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Su TikTok, 4 senior contro i pregiudizi Linda Russo

Attualità

QUATTRO SENIOR CONTRO BODY-SHAMING E AGEISMO

TikTok è senza dubbio un social ad uso e consumo di un pubblico prettamente giovane, ma è sempre più frequente trovare influencer senior. Tra questi spiccano gli Old Gays, quattro uomini che usano il canale per combattere ageismo, body-shaming e omofobia

di Linda Russo

Nel settembre del 2016, in Cina, è stata lanciata un’app che si chiamava Douyin e che ha da subito attirato l’interesse di moltissimi giovani. Attraverso la piattaforma, infatti, gli utenti potevano creare videoclip di diversa durata e modificarne la velocità di riproduzione, aggiungendo filtri, effetti particolari e suoni. La sua popolarità ha ben presto superato i confini, espandendosi nel resto del mondo nel 2017 con il nome di TikTok. Oggi, secondo i dati diffusi dalla stessa piattaforma, il numero di utenti che ne fruisce si aggira intorno al miliardo ed è un trend in crescita che interessa anche l’Italia, dove gli iscritti sono circa il 22,2% della popolazione maggiorenne. Numeri ben più alti rispetto a siti noti come Pinterest, Twitter o Snapchat. Analizzando il target, poi, è facile capire come l’app sia prettamente appannaggio dei giovani: il 41% degli utenti, infatti, ha tra i 16 e i 24 anni, creando di fatto una piazza privilegiata per la Generazione Z (quella nata tra il 1997 e il 2012). L’attrattiva, in questo senso, appare dovuta alle risposte che il social offre a questa fascia di popolazione. A differenza di Instagram e Facebook, più basati sulla condivisione quotidiana, TikTok va oltre e permette ai suoi utenti di esprimersi in modo nuovo: gli iscritti possono creare video divertenti mentre ballano, cantano o mimano canzoni e tormentoni, ma possono prendere parte anche a sfide popolari e trend del momento con una modalità molto più veloce ed efficace. Tuttavia, contrariamente a quanto si possa pensare, c’è posto anche per i senior. Moltissime star di questo social, infatti, sono anziani che hanno deciso di mettersi in gioco o nonni guidati dai nipoti. In Italia, ci sono, ad esempio, Elisa Confalonieri e il nonno Mario con oltre 220mila followers, o Nonna Luigina (84 anni) con un profilo personale da oltre 2 milioni di seguaci, e Nonno Severino (93 anni) con un milione e mezzo di fan. Nel mondo, invece, troviamo Dorothea Taylor (71 anni), conosciuta come “Godmother of Drumming” grazie alle sue performance con la batteria che allietano più di 2 milio-

ni di fan; Barbara Costello (73 anni), che sul social dà sfoggio delle sue capacità culinarie con picchi di 6 milioni di visualizzazioni; Gangsta Granny dall’Australia (75 anni), che racconta la sua vita a oltre 1 milione e mezzo di follower; l’irlandese Grandad Frank (77 anni), che in alcuni casi ha ricevuto più di 152 milioni di “like” o, ancora, Gangsta Grandma di 93 anni, che mima le canzoni moderne con tanto di costumi e accessori a tema, garantendosi più di 2,5 milioni di ascoltatori assidui. Tra i senior influencer, però, spicca un gruppo di quattro uomini statunitensi che negli ultimi mesi ha conquistato TikTok. I componenti sono Robert Reeves, classe 1943, Michael “Mick” Peterson, anno 1956, Bill Lyons del 1944, e Jessay Martin del 1953. Si fanno chiamare “Old Gays” e a novembre del 2021 hanno raggiunto il miliardo di follower sui loro social media. Un seguito nato dopo un video promozionale che hanno girato per Grindr, l’app d’incontri dedicata al mondo LGBTQ+, e che sarà oggetto di una docuserie prodotta da Brian Graden Media, compagnia hollywoodiana. Tra i messaggi veicolati dai loro video ci sono la leggerezza e il saper ridere di sé, ma anche l’accettazione del proprio corpo che cambia, del tempo che passa e la lotta ai pregiudizi e agli stereotipi che interessano la comunità LGBTQ+. Spesso, proprio per i temi che affrontano e la formazione del quartetto, sono stati accostati alle protagoniste di Cuori senza età, la serie Tv degli Anni ’80 incentrata sulle vicende di quattro donne che vivono sotto lo stesso tetto in una villa di Miami. Eppure, gli Old Gays non sono frutto di una sceneggiatura, ma amici nella vita reale. Quasi quarant’anni fa, infatti, Robert ha incontrato Bill a San Francisco ed entrambi si sono trasferiti a Cathedral City, in California, negli Anni ’90. Nel 2013, poi, i due hanno incontrato Mick quando ha affittato la stanza degli ospiti a casa di Robert. E l’anno dopo Jessay si è trasferito dall’altra parte della strada. L’idea di raccontare di loro, però, è arrivata quando un trentaseienne ha affittato la stanza che Robert mette a disposizione a casa propria. Notando la splendida amicizia dei quattro e quanto si divertissero insieme, il giovane ha deciso di presentarli al marito, produttore, per documentare il tutto davanti a una telecamera e dare inizio agli “Old Gays”. Da quel momento, oltre a mostrare che invecchiare non significa rinunciare a ridere e divertirsi, hanno usato la loro piattaforma anche per parlare di diritti e tutele della comunità LGBTQ+. «Il mondo commerciale esclude i senior perché dà per scontato che non siano più lucidi come una volta», ha commentato Robert nel corso di un’intervista al programma televisivo statunitense Today, quando gli hanno chiesto come si sentano i quattro amici in mezzo a una community così giovane. «Se pensi di essere troppo anziano per i social media o per qualsiasi altra cosa, probabilmente lo sei - ha continuato Jessay- . Ma se sei disposto a stare con i giovani, a continuare ad imparare e ad essere aperto a nuove idee, puoi guadagnare moltissimo».

Tra i messaggi veicolati dai loro video ci sono la leggerezza e il saper ridere di sé, ma anche l’accettazione

del proprio corpo

che cambia, del tempo che passa e la lotta ai pregiudizi e agli stereotipi

Società

SULLE SPALLE DEI CAREGIVER

Nel nostro Paese, in continuo invecchiamento, c’è urgente bisogno di soluzioni legate alla non-autosufficienza. Perché troppo spesso il lavoro di cura è sulle spalle dei caregiver familiari. E il sistema di assistenza inizia a mostrare importanti crepe strutturali

di Giuseppe Cionti

S

e quello atmosferico - causa cambiamenti climatici sotto gli occhi di tutti - stenta a partire, l’inverno demografico ha ormai preso decisamente il sopravvento, soprattutto nelle nostre società occidentali ed in Italia in particolare. A lanciare l’allarme, da tempo, sono stati demografi, scienziati, politici ed esperti di varie discipline. Ultimo, in ordine di tempo ma non certo di importanza, Papa Francesco, che da Matera - nel settembre scorso - ha affermato di «osare chiedere per l’Italia più nascite e più figli». Un fenomeno che sembra inarrestabile e che, come ampiamente previsto, sta portando a disequilibri di vario genere ormai quasi inutili da elencare nuovamente, tanto sono sotto gli occhi di tutti. Tra questi, forse più nascosto ma non meno importante, c’è l’impatto che il progressivo invecchiamento della rete parentale - in Italia spina dorsale anche in campo di assistenza e sostegno a chi è più in difficoltà - sta avendo sui caregiver. Chi ha tentato di misurare questo aspetto, forse da troppi sottovalutato, è stato un recente studio condotto da BCG e Jointly, Digitale, locale, integrato. Il futuro del Welfare in un Paese che invecchia, nel quale si conferma - in estrema sintesi (semmai ce ne fosse stato bisogno) - che ci troviamo in un Paese sempre più vecchio, con un sistema di welfare insufficiente e puntellato con fatica dalle famiglie. Un Belpaese dove quasi un cittadino su quattro ha più di 65 anni (14 milioni in tutto) e la grande maggioranza degli over 75 (l’85%) convive con almeno una malattia cronica. Ovvio che in una situazione del genere, la domanda di assistenza cresce di anno in anno. Peccato però che solo il 15% di questa domanda è soddisfatta delle risorse pubbliche. La spesa pubblica per la non autosufficienza in Italia è, infatti, oggi pari a circa 31 miliardi di euro (l’1,75% del PIL), circa 24 miliardi in meno della media di Francia, Germania e Regno Unito. Uno “spread nella protezione sociale”, lo definisce con efficacia lo studio, che nel 2065 dovrebbe salire a ben 53 miliardi di euro totali. Sono, quindi, le famiglie che dovranno farsi carico, nell’oggi e ancor più in futuro, del lavoro di cura e - quando possibile - dei costi che questo comporta. E qui veniamo al ruolo e alla funzione dei cosiddetti caregiver (cioè le persone che prestano assistenza agli anziani o ai

malati), che oggi in Italia risultano essere oltre 7 milioni: per il 30% si tratta di un vero e proprio secondo lavoro. I dati ci dicono poi che chi ha la disponibilità economica ricorre al privato: nel 2021 la spesa di welfare delle famiglie ha raggiunto il valore di 136,6 miliardi, pari al 7,8% del PIL, dove la salute (39 miliardi) e l’assistenza agli anziani (29 miliardi) rappresentano da sole la metà del totale. Gran parte di questa spesa (71%) è sostenuta direttamente dalle famiglie, mentre assicurazioni e corporate welfare ne coprono appena l’1,5% (in particolare, le assicurazioni Malattia e Long Term Care - LTC - in Italia sono ancora un’eccezione, con una penetrazione sul PIL dello 0,2% nel 2020). I cambiamenti sociodemografici in atto e che vanno nella direzione di famiglie sempre più “mono-nucleo e in età avanzata”, insieme alle evoluzioni indotte dalla pandemia come lo smart working, le cure da remoto e il digitale, impongono - suggeriscono gli esperti - «una riflessione urgente sul funzionamento dei sistemi di welfare (pubblico, privato e aziendale), sulla loro integrazione e sull’effettiva adeguatezza e capacità di rispondere ai bisogni degli anziani e dei loro caregiver». La ricerca congiunta BCG - Jointly ha coinvolto più di 12.000 dipendenti di aziende in diversi settori (telecomunicazione, trasporto, alimentare, energia, credito), con lo scopo di indagare i bisogni dei lavoratori caregiver e immaginare nuove soluzioni che coinvolgano tutti gli stakeholder, dalle aziende all’amministrazione pubblica fino ai provider e agli assicuratori. Una ricerca che ha fatto emergere alcuni snodi critici per le famiglie con persone anziane e non autosufficienti a carico, confermando una situazione complessa che, secondo 8 intervistati su 10, è destinata a peggiorare. Vediamo il perché. Il 17% dei caregiver afferma di spendere più di 10.000 euro l’anno e, in un caso su due, si tratta di spese sostenute personalmente. È del tutto comprensibile quindi, che quasi la metà degli intervistati definisca questa situazione “pesante” o “molto pesante” e desideri (56%) fortemente poter staccare dal lavoro di cura, anche attraverso un sostegno psicologico (44%). Dallo studio emerge poi che la copertura del fabbisogno finanziario e di servizi, se da parte del pubblico non è sufficiente, non è affatto sostenuta da una copertura privata - sia essa assicurativa o nella forma di welfare aziendale - definita “infinitesimale”, visto che arriva a coprire poco più dell’1% della spesa sostenuta. In termini di servizi, la maggioranza dei caregiver è costretta così a fare da sé (38%) o a comprare dal privato (33%), sempre che se lo possa permettere. Il settore pubblico viene scelto mediamente solo dal 25% dei caregiver a causa della lentezza dell’erogazione, le complessità burocratiche e la mancanza di risorse. Gli erogatori privati colmano solo molto parzialmente questo gap. Trattandosi principalmente di aziende o di operatori specializzati, il costo è raramente in linea con le possibilità di spesa e li rende inaccessibili a 6 caregiver su 10. A fronte della barriera economica, l’offerta resta nella maggioranza dei casi poco soddisfacente, soprattutto in termini di chiarezza e navigabilità. Queste limitazioni fanno sì che - emerge dallo studio - solo un terzo degli intervistati si rivolga abitualmente a servizi privati. Altro tema, quello della vita personale in presenza di persone da assistere con patologie. Per figli, genitori e parenti caregiver, l’ambiente di lavoro è percepito spesso come un limite: più di un caregiver su tre (38%), infatti, teme che parlare del proprio ruolo possa compromettere in qualche modo la propria carriera e uno su quattro (23%) afferma di non aver ricevuto particolare supporto, dopo aver condiviso la propria situazione. Questo mentre il welfare aziendale,

adottato da molte aziende, è sfruttato a pieno solo dal 3% degli intervistati, nonostante la possibilità teorica di accedere a un ampio portafoglio di servizi. Il problema - è stato denunciato - è sia comunicativo (la metà degli intervistati afferma di non conoscere l’offerta) sia di contenuto (servizi non in linea con i propri interessi o non di effettivo aiuto). Due sono i fattori che emergono come “prioritari” per i caregiver intervistati: la gestione del tempo e l’aspetto finanziario, che sono considerati “rilevanti” o “molto rilevanti” rispettivamente dal 72% e dal 64% del campione. Dall’analisi condotta sempre da BCG e Jointly emerge il quadro di un mercato frammentato che sconta anche una “domanda immatura”. In questo scenario complesso è necessario - sono alcune delle conclusioni emerse dallo studio - definire “un nuovo paradigma a lungo termine in cui identificare nuove sinergie sfruttando l’evoluzione digitale e di servizio degli ultimi due anni, e nuove forme di finanziamento”. In termini di servizio, invece, aumenta l’interesse nei confronti delle soluzioni di “senior housing”: in Italia c’è ancora spazio per lo sviluppo di un modello con forte integrazione digitale, in cui l’accompagnamento alla vita quotidiana prevale sull’aspetto puramente medicale e assistenziale. A domicilio l’attenzione si sposta, invece, sui servizi non medicali. Infatti, se da un lato si registra una flessione prevista nella domanda di assistenza domiciliare e in quella sanitaria (ausili medicali, infermieri, ecc.), dall’altro si prevede un aumento del 18% nella domanda di proposte non cliniche come consegna di pasti, compagnia, trasporto, calendari interattivi, video consulti. «La tecnologia - affermano gli esperti - è parte sempre più integrante delle nostre vite e può rappresentare la risposta ai bisogni dei caregiver e dei loro assistiti. Modelli di servizio innovativi si uniscono ad App, intelligenza artificiale, “smart home” per indirizzare in modo sempre più innovativo e personalizzabile i bisogni di una popolazione che invecchia». Il Covid non ha fatto altro che accelerare questo ricorso alla tecnologia, prima per i teleconsulti nella fase di lockdown e poi espandendosi anche alla tele-riabilitazione. La sfida nella sfida sarà dunque quella di capire come sviluppare strumenti che stimolino il ricorso abituale a questi servizi anche nel lungo periodo. In termini di sostenibilità, le nuove soluzioni proposte - dal “senior housing” all’assistenza a domicilio - beneficerebbero senz’altro di una regia istituzionale e di una collaborazione con le aziende assicurative e quelle di welfare, tanto per la parte di co-progettazione e diffusione quanto per il finanziamento vero e proprio. «Il welfare aziendale - ha commentato Anna Zattoni, presidente di Jointly - può avere un impatto importante sul benessere delle famiglie e sulla sostenibilità del sistema socio-assistenziale nel nostro Paese. Ed è pronto a fare la sua parte, lavorando in sinergia con il settore assicurativo e con la pubblica amministrazione». «È dovere di tutti - dalla politica alle compagnie assicurative, passando per le società di corporate welfare e assistenza agli anziani - individuare soluzioni ai bisogni crescenti legati alla non autosufficienza. Il PNRR offre una finestra per agire facendo leva sul digitale all’interno di nuovi modelli di servizio sempre più locali e integrati. Le opzioni sono molteplici: qualunque sia il disegno adottato, è certo che la strada della partnership tra attore pubblico e operatori privati può aprire una nuova stagione e costituire una soluzione pragmatica a fronte di fonti di finanziamento pubbliche limitate», ha aggiunto Alessandra Catozzella, partner di BCG. «Il digitale - si dicono certi gli estensori dello studio nelle loro conclusioni - è quindi il fil rouge che può agire come fattore abilitante nell’affrontare una complessa equazione che richiede l’equilibrio tra tre attori molto diversi. Che sia tramite la facilitazione di modelli lavorativi flessibili per i caregiver, o tramite l’erogazione di servizi innovativi da remoto per gli anziani, o ancora attraverso la raccolta di dati sempre più accurati per migliorare la prevenzione, la tecnologia offre possibilità illimitate per lo sviluppo di soluzioni innovative e sostenibili in termini di demografia e sviluppo socio-economico del Paese».

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