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L’anno che verrà Sadìa Maccari

L’ANNO NUOVO, UNA SFIDA DA AFFRONTARE COL SORRISO

di Sadìa Maccari

Il nuovo anno è un campanello. Trilla a indicarci che qualcosa è cambiato. Spesso, in maniera impercettibile; talvolta, no. Di certo segna un passaggio, un momento di transizione che ciascuno di noi affronta in maniera diversa: chi quasi come fosse una routine, chi come un traguardo, chi, ancora, carico di aspettative; altri, senza battere ciglio. Eppure, questo nuovo anno, si è aperto senza un fardello che ci ha accompagnati almeno pesantemente per due: quello della pandemia da Covid. È da qui che siamo partiti con la professoressa Susanna Pallini, psicologo clinico specialista in Psicoterapia cognitivo comportamentale nonché professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo all’Università degli Studi Roma Tre. «Chiaramente abbiamo avuto una serie di contingenze, tra cui Covid, guerra e difficoltà occupazionali, che hanno delineato uno scenario di incertezza che ha reso difficile prefigurarsi il futuro e quindi c’è una tendenza molto spiccata a vivere il presente», ci ha detto. Un segnale ambivalente che non può di certo essere ignorato. Al netto delle migliori prospettive, infatti, un’incognita c’è ed è proprio nelle parole della stessa professoressa. «Questo stare nel presente - ci dice ancora - cui le contingenze ci hanno portato, non ci ha messi nelle condizioni di saper sempre cogliere il presente e assaporarlo. È come se, anche una volta distanti dall’emergenza, tendessimo a continuare ad affrontare la vita solo nel quotidiano». In pratica, come se fossimo costantemente di fronte a una sfida, con un peso da sopportare e gestire ogni giorno. Una tara, dunque, su quest’anno appena cominciato ma che può invece trasformarsi in una utile premessa. La consapevolezza di ciò da cui tutti noi partiamo può, incredibilmente, aiutarci appunto a trasformare la salita in un lievissimo pendio. Essere consci del fatto che veniamo - tutti - da una periodo assai complicato può renderci più indulgenti verso noi stessi e aperti verso il prossimo. «A prescindere da quale età noi si abbia, occorrerebbe avere uno sguardo veggente e contemplante», ci dice ancora Pallini utilizzando una formula mutuata dalla filosofia. Il che vale a dire: «In questo nuovo anno - come in ogni anno nuovo che verrà - occorre conservare la disposizione ad avere uno sguardo capace di progettualità, di proiezione sul futuro: il cosiddetto sguardo veggente. Nello stesso tempo non va perso il cosiddetto sguardo contemplante, che è ciò che ci rende capaci di cogliere il positivo della vita. Nei Paesi occidentali, in cui la vita è qualitativamente migliore che in tanta parte del mondo, dovremmo

avere la capacità di individuare ciò di cui poter essere grati». Una promessa a noi stessi, prima di tutto, che - specie nelle prime pagine di questo nuovo diario delle buone intenzioni -, non possiamo non scrivere. Che si sia appunto giovani o meno. Tanto più che il transito ad un nuovo anno ci accomuna un po’ tutti. «Le aspettative di vita sempre più lunghe - afferma la docente - ci impongono di riconsiderare in maniera attenta il nostro rapporto con il tempo. Intanto - è bene precisarlo - anche nell’invecchiare qualcosa è cambiato», e ci spiega come la categoria di anziano sia ormai quasi una scatola vuota. «Ormai si parla di “anziani giovani” e “anziani anziani”. Fino a un po’ di tempo fa le fasi della vita descrivevano l’età anziana con la fase finale della stessa. Adesso, sia per l’aumento appunto della speranza di vita sia per l’allungamento dell’attività lavorativa, c’è una categoria di anziani giovani che in realtà conduce una vita caratterizzata da uno stile e da impegni molto più vicini al mondo giovanile. Poi ci sono i cosiddetti “anziani anziani” - una popolazione anziana che si avvia anche per i cento - le cui esistenze, come psicologo ma anche come persona appartenente al consesso umano, vorremmo fossero ancora e tanto dense di significato». Ci spiega infatti Pallini quanto dare significato alla propria esistenza porti beneficio agli anni che viviamo. «Se una persona percepisce che la propria vita non ha significato, sicuramente avrà una maggiore tendenza depressiva. La depressione è inversamente proporzionale al significato che noi diamo all’esistenza». Ecco perché, specie al debutto di un nuovo anno, occorre farci caso: cambiare, se necessario, prospettiva. «Sa l’aforisma che ci vuole un villaggio per crescere un bambino? - continua la docente di Roma Tre -. Ecco, io Uno sguardo al passato pieno di gratitudine e uno rivolto alle opportunità del futuro, sempre con la consapevolezza di essere fortunati: a tutte le età. Così dovremmo affrontare il 2023, un anno ancora tutto da costruire

credo che ci voglia anche un villaggio per potersi mettere in connessione con gli “anziani anziani”. Va riconosciuto - e c’è l’occasione di un nuovo anno - valore alla relazione con queste persone. È una scommessa educativa il cui beneficio non è solo a favore dei senior. Oggi i giovani si sentono sempre più inutili - non c’è lavoro per tutti - e allora è importante che colgano, invece, le necessità sociali che ci sono e una necessità sociale è quella degli anziani». Bisogno di spazi e riconoscimento, dunque, che invece che dividere possono avvicinare. L’anno nuovo è perciò un’opportunità per tutti e la gestione del cambiamento peculiare per ciascuno di noi. «Alle persone molto in là con gli anni, quelle che magari autolimitandosi sono rimaste chiuse nelle loro case il 31 andando a letto alle otto e mezzo di sera, mi sento di dire che occorre passare dalla condizione di attesa, di cristallizzazione della loro vita per rientrare in una modalità dinamica in cui valorizzare le relazioni interpersonali e rendersi conto che, anche in un’età molto avanzata, si può dare qualche cosa all’altro e si può ricevere qualche cosa dall’altro. Agli “anziani giovani” posso invece dire che non dobbiamo sempre stare a guardare a nuovi scenari, ma cercare di entrare in una fase in cui cominciare a godere delle conquiste che abbiamo fatto nel corso della nostra vita. Non correte troppo in avanti per scongiurare la paura della morte, ma fermiamoci per poter assaporare la vita». Alla fine della nostra conversazione comprendiamo - tanto più con la premessa di questo nuovo anno - quanto sia prezioso fermarsi e guardare il proprio passato e il proprio presente conservando però una speranza sul futuro. «C’è ancora molto che ci aspetta - conclude la professoressa Pallini. Auguro a tutti, specie ai senior, di riconquistarsi una dimensione temporale in cui, nella nostra consapevolezza, ci siano tutti e tre gli aspetti: il passato, il presente, il futuro”.

FUTURO

PASSATO

di Giada Valdannini

UN LABORATORIO TRA PASSATO, PIANTE E TRENI

A Roma c’è un luogo, gestito da un gruppo di over 50, che permette di fare un vero viaggio nella storia dei trasporti. Si passa dentro treni, scompartimenti, tra modellini e ricostruzioni. Con un orto “didattico” a disposizione delle scolaresche che visitano il Museo

L’ ingresso è a due passi dalla Piramide, dove il trenino collega Roma con Ostia, il suo quartiere sul mare. È qui che ha luogo un prezioso quanto raro esperimento in cui avviene la saldatura tra futuro e passato. Si tratta di un museo - il Polo Museale dei Trasporti Astral - dove gli over 50 si sono assunti un incarico di responsabilità: la trasmissione della memoria. «Il nostro compito come over 50, che abbiamo la memoria di com’erano questi treni - ci dice Caterina Isabella, presidente del Comitato in difesa del Polo Museale dei Trasporti -, è quello di trasmettere questa memoria ai più giovani». E come ci spiega lei, la storia di questa posto è una storia quasi ventennale che, complice la pandemia, ha rischiato di scomparire. «Questo polo - ricorda - è na-

to nel 2004, in occasione della Notte Bianca. All’interno ci sono tutte vetture che sono state recuperate nei depositi di Atac. Si tratta di mezzi che erano in stato di abbandono, destinati all’oblio. Nel 2004 furono restaurati e trasportati nottetempo in questa sede che si è trasformata in una piazza non solo per il territorio ma per l’intera città. Un luogo di incontro gratuito per tutti i cittadini. Solo che - aggiunge - con la pandemia, il posto è stato ingiustificatamente chiuso e così è nato un Comitato di venti associazioni, che qui realizzavano laboratori con le scuole, che ne chiedeva la riapertura». Un comitato composto integralmente da volontari over 50 che, negli anni, hanno portato avanti - con i bambini delle scuole - corsi di pittura, modellismo e orto urbano. E qui, l’altra particolarità. Anche lo stesso orto bio, che si trova all’interno del polo, è gestito da persone in là con gli anni. A farci strada tra piantine di spezie è infatti Antonio Mergiotti, presidente del Centro anziani Ostiense, che ci mostra con orgoglio tutto ciò che ha piantato. «Questo è un orto che potrebbe definirsi didattico perché qui, ogni anno, vengono tanti bambini delle scuole romane che arrivano per visitare il polo museale e rimangono affascinati dall’orto nel quale li faccio anche seminare, raccogliere e piantumare». Un lavoro di squadra, dunque, che è potuto ripartire «grazie alla sensibilità della nuova azienda che gestisce questo posto - Astral Spa - che ha deciso per la riapertura», aggiunge Caterina. Il 14 ottobre scorso, infatti, il polo ha riaperto i battenti e al suo interno si è riversata buona parte della città. «Alcuni di noi - continua la presidente del Comitato - questi mezzi se li ricordano bene. La nostra idea è quella di far ridiventare questo posto un luogo comunitario perché la storia del trasporto è la storia della città che racconta anche come talune tratte siano state dismesse per effetto del cambiamento: laddove i cittadini avevano ormai auto o si spostavano col bus, il trasporto su ferro è stato abbandonato per fare spazio al trasporto gommato». È così che, grazie a lei, ci immergiamo in un autentico viaggio nel tempo - lo stesso che le scolaresche fanno con i loro insegnanti. «Oltre al laboratorio di orto urbano che viene fatto dagli anziani che parlano con

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le generazioni, noi proponiamo anche un laboratorio di modellismo perché in pochi sanno che, negli anni Cinquanta e fino ai Settanta, il modellismo era una pratica familiare, un modo per i genitori di giocare coi loro figli. E che entusiasmo quando i bambini vedono il nostro plastico!». Si tratta di una grossa riproduzione che occupa addirittura un’intera stanza, costruita negli anni Cinquanta dall’ingegner Urbinati che, all’epoca, era direttore di Atac, l’azienda pubblica del trasporto romano. Non una ricostruzione a caso - apprendiamo da Caterina - ma la rappresentazione della Stazione di Osilo, in Sardegna, dove, accanto al tracciato della strada ferrata, c’era addirittura una centrale idroelettrica: una novità assoluta in questo plastico donato da Urbinati ad Atac. Ma non è tutto. «L’altra curiosità è che ogni singolo elemento è costruito con materiale riciclato, a partire dai tetti realizzati col cartone dei biscotti, eccetto binari e trenini che, invece, erano prodotti dalla ditta Rivarossi». Ecco perché Caterina e gli altri volontari lo curano con grande attenzione: è un pezzo unico. In più - come è evidente - racconta di temi ancora adesso estremamente attuali come fonti rinnovabili, energia e riuso. Ma il bello arriva anche mentre attraversiamo locomotive e scompartimenti. «Questa - spiega Caterina davanti a una vettura davvero affascinante - è chiamata La Prima Donna. Si trattava di un treno molto amato da tutti i romani perché bellissimo: fungeva da collegamento con Cinecittà. Fu al centro di una pellicola storica come Bellissima di Luchino

«Il nostro compito come over 50 - che abbiamo ricordo di come erano questi treni - è quello di trasmettere questa memoria ai più giovani»

Visconti, con protagonista Anna Magnani. Era molto frequentato, ma sapete qual è la curiosità? I romani lo prendevano sì per andare a Cinecittà, ma mica per fare gli attori: Cinecittà era diventata la fabbrica di Roma dove erano richiesti molti mestieri: parrucchieri, sartine, idraulici, falegnami. Quindi era il treno che portava al lavoro moltissimi romani”.

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