Guerra Aerea - Prima Relazione

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LEZIONE SULLA GUERRA AEREA PRIMA PARTE (Dalle origini alla guerra d’Etiopia)

Relazione del Dott. Patrizio GRAVANO

Incontro in ambito UNUCI – Sezione di Monterosi – Tuscia SUD Monterosi, 26 settembre 2015

Dopo una breve introduzione del Gen. C.A. della riserva Luciano CANU, Presidente emerito della Sezione, il Maggiore Dott. Francesco COLETTA, Presidente della Sezione, premesse alcune significative riflessioni circa l’istruttiva esperienza della visita di studio al Museo storico dell’Aeronautica militare in Vigna di Valle, avvenuta lo scorso anno, dà, non prima di aver ribadito, da militare dell’Esercito, l’importante ruolo via via assunto dall’Arma Aerea, sia nel contesto strategico che in quello tattico, riferito in particolare al contesto delle operazioni terrestri, la parola al Dott. Patrizio GRAVANO. Alle ore 17.30 il Dott. GRAVANO avvia la propria relazione orale. Patrizio GRAVANO, relatore. Ricordo che la relazione scritta, da me trasmessa alla Presidenza della Sezione, può essere distribuita a tutti quanti fossero interessanti, essendo io fin da ora disponibile per l’invio. Molti hanno rapporti strettissimi con il Gen. Canu. Quindi possono chiederla tranquillamente direttamente a Lui, se credono … Rispetto all’elaborato inviato alla Presidenza io sono però andato avanti non comunque quanto avrei voluto, e per ragioni di tempo e per motivi di difficoltà nell’approfondire ulteriormente, non essendo io un “addetto ai lavori”. Ho trovato due elaborati dello Stato maggiore dell’Aeronautica – Ufficio storico che offrono interessanti spunti. Come il Gen. Canu aveva anticipato il mio compito è stato difficile, perché io non mi ero mai occupato di Forze armate e di guerra aerea in particolare. Questa esigenza conoscitiva era nata in me proprio quando si trattava di andare a Vigna di Valle, dovendo andare là con una certa cognizione di causa. Redassi quindi una prima versione dell’elaborato che girai al Gen. Canu, che, poi, mi chiese di esternarlo in questa sede.


Dal punto di vista cronologico il mio compito è quello di illustrare gli sviluppi della guerra aerea in un periodo limitato, dalle origini fino alla conclusione del II conflitto mondiale, anche se tutto sommato possono essere fatte delle riflessioni sugli sviluppi successivi della guerra aerea. Basta pensare a quello che sta succedendo in questo periodo nella campagna, ormai internazionale, contro il Califfato. Si tratta sostanzialmente solo di azioni aeree che prescindono da occupazioni terrestri. Questo è un dato già essenziale, al di là di tutte le polemiche che ci sono state, anche recentemente, tra l’Amministrazione Obama e i vertici militari americani, accusati, senza che io entri nel merito, non avendo titolo per dire chi ha ragione, anche se una ragione di opportunità ci sarebbe stata nel non diffondere la questione, di rappresentare la situazione quale essa è. Il tipo di nemico che uno ha di fronte non giustifica certo tali prese di posizione pubblica. Possono essere fatte riflessioni anche in relazione alla guerra del Vietnam, quando ci fu un impiego massiccio del bombardamento sia ai tempi del Gen. William Westmoreland, sia successivamente, senza che questo abbia risolto la situazione. Anzi noi sappiamo come finì la vicenda, senza che in quel contesto mancassero peraltro ragioni di natura diplomatica e politica, che prescindono dai conflitti, dovendo osservare che a volte la politica non consente di essere risolutivi, come accadde nella I guerra del Golfo al Gen. Schwarzkopf, che, a un certo punto, venne bloccato. Anche in questo caso ci sarebbe molto da chiedersi… E quelle furono operazioni molto intelligenti dovute alla mente di Schwarzkopf ma forse era rilevante anche il tipo di contesto. Egli comunque le attuò. Questo è un tratto comune che può essere analizzato in modo molto trasversale, per capire se la guerra aerea, o meglio un certo tipo di guerra aerea, è risolutivo oppure no. Anche in questo ambito ci sono opinioni diverse. Certamente quei bombardamenti intelligenti erano davvero “intelligenti”, nel senso che erano stati decisivi per distruggere (come nel caso della II guerra del Golfo) i centri vitali degli irakeni. Il concetto di “centro vitale” non è di quel periodo ma risale alla dottrina militare aeronautica a partire da Giulio Douhet ma anche frutto dell’elaborazione dottrinale da parte di militari inglesi quali H. Trenchard che elaborano questi concetti che io ora cercherò di illustrarvi, quantunque io sia un osservatore esterno. Molti di voi sono interlocutori qualificati, quindi potrete pure estendere le mie riflessioni. Fatta questa premessa, entrando proprio nelle vicende storiche, posso dire che sono partito dalla Libia, dalla guerra iniziata nel 1911 quando Giolitti decide di dichiarare guerra all’Impero ottomano, travagliato da una crisi e da un lento declino. Giolitti spinto anche dai nazionalisti, desideroso di incanalare le irrazionali loro tensioni, decide di andare in Libia.


La guerra di Libia è il primo momento nel quale vi è l’impiego dell’Aeronautica, l’uso di aerei e di palloni con funzione ricognitiva. In questo contesto la guerra di Libia, che era una guerra contro un avversario potenzialmente meno forte di noi, vide anche l’impiego dei primi aerei. Vennero impiegati non solo in funzione di ricognizione, che in allora era sostanzialmente tattica, ma anche in funzione di bombardamento, pure tattico. Le persone più avvedute avevano capito che erano cose importanti. Questi bombardamenti, che oggi potrebbero far sorridere, erano utili specie in prospettiva. Nella relazione che ho trasmesso troverete ulteriori dettagli con nomi e cognomi e relative gesta. Si era andati in Libia ma preventivamente erano state fatte le esercitazioni nel Monferrato, al fine di verificare l’utilità del mezzo aereo. In quel periodo noi non avevamo una industria aeronautica. I nostri aerei erano soprattutto francesi. La Francia e il Regno Unito erano produttori di aerei, i famosi Bleriot, per esempio, ma vedremo che anche l’Italia ebbe una sorta di primato nella prima guerra mondiale per merito di Gianni Caproni. Egli dette dal punto di vista industriale un certo contributo e furono proprio velivoli Caproni, come vedremo in dettaglio, gli aerei che vennero utilizzati per i bombardamenti a Pola e nelle bocche di Cattaro. Anche questi, con il senno del poi, possono apparire sciocchezze, in realtà erano l’anticamera di uno sviluppo tecnologico velocissimo. È importante capire che in tutto questo divenire diventava importante il ruolo della tecnologia, il fatto cioè che si realizzasse una sorta di meccanismo di azione e reazione: tu fai un certo velivolo, io ne faccio uno più veloce, tu nei fai uno che può volare di notte, io ne faccio uno che anche ammarare, etc. Si creava tutto un susseguirsi di botte e risposte, che finirà con il creare, nel giro di pochi decenni, un gap tecnologico incolmabile quando gli Stati Uniti entrarono nel II conflitto mondiale, avendo gli americani un apparato industriale che non solo produceva in quantità maggiori ma produceva anche velivoli che erano qualitativamente migliori. Pensiamo agli sviluppi che resero possibile il bombardamento da alta quota. Ricordo che i bombardamenti strategici degli Stati Uniti nella II guerra mondiale erano “da alta quota”, per ovvie ragioni. Si trattava di prevenire i colpi della contraerea. Ci sarà da riferire delle deficienze italiane, specie se avremo modo di approfondire, anche dell’adattamento della difesa contraerea germanica nella II guerra mondiale, particolarmente flessibile e adattativa, modificando il suo modo di essere a fronte del tipo diverso di attacco, diurno o notturno che fosse.


Le difese aeree italiane erano molto più rigide. Bisogna però ricordare che, in una divisione un po’ scientifica, gli angloamericani “picchiavano” più duramente in Germania che non in Italia. Questo è un dato che non può essere smentito. Vedremo poi che, a partire dal 1942, quando il Bomber Command della RAF venne affidato a Sir Arthur Harris, trovò attuazione effettuale un concetto teorico molto crudo, quello di area bombing, consistente nel bombardamento di una zona territoriale definita in modo indiscriminato. Vedremo le origini di questo tipo di approccio. La questione della Libia è facilmente riassumibile. Vengono usati i primi aerei sia in funzione ricognitiva che in funzione di bombardamento tattico, iniziando a profilarsi il primato dell’aereo. In allora era oggetto di discussione se era più utile utilizzare nel bombardamento l’aereo o il dirigibile, ancora utilizzato nella I guerra mondiale. Ovviamente bombardare con aereo non è la stessa cosa che bombardare con un dirigibile. Un colpo di vento può mandare a monte una operazione! Volevo rimarcare che nella guerra di Libia vengono impiegate già le squadriglie, però ogni pilota operava come fosse da solo, singolarmente. Tale considerazione, a giudizio di alcuni esperti, era ancora presente nei bombardamenti della I guerra mondiale, nonostante una certa enfasi “di squadra” rimarcata dai comandi militari. I bombardamenti di Pola e di Cattaro non sfuggono ancora a questa logica. I velivoli che andavano a bombardare Pola partivano da Pordenone e decollavano ogni 4 minuti primi. Non esisteva un gioco di squadra, non era concepita come unità organica di combattimento, come interazioni tra piloti. Ci si doveva aggiustare. Non possedevano neppure la radio, non era possibile neppure l’uso del Morse. I primi bombardamenti erano molto modesti e con quantità di bombe limitate, specie in Libia. Venivano lanciate bombe sferiche delle dimensioni di una arancia. Anche in questo contesto si assiste all’evoluzione. Il pilota doveva strappare la sicura coi denti e buttare giù la bomba, stando attendo all’assetto (precario!) del velivolo. Venne, quindi, costruito un vano portabombe. Con una leva si poteva sganciare una bomba o l’intero carico, a seconda delle esigenze. Non sono banalità. Ci fu tutto un lavorio. Si va avanti per passi. Bisognava capire le problematiche dell’aereo, migliorandolo e procedere. Arriviamo al I conflitto mondiale. Già durante il I conflitto mondiale vi furono dei bombardamenti strategici, un po’ ante litteram. Anche la prima guerra mondiale si caratterizzò per questi eventi, quali i già ricordati bombardamenti di Pola e di Cattaro.


Erano strategici ante litteram anche per la quantità limitata di proietti (si trattava precisamente di granate – mine). Mi sono chiesto perché usassero granate – mine e non proietti dirompenti. Venivano usati i “giacomini” come venivano chiamati nel gergo, con ogni probabilità perché non si aveva di meglio… In quel periodo (I guerra mondiale) opera una figura molto importante: Gabriele D’Annunzio. Ho trovato un libro del Gen. Domenico Ludovico, Gli aviatori italiani del bombardamento nella guerra 1915 - 1918, stampato dallo Stato maggiore dell’Aeronautica – Ufficio storico nel 1980. Viene ricordato il contributo di D’Annunzio. Egli aveva una visione molto simile a quella di Douhet (che potete rivedere ampiamente nell’elaborato scritto). Egli in piena guerra mondiale scrisse una nota che indirizzò al Comandante supremo, il Gen. Luigi Cadorna. Essa era intitolata “Uso delle squadriglie nelle prossime operazioni”. Questo elaborato fu accolto favorevolmente dal Comando supremo. Egli partì da un dato empirico. Egli aveva infatti osservato i danni, davvero ingenti, che la guerra sottomarina tedesca faceva agli Alleati in termini di mancati approvvigionamenti. Era una osservazione di natura eminentemente strategica. D’Annunzio si chiese, mutatis mutandis, ma perché gli Alleati non possono organizzare delle spedizioni aeree per colpire i centri industriali della Germania, essendo molto precisi, molto puntuali? Si trattava di colpire quelli più direttamente legati alla produzione bellica. Anche in D’Annunzio è chiaro di quanto sia importante distruggere i cosiddetti centri vitali del nemico. La mia relazione scritta indica per filo e per segno cosa si intende per centro vitale. Per centro vitale, come potrete leggere, si intende ogni elemento fisico del nemico che possa essere utilizzato contro di noi. Per centro vitale, per esempio, ed ecco l’importanza del ragionamento di Douhet, ci sono gli aeroporti e le piste di decollo, oltre, ovviamente agli aeromobili da guerra. Douhet, elaborando la sua teoria, sostiene l’importanza di una aviazione da bombardamento che svolga quella che gli addetti ai lavori chiamano controaviazione, consistente nel dare un colpo secco e distruggere le potenzialità del bombardamento programmabile da parte del nemico. Insomma, se l’Austria-Ungheria ha aeroporti e velivoli che potenzialmente sono in grado di varcare le Alpi (cosa problematica per quei tempi…) allora (secondo Douhet, e giustamente!) è necessario ragionare in termini di controaviazione.


È un ragionamento strategico, non tattico per il quale invece il mezzo aereo deve essere coordinato con le truppe terrestri e/o navali. La controaviazione consiste nel colpire il nemico dove il nemico può creare dei danni... e quindi primariamente bisogna mirare alla distruzione degli aeroporti, dei velivoli al suolo, etc. Una applicazione di questo metodo vi fu per esempio quando i giapponesi attaccarono a Pearl Harbour, il 7 dicembre 1941, con le loro portaerei in silenzio radio la base della Marina americana del Pacifico, distruggendo al suolo i velivoli americani. I giapponesi avevano le portaerei. Noi no! Fino a Cavagnari la Regia marina era sempre stata contraria all’impiego delle portaerei. I giapponesi, in quella occasione riescono a bombardare le piste da dove potevano decollare i caccia e gli intercettori oltre ovviamente ai bombardieri che potevano decollare per contrastare dal cielo l’attacco e magari andare ad affondare le portaerei impiegate nell’operazione Tora Tora Tora! I giapponesi erano molto viscidi perché dal punto di vista diplomatico fino a poche ore prima distribuivano agli americani le cosiddette “medagliette della pace”. Nessuno si aspettava un epilogo così drammatico. Anche in relazione a tale evento c’è stata dietrologia. C’è chi si è spinto a dire che il Presidente americano (era F. D. Roosevelt) per poter avere il pretesto di entrare in guerra avrebbe sacrificato parte della Flotta del Pacifico, lasciando (sarebbe stato tanto incapace…) navi come la U.S.S. Arizona, al bombardamento nemico. I giapponesi fecero questo attacco ma poi gli americani quando lanciavano le bombe sul Giappone lo facevano previamente attaccando ai proietti le famose medagliette… Anche D’Annunzio, facendo un salto indietro fino alla I guerra mondiale, si era occupato della questione del bombardamento strategico. Della Libia abbiamo già parlato. Vorrei dire qualcosa dal punto di vista tecnico. I Bleriot si alzavano a 1.000 metri, 500 se c’era un secondo uomo di equipaggio. Come vi dicevo venivano lanciate piccole bombe sferiche dette Cipelli (del peso di circa 2 Kg). Il portabombe venne introdotto nel febbraio del 1912. Già nel 1912 uscì un articolo del Times nel quale non solo si ricordavano il coraggio e le abilità dei nostri primi aviatori ma soprattutto si sottolineava l’importanza del bombardamento d’aviazione. Un’altra rivista, meno nota, il Central News, sottolineò l’importanza di questi bombardamenti in profondità. Si andava oltre la linea del fronte. Ci si muoveva in una direzione protostrategica. Douhet, durante la prima guerra mondiale, scrive i suoi elaborati. Egli è un sostenitore della guerra aerea strategica. Troverete i dettagli nella relazione


inviata. Guerra aerea strategica vuol dire che la guerra aerea deve essere indipendente. Bisogna essere cauti nel dire ciò perché potrebbe sembrare che il Douhet fosse un poco visionario. In realtà non lo era affatto… Tutta questa distinzione tra la guerra aerea strategica e guerra aerea tattica, legata quindi ad un particolare teatro, ad un contesto spaziale ben definito, è più, come peraltro scriveva il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ma anche il Generale di Divisione aerea che comandava l’Aviazione coloniale italiana, Mario Aimone Cat, dogmatica che non concreta. Ricordiamo che un elemento banale come potrebbe essere il clima ben può essere rilevante in un senso o nell’altro. Quando Douhet scrive che la guerra aerea deve essere indipendente intende indipendenza dal teatro ma vuol dire deve essere organizzato un invio di aerei che dia il dominio dell’aria. L’idea del dominio è anche una sensazione psicologica, perché, giustamente, chi sta in alto si sente di poter dominare, controllare chi sta a terra a combattere. Abbiamo detto che nella prima guerra mondiale abbiamo la figura, importante, di Gianni Caproni. Viene costruito questo primo bombardiere italiano, il Ca 30, aveva una potenza di 100 HP, una apertura alare di 22 m. Venne messo in produzione abbastanza celermente. Tre di essi vennero consegnati il 20 agosto del ‘15. Il bombardamento dipendeva direttamente da Cadorna. Per l’Etiopia (1935 – 1936) fu adottata una linea più articolata perché il comando strategico l’aveva Mario Aimone Cat – da cui dipendeva quindi il bombardamento strategico – mentre i comandi di corpo d’armata erano direttamente responsabili delle altre attività, quali la ricognizione tattica… Ritornando alla prima guerra mondiale dobbiamo ricordare che Cadorna era abbastanza soddisfatto. Il 21 agosto (del 1915) fece un volo di prova come osservatore e verificò sperimentalmente uno dei Caproni. Potavano sganciare 450 Kg di proietti di una certa consistenza più qualche bomba incendiaria. Venne creata la prima squadriglia di bombardieri costituita da 4 velivoli. Nel ‘16 si arrivò a 7 squadriglie e poi ovviamente alla fine del ‘16 ben 13 squadriglie di Caproni. Il Caproni poteva volare fino a 3.000 metri con un peso complessivo di 3.000 Kg di cui 1.200 di armi, con autonomia di volo di 8 – 9 ore. Costava circa 200 mila lire. D’Annunzio si mise a fare anche un po’ di calcoli. Previde 20 milioni di lire di stanziamenti per avere una aeronautica di bombardamento efficiente. Era l’equivalente del costo di una nave da guerra.


Ovviamente siamo nello scenario della prima guerra mondiale, nel contesto, quindi, della guerra di trincea, di una guerra prettamente di logoramento. In effetti, verificando che ci sono state sul offensive e il conflitto non cessa ben corrispondeva controffensiva. Nell’agosto del (cui corrispose una controffensiva austriaca) molto deludente. Si andava avanti e indietro in modo omogeneo.

fronte che ci riguarda 10 – 11 comprende che a offensiva ‘17 vi fu la XI offensiva italiana con un successo tattico italiano e non si andava neppure avanti

Il 19 agosto del ‘17 vengono messi in linea contro gli austriaci 85 Caproni. Gli austriaci ammisero che l’Italia aveva la supremazia aerea. Essa non fu risolutiva. Fu comunque importante… Risulta da fonti aeronautiche che i vertici dell’Esercito fossero un poco meno entusiasti dei bombardamenti. Si aveva una visione forse troppo fideistica nell’uso degli aerei ma essa non poteva avere, e questo è un po’ un limite, ma non certo delle teorie di Douhet, ancora, e per quel contesto tattico, un ruolo risolutivo. Douhet certo non intendeva dire che bastasse far girare gli aerei per vincere la guerra, ovviamente ! La guerra all’Austria-Ungheria si poteva vincere se con il bombardamento strategico si fosse riusciti a distruggere tutti i centri vitali che garantivano gli approvvigionamenti. Anche colpire la logistica era essenziale. È obbligo ricordare che la funzione logistica è importante perché se si ha in linea un esercito esso andrà rifornito. Pensiamo a cosa accadde a Stalingrado (II guerra mondiale) quando von Paulus dovette capitolare proprio perché i suoi militari erano stremati, non avevano rinforzi, non avevano neppure viveri… Bisogna ben interpretare il pensiero di Douhet e dare ragione a Badoglio in relazione a quanto dirò dopo. Ritornando alla I guerra mondiale, occorre dire che la nostra caccia aveva la padronanza. Gli austriaci facevano i loro bombardamenti ma non avevano (questione che forse meriterebbe di essere approfondita) una adeguata cultura aeronautica. Per esempio, nei bombardamenti di Cattaro e a Pola non mi risulta che siano stati utilizzati velivoli in combattimento. In entrambi i casi la risposta austriaca fu si violenta ma disordinata e poco fruttifera. Tutti gli aerei (salvo forse qualche modesta eccezione) fecero ritorno alle basi. Su Cattaro vennero inviati bombardieri in più occasioni. In una missione 12 bombardarono le bocche di Cattaro e due rientrano per problemi meccanici.


Partiamo dai bombardamenti su Pola. Siamo nel maggio del 1917. Pola viene bombardata. Si trova nell’attuale Croazia. Vi furono tre importanti incursioni e la sua importanza stava nel fatto che si trattava di un porto dal quale gli austriaci facevano partire le loro missioni navali e sottomarine (queste ultime in capo ai tedeschi, per l’esattezza). Da lì partivano le navi che colpivano le coste adriatiche, delle Marche in particolare. In queste azioni c’è una visione strategica perché Pola viene colpita non per occuparla ma per inibire una offesa proveniente da Pola. Ci fu anche per queste iniziative il plauso dell’Amm. Thaon de Revel. Fu creato molto scompiglio. La reazione austriaca fu violenta. Gli austriaci presidiavano la località con ben 360 pezzi d’artiglieria. La risposta fu complessivamente inconcludente. Bisogna ricordare lo scenario adriatico. Il Mare Adriatico, era sede di intensi movimenti e scontri navali, anche sottomarini, fin dallo scoppio europeo del conflitto. Francesi e inglesi si giovavano della base di Malta, strategica per il controllo del Mediterraneo orientale. Essa, come vi ben è noto, rimase strategica anche durante il II conflitto mondiale. I sommergibili tedeschi avevano fatto molti danni alle navi francesi e ai mezzi navali britannici. Vi furono molti scontri. L’ingresso dell’Italia nel conflitto rese ancor più movimentata la situazione. Due incrociatori italiani (Garibaldi e Amalfi) furono colpiti. Anche altri mezzi avevano subito pesanti danni. La Regia marina aveva in quel teatro sostanzialmente tre basi: Taranto, Brindisi e Venezia. Molto opportunamente la Marina decise di dislocare in modo asimmetrico i mezzi. A Venezia si trovavano i mezzi più obsoleti. C’era forse anche una certa preoccupazione per la tenuta del fronte terrestre. Il grosso della Marina stava a Taranto. Otranto è importante perché il controllo consentiva i passaggi nel Mediterraneo. Non controllare Otranto voleva dire consentire agli austriaci di fare il bello e il cattivo tempo anche nello Jonio e oltre. Nell’aprile del ‘17 ci fu una “scorreria” austriaca con tre incrociatori leggeri e altro naviglio. Dovevano poi risalire verso la costa balcanica. Prima di arrivare a Cattaro subirono un attacco italiano e fu colpito uno di questi incrociatori. Ci si era resi conto di quanto fosse opportuno colpire le bocche di Cattaro perché si trattava dell’equivalente più meridionale di Pola.


Cattaro si trova all’altezza dell’attuale Montenegro. Il primo tentativo di colpire Cattaro fu britannico e rimesso all’uso di idrovolanti. Qui nasce un ulteriore problema, quello dell’autonomia di volo. Essa è una variabile fondamentale. Usando gli idrovolanti gli inglesi dovettero trascinarli su zattere fino a 50 km da Cattaro per poi farli decollare. Le condizioni meteorologiche avverse fecero sì che l’operazione fosse annullata. Allora gli italiani si misero in movimento. Si pensò di usare velivoli Caproni. Nacquero problematiche ulteriori in quanto questi velivoli dovevano navigare per 6 ore. Altra questione cruciale era la navigazione aerea. Oggi è tutto molto più facile. Oggi si sa sempre dove si è. Allora no! Ci si doveva muovere a vista, luna stelle, bussola. In mare aperto non si avevano altri riferimenti. Per Pola c’erano meno problemi. Ci si orientava con riferimenti al suolo, ci si orizzontava meglio. Quando si era sul mare si costeggiava, quindi si avevano sempre riferimenti più sicuri… In termini di Km per Pola erano solo 280. Il problema vero sorse in relazione al bombardamento delle bocche di Cattaro. Bisognava percorrere complessivamente, andata e ritorno, 500 Km di cui 400 in mare aperto. Potete ben immaginare cosa sarebbe successo se ci fosse stato un sistema di nubi particolarmente consistente. La missione fu anche fortunata. Bisognava evitare un possibile ammaraggio. Il Caproni si sarebbe con ogni probabilità capottato. Anche nell’ipotesi di ammaraggio regolare sorgeva il problema della limitata galleggiabilità, stimata dagli esperti in 1’ e 17’’. Non si poteva finire nello Jonio per nessuna ragione. Sussistevano quindi questi evidenti aspetti di criticità, dell’ammaraggio, etc. Si era privi della radio, quindi… Ognuno faceva per sé, non c’era un gioco di squadra. Lo Stato Maggiore pensava già di riferire di una sorta di gioco di squadra, ma gli esperti rimarcano che non vi era alcun coordinamento tra gli aerei. Il comando dell’incursione fu affidato al Magg. Armani. Partirono di sera alle 21, un velivolo ogni 4’. Ci si doveva aggiustare con la bussola e con le stelle. Furono fortunati. L’orografia rese possibile quel poco di bombardamento che pure realizzarono. Si erano letteralmente persi. Fu la visione del contorno del lago di Scutari che li riportò sulla rotta. Era noto che a Cattaro c’erano i sommergibili. Non tutti li videro. Il mare era sostanzialmente deserto. Si trovarono di fronte ad un dilemma. Bombardare o no? Si decise per il bombardamento. Parte delle bombe furono sganciate sul mare altre sulle alture circostanti.


Paradossalmente la risposta austriaca consentì ai piloti di poter riferire ove erano dislocate le batterie austriache. Fu una operazione sicuramente ardita ma pure brillante in termini informativi, di intelligence come si dice oggi… Furono anche dei “ricognitori”! La risposta austriaca fu scarsa e disordinata. I nostri aviatori sganciarono il loro carico di granate-mine, i “giacomini” di cui già parlavamo… Queste sono dei proietti ad azione esplosiva. C’è una pubblicazione dell’artiglieria, peraltro degli anni Trenta, che fa una tassonomia dei proietti. Ho letto, seppur non riferito al bombardamento aereo, che sarebbero state più utili le granate perforanti, perché le navi hanno delle corazze. Con ogni probabilità la tecnologia di allora non consentiva altro. Sganciarono granate-mine per un totale di 3,5 t. Venne scritto pure un articolo sul Corriere della sera. Il giornalista Civinini era accreditato presso il Comando supremo. Ottenne una medaglia per come aveva illustrato le gesta dei nostri aviatori. I Caproni ritornarono a Gioia del Colle, aeroporto di partenza. Per permettere questa operazione furono inviati ufficiali del Comando supremo, specializzati nel collocare sulla costa dei segnalatori di posizione utili alla navigazione. Questa iniziativa fu decisa proprio dal Comando supremo su input del solito D’Annunzio che scriveva al Cadorna e poi punzecchiava i collaboratori per il buon esito delle sue proposte. Il volo era notturno e ovviamente il ruolo dei dirigibili era nettamente ridimensionato. Nel ‘16 in linea vi erano circa 1.300 velivoli. È pur vero che molti erano di progettazione straniera, specie francese, ma, e lo ammisero proprio i produttori, essi subirono delle migliorie da parte dei nostri tecnici, nell’ambito dei militari che li gestivano. Dobbiamo anche ricordare, e questo è un aspetto più semplice, più noto, che oltre a questi bombardamenti vi furono anche le gesta eroiche della caccia libera, ad esempio quelle di Francesco Baracca che fece cadere ben 34 velivoli avversari. Figure ormai mitiche, quali quella di Ruffo di Calabria, tanto per fare un altro nome. Baracca, asso della caccia libera, fu poi colpito il 19 giugno 1918 sul Montello. Intanto siamo arrivati al 1917 con il ripiegamento della linea del Piave cade il Governo presieduto da Paolo Boselli. Queste vicende le ho ovviamente riferite dal punto di vista “italiano”.


Bisogna però ricordare che anche altri teatri nel corso della prima guerra mondiale furono oggetto di bombardamenti e vi furono anche bombardamenti legati a particolari operazioni di teatro come citai precedentemente, riferendomi alle offensive del Regio esercito italiano. Queste operazioni rientravano nella dimensione tattica del conflitto. Esse furono, è utile ribadirlo, sicuramente importanti ma non risolutive. Ho consultato anche un ulteriore testo. Si tratta di: “La Regia aeronautica. Dalle origini alla seconda guerra mondiale. 1923 – 1943” scritto dal Gen. Antonio Pelliccia. Questo testo è sicuramente il più interessante tra quelli che ho consultato. Esso è ricco di concetti. Ricordiamo che l’Aeronautica, come Arma autonoma, nasce nel 1923. Facciamo però qualche passo indietro. (Finisce la prima parte della relazione.) Il Gen. Canu ricorda la spedizione di D’Annunzio su Vienna, con intenti propagandistici che fu un esempio di sorvolo delle Alpi Giulie. Patrizio GRAVANO, relatore. Ricordo che il D’Annunzio non era pilota e quando sorvolò le Alpi in direzione di Vienna era collocato su un biposto. Va riconosciuto l’alto valore simbolico di quella iniziativa. Il Gen. Canu, attualizzando le vicende, evidenzia l’importanza/utilità di contrastare gli scafisti che trasportano persone secondo modalità ben più che discutibili, anche utilizzando il mezzo aereo. (Si conviene di riprendere i lavori dopo 20 minuti) Patrizio GRAVANO, relatore. A questo punto abbiamo considerato gli eventi aeronautici fino alla prima guerra mondiale. La fine del I conflitto mondiale vede la formalizzazione nel Regno Unito dell’aviazione come arma indipendente. Nel 1918 sorge la R.A.F (Royal Air Force). Il primo comandante fu H. Trenchard (pure lui teorico del bombardamento strategico). In Italia non succede la stessa cosa. Potremmo applicare a Douhet il principio nemo propheta in patria. Gli Anni Venti, nelle relazioni internazionali, sono caratterizzati, per modo di dire, da una certa “tranquillità”. Sono anni nei quali si tenta addirittura (pensiamo alla conferenza di Washingon del 1922 relativa agli armamenti navali) di limitare gli armamenti e di garantire le basi della sicurezza collettiva. Furono anni di formale tranquillità. Vi furono accordi anche in Europa. Si operava nel contesto della Società delle Nazioni che, peraltro, rimase monca


per l’isolazionismo degli Stati Uniti. Il Presidente Wilson, che era un internazionalista convinto, non riuscì a convincere gli americani dell’importanza di questo sistema di sicurezza collettiva. È importante dire che Giulio Douhet – ben al di là di quello che uno potrebbe pensare in relazione al bombardamento strategico – ebbe un’idea molto internazionalista, cioè quella di creare una sorta di armata aerea internazionale. Se non ricordo male, venne usato il termine di “gendarmeria internazionale aerea”, nell’ambito della Società delle Nazioni. Ma agli anni Venti sono succeduti gli anni Trenta. Tutti sanno come è finita. Vi furono vari tentativi volti a valorizzare l’aviazione civile. Gli sviluppi dell’aviazione militare vanno infatti di pari passo con gli sviluppi dell’aviazione civile e con l’affermarsi della medicina aeronautica. Resta per l’Italia lo scenario di un’Arma aerea troppo dipendente dalle altre armi. Lo scenario prevedeva una aviazione di marina, dipendente dalla Regia marina, e quindi coinvolta nella logica della guerra aeronavale, e una aviazione dell’esercito, funzionalmente legata alle esigenze tattiche e operative dell’Esercito. Bisogna arrivare al 1923 con il Regio decreto legge 645 del 28 marzo 1923, approvato a larghissima maggioranza da una Camera dei deputati, ancora costituita dai rappresentanti di molti gruppi politici… Mussolini era già al potere ma guidava ancora un governo di coalizione. Nel ‘23 viene istituita la Regia Aeronautica, che assurge al rango di arma autonoma dall’esercito e dalla marina. Il concetto di dominio dell’aria era presente nei militari dell’Aeronautica. Questa visione veniva molto criticata in quanto si dava molta importanza al coordinamento con le forze terrestri e navali. Sarebbe ingiusto dire che non ci deve essere coordinamento ma sorsero problematiche gravi perché anche successivamente – come ho letto – si aveva una problematica di fondo e cioè che le varie Armi non conoscessero vicendevolmente le loro dottrine. Anche in pratica i piani terrestri erano scarsamente coordinati con i piani navali. Forse sussistevano troppe gelosie… Coesistevano visioni molto diverse. Io credo che Douhet sostanzialmente avesse ragione. Douhet non era contrario alle attività tattiche. Douhet comprese quanto le questioni fossero complesse. E quell’ “indipendente” riferito alla guerra aerea, non esclude che vi possa essere un contesto di dipendenza, ma coesistente con l’indipendenza. Chi negava la validità della teoria douhettiana, ovvero il poter organizzare delle attività aeronautiche indipendentemente dalle operazioni terrestri introduceva una pericolosa asimmetria. Chi negava validità alla guerra aerea


indipendente toglieva un quid importante alle potenzialità offensive, e alla vittoria come target supremo. Badoglio, quando divenne Capo di stato maggiore generale (figura equivalente all’attuale funzione di Capo di stato maggiore della Difesa), comprese l’importanza dell’Arma aerea dicendo una cosa che però non contraddice Douhet. Il Maresciallo Badoglio diceva che era necessario avere una visione strategica e la sintesi la dà il Capo di stato maggiore generale. Era una riflessione da fare perché altrimenti sembra che Douhet smentisse l’importanza delle operazioni tattiche. Quindi la guerra aerea strategica si sovrappone alle operazioni tattiche dovendo aversi la “regia” del Capo di stato maggiore generale che definisce cosa è guerra strategica. In sintesi, i contenuti della guerra strategica aerea li deve definire il Capo di stato maggiore generale, tenendo conto anche del quadro tattico. Evidentemente il quadro tattico influenza le strategie. A fronte di un nemico di un certo tipo dovrà essere imbastita una strategia di un certo tipo. Di fronte ad un nemico diverso si imporrà l’esigenza di una strategia diversa. E via dicendo… Non è introducibile un sistema così dogmatico, valido in assoluto e in ogni tempo. Ad esempio, la definizione di centro vitale è in funzione del nemico che devi affrontare. Cosa devo distruggere è concetto relativo, dipende dalle circostanze (e anche dalle convenienze). Dipende dal tipo di proiezione del nemico, da come esso agisce. Per esempio ai giorni nostri è centrale la questione dei bombardamenti contro l’Isis e le relative difficoltà che nascono dal fatto che le unità dell’Isis sono molto sparpagliate. Per contro i centri di Saddam Hussein erano più facilmente neutralizzabili in quanto ben localizzati e concentrati. Cosa che accadde per esempio, anche se parzialmente, nella guerra d’Etiopia quando diventava vieppiù importante avere contezza dei movimenti degli avversari, quindi l’esigenza della ricognizione strategica. Altrimenti il comandante di divisione si trovava di fronte i combattenti avversari senza sapere da dove arrivassero e in quali consistenza. Questo è un dato di carattere generale. La situazione dell’Arma aerea, negli anni Venti, è anche quella di un’arma nuova, “neonata”. Douhet si preoccupa di riferire la situazione (poco rassicurante!) della Regia aeronautica, riferita all’ottobre del ‘25 ( con un suo documento del 28 ottobre, indirizzato a Mussolini).


A suo giudizio l’Arma aerea risultava deficitaria di bombardieri utili per sorvolare le Alpi. Detto sorvolo con bombardieri era ancora un grosso problema! La caccia aveva pure le sue problematicità. Gli aerei da caccia dovevano seguire i bombardieri. I bombardieri andavano infatti protetti dalla caccia, altrimenti sarebbero stati facile preda degli intercettori nemici. Anche in questo settore vi erano delle grosse deficienze. Le potenzialità offensive dell’Arma aerea erano limitate e questo Douhet, che certo non era uno sprovveduto, lo aveva ben compreso. La situazione di fatto era sostanzialmente incompatibile con le sue teorie, anche, in verità, per ragioni tecniche. Rivestiva grande importanza anche il dislocamento degli aerei. Un punto critico dell’Aeronautica venne riconosciuto in Douhet dalla stretta dipendenza esistente (sussisteva un rapporto univoco aereo – aeroporto) tra gli aeromobili e i rispettivi aeroporti. Se si doveva movimentare la flotta aerea con redistribuzione spaziale consistente, l’Arma aerea aveva delle criticità funzionali. La dislocazione variabile degli aerei è cruciale per quel periodo, in senso limitativo delle potenzialità offensive. Oltretutto, la dislocazione dei velivoli era assunta per data dal nemico. Questo è un altro problema perché consentiva, almeno potenzialmente, operazioni nemiche di contro-aviazione, ovvero bombardamenti dei velivoli al suolo. Questo era un potenziale problema di significativo valore. Quantitativamente nel 1925 la nostra Aeronautica disponeva di circa 200 velivoli idonei alle operazioni. Questo è un dato complessivo. In realtà i bombardieri erano una quantità minore. Il ‘27 è stato un anno cruciale perché Mussolini scoprì le proprie carte con i vertici militari. Disse loro di aspettarsi che dovesse essere scatenata una guerra o comunque che una guerra dovesse scoppiare attorno al 1938. L’orientamento di Mussolini era prettamente offensivo, già dal 1927, quando convocò i vertici militari. In quella occasione ci si rese conto che i piani delle Forze armate erano completamente avulsi uno dall’altro. Questo stato di fatto creava, ovviamente, dei problemi… La linea era offensiva. Il termine “offensivo” è stato attribuito dalla documentazione militare allo stesso Mussolini. Mussolini intendeva prepararsi ad un conflitto.


Lo sviluppo aeronautico ebbe anche degli aspetti positivi, anche propagandistici, pensiamo a Italo Balbo che fa la trasvolata atlantica partendo da Orbetello… Ci fu anche il primo impulso alla medicina aeronautica. Per esempio, ho letto che anche padre Agostino Gemelli ebbe ad interessarsi degli aspetti legati alle visite dei cadetti per accedere all’Aeronautica. Nel ‘31 il prestigio di Italo Balbo, ma poi va ricordato che lo stesso Mussolini era appassionato e cultore dell’aviazione, favorì certo l’Arma aerea. Dal punto di vista formale lo sviluppo dell’Arma aerea raggiunse, per così dire, il top. Lo raggiunge perché finalmente (dal suo punto di vista…) Balbo riesce a far liquidare le aviazioni di marina e dell’esercito, che entrano nel contesto della dipendenza dall’Arma aerea. Fanno, anche formalmente, la loro uscita di scena i dirigibili, non certo competitivi. Vi è una necessità da parte del Ministero della guerra di porre a compimento tentativi di integrazione operativa tra le varie armi. Nel 1929 vennero fatte delle manovre in Toscana con l’intento di valutare se e in quale misura l’Arma aerea fosse in grado di stroncare un eventuale sbarco nemico, realizzando condizioni di coordinamento con la Marina. Nacque una delicata questione sulle modalità del coordinamento. Come doveva essere impiegato il mezzo aereo? I velivoli dovevano intervenire prima dello sbarco nemico oppure a sbarco avviato? I piani della Marina erano già predisposti e si optò per questa seconda ipotesi. L’intervento aereo dimostrò in maniera significativa che l’impiego del mezzo aereo, coordinato con le altre forze, era in grado di bloccare un eventuale sbarco. Nel ‘32 vennero fatte altre operazioni con esiti lusinghieri. Degli anni Venti abbiamo parlato ampiamente. Dopo gli anni Venti arrivarono i terribili anni Trenta. Dobbiamo fare una osservazione sull’integrazione aeronavale. Senza scendere in dettagli vorrei già anticipare che anche nella II guerra mondiale – facendo un salto veloce nel tempo – le battaglie di Punta Stilo e del Mediterraneo occidentale (di cui ho riferito anche nella relazione scritta) dimostrarono che dal punto di vista del coordinamento aeronavale, le due Armi erano adeguate e competitive. Facendo un passo indietro e ritornando agli anni Venti primeggia in campo aeronavale, per quanto ci riguarda, la questione delle portaerei.


Ci si è chiesto perché non le avevamo. La Marina non riteneva necessario l’impiego delle portaerei. Venne fatta una sorta di valutazione costo/beneficio e si era arrivati a concludere che per le operazioni nel Mediterraneo non erano necessarie. Ciò è sostanzialmente vero. Il grande sviluppo di esse, in effetti, si ebbe negli Stati Uniti quando si trattava di scenari ben più ampi e certamente tenendo conto che colpire una portaerei era un danno enorme. In questo senso, avevo appuntato più oltre nei miei appunti, ci fu anche un ripensamento ai tempi dell’Amm. Sq. Cavagnari. Attorno al ‘34 la Marina intendeva un po’ cambiare idea. Mussolini prese posizione contro l’iniziativa e stoppò ogni sviluppo della questione, come ricorda lo storico Renzo de Felice. Cavagnari si adeguò. Altri dicono che la questione non fosse particolarmente sentita neppure dall’Ammiraglio. Già nel 1933 c’è un carteggio tra lo Stato maggiore della Marina e Badoglio. C’è, in particolare, un foglio segreto, il foglio n. 722 del 1933. Ve ne sintetizzo i contenuti. Nessuno dubita – dice sostanzialmente Badoglio – a che il mezzo aereo possa essere impiegato in operazioni terrestri e/o navali ma questo va valutato in relazione al quadro strategico e al teatro. Arriviamo quindi alla guerra d’Etiopia. Siamo nel 1935 – 1936. Ormai l’Italia era divenuto in tutti i sensi uno Stato autoritario. Capo di stato maggiore della Regia aeronautica era il Gen. Sq. Valle. L’Italia decide di affrontare il Negus, di aggredire l’Etiopia. Al comando delle nostre forze armate nel primo periodo c’è De Bono. Era un Maresciallo d’Italia. Era anziano. Fu uno dei quadrunviri. Gli vennero promesse 8 squadriglie di bombardieri, una squadriglia di ricognitori, una squadriglia di velivoli da caccia. C’erano inevitabilmente dei problemi. Lì c’era sicuramente la supremazia aerea. L’Etiopia, infatti, non aveva una propria aeronautica. Possedeva un esercito addestrato da consiglieri belgi. Il primo postulato di Douhet era soddisfatto. Controllare sicuramente lo spazio aereo non voleva però dire liquidare la partita in poco tempo. Se uno fosse così semplicistico dovrebbe dire che la supremazia aerea di per sé avrebbe consentito in re ipsa la vittoria. I militari dell’Aeronautica problematiche.

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In primis, gli aeroporti, che erano insufficienti, con piste inadatte, corte, il suolo di esse era quello che era. Tutte cose che possono apparire banali ma che in realtà non lo erano affatto!


Si capì anche come l’Arma aerea potesse avere una insostituibile funzione dal punto di vista logistico, con riferimento al trasporto dei mezzi, ovvero di viveri, armi, munizionamento. Non ho letto di supporto logistico in relazione al trasporto di truppe. Sussistevano problematiche serie anche in relazione alla navigazione aerea. Si trattava di regioni caratterizzate da sbalzi di temperatura e di pressione ampi. Si trattava, anche in questo caso, di problematiche di non poco conto. In loco l’Aeronautica era affidata ad un generale di divisione aerea, Mario Ajmone Cat. Anche Lui comprese bene le problematiche. Quanto alla dotazione di velivoli, potevamo disporre di 366 velivoli di cui 170 bombardieri in Somalia, avendo pure in dotazione 125 velivoli di cui solo 34 bombardieri in Eritrea. Venne avviata l’operazione MILANO. Siamo, lo ricorderete, ai primi di ottobre del 1935. Gli ordini per l’Aeronautica erano molto precisi. Cito quasi letteralmente: l’esplorazione del fronte e dei fianchi delle colonne; l’esplorazione lontana, chiamiamola strategica legata ai movimenti e agli spostamenti delle truppe per capire ove le truppe si potessero concentrare (perché capire dove esse si concentrano consentiva di colpire più razionalmente, magari se si concentrano in punti ove si sono ponti, magari bombardi i ponti per evitare che continuino a concentrarsi); la funzione di supporto logistico (che può apparire banale ma che fu di fondamentale importanza). La funzione logistica (trasporto di armi e di viveri) fu fondamentale per la cosiddetta Armata eritrea. I militari più in difficoltà infatti erano quelli che operavano sul fronte eritreo (che muovevano dall’Eritrea). C’era, ovviamente, tra le funzioni assegnate, come detto, la ricognizione strategica. Formalmente l’organizzazione era per stormi, con velivoli omogenei. Come risolse i problemi organizzativi il Gen. Cat? Egli distinse tra ricognizione strategica e ricognizione tattica. Questa ultima era legata alle esigenze dei corpi d’Armata, quindi doveva sussistere un rapporto organico con questi. Cat aveva capito una cosa essenziale: assicurare la cooperazione con il mezzo aereo doveva avvenire anche senza preavviso, quindi con tempi rapidi di decisione. Ora la guerra cominciava a divenire anche una questione di tempo. Già nel pensiero di Douhet c’era la velocità, il risolvere la cosa in tempi accettabili, ragionevoli.


L’aviazione fu importante. Lo stesso Negus ammise che le sue truppe subirono dei danni dai bombardamenti che, dobbiamo ammetterlo, furono anche con sostanze asfissianti e urticanti quali l’iprite e il fosgene. Una delle teorizzazioni, quantunque non da parte del Gen. Douhet (che mai teorizzò l’impiego dei gas), fu anche basata sull’impiego dei gas (tanto è che si parlerà nel proseguo di un binomio gas-aereo). Vorrei osservare che il bombardamento aereo tattico è sempre legato all’impiego dell’artiglieria (nel senso del coordinamento). Fu molto importante al pari della ricognizione strategica che consente di capire le mosse nemiche e quindi di capire la strategia complessiva del nemico. La ricognizione strategica è anche un elemento che sta alla base delle teorie della guerra preventiva, o comunque delle dottrine preventive che, come è noto, furono duramente condannate ai tempi dell’Amministrazione Bush Jr., che, bisogna dirlo, non furono “inventate” da Bush ma sono nettamente precedenti. In Etiopia mancano sia l’aviazione nemica che veri centri vitali nemici. Manca uno degli elementi della guerra aerea strategica, ma c’è comunque un contesto di guerra strategica. In realtà in modo molto estensivo per centro vitale, in modo terroristico, si poteva intendere la popolazione civile. I bombardamenti furono comunque contro combattenti. Bisogna poi rimarcare un dato di carattere generale ad evitare facili semplificazioni per le quali gli italiani erano cattivi e gli altri no. In realtà le cose non stavano esattamente in questi termini perché metodi di guerra e di bombardamento, anche nei confronti dei civili, venivano fatti praticamente da tutte le potenze coloniali, quali la Francia e il Regno Unito. La Francia, ad esempio, bombardò la Siria, Damasco in particolare. Il Marocco francese fu pure oggetto di tali pratiche. Gli esperti francesi, in relazione al Marocco, dissero che tali bombardamenti erano risultati sostanzialmente inutili. Anche il Regno Unito operava in tal modo quando aveva problemi a gestire gli affari indiani. Tanto è che nella dottrina internazionalistica si è parlato di una “eccezione coloniale”. Insomma, il ragionamento era del tipo: noi potenze applichiamo le regole dello jus ad bellum e dello jus in bello quando siamo coinvolti noi, ma quando sono coinvolti popoli di più basso livello si ragionava in termini di polizia interna, una questione di ordine pubblico. Lo voglio precisare perché c’era un modo univoco, consuetudinario di operare. Gli stessi giapponesi dapprima erano ostili a queste forme poi le svilupparono in quel senso quando bombardavano i civili in Cina, già dagli inizi degli anni


Trenta ma ancor più nella seconda fase, che portò ad una rapida escalation della guerra sino-nipponica. I giapponesi bombardarono in modo massiccio e indiscriminato. Dei bombardamenti della II guerra mondiale ne sappiamo molto di più nel senso che vi furono bombardamenti inglesi sulla Germania, nei quali si arrivò a considerare “centro vitale” anche la popolazione civile. Questa fu una involuzione della R.A.F., una involuzione che andò anche contro i punti di vista del Governo inglese e del Presidente Roosevelt che certo non era incline a queste visioni. Con la conferenza di Casablanca (siamo al gennaio del 1943) si decise di agire con i bombardamenti massicci sulla Germania, che venne colpita sempre più duramente. Il bombardamento strategico divenne area bombing, venne declinato in modo da colpire in modo indiscriminato una particolare area geografica. Questo modo di intendere il bombardamento aereo traeva origine anche dalle riflessioni teoriche che partivano dal primo capo della R.A.F., H. Trenchard. Questa visione era infatti tipica anche di una parte dei militari inglesi dell’aria. Si trattava di colpire il fronte interno, era necessario colpire il morale delle popolazioni. Purtroppo il bombardamento strategico fu declinato anche in quel modo. C’è da dire che il nemico che gli Alleati avevano di fronte era stato l’iniziatore non dell’area bombing in senso stretto ma sicuramente della declinazione “terroristica” del bombardamento strategico. Vi furono addirittura “dispute” tra i comandi tedeschi. Il più efferato in tutti i sensi – e ci è tristemente noto per l’occupazione dell’Italia dopo l’8 settembre del ‘43 – fu Albert Kesserling. Egli fu il sostenitore di maggior peso della linea terroristica. Vi furono dispute tra i vari comandanti delle Luftflotten impiegate nel bombardamento aereo del Regno Unito. Gli altri comandanti pensavano di agire diversamente. Quando la Luftwaffe bombardava il Regno Unito, specie, ma non solo, la parte meridionale, era stata attuata una divisione per la quale ogni Luftflotte aveva il compito di bombardare una particolare zona. Kesserling aveva come compito il bombardamento della zona di Londra. Egli era un acceso sostenitore della linea del bombardamento terroristico. Altri ritenevano più opportuno colpire i centri vitali in modo più sofisticato. Vorrei ricordare che in quella occasione i tedeschi non riuscirono a concretizzare. La Luftwaffe complessivamente cominciò a perdere colpi, anche grazie ai bombardamenti poi intensificati dagli americani sulla Germania.


A un bombardamento notturno britannico ne seguiva uno diurno americano. Paradossalmente è possibile ritenere che l’accanimento di personaggi come Kesserling contro la popolazione, piuttosto che contro i centri industriali e militari, abbia aiutato gli inglesi. I tedeschi operavano per distruggere il morale della popolazione. Ciò non accadde. Fu un errore fatale perché se avessero tentato di bombardare ad esempio la rete dei radar forse sarebbero riusciti nei loro intenti. In effetti, gli inglesi, oltre ad avere i vari Turing, che riuscivano a decrittare i comunicati dei comandi militari germanici, possedevano anche una rete radar particolarmente ben organizzata. Dell’importanza del radar purtroppo i nostri militari non si avvidero per tempo. Gli inglesi dal 1934 iniziarono a occuparsi dei radar costieri e di quelli navali.

Interviene il Col. Pisano per chiedere qualche notizia del ruolo e dell’aviazione italiana nel conflitto di Spagna.

Patrizio GRAVANO, relatore. In effetti in Spagna ci fu anche l’invio di velivoli militari italiani. Complessivamente, il ruolo delle aviazioni in quel contesto per ragioni – non so se imperscrutabili o meno – non fu poi così determinante. Non fu neppure determinante l’invio del corpo aereo tedesco. Operava un corpo tedesco e in quel contesto possiamo dire – senza timore di smentita - che vi fu uno step ulteriore perché quando ci fu la guerra d’Etiopia si verificò che la gran parte delle perdite dell’aviazione italiana erano legate ai velivoli della cosiddetta aviazione d’assalto. Si trattava di aerei leggeri, aerei che mitragliavano e bombardavano da bassa quota, ma particolarmente vulnerabili al tiro contraereo. I tedeschi capirono come ovviare e realizzarono lo Junker 87 che arrivava in picchiata. Il bombardamento in picchiata – al di là degli aspetti psicologici, quali il sibilo – rendeva meno facile l’abbattimento dell’aeromobile. Il ruolo dei russi fu marginalismo. Essi avevano un bombardiere che sfigurava. Lo tennero negletto. I tedeschi sperimentarono lo Stuka. Venendo giù in picchiata opponeva al tiro d’artiglieria un profilo minore rispetto al volo orizzontale. Era molto più difficile centrarlo. Vi furono anche bombardamenti massicci, mai risolutivi. Si dice che quando si combatteva in città sulle barricate fino a pochi metri da esse funzionavano ancora i tram.


I bombardamenti non erano riusciti intaccare il morale della popolazione e neppure a intaccare poi tanto i trasporti e la rete infrastrutturale. La Spagna fu un banco di prova per la verifica dei nuovi aerei e delle teorie aeronautiche. Per noi l’invio di aerei fu dannoso in quanto, unitamente agli impieghi in Etiopia, aveva fatto sì che lo stock aeronautico italiano, nell’imminenza del II conflitto mondiale, risultasse assolutamente insufficiente per le esigenze funzionali dell’Arma aerea. L’Aeronautica già nel 1934 era in declino. Le due esperienze belliche (Etiopia prima e Spagna poi) lo accelerano, indebolendo consistentemente la forza aerea italiana. (A questo punto si conviene, su proposta del Presidente onorario, cui si associa immediatamente il Presidente e con generale consenso dei partecipanti, di aggiornare, data l’ora, i lavori sulla guerra aerea ad una successiva relazione orale da tenersi nel mese di gennaio 2016 con riferimento al periodo che decorre dalla guerra di Spagna. Il relatore si impegna a riferire in merito.)



pubblicazione a cura di Pascal McLee

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