esso si ha che đ?‘“(đ?‘?)− đ?‘“(đ?‘Ž) đ?‘?−đ?‘Ž

= f’(c )

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APPUNTI MATEMATICI

Quando le medesime ipotesi dei citati teoremi sono date per due funzioni distinte, dette esse f e g, allora si ha đ?‘“(đ?‘?)− đ?‘“(đ?‘Ž) đ?‘”(đ?‘?)− đ?‘”(đ?‘Ž)

=

� ′ (�) �′ (�)

Questo enunciato è noto come teorema di Cauchy.

6. Sviluppo in serie di Taylor Bisogna por mente ad una nota figura, quella sottostante

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APPUNTI MATEMATICI

In termini operativi lo sviluppo in serie di Taylor approssima una funzione in un dato punto. L’approssimazione è data da una funzione polinomiale đ?‘ƒđ?‘› (đ?‘Ľ). La funzione data ammette derivata n-esima nel punto đ?‘Ľ0 ≠0. Il polinomio di Taylor con centro in đ?‘Ľ0 ≠0 della funzione f(x) è đ?‘ƒđ?‘› (đ?‘Ľ) = f(đ?‘Ľ0 ) + f’ (đ?‘Ľ0 )( x- đ?‘Ľ0 ) +

f’′ (�0 ) 2!

(x − đ?‘Ľ0 )2 + ‌‌. +

f(n) (đ?‘Ľ0 ) đ?‘›!

(x − đ?‘Ľ0 )đ?‘›

(ritratto di Brooke Taylor)

Si può scrivere f(x) = đ?‘ƒđ?‘› (đ?‘Ľ) + đ?‘…đ?‘› (đ?‘Ľ0 , x - đ?‘Ľ0 ) La quantitĂ đ?‘…đ?‘› (đ?‘Ľ0 , x - đ?‘Ľ0 ) è detta resto nella forma di Peano. Per le mie finalitĂ non è necessario esplicitare đ?‘…đ?‘› (đ?‘Ľ0 , x - đ?‘Ľ0 ). Quando đ?‘Ľ0 = 0 la formula di Taylor è detta sviluppo in serie di McLaurin. Per il resto esiste anche una seconda forma detta di Lagrange.

7. Integrazione di alcuni tipi particolari di funzioni

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7.1 Integrazione di funzioni goniometriche

Per risolvere alcuni integrali contenenti le funzioni trigonometriche è necessario utilizzare alcune note identitĂ , quali: đ?‘ đ?‘–đ?‘›2 (x) =

1−cos(2đ?‘Ľ)

đ?‘?đ?‘œđ?‘ 2 (x) =

1+cos(2đ?‘Ľ)

2

2

sin(x) cos(x) =

sin(2đ?‘Ľ) 2

APPUNTI MATEMATICI

Esse consentono di calcolare integrali del tipo âˆŤ đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?‘š (x) đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘› (x) dx ove m ed n sono due interi assoluti.

Per risolvere altri integrali quali âˆŤ sin(đ?‘Žđ?‘Ľ) cos(đ?‘?đ?‘Ľ) đ?‘‘đ?‘Ľ Per questi è utilissima la formula di Werner per la quale sin(ax) cos(bx) = ½ ⌋sin((a+b)x) + sin((a – b)x)âŚŒ Vi sono due casi particolari facilmente studiabili ovvero a = Âą đ?‘?. 7.2 Integrazione di funzioni razionali đ?‘?(đ?‘Ľ)

Vengono spesso calcolati integrali del tipo âˆŤ dx đ?‘ž(đ?‘Ľ) Per l’algoritmo di Euclide si ha p(x) = a(x)q(x) + r(x) đ?‘?(đ?‘Ľ)

Dividendo per q(x) ≠0 si ha che

đ?‘ž(đ?‘Ľ)

= a(x) +

đ?‘&#x;(đ?‘Ľ) đ?‘ž(đ?‘Ľ)

Vanno considerate le radici algebriche del polinomio q(x) ovvero gli x per i quali q(x) = 0. Esse sono al piĂš n, ove n è il grado, se đ?‘Žđ?‘– è radice di molteplicitĂ đ?‘&#x;đ?‘– La formula è ben nota. Ho deciso di sintetizzarla con una doppia sommatoria đ?‘?(đ?‘Ľ) đ?‘ž(đ?‘Ľ)

đ?‘&#x;đ?‘– = ∑đ?‘›đ?‘–=1 ∑đ??˝=1

đ??´đ?‘–đ?‘— (đ?‘Ľâˆ’ đ?‘Žđ?‘–

đ?‘&#x;

)đ?‘&#x;

đ?œ‘ + ∑đ?‘˜đ?‘–=đ?‘›+1 ∑đ?œ‘=1

đ??ľđ?‘–đ?œ‘ đ?‘Ľ + đ??śđ?‘–đ?œ‘ (đ?‘Ľ+ đ?‘?đ?‘– + đ?‘žđ?‘– )đ?œ‘

k è il grado del polinomio q(x).

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7.3 Integrazione di funzioni contenenti radicali

Molte volte si ha a che fare con integrali contenenti radicali. Per alcuni di essi è utile la sostituzione x = sinh(u) da cui dx = cosh(u)du, ricordando che 1 + (đ?‘ đ?‘–đ?‘›â„Ž)2 (x) = (đ?‘?đ?‘œđ?‘ â„Ž)2 (x) Essa è utile per risolvere âˆŤ √1 + đ?‘Ľ 2 dx Esso è peraltro risolubile con la sostituzione x = tg(t)

APPUNTI MATEMATICI

Per risolvere âˆŤ √1 − đ?‘Ľ 2 dx si può usare l’identitĂ pitagorica della trigonometria circolare (ben nota!).

8. La funzione Γ(x) e funzione densitĂ gamma +∞

Si dimostra che âˆŤ0

đ?‘Ľ đ?‘Ž đ?‘’ −đ?‘Ľ dx è convergente per a > - 1. +∞

Quando si ponga a > 0 si ottiene la funzione Γ(x) = âˆŤ0

đ?‘Ľ đ?‘Ž đ?‘’ −đ?‘Ľ dx a > 0.

Essa è molto nota nel Calcolo delle probabilitĂ e gode di alcune proprietĂ fondamentali. Γ(a + 1) = a Γ(a) Γ(1) = 1 Γ(n + 1) = n! La funzione f(x) = đ?‘Ľ đ?‘Ž đ?‘’ −đ?‘Ľ è chiamata funzione densitĂ Îł. Si dimostra che Γ(1/2) = √đ?œ‹

9. Criterio del confronto asintotico per le serie Questo criterio consente di stabilire se una serie converge (o diverge) quando è noto il comportamento dell’altra. ∞ Le serie ∑∞ đ?‘›=1 đ?‘Žđ?‘› e ∑đ?‘›=1 đ?‘?đ?‘› hanno lo stesso carattere quando lim

đ?‘Žđ?‘›

đ?‘›â†’+∞ đ?‘?đ?‘›

∞ Per k = 0 e ∑∞ đ?‘›=1 đ?‘Žđ?‘› converge allora ∑đ?‘›=1 đ?‘?đ?‘› converge pure. ∞ Per k = + ∞ e ∑∞ đ?‘›=1 đ?‘?đ?‘› diverge allora pure ∑đ?‘›=1 đ?‘Žđ?‘›

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diverge.

= k ≠0 ≠∞.


Patrizio Gravano 10. Criterio di condensazione Data una successione {đ?‘Žđ?‘– } di termini positivi e decrescenti, la serie ∑∞ đ?‘›=1 đ?‘Žđ?‘› converge se e ∞ đ?‘› solo se converge la serie ∑đ?‘›=1 2 đ?‘Ž2đ?‘›

APPUNTI MATEMATICI

11. Serie assolutamente convergenti

E’ agevole dimostrare che se la serie ∑∞ đ?‘›=1 ⎸đ?‘Žđ?‘› ⎸è convergente allora pure la serie ∞ ∑đ?‘›=1 đ?‘Žđ?‘› è convergente. Essa è detta serie assolutamente convergente.

12. Criterio di Leibnitz per le serie a segni alterni đ?‘› Questo criterio, dovuto a von Leibnitz riguarda serie del tipo ∑∞ đ?‘›=1(−1) đ?‘Žđ?‘› .

Detta serie è convergente se sono verificate le tre seguenti condizioni: đ?‘Žđ?‘› ≼ 0 lim đ?‘Žđ?‘› = 0

đ?‘› → +∞

đ?‘Žđ?‘›+1 ≤ đ?‘Žđ?‘› ∀ n : n ∈ N.

13. Criterio per confronto con l’integrale Se è data una funzione f positiva ovvero f(x) ≼ 0 e continua decrescente in ⌋1, +∞) +∞

allora si ha che ∑∞ đ?‘›=1 đ?‘“(đ?‘›) = âˆŤ1

đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ

hanno lo stesso carattere (divergono o

convergono entrambi).

14. Serie di potenze

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đ?‘› Per serie di potenze si intende una scrittura del tipo ∑∞ costituita da đ?‘›=0 đ?‘Žđ?‘› đ?‘Ľ đ?‘› termini di una successione moltiplicati per la variabile đ?‘Ľ .

In generale đ?‘Žđ?‘› đ?‘›đ?‘œđ?‘› è đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›đ?‘Ąđ?‘’.

15. Raggio e intervallo di convergenza đ?‘› La serie di potenze ∑∞ đ?‘›=0 đ?‘Žđ?‘› đ?‘Ľ è detta convergente con raggio di convergenza R > 0 (in casi particolari infinito) se essa converge per tutti gli x reali tali che ⎸x ⎸ < R e non converge per tutti gli x tali che ⎸x ⎸ > R.

APPUNTI MATEMATICI

đ?‘› La serie di potenze di centro đ?‘Ľ0 è definita come ∑∞ đ?‘›=0 đ?‘Žđ?‘› (đ?‘Ľ − đ?‘Ľ0 )

16. Derivazione e integrazione di serie đ?‘› Data una serie di potenze đ?‘“(đ?‘Ľ) = ∑∞ con raggio di convergenza R la đ?‘›=0 đ?‘Žđ?‘› đ?‘Ľ đ?‘›âˆ’1 funzione f(x) è derivabile per ogni x tale che ⎸x⎸ < R e si ha f’(x) = ∑∞ . đ?‘›=0 đ?‘›đ?‘Žđ?‘› đ?‘Ľ

Le due serie hanno il medesimo raggio di convergenza. đ?‘› Data f(x) = ∑∞ đ?‘›=0 đ?‘Žđ?‘› đ?‘Ľ con raggio di convergenza R la funzione f(x) è integrabile per ogni x tale che ⎸x⎸ < R e si ha đ?‘Ľ

đ?‘› âˆŤ0 đ?‘“(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = ∑∞ đ?‘›=0 đ?‘Žđ?‘› (đ?‘Ľ /n+1)

La serie integrale ha lo stesso raggio di convergenza della f(x).

PILLOLE MATEMATICHE 2

ESERCIZI RELATIVI A INTEGRALI DI LINEA E A INTEGRALI MULTIPLI

1. Integrali doppi

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1. Ho tratto gli esercizi tra quelli proposti dal Demidovic (Esercizi e problemi di analisi matematica). 2

1

âˆŤđ?‘œ đ?‘‘đ?‘Ś âˆŤ0 (đ?‘Ľ 2 +2y) dx 1

Considero âˆŤ0 (đ?‘Ľ 2 +2y) dx ammettendo che sia y una costante. 1

1

Si ha âˆŤ0 đ?‘Ľ 2 dx + âˆŤ0 2đ?‘Ś dx = 2

13 3

- 0 + 2y(1) – 0 =

1 3

+2y 2

1

1

2

1

2

Determino quindi âˆŤđ?‘œ (3 + 2y ) đ?‘‘đ?‘Ś avendo che âˆŤđ?‘œ (3 + 2y ) đ?‘‘đ?‘Ś = âˆŤđ?‘œ (3 ) đ?‘‘đ?‘Ś + âˆŤđ?‘œ (2y ) đ?‘‘đ?‘Ś = 22

(1/3)2 – 0 + 2( 2 ) – 0 =

2 3

+4=

APPUNTI MATEMATICI

2+12 3

=

14 3

2. Definizione dei limiti d integrazione di âˆŹ đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) dx dy 2.1

O = (0, 0), A = (2, 0), B = (2 , 1), C = (0, 1)

I quattro punti di date coordinate definiscono un rettangolo del I quadrante, coi lati coincidenti con gli assi e il quarto vertice nel punto B = (2, 1). 1

2

Pertanto si può scrivere che âˆŤ0 âˆŤ0 đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ś

2.2

Lo stesso ragionamento sotto le differenti condizioni x ≼ 0 , y ≼ 0 e x + y ≤ 1

Le prime due condizioni individuano sicuramente punti del I quadrante, assi compresi. Dalla x + y ≤ 1 si osserva che i punti rilevanti sono quelli del primo quadrante che non giacciono sopra la retta x + y = 1. Incidentalmente osservo che detta retta passa per (0 , 1) e per (1, 0). Basta annullare una delle variabili per ottenere il valore dell’altra. 1−đ?‘Ľ

Ciò posto i limiti di integrazione sono âˆŤ0

1

đ?‘‘đ?‘Ś âˆŤ0 đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ

2.3 Sotto le condizioni y ≼ x, x ≤ - 1 , y ≤ 1 La determinazione della figura utile a definire gli estremi di integrazione è data da due rette y = 1, x = - 1 e dalla retta bisettrice y = x del I e III quadrante. Si tratta di un triangolo rettangolo di vertici A = (- 1, -1), B = (-1, 1) e C = (1, 1).

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1

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đ?‘Ś

âˆŤâˆ’1 đ?‘‘đ?‘Ś âˆŤâˆ’1 đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ

2.4 Calcolare l’integrale doppio âˆŹđ?‘† đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ś essendo S il triangolo di vertici O = (0, 0), A = (1, 1), B = (0, 1). L’area rilevante ai fini della definizione degli estremi di integrazione è rettangolo in B risultando i punti O e A della bisettrice y = x. 1

đ?‘Ś

Detto integrale doppio risulta quindi il seguente âˆŤ0 đ?‘‘đ?‘Ś âˆŤ0 đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ľ

APPUNTI MATEMATICI

đ?‘Ś

đ?‘Ś

Si consideri âˆŤ0 đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ľ e lo si determini con il t. di Torricelli avendo che è âˆŤ0 đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ľ = 1 đ?‘Ś2

Quindi si determina âˆŤ0

2

đ?‘‘đ?‘Ś = ½ (

13 3

đ?‘Ś2 2

-0=

đ?‘Ś2 2

1 1

- 0) = 2*3 = 1/6

2.5 Traggo questo esempio da quelli proposti per la risoluzione da Stewart (Calcolo, Funzioni di piĂš variabili, Apogeo) âˆŹđ?‘… ( 6đ?‘Ľ 2 đ?‘Ś 3 - 5đ?‘Ś 4 ) dA R = {(x , y) : 0 ≤ x ≤ 2, 0 ≤ y ≤ 1} La formalizzazione è immediata. La regione R definisce un rettangolo del I quadrante e immediatamente è possibile scrivere 1

2

âˆŤ0 {âˆŤ0 ( 6đ?‘Ľ 2 đ?‘Ś 3 - 5đ?‘Ś 4 )dx} dy 2

A questo punto si determina l’integrale âˆŤ0 ( 6đ?‘Ľ 2 đ?‘Ś 3 - 5đ?‘Ś 4 )dx ove si ammetta y = cost.. 2

2

2

Applicando la linearitĂ dell’integrale si ha âˆŤ0 ( 6đ?‘Ľ 2 đ?‘Ś 3 - 5đ?‘Ś 4 )dx = âˆŤ0 6đ?‘Ľ 2 đ?‘Ś 3 dx - âˆŤ0 5đ?‘Ś 4 dx = 2

2

6đ?‘Ś 3 âˆŤ0 đ?‘Ľ 2 đ?‘‘đ?‘Ľ - 5đ?‘Ś 4 âˆŤ0 đ?‘‘đ?‘Ľ = 6đ?‘Ś 3

23 3

-5đ?‘Ś 4 (2) = 24 đ?‘Ś 3 -10đ?‘Ś 4

1

âˆŤ0 {24 đ?‘Ś 3 − 10đ?‘Ś 4 } dy Esso è un normale integrale di immediato calcolo.

2.6. Integrali iterati da Stewart (op. cit.). 1

đ?‘Ľ2

âˆŤ0 âˆŤ0 (đ?‘Ľ + 2đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ľ

14


Patrizio Gravano

A contrariis rispetto alle risoluzioni precedenti la R rilevante è la regione delimitata l’arco parabolico di equazione y = đ?‘Ľ 2 del primo quadrante, delimitato ulteriormente dalla retta y = 1. Posso osservare che y = đ?‘Ľ 2 con 0 ≤ x ≤ 1 conduce a x = √đ?‘Ś đ?‘Ľ2

đ?‘Ľ2

Posso determinare âˆŤ0 (√đ?‘Ś + 2đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘Ľ2

đ?‘Ľ2

âˆŤ0 (√đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś + âˆŤ0 (2đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś = 12

âˆŤ0 3 đ?‘Ľ 3 + đ?‘Ľ 4 đ?‘‘đ?‘Ľ =

2 14 3 4

+

15 5

3/2 (đ?‘Ľ 2 ) 3/2

=

applicando la linearitĂ si ha âˆŤ0 (√đ?‘Ś + 2đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘Ľ4

=

2

− 0 + 2 2 - 0 = 3 đ?‘Ľ3 + đ?‘Ľ4

11 30

APPUNTI MATEMATICI

Calcolo del seguente integrale doppio âˆŹđ??ˇ đ?‘Ľ 3 đ?‘Ś 2 đ?‘‘đ??´ D = {(x, y) : 0 ≤ x ≤ 2, - x ≤ y ≤ x} La “costruzioneâ€? dell’integrale doppio deve tenere conto della condizione sulla x ovvero che è 0 ≤ x ≤ 2. Essa conduce a 2

2

âˆŤ0 âˆŤâˆ’2 đ?‘Ľ 3 đ?‘Ś 2 dydx Infatti, la regione D è ridefinibile perchĂŠ y è tale che - đ?‘Ľđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ ≤ y ≤ đ?‘Ľđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ ove đ?‘Ľđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ = 2. Essa è costituita da due quadrati di lato L = 2, simmetrici rispetto all’asse delle x. 2

23

2

âˆŤâˆ’2 đ?‘Ľ 3 đ?‘Ś 2dy = đ?‘Ľ 3 âˆŤâˆ’2 đ?‘Ś 2 dy = đ?‘Ľ 3 ( 3 – 2 16đ?‘Ľ 3

Determino ora âˆŤ0

3

dx =

16 24 * 3 4

=

(−2)3 ) 3 26 3

23 3

=2đ?‘Ľ 3 ( )=

16đ?‘Ľ 3 3

quindi‌..

âˆŹđ??ˇ đ?‘Ś 3 dA ove D è la regione triangolare di vertici (0, 2), (1, 1) e (3, 2). La rappresentazione cartesiana evidenzia che si tratta di un triangolo avente un vertice nel punto (1,1) di minimo e un lato di lunghezza 3 parallelo all’asse delle x. Il segmento di perpendicolare condotto da (1,1) alla retta su cui è staccato il lato parallelo all’asse delle x divide il triangolo dato in due triangoli rettangoli. Sia f(x) la funzione analitica della retta per (0,2) e (1,1) e sia g(x) la funzione analitica della retta per (1,1) e (3,2). E’ bene esplicitare le due funzioni della x come segue.

15


f(x) = ax + b =

1−2 1−0

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x + 2 = - 2x + 2

g(x) = a’x + b’ . Per essa si ha a’ =

2−1 3−1

=

2 3 2

PoichÊ detta curva passa per (1,1) allora da g(x) = a’x + b’ si ha 1 = 3*1 + b’ ⇒ b’ = 1 – 2/3 =

1 3

2

1 3

In definitiva g(x) = a’x + b’ = 3 � +

Per la linearità dell’integrale doppio si ha 1

APPUNTI MATEMATICI

2

3

2

đ?‘Ľ+

âˆŹđ??ˇ đ?‘Ś 3 dA = âˆŤ0 âˆŤâˆ’2đ?‘Ľ+2 đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Śđ?‘‘đ?‘Ľ + âˆŤ1 âˆŤ13

1 3

đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Śđ?‘‘đ?‘Ľ ove F(x,y) = đ?‘Ś 3 .

Il tutto sembra coerente. Lo sviluppo formale sembra il seguente 2

2

âˆŤâˆ’2đ?‘Ľ+2 đ??š(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś = âˆŤđ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘Ś 3 đ?‘‘đ?‘Ś = 1 24

âˆŤ0

4

–

(đ?‘“(đ?‘Ľ))4 4

24 4

–

(đ?‘“(đ?‘Ľ))4 4

dx

Tralascio gli sviluppi operativi dell’esercizio per considerare un caso generale. Nella sede eserciziale mi sono imbattuto in questo integrale indefinito. âˆŤâŚ‹đ?‘“(đ?‘Ľ)âŚŒđ?‘› dx , n > 1 ove f: R → R Pongo f(x) = u Applicando l’operatore di derivata ad ambo i membri ottengo che f(x) = u ⇒

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

f(x) =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

u ⇒ f’(x) =

�� ��

⇒ f’(x)dx = du ⇒ dx =

�� �′ (�)

f’(x) è la derivata prima di f(x). Ciò premesso l’integrale di partenza diviene âˆŤâŚ‹đ?‘“(đ?‘Ľ)âŚŒđ?‘› E’ possibile porre

�� �′

�� �′ (�)

=âˆŤ

⌋đ?‘“(đ?‘Ľ)âŚŒđ?‘› đ?‘“′ (đ?‘‹)

��

du = âˆŤ đ?‘˘â€˛ du

= h(u(f(x)))

′

h(u) = �� ≤ � Esempio 1 . Se fosse f(x) = � � . Allora la funzione integranda in x sarebbe

16

(đ?‘’ đ?‘Ľ )đ?‘› đ?‘’đ?‘Ľ

= (đ?‘’ đ?‘Ľ )đ?‘›âˆ’1 .


Patrizio Gravano

Tenendo opportunamente conto della sostituzione f(x) = u la funzione integranda sarebbe h(u) = đ?‘˘đ?‘›âˆ’1 đ?‘?đ?‘œđ?‘› đ?‘› > 1. A questo punto si tratta di gestire âˆŤ đ?‘˘đ?‘›âˆ’1du =

đ?‘˘(đ?‘›âˆ’1)+ 1 đ?‘›âˆ’1+1

+ cost. =

�� �

+ cost. =

(đ?‘’ đ?‘Ľ )đ?‘› đ?‘›

�� �� �

âˆŤ đ?‘˘đ?‘› du =

+ cost.

Esempio 2. f(x) = ax + b = u(f(x)) Si ottiene che f’(x) = đ??ˇđ?‘Ľ ax + b = a + 0 = a đ?‘˘đ?‘› đ?‘Ž

1 đ?‘Ž

1 ��+1 � �+1

APPUNTI MATEMATICI

Pertanto la funzione integranda diviene cost. .

e l’integrale diviene âˆŤ

=

+

2. Integrali di linea Gli esercizi sugli integrali di linea sono tratti da Stewart, Calcolo. Funzioni di piĂš variabili. âˆŤđ??ś đ?‘Śđ?‘‘đ?‘ , ove la curva C è, in forma parametrica, x = đ?‘Ą 2 , y = t, 0 ≤ t ≤ 2.

2.1

PoichÊ la curva è già assegnata in forma parametrica è possibile utilizzare la formula risolutiva, ovvero 2

đ?‘‘đ?‘Ľ

2

đ?‘‘đ?‘Ś

âˆŤđ??ś đ?‘Śđ?‘‘đ?‘ = âˆŤ0 đ?‘Ś √( đ?‘‘đ?‘Ą )2 + ( đ?‘‘đ?‘Ą )2 dt = âˆŤ0 đ?‘Ą √(2đ?‘Ą)2 + 1 dt di facile determinazione.

đ?‘Ś

âˆŤđ??ś (đ?‘Ľ )đ?‘‘đ?‘ ove la curva C è x = đ?‘Ą 4 e y = đ?‘Ą 3 ½ ≤ t ≤ 1

2.2 đ?‘Ś

1

đ?‘Ś

đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?‘‘đ?‘Ś

1

âˆŤđ??ś (đ?‘Ľ )đ?‘‘đ?‘ = âˆŤ1/2 (đ?‘Ľ ) √( đ?‘‘đ?‘Ą )2 + ( đ?‘‘đ?‘Ą )2 dt = âˆŤ1/2 (đ?‘Ą −1 ) √(4đ?‘Ą 3 )2 + (3đ?‘Ą 2 )2 dt Nei casi 2.1 e 2.2 è possibile mandare sotto radicale la t ottenendo, dopo le opportune semplificazioni, una funzione g(t) e quindi un integrale del tipo âˆŤ √đ?‘”(đ?‘Ą) dt. Esso è gestibile con la sostituzione g(t) = u. Applicando l’operatore derivata ai due membri si ha diviene âˆŤ √đ?‘˘

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

�� �′ (�)

g(t) =

�� ��

⇒ g’(x) dt = du ⇒ dt =

�� �′ (�)

. Pertanto il nuovo integrale indefinito

�

= âˆŤ √đ?‘˘â€˛2 du , ove u’ è la derivata prima di u.

Quando si hanno integrali definiti e si procede alla sostituzione i nuovi estremi di integrazione vanno ridefiniti. Vedi la voce “Integrazione per sostituzione� di Wikipedia.

17


Patrizio Gravano

3. Primitive di funzioni integrande del tipo (đ?’‡(đ?’™))−đ?’? con n ≼ 1 E’ possibile estendere, mutatis mutandis, le considerazioni precedenti nel modo che segue. E’ utile ricordare che (đ?‘“(đ?‘Ľ))−đ?‘› =

1 (đ?‘“(đ?‘Ľ))đ?‘›

con n ≼ 1

Sia f: R → đ?‘… âˆś đ?‘“ ′ (đ?‘Ľ)đ?‘’đ?‘ đ?‘–đ?‘ đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘“đ?‘–đ?‘›đ?‘–đ?‘Ąđ?‘Ž đ?‘–đ?‘› đ?‘‘đ?‘œđ?‘š đ?‘“. 1

Sia F(x) = âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ľ) dx . Si può introdurre la sostituzione f(x) = u dalla quale discende immediatamente

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ 1

f(x) =

�� ��

⇒ f’(x) =

�(�)=�

Ciò posto si ha âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ľ) dx →

�� ��

⇒ f’(x) dx = du ⇒ dx =

�� . �′ (�)

APPUNTI MATEMATICI 1 ��

1

âˆŤ đ?‘˘ đ?‘˘â€˛ = âˆŤ đ?‘˘ đ?‘˘â€˛ du.

Si può ammettere che u*u’ = φ(u). Per la posizione fatta la funzione đ?œ‘(đ?‘˘) è riconducibile ad una funzione in x, per sostituzione inversa. Se f(x) è una funzione affine la funzione integranda in x sarĂ di primo grado. 1

1

Formalmente posso scrivere âˆŤ đ?‘˘ đ?‘˘â€˛ du = âˆŤ đ?œ‘(đ?‘˘)du = ln⎸φ(u)⎸+ cost. Se f(x) è una funzione polinomiale ed n > 1 allora il grado della funzione ottenuta per trasformazione inversa della funzione φ(u) è di grado n(n-1). 1

In generale deve considerarsi il caso per il quale n > 1, ovvero âˆŤ (đ?‘“(đ?‘Ľ))đ?‘› dx Posto f(x) = u si ha, come noto, dx = 1

�� �′ (�)

�(�)=�

Pertanto posso porre âˆŤ dx → (đ?‘“(đ?‘Ľ))đ?‘›

essendo f’(x) = u’. 1 ��

1

âˆŤ đ?‘˘đ?‘› * đ?‘˘â€˛ = âˆŤ đ?‘˘đ?‘› đ?‘˘â€˛du. 1

Osservo che anche in questo caso đ?‘˘đ?‘› u’ = đ?œ‘đ?‘› (đ?‘˘), quindi posso porre âˆŤ đ?‘˘đ?‘› đ?‘˘â€˛du = âˆŤ đ?œ‘ ln( ⎸đ?œ‘đ?‘› (đ?‘˘) ⎸)+ cost.

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1 du � (�)

=


Patrizio Gravano

I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO

ANDREY N. KOLMOGOROV

1. Gli assiomi di probabilità Un fondamentale contributo del matematico russo è sicuramente rappresentato dalla assiomatizzazione della probabilità. Come si vedrà ampiamente nella rubrica SUL PIANO STATISTICO, la probabilità è la quantificazione della possibilità.

APPUNTI MATEMATICI

Sia dato un dado numerato coi numeri da 1 a 6. L’uscita del numero 1, quindi l’evento “esce il numero 1” è un evento possibile. L’uscita del numero 7, quindi l’evento “esce il numero 7” è un evento impossibile. E’ facilmente definibile l’evento certo. Se ci si limita a un solo lancio l’evento “esce un numero compreso tra 1 e 6” è un evento certo. Infatti lanciando un dado esce una faccia con un numero da 1 a 6. Questo ragionamento, estensibile, mutatis mutandis, ad altre esperienze, definisce tre autonome tipologie di eventi: 1)

evento impossibile;

2)

evento possibile;

3)

evento certo.

Ad ognuno di questi casi, mutuamente esclusivi, è associato un numero che definisce la probabilità del verificarsi dell’evento stesso. Evento impossibile ⟷ probabilità nulla del verificarsi dell’evento, formalmente P(e) = 0; Evento certo ⟷ probabilità unitaria del suo verificarsi (l’evento si verificherà sicuramente con predizione a priori), formalmente P(e) = 1; Evento possibile ⟷ (0 < P(e) < 1). Ci si potrebbe chiedere quanto vale, in questo caso, P(e) ? La risposta è: dipende ! Bisogna fare un passo indietro. Bisogna introdurre un concetto importante, quello di equiprobabilità. Un esempio chiarisce tutto. Nel lancio di un dado non vi è ragione alcuna che sia più facile che esca una faccia piuttosto che un’altra. Nel caso del dato la probabilità che esca

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Patrizio Gravano

la faccia 2, per esempio, è 1/6, Ma 1/6 è la probabilitĂ che esca qualunque altra faccia, la 1, la 3, la 4, la 5 o la 6. Quindi nel caso di un evento possibile P(e) tiene conto della equiprobabilitĂ . Il suo concreto valore di P(e) dipende dal particolare contesto nel quale si opera. Se si pensa all’estrazione di una carta da un mazzo, bisogna tenere conto del numero delle carte che lo compongono. Bisogna sempre avere riguardo alla definizione dell’evento che si considera. Un evento potrebbe essere definito come “uscita della faccia 6 in due successivi lanciâ€? , qui si ha, come ovvio P(e) =

11 66

=

1 36

APPUNTI MATEMATICI

In questi casi si ammette che la successiva uscita della faccia 6 non sia in alcun modo influenzata dall’evento elementare precedente. I due eventi elementari “prima uscitaâ€? e “seconda uscitaâ€? sono indipendenti. Molte volte le cose si complicano perchĂŠ eventi costituiti da eventi elementari che si succedono nel tempo definiscono contesti inoperativi. Se si ha un mazzo costituito da k carte distinte la probabilitĂ che si verifichi l’evento “escono due carte eguali in due successive estrazioniâ€? è un evento possibile con probabilitĂ P(e) = oppure P(e) =

1 đ?‘˜

11 đ?‘˜đ?‘˜

=

1 đ?‘˜2

< 1 se dopo il primo step la carta viene reinserita nel mazzo,

* 0 = 0 ⤌ evento impossibile, se non c’è il reinserimento della carta nel

mazzo, quando essa è uscita al primo step. Non sempre, nel contesto di eventi “molecolariâ€?, costituiti da eventi basici, si può parlare di indipendenza, anzi in alcuni casi si realizzano condizioni di dipendenza, quanto al valore di P(e). Vorrei esemplificare con il giuoco del lotto. Se l’evento è “primo estratto pari, secondo estratto pariâ€?, la probabilitĂ non differisce in ragione del verificarsi del primo evento elementare “primo estratto pariâ€?, quando il termine estratto viene ricollocato nell’urna. Pertanto se la probabilitĂ che “il primo estratto è pariâ€? vale ½ allora la probabilitĂ che “il secondo estratto sia pariâ€? è parimenti ½. Le cose sembrano complicarsi quando – come avviene nel gioco del lotto – all’estrazione di un numero non segue il reimbussolamento. Infatti se il primo estratto è pari allora la probabilitĂ che sia “secondo estratto pariâ€? risulta essere

đ?‘›âˆ’1 2đ?‘›âˆ’1

, mentre se il primo estratto è dispari allora la probabilità che sia

“secondo estratto pari� risulta essere

đ?‘› . 2đ?‘›âˆ’1

2n è il numero di numeri estraibili. Nel gioco

del lotto 2n = 90.

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Patrizio Gravano

Ho deciso per casi del genere riferirmi al concetto di peggiore delle ipotesi. Nel caso del non reimbussolamento, quindi, la probabilitĂ associata all’evento “primo estratto pari, đ?‘›âˆ’1

secondo estratto pariâ€? è P(e) = (½)2đ?‘›âˆ’1 =

đ?‘›âˆ’1 4đ?‘›âˆ’2

<Âź

Tali riflessioni dovrebbero potersi estendere al caso di eventi ancor piĂš complessi del tipo “primo estratto pari, secondo estratto pari, terzo estratto pariâ€?. In questo caso deve qualitativamente essere P(e) <

1 23

1

Nel caso di k eventi successivi si avrebbe P(e) = ½

đ?‘›âˆ’1 đ?‘›âˆ’2 đ?‘›âˆ’đ?‘˜+1 ‌ ‌ ‌ . 2đ?‘›âˆ’đ?‘˜+1 2đ?‘›âˆ’1 2đ?‘›âˆ’2

= 8. <

1 2đ?‘˜

APPUNTI MATEMATICI

Per il caso k = 3 ovvero in relazione all’evento “primo estratto pari, secondo estratto pari, terzo estratto pariâ€? la corrispondente P(e) = ½(

đ?‘›âˆ’1 đ?‘›âˆ’2 ) 2đ?‘›âˆ’1 2đ?‘›âˆ’2

đ?‘›âˆ’1

đ?‘›âˆ’2

đ?‘›âˆ’2

= ½(2đ?‘›âˆ’1 2(đ?‘›âˆ’1)) = (Âź)2đ?‘›âˆ’1

Nelle mie assunzioni devo ipotizzare k << n. Vorrei concludere ricordando l’ulteriore assioma di Kolmogorov. Esso è a fondamento di quesiti del genere: quale è la probabilitĂ che da una urna contenente i numeri da 1 a k esca o il numero 2 o il numero 3 in una unica estrazione. E’ ben evidente che i due possibili esiti “è uscito il numero 2â€? e “è uscito il numero 3â€? sono mutuamente esclusivi, non essendo ammissibili contemporaneamente. L’evento “esce il numero 2 o il numero 3â€? è scomponibile in due eventi elementari “esce il numero 2â€? e “esce il numero 3â€?. Detti eventi sono incompatibili ed equiprobabili. La probabilitĂ che esca il numero 2 è 1/k, parimenti la probabilitĂ che esca il numero 3 è 1/k. Si ammette che la probabilitĂ che si verifichi l’evento “esce il numero 2 oppure il numero 1

3â€? è đ?‘˜ +

1 đ?‘˜

=

2 đ?‘˜

Questo prospetto sintetizza gli assiomi di probabilitĂ di Kolmogorov.

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Patrizio Gravano

Tale tabella riferisce anche della esistenza di eventi detti incompatibili. E’ impossibile l’evento “esce il numero 2 e il numero 3 in una estrazioneâ€?. P(Ί) = 1 definisce l’evento certo, ovvero l’evento che definisce l’evento Ί inteso come la somma logica dei possibili eventi elementari. Con riferimento al lancio di un dado l’evento Ί è Ί = “esce la faccia 1, oppure la faccia 2, oppure la faccia 3, oppure la faccia 4, oppure la faccia 5, oppure la faccia 6â€?. Nella rubrica SUL PIANO STATISTICO introdurrò gli sviluppi della probabilitĂ in modo piĂš formale, a partire dalla formula di Laplace.

APPUNTI MATEMATICI 2. Le Ďƒ-algebre Dato un evento E la scrittura P(E), probabilitĂ che si verifichi l’evento E, è detta anche funzione di probabilitĂ o distribuzione di probabilitĂ . Viene definito un insieme S, detto spazio campione, i cui elementi sono tutti i possibili esisti di A (quindi sottoinsiemi propri di S). La terna (S, A, P) è detta spazio di probabilitĂ . A costituisce una classe additiva. In pratica è un insieme i cui elementi sono tutti i possibili eventi. Ho rielaborato in sintesi la voceâ€?ProbabilitĂ â€? di Wikipedia, osservando, ad evitare confusione che se gli eventi sono definiti dal formalismo đ??´đ?‘– allora l’unione di un numero discreto di essi è pure elemento di A. Quando sono dati n eventi đ??´đ?‘– allora l’evento ⋃đ?‘›đ?‘–=1 đ??´đ?‘– ∈ A potendo anche dirsi che ⋃đ?‘›đ?‘–=1 đ??´đ?‘– = S, ovvero è lo spazio campione. Rispetto alla formulazione intuitiva degli assiomi si può dire che ad ogni elemento đ??´đ?‘– ∈ A corrisponde un numero reale non negativo P(A) detto probabilitĂ di A. Va rimarcato quindi il concetto di Ďƒ-algebra. Una trattazione interessante si trova in Wikipedia alla voce â€œĎƒ-algebreâ€?. Ho deciso di sintetizzare Sia dato un insieme S. Si definisce Ďƒ-algebra su S, una famiglia F di sottoinsiemi di S tali che: 1) se A ∈ F allora đ??´đ?‘? ∈ F, ove đ??´đ?‘? è l’insieme complementare di A, rispetto ad S; 2) Se gli đ??´đ?‘– di una famiglia numerabile di insiemi âŚƒđ??´đ?‘– ⌄ sono in F allora ⋃∞ đ?‘–=1 đ??´đ?‘– ∈ F. Ciò premesso vorrei osservare che F è un insieme avente per elementi gli insiemi âŚƒđ??´đ?‘– ⌄ e che ⋃∞ đ?‘–=1 đ??´đ?‘– ∈ F. Nelle applicazioni si ha solitamente un numero finito di eventi possibili. Pertanto quando si opera concretamente il simbolo ∞ può essere sostituito da n finito.

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Patrizio Gravano

Queste osservazioni sono alla base della formalizzazione degli assiomi. Fu detto che P(S) = 1. Il quarto assioma dice che “se l’intersezione tra due eventi A e B è vuota, allora P(AâˆŞB) = P(A) + P(B)â€?. Dire che la intersezione di A e B è vuota vuol dire che i due eventi sono mutuamente esclusivi. Se si verifica A (B) non si verifica B (A). Ma P(AâˆŞB) quantifica la probabilitĂ che si verifichi o l’evento A o l’evento B, (non tutti e due insieme) è immediatamente eguale alla somma delle probabilitĂ che si verifichino i due eventi.

APPUNTI MATEMATICI

Ho rinvenuto un quindi postulato scritto in un formalismo abbastanza complesso.

Esso recita: “Se đ??´đ?‘› è una successione decrescente di eventi e al tendere di n all’infinito tende all’insieme vuoto si ha lim đ?‘ƒ(đ??´đ?‘› ) = 0â€? đ?‘›â†’+∞

Di questo postulato che può apparire astruso me ne sono dato una giustificazione abbastanza intuitiva, nel senso che se mi è noto che un oggetto puntiforme c sia collocato sicuramente entro un volume V allora P( c in V) = 1, ma se ragiono di un un volumetto infinitesimo dV di V devo ritenere che P(c in dV) = 0.

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L’ANGOLO DEL FISICO

Patrizio Gravano

INTRODUZIONE AI FENOMENI ELETTRICI E MAGNETICI

1. Prime osservazioni sui fenomeni elettrici e definizione del campo elettrico

Il punto di partenza dell’elettromagnetismo è costituito dal concetto di carica elettrica.

APPUNTI MATEMATICI

I corpi possono essere elettricamente neutri, oppure dotati di carica positiva o di carica negativa. I corpi macroscopici possono distinguersi in isolanti (detti anche dielettrici), in conduttori, nei quali le cariche elettriche si muovono con una certa facilitĂ , e semiconduttori, con proprietĂ intermedie tra quelle dei conduttori e quelle degli isolanti. La sottostante figura individua le cariche positive e la relativa convenzione delle linee del campo elettrico generato da esse.

Nel definire le cariche positive e negative c’è un che di arbitrarietĂ , o meglio di convenzionalitĂ . Si noti che solitamente sono le cariche elettriche negative a muoversi. E’ noto che gli atomi sono costituiti da un nucleo centrale, costituito da particelle neutre e cariche positivamente (i neutroni e i protoni, rispettivamente) e da elettroni periferici, carichi negativamente. L’atomo in condizioni ordinarie e neutro, in quanto costituito da un numero di cariche positive eguali al numero delle cariche negative periferiche (gli elettroni). Esistono anche atomi dotati di una carica elettrica netta positiva (ioni positivi a anioni) e atomi carichi negativamente (ioni negativi o cationi). In questi due casi il numero degli elettroni differisce dal numero dei protoni, che nei fenomeni che solitamente si considerano, è assunto costante. Un corpo carico ha una carica che è sempre un multiplo della carica dell’elettrone. Se il corpo è carico negativamente la sua carica negativa đ?‘„− = ne, mentre se esso e carico positivamente la sua đ?‘„+ = n|e|, ove n è un numero intero arbitrariamente grande mentre e è il valore della carica dell’elettrone. Si esprime ciò dicendo che la carica elettrica è quantizzata.

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Patrizio Gravano

L’unitĂ di misura della carica elettrica nel Sistema internazionale di misura è il coulomb. Esso è solitamente indicato con la lettera C. La carica dell’elettrone, in valore assoluto, vale e = 1,602*10−19 C. Nelle interazioni la carica elettrica si conserva. Nel corso del XVIII secolo è stato accertato che corpi aventi la carica dello stesso segno si respingono e corpi aventi cariche di segno opposto si attraggono. Il modulo della forza di attrazione (o di repulsione, a seconda dei casi) è dovuta al francese Charles Augustin Coulomb ed è data da F = k

|đ?‘„1 ||đ?‘„2 | đ?‘‘2

. k è una costante detta dielettrica del vuoto

APPUNTI MATEMATICI

đ?‘­

Occorre ora definire il vettore campo elettrico E. Matematicamente si ha che E = lim . � →0 q

In termini scalari si ha F = qE. Occorre definire l’unitĂ di misura del campo elettrico. Essa è, nel Sistema internazionale, đ?‘›đ?‘’đ?‘¤đ?‘Ąđ?‘œđ?‘› đ?‘?đ?‘œđ?‘˘đ?‘™đ?‘œđ?‘šđ?‘?

Come diretta conseguenza della legge di Coulomb, considerato un sistema di riferimento di origine O, se il vettore posizione della carica è đ?’“đ?’’ si ha che il campo elettrico in un punto distinto dal punto ove è collocata la carica r, ovvero E(r) =

đ??Ťâˆ’ đ??Ťđ??? đ?‘¸ đ?&#x;’đ??…đ?œşđ?&#x;Ž |đ??Ťâˆ’ đ??Ťđ??? |đ?&#x;‘

Per il campo elettrico si ha E = - gradV = - ∇V Come si evince anche graficamente il campo elettrico è un campo vettoriale. Deve essere definita una ulteriore grandezza scalare detta densitĂ di carica Ď = Ď (x, y, z) Viene quindi definito il flusso del campo elettrico nel modo seguente đ?›ˇ(đ?‘Ź) =

1 âˆŤ đ?œ€0 đ?‘‰

Ď (x, y, z)dV =

đ?‘„đ?‘–đ?‘›đ?‘Ą , đ?œ€0

Si dimostra anche che ∇E =

ove đ?‘„đ?‘–đ?‘›đ?‘Ą è la carica totale racchiusa nel volume V. đ?œŒ đ?œ€0

(prima equazione di Maxwell).

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Patrizio Gravano

2. Cariche elettriche in movimento ordinato: la corrente elettrica La corrente elettrica è costituita da un movimento ordinato di cariche elettriche. Nei casi piĂš semplici ci si riferisce al movimento ordinato e unidirezionale di cariche elettriche negative, gli elettroni, che si realizza in particolari materiali, detti conduttori, quali il rame e l’argento. Si parla, al riguardo, di correnti continue. In realtĂ gli sviluppi della tecnologia hanno portato, come vedremo, alla realizzazione di dispositivi che producono correnti dette alternate, in genere sinusoidali.

APPUNTI MATEMATICI

3. Le principali grandezze elettriche e le loro unitĂ di misura Occorre definire due grandezze elettriche fondamentali: l’intensitĂ di corrente elettrica e il potenziale elettrico (o differenza di potenziale elettrico). L’intensitĂ di corrente elettrica è matematicamente definita come i =

đ?‘‘đ?‘ž . đ?‘‘đ?‘Ą

Essa si misura quindi in đ?‘?đ?‘œđ?‘˘đ?‘™đ?‘œđ?‘šđ?‘?â „đ?‘ đ?‘’đ?‘?.. Questa grandezza ha come unitĂ di misura l’ampere (A). Dato il campo elettrico E viene definito differenza di potenziale elettrico tra due punti a e b la seguente

đ?‘Š đ?‘ž

đ?‘?

đ?‘?

= ΔV = đ?‘‰đ?‘Ž −đ?‘‰đ?‘? = âˆŤđ?‘Ž đ?‘Ź ∗ đ?‘‘đ?’? = âˆŤđ?‘Ž E cos(φ)dl, φ è l’angolo tra il vettore campo

elettrico e la retta passante per a e b. W è il lavoro compiuto sulla carica q in spostamento dal punto a al punto b. L’unitĂ di misura del potenziale (e quindi anche della differenza di potenziale) è il volt. Da

đ?‘Š đ?‘ž

= ΔV si comprende che 1 volt =

1 đ?‘—đ?‘Žđ?‘˘đ?‘™đ?‘’ . 1 đ?‘?đ?‘œđ?‘˘đ?‘™đ?‘œđ?‘šđ?‘?

4. Un primo semplice circuito elettrico

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Patrizio Gravano

Questo semplice circuito elettrico contiene un generatore di f.e.m. (una batteria, per esempio). Nella teoria dei circuiti si definisce un verso convenzionale di percorrenza delle correnti. Si osserva che la corrente è data uscente dal morsetto positivo essa arriva nel punto A (detto tecnicamente “nodo”) e si distribuisce entro tre resistenze. Solo se le tre resistenze sono eguali le tre correnti che attraversano i resistori sono eguali. Vedremo successivamente che relazioni esistono tra le correnti e i valori delle resistenze. Comunque al punto B (altro nodo del circuito) giunge una corrente I eguale alla somma delle correnti uscenti dai resistori ed ovviamente eguale a quella entrante nel nodo A.

APPUNTI MATEMATICI

5. Terminologia di base sui circuiti

Tensione a vuoto. Tra i due morsetti c’è aria o un dielettrico (= isolante). Non circola corrente. Non ci sono cadute di tensione. Corrente di corto circuito. La si ottiene collegando i morsetti con un cavo conduttore (sostituendo un bipolo circuito aperto con un bipolo corto circuito). La corrente circolante (corrente di corto circuito) si determina applicando la seconda legge di Kirckhoff alla maglia ottenuta. Maglia (circuito chiuso). Maglia indipendente (detta anello). In esse non ci sono intersezioni. Nodo (intersezione di almeno tre lati, nella topologia dei circuiti sinonimo di morsetto) Lato (elemento circuitale tra due nodi)

6. La resistenza elettrica Nel circuito precedente, come si è detto, sono presenti tre resistori. Essi hanno una proprietà fisica detta resistenza elettrica. Per i resistori si utilizza un simbolo ben noto, il seguente

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Patrizio Gravano

Per i resistori valgono le leggi sperimentali di Ohm.

Sperimentalmente si osserva che facendo fluire una corrente nota I si può misurare ai capi del resistore una caduta di tensione (una differenza di potenziale) data in forma lineare come đ?›Ľđ?‘‰ = đ?‘…đ??ź , đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ R è una costante che caratterizza proprietĂ fisiche del resistore. Se si ammette che la corrente (in senso convenzionale) si muova da sinistra verso destra il morsetto destro đ?‘‰đ?‘˘ sarĂ tale che đ?‘‰đ?‘– −đ?‘‰đ?‘˘ = RI â&#x;š −đ?‘‰đ?‘˘ = RI - đ?‘‰đ?‘– â&#x;š đ?‘‰đ?‘˘ = đ?‘‰đ?‘– - IR. In realtĂ la prima legge di Ohm si mette in una forma ancora piĂš semplice, scrivendo che V = RI , ove V indica direttamente la differenza đ?‘‰đ?‘– −đ?‘‰đ?‘˘ > 0.

APPUNTI MATEMATICI

Essa può essere scritta come R =

đ?‘‰ . đ??ź

Questa espressione offre lo spunto per definire

l’unitĂ di misura della resistenza che è detto ohm =

đ?‘Łđ?‘œđ?‘™đ?‘Ą đ?‘Žđ?‘šđ?‘?đ?‘’đ?‘&#x;đ?‘’

.

đ??ż đ??´

In effetti esiste anche una seconda legge di Ohm per la quale R = Ď . Detta legge contiene una costante di proporzionalitĂ che dipende sostanzialmente da due distinti fattori, la natura fisica del conduttore (rame, argento, etc) ma anche dalla temperatura. Per il suo dimensionamento fisico si può ragionare come segue. A primo membro si hanno ohm a secondo membro si hanno le dimensioni incognite di Ď e le dimensioni del đ?‘š rapporto che è dato in (đ?‘šđ?‘š)2 . Pertanto Ď deve essere dimensionata in ohm per l’inverso del dimensionamento del rapporto

đ??ż đ??´

(đ?‘šđ?‘š)2 đ?‘š

ovvero ohm*

. Si hanno anche i millimetri perchÊ la sezione A è misurata

in millimetri quadrati. Solitamente le resistenze vengono espresse nel modo seguente: resistore di 10 ohm si scrive R = 10đ?›ş . In genere i circuiti elementari contengono sempre piĂš resistenze, opportunamente collocate. Quello della figura sottostante è un esempio di resistenze in serie (o cascata). Esse sono attraversate tutte dalle medesima corrente I. Esse sono equivalenti ad una unica resistenza đ?‘…1 + đ?‘…2 + đ?‘…3 . Per esse la legge di Ohm vale V = I(đ?‘…1 +đ?‘…2 +đ?‘…3 )

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Patrizio Gravano

In generale la caduta di tensione per il caso di n resistenze in serie è V =I(∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘…đ?‘– ). Una diversa configurazione si ha con le resistenze in derivazione (o in parallelo).

APPUNTI MATEMATICI Questa figura indica n resistenze in derivazione. Ai capi di ognuna di esse si misura la stessa differenza di potenziale, pertanto la corrente circolante in esse dipende essenzialmente dal valore đ?‘…đ?‘– Se tutte le resistenze fossero eguali la corrente circolante in ognuna di esse sarebbe I =

đ??źđ?‘Ąđ?‘œđ?‘Ą . đ?‘›

Nel caso della derivazione risulta costante la tensione ai capi di ciascuna di esse. Nel caso di due sole resistenze in derivazione il modello è molto semplice V = đ??ź1 đ?‘…1 = đ??ź2 đ?‘…2 đ??ź1 +đ??ź2 = I Evidentemente le correnti fluiscono in ragione inversa della resistenza. Ma da đ??ź1 +đ??ź2 = I è possibile scrivere

� �1

+

� �2

=

� ������.

â&#x;š

1 đ?‘…1

+

1 đ?‘…2

=

1 ������.

V è costante per la ragione detta đ?‘…đ?‘’đ?‘žđ?‘˘đ?‘–đ?‘Ł. è la resistenza equivalente del parallelo. E’ cioè quella resistenza che sostituita alle due in parallelo rende equivalenti i due circuiti. Questo ragionamento è estensibile al caso di n resistori di data resistenza, avendosi 1 đ?‘…đ?‘’đ?‘žđ?‘˘đ?‘–đ?‘Ł.

1

= ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘… . đ?‘–

La grandezza G =

1 đ?‘…

è detta conduttanza.

Quando le resistenze sono misurate in ohm essa è misurata in siemens.

29


Patrizio Gravano 7. Effetto termico della corrente Uno degli effetti della corrente surriscaldamento di un resistore.

elettrica

è

quello

termico,

consistente

nel

Dalla formula della potenza P = VI e dalla formula di Ohm V = RI si ricava per mera sostituzione P = RII = Rđ??ź 2 che si dissipa nel resistore. Occorre tenere conto che in un circuito la potenza erogata e quella dissipata si annullano algebricamente.

APPUNTI MATEMATICI

8. La capacitĂ e il condensatore Oltre ai resistori si utilizza un ulteriore elemento circuitale detto condensatore. Anche in questo caso si tratta di un bipolo (con due morsetti). Fisicamente, nei casi piĂš semplici, si tratta di due piastre parallele di conduttore poste a distanza d. Tra esse è collocato un isolante (o dielettrico). La carica Q che si deposita sulle armature (+Q e –Q, rispettivamente) è proporzionale alla differenza di potenziale tra le armature, secondo la legge costitutiva del condensatore che è Q =CV. La costante C è tipica del dipolo ed è una proprietĂ fisica chiamata capacitĂ . Da C =

� �

si evince che la capacità di un condensatore è misurata in

đ?‘?đ?‘œđ?‘˘đ?‘™đ?‘œđ?‘šđ?‘? . đ?‘Łđ?‘œđ?‘™đ?‘Ą

L’unitĂ di misura della capacità è, nel S.I., il farad e piĂš speso i suoi sottomultipli.

Derivando Q = CV rispetto al tempo si ottiene la legge costitutiva del condensatore i(t) = C(dv/dt). Se C è costante il condensatore è lineare. C potrebbe non essere costante nel tempo. V è la causa Q è l’effetto. Tra le armature non passa corrente.

30


Patrizio Gravano

Nel caso di condensatore con armature piane e parallele si ha C = ÎľS/d L’energia immagazzinata in un condensatore sotto forma di energia potenziale elettrostatica è W = (1/2)Cđ?‘Ł 2 .

I condensatori possono essere disposti in serie e in derivazione.

APPUNTI MATEMATICI Nel caso dei condensatori in serie si ha

1 đ??śđ?‘’đ?‘žđ?‘˘đ?‘–đ?‘Ł.

1

= ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ??ś

đ?‘–

Per il caso di condensatori in parallelo si ha ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘…đ?‘– = đ?‘…đ?‘’đ?‘žđ?‘˘đ?‘–đ?‘Ł.

9. L’effetto magnetico della corrente. Il campo B di induzione

Ulteriore effetto della corrente elettrica è la generazione di un campo, detto di induzione magnetica, definito dal vettore B. La regola della mano destra definisce la direzione e il verso della forza. I vettori v e B sono complanari, mentre il vettore F = qvXB è perpendicolare al piano di v e di B, q è la carica della particella. La forza magnetica è sempre perpendicolare a v e a B. L’unitĂ di misura del modulo del vettore B è il tesla. Si dimostra che 1 tesla =

đ?‘›đ?‘’đ?‘¤đ?‘Ąđ?‘œđ?‘› đ?‘Žđ?‘šđ?‘?đ?‘’đ?‘&#x;đ?‘’∗đ?‘šđ?‘’đ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘œ

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Per quanto attiene al campo magnetico dovuto ad una corrente che passa in un conduttore rettilineo di lunghezza infinita si dimostra che il modulo di B vale B =

đ?œ‡đ?‘œ đ?‘– 2đ?œ‹ đ?‘…

La

direzione della corrente è sempre quella del pollice della mano destra. L’unitĂ di misura del campo di induzione magnetica è stata attribuita per ricordare la memoria del fisico sperimentale croato N. Tesla che dedicò la vita allo studio dei fenomeni magnetici.

APPUNTI MATEMATICI In questa foto il serbo Nikola Tesla, studioso di campi magnetici.

10. Il solenoide La figura sotto riprodotta evidenzia un solenoide percorso da una corrente i.

Per determinare il modulo del vettore induzione magnetica all’interno del solenoide si utilizza la formula di Ampere riferita ad un cammino chiuso (circuitazione). Essa è la seguente ∎ đ?‘Š ∗ đ?‘‘đ?’“ = đ?œ‡0 đ?‘–đ?‘?â„Žđ?‘–đ?‘˘đ?‘ đ?‘œ Riferendosi quindi alla corrente che circola entro una linea chiusa amperiana. Detto integrale di circuitazione è la somma di 4 integrali di linea due dei quali nulli perchĂŠ in due di essi i vettori B e dr sono ortogonali, quindi detti prodotti scalari sono nulli. Un terzo è nullo perchĂŠ all’esterno si ammette sia nullo il campo di induzione. Pertanto si ha che ∎ đ?‘Š ∗ đ?‘‘đ?’“ = đ?œ‡0 đ?‘–đ?‘?â„Žđ?‘–đ?‘˘đ?‘ đ?‘œ = Bh, essendo h la lunghezza del solenoide. La corrente che circola nel solenoide e che quindi contribuisce a B è đ?‘–đ?‘?â„Žđ?‘–đ?‘˘đ?‘ đ?‘œ =i*n*h ove n è il numero di spire per unitĂ di lunghezza.

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Pertanto si ha B*h = đ?œ‡0 * i*n*h da cui si ottiene B dividendo per h.

11. Generatori di d.d.p. e di corrente

APPUNTI MATEMATICI I generatori di f.e.m. sono dipoli che determinano una differenza di potenziale data V tra i morsetti. In realtĂ si preferisce riferirsi ai generatori reali di forza elettromotrice che definiscono una d.d.p. V dovendo però tenersi conto della resistenza interna e quindi a circuito chiuso di una caduta di tensione dovuta alla “resistenza internaâ€?, đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘›đ?‘Ą . Pertanto a circuito chiuso, circolando una corrente i, la tensione generata vale đ?‘‰đ?‘&#x;đ?‘’đ?‘Žđ?‘™đ?‘’ = đ?‘‰đ?‘–đ?‘‘đ?‘’đ?‘Žđ?‘™đ?‘’ – (đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘›đ?‘Ą )i Anche per i generatori di corrente si fa una distinzione analoga.

12. I principi di Kirchhoff Questi due principi sono alla base della risoluzione dei circuiti elettrici e quindi della determinazione delle correnti che percorrono i vari rami di un circuito. Un nodo è l’intersezione tra due o piĂš rami di un circuito. Il primo principio ammette che in un nodo la somma algebrica delle correnti sia nulla. Detta in altri termini, la somma delle correnti entranti deve costantemente essere eguale alla somma delle correnti uscenti. Formalmente ∑ đ?‘– = 0 Esiste un secondo principio detto delle tensioni. Il secondo principio di Kirckhoff è detto delle maglie e si pone nella forma ∑ đ?‘‰ = 0. In buona sostanza partendo da un punto di un anello si considerano i generatori e gli elementi passivi. Ritornando in quel punto si otterrĂ che la d.d.p. del generatore è eguale alla somma delle cadute di tensione dovute agli utilizzatori (dipoli passivi). Un esempio chiarirĂ i termini della questione.

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Consideriamo il caso di un circuito giĂ esaminato.

APPUNTI MATEMATICI

Si ammetta che al morsetto negativo del generatore di f.e.m. la tensione sia đ?‘‰âˆ’ .

Al morsetto positivo essa è E. PoichĂŠ il circuito è chiuso ivi circola una corrente i. Ai morsetti delle tre resistenze sono misurabili tre cadute di tensione. Per il principio di Kirckhoff si ha che đ?‘‰âˆ’ + E - đ?‘‰1 −đ?‘‰2 −đ?‘‰3 = đ?‘‰âˆ’ da cui formalmente E - đ?‘‰1 −đ?‘‰2 −đ?‘‰3 = 0, ovvero ∑ đ?‘‰ = 0.

13. Circuiti lineari. La sovrapposizione degli effetti I circuiti contenenti generatori di f.e.m. e/o di corrente e resistori, induttori e condensatori sono detti lineari. In astratto per lo studio dei circuiti lineari è sufficiente trovare le correnti che circolano nei vari rami. Ciò è possibile usando i principi appena enuncianti. PoichĂŠ però i circuiti sono in genere molto complessi vengono utilizzati diversi metodi quali la sovrapposizione degli effetti e il teorema di Thevenin. Il principio di sovrapposizione degli effetti si applica quando il circuito contiene piĂš generatori (di corrente o di f.e.m.). In pratica si considera il contributo di un generatore alla volta. Ad esempio, se un circuito contiene un generatore di f.e.m, e un generatore di corrente, prima si considera il solo generatore di f.e.m. (togliendo il generatore di corrente e sostituendolo idealmente con un bipolo circuito aperto) quindi si considera l’effetto dovuto al generatore di corrente sostituendo il generatore di f.e.m. con un bipolo cortocircuito ideale.

14. Il teorema di Thevenin Nel caso di circuito lineare è utilizzabile un altro teorema, quello di Thevenin.

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In pratica si considerano due punti di un ramo di un circuito e si ammette di togliere almeno un dipolo (quello tra i due punti). Si studia la rimanente parte del circuito che alla fine risulterĂ costituita da un generatore equivalente in serie con una resistenza. Detti elementi sono detti generatore e resistenza di Thevenin e si indicano solitamente comunemente con le nozioni đ?‘‰đ?‘‡â„Ž đ?‘’ đ?‘…đ?‘‡â„Ž . La đ?‘‰đ?‘‡â„Ž è semplicemente la tensione tra i due punti, a morsetti aperti (ovvero senza il bipolo). Per determinare la resistenza đ?‘…đ?‘‡â„Ž si opera in due tempi:

APPUNTI MATEMATICI

1) si rende passiva la rete da esaminare;

2) si determina la resistenza equivalente della rete resa passiva, immaginando che nei punti di taglio (quelli ove si immagina staccato il dipolo) vi sia un generatore, rendendo piĂš facile vedere paralleli e serie. CosĂŹ procedendo si ottiene una resistenza equivalente. Il circuito equivalente di Thevenin (costituito, come detto da un generatore e da un resistore in serie con esso) è equivalente a quello esaminato e ad esso potrĂ essere collegato il dipolo (o i dipoli) contenuto tra i punti considerati. Questo ultimo dipolo è in serie con il generatore e con la resistenza di Thevenin. In realtĂ esistono anche altri teoremi che sono utili nello studio dei circuiti, oggetto dell’elettrotecnica.

15. La giunzione p-n. Il diodo ideale e quello reale Vi sono atomi che hanno nel livello piĂš esterno (quello di valenza) 4 elettroni. Essi hanno un comportamento intermedio tra i conduttori e gli isolanti, essendo sostanzialmente deboli conduttori.

Ciò vale per il silicio, il germanio e l’arseniuro di gallio.

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Dette sostanze sono dette semiconduttori. La loro modesta conduttività, detta intrinseca, si spiega con l’agitazione termica che scalza gli elettroni e con le lacune. Per aumentare la conduttività, usando campi elettrici modesti, si attua il doping, ovvero l’inserimento nella struttura cristallina del silicio e del germanio di impurità di atomi pentavalenti e trivalenti, rispettivamente. E’ ben evidente che l’inserimento della struttura cristallina del silicio di un elemento pentavalente, quale ad esempio il fosforo, fa si che vi sia un esubero di elettroni (5-4= 1) dipendente dagli atomi di fosforo inseriti. Con l’inserimento di atoni di un trivalente, per esempio il boro, si realizza la situazione opposta, rendendo esistenti delle lacune.

APPUNTI MATEMATICI

La prima tipologia di doping è detta impurità di tipo n.

La seconda tipologia di drogaggio porta alla formazione di una impurità di tipo p. Gli effetti di conduzione si hanno collegando fisicamente le due impurità e realizzando la giunzione p-n.

Una giunzione p-n può essere collegata ad un generatore (per esempio ad una batteria). Ai fini della conduzione è rilevante la sola polarizzazione diretta.

Essa si realizza congiungendo il morsetto positivo di un generatore di f.e.m. con la zona p della giunzione.

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In polarizzazione inversa si ha solo una debolissima corrente detta di saturazione, che si considera comunque trascurabile. Dalla tecnologia delle giunzioni p-n deriva il diodo. Esso conduce se polarizzato direttamente.

APPUNTI MATEMATICI Questo grafico rappresenta la cosiddetta curva caratteristica del diodo. Con considerazioni teoriche che esulano dai contenuti introduttivi di questa scheda si dimostra che il diodo è equivalente ad un generatore di f.e.m. di - 0,5 V e di una resistenza interna detta đ?‘&#x;đ?‘‘ .

16. Circuiti contenenti diodi Vanno considerati alcuni circuiti elementari contenenti diodi.

Questo semplice circuito è immediatamente trattabile per esempio quando đ?‘‰đ?‘– tensione continua (ottenuta per esempio con una pila).

è una

Se, come si vede dalla figura, si opera in polarizzazione diretta il diodo è in conduzione e per determinare la tensione đ?‘‰0 ai capi del resistore R. Per determinare đ?‘‰0 occorre preliminarmente determinare la corrente del circuito. Essa si ottiene immediatamente (come incognita) della equazione di maglia ponendo che il diodo sia sostituito idealmente da una forza - đ?‘‰đ?‘‘ e da un resistore đ?‘&#x;đ?‘‘ .

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Pertanto si ha che đ?‘‰đ?‘– - đ?‘‰0 - i đ?‘&#x;đ?‘‘ − i R = 0 â&#x;š đ?‘‰đ?‘– - đ?‘‰0 = i (đ?‘&#x;đ?‘‘ + R) â&#x;š i

đ?‘‰đ?‘– − đ?‘‰0 đ?‘&#x;đ?‘‘ + R

con i =i(t) =

cost.. In ipotesi di polarizzazione negativa si ammette che il diodo non conduca e il modello equivalente prevede che il diodo sia rappresentato da un bipolo circuito aperto. In casi del genere non vi è conduzione di corrente. In realtà questa modellizzazione non tiene conto della debolissima corrente di saturazione, che però si trascura.

APPUNTI MATEMATICI

Se si decidesse di collegare un generatore di f.e.m. alternata si avrebbe che il diodo conduce per un semiperiodo e si comporta come bipolo corto circuito per un successivo semiperiodo. Per i circuiti in alternata si utilizzano circuiti che hanno la funzione di rendere circa costante la tensione collegando opportunamente, come si vedrà nel futuro, i vari diodi. Un ben noto circuito contenente diodi è il circuito raddrizzatore seguente.

La figura è ben chiarificatrice. Si ha in ingresso una corrente alternata e i due diodi sono disposti in modo che uno di essi conduca (sia cioè polarizzato direttamente) quando l’altro non conduce (nel semiperiodo in cui è polarizzato inversamente). La tensione di uscita è quella del grafico di destra. Molte volte si ammette che il diodo sia ideale, quindi sia đ?‘&#x;đ?‘‘ = 0. Ma questo non sempre può essere ammesso quindi in generale al catodo del diodo si ha una caduta di tensione che ovviamente si ripercuote sulla tensione ai morsetti del carico R. In realtĂ esistono circuiti ancora piĂš sofisticati come quello seguente.

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APPUNTI MATEMATICI

In questo circuito i diodi in conduzione sono sempre due.

In realtà i circuiti reali sono sempre più complessi perché contengono almeno un condensatore che la funzione di livellare la tensione di uscita, evitando le ondulazioni.

17. L’effetto transistor e i transistori Nel 1947-48 i Laboratori Bell erano attivamente impegnati nelle ricerche che portarono alla costruzione dei transistori. La storia dei transistori incominciò negli Anni Venti in Canada quando il fisico J.E. Lilienfeld elaborò un modello di transistore simile agli attuali transitori ad effetto di campo (noti anche come FET). In realtà l’implementazione della tecnologia dei transistori è dovuta al fisico americano William Shockley, a cui si deve la formulazione del cosiddetto effetto transistor. Salvi i successivi approfondimenti considero i soli transistori a giunzione, detti anche “sandwich transistor”. Essi valsero al fisico americano il Premio Nobel per la fisica nel 1956, unitamente ai suoi colleghi Walter Brattain e John Bardeen. Esistono due tipologie di transitori a giunzione, detti anche BJT (bipolar junction transistor). Essi sono detti transistori a giunzione n – p – n e p – n – p rispettivamente.

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Nella seconda corrispondenti.

parte

della

APPUNTI MATEMATICI figura

sono

pure

rappresentati

i

simboli

circuitali

Ne va descritto il funzionamento evidenziando il significato dell’effetto transistor e le funzioni di conduzione e di amplificazione e l’uso come interruttore. Va innanzitutto osservato che i transistori hanno tre terminali, solitamente chiamati base (B), collettore (C) ed emettitore (E). Ci si può riferire al caso del BJT n-p-n. Esiste una configurazione circuitale particolare per la quale si ha đ?‘‰đ??¸ = 0. Essa è detta configurazione ad emettitore comune. Per capire i funzionamento ideale del transistore, poi in effetti esistono circuiti piĂš sofisticati, si consideri un BJT di tipo n-p-n, E’ definita una maglia detta di base, costituita dal morsetto di emettitore E, da un generatore di ddp in continua đ?‘‰đ??ľđ??ľ da una resistenza đ?‘…đ??ľ e dalla giunzione p-n (in pratica assimilabile ad un diodo). Per essa maglia vale il principio delle maglie, avendosi đ?‘‰đ??¸ + đ?‘‰đ??ľđ??ľ - đ?‘–đ??ľ đ?‘…đ??ľ - đ?‘‰đ??ľđ??¸ = đ?‘‰đ??¸ = 0. đ?‘‰đ??ľđ??¸ = đ?‘‰đ??ľ è un dato del costruttore. Esiste una seconda maglia, detta di collettore, nella quale circola una corrente di emettitore, đ?‘–đ?‘’ . Essa, partendo da E contiene un generatore đ?‘‰đ?‘?đ?‘? di fem continua (una pila) e una resistenza detta di collettore. L’equazione dell’anello è: đ?‘‰đ??¸ + đ?‘‰đ??śđ??ś - đ?‘–đ?‘? đ?‘…đ?‘? - đ?‘‰đ??ľđ??¸ = đ?‘‰đ??¸ = 0. Dal punto di vista delle correnti, trascurando debolissime correnti inverse, dovute al movimento delle cariche minoritarie, si ha (assimilando il transistore ad un nodo) che đ?‘–đ??¸ = đ?‘–đ??ľ + đ?‘–đ??ś Quando il transistore opera in regime di amplificazione di corrente si osserva che đ?‘–đ??ś >> đ?‘–đ??ľ .

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Viene definito â„Žđ??šđ??¸ =

đ?‘–đ?‘? đ?‘–đ??ľ

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come guadagno di corrente in continua.

In ciò sta l’essenza dell’effetto transistor. Se si vogliono avere questi effetti sulla corrente occorre che sia đ?‘‰đ??ľđ??¸ = 0.7 V. Ma, come detto, il transistore può funzionare come interruttore, quindi in stato ON o in stato OFF. Per lo stato OFF la risposta è semplice: occorre đ?‘‰đ??ľđ??¸ < 0. La giunzione p-n (diodo che la rappresenta) è polarizzato inversamente.

APPUNTI MATEMATICI

Quindi è schematizzabile come un bipolo circuito aperto ideale.

Il circuito è in condizione ON (saturazione) quando le tensioni di saturazione sono: đ?‘‰đ??śđ??¸ = Âą 0,2 V e đ?‘‰đ??ľđ??¸ = Âą 0,8 V (a seconda che siano n-p-n oppure p-n-p). Giova osservare che questa è una rappresentazione molto semplificata dalla realtĂ in quanto nel funzionamento lineare, quando vige l’equazione di amplificazione, il transistore è collegato a reti di resistenze piĂš complesse, dette di polarizzazione.

Riproduco una noticella di una delle mie prime riflessioni sui transistori

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APPUNTI MATEMATICI

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APPUNTI MATEMATICI

18. Il trasformatore

Il trasformatore è un elemento circuitale costituito da due bobine aventi un diverso numero di spire. La funzione del trasformatore è sostanzialmente quella di trasformare la tensione di rete in una tensione minore (trasformatore abbassatore). Simmetricamente è definito anche un trasformatore che esplica la funzione inversa (trasformatore elevatore). La parte di sinistra è detta primario. Essa è costituita da đ?‘ đ?‘? spire. In essa si ha una tensione đ?‘‰đ?‘? .

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Nel secondario vi è un numero đ?‘ đ?‘ di spire. Tra il primario e il secondario è inserito materiale ferromagnetico (vedi § 20). La legge del trasformatore è La quantitĂ

đ?‘ đ?‘? đ?‘ đ?‘

đ?‘‰đ?‘? đ?‘‰đ?‘

=

đ?‘ đ?‘? đ?‘ đ?‘

è detta rapporto di trasformazione.

Le correnti circolanti stanno in rapporto inverso rispetto alle tensioni, in quanto deve essere đ?‘ƒđ?‘? = đ?‘ƒđ?‘ , ove P indica la potenza. Il trasformatore ha anche un importante significato storico in quanto il primo fu l’anello a induzione, che consentĂŹ a Faraday la scoperta della prima legge di induzione.

APPUNTI MATEMATICI

19. L’induzione elettromagnetica Occorre partire dalla definizione del vettore B detto vettore induzione magnetica. In realtĂ esiste un’altra grandezza vettoriale che definisce il campo magnetico, essa è il vettore intensitĂ di campo magnetico, denotato con la lettera H. Detti vettori sono coordinati da una grandezza scalare e sono quindi linearmente dipendenti e paralleli. B=ÎźH La grandezza Îź è detta permeabilitĂ magnetica del mezzo. L’intensitĂ del campo magnetico H è misurata in A/m. Se Îź è costante si dice che il mezzo è lineare. Scoperto l’effetto magnetico della corrente elettrica ci si chiede se fosse possibile il caso contrario, ovvero se fosse possibile avere una corrente a partire da un campo magnetico. Fu merito di Faraday scoprire che un campo magnetico variabile nel tempo generava una corrente elettrica (1831). PiĂš semplicemente le osservazioni sperimentali evidenziarono che per produrre una corrente era sufficiente un moto relativo tra il campo e il circuito, o un cambiamento di forma di esso. La tensione indotta V è espressa da una relazione del tipo V = -

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

ÎŚ(t) .

Ai fini dell’introduzione delle questioni è quindi necessario, dato B considerare una ulteriore grandezza (scalare), detta flusso di campo magnetico denotata con il formalismo đ?›ˇđ??ľ .

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Data una superficie aperta delimitata da un contorno chiuso il flusso è dato dal seguente integrale đ?›ˇđ??ľ = âˆŤ đ??ľ ∗ đ?‘‘đ??´ Vi è da dire che il vettore dA è perpendicolare alla superficie dA.

APPUNTI MATEMATICI Se B è ortogonale a A e quindi parallelo al vettore normale ad A allora đ?›ˇđ??ľ = BA L’unitĂ di misura del flusso magnetico è il weber, risultando esso eguale a 1 tesla*đ?‘š2 . Al fisico sperimentale inglese Faraday (qui sotto in foto) e ai fisici Newmann e Lenz è dovuta la sistemazione della legge di induzione.

Il segno meno nella espressione dell’induzione è espressione della conservazione dell’energia in quanto V a circuito chiuso genera una corrente indotta che produce un campo di induzione che tende a compensare la variazione del flusso che ha generato V. Si hanno due situazioni: 1)

campo magnetico variabile → campo elettrico;

2)

campo elettrico variabile → corrente elettrica → campo magnetico.

Gli sviluppi costituiscono oggetto della legge di Ampere_Maxwell che sarà oggetto di approfondimento. Va dato qualche cenno sul fenomeno detto di autoinduzione, che da conto della legge costitutiva dell’induttore.

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La tensione ai capi di un induttore L è – come noto – data da đ?‘‰đ??ż = -

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

đ?‘‘

ÎŚ(t) = - Lđ?‘‘đ?‘Ą i(t).

đ?‘‘

Occorre dare conto di đ?‘‰đ??ż = - Lđ?‘‘đ?‘Ą i(t). La spiegazione è immediata: corrente i(t) → campo di induzione B tale che B âˆ? i(t) → đ?›ˇđ??ľ âˆ? I. Occorre introdurre una costante di proporzionalitĂ L detta coefficiente di autoinduzione. L dipende dalla geometria del circuito. Se i(t) varia nel tempo varia pure đ?›ˇđ??ľ (đ?‘Ą) avendosi però che è đ?›ˇđ??ľ (đ?‘Ą) = L i(t).

APPUNTI MATEMATICI

Viene a crearsi una V autoindotta proporzionale a L.

20. Motivazione del magnetismo e isteresi magnetica Già è stato introdotto il vettore B detto di induzione magnetica. Mentre esistono cariche elettrihe isolate, positive o negative, non esistono, almeno ordinariamente, monopoli magnetici. Dididendo in due la calamita in figura si avranno due magneti con poli positivo e negativo.

E’ noto che B = Îź H. Come giĂ detto, la grandezza Îź è detta permeabilitĂ magnetica del mezzo. L’intensitĂ del campo magnetico H è misurata in A/m. Se Îź è costante si dice che il mezzo è lineare.

Come si vede dal grafico non per tutti i materiali Îź resta costante al variare di H.

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In realtĂ si ha Îź = đ?œ‡0 đ?œ‡đ?‘&#x; ove la quantitĂ đ?œ‡0 è una costante detta permeabilitĂ magnetica del vuoto, che vale 4Ď€*10−7 Come detto, per i materiali ferromagnetici đ?œ‡đ?‘&#x; non è costante al crescere di H assumendo valori >> 1

APPUNTI MATEMATICI Le proprietĂ ferromagnetiche di certe sostanze si spiegano con la disposizione degli elettroni che ruotando formano un campo magnetico che sommato settorialmente di fatto definisce il campo B (in senso macroscopico). Le proprietĂ ferromagnetiche son riconducibili agli elettroni orbitanti. Va ora dato conto di un ulteriore fenomeno detto isteresi magnetica. Quello dell’isteresi è un concetto applicabile in svariati settori della fisica ed è stato formulato in generale da J. A. Ewing (1890). Essa è in generale definita come “la caratteristica di un sistema di reagire in ritardo alle sollecitazioni applicate e in dipendenza dello stato precedenteâ€?.

All’origine dei tempi stiamo in O in quanto H = 0 poi si fa passare una corrente crescente i(t) fino a giungere ad đ??ťđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ per il dato materiale ferromagnetico si arriva a B = S poi si diminuisce i(t) diminuisce di conseguenza H e quindi anche B. L’andamento delle frecce ben fa comprendere gli step successivi!!!!

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Notare bene che quando H diviene nullo (corrente i(t) = 0) il materiale ha una magnetizzazione residua (nel grafico sarebbe in corrispondenza del punto A). Viene definita una grandezza detta magnetizzazione residua, Mr =

Br . Îź

Quindi si inverte la corrente arrivando al punto F ove B = 0. đ?‘Żđ?‘­ è detto campo di coercizione. E’ possibile portare il materiale nella condizione iniziale scaldandolo ad una data temperatura (detta di Curie), tipica di ogni elemento (per il ferro è di 1043 °K). In questo caso l’energia termica disallinea gli spin degli elettroni cui è dovuto l’effetto ferromagnetico.

APPUNTI MATEMATICI

21. Misure di corrente e di d.d.p.

Questi due circuiti evidenziano l’essenza della misurazione di correnti e di differenze di potenziale. Il circuito di sinistra contiene l’amperometro A in serie con il generatore in continua e la resistenza R. La presenza dell’amperometro determina un errore di inserzione, dovuta al fatto che esso ha una resistenza interna đ?‘&#x;đ?‘Ž . In assenza di A nel circuito chiuso gira una corrente V= RI ovvero I =

� �

.

L’inserzione in serie di A consente di descrivere il circuito, in termini di legge delle maglie come segue V – i(R + đ?‘&#x;đ?‘Ž ) = 0 â&#x;š V = i(R + đ?‘&#x;đ?‘Ž ) â&#x;š i =

đ?‘‰ R + đ?‘&#x;đ?‘Ž

<I.

Ecco perchĂŠ l’amperometro deve avere una resistenza modesta, o comunque deve essere đ?‘&#x;đ?‘Ž ≪ đ?‘…. Il circuito di destra della figura evidenza l’inserzione di un voltmetro. In questo caso occorre misurare la tensione ai capi del resistore di resistenza R.

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Nel circuito V indica il voltmetro di resistenza interna r.

In questo caso la corrente uscente convenzionalmente dal polo positivo della batteria si ripartisce tra R e il voltmetro ad esso parallelo (e di resistenza interna r) in ragione inversa delle resistenze che incontra secondo una ben evidente relazione đ?‘–đ?‘&#x; đ?‘–đ?‘…

=

đ?‘… đ?‘&#x;

che deriva immediatamente dal fatto che vale la legge di Ohm (con riferimento alle due resistenze) e che si è sotto il vincolo đ?‘‰đ?‘… = đ?‘‰đ?‘&#x; (parallelo di resistenze).

APPUNTI MATEMATICI

Con queste premesse ben si comprende che il voltmetro ideale dovrebbe avere una resistenza r = +∞. Ci si accontenta di avere r >> R. Dal fatto che r < +∞ si ha un errore di inserzione pure nel caso del voltmetro. Giova osservare che se si usasse un voltmetro con r = 0 allora paradossalmente si avrebbe uno shunt e in R non passerebbe corrente quindi sarebbe đ?‘‰đ?‘… = 0. E’ poi noto che in parallelo di resistori si ha 1 đ?‘…đ?‘’đ?‘ž

=

1 đ?‘…

+

1 đ?‘&#x;

â&#x;š đ?‘…đ?‘’đ?‘ž =

đ?‘…đ?‘&#x; . đ?‘…+đ?‘&#x;

Pertanto la corrente circolante nel circuito è i =

đ?‘‰đ?‘&#x; đ?‘…đ?‘&#x; đ?‘…+đ?‘&#x;

= đ?‘‰đ?‘&#x;

đ?‘…+đ?‘&#x; đ?‘…đ?‘&#x;

đ?‘‰đ?‘&#x; è il valore misurato dallo strumento e ponibile eguale a đ?‘‰đ?‘… , tensione ai capi di R in presenza del voltmetro. Nel caso di apertura del voltmetro (scollegato o non presente) si ha una corrente I =

� �

22. Correnti alternate sinusoidali Le correnti e le tensioni fino ad ora considerate sono dette continue in quanto i = i(t) = cost. e anche v = v(t) costante nel tempo. Nel considerare certi circuiti avevano però ricordato che esistono correnti la cui intensità varia nel tempo. Nelle prime applicazioni si usano pile o comunque generatori che determinano una differenza di potenziale elettrico costante nel tempo. Questo non è vero in generale in quanto si possono utilizzare generatori di differenza di potenziale generalmente non costante nel tempo.

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Nelle applicazioni sono di fondamentale importanza i generatori di f.e.m. di tipo sinusoidale.

APPUNTI MATEMATICI

Essi possono essere studiati nel dominio del tempo, come si vede nella suindicata figura. Una grandezza periodica di tipo sinusoidale è del tipo y(t) = đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ωt + đ?œ‘đ?‘Ś ) . La quantitĂ đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ è detta picco del segnale. La quantitĂ đ?œ” è detta pulsazione. Dimensionalmente essa è misurata in

đ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘‘ . đ?‘ đ?‘’đ?‘?

La pulsazione è legata, come ben si intuisce dalla sua consistenza dimensionale, ad altre due grandezze fondamentali, il periodo T e la frequenza Ď…, secondo queste due semplici relazioni đ?œ” = 2đ?œ‹đ?œ? =

2đ?œ‹ đ?‘‡

.

Come noto il periodo T si misura in secondi, mentre

1 �

= Ď… definisce la frequenza (ovvero

il numero di cicli, o periodi, nell’unitĂ di tempo). L’unitĂ di misura della frequenza è, nel S.I., l’hertz. Solitamente si utilizzano i multipli (106 , 109 , 1012 ) dell’hertz. đ?œ‘đ?‘Ś è detta fase della grandezza Y. La fase si determina ponendo t = 0 in y(t) = đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ωt + đ?œ‘đ?‘Ś ), ovvero y(0) = đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ω*0 + đ?œ‘đ?‘Ś ) = đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(đ?œ‘đ?‘Ś ) â&#x;š y(0) = đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(đ?œ‘đ?‘Ś ) â&#x;š sin(đ?œ‘đ?‘Ś ) = â&#x;š đ?œ‘đ?‘Œ = arsin

đ?‘Ś(đ?‘œ) đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ

đ?‘Ś(đ?‘œ) . đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ

Pertanto le equazioni delle correnti e delle tensioni sinusoidali sono rispettivamente I(t) = đ??źđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ωt + đ?œ‘đ??ź ) e V(t) = đ??źđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ωt + đ?œ‘đ?‘‰ ) Le grandezze elettriche sinusoidali sono un esempio di grandezze alternate in quanto il valore definito su un periodo è nullo. Per le correnti sinusoidali viene definito un valore detto efficace che è quello che dovrebbe avere la corrente per produrre, in un periodo, lo stesso effetto termico di una corrente continua.

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Patrizio Gravano

Se si considera un circuito puramente ohmico costituito da un generatore di tensione sinusoidale V(t) = đ?‘‰đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ωt + đ?œ‘đ?‘‰ ) da un resistore lineare tempo invariante R in esso circola una corrente I(t) =

�(�) . �

Si dimostra che I(t) = đ??źđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ωt + đ?œ‘đ??ź ) , con đ?œ‘đ??ź = đ?œ‘đ?‘‰ . Per circuiti contenenti induttori e condensatori la fase della corrente e quella della tensione non sono eguali, come si vedrĂ nel seguito. Se ci si limita alle grandezze sinusoidali il valore efficace di una grandezza elettrica – come definito in relazione ai suoi effetti termici - đ?‘‰đ?‘’đ?‘“đ?‘“ =

đ?‘‰đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ , √2

ovvero đ??źđ?‘’đ?‘“đ?‘“ =

đ??źđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ . √2

APPUNTI MATEMATICI

PoichĂŠ operare su grandezze sinusoidali è difficoltoso si utilizza il cosiddetto metodo simbolico, per mezzo del quale una grandezza sinusoidale viene trasformata in una grandezza complessa, nel piano di Gauss-Argand-Wessel. Il procedimento è invero semplice. Dato y(t) si ricava il valore efficace, đ?‘Œđ?‘’đ?‘“đ?‘“ =

đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ . √2

La grandezza complessa corrispondete (vettoriale) è Y = a + jb. Per evitare confusione con le correnti si usa j = √−1. đ?‘?

Si ha che a = đ?‘Œđ?‘’đ?‘“đ?‘“ cos(φ) , b = đ?‘Œđ?‘’đ?‘“đ?‘“ sin(φ), đ?‘Œđ?‘’đ?‘“đ?‘“ = √đ?‘Ž2 +đ?‘? 2 e φ = arctg(đ?‘Ž) Nei circuiti costituiti da un generatore in alternata sinusoidale e da una resistenza, continua, come detto, a valere la legge di Ohm. Per circuiti costituiti da un generatore V(t) = đ?‘‰đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ωt + đ?œ‘đ?‘‰ ) con un condensatore o una induttanza la legge di Ohm assume una forma detta simbolica. đ?‘˝

V e I sono grandezze vettoriali e la corrispondente legge è Z = đ?‘° . La grandezza Z è detta impedenza. Nel caso di un circuito puramente capacitivo, costituito da un generatore V(t) = đ?‘‰đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ sin(ωt + đ?œ‘đ?‘‰ ) la corrente i(t) circolante è i(t) = C

đ?‘‘đ?‘Ł đ?‘‘đ?‘Ą

= C����

� (sin(ωt))= ��

đ?œ‹

ω C���� sin(ωt + 2 ) .

Da questa formula si evince che la corrente è in avanzo di fase di

đ?œ‹ 2

đ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘‘. rispetto alla

tensione. In notazione vettoriale si ha I = jωCV da cui Z = - j

1 . ωC

Ma đ?œ” = 2đ?œ‹đ?œ?. Pertanto per Ď… → + ∞ đ?‘ đ?‘– â„Žđ?‘Ž đ?‘?â„Žđ?‘’ Z → 0. Nel caso opposto (Ď… → 0) allora Z → +∞ (il condensatore è equiparabile ad un bipolo circuito aperto).

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Patrizio Gravano đ?‘‘

Partendo dalla legge costitutiva dell’induttore v(t) = L đ?‘‘đ?‘Ąi(t) si ottiene, nel caso del circuito puramente induttivo (costituito da un generatore di tensione sinusoidale e da un induttore) che Z = V/I = jωL. In questo caso la tensioe è in avanzo di fase di Ď€/2. Le grandezze đ?‘‹đ?‘? =

1 đ?œ”đ??ś

e đ?‘‹đ??ż = ωL sono dette, rispettivamente, reattanza capacitiva e

reattanza induttiva. Gli elementi passivi di un circuito in alternata costituiscono le cosiddette impedenze. Le impedenze possono essere poste in serie oppure in derivazione.

APPUNTI MATEMATICI

Nel primo caso la impedenza equivalente una serie di impedenze è la somma delle impedenze. Per il parallelo di impedenze vale la relazione 1 đ?‘?đ?‘’đ?‘žđ?‘˘đ?‘–đ?‘Ł.

1

= ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?

đ?‘–

Un’ultima considerazione riguarda la potenza (dissipata nel caso di carichi resistivi). Nel caso del circuito puramente ohmico la potenza dissipata P = đ?‘‰đ?‘’đ?‘“đ?‘“ đ??źđ?‘’đ?‘“đ?‘“ . Essa si misura in watt. Nei circuiti puramente capacitivi o induttivi non si ha effetto di dissipazione Jaule ma solo scambi di energia circuito → generatore → circuito. Viene definita una potenza detta reattiva Q = = đ?‘‰đ?‘’đ?‘“đ?‘“ đ??źđ?‘’đ?‘“đ?‘“ . Essa viene misurata in voltampere reattivi. Saranno necessari gli approfondimenti per considerare il caso di un circuito contenente differenti tipi di elementi passivi (per esempio resistore e capacitĂ e/o induttore).

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Patrizio Gravano

23. Qualche “vecchio appunto” elementare sui circuiti e sui bipoli

APPUNTI MATEMATICI

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APPUNTI MATEMATICI

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APPUNTI MATEMATICI

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APPUNTI MATEMATICI

24. Il campo elettromagnetico Data una carica elettrica puntiforme q che si muove in una regione nella quale è definito un campo elettrico E e uno di induzione B.

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Patrizio Gravano

La forza esercitata su di essa è F = q (E + v ⋀ B)

Il campo elettromagnetico è generato da qualunque distribuzione di carica elettrica variabile. Esso si propaga sotto forma di onda elettromagnetica con velocità di propagazione c ortogonale alla direzione dei vettori E e B.

APPUNTI MATEMATICI 25. Segnali non sinusoidali Oltre alla forma d’onda sinusoidale esistono segnali ulteriori. Essi possono essere unidirezionali (assumono solo valori positivi o negativi) e bidirezionali. Per i segnali periodici si ha che y(t) = y(t + T), ove T è il valore più piccolo per il quale vale l’eguaglianza. Tra i segnali periodici non sinusoidali vi sono i segnali detti “a dente di sega” e i segnali “onda quadra” e “onda rettangolare”.

Questo è un esempio di segnale a dente di sega. Nella figura è ben evidenziato il periodo T. Più sotto sono riprodotti i segnali detti di onda quadra, e di onda rettangolare.

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Le onde quadre e rettangolari sono teorici in quanto esiste sempre un δt per passare da 0 a đ?‘‰đ??ť , e viceversa.

APPUNTI MATEMATICI

Per i segnali periodici viene definito il valore medio nel periodo đ?‘‰đ?‘šđ?‘’đ?‘‘đ?‘–đ?‘œ = 1 đ?‘‡

Il valore efficace è đ?‘‰đ?‘’đ?‘“đ?‘“ = √

1 đ?‘‡ âˆŤ đ?‘Ł(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą. đ?‘‡ 0

�

âˆŤ0 đ?‘Ł 2 (đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą

Per le onde quadre e rettangolari viene definito il duty cycle, δ, inteso come il rapporto tra il tempo in cui il segnale assume valore alto n rapporto al periodo T. Si ha δ =

đ?‘‡đ??ť . đ?‘‡

E’ un valore ponibile pure in percentuale.

Ecco ora una interessante figura con indicazione del duty cycle.

25-bis. I circuiti integratore e derivatore Una spiegazione lineare di questi due circuiti è contenuta in N. M. Morris, Elementi di elettronica teorica e pratica, Hoepli, cui per i dettagli si rimanda. Tramite particolari circuiti i segnali di data forma d’onda vengono trasformati in segnali di altra forma d’onda. Questo si realizza anche nei circuiti derivatore e integratore. Nel circuito derivatore la grandezza in uscita è proporzionale alla derivata della grandezza di ingresso.

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Nel circuito integratore la grandezza in uscita è proporzionale all’integrale della grandezza di ingresso.

APPUNTI MATEMATICI

Se il segnale in ingresso è un’onda sinusoidale il segnale di uscita per ciascuno dei due blocchi sarà generalmente un segnale sinusoidale sfasato. Se il segnale di ingresso è un’onda quadra allora si ha che all’uscita del derivatore si avrà un segnale impulsivo (guizzo) mentre con riferimento al blocco integratore si avrà un’onda triangolare.

Per questi circuiti è essenziale il ruolo della costante di tempo τ = RC. Essa deve, nel caso del circuito integratore, essere molto più grande del periodo dell’onda. Per ovvie ragioni il contrario vale per il caso del circuito derivatore.

26. Prime note sulla struttura atomica Il grande fisico inglese Lord Kelvin non credeva alla esistenza degli atomi anche se gli studi di eccellenti chimici come l’inglese Dalton e l’italiano Avogadro avevano dimostrato che per spiegare le leggi della chimica fosse necessario introdurre una teoria atomicomolecolare della materia. Alla fine dell’Ottocento venne impostato il primo modello atomico, nella constatazione che in condizioni standard l’atomo è elettricamente neutro, quindi costituito a un numero di cariche positive eguale a quelle negative (di valore opposto).

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Ben presto questo modello, detto atomo a panettone, ove gli elettroni erano un poco come i canditi nell’impasto, venne sostituito dall’atomo planetario. nel quale la carica positiva era concentrata nel nucleo atomico, mentre le cariche negative, gli elettroni, ruotavano intorno ad esso descrivendo particolari orbite, non necessariamente circolari. Ben presto questa visione venne rimpiazzata da un modello più sofisticato, dovuto al fisico danese Bohr, che applicò all’atomo i principi della nascente teoria dei quanti, elaborata da Max Planck. La stabilità degli atomi contraddiceva le deduzioni della fisica classica per la quale gli elettroni orbitanti attorno al nucleo avrebbero perduto via via la loro energia e sarebbero caduti sul nucleo.

APPUNTI MATEMATICI

Bohr introdusse il principio per il quale un elettrone orbitante conserva la sua energia indefinitamente nel tempo e che le orbite potessero essere abbandonate dal’elettrone quando investito da un fotone di energia hf si porta provvisoriamente su una orbita di energia pari alla somma dell’energia associata all’orbita originaria e quella del fotone hf. Successivamente il concetto di orbita per l’elettrone fu sostituito da una interpretazione probabilistica di posizionamento di esso un una data regione dello spazio detta orbitale atomico. In termini probabilistici l’orbitale è la regione dello spazio nella quale è più probabile trovare l’elettrone.

Questa figura è una sorta di tabella a doppia entrata che contiene i livelli energetici (da K a Q, ovvero i setti livelli) e entro i livelli le varie possibili tipologie di orbitali. La tabella si interpreta molto facilmente.

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Il livello K (il primo), quello più vicino al nucleo, contiene un solo orbitale, detto di tipo s. Tale orbitale contiene, al massimo due elettroni. I due elettroni eventualmente presenti sono in tutto e per tutto simili salvo che per lo spin (ovvero per la rotazione), che risultano opposte (principio di esclusione di Pauli). Il successivo livello L contiene due orbitali, uno di tipo s ed uno di tipo p. Esso avrà al massimo due elettroni nell’orbitale s e tre coppie di elettroni nell’orbitale p. La collocazione degli elettroni negli orbitali non è casuale.

APPUNTI MATEMATICI Nitrogen sta per Azoto (N) Dalla rappresentazione si comprende che l’atomo di azoto (N) contiene 7 elettroni (quindi anche 7 protoni nucleari). Si osservi la struttura schematica dell’orbitale p del secondo livello (il primo livello contiene solo un orbitale s). Gli elettroni contenuti in 2p (ovvero nell’orbitale p del secondo livello energetico) sono tre e si dispongono in modo da collocarsi come in figura. Questi tre elettroni sono quelli più debolmente legati al nucleo e non casualmente l’azoto sodio tende a perderli, o meglio a comparteciparli, assumendo una configurazione stabile 1s 2s completo. E’ ben evidente che possiamo ragionare diversamente ammettendo che tutti i rettangolini contengano la configurazione ↥↧ meno l’ultimo con configurazione ↥ , avendo in questo caso un atomo costituito da 9 elettroni orbitanti attorno ad un nucleo costituito da 9 protoni. In questo caso si avrebbe una specie chimica diversa, basta cercarla sulla Tavola periodica. Questa specie chimica predilige accogliere un elettrone e fare in modo che anche l’ultimo rettangolino sia del tipo ↥↧, ovvero contenga due elettroni che ubbidiscono al principio di esclusione di Pauli. Se leviamo un po di freccette dall’atomo di azoto (immaginando quindi di avere altrettanti protoni nucleari in meno) abbiamo una nuova specie chimica che avrà una naturale tendenza a cedere elettroni, avendo innate attitudini per la conduzione elettrica (metalli).

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Patrizio Gravano

I rettangolini sono un modo sintetico di descrivere la complessità della struttura degli orbitali atomici, come si evince da questa figura.

APPUNTI MATEMATICI Due osservazioni conclusive. Con riferimento alla seconda specie atomica è evidente che esso, accettore di elettroni sarà un pessimo conduttore di corrente elettrica. Vorrei infine ricordare che se è sempre vero che in condizioni normali l’atomo è elettricamente neutro. Esso è costituito da un eguale numero di protoni nucleari e di elettroni orbitanti. E’ però noto che gli atomi, nel loro nucleo, contengono anche un tipo ulteriore di particelle, elettricamente neutri, di massa circa eguale a quella del protone, i neutroni. Il numero dei protoni e gli elettroni sono responsabili delle proprietà fisiche e della compatibilità chimica degli atomi, mentre i neutroni rivestono un ruolo in relazione alla stabilità del nucleo atomico. Ma, a volte, i nuclei atomici possono dar luogo a interessanti eventi, quali questo sotto indicato in figura.

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Patrizio Gravano Un nucleo bersagliato con un fotone ad alta energia emette due particelle cariche (un elettrone e un positrone, antiparticella dell’elettrone). Eventi come questi sono costituitivi di radioattività , naturale o indotta, come avviene nella bomba atomica nella quale atomo pesanti vengono frantumati in atomi piÚ leggeri con produzione di enormi quantità di energia. Vorrei concludere queste note sulla struttura atomica, ricordando che la tabella livelli – orbitali consente di costruire la collocazione degli elettroni quando sia noto il numero dei protoni.

APPUNTI MATEMATICI

Nella vita pratica gli atomi e anche le molecole possono esistere in condizione di sbilanciamento di cariche, nel senso che un atomo (ma anche una molecola, costituita da atomi eguali o diversi) può possedere un numero di elettroni maggiore o minore del numero dei protoni nucleari. Si realizza il fenomeno della ionizzazione, e della presenza di ioni. L’esempio del sodio e del cloro è emblematico. Sodio e cloro sciolti in acqua hanno un comportamento opposto. Il sodio si sbarazza di un elettrone mentre il cloro raggiunge una configurazione stabile acquisendo un elettrone, facendo in modo di passare, per uno dei rettangolini sopra considerati, dal caso ↼ alla situazione ↼↧. Si hanno le ben note equazioni Na → đ?‘ đ?‘Ž+ + e Cl – e → đ??śđ?‘™ − Per specie chimiche differenti per esempio X ed Y si può avere X → đ?‘‹ +đ?‘›đ?‘’ + ne Y – ne → đ?‘Œ −đ?‘›đ?‘’ (ne si intende n elettroni). Gli ioni positivi sono detti anche cationi, mentre quelli negativi sono detti anioni.

27. Elaborazioni in itinere sul moto circolare Sono ben note le questioni del “giro della morteâ€?. Si può considerare un corpo materiale puntiforme che è vincolato a muoversi – immerso nel campo g – su una traiettoria circolare. La condizione di esistenza di detto moto è che la forza di gravitĂ sia bilanciata

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Patrizio Gravano

da una forza eguale e contraria. Le due forze sono tali che ⎸F ⎸= ⎸P ⎸. Esse hanno la stessa direzione (costituita dalla retta passante per il punto della traiettoria e per il contro della Terra. Nel campo di gravitĂ P è la forza centripeta (diretta verso il centro di curvatura). La forza centrifuga è in modulo data da

đ?‘šđ?‘Ł 2 đ?‘&#x;

. E’ possibile eguagliare i moduli

delle due forze avendo che mđ?‘Ł 2 = mgr, ovvero v = Âą √đ?‘”đ?‘&#x; considerando solo la v positiva ovvero v = √đ?‘”đ?‘&#x;. Per v < √đ?‘”đ?‘&#x; un corpo vincolato a descrivere una traiettoria circolare non la completa. Se v > √đ?‘”đ?‘&#x; e il corpo non è vincolato allora stacca e sale in quota sotto l’effetto di una forza netta F - P diretta dal basso verso l’alto. In realtĂ ho deciso di riferirmi ad una modellizzazione (necessariamente non rappresentabile in scala) che considera due circonferenze tangenti in un punto T. La prima circonferenza di raggio piccolo r definisce il vincolo mentre la seconda circonferenza di raggio d definisce la circonferenza terrestre. Viene quindi introdotto un sistema di riferimento cartesiano ortogonale di centro O coincidente con il centro del vincolo circolare. Quando il punto materiale in moto rotatorio si trova nel punto T di tangenza la condizione del moto circolare è đ?‘Łđ?‘‡ = √đ?‘”đ?‘&#x;. Sono ammesse velocitĂ v > đ?‘Łđ?‘‡ . Nel caso fosse v < đ?‘‰đ?‘‡ allora nel punto T si avrebbe che la forza centrifuga mg prevale sulla forza centripeta, determinandosi una condizione incompatibile con il moto circolare uniforme.

APPUNTI MATEMATICI

Giova osservare che nel punto T il vettore g sistema di riferimento.

è ortogonale all’asse delle x del definito

Ciò è vero anche nel punto T’ simmetrico di T rispetto all’origine del definito sistema di riferimento. Per ogni altro punto del vincolo il vettore g giace su una retta la cui direzione è quella definita dai punti del luogo e dal centro della terra e comunque sempre non ortogonale rispetto all’asse delle x come predefinito. Nel punto T’ la forza di gravitĂ (peso) è centripeta mentre la reazione è centrifuga. Nei punti del vincolo distinti da T = (0, - r) e da T’ = (0, r )il vettore g costante in modulo ha la direzione della retta passante per il centro della terra e per il punto (variabile) del vincolo circolare. La condizione di esistenza del moto circolare presuppone che si abbia g + x = 0, quindi un vettore x di pari modulo, eguale direzione e di verso opposto. In assenza di vincolo fisico la condizione di esistenza del moto circolare uniforme è đ?‘Ł(đ?‘Ľ,đ?‘Ś) = đ?‘‰đ?‘‡ per ogni (x,y) del vincolo circolare 3) Ipotesi che il corpo giunto alla massima quota (compatibile con il vincolo) con velocitĂ v = √đ?‘”đ?‘&#x; inizi a decelerare con accelerazione đ?‘Žđ?‘– < 0 stabilendo le condizioni di stacco dal vincolo e di caduta verticale su un punto sottostante del vincolo;

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Patrizio Gravano

In presenza di un vincolo fisico si ammette data la velocitĂ đ?‘Ł(0,đ?‘&#x;) ≼ đ?‘‰đ?‘‡ . Infatti, in queste condizioni (presenza di una guida che vincola il moto) la velocitĂ scalare ben può superare quella compatibile con la esistenza di un moto circolare. Se đ?‘Ł(0,đ?‘&#x;) > đ?‘‰đ?‘‡ la decelerazione đ?‘Žđ?‘– porta dopo un Δt il corpo alla velocitĂ đ?‘‰đ?‘‡ . Ricavato il Δt e noto đ?‘Ł(0,đ?‘&#x;) e đ?‘‰đ?‘‡ si può determinare la velocitĂ media nel periodo Δt essa vale

đ?‘Ł(0,đ?‘&#x;) + đ?‘‰đ?‘‡ 2

.

E’ immediatamente determinabile lo spazio percorso sul vincolo circolare a partire dal punto T’ = (0, r) e sia detta distanza curvilinea pari a s. Se s ≼

đ?œ‹đ?‘&#x; 2

si ha una decelerazione che non implica l’esistenza di un �� per il quale il moto

APPUNTI MATEMATICI

diviene verticale. Se s <

đ?œ‹đ?‘&#x; 2

ad un certo istante il corpo stacca dal vincolo e inizia un moto accelerato

verticale. 4) Individuare graficamente il punto corrispondente alle condizioni 3) per il quale il moto non ha per un dato Δt nel quale è verticale con accelerazione g ma avviene solidalmente al vincolo; Il punto per il quale non si ha moto verticale è quello per il quale s = un Δt per il quale il moto è verticale quanto s <

đ?œ‹đ?‘&#x; . 2

đ?œ‹đ?‘&#x; . 2

Per contro si ha

Noto s è noto anche l’angolo al centro ÎŚ ricavabile dalla proporzione đ?›ˇ âˆś 2Ď€ = s : 2Ď€r ricordando che il prodotto dei medi è eguale al prodotto degli estremi. Ricavato ÎŚ ottengo l’inclinazione della retta passante per O e per il punto estremo đ?œ‹ compatibile con il moto circolare. Detta retta è inclinata di un angolo ( 2 + ÎŚ) , di đ?œ‹

coefficiente angolare tang ( 2 + ÎŚ). PoichĂŠ essa passa per O la sua equazione, al variare di ÎŚ, è đ?œ‹

y=(tang ( 2 + ÎŚ))x. PoichĂŠ esiste il vincolo đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = đ?‘&#x; 2 , allora per ÎŚ(s(đ?‘Žđ?‘– )) noto è possibile mettere le due equazioni a sistema e ricavare le coordinate dell’arco di circonferenza di lunghezza s e di punto iniziale T’. Siano (đ?‘Ľđ?‘ , đ?‘Śđ?‘ ) le coordinate del punto piĂš estremo compatibile con la condizione di moto circolare e sia đ?‘Ąđ?‘ l’istante in cui il corpo puntiforme si trova in (đ?‘Ľđ?‘ , đ?‘Śđ?‘ ). Se per t > đ?‘Ąđ?‘ il corpo decelera con accelerazione istantanea negativa allora esso è soggetto ad un moto di caduta verticale (grave). Se per t ≼ đ?‘Ąđ?‘ il corpo non decelera ulteriormente esso continuerĂ a muoversi sul vincolo. In caso di caduta verticale in presenza di vincolo fisico il grave cadrĂ nel punto (đ?‘Ľđ?‘ , − đ?‘Śđ?‘ ), quindi si muoverĂ sul vincolo.

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Sarebbe interessante chiedersi se esiste un punto di stacco dal vincolo cui corrisponde una condizione di velocitĂ di caduta che se conservata sia compatibile con il moto circolare ovvero sia, in presenza di vincolo, v ≼ √đ?‘”đ?‘&#x; 5) problematica della condizione di esistenza del moto circolare uniforme. Nel punto di minimo della traiettoria vincolata deve risultare v = √đ?‘”đ?‘&#x;. In detto punto la forza peso diviene centrifuga e F diviene centripeta. v = v(r) Ammetto che il corpo giunga in T con velocitĂ v ≼ √đ?‘”đ?‘&#x; e che quindi esista una condizione iniziale in cui un corpo venga portato dalla quiete al punto T in modo tale che giunto in T al tempo đ?‘Ą0 esista un intervallo di tempo in cui si abbia la condizione propria del moto circolare a velocitĂ scalare costante nel tempo (moto circolare uniforme).

APPUNTI MATEMATICI

La condizione đ?‘‰đ?‘‡ ≼ √đ?‘”đ?‘&#x; non è strettamente essenziale in quanto il corpo può essere accelerato successivamente instaurando la condizione del moto in un istante successivo a partire da un punto distinto da T e per un intervallo di tempo definito. Fatte queste premesse poi si può ammettere che il corpo in moto dopo un certo numero di rotazioni quando esso è in T’ subisca una decelerazione. 5.1) g è dato fisicamente v deve considerarsi una variabile indotta e sarebbe determinata r = r(v) =

đ?‘Ł2 đ?‘”

.

6) Il ragionamento sconta l’aver ammesso implicitamente il vincolo circolare ? Sostanzialmente si perchĂŠ se vi è un vincolo fisico circolare e il corpo viene accelerato con đ?‘Žđ?‘– > 0 questo si muove sul vincolo. Nell’ipotesi ideale di moto circolare uniforme con vincolo fisico è da ritenere che concettualmente ove si “facesse sparire il vincoloâ€? il corpo continuerebbe il suo moto circolare uniforme. In caso di moto in assenza di vincolo bisogna tenere conto che la direzione del moto è quella della retta della risultante delle accelerazioni (di gravitĂ e indotta) e il verso è quello del vettore risultante delle accelerazioni. Nella semplificazione corrente si ammette che il vettore g sia sempre ortogonale al suolo. E’ immediatamente costruibile il vettore delle accelerazioni. Si può definire il vettore a che consente di avere un moto accelerato di accelerazione đ?’‚đ?’• sempre parallela al suolo. Graficamente è evincibile che deve risultare a = đ?’‚đ?’• + (-1)g. I vettori – g e đ?’‚đ?’• sono ortogonali. PoichĂŠ il vettore g è costantemente diretto verso il basso ortogonalmente al suolo la condizione che definisce un moto orizzontale ad altezza h dal suolo è quello definito dal vettore a per il quale si ha ⎸a ⎸ = √đ?‘”2 + (đ?‘Žđ?‘Ą )2 formante un angolo ÎŚ =

⎸đ?? ⎸ ⎸đ??šđ??­âŽ¸

con il

vettore �� . Questo prescinde dalla resistenza dell’aria. Se si introduce la resistenza

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Patrizio Gravano

dell’aria per la data accelerazione a si ottiene una accelerazione scalare leggermente minore in quando si ha una accelerazione negativa (decelerazione) avente medesima direzione di đ?’‚đ?’• ma verso opposto. Pertanto il moto avviene con accelerazione đ?’‚đ?’• - đ?’‚đ?’“đ?’†đ?’” di modulo đ?‘Žđ?‘Ą - đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘’đ?‘ . Se si desidera fissare un moto orizzontatale con accelerazione data at allora il vettore accelerazione non sarĂ a bensĂŹ sarĂ un vettore linearmente dipendente di modulo ⎸a ⎸+ ⎸đ?’‚đ?’“đ?’†đ?’” ⎸avendosi una nuova relazione del tipo √đ?‘”2 +(đ?‘Žđ?‘Ą + đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘’đ?‘ )2 = a + đ?‘Žđ?‘Žđ?‘”đ?‘” = a +

đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘’đ?‘ đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ˇ

Qualche osservazione sull’angolo Ό. Ό = arctg

⎸đ?? ⎸ esprime ⎸đ??šđ??­âŽ¸

APPUNTI MATEMATICI

la condizione del moto orizzontale.

ÎŚ > arctg

⎸đ?? ⎸ esprime ⎸đ??šđ??­âŽ¸

la condizione del moto ascensionale accelerato.

ÎŚ < arctg

⎸đ?? ⎸ esprime ⎸đ??šđ??­âŽ¸

la condizione del moto discensionale accelerato non verticale.

In realtĂ se si tiene conto della sfericitĂ della terra g non è costante neppure vettorialmente nel tempo. detto vettore g è sempre scomponibile secondo due vettori aventi direzioni mutualmente ortogonali, dovendosi ritenere che la condizione g ≠cost. sia compatibile con l’ipotesi della costanza del modulo di detto vettore.

28. Urto completamente anelastico in una dimensione Vorrei fare alcune brevi considerazioni sull’urto anelastico in una dimensione, per esempio sulla retta r. Operando in una dimensione dalla relazione vettoriale mv = mđ??Żđ?&#x;? + mx đ??Żđ?&#x;? si perviene immediatamente ad una corrispondente relazione scalare del tipo mv = mv1 + mx v1 . Le due relazioni sono di immediata integrazione. Il membro di sinistra esprime la condizione pre-urto, quando a muoversi è la particella di massa m, mentre la particella di massa mx è in quiete. Il membro di destra, invece, esprime la condizione post-urto, nella quale le due particelle si muovono a velocitĂ đ?‘Ł1 < v. PoichĂŠ l’urto si suppone anelastico i due corpi costituiscono un unico corpo di massa m + đ?‘šđ?‘Ľ . Considerando la relazione scalare, dopo un solo passaggio formale, si ottiene che đ?‘Ł1 = v

đ?‘š . đ?‘š+ đ?‘šđ?‘Ľ

Con il vincolo di muoversi sulla retta nel caso particolare sia m = đ?‘šđ?‘Ľ si ha đ?‘Ł1 = v

đ?‘š đ?‘š+ đ?‘š

=v

đ?‘š 2đ?‘š

=

đ?‘Ł 2

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Patrizio Gravano

La relazione tra đ?‘Ł1 ed đ?‘šđ?‘Ľ è inversa.

Quando m ≠đ?‘šđ?‘Ľ allora esiste un k ∈ đ?‘…+ : đ?‘šđ?‘Ľ = k*m Da cui immediatamente đ?‘Ł1 = v

đ?‘š đ?‘š+đ?‘˜đ?‘š

=v

đ?‘š đ?‘š(đ?‘˜+1)

=v

1 đ?‘˜+1

Si hanno due posizioni limite. Per k → 0+ si ha v - đ?‘Ł1 → 0+ Per k → + ∞ si ha đ?‘Ł1 → 0+ . Urto anelastico di due corpi che si muovono in una dimensione con velocitĂ scalari preurto đ?‘š1 đ?‘Ł1 Âą đ?‘š2 đ?‘Ł2 = (đ?‘š1 + đ?‘š2 )đ?‘Łđ?‘“ đ?‘Łđ?‘“ =

đ?‘š1 đ?‘Ł1 Âą đ?‘š2 đ?‘Ł2 (đ?‘š1 + đ?‘š2 )

=

đ?‘Ł1 Âą đ?‘˜đ?‘Ł2 , 1+đ?‘˜

ove k =

APPUNTI MATEMATICI

đ?‘š2 đ?‘š1

Se i due corpi hanno eguale massa allora k =1, pertanto si ha đ?‘Łđ?‘“ =

đ?‘š1 đ?‘Ł1 Âą đ?‘š2 đ?‘Ł2 (đ?‘š1 + đ?‘š2 )

=

đ?‘Ł1 Âą đ?‘Ł2 1+1

=

đ?‘Ł1 Âą đ?‘Ł2 2

Se i due corpi si muovono nello stesso verso affinchè vi sia contatto deve essere đ?‘Ł1 > đ?‘Ł2 , đ?‘Žđ?‘ đ?‘ đ?‘˘đ?‘›đ?‘Ąđ?‘’ convenzionalmente entrambe positive (concordi). Nel caso di specie sarebbe đ?‘Łđ?‘“ =

đ?‘š1 đ?‘Ł1 + đ?‘š2 đ?‘Ł2 (đ?‘š1 + đ?‘š2 )

=

đ?‘Ł1 + đ?‘˜đ?‘Ł2 , 1+đ?‘˜

ove k =

đ?‘š2 đ?‘š1

con đ?‘Ł1 > đ?‘Ł2 .

Nel caso di moto con avvicinamento e urto da versi opposti la formula diviene đ?‘Łđ?‘“ =

đ?‘š1 đ?‘Ł1 − đ?‘š2 đ?‘Ł2 (đ?‘š1 + đ?‘š2 )

=

đ?‘Ł1 − đ?‘˜đ?‘Ł2 , 1+đ?‘˜

ove k =

đ?‘š2 . đ?‘š1

In essa đ?‘Łđ?‘“ > 0 si ha per đ?‘Ł1 − đ?‘˜đ?‘Ł2 > 0 ⇒ đ?‘Ł1 > đ?‘˜đ?‘Ł2 ⇒ đ?‘˜đ?‘Ł2 < đ?‘Ł1 ⇒ k <

đ?‘Ł1 đ?‘Ł2

>0

In questo caso il corpo di massa (đ?‘š1 + đ?‘š2 ) si muove nello stesso verso del corpo đ?‘š1 preurto. Nella data relazione đ?‘Łđ?‘“ < 0 si ha per đ?‘Ł1 − đ?‘˜đ?‘Ł2 < 0 ⇒ đ?‘Ł1 < đ?‘˜đ?‘Ł2 ⇒ đ?‘˜đ?‘Ł2 > đ?‘Ł1 ⇒ k >

đ?‘Ł1 đ?‘Ł2

> 0.

đ?‘Ł2 va inteso in modulo. In questo caso il corpo di massa (đ?‘š1 + đ?‘š2 ) si muove nello stesso verso del corpo đ?‘š2 preurto. Nel caso del moto completamente anelastico la trattazione in una dimensione per il caso di corpi puntiformi è completamente esaustiva.

29. Urti elastico e parzialmente anelastico contro una parete

68


Patrizio Gravano

Considero in primis il caso dell’urto perfettamente elastico. Il corpo di massa m impatta la superficie verticale. Il vettore đ?’—đ?&#x;Ž forma un angolo φ con la retta ortogonale alla superficie S del muro. Detto vettore è scomponibile in due componenti ortogonali đ?‘Łđ?‘Ľ đ?‘’ đ?‘Łđ?‘Ś . In caso di urto perfettamente elastico si ha đ?‘Łđ?‘Ľ,đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ = − đ?‘Łđ?‘Ľ,đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą đ?‘Łđ?‘Ś,đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ = đ?‘Łđ?‘Ś,đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą Si ha conservazione dell’energia cinetica. E’ interessante notare che l’energia cinetica della particella è đ??¸đ?‘? = (½)m(đ?‘Ł0 )2 che è la medesima che avrebbero due distinte particelle, entrambe di massa m, che si muovessero lungo le direzioni dei vettori ortogonali componenti di đ?’—đ?&#x;Ž .

APPUNTI MATEMATICI

Riferendosi al post-urto si avrebbe che đ??¸đ?‘?,1 = (½)m(− đ?‘Łđ?‘Ľ )2 e đ??¸đ?‘?,2 = (½)m( đ?‘Łđ?‘Ś )2 . Pertanto đ??¸đ?‘?,1 + đ??¸đ?‘?,2 = (½)m(− đ?‘Łđ?‘Ľ )2 + (½)m( đ?‘Łđ?‘Ś )2 = (½)m( đ?‘Łđ?‘Ľ )2 + (½)m( đ?‘Łđ?‘Ś )2 = (½)m⌋( đ?‘Łđ?‘Ľ )2 + ( đ?‘Łđ?‘Ś )2 âŚŒ = (½)m(đ?‘Ł0 )2 . Questi passaggi coprono anche il pre-urto! In definitiva, si ha đ??¸đ?‘? = đ??¸đ?‘?,1 + đ??¸đ?‘?,2 . Il vettore velocitĂ post-urto đ?’—đ?&#x;? = − đ?‘Łđ?‘Ľ đ?’Š ′ + đ?‘Łđ?‘Ś j’. L’angolo tra i vettori đ?’—đ?&#x;Ž e đ?’—đ?&#x;? misura 2arctg(

đ?‘Łđ?‘Ś

)

⎸�� ⎸

Vi è una evidente analogia con la legge della riflessione. Urto parzialmente anelastico contro parete. Si parte sempre dal principio della conservazione dell’energia rilevando che l’urto determina una variazione dell’energia cinetica con diminuzione della velocitĂ scalare post-urto, rispetto alla velocitĂ scalare pre-urto. Il ∆đ??¸đ?‘? = K è tale che đ??¸đ?‘?,đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ = đ??¸đ?‘?,đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą + K. Si ha (½)m(đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ )2 = (½)m(đ?‘Ł1đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą )2 + K. Da essa si ha (½)m(đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ )2 - (½)m(− đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą )2 = K > 0, quando đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ > ⎸− đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą ⎸. La misura dell’energia cinetica non varia se in luogo di − đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą si mette đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą = ⎸− đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą ⎸. Pertanto si ha (½)m(đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ )2 - (½)m(− đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą )2 = K = (½)m(đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ )2 - (½)m( đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą )2 . Detta relazione è scrivibile come K = (½)m(đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ )2 - (½)m(đ?œ‘ đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ )2 , ove si è posto đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą = đ?œ‘ đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ đ?‘?đ?‘œđ?‘› φ ∈ (0, 1) ⊂ R. Nel caso φ = 1 si ha il caso dell’urto perfettamente elastico. Nel caso sia φ = 0 si ha il caso dell’urto completamente anelastico. In definitiva K = ∆đ??¸đ?‘? = (½)m(đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ )2 ⌋ 1 - đ?œ‘2 âŚŒ.

69


Patrizio Gravano

Nel post-urto la velocità è in termini assoluti data dalla relazione đ?‘Łđ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą = đ?œ‘ đ?‘Łđ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ . Essa è una relazione che coinvolge scalari reali. Ma dovrebbe risultare essenziale data la direzione di đ?’—đ?’‘đ?’“đ?’† ricavare la direzione di đ?’—đ?’‘đ?’?đ?’”đ?’• . Dal solo punto della conservazione dell’energia non esiste una direzione privilegiata. In termini scalari si avrebbe đ?‘Łđ?‘Ľ,đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ = − đ?œ‘đ?‘Łđ?‘Ľ,đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą đ?‘Łđ?‘Ś,đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’ = đ?œ‘đ?‘Łđ?‘Ś,đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ą Negli urti anelastici, completamente o parzialmente, non si ha conservazione della quantitĂ di moto. Neppure negli urti elastici con rimbalzo si ha conservazione della quantitĂ di moto in termini vettoriali.

APPUNTI MATEMATICI

30. Urto perfettamente elastico in una dimensione Caso di due particelle vincolate a muoversi su una retta da versi opposti. La relazione scalare è đ?‘š1 đ?‘Ł1 - đ?‘š2 đ?‘Ł2 = - đ?‘š1 đ?‘Ł2 + đ?‘š2 đ?‘Ł1

(1)

đ?‘š1 đ?‘Ł1 + đ?‘š1 đ?‘Ł2 = đ?‘š2 đ?‘Ł2 + đ?‘š2 đ?‘Ł1 đ?‘š1 (đ?‘Ł1 + đ?‘Ł2 ) = đ?‘š2 (đ?‘Ł1 + đ?‘Ł2 ) đ?‘š1 = đ?‘š2 , qualunque siano đ?‘Ł1 e đ?‘Ł2 . Per đ?‘Ł1 = ⎸đ?‘Ł2 ⎸ Per đ?‘š1 ≠đ?‘š2 la (1) non è vera. Ammettiamo la conservazione dell’energia, con le due particelle che si scambiano le velocitĂ , avendo ½ đ?‘š1 (đ?‘Ł1 )2 + ½ đ?‘š2 (đ?‘Ł2 )2 = ½ đ?‘š1 (đ?‘Ł2 )2 + ½ đ?‘š2 (đ?‘Ł1 )2 Se si ammette sia đ?‘š2 = Îąđ?‘š1 si ha ½ đ?‘š1 (đ?‘Ł1 )2 + ½ Îąđ?‘š1 (đ?‘Ł2 )2 = ½ đ?‘š1 (đ?‘Ł2 )2+ ½ Îąđ?‘š1 (đ?‘Ł1 )2 ½ đ?‘š1 ⌋(đ?‘Ł1 )2 + Îą(đ?‘Ł2 )2âŚŒ = ½ đ?‘š1 ⌋ (đ?‘Ł2 )2 + Îą(đ?‘Ł1 )2âŚŒ (đ?‘Ł1 )2 + Îą(đ?‘Ł2 )2 = (đ?‘Ł2 )2 + Îą(đ?‘Ł1 )2 Per Îą = 1 la relazione di partenza è vera Per Îą ≠1 e đ?‘Ł1 ≠⎸đ?‘Ł2 ⎸ (*) non è verificata. Ci si riconduce al caso algebrico

70


x + Îąy = y +Îąx , x > 0, y > 0, Îą > 0

Patrizio Gravano (2)

x – y = Îą(x – y) Per Îą ≠1 e x ≠y la ( 2 ) non è verificata. Per Îą = 1 la (2) è verificata comunque siano (x, y). La conservazione della quantitĂ di moto e dell’energia cinetica è verificata per đ?‘š1 = đ?‘š2 .

Nel corso del prossimo anno pubblicherò un numero monografico sui principi di conservazione nella fisica classica.

APPUNTI MATEMATICI

SUL PIANO STATISTICO

IL CALCOLO DELLE PROBABILITA’

In questo numero ho introdotto abbastanza intuitivamente gli assiomi di probabilitĂ , dovuti al matematico russo Kolmogorov.

Von Mises, Bruno de Finetti, Pierre Simon de Laplace, e Jimmy Savage sono stati i principali elaboratori delle teorie della probabilitĂ . Gli approcci piĂš moderni risalgono al Novecento.

71


Patrizio Gravano 1.

La probabilitĂ secondo Laplace.

La prima definizione di probabilità è dovuta a Pierre Simon de Laplace. Essa tiene conto della equiprobabilitĂ . Viene definito lo spazio campione, inteso come l’insieme i cui elementi sono tutti i possibili eventi equiprobabili. Nella sua Teoria analitica della probabilitĂ Laplace (1812) ha definito la probabilitĂ che si verifichi l’evento e , ovvero P(e) come il rapporto tra i casi favorevoli e il numero dei casi possibili. P(e) =

APPUNTI MATEMATICI

đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘ đ?‘˘đ?‘™đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘Ąđ?‘– đ?‘“đ?‘Žđ?‘Łđ?‘œđ?‘&#x;đ?‘’đ?‘Łđ?‘œđ?‘™đ?‘– đ?‘Žđ?‘‘ đ?‘’ đ?‘Ąđ?‘œđ?‘Ąđ?‘Žđ?‘™đ?‘’ đ?‘‘đ?‘’đ?‘– đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘ đ?‘˘đ?‘™đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘Ąđ?‘–

Ad esempio, voglio definire e come segue e = “esce un numero pari oppure il numero 1â€?. Definirne la probabilitĂ nel lancio del dado. Sono, assegnato e, risultati favorevoli ad e il verificarsi di uno dei seguenti casi: esce 1, esce 2, esce 4, esce 6. Pertanto il numero dei risultati favorevoli ad e è 4, mentre il numero dei casi 4

2

possibili è 6, pertanto P(e) = 6 = 3. Essa è immediatamente applicabile agli spazi campione uniformi.

2.

Approccio frequentista della probabilitĂ

Tale approccio è dovuto a R. von Mises (1957). Questo modello lega la probabilitĂ di un evento e, ovvero P(e), alla frequenza relativa determinata su un numero arbitrariamente grande di eventi elementari successivi. Formalmente essa è P(e) = lim đ?‘“đ?‘› (e) đ?‘›â†’+ ∞

3.

Approccio di de Finetti – Savage

Questo approccio è alquanto generale in quanto consente, come è ben noto, di fare riferimento ad eventi non necessariamente equiprobabili e non necessariamente ripetibili piĂš volte sotto le stesse condizioni. La probabilitĂ viene definita “il prezzo che un individuo ritiene equo pagare per ottenere 1 (in caso di vincita) o 0 in caso di perditaâ€? “ in modo che non ottenga una vincita o una perdita certaâ€?

72


Patrizio Gravano

Essa ha un limite soggettivo nella propensione al rischio, che varia da individuo a individuo.

4.

Valore approssimato di n!

Spesso in statistica si rende necessario calcolare n!. 1

Per valori di n > 50 si usa una formula approssimata, detta di Stirling, per la quale n! ≃ đ?‘›đ?‘›+2 đ?‘’ −đ?‘› √2đ?œ‹ .

5.

APPUNTI MATEMATICI

Coefficiente multinomiale

Si hanno n oggetti distinguibili. Siano essi raggruppabili in r gruppi. Sia đ?‘›đ?‘– il numero degli elementi collocabili nei gruppi (i ≤ r). Si ha che ∑đ?‘&#x;đ?‘–=1 đ?‘›đ?‘– = n. occorre determinare il numero delle possibili divisioni differenti. Vi sono (đ?‘›đ?‘› ) nodi di fissare il primo gruppo. Per il secondo 1

gruppo residuano (n - đ?‘›1 ) elementi che possono essere combinati in (n −đ?‘› đ?‘›1). Iterando il 2

ragionamento

si

(đ?‘›đ?‘› ) (n −đ?‘› đ?‘›1) ‌ ‌ 1 2

(n − đ?‘›1 −đ?‘›â€Śâˆ’ đ?‘›đ?‘&#x;−1 ). 2

numero è (đ?‘›

1

6.

ottiene

che

il

numero

delle

possibili

divisioni

è

dato

da

Sviluppando i calcoli si ottiene immediatamente che tale

đ?‘› ). đ?‘›,2 ‌..đ?‘›đ?‘&#x;

Distribuzione di Maxwell-Boltzmann

Con riferimento alla definizione del coefficiente binomiale ci si chiede quale sia la probabilitĂ che si verifichi l’evento E per il quale il gruppo i-esimo (∀i ≤ r) contiene proprio đ?‘›đ?‘– particelle. Pertanto P(E) = (đ?‘›

1

7.

1 đ?‘› ). đ?‘›2 ‌..đ?‘›đ?‘&#x; đ?‘&#x; đ?‘›

ProbabilitĂ condizionata

Sia dato S tale che P(S) = 1. Sia dato un evento M tale che P(M) > 0. M è un evento possibile. Sia dato un distinto evento A, pure possibile, per il quale sia P(A) > 0. E’ introdotto un ulteriore approccio alla probabilitĂ : determinare la probabilitĂ che si verifichi l’evento A dopo che si è verificato l’evento M. Ciò è formalizzato come segue: P(A|M).

73


Patrizio Gravano

Si da per assodato di conoscere P(M). La probabilitĂ che si verifichi A quando è data P(M) è, per definizione, P(A|M) = P(A∊M)/P(M). Gli eventi M ed A possono essere impossibili allora immediatamente P(A|M) = 0. Ciò perchĂŠ il verificarsi di M esclude il verificarsi di A.

8.

ProbabilitĂ totale

Sia S lo spazio campione (universo). Sia definita una partizione insiemistica di S, ovvero si consideri un numero discreto (intero) di sottoinsiemi propri di S. Siano n detti sottoinsiemi propri per i quali si ha đ??´đ?‘– ∊ đ??´đ?‘— = insieme vuoto e ⋃đ?‘›đ?‘–=1 đ??´đ?‘– = S.

APPUNTI MATEMATICI

Sia dato un distinto evento B ⊂ S.

Sono note le P(đ??´đ?‘– ). PoichĂŠ è noto che B ⊂ S allora dal punto di vista insiemistico – passando poi alla misura di probabilità – si può ammettere che B ∊ S = B quindi P(B ∊ S) = P(B). Da B ∊ S = B si ottiene pure B = B∊ (⋃đ?‘›đ?‘–=1 đ??´đ?‘– )= ⋃đ?‘›đ?‘–=1(đ??ľ ∊ đ??´đ?‘– ) Da cui discende che P(B) = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘ƒ(đ??ľ|đ??´đ?‘– )P(đ??´đ?‘– )

9.

Formula di Bayes

Siano dati due eventi A e B per i quali è P(A) > 0 e P(B) > 0. E’ noto che P(A|B) = P(A∊B)/P(B) â&#x;š P(A∊B) = P(A|B) P(B) = P(B|A) P(A) Da P(A|B) P(B) = P(B|A) P(A) si ha P(A|B) =

P(B|A) P(A) đ?‘ƒ(đ??ľ)

Questa ultima è detta formula di Bayes. Questa relazione è interpretabile in chiave di eventi causa ed evento effetto. P(A|B) può essere interpretato nel senso che A è la causa una volta che sia stato notato l’effetto B.

10. Eventi indipendenti ed eventi incompatibili Come giĂ detto il formalismo P(A|B) definisce la probabilitĂ che si verifichi l’evento A dopo che si è verificato l’evento B. Se si ammette che P(A|B) = P(A) si intende dire che la probabilitĂ che si verifichi l’evento A è eguale a quella che si verifichi l’evento A dopo che si sia verificato l’evento B. Ciò può essere interpretato in due modalitĂ distinte e non incompatibili.

74


Patrizio Gravano

A e B possono essere eventi successivi nel tempo. Basta riandare con la mente all’esempio del dado. B potrebbe essere l’evento “esce sei al primo lancioâ€?, A è l’evento “esce sei al secondo lancioâ€?. Se si ha P(A|B) = P(A) allora i due eventi sono indipendenti. E’ ben evidente che la probabilitĂ P(A), ovvero che esca la faccia 6 al secondo lancio è 1/6, a prescindere da quanto era accaduto al primo lancio. Se si ammette un decalage temporale tra eventi, o , al limite, una contestualitĂ , è possibile che sia P(A|B) = 0. Essa si interpreta nel modo che segue: il verificarsi di un evento B esclude il contestuale o successivo verificarsi dell’evento A.

APPUNTI MATEMATICI

Detti eventi sono incompatibili. Il (non) verificarsi di uno dipende dal verificarsi (non verificarsi) dell’altro. Indipendenza e dipendenza di eventi, come visto, sono legate anche al (non) reimussolamento.

11.

Eventi condizionatamente indipendenti

Due eventi đ??¸1 đ?‘’ đ??¸2 sono condizionatamente indipendenti se, verificatosi M, evento possibile, si ha che P(đ??¸1 ∊ đ??¸2 |M) = P(đ??¸1 |M)* P(đ??¸2 |M).

12.

Prove

Dalle argomentazioni a proposito del lancio dei dadi ben si comprende il concetto di sottoesperimenti indipendenti, costituiti da n lanci, o come si dice, da n prove successive nel tempo. A detta situazione è equiparato il caso del lancio simultaneo di n distinti dadi.

13.

ProbabilitĂ in prove ripetute

E’ assegnato uno spazio campione S, ovvero l’insieme i cui elementi sono tutti e soli i possibili esisti di una prova. Con riferimento ad ognuna delle prove successive è possibile definire la

75


Patrizio Gravano

probabilitĂ di successo P(E) = p e la probabilitĂ di insuccesso (1-p) =P(đ??¸ đ?‘? ), ove la notazione đ??¸ đ?‘? denota l’evento complementare rispetto ad E. Se l’evento E è definito come “esce la faccia numero 1â€?, l’evento complementare đ??¸ đ?‘? è definito come “esce la faccia 2, oppure la faccia 3, oppure la faccia 4, oppure la faccia 5, oppure la faccia 6â€?. E’ ben evidente che dato E, si ha che E âˆŞ đ??¸ đ?‘? = S. Si consideri un evento E. Quindi si ammetta di effettuare n prove successive.

APPUNTI MATEMATICI

Sia đ?‘†đ?‘› il numero dei successi nelle n prove. Sia T il numero delle prove fino al primo successo. Può essere richiesto di definire le probabilitĂ relative ai seguenti eventi: -

almeno un successo nelle n prove; k successi dopo n prove; il primo successo alla i-esima prova.

1° caso :

P(almeno un successo nelle n prove).

Se p è la probabilitĂ del successo alla prima prova, simmetricamente l’insuccesso sarĂ con probabilitĂ (1- p) come giĂ detto (eventi complementari). La probabilitĂ di insuccesso dopo n prove sarĂ pari a (1 − đ?‘?)đ?‘› La probabilitĂ di successo (almeno uno) dopo n prove sarĂ quindi 1 - (1 − đ?‘?)đ?‘› 2° caso :

P(k successi dopo n prove).

Ammettiamo che si abbiano k successi. Vi saranno quindi (n-k) insuccessi. Immediatamente si ha che P(k successi dopo n prove) = đ?‘?đ?‘˜ (1 − đ?‘?)đ?‘›âˆ’đ?‘˜ 3° caso:

P(il primo successo alla i-esima prova).

Se desidero definire la probabilitĂ di avere il primo successo alla i-esima prova devo ammettere che vi siano stato (i-1) insuccessi successivi, con probabilitĂ (1-p). pertanto la probabilitĂ richiesta è eguale a ((1 − đ?‘?)đ?‘–−1 )p. Andando oltre i contenuti del testo – che pure ho sintetizzato intuitivamente – è possibile definire questioni del tipo P(il terzo successo avvenga alla k-esima prova). In questo caso vengono svolte sicuramente k prove la probabilitĂ dovrebbe risultare đ?‘?3 (1 − đ?‘?)đ?‘˜âˆ’3 . Infatti per definire un successo alla k-esima prova, con probabilitĂ p, vi devono essere stati due successi con probabilitĂ p e k-2 -1 insuccessi con probabilitĂ (1- p).

76


Patrizio Gravano

Se su ammette costante k per esempio k = 100 è possibile generalizzare in termini di numero di successi, nel senso di definire la probabilitĂ che il successo φ-esimo si abbia alla prova kesima. Detta probabilitĂ vale đ?‘?đ?œ‘ (1 − đ?‘?)đ?‘˜âˆ’đ?œ‘ In un contesto del genere non rileva conoscere in quali prove si sono avuti i primi due esiti favorevoli. Ci si deve porre una questione piĂš generale. Determinare la probabilitĂ che su un certo numero di prove si abbiano φ successi è che il φ-esimo successo si abbia alla prova k quando è noto che đ?œ‘đ?‘– denota l’esito positivo alla i-esima prova.

APPUNTI MATEMATICI 13.

Spazi campione continui

Nei casi considerati fino ad ora lo spazio campione contiene un numero finito di elementi (eventi possibili). Al riguardo opera una distinzione fondamentale, quella tra spazi continui uniformi e spazi continui non uniformi. Si parte dal caso di spazi continui uniformi. Esempio: scelta a caso di un numero reale appartenente ad un dato intervallo S = [0, k]. Ci si chiede di definire la probabilitĂ che x appartenga ad [a, b ] ⊂ [0, k]. P(x : x ∈ [a, b ] ⊂ [0, k]) =

đ?‘?−đ?‘Ž 10−0

=

đ?‘?−đ?‘Ž 10

Un segmento di estremi A e B contiene un numero infinito di punto. La probabilitĂ puntuale è nulla P(x = đ?‘Ľđ?‘– ) = 0 Ragionamenti analoghi si possono fare in đ?‘… 2 . Va ora considerato il caso di spazi continui non uniformi. In questo caso viene eliminata la condizione di equiprobabilitĂ , attribuendo quindi un peso ai punti, all’uopo introducendo una funzione detta densitĂ di probabilitĂ . Sia sempre dato l’ intervallo S = [0, k]. La funzione densitĂ di probabilità è una funzione di una variabile reale integrabile in ogni punto di S. Quelle solitamente rappresentate sono continue. đ?‘?

Detta funzione è tale che P(x : x ∈ [a, b ] ⊂ [0, k]) = âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ

77


Patrizio Gravano

Ciò è vero per definizione. L’area sotto f(x) dati gli estremi di integrazione definisce la probabilitĂ che x appartenga ad un dato intervallo chiuso di estremi (minimo e massimo, rispettivamente) a e b. Per soddisfare gli assiomi di probabilità è necessario probabilitĂ che x ∈ [0, k] sia eguale a 1.

normalizzare dovendo essere la

đ?‘˜

P(x : x ∈ [0, k]) = âˆŤđ?‘œ đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ = 1. La procedura di normalizzazione consiste nell’imporre questo ultimo integrale pari a 1 all’uopo considerando f(x) = y come una costante, portandola quindi “fuori da integraleâ€?.

APPUNTI MATEMATICI

Nel caso di specie si ha 1 = yk quindi y = 1/k quando x è in S, e zero, quando x non è in S.

14.

Discreti visti come continui

Si può avere a che fare con uno spazio binario S = âŚƒ0 , 1⌄ nel quale non valga la equiprobabilitĂ , ma sia p la probabilitĂ che si verifichi l’evento “esce lo zeroâ€? e sia (1-p) la probabilitĂ che esca il numero 1. Si ammette sia p noto con 0 < p < 1. La funzione di probabilitĂ f(x) deve essere tale che f(0) = p e f(1) = 1-p e sia f(x) = 0 per ogni x ≠1 ≠0. Essa va però normalizzata. PiĂš correttamente è possibile considerare due intervalli simmetrici di raggio

đ?œ€ 2

dei punti 0 e 1.

PoichĂŠ la funzione – anche normalizzata – deve essere identicamente eguale a zero per x ≠0 ≠1, occorre – ed è sufficiente – che la somma delle aree dei rettangoli centrati in 0 e in 1 valga proprio 1 unitĂ superficiali. Detti rettangoli hanno entrambi base eguale a Îľ. La condizione, algebricamente ricavabile, per la quale dato p, sia che la somma delle aree di essi sia 1, è, immediatamente,

đ?‘? đ?œ€

e

1−đ?‘? đ?œ€

,

rispettivamente. Da queste osservazioni si può pervenire alla definizione della funzione impulsiva δ di Dirac. Infatti data la funzione φ(x) =

1 đ?œ€

per +∞

đ?œ€ 2

<x<

đ?œ€ 2

con φ(x) = 0 altrove allora essa è una

funzione di probabilitĂ in quanto âˆŤâˆ’âˆž φ(x)dx = 1, immediatamente. Quando đ?œ€ → 0 allora si ha lim φ(x) = đ?›ż(đ?‘Ľ), detta delta di Dirac. đ?œ€â†’0

78


Patrizio Gravano

A questo punto è praticamente conclusa l’elaborazione della teoria della probabilità. Dovranno successivamente essere esaminate le variabili casuali.

Per la elaborazione di questa nota ho attinto dal testo Bonomi, Ferrari, “Introduzione a Teoria della probabilità e variabili aleatorie, con applicazioni all’ingegneria e alle scienze”, Progetto Leonardo, Bologna, e alle citate voci di Wikipedia, con mie sintesi e integrazioni.

APPUNTI MATEMATICI

79


15. Qualche “cimelio” …….

Patrizio Gravano

.

APPUNTI MATEMATICI

80


Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

81


Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

82


LE MIE RICERCHE 1

Patrizio Gravano

LA STABILITA’. I DIAGRAMMI DI BODE E NYSQUIT

In questa breve nota considero la stabilità come studiata con l’uso dei diagrammi di Bode e di Nysquit.

APPUNTI MATEMATICI

1. Le due forme della funzione di trasferimento

La prima forma delle fuzioni di trasferimento è detta forma poli-zeri. Esempio: G(s) =

(đ?‘ +5)(đ?‘ −2) (đ?‘ +1)(đ?‘ +2)(đ?‘ −3)

Gli zeri sono gli s che annullano il numeratore. I poli sono gli s che annullano il denominatore. Una funzione di trasferimento può essere messa nella forma detta delle costanti di tempo. Esempio: G(s) = K

(1+ đ?‘‡1 đ?‘ ) ‌. (1+ đ?‘‡1 đ?‘ ) đ?‘ đ?‘” (1+ đ?œ?1 đ?‘ ) ‌.. (1+ đ?œ?đ?‘›âˆ’đ?‘” đ?‘ )

K è detto guadagno statico.

2. Relazione intercorrente tra zeri e poli e costanti di tempo Gli zeri e i poli sono indicati, rispettivamente, con le lettere z e p. �� = -

1 ��

đ?‘?đ?‘– = -

1 đ?œ?đ?‘–

3. Diagramma di Bode del modulo

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

E’ data una funzione di trasferimento. Si studia l’andamento del modulo di G in funzione di ω, fase misurata in rad/sec. Ricordare che ω =

2đ?œ‹ đ?‘‡

= 2Ď€f

L’asse delle x è definito da decadi, ognuna delle quali va da 10đ?‘›âˆ’1 a 10đ?‘› L’asse delle y – contenete il modulo di G – è, in realtĂ , espresso in dB (decibel) avendosi che ⎸đ??şâŽ¸đ?‘‘đ??ľ = 20 log10 ⎸đ??şâŽ¸. Gli zeri vengono rappresentati con piccoli cerchi, mentre i poli sono rappresentati da piccole x. Per la costruzione grafica quando si incontra uno zero si sale di n*20 bB/dec, mentre quando si incontra un polo si scende di n*20 bB/dec, ove n definisce la molteplicitĂ algebrica dello zero o del polo.

4. Diagramma di Bode della fase Il diagramma di Bode della fase mette in relazione la frequenza (sull’asse delle x, in scala logaritmica) con la fase del vettore G(s=jω)

5. Il diagramma di Nysquit

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Patrizio Gravano

Il diagramma di Nysquit considera l’equilibrio con riferimento ad un unico diagramma polare. Si tratta di un diagramma qualitativo. Vengono considerati due distinti valori di ω. Detti valori sono ω = 0 e ω = ∞. In genere è data una funzione di trasferimento G(s) = G(jω) nel dominio di Laplace. Sia m il numero degli zeri e sia n il numero dei poli. Nel caso di un sistema di tipo zero si ha g = 0 pertanto G(s) = G(jω) = G(0) = k Nel piano complesso si hanno Re(G) e Im(G). Si determina il k reale (sull’asse reale) cui corrisponde w = 0.

APPUNTI MATEMATICI

(Re(G), Im(G)) definisce la funzione di trasferimento.

Ricordare che per ω = 0 si ha G(j0) = k cui corrisponde φ = 0 rad. Quando m = n non c’è sfasamento. đ?œ‹

Occorre ricordare che φ(∞) = - (n – m)2 (in rad.)

Queste considerazioni saranno integrate, anche con la risoluzione di alcuni esercizi, nel prossimo n. 11 di Appunti matematici.

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LE MIE RICERCHE 2

Patrizio Gravano LE ECONOMIE DI SCALA

Ho deciso di elaborare questo abstrat avente ad oggetto le economie di scala che ebbi a studiare molti anni fa. Esse costituirono l’oggetto della mia tesi di laurea in scienze politiche nell’anno accademico 2004-2005 all’UniversitĂ degli studi di Roma “La Sapienzaâ€?.

APPUNTI MATEMATICI

Ho deciso una sintesi dell’elaborato in allora prodotto limitandomi agli aspetti matematici che in esso introdussi. 1. Economie interne di scala. Q = A(đ??ž đ?›źâ€˛ )(đ??żđ?›źâ€˛â€˛ ) . Si hanno economie interne di scala quando ι’ + ι’’ > 1. A è una costante detta coefficiente generale di produttivitĂ . Esse sono legate alla riorganizzazione imprenditoriale di lungo periodo. “Analiticamente si è in presenza di economie di scala interne all’impresa quando, data una ottimale (sia sotto il profilo tecnico che sotto quello economico) combinazione dei fattori che importi l’impiego di una quantitĂ K di fattore capitale e di una quantitĂ L di fattore lavoro che determini una una quantitĂ di output (bene finale) la variazione della quantitĂ di fattori di un eguale coefficiente adimensionato intero ÎŚ determini un aumento della quantitĂ prodotta di un fattore φ > ÎŚ.â€? Con banali passaggi algebrici si evidenzia φ = đ?›ˇ ι’ + ι’’ đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘ đ?‘˘đ?‘™đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ φ > ÎŚ solo quando ι’ + ι’’ > 1. 2. Economie di learning by doing. Vorrei sinterizzare la nota n. 20 (pagg.22 e 23) del mio elaborato. Scrivevo: “L’importanza delle economie dovute al learning by doing è anche legata alla suddivisione individuale del tempo di lavoro tra attivitĂ produttiva ed attivitĂ di apprendimento che nel lungo periodo permette di ottenere un rapporto K/L piĂš elevato per effetto della crescita del capitale umano. Si ha Δ(K/L) = (K’/L) – (K/L) = ΔK/L, ove si è ammesso K’ il capitale al tempo t = 1 e K il capitale al tempo t = 0. K’ incorpora la crescita del capitale umano, costituito dall’insieme delle conoscenze professionali‌.. “. Aggiungevo che “E’ ovvio che queste considerazioni possono essere estese a n successivi istanti considerando il K relativo al periodo precedente come costituto dalla somma del capitale fisso e di quello circolante di quel periodo oltre al capitale umano riferito al periodo precedenteâ€?. Con riferimento al rapporto K/L scrivevo che “tale rapporto esprime una indicazione cruciale per comprendere se la teoria H-O è valida‌. “. Aggiungevo anche che “Per modificare il rapporto K/L fino a ricomprendervi il capitale umano a livello elementare (‌.) è possibile moltiplicare K per uno scalare Ρ > 1 e ottenere un nuovo rapporto (‌..) E’ come se avessimo a disposizione (‌) non lo stock K ma lo stock ΡK. (‌.) E’ però possibile un ulteriore approccio: infatti al capitale fisico K è possibile “sommareâ€? il capitale umano con l’avvertenza – ovviamente – che il capitale umano sia convertibile in dosi addizionali di capitale fisico. (‌.) Il capitale umano deve poter essere misurato nella stessa unitĂ di misura di K. Date che siano le conoscenze e le

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Patrizio Gravano

attitudini produttive rilevanti queste vanno “convertiteâ€? in dosi virtuali di capitale fisico. (‌.) i due approcci (‌‌) sono (‌.) intercambiabili nel senso che se ammettiamo l’esistenza di un capitale umano è possibile scrivere ΡK = K + K’.â€? Con questa relazione intendevo definire K(t+1) rispetto a K(t) = K nell’ipotesi K’ sia l’equivalente in termini di dosi del capitale umano, nell’evidenza, vera nel breve periodo, che il capitale fisico (hard) sia costante. 3. K/L e NAFTA. Nella nota n. 31 avevo poi posto il problema della contabilizzazione di K/L ricordando che “Relativamente agli USA il calcolo di K/L per i prodotti esportati tiene conto del fatto che una parte del prodotto esportato incorpora una K/L non USA e tale quantità è tanto piĂš rilevante quanto maggiore è l’apporto non domestico al prodotto poi contabilizzato come USA. Se si considera solo quanto viene effettivamente prodotto negli USA si dovrebbe ottenere un rapporto K/L maggiore e coerente con la maggiore professionalizzazione del fattore lavoro USA. Se un prodotto USA (esportato come prodotto USA) viene realizzato a partire da una componente prodotta (assemblata, per esempio) in Messico per il quale è dato K/L = a (che pesa, per esempio, 1/10 in termini di valore finale) mentre la successiva fase di lavorazione avviene negli USA dove per la successiva produzione del bene finale è richiesto un contributo produttivo espresso da K/L = b (che pesa invece 9/10), il valore di K/L sarĂ dato da ((1/10)a + (9/10b))/10 = K/L = c. Con semplici passaggi algebrici si ottiene il valore di b che indica il K/L del (dei) contributo(i) domestico(i).â€?

APPUNTI MATEMATICI

4. Osservazione conclusiva. Nell’impossibilitĂ di riportare integralmente i contenuti vorrei ricordare quanto scrivevo (alla fine della nota n. 82, pag. 54) ovvero: “Al di fuori del modello H-O (‌‌) è possibile ammettere che valga la relazione φ = đ?›ˇÎąâ€™ + ι’’ essendo ι’ + ι’’ > 1 pertanto la produzione ottenuta al tempo t sarĂ đ?‘Œđ?‘Ą = đ?‘Œđ?‘§ (đ?›ˇÎąâ€™ + ι’’ )đ??´đ?‘Ąâˆ’1 . Se per produrre un bene sono necessarie x dosi di capitale K e y dosi di lavoro L e le remunerazioni dei fattori sono rispettivamente in termini nominali r e w il costo medio per unitĂ di prodotto è

đ?‘Ľđ?‘&#x;+đ?‘Śđ?‘¤ đ?‘Œ

.� Con Y si intende il numero delle dosi fisiche di prodotto.

E continuavo ricordando che “in presenza di economie di scala interne il costo medio si riduce di un fattore

đ?›ˇ đ?œ‘

e il differenziale dei costi medi di produzione tra i due paesi varia a

seconda che operino o meno economie interne di scala: esso vale (đ?›ˇ1− ι’ + ι’’ )(1/Y)Δw , ove Δw è il differenziale salariale tra i due paesi e ove si è posto che la remunerazione r del capitale sia la stessa nei due paesi.â€?

5. Integrazioni. Vorrei ora integrare quei contenuti con ulteriori riflessioni elaborate alla fine del mese di luglio 2015. 5.1 Ipotesi di un solo paese. L’esistenza del learning by doing con costanza intertemporale della produzione. Si produce sempre Y ma la professionalizzazione dei

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Patrizio Gravano

lavoratori fa si che per Y = cost. siano necessarie sempre dosi minori di L, che quindi p funzione inversa del tempo. Pertanto il costo per produrre un numero costante di dosi di bene è Kr + wđ??ż0 Kr + wđ??ż1 con đ??ż1 < đ??ż0 I costi si riducono di wđ??ż1 - wđ??ż0 = wΔL < 0

APPUNTI MATEMATICI

5.2 Ipotesi secca della differenziazione salariale.

Si ammette che nei due paesi si produca la medesima quantitĂ con medesima remunerazione del capitale đ?‘&#x;1 = đ?‘&#x;2. ΔC = LΔw < 0 per Δw < 0. In ipotesi che nei due Paesi si produca la medesima quantitĂ Y si ottiene đ?›Ľđ??ś đ?‘Œ

1 đ?‘Œ

= L Δw

5.3. Ipotersi di learning by doing con espansione della produzione Y = Y(t) ≠cost.. In questo caso il costo medio per unitĂ di prodotto è decrescente. Tale quantità è infatti data da

đ??žđ?‘&#x;+đ?‘¤đ??ż đ?‘Œ(đ?‘Ą)

sicuramente decrescente in quanto il numeratore è

costante e il denominatore cresce nel tempo. Quindi il costo medio per unitĂ di prodotto decresce siano ad un (

đ??žđ?‘&#x;+đ?‘¤đ??ż ) đ?‘Œ(đ?‘Ą) đ?‘šđ?‘–đ?‘›

che corrisponde ad un Y = đ?‘Œ(đ?‘Ą)đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ .

Fattore capitale costante e lavoratori che producono sempre di piĂš ma fino ad un valore limite. Una condizione di evidente saturazione della produttivitĂ di L costante. L’ipotesi del confronto tra condizione di esistenza del learning by doing e la condizione di costo medio costante è rappresentabile nel grafico tempo – costo medio come una successione costante nel caso dei rendimenti costanti e una successione monotona decrescente con minimo (

đ??žđ?‘&#x;+đ?‘¤đ??ż ) đ?‘Œ(đ?‘Ą) đ?‘šđ?‘–đ?‘›

nel caso del learning by doing.

Nel tempo questa distanza (gap) si amplia e raggiunge un massimo. Se si intende aumentare la produzione oltre Y = đ?‘Œ(đ?‘Ą)đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ corrispondente alla massima professionalizzazione delle dosi L di lavoro sarĂ necessario aggiungere ulteriori dosi ∆đ??ż di fattore lavoro (non professionalizzato) con conseguente riduzione dal gap. In buona sostanza il costo post introduzione è, ceteris paribus, c* > (

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đ??žđ?‘&#x;+đ?‘¤đ??ż ) . đ?‘Œ(đ?‘Ą) đ?‘šđ?‘–đ?‘›


Patrizio Gravano

Volendo si potrebbe stabilizzare al minimo il costo medio per unitĂ di prodotto assegnando alle new entries ΔL una remunerazione đ?‘¤đ?‘›.đ?‘’. < w. In realtĂ il discorso è piĂš complesso perchĂŠ (K, L) è la combinazione ottimale e quindi a ΔL dovrebbe corrispondere la introduzione di dosi addizionali ∆đ??ž aventi remunerazione r. Ragioni di equitĂ imporrebbero, mano a mano che il costo medio per unitĂ di prodotto decresce, di introdurre un sentiero di moderata crescita per il salario con una successione w(t) crescente nel tempo, certamente incentivante. Ove sia p = (

đ??žđ?‘&#x;+đ?‘¤đ??ż ) đ?‘Œ(đ?‘Ą) đ?‘šđ?‘–đ?‘›

Nel caso p > (

non si avrebbero ovviamente condizioni di extraprofitto.

đ??žđ?‘&#x;+đ?‘¤đ??ż ) đ?‘Œ(đ?‘Ą) đ?‘šđ?‘–đ?‘›

APPUNTI MATEMATICI

si avrebbe un extraprofitto, massimizzato quanto w = w(t) = cost..

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LE MIE RICERCHE 3

Patrizio Gravano L’ultimo teorema di Fermat

APPUNTI MATEMATICI

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APPUNTI MATEMATICI

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

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LE MIE RICERCHE 4

Patrizio Gravano

Soluzioni approssimate di equazioni (senza usare l’Analisi)

Da un testo universitario francese (Guanin, Ladame, Vandeven, Tout-en-un, MathÊmatiques, MP, Edition BREAL) ho rinvenuto un interessante esercizio, risolto dagli autori mediante l’utilizzazione dell’algoritmo di Newton-Raphson.

APPUNTI MATEMATICI

Tale esercizio è il seguente: “calcolare il valore approssimato della radice di đ?‘Ľ 3 + x = 1000â€?. Vorrei osservare che viene richiesto di trovare una radice reale (se esiste) di una equazione in x. Il problema è risolubile elementarmente. Basta osservare che essendo 1000 > 0 deve essere pure đ?‘Ľ 3 + x > 0. x = 0 non può essere una soluzione reale per la data equazione in quando 0 ≠1000. Ma in generale una eventuale soluzione deve essere x > 0. Ciò perchĂŠ la somma di due numeri reali negativi non può essere positiva ed eguale a 1000, o a k > 0 quando l’equazione fosse đ?‘Ľ 3 + x = k. Elementarmente è possibile introdurre una ulteriore limitazione per x. Infatti partendo da đ?‘Ľ 3 + x = 1000, poichĂŠ è x > 0, si ha anche che đ?‘Ľ 3 < 1000 = 103 . Da ciò discende che x < 3

√103 = 10.

Pertanto, riunendo le limitazioni si ha, che deve essere 0 < x < 10. Per x = 10 si ha 103 + 10 > 103 . E’ possibile ragionare sugli interi e verificare che 93 + 9 < 103 . Se ne conclude che la radice đ?‘Ľ0 è tale che 9 < đ?‘Ľ0 < 10. A questo punto è possibile considerare il punto đ?‘Ľ1 =

10+9 2

(medio tra 9 e 10). Se (đ?‘Ľ1 )3 + đ?‘Ľ1

< 1000 allora la soluzione va ricercata nell’intervallo aperto a destra e a sinistra (đ?‘Ľ1 , 10). Il ragionamento è iterabile piĂš volte giungendo a individuare la radice contenuta in (Îą , β) ⊂ (9, 10). (Îą, β) è l’intervallo tale che d(Îą, β) = min. risultando pure đ?›ź 3 + Îą < k > 0 e đ?›˝ 3 + β > k > 0.

Allego una nota elaborata nel passato.

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APPUNTI MATEMATICI

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APPROFONDIMENTI ANALITICI 1

INTEGRAZIONE COMPLESSA

1. Integrale complesso di linea E’ dato il piano z – f(z) nel quale vengono rappresentate le funzioni di una variabile complessa. Sia in esso una curva C di espressione analitica f(z) continua e di lunghezza finita. Detta curva è rettificabile.

APPUNTI MATEMATICI

Si divida C in n parti ponendo �0 = a e �� = b.

Si consideri per ogni (đ?‘§đ?‘˜âˆ’1 , đ?‘§đ?‘˜ ) un đ?œ‘đ?‘˜âˆ’1 in esso, cui corrisponde un f(đ?œ‘đ?‘˜âˆ’1 ). Viene definita la somma đ?‘†đ?‘› = ∑đ?‘›đ??ž=1 f(đ?œ‘đ?‘˜âˆ’1 )(đ?‘§đ?‘˜ − đ?‘§đ?‘˜âˆ’1 ) Quindi si pone n → + ∞ ovvero (đ?‘§đ?‘˜ − đ?‘§đ?‘˜âˆ’1 ) → 0. đ?‘?

Questo limite viene scritto come âˆŤđ?‘Ž đ?‘“(đ?‘§)đ?‘‘đ?‘§, ove a e b sono numeri complessi.

2. Integrale reale di linea Date le funzioni P(x, y) e Q(x, y) continue in ogni punto di C viene definito integrale reale di linea il seguente âˆŤđ??ś (đ?‘ƒ(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś ) In concreto esistono due funzioni scalari distinte ÎŚ e φ tali che x = ÎŚ(t) e y = φ(t). Se C è regolare e le funzioni sono definite e continue per ogni t tale che đ?‘Ą1 ≤ t ≤đ?‘Ą2 allora si ha đ?‘Ą

âˆŤđ??ś (đ?‘ƒ(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„(đ?‘Ľ, đ?‘Ś)đ?‘‘đ?‘Ś ) = âˆŤđ?‘Ą 2 (đ?‘ƒ(ÎŚ(t), φ(t))Ό′ (t)dt + đ?‘„)ÎŚ(t), φ(t))φ′(t). đ?‘‘đ?‘Ą ) 1

Può capitare che C sia regolare a tratti.

3. Condizioni di regolaritĂ di una curva La regolarità è sostanzialmente la differenziabilitĂ della curva in ogni punto, “non forma angoliâ€?.

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Patrizio Gravano

Solitamente le curve sono date in forma parametrica. In buona sostanza le due funzioni scalari – riferite al parametro t – ovvero x = Ό(t) e y = φ(t) devono essere tali che sia Ό’(t) ≠0 � φ’(t) ≠0 per ogni t tale che �1 ≤ t ≤ �2.

4. Relazione tra integrale di linea complesso e reale Data f(z) = u(x,y) + i v(x,y) ) = u + iv passando all’integrale di linea si ha âˆŤđ??ś đ?‘“(đ?‘§)đ?‘‘đ?‘§ = âˆŤđ??ś (đ?‘˘ + đ?‘–đ?‘Ł)(đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘–đ?‘‘đ?‘Ś) ) = âˆŤđ??ś đ?‘˘đ?‘‘đ?‘Ľ − đ?‘Łđ?‘‘đ?‘Ś + đ?‘– âˆŤđ??ś đ?‘Łđ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘˘đ?‘‘đ?‘Ś

APPUNTI MATEMATICI

Valgono per gli integrali âˆŤđ??ś (đ?‘˘ + đ?‘–đ?‘Ł)(đ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘–đ?‘‘đ?‘Ś) ) le proprietĂ di linearitĂ dell’integrale ordinario.

5. Regioni connesse semplicemente Sia data una regione R tale che R ⊂ C, ove C è il piano di Gauss. Per esempio sia R la regione del piano di Gauss i cui punti sono tutti e solo quelli per i quali ⎸z⎸ ≤ 1. Detta regione contiene sicuramente una (ovvero infinite) curva chiusa e semplice che può contrarsi fino a ridursi ad un punto senza che si esca da R. Verificata questa condizione si dice che la curva è semplicmente connessa, ovvero priva di buchi. Ridefinendo R si possono ottenere curve che rimpicciolite sono tali che almeno un punto di esse non sia di R. Esse sono bucate e sono dette molteplicemente connesse. Esempio R quando ½ ≤ ⎸z⎸ ≤ 1. Lo sarebbe anche ½ < ⎸z⎸ < 1. Viene definita una curva detta di Jordan, continua e chiusa, priva di intersezioni, di lunghezza finita o infinita. Essa divide il piano complesso in due parti che hanno detta curva come frontiera comune. Dette parti sono dette interno ed esterno. L’interno è semplicemente connesso. Data la frontiera C di una regione R il verso di percorrenza è positivo se un osservatore che percorre la frontiera trova la regione sulla sua destra L’integrazione lungo la frontiera chiusa è l’integrale di contorno ∎đ??ś đ?‘“(đ?‘§)đ?‘‘đ?‘§

6. Teorema di Green nel piano e sua forma complessa

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Patrizio Gravano

Data una regione R di frontiera C siano P(x,y) e Q(x, y) due funzioni scalari (x,y) a valore reale (đ?‘… 2 → R) tali che esse siano continua in R (regione) e abbiano le derivate in R e sulla frontiera. Si ha un teorema detto di Green, valido sia per le regioni semplicemente che molteplicemente connesse, per il quale đ?œ•đ?‘„

∎đ??ś đ?‘ƒđ?‘‘đ?‘Ľ + đ?‘„đ?‘‘đ?‘Ś = âˆŹđ?‘…( đ?œ•đ?‘Ľ -

đ?œ•đ?‘ƒ ) đ?œ•đ?‘Ś

dx dy

In effetti ne esiste anche una versione complessa per la quale đ?œ•đ??š

∎đ??ś đ??š(đ?‘§, đ?‘§â€˛) = 2i âˆŹđ?‘…( đ?œ•đ?‘§â€˛ dA

APPUNTI MATEMATICI

Quando f(z) è analitica in C e in R allora si ha il teorema integrale di Cauchy per il quale ∎đ??ś đ?‘“(đ?‘§)đ?‘‘đ?‘§ = 0

7. Integrale indefinito Se f(z) e F(z) sono analitiche in una regione R allora da F’(z) = f(z) si dice che F(z) è una primitiva di f(z). F(z) = âˆŤ đ?‘“(đ?‘§)đ?‘‘đ?‘§ + cost.

Nota. Anche per gli integrali di una variabile complessa sono tabulati quelli di una molteplicitĂ di funzioni. Per esempio nel testo che ho usato come riferimento per la elaborazione della presente scheda (Spiegel, Variabili complesse, McGraw-Hill), tale tabella trovasi a pag. 96).

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Patrizio Gravano

APPROFONDIMENTI ANALITICI 2

LA RAPPRESENTAZIONE CONFORME

0. Significato di trasformazione E’ dato un piano x.y (cartesiano o complesso). Le equazioni u = u(X, Y) e v = v(x,y) sono dette equazioni della trasformazione. In pratica si ottiene una rappresentazione di un luogo in un altro piano, detto piano u-v, secondo le regole di trasformazione date dalle due equazioni.

APPUNTI MATEMATICI

Si usano come sinonimi i termini rappresentazione o applicazione. Se a un punto (x, y) corrisponde un punto (u, v) del piano u-v, e viceversa, allora la trasformazione è biunivoca e si dice che un luogo del piano x-y è trasformato in un luogo del piano u-v.

1. Trasformazione di regioni chiuse. Una regione chiusa del piano x-y viene trasformata in una regione pure chiusa del piano u-v. Siano date le aree di dette regioni e siano esse ∆đ??´đ?‘Ľđ?‘Ś e ∆đ??´đ?‘˘đ?‘Ł . Se y e v sono indefinitamente derivabili lim đ?œ•(đ?‘˘,đ?‘Ł) đ?œ•(đ?‘Ľ,đ?‘Ś)

∆đ??´đ?‘Ľđ?‘Ś ∆đ??´đ?‘˘đ?‘Ł

đ?œ•(đ?‘˘,đ?‘Ł)

= ⎸đ?œ•(đ?‘Ľ,đ?‘Ś) ⎸

è il determinante di Jacobi della trasformazione.

Quando lo jacobiano non si annulla mai in R (nella regione considerata) allora la trasformazione è biunivoca.

2. Jacobiano di una trasformazione di una funzione analitica Data z = x + iy ovvero data w = u + iv = f(z) = f(x+iy) đ?œ•(đ?‘˘,đ?‘Ł)

In questo caso si ha đ?œ•(đ?‘Ľ,đ?‘Ś) = ⎸f’(z)⎸2 La trasformazione è biunivoca nelle regioni in cui f’(z) ≠0

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Patrizio Gravano . 3. Rappresentazione conforme E’ conforme una rappresentazione che conserva gli angoli anche nel senso, altrimenti è isogonale. Esiste un teorema per il quale se f(z) è analitica con f’(z) ≠0 allora w = f(z) è conforme. La quantità ⎸f’(z)⎸2 è detta fattore di amplificazione superficiale. Piccole distanze in un intorno di đ?‘§0 sono amplificate di un fattore ⎸f’(z)⎸. đ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘ đ?‘“đ?‘œđ?‘&#x;đ?‘šđ?‘§đ?‘–đ?‘œđ?‘›đ?‘’

APPUNTI MATEMATICI

d(z, �0 ) → d( w, �0 ) = ⎸f’(z)⎸ d(z, �0 ), ove w e �0 sono i corrispondenti di z e �0 secondo la trasformazione assegnata.

4. Teorema di Riemann Sia C la frontiera di una regione chiusa R. Sia C’ la frontiera di una regione R’ nel piano u-v. R’ è un cerchio unitario, detto anche disco unitario. Il t. di Riemann delle rappresentazioni dice che esiste una funzione f(z) = w analitica in R che rappresenta ogni punto di R su R’ e ogni punto di C su C’ biunivocamente. Tale teorema non definisce w ma ne ammette la esistenza.

5. Invarianti di una trasformazione Si ammetta di potere sovrapporre i piani w e z in modo che coincidano gli assi. I punti per i quali si ha coincidenza sono detti invarianti, o punti fissi.

6. Tassonomia delle trasformazioni 6.1 Traslazione Una figura del piano z è spostata nella direzione e verso di un vettore β. La relazione corrispondente è w = z + β. 6.2 Rotazione di un angolo φ (reale)

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Patrizio Gravano

Per φ > 0 la rotazione è antioraria, per φ < 0 si ha una rotazione oraria. La relazione di coordinamento è w = đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘ z 6.3 Omotetia Dato un numero reale a la relazione è w = az.

6.4. Inversione La relazione è w = 1/z.

APPUNTI MATEMATICI

6.5. Trasformazione lineare Essa è data da w = Îąz + β, ove Îą ∈ C e β ∈ C. Essa è interpretabile come una composizione di una traslazione ,di una composizione e di una omotetia.

6.6. Tasformazione bilineare o fratta ��+ �

Essa è definita da w = đ?œ‘đ?‘§+ đ?›ż con ιδ – βφ ≠0.

7. Rappresentazione di un semipiano su un cerchio Il semipiano è posto nei quadranti superiori (I e II) del piano z. Sia đ?‘§0 un punto in uno di detto đ?‘§âˆ’đ?‘§ due quadranti. Va considerata la relativa figura sul piano w mediante la w = đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘ (đ?‘§âˆ’(đ?‘§ 0)′) che è 0

un circolo di raggio unitario ⎸w , biunivocamente. L’apice ‘ definisce il complesso coniugato. La costante φ è univocamente determinata facendo corrispondere ad un dato punto dell’asse x un punto del cerchio.

8. Trasformazione di Schwarz-Christoffel Dato un piano w nel quale è collocato un poligono di vertici đ?‘¤đ?‘– e di angoli interni đ?›źđ?‘– . A detti punti del poligono corrispondono i punti đ?‘Ľđ?‘– dell’asse reale del piano z.

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Patrizio Gravano

I punti interni e quelli di frontiera del poligono sono rappresentati nei quadranti I e II. �� ��

��

= Aâˆ?đ?‘›đ?‘–=1(đ?‘§ − đ?‘Ľđ?‘– )đ?œ‹âˆ’1

9. Esercizi elementari Ho tratto questi esercizi seguenti tra quelli supplementari, e quindi non risolti, del testo americano Spiegel M. R, Variabili complesse, McGraw-Hill, 1994 che, come è noto, contiene molti altri interessanti esercizi risolti.

APPUNTI MATEMATICI

9.1 Dato un triangolo T del piano z con i vertici nei punti i, 1 – i, 1 + i determinare il triangolo T’, immagine di T, prodotta dalla seguente trasformazione a)

w = 3z + 4 – 2i

Per z = i si ha che w(i) = 3i + 4 – 2i = 4 + i Per z = 1 – i si ha w(1 – i) = 3(1 –i) + 4 – 2i = 3 – 3i + 4 – 2i = 7 – 5i Per z = 1 + i si ha w(1+i) = 3(1 + i) + 4 – 2i = 3 + 3i + 4 – 2i = 6 + i Pertanto i vertici del triangolo T’ corrispondenti, sono, secondo la trasformazione data, i seguenti: (4+i), (7-5i) e (6 +i). In termini di coppie ordinate di reali definibili come (4, 1), (7, - 5) e (6, 1). b)

w = iz + 2 – i

Per z = i si ha w(i) = i*i + 2 – i = � 2 + 2 – i = - 1 + 2 – i = 1 – i ↔ (1, - 1); Per z = 1 – i si ha w(i) = i(1 – i ) + 2 – i = i - � 2 + 2 – i = i – ( -1) + 2 – i = i + 1 + 2 – i = 3 ↔ (3, 0); Per z = 1 + i si ha w(i) = i(1 + i) + 2 – i = i + � 2 + 2 – i = - 1 + 2 = + 1 ↔ (1, 0). I casi a) e b) sono esempi di traslazioni. c)

đ?œ‹đ?‘–

w = (5đ?‘’ 3 )z - 2 + 4i đ?œ‹đ?‘–

đ?œ‹

Occorre mettere il numero (5đ?‘’ 3 ) in forma algebrica corrispondente, ovvero come 5(cos ( ) 3

đ?œ‹

1

+ i sin( 3 )) = 5 (2 + đ?‘–

√3 ) 2 5

5

5

= 2 + 2 √3 i ↔ (

5 2

5

, 2 √3 ).

5

Per z = i si ha w(z) = ( 2 + 2 √3 i)i – 2 + 4i.

101


Patrizio Gravano

A questo punto si procede meramente per via algebrica, come per i casi a) e b).

9.2 Disegnare la regione del piano w immagine dell’interno del triangolo T del precedente esercizio per la trasformazione a)

w = �2

Dato un triangolo T del piano z con i vertici nei punti i, 1 – i, 1 + i, occorre definire come è deliminata “cartesiana mentoâ€? detta regione.

APPUNTI MATEMATICI

Se ragioniamo in termini “cartesianiâ€? il triangolo rettangolo di dai vertici è la regione convessa delimitata dalle rette y = 1, x = 1. Per la terza retta che delimita l’area basta osservare che essa passa per (1, 0) e (1 , - 1). E’ noto che l’equazione della retta è del tipo y = mx + p. Nel caso di specie p = 1 (ordinata dell’origine) è noto per i dati del problema. PoichĂŠ la retta passa per (1, -1) allora si può scrivere – 1 = m(1) + 1 ⇒ m = - 2. Raccogliendo i risultati l’equazione della terza retta delimitante il triangolo è y = - 2x + 1. A questo punto detto esercizio si risolve sulla falsariga della risoluzione dell’esercizio 2, parte b) di pag. 213. 1

Ometto il caso w = đ?‘§ 2 , đ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘œđ?‘?đ?‘?đ?‘œ đ?‘ đ?‘–đ?‘šđ?‘–đ?‘™đ?‘’ đ?‘Žđ?‘‘ đ?‘˘đ?‘›đ?‘œ đ?‘’đ?‘ đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ąđ?‘œ, per limitarmi al caso w = z + đ?‘§ 1

w=z+� =

�2+ � �

�′

∗ đ?‘§â€˛ =

Per z = i si ha w =

(đ?‘§ 2 + đ?‘§)đ?‘§â€˛ đ?‘§âˆ—đ?‘§â€˛

=

(đ?‘§ 2 )đ?‘§ ′ + đ?‘§âˆ—đ?‘§â€˛ đ?‘Ľ2+ đ?‘Ś2

=

(02 + 2đ?‘—0∗1− 12 )(0−đ?‘—∗1)+ 0+ 12 02 + 12

(đ?‘Ľ 2 + 2đ?‘—đ?‘Ľđ?‘Śâˆ’ đ?‘Ś 2 )(đ?‘Ľâˆ’đ?‘—đ?‘Ś)+ đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś2 đ?‘Ľ2+ đ?‘Ś2

.

=-1–j+1=-j

A z = i corrisponde w = u + iv = 0 – i = - i Quindi si ha una retta che delimita la nuova figura (nel piano w) di equazione y = - 1. Si e’ posto i = j = √−1. Il ragionamento va fatto per le altre due rette delimitanti la figura nel piano z, fino ad ottenere le relative equazioni.

102


Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI Proprietà letteraria e intellettuale Nell’elaborare il presente documento ho inevitabilmente attinto a fonti. Esse sono indicate nel testo, di volta in volta. Per quanto attiene alle “figure” – utilissimo supporto – queste sono state estratte da Internet nella presunzione che quanti le hanno collocate ne avessero titolo. In questo caso non mi è stato possibile citare la fonte. Questo elaborato non ha fini di lucro. E’ consentita la diffusione, anche totale, dell’elaborato purchè, senza che esistano finalità lucrative e commerciali, venga citata la fonte, comprendendo l’indicazione dell’autore e del soggetto diffusore dell’opera.

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pubblicazione a cura di Pascal McLee

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