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Nostalgia, un sentimento da rivalutare Anna Costalunga
from Febbraio 2022
by pay50epiu
QUELLI, SÌ, CHE ERANO BEI TEMPI!
Gli ultimi studi rivalutano un sentimento troppo spesso legato alla malinconia e alla tristezza; la nostalgia, invece, può essere un ostacolo alla solitudine, alla noia e all’ansia
Il passato, a volte, ci appare come un paese straniero dal quale siamo stati esiliati, a cui aneliamo tornare. Una canzone risveglia il ricordo di un amore vissuto; il profumo del pan di Spagna riporta la mente all’infanzia; un gruppo di ragazzi con gli zaini in spalla evoca la spensieratezza della gioventù. La nostalgia è una triste felicità che ci riporta alle gioie del tempo che fu e ci fa soffrire al pensiero che quelle esperienze siano ormai irripetibili e perse per sempre. Cristallizzate in un trascorso che appare sereno e perfetto. Una sorta di paradiso perduto, che nella memoria si tinge dei toni sfumati del rosa di un tramonto.
Breve storia di un sentimento vecchio quanto l’uomo
Il nostalgico più famoso della letteratura è senz’altro Ulisse, l’eroe della guerra di Troia che abbandona la ninfa Calipso per tornare ad Itaca, dall’amata moglie Penelope, rinunciando al dono dell’immortalità. È dunque nell’epopea omerica che prende forma il concetto di nostalgia, un sentimento etimologicamente nato in Grecia (da nostos, ritorno, e algos, dolore) ma coniato nel XVII secolo dal medico svizzero Johannes Hofer, per definire il malessere che colpiva i soldati al fronte, lontani dalla patria. Un sentimento ammantato di una connotazione negativa, tradizionalmente associato a melanconia e tristezza. Una fama sinistra che ha attraversato il tempo. Nel XIX e XX secolo la nostalgia è stata variamente classificata come una “psicosi da immigrati”, una forma di “melancolia” e un “disturbo mentale compulsivo”. Ma quando lo psicologo Constantine Sedikides e il suo gruppo dell’Università di Southampton (Regno Unito) hanno iniziato a studiarla, la prospettiva è cambiata. Da emozione stucchevole, se non dannosa, la nostalgia si è infatti trasformata in una preziosa risorsa per la mente. Al punto che, sostengono i ricercatori, è consigliabile coltivarla. Il team di psicologi ha infatti scoperto che questo sentimento non solo non ha nulla a che vedere con la depressione ma, al contrario, contrasta la solitudine, la noia e l’ansia.
Il valore terapeutico della nostalgia
Il ricordo del primo bacio, degli amici di un tempo, di una musica non generano in chi li prova sofferenza, bensì serenità e ottimismo per il futuro. Sedikides stesso, infatti, ha ammesso che il pensiero costante della vita precedente (le origini greche e le esperienze lavorative negli Stati Uniti) non procurava al suo animo un senso di infelicità, piuttosto di gratificazione, e che le scelte e gli avvenimenti del passato danno un senso al presente, all’essere hic et nunc. «La nostalgia - racconta - mi riporta alle radici, dà continuità alla mia vita e mi spinge ad andare avanti con ottimismo». Gli studiosi hanno analizzato le storie di centinaia di persone provenienti da varie parti del mondo, scoprendo che le categorie della nostalgia sono universali e ricorrenti: ricordi di amici e familiari, vacanze, matrimoni, canzoni, viaggi, paesaggi. Le storie individuali tendono sempre a presentare il sé come protagonista circondato dagli amici e dagli affetti più intimi. La maggior parte degli intervistati ha riferito di provare nostalgia almeno una volta alla settimana e quasi la metà ha ammesso di sperimentarla fino a tre o quattro volte in più. Per misurarne scientificamente gli effetti, i ricercatori hanno testato alcuni soggetti inducendo in loro dei sentimenti negativi attraverso il racconto di un disastro mortale e sottoponendoli poi a un test della personalità studiato per farli sentire molto soli. Dopo i primi istanti di tristezza per le sorti delle vittime, preoccupati del proprio isolamento, tutti si sono dimostrati inclini alla nostalgia. Una strategia utile per il benessere psichico: dopo essersi abbandonati al sentimento, si sentivano infatti meno depressi e meno soli.
Un generatore di ottimismo ed empatia
Guardare una vecchia foto o ricordare i compagni di scuola, insomma, non scatena solo l’emozione di un momento, ma fa da ponte tra il passato e il presente, tra ciò che siamo e ciò che saremo, dando la sensa-
NOSTALGIA, ISTRUZIONI PER L’USO
Attenzione: la nostalgia è un sentimento da maneggiare con cura. Un uso “errato”, avvisano gli esperti, potrebbe rivelarsi controproducente. È il rischio che corre chi cede troppo alle lusinghe del passato a scapito del presente. La nostalgia della giovinezza è forse una delle più frequenti e intense perché - spiegano gli psicologi - ha a che fare con molte esperienze destinate lasciare un solco emotivo profondo nell’animo: il primo bacio, il primo viaggio, il matrimonio. Inoltre, con l’età, insorgono nuovi problemi e il contorno familiare e sociale inizia a trasformarsi, lentamente ma inesorabilmente. Per molti, allora, la nostalgia finisce per ridursi ad un semplice paragone tra ciò che è e ciò che è stato. Con la conseguenza di arrivare ad affermare che, in fondo, il meglio è ormai alle spalle. In realtà, sappiamo che non è l’infanzia (o la giovinezza) a farci star bene, ma il ricordo dell’innocenza e della gioia con cui si viveva da bambini. Il confronto, avverte ancora Sedikides, non è dunque l’atteggiamento vincente per rapportarsi al passato. L’approccio corretto è piuttosto quello di interrogarsi sulla vita trascorsa, riconoscendo alle esperienze il loro giusto valore. Ricordiamo Antoine da Saint-Exupery: «Se vuoi costruire una nave, non radunare gli uomini per raccogliere legna e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito». È questa la spinta emozionale più giusta per guardare al futuro con fiducia ed ottimismo.
PARERI E STRATEGIE
Constantine Sedikides afferma di avere individuato alcune strategie per aumentare il livello personale di nostalgia al quale attingere nei momenti difficili. Una tattica, da lui stesso sperimentata, è quella di creare nel presente più momenti destinati - in futuro - a diventare memorabili, ricorrendo alla cosiddetta “nostalgia anticipatoria”. Un’altra è quella di attingere al proprio “deposito nostalgico” ogniqualvolta si abbia bisogno di una spinta psicologica o di una motivazione in più. In quei momenti, suggerisce, è fondamentale concentrarsi esclusivamente sui ricordi, assaporandoli senza confrontarli con nient’altro.
Secondo Rosalía Baena, dell’Università di Navarra (Spagna), la nostalgia è un sentimento in crescita. Forse a causa dei problemi economici, ma certamente per la crisi dell’identità culturale e dei valori personali che caratterizzano l’era post-moderna. La nostalgia come rifugio rassicurante dalla perturbabilità del presente fa trionfare serie televisive ambientate nel passato come Downton Abbey, o musical come Grease. E che dire delle applicazioni per i social, che permettono di dare un tocco malinconico alle foto grazie al sapiente impiego dei filtri in seppia o bianco e nero? Nel ricordo si innesca un meccanismo di liberazione che permette di superare traumi e sensazioni spiacevoli del passato
zione che la vita - col suo bagaglio di vicende negative e positive - abbia realmente un senso. Regalando così un pieno di ottimismo per il futuro, per sua natura incerto, e contemporaneamente rafforzando l’autostima e la resilienza nel presente. Una tesi peraltro sostenuta anche dalle neuroscienze: nel ricordo, infatti, si innesca un meccanismo di liberazione che permette di superare traumi e sensazioni spiacevoli del passato. In questo passaggio un ruolo fondamentale è svolto dalla corteccia cerebrale, con il coinvolgimento anche di amigdala, talamo e ipotalamo, responsabili dell’attivazione degli impulsi che restituiscono il feedback positivo. Ma la nostalgia non favorisce solo l’equilibrio emotivo: si dimostra anche un motore di empatia e connessione sociale. Tant’è che, sempre secondo lo studio, il ricordo di eventi tristi provoca la vicinanza e la solidarietà del prossimo, allontanando così il senso di solitudine e di tristezza. È stato infatti dimostrato che le coppie si sentono più vicine e più felici nella condivisione di ricordi nostalgici, col risultato di alimentare nel tempo un “circolo vizioso” di generosità e altruismo.
CARNEVALE
LE MASCHERE STORICHE LUNGO LO STIVALE
Nascono originariamente con riti religiosi ma è il teatro a farle conoscere in maniera decisamente più diffusa. È grazie alla Commedia dell’Arte se diventano protagoniste assolute del nostro immaginario, col loro corredo di incredibili personalità, abiti spesso singolari e accenti tipici dialettali. L’origine delle maschere tradizionali che conosciamo risale al XVI secolo. Erano la leva che gli attori usavano per interpretare delle “maschere” di Sadìa Maccari
Arlecchino, Brighella, Meneghino, Gianduja. Ma anche Colombina, Pantalone e Capitan Spaventa. Sono solo alcune delle maschere della nostra tradizione, figure di un passato incredibilmente familiare. Oggi, però, per lo più superate. Eppure hanno origini molto lontane e affondano nella storia di ogni regione o città di provenienza ovvero dei personaggi stilizzati che rappresentano tratti caratteriali, vizi e virtù del genere umano. C’era il cavaliere, il guascone, la serva, la damigella e così via. Tutti a darsi il cambio in spettacoli che, spesso e volentieri, avvenivano proprio per le strade. Il più noto resta di sicuro Arlecchino. È il più colorato e sembra derivare dallo Zanni bergamasco, dal quale ha ereditato l’infernale maschera nera, un personaggio già noto nell’antica Roma prima che nella Commedia dell’Arte. Ma non tutti sanno che il
suo abito, in origine, era tutto bianco, e che i riquadri colorati non erano altro che toppe che lui, per l’estrema povertà, aggiungeva di volta in volta al capo. Servo, infedele al padrone, è il re delle burle e degli imbrogli. Agile nel movimento e con la lingua lunga, spesso usa il dialetto. All’altro capo della Penisola c’è invece un personaggio ritenuto storicamente suo antagonista - chi non li ha mai visti rivali nel teatro dei burattini?! -: il celebre Pulcinella (noto anche come Policinella o Pollicinella). Questo personaggio nasce nel ’600 a Napoli. Nel teatro delle marionette è il servo di Mangiafuoco a cui però si ribella. Risalendo, a Roma troviamo il celebre Rugantino, noto anche al di là della tradizione del Carnevale. È un picaro e il suo nome viene da “ruganza” che sta per “arroganza”. Ma come ogni picaro, in fondo ambisce a un riscatto. Con lui, tra i personaggi del Carnevale romano, c’è sicuramente Meo Patacca, una figura curiosa di popolano, abile con le armi, senza un quattrino, che vive a Trastevere (storico quartiere di Roma): un attaccabrighe. Su a Bologna c’è invece Balanzone: superbo, prolisso, brontolone. Millanta una cultura che però poi rivela non possedere: imbottisce i suoi discorsi di citazioni latine che intercala col dialetto bolognese. Il Dottor Balanzone è di certo una delle più note tra le maschere tradizionali. Come pure Gianduja, collega del Piemonte, legato al territorio dell’astigiano. Il nome sembra venire da Gioann dla doja - Giovanni dal boccale -, anche se “doja” sarebbe piuttosto il recipiente per il vino. Anche la Lombardia è ricca di queste figure che, spesso, non sono altro che forme allegoriche della vita e degli atteggiamenti umani. A Bergamo ce ne sono almeno un paio. La più nota - di cui abbiamo già detto - è senza dubbio Arlecchino. Poi, arriva Brighella. Un altro attaccabrighe, alla stregua degli altri smargiassi sparsi per tutta la Penisola, ma davvero pronto a tutto pur di ottenere ciò che vuole, disposto a sfidare la sorte, è sempre convinto di farla franca. Canta e balla, anche lui è figlio della Commedia dell’Arte. Ma come non citare Meneghino, naturalmente lombardo. Ha la particolarità di non indossare mai la maschera e di entrare in scena a volto scoperto. È saggio e si prende gioco della ricchezza e dei potenti. L’invenzione di questo personaggio, una sorta di archetipo, viene fatta risalire addirittura a Plauto. La bella, invece, è lei: Colombina! La veneziana, fidanzata di Arlecchino ma nelle mire di Pantalone che, invece, la vorrebbe per sé. È la servetta furba, audace, seducente. Non resta allora che ricordare Pantalone. Lui, veneziano, ricco e spilorcio. Fa il mercante e dal suo carattere deriva l’espressione “Paga Pantalone”. Non a caso, viene rappresentato sempre con addosso una sacca piena di monete. Tra le più tradizionali ci sono poi Capitan Fracassa (detto anche Capitan Spaventa): ligure, soldato, spaccone, fifone, anzi proprio codardo. Deriso, prende spesso un sacco di botte. Di figure curiose e legate al culto della terra, ce ne sono molte disseminate da un capo all’altro del Paese. Un esempio? I Mamuthones. Vengono dalla Sardegna e, loro sì, sono davvero spaventosi. Hanno maschere in legno nero, la schiena ricoperta di pelli di pecora e rumorosissimi campanacci. Peggio ancora in termini di spavento, gli Ainu Orriadore, interamente rivestiti con pelli di pecora e maschere fatte addirittura di ossa. Decisamente più su, in Trentino Alto Adige, ci sono invece gli Schnappviechern. Un nome pressoché impronunciabile ma di sicuro effetto, con una bocca enorme che aprendosi e chiudendosi produce un grosso frastuono.
«Le maschere tradizionali erano la leva usata dagli attori per interpretare personaggi che rappresentavano tratti caratteriali, vizi e virtù del genere umano»