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Una donna alla Reuters

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ALLA REUTERS, DOPO 170 ANNI UNA DONNA AL VERTICE

È la prima volta che accade in 170 anni di sto- Alessandra Galloni ha conseguitola la laurea ria: una donna a capo dell’agenzia di stampa in Economia ad Harvard, un master alla Loninternazionale più prestigiosa al mondo, la don School of Economics e parla quattro linReuters. Lei è Alessandra Galloni, 47 anni, ita- gue (inglese, francese, italiano e spagnolo). Ha liana, romana di nascita, no- iniziato la sua carriera giorna-

minata nuovo direttore + listica nella sede italiana della responsabile della Reuters ALESSANDRA GALLONI, Reuters, poi si trasferita al News. La Galloni sostituisce Steve J. Adler, che ha guidato ITALIANA, È LA PRIMA DONNA AD ESSERE STATA NOMINATA DIRETTORE RESPONSABILE Wall Street Journal, dove è rimasta per 13 anni; è tornata l’agenzia negli ultimi dieci DELLA PIÙ GRANDE AGENZIA all’agenzia di stampa britananni e ora si appresta ad andare in pensione. Ed è stato DI STAMPA AL MONDO di Rossana Martini nica nel 2015. Alla Reuters, che ha vinto 7 proprio Adler ad annunciare Pulitzer oltre a centinaia di su Twitter il passaggio di consegne alla Gal- altri premi, la Galloni coordinerà 200 sedi loni: «Entusiasta di passare il testimone ad un sparse in 100 Paesi del mondo, 2.450 giornabrillante direttore e ad una splendida collega». listi e news in 16 lingue.

LE INCHIESTE DI 50&PIÙ

CONSUMI E SCELTE SOSTENIBILI

FOCUS

di Anna Maria Melloni QUALI SONO LE OPINIONI DEI NOSTRI ASSOCIATI, E PIÙ IN GENERALE DEGLI ITALIANI, IN MATERIA DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE? Quali sono i valori che orientano le scelte di consumo e i comportamenti concreti nella vita di ogni giorno? Per dare risposta a questi interrogativi abbiamo svolto un’indagine, dalla quale è emerso che l’81% degli intervistati ha un’idea chiara di cosa significhi essere un consumatore che adotta comportamenti sostenibili. Significa compiere azioni molto concrete, come utilizzare lampadine a basso consumo e fare una corretta raccolta differenziata, ma anche ridurre gli sprechi e acquistare solo il necessario, privilegiando i prodotti a km zero e supportando così il mercato locale. Solo una minoranza ritiene che la sostenibilità passi dall’informazione sui prodotti che si acquistano e sulle aziende produttrici, o dal boicottare i prodotti di aziende che hanno comportamenti dannosi in ambito sociale e ambientale. Di certo il periodo pandemico sembra abbia dato un impulso positivo in tema di sostenibilità. Il 55% del campione dichiara infatti che l’emergenza sanitaria è stata l’occasione per riflettere sul tema e ha portato a prestare maggiore attenzione ai prodotti acquistati. In molti hanno anche scelto di prediligere l’acquisto di prodotti locali, per aiutare le imprese del territorio. Chi acquista prodotti sostenibili trae un vantaggio in termini emotivi, perché sente di aver fatto la “cosa giusta” (29,5%), di aver fatto qualcosa di buono per il mondo (25,8%) o per se stesso e per la propria famiglia (19,6%). Ma allora quali sono i principali ostacoli nell’adottare uno stile di vita sostenibile? Secondo gli intervistati, principalmente la mancanza di buona volontà delle persone, ma a seguire assume una grande rilevanza l’aspetto economico. Il 72,9% di essi dichiara infatti che lo stile di vita green è oneroso, per il 20% addirittura molto oneroso. L’attenzione all’ambiente non può essere appannaggio dei privilegiati, è evidente che l’accesso a prodotti e servizi sostenibili deve essere allargato alla più vasta platea. Questo sia per una questione etica, sia per poter garantire un concreto impatto a beneficio dell’ambiente. Il richiamo è quindi, in primis, alle azienda produttrici, ma anche ai singoli, perché attraverso un’attenta opera di informazione sappiano intercettare via via sempre più efficacemente tutte le opportunità che oggi stanno nascendo per tutelare l’ambiente in termini prospettici, mettendo al centro la qualità della vita delle generazioni future.

Comportamenti e stili di vita in una prospettiva di salvaguardia per le future generazioni sono il tema della nostra indagine

sostenibilità

50&Più ha condotto una ricerca su comportamenti e consumi consolidati, in un’ottica di economia compatibile con salvaguardia dell’ambiente e future generazioni. Ecco quanto è emerso

STILI DI VITA GREEN: LE ABITUDINI DEGLI ITALIANI di Linda Russo Centro Studi 50&Più

COME SAREBBE UN MONDO IN CUI IL CONSUMO E LA PRODUZIONE DI BENI SEGUONO LOGICHE RESPONSABILI? Un mondo dove tutti possono utilizzare acqua pulita e potabile e dove gli esseri viventi vengono tutelati e salvaguardati? Un’utopia, diranno gli scettici. Eppure, l’ONU sogna in grande e progetta un pianeta dove a questi obiettivi si aggiungono anche un maggior utilizzo di energia pulita, una continua lotta al cambiamento climatico e la costruzione di città e comunità sostenibili in tutti i 193 Paesi che ne fanno parte. È scritto tutto nero su bianco nel documento Trasformare il nostro mondo. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile o, più comunemente, l’Agenda 2030. Diciassette obiettivi che riconoscono lo stretto legame tra il benessere umano e la salute dei sistemi naturali, per cui si lavorerà fino alla fine di questa decade. Il progetto, insomma, è ambizioso e riguarda tutti. Tanto che ognuno di noi può fare la propria parte partendo dalla quotidianità. Ma come se la cavano gli italiani e i soci di 50&Più quando si tratta di consumo sostenibile? Abbiamo cercato di scoprirlo, con l’aiuto di Format Research, conducendo un’indagine in merito all’ultimo anno su 1.854 persone, di cui 578 associati, provenienti da tutta Italia. Ci siamo domandati, infatti, se su questo tema si notano differenze tra le varie aree geografiche del Paese, ma anche tra le diverse fasce d’età e persino tra uomini e donne.

IL CONCETTO DI “CONSUMO SOSTENIBILE” Le prime risposte positive sono arrivate già al primo quesito. Quando abbiamo chiesto agli intervistati se sapessero cosa significa adottare comportamenti sostenibili, il concetto è sembrato chiaro alla maggioranza, con uno scarto positivo degli associati 50&Più. L’88,4% di loro, infatti, ha dichiarato di sapere come si comporta un consumatore attento alla sostenibilità, contro l’81% del campione totale. Tra i comportamenti più riportati da entrambi i gruppi ci sono la scelta di utilizzare lampadine a basso consumo o fare una corretta raccolta differenziata, ridurre gli sprechi acquistando solo il necessario, privilegiare i prodotti a km zero o di supporto al mercato locale, acquistare prodotti ecologici o sostenibili, prediligere mezzi di trasporto meno inquinanti e riparare gli oggetti fino a quando è possibile, piuttosto che acquistarne subito di nuovi. Una serie di azioni che sembrano attuate più spesso dalle donne tra i 65 e gli 85 anni residenti nelle regioni a Nord-Est. A sorpresa, però, coloro che tendono a riparare gli oggetti usurati prima di rimpiazzarli sono i giovani tra i 18 e i 34 anni. La stessa fascia di popolazione che risulta più attenta quando si tratta dell’acquisto di prodotti ecologici e sostenibili insieme a quella dai 35 ai 64 anni. Sono i senior, tuttavia, ad affermare maggiormente che chi adotta comportamenti sostenibili può definirsi un consumatore che “fa la cosa giusta”. Un’idea condivisa dal 36% dei soci 50&Più, mentre il campione totale afferma che chi agisce nel rispetto di un consumo sostenibile è una persona che adotta comportamenti responsabili e di civiltà (26%) e, per il 19,2%, fa qualcosa di buono per il pianeta (figura 1).

Figura 1 Il sentiment sui comportamenti sostenibili

L’81% dei consumatori ha dichiarato di conoscere cosa significhi essere un “consumatore che adotta comportamenti sostenibili”. La quota sale all’88,4% tra gli associati 50&Più.

Figura 2 L’acquisto di prodotti sostenibili (non alimentari)

Nel 2020, oltre il 68% dei consumatori italiani ha avuto modo di acquistare prodotti ecologici o comunque sostenibili (non alimentari).

A suo avviso, un consumatore che adotta “comportamenti sostenibili” è un consumatore che...?

Adotta un comportamento responsabile e di civiltà Fa qualcosa di buono per il pianeta

Fa la cosa giusta Fa una cosa intelligente Si può permettere di adottare comportamenti giusti, ma che costano (non tutti possono permetterselo) Fa delle scelte come se ne possono adottare tante altre, non sono più o meno valide rispetto a tante altre, ognuno fa ciò che vuole Adotta comportamenti alla moda che migliorano la propria immagine di fronte agli altri È solo un idealista Non conosco il concetto di comportamento sostenibile, di consumatore sostenibile o di sostenibilità, non posso esprimere un giudizio in merito

Totale Associati 50&Più

Conoscono il concetto di comportamento sostenibile:

81 % 88,4 %

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research

Nel corso del 2020, e nei primi mesi del 2021, ha acquistato prodotti non alimentari ecologici o sostenibili?

68,3% 31,7%

«Si, spesso o qualche volta» 45,2

«Si, raramente o mai»

23,1

16,6 15,1

Valori percentuali

Si, spesso Si, qualche volta Si, raramente No, mai

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research LE ABITUDINI

Gli acquisti non alimentari

Quando si passa dalla teoria alla pratica, però, gli italiani si applicano - sfortunatamente un po’ meno. Nel 2020, infatti, il 68,3% ha avuto modo di acquistare prodotti non alimentari ecologici o sostenibili. Tra i maggiori consumatori green vediamo i giovani tra i 18 e i 34 anni residenti soprattutto nelle regioni del NordEst e del Centro. Al lato opposto si piazza il 15,1% del campione totale, che ha dichiarato di non aver mai acquistato prodotti ecosostenibili non alimentari (figura 2). I motivi di questa scelta dipendono dall’elevato costo della merce, seguito dalla mancanza di tempo per andare alla ricerca dei giusti prodotti, dalla difficoltà nel distinguere i prodotti sostenibili e nel reperirli.

La spesa alimentare

I risultati dell’indagine si fanno più positivi, però, quando si parla di cibo. La frequenza di acquisto di prodotti alimentari sostenibili, infatti, si attesta intorno al 77%. A comprare spesso questi prodotti sono le donne, gli over 65 e i residenti al Sud e nelle Isole. Anche in questo caso, l’elevato costo della merce, la difficoltà nel distinguere e reperire i prodotti alimentari sostenibili e la mancanza di tempo scoraggiano l’8,4% della popolazione (figura 3). Che si tratti di alimenti o di prodotti per l’igiene e per la casa, comunque, chi decide di acquistare lo fa soprattutto tramite la grande distribu- »

Non hanno acquistato prodotti non alimentari ecologici o sostenibili

8,4

No, mai Quali sono state le motivazioni?

I prodotti sostenibili sono molto costosi, non posso permettermi di acquistarli Ho difficoltà a reperire prodotti sostenibili nei luoghi di acquisto che frequento abitualmente Non riesco a distinguere i prodotti sostenibili da quelli non sostenibili

Non ho tempo per andare alla ricerca dei prodotti sostenibili Ritengo che i prodotti sostenibili siano di qualità

inferiore

1,8

Altro

Valori Percentuali 35,2

22

21

17,9

12

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research

Per raccogliere informazioni sulla sostenibilità di un prodotto, lei a cosa si affida prevalentemente?

All’etichetta

72,5 Alle informazioni che si trovano su internet e sui blog

23,8 Ai canali di informazione presenti sul sito dell’azienda

15,8

Cercano informazioni

97,7%

All’opinione di amici e conoscenti preparati sull’argomento

13,6 Alle informazioni dei commessi e dei dettaglianti

12,3 Alla pubblicità televisiva, radiofonica e cartellonistica

10,4

Altro

0,7

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research

zione organizzata (GDO), seguita da negozi specializzati, mercati e bancarelle. I supermercati e la GDO, in particolare, sono i luoghi prediletti dagli over 65che, al contempo, utilizzano le piattaforme di e-commerce o i siti internet dei produttori molto meno del campione totale. Sembra che il digital divide, in questo senso, colpisca ancora visto che i consumatori virtuali più assidui sono i giovani tra i 18 e i 34 anni. Nonostante questo, però, chi decide di acquistare green vuole farlo in modo consapevole. Circa il 97% dei consumatori ecologici ricerca informazioni sulla merce che intende acquistare e in 7 casi su 10 presta attenzione quasi esclusivamente all’etichetta (figura 4).

I COMPORTAMENTI Analizzando la spesa sostenibile in base alla tipologia di prodotto, si può anche notare come gli alimenti biologici o ecologici siano al primo posto nell’interesse degli italiani. Il 15,8% del campione totale e il 21% degli associati, infatti, hanno comprato oltre il 50% di prodotti alimentari green. Meno attenti all’acquisto di detersivi e prodotti per la pulizia della casa, dove circa il 12% di entrambi i gruppi ha superato il 50%. Un risultato che scende intorno al 9% se si tratta di cosmetici e igiene personale, e tocca il 3% nel campo dell’abbigliamento (figura 5). Eppure, il sentiment legato al commercio sostenibile ed ecologico è piuttosto positivo. Confermando l’idea iniziale in merito al consumatore provetto, infatti, chi acquista questa merce sente di aver fatto la “cosa giusta” o qualcosa di buono per il mondo. Un entusiasmo che si rileva maggiormente nei soci 50&Più residenti al Sud e nelle Isole. In ogni ambito della vita quotidiana, poi, ogni gruppo adotta le proprie strategie. Per la spesa alimentare, anche se in percentuali diverse, gli intervistati dei due gruppi dichiarano di portare una busta della spesa riutilizzabile e di scegliere prodotti di stagione e del territorio (figura 6). Gli associati, però, affermano anche di tenere d’occhio le date di scadenza evitando inutili sprechi. Per la gestione dei rifiuti, invece, il campione totale effettua al meglio la raccolta differenziata,

Figura 3 Il mancato acquisto di prodotti sostenibili (alimentari)

Il costo elevato, la difficoltà di reperire i prodotti sostenibili e la scarsa capacità di identificare i prodotti green rappresentano le motivazioni prevalenti per i mancati acquisti.

Figura 4 I canali informativi

Sette consumatori su dieci, tra coloro che acquistano sostenibile, prestano attenzione quasi esclusivamente all’etichetta. Il 23,8% degli italiani è interessato anche ai dati che raccoglie sul web.

Figura 5

Gli acquisti dei prodotti sostenibili in un anno superiori al 50%

I prodotti sostenibili acquistati in quantità superiore al 50% in un anno

15,8% 21%

12% 12,8%

9,4% 9,3%

Totale Associati 50&Più

3.3% 3.6%

SPESA ALIMENTARE DETERSIVI PULIZIA PER LA CASA COSMESI IGIENE PERSONALE ABBIGLIAMENTO

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research

Figura 6 I comportamenti adottati per la spesa alimentare

L’uso di buste riutilizzabili, la scelta di prodotti di stagione e/o del territorio sembrano essere i comportamenti prevalenti facendo la spesa.

Pensando al concetto di sostenibilità più ad ampio raggio, quali comportamenti è solito adottare in tema di…? SPESA ALIMENTARE

Totale Associati 50&Più

Porto sempre con me la busta della spesa riutilizzabile Scelgo prodotti di stagione Scelgo prodotti del territorio Acquisto solo ciò di cui ho realmente necessità Tengo sempre d’occhio le scadenze dei prodotti Scelgo prodotti con imballaggi ridotti e riciclati Scelgo prodotti biologici (es. senza pesticidi) Compro soprattutto alla spina (pasta, detersivi, ecc.)

Nessuno di questi

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research

Figura 7 Le motivazioni di chi non effettua al meglio la raccolta

Tra coloro che non riescono ad effettuare al meglio la raccolta differenziata, i consumatori lamentano la mancanza di tempo e malfunzionamenti nei servizi.

Quali sono le motivazioni per le quali non riesce ad effettuarla al meglio?

RACCOLTA DIFFERENZIATA

19,2%

NON RIESCONO AD EFFETTUARE LA RACCOLTA DIFFERENZIATA AL MEGLIO

Per mancanza di tempo Il servizio non funziona al meglio Nel mio comune non si fa

Difficoltà organizzative non getta immondizia per strada e porta i rifiuti speciali nelle isole ecologiche. Un esempio seguito anche dagli associati che, in aggiunta, si impegnano a comprare sacchetti biodegradabili per l’umido e a non buttare oli (vegetali o minerali) nel lavandino o nel wc. Approfondendo il tema della raccolta differenziata, circa l’87,1% del totale ritiene che sia un’attività poco o per niente difficile. Tra quelli che, invece, non riescono ad effettuarla, viene evidenziata la mancanza di tempo e il malfunzionamento dei servizi. Il 36,2%, ad esempio, afferma di non avere abbastanza tempo e nel 23,6% dei casi sostiene anche che nel proprio comune non si faccia la raccolta (figura 7). Un dato che deve far riflettere visto che dal 2009 è stato previsto l’obbligo per tutti i Comuni di raccogliere in maniera differenziata almeno il 35% dei rifiuti, e una successiva normativa ha previsto il vincolo di raggiungere il 65% entro il 2012. In materia di mobilità, invece, i comportamenti adottati dal campione si traducono in una predilezione per gli spostamenti in bici o a piedi per brevi distanze (64,4%), il mantenimento di pneumatici gonfi e della parte meccanica dell’auto in piena efficienza (45,4%) e lo spegnimento del motore in caso di coda o ingorgo (35%). Un trend seguito dagli associati, anche se il 71% di essi si sposta molto più spesso a piedi o in bici (figura 8). Infine, guardando al risparmio energetico, il 76,6% dei rispondenti usa lampadine a »

basso consumo, il 70,5% spegne le luci quando esce dalla stanza e il 60,4% utilizza la lavatrice solo a pieno carico. Comportamenti attuati anche dai soci che, pure in questo caso, sembrano un po’ più ligi e dichiarano di utilizzare lampadine a basso consumo nell’84% dei casi.

LE RIFLESSIONI Ma se fare la raccolta differenziata, cercare prodotti ecologici o spostarsi a piedi ci costa tempo, la pandemia, che ci ha regalato innumerevoli momenti liberi, potrebbe averci aiutato? Secondo il 55% dei rispondenti, sì. Sono loro, infatti, a dichiarare che l’emergenza sanitaria è stata un’occasione per riflettere sul tema della sostenibilità e per prestare maggiore attenzione ai prodotti acquistati. Inoltre, il 60% dei consumatori totali ritiene che la pandemia li abbia portati a prediligere l’acquisto di prodotti locali, anche con l’intento di aiutare le imprese del territorio (figura 9).

I TREND FUTURI E se si pensa al prossimo futuro, quasi il 68% dei consumatori non ha dubbi: il tema dell’efficientamento energetico è prioritario. Le questioni primarie segnalate sono l’uso di veicoli elettrici per i trasporti, l’incentivazione della vendita di auto elettriche e il miglioramento dell’efficienza energetica di case ed edifici (figura 10). Un aspetto, quest’ultimo, condiviso soprattutto dalle donne under 65. Tra le categorie green del futuro in cui è importante ci siano più prodotti ecologici, infatti, svettano

Figura 8 I comportamenti adottati per la mobilità

Oltre il 64% dei consumatori ha dichiarato di preferire, per le distanze brevi, la camminata a piedi o l’utilizzo della bici. Il dato sale al 71% tra gli associati 50&Più.

Pensando al concetto di sostenibilità più ad ampio raggio, quali comportamenti è solito adottare in tema di…?

Totale Associati 50&Più

MOBILITÀ

Per le distanze brevi e/o medie

mi sposto a piedi o in bici

In auto, mantengo i pneumatici gonfi e la

parte meccanica in piena efficienza

In caso d’ingorgo o coda, spengo il motore

Utilizzo i mezzi pubblici di trasporto con assiduità

Utilizzo il servizio di car-sharing e promuovo il car-pooling con amici e colleghi

Nessuno di questi

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research

Figura 9 La sostenibilità ai tempi del Covid-19

Oltre il 60% dei consumatori ritiene che la pandemia lo abbia portato a prediligere l’acquisto di prodotti locali, magari per aiutare le imprese del territorio.

In che modo?

55,5% Si, la pandemia mi ha aiutato a riflettere sulla sostenibilità

LA PANDEMIA MI HA SPINTO A PENSARE CHE...

È importante acquistare prodotti

locali, anche per sostenere le imprese del territorio

Ogni singola persona

adottando comportamenti sostenibili può svolgere

un ruolo fondamentale È importante ridurre gli

sprechi (es. energetici o alimentari)

È importante prestare maggiore attenzione

all’ambiente che mi circonda

60,6

46,8

32,5

25

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research

Figura 10 La visione del futuro

Quasi il 68% dei consumatori ritiene che un tema prioritario da affrontare nel prossimo futuro sia quello dell’efficientamento energetico.

L’uscita dalla crisi sanitaria dovrà essere il momento per ripartire e investire nella sostenibilità. Quali tra le seguenti questioni sono, secondo Lei, più importanti da affrontare nel suo territoro nel prossimo futuro?

67,9%

Migliorare l’efficienza energetica di case e edifici

42,1%

Incentivare uso veicoli elettrici per i trasporti

32,1%

Incentivare la vendita di automobili elettriche

4,5%

Altro

i veicoli, seguiti dall’alimentazione, dai detersivi e i prodotti per la pulizia e l’edilizia. È evidente, come già anticipato, che chi sta adottando (o ha già adottato da tempo) dei comportamenti ecosostenibili sia appagato dalla propria scelta. Quasi il 65% dei consumatori ritiene che l’adozione di uno stile di vita sostenibile porti dei cambiamenti nella propria vita personale. Coloro che attuano comportamenti green, infatti, si aspettano miglioramenti nella qualità della vita, più garanzie per la salute, un maggiore entusiasmo e un rinnovato senso di appartenenza alla comunità (figura 11). E quali sono, allora, i motivi che possono ostacolare, oggi, i consumi o i comportamenti sostenibili? Secondo gli intervistati, sarebbero principalmente tre: mancanza di buona volontà da parte dei cittadini, mancanza di cultura e sensibilità sul tema e costi troppo elevati. Il prezzo dei prodotti ecologici e sostenibili, infatti, rappresenta una criticità e il 53,2% dei rispondenti ha dichiarato che il loro acquisto rappresenta un lusso. Una percentuale che scende al 43,6% tra gli associati (figura 12). Coloro che credono che questo stile di vita non sia affatto oneroso sono gli over 65, al contrario delle fasce più giovani che lo ritengono molto o abbastanza costoso. Un dato che va di pari passo con le ultime rilevazioni rilasciate da Istat in merito alla povertà assoluta del Paese, secondo cui l’unica classe di età che sembra mantenere una certa stabilità economica è proprio quella dei senior.

Figura 11 I cambiamenti legati ai comportamenti sostenibili

Circa il 65% dei consumatori ritiene che l’adozione di uno stile di vita sostenibile porti dei cambiamenti nella propria vita personale. Si aspetta dei risultati, o cambiamenti nella sua vita personale, per se stesso adottando uno stile di vita ecologicamente consapevole?

64,9 %

Si, adottando uno stile di vita consapevole,

mi aspetto dei cambiamenti nella mia vita personale

Fonte: Centro Studi 50&Più - Format Research

Figura 12 Lo stile di vita sostenibile contro la sostenibilità come lusso

Oltre il 53% dei rispondenti ha dichiarato che l’acquisto dei prodotti sostenibili rappresenta un lusso. La percentuale scende al 43,6% tra gli associati 50&Più.

Lei ritiene che l’acquisto di prodotti sostenibili rappresenti un lusso, un acquisto “costoso” rispetto all’acquisto di prodotti non sostenibili?

Coerentemente con quanto emerso, tra il 53,2% di coloro che ritengono che l’acquisto di prodotti sostenibili sia un lusso, il 26% ritiene che

adottare uno stile di vita sostenibile sia “molto

oneroso” a livello economico; il 74% ritiene che sia

“abbastanza oneroso”.

53,2 % Si, l’acquisto di prodotti sostenibili rappresenta un lusso

Coerentemente con quanto emerso, tra il 43,6% degli associati che ritengono che l’acquisto di prodotti sostenibili sia un lusso, il

26,2% ritiene che adottare uno stile di vita sostenibile sia

“molto oneroso” a livello economico; il 73,8% ritiene

che sia “abbastanza oneroso”.

43,6 % Si, l’acquisto di prodotti sostenibili rappresenta un lusso

greenwashing

ATTENZIONE ALLE FALSE

AZIENDE GREEN di Giovanna Favale

Il greenwashing è una pratica ingannevole che fa sembrare le aziende amiche dell’ambiente e della sostenibilità: in realtà si tratta di una strategia di marketing. Ecco come ci si tutela

È DAVVERO POSSIBILE DEDICARSI AD UNO SHOPPING CONSAPEVOLE? Fino a qualche anno fa non avremmo mai dato peso ad una simile domanda. E invece, al giorno d’oggi, i temi della sostenibilità e della tutela ambientale sono molto sentiti. Sempre più persone, infatti, decidono di fare acquisti informati, che rispettino l’ambiente preservandone le risorse. E anche i vari Stati, da parte loro, hanno iniziato ad imporre direttive a tutela della natura. E le industrie? Lungi dal rimanere impassibili dinanzi a questo cambiamento, anche loro hanno iniziato ad adattarsi a questa ondata “verde”. Sbagliato, però, fare di tutta l’erba un fascio. Sebbene, infatti, le aziende “green” oggi siano sempre più numerose, ve ne sono anche molte altre che hanno deciso di sfruttare il tema della sostenibilità soltanto a loro vantaggio. E lo fanno attraverso la pratica del greenwashing.

CHE COS’È Letteralmente questo esotismo deriva dalla combinazione di due parole inglesi: “green”, ovvero “verde” come simbolo dell’ecologismo, e “whitewashing”, cioè l’attività di nascondere fatti spiacevoli. Sta a indicare la tendenza di molte aziende di proclamare finti comportamenti “sostenibili” soltanto per attirare l’attenzione di quella fascia di consumatori attenti alle sorti del pianeta. È un’operazione di marketing, dunque, una pubblicità ingannevole mediante la quale le aziende cercano di ottenere un beneficio economico, del profitto, senza fare in realtà nulla di concreto nei confronti della tutela ambientale. Ecco quindi che si condiscono i propri prodotti in “salsa green”, spacciandosi come eco-friendly senza esserlo veramente. Investono tempo e denaro in pubblicità ed azioni di marketing, piuttosto che implementare realmente pratiche a basso impatto ambientale. Il risultato è doppiamente negativo: da una parte, questo tipo di pratica ostacola fortemente lo sviluppo di un’economia circolare e sostenibile e, allo stesso tempo, confonde tutti quei consumatori che stanno realmente cercando di costruirsi una coscienza ambientale, rimodulando le proprie scelte di vita quotidiana. Dinanzi a questo tipo di raggiri, infatti, il cliente si sente ingannato, e perde fiducia verso qualsiasi forma di comportamento sostenibile. Il rischio, quindi, è che si generi scetticismo nei confronti di qualsiasi messaggio di sostenibilità, anche quando è veritiero.

COME DIFENDERSI Riconoscere e combattere il greenwashing è possibile, a patto di usare le giuste strate-

gie. Anzitutto bisogna imparare a guardare l’azienda nel suo complesso, cercando informazioni rispetto alle sue politiche di business e sostenibilità ambientali. Attenzione anche a come esse vengono applicate a tutta la filiera produttiva. Le aziende che credono nella sostenibilità, quelle per cui la salvaguardia dell’ambiente è un vero valore, infatti, generalmente sono molto trasparenti. Viceversa, quelle che cercano di dare forzatamente una veste green ai propri prodotti, utilizzano molto bene le parole, ma ben poco i fatti. È bene ricordare, ad esempio, che è facile dichiarare un prodotto come “naturale al 98%”, soprattutto quando si tratta di cosmetici: la formulazione, infatti, non deve far altro che essere composta da acqua. Analogamente, anche il termine “biodegradabile” può generare confusione: ogni materiale, infatti, è biodegradabile, anche la plastica. Ciò che conta, piuttosto, è capire quanti e quali danni può provocare all’ambiente nel frattempo. È importante controllare le certificazioni ambientali e, in presenza di loghi, cercare le informazioni sui criteri di assegnazione.

I COLORI CONFONDONO Non bisogna poi cadere nella trappola dei colori e degli spot: diffidare di informazioni troppo vaghe, oppure troppo tecniche. Mai sottovalutare l’importanza del packaging: la scelta di colori come il verde, il marrone o il bianco, potrebbe subito indurci a pensare di trovarci davanti ad un prodotto che si prende cura dell’ambiente. Probabilmente, però, potrebbe trattarsi soltanto di una strategia di marketing. Cosa fare dunque? Verificare gli ingredienti, la storia dell’azienda e il suo reale impegno nel non aggravare il cambiamento climatico. In internet ci sono molti siti che si occupano di aiutare i consumatori a difendersi dal greenwashing, permettendo di conoscere, in tempo reale, l’impronta ecologica di molti prodotti.

GREEN CONSUMPTION PLEDGE È un’iniziativa lanciata dalla Commissione Europea il 25 gennaio scorso per dotare i consumatori dei mezzi per compiere scelte più sostenibili. Inserita all’interno del Patto europeo per il clima, il Green Consumption Pledge chiede alle aziende un impegno a favore di un consumo sostenibile, di pratiche commerciali e di marketing responsabile. Il progetto si incentra su prodotti non alimentari e ha cinque ambiti di impegno: calcolare l’impronta di carbonio dell’impresa e quella di determinati prodotti di punta della stessa. Inoltre, mira ad aumentare la quota dei prodotti o servizi sostenibili nelle vendite totali e ad assegnare una parte della spesa destinata alle relazioni pubbliche, alla promozione di pratiche sostenibili, in linea con l’attuazione del Green Dealeuropeo. Infine, l’impegno ad assicurare che tutte queste informazioni siano facilmente accessibili, precise e chiare, così che il consumatore possa visionarle. Devono essere sempre aggiornate e tenere traccia di eventuali riduzioni o aumenti dell’impronta ecosostenibile.

LA NORMA A tutela dell’ambiente

Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, in vigore dall’8 marzo 2017, nell’articolo 12, quello sulla “Tutela Ambientale”, frena il greenwashing e controlla i green claim, ovvero i messaggi pubblicitari che contengono rivendicazioni ambientali. La norma afferma, infatti, che «la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono».

food forest

Arriva dall’America, ma anche in Italia la realtà delle foreste commestibili è sempre più diffusa: l’idea alla base è salvaguardare l’ambiente e rendere il cibo un bene accessibile e libero. Anche in città FOOD FOREST, UN BOSCO DA MANGIARE di Winda Casula

UNA DELLE PRINCIPALI CAUSE DELLA DEFORESTAZIONE È L’AUMENTO DELLA SUPERFICIE DELLE TERRE COLTIVABILI. Secondo l’ultima edizione del Rapporto sullo Stato delle Foreste nel Mondo, prodotto dalla Fao e dall’Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, dal 1990 al 2020 sono andati perduti circa 420 milioni di ettari di foresta a causa della conversione di suolo per l’agricoltura o altri usi. Nonostante il disboscamento sia rallentato nell’ultimo decennio, è stato calcolato che ogni anno sono in media 10 milioni gli ettari di verde che scompaiono. Eppure, già da qualche anno si stanno sperimentando progetti in controtendenza, non solo per favorire la piantumazione delle aree urbane, ma anche per cercare di creare un modello di agricoltura alternativa che preveda porzioni di città da destinare alla crescita di piante e frutti. Alla base di queste foreste commestibili c’è l’idea che il cibo debba essere una risorsa per la comunità, e che si possa ottenere in modo naturale e senza un eccessivo intervento dell’uomo. La più grande food forest del mondo si trova a Seattle, nell’area di Beacon Hill, che gli dà il nome, e si estende su oltre ventimila metri quadrati dove crescono piante e ortaggi. L’idea è nata nel 2009 dopo una serie di incontri a tema che erano stati organizzati da Jenny Pell, esperta di permacultura, un sistema di progettazione del territorio in grado di integrare l’uomo con l’ambiente e i suoi elementi, cercando di soddisfarne i bisogni come cibo, fibre ed energia. L’inaugurazione della foresta è arrivata nel 2014, e oggi quello spazio è in grado di soddisfare il 5% del fabbisogno alimentare della popolazione di Seattle. Beacon Hill Food Forest prevede un’area dedicata agli alberi da frutto, con cespugli di bacche commestibili, vitigni e un altro spazio per gli ortaggi, ed è diventata anche un luogo di ritrovo con aree per bambini, per l’organizzazione di corsi e seminari e per consumare il proprio raccolto. A New York, la Food Forest Swale è galleggiante: realizzata all’interno di un’imbarcazione sul fiume Hudson, è stata ideata dall’artista-attivista Mary Mattingly per dimostrare come sia possibile coltivare piante e frutti commestibili in ambienti urbani, e come si possano rendere accessibili a tutti, anche in un luogo come Manhattan. Il fatto di aver piantumato una nave e non un terreno è una risposta provocatoria alla norma che a New York vieta la coltivazione e la raccolta in qualsiasi terreno pubblico, della quale si chiede la modifica, in tempi di consumo consapevole e attenzione ambientale. Dal 2016 ad oggi, Swale ha avuto oltre 200mila visitatori, 800 tour guidati, 75 incontri con le scuole. Attualmente è in fase di ristrutturazione, pronta a riaprire al pubblico nel 2022. Anche in Italia non mancano esempi virtuosi, da non confondere con i più diffusi orti urbani: perché l’idea di poter ricavare cibo da una foresta accoglie non solo una visione ecologista e di riscoperta della collettività, ma anche una concezione economica del cibo come bene libero e accessibile a tutti. I pionieri della sperimentazione sono stati i cittadini di Parma che, nel 2012, hanno realizzato la Picasso Food Forest, che oggi ospita 202 specie di piante diverse, oltre a 185 alberi e arbusti, su un terreno di 4.500 metri quadrati. La cura di questo spazio verde si basa su alcuni principi condivisi: nessun utilizzo di sostanze chimiche, valorizzazione delle erbe spontanee senza la lavorazione del terreno, utilizzo ridotto di strumenti

a motore, compostaggio in loco degli scarti, irrigazione minima e incremento della biodiversità animale e vegetale. Le piantumazioni sono state effettuate secondo i sette strati vegetativi che si possono identificare in un bosco: gli alberi alti oltre dieci metri, gli alberi più piccoli, gli arbusti, lo strato erbaceo, il sotterraneo, lo strisciante di copertura e lo strato rampicante. Questa impostazione permette di utilizzare al meglio lo spazio e soprattutto di beneficiare delle relazioni che le piante hanno tra loro. A Milano, invece, dopo la Food Forest dell’Ortica, zona est della città, nata nel 2015 da una discarica bonificata, l’associazione CasciNet ha lanciato un nuovo progetto per le aree agricole dell’area sud; mentre al Parco Nord è partita l’idea di uno spazio di 10mila metri quadri da piantumare ad arbusti e alberi da frutto, legno e medicinali, coinvolgendo anche i cittadini nella creazione - attraverso il sito Wownature -, che permette di scegliere un albero da piantare in cambio di una piccola donazione. A Partinico, in provincia di Palermo, il progetto Food forest ha sposato la lotta alla mafia, perché la prima area adibita a foresta commestibile sorge su un terreno confiscato negli anni Novanta al clan Madonia, e affidato alla cooperativa sociale NoE, No Emarginazione, che ora si è messa in rete con la cooperativa agricola Valdibella. La piantumazione prevista è di 1.500 tra alberi, arbusti ed erbe aromatiche. E la speranza è che altre realtà siciliane seguano questa strada, in una Regione a rischio desertificazione per il 70% del suo territorio. di Romina Vinci

In equilibrio

La creazione della Food forest si basa sull’idea di ricreare un sistema boschivo che si comporti come una foresta con i suoi livelli, e che richieda poca manutenzione da parte dell’uomo. Nelle food forestsi trovano alberi e piante commestibili nelle loro parti di fiori, radici, foglie e frutti, alberi utilizzabili per il legno o per altri scopi, cespugli e piante aromatiche, piante ed erbe spontanee, ortaggi di molte tipologie differenti, perenni o annuali, in grado di mantenere un equilibrio naturale ricco di biodiversità. I pionieri della tecnica della permacultura, ossia l’integrazione di discipline diverse per progettare in armonia con la natura, sono Bill Mollison e Masanobu Fukuoka, e i loro libri, Introduzione alla permacultura di Mollison e Reny Slay, e L’agricoltura del non fare di Fukuoka, sono fra i principali riferimenti per avvicinarsi alla coltivazione naturale. Un progetto ambizioso, lanciato nel 2007, prevede di piantare una striscia di 8mila chilometri di alberi, dal Senegal a Gibuti, per fermare la desertificazione. Bisogna risanare cento milioni di ettari di terreni degradati e generare dieci milioni di posti di lavoro nel settore dell’economia verde entro il 2030 LA GRANDE MURAGLIA AFRICANA

UNA MEGA CINTURA DI ALBERI CHE CINGE L’AFRICA NELLA REGIONE DEL SAHEL, UN POLMONE VERDE TRA IL DESERTO DEL SAHARA E LA SAVANA DEL SUDAN, CHE TAGLIA ORIZZONTALMENTE IL CONTINENTE. È la Grande muraglia verde africana, un colossale progetto di riforestazione e gestione sostenibile del suolo. È considerata la più importante opera naturale che l’uomo abbia mai costruito, e dovrebbe essere pronta nel 2030. Dovrebbe, appunto, il condizionale è quanto mai opportuno. Perché, »

ad oggi, questo faraonico progetto è stato realizzato solo in minima parte. Prevede un muro di alberi e di terreni dedicati all’agricoltura sostenibile, bacini e impianti energetici, un corridoio lungo 8mila chilometri e largo 15. È una risposta concreta alle minacce che desertificazione, cambiamento climatico e degrado dei suoli rappresentano, costantemente, per gli africani, mettendo a dura prova la vita di milioni di persone. La muraglia verde, infatti, mira a ripristinare 100 milioni di ettari di territorio arido e degradato, dal Senegal a Gibuti, frenando l’avanzata del deserto, e a catturare 250 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Sulla carta darebbe il via ad una nuova economia in grado di alimentare 10 milioni di posti di lavoro.

L’ORIGINE DEL PROGETTO L’idea di questa immensa foresta verde ha più di mezzo secolo di vita: venne lanciata nel 1952 dall’esploratore inglese Richard St. Barbe Baker, di ritorno da una spedizione nel deserto del Sahara. Nel corso della sua traversata, infatti, il biologo britannico aveva recepito i primi segnali che, da lì a qualche decennio, le terre al confine del deserto sarebbero state sopraffatte dalla sua avanzata. È per questo che lanciò un’idea folle per l’epoca: combatterela desertificazione costruendo un gigantesco muro verde che potesse dividere in due il deserto del Sahara. Ma non venne preso sul serio: il suo progetto era troppo vasto, troppo costoso, a dir poco impraticabile. Baker ci aveva visto giusto però, e fu un gran precursore: negli Anni ’70 il processo di desertificazione del Sahel fu sotto gli occhi di tutti, a causa della siccità che diede una forte accelerazione all’inaridimento di queste terre. Bisogna aspettare il ventunesimo secolo per vedere tornare in auge l’idea di Richard St. Barbe Baker. Nel 2002, infatti, il progetto della Grande muraglia verde venne presentato e discusso ufficialmente all’interno dell’Unione Africana. Venne adottato e partì ufficialmente nel 2007.

I PARTECIPANTI All’inizio sono stati undici i Paesi africani che hanno deciso di aderire a questo grande muro di alberi. Poi, nel corso del tempo, se ne sono aggiunti altri. Ad oggi sono 20 in tutto: Algeria, Burkina Faso, Benin, Camerun, Ciad, Capo Verde, Gambia, Gibuti, Egitto, Etiopia, Eritrea, Libia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan e Tunisia. A causa dei nuovi ingressi è stato modificato anche il corridoio iniziale, con l’aggiunta di zone fuori campo e un mosaico di iniziative a nord e sud di questa grande cintura.

GLI ALBERI PIANTATI Lungi dall’essere un progetto unitario, il polmone verde africano va avanti a rilento, con differenze e tempistiche diverse da paese a paese, e con numeri che segnano un forte ritardo rispetto alla tabella di marcia. Secondo il rapporto dell’UNCCD (la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione), nel settembre 2020 su 100 milioni di ettari previsti ne sono stati recuperati soltanto 4 milioni. L’opera ha finora generato 335mila posti di lavoro, rispetto ai 10 milioni di posti previsti quando tutto andrà a regime. Il Paese più “virtuoso” è l’Etiopia, che ha piantato 16,6 milioni di piante. Fanalino di coda è invece il Ciad, che non è andato oltre 1,1 milione di alberi piantati. Attualmente sembra utopia immaginare che questa grande opera possa essere realizzata entro il 2030, ma è uno sforzo che va fatto (e i grandi della Terra se ne sono finalmente accorti) per evitare che il Continente si arrenda alla desertificazione e ai cambiamenti climatici. La Grande muraglia africana sarà grande tre volte la barriera corallina e taglierà orizzontalmente l’Africa, dal Senegal a Gibuti. A quindici anni dall’avvio, e a meno di nove dal suo completamento, è stata però realizzata solo in minima parte

LE NOVITÀ

SUMMIT SULLA BIODIVERSITÀ Annunciati importanti investimenti

Novità sulla Grande muraglia africana sono arrivate durante il One Planet Summit for Biodiversity, la conferenza che si è tenuta a Parigi l’11 gennaio scorso, ed ha visto i grandi del mondo riuniti per stilare un bilancio su ciò che è stato fatto, nell’ultimo decennio, sul tema della biodiversità, e per fissare un’agenda post 2020. È proprio in questa occasione che è stato annunciato un “impegno rafforzato” per sostenere il progetto, a partire dalla Banca europea per gli investimenti, che ha promesso di mettere il piede sull’acceleratore. Negli anni, infatti, i finanziamenti annunciati dai donatori non sono stati rispettati. Nel 2015, al momento dell’accordo di Parigi sul clima, erano stati previsti 4 miliardi di dollari per il progetto. Sono stati pagati però soltanto 870 milioni, meno di un quarto della cifra. Si è temuto che ciò portasse ad un fallimento dell’iniziativa, ma a dissolvere tutti i dubbi ci ha pensato, con fermezza, il presidente francese Emmanuel Macron che, nel corso del summit, ha ribadito che «ci sono stati alti e bassi, ma il Grande muro verde fa parte delle soluzioni per fornire un futuro sostenibile alle popolazione del Sahel». Per questo sono stati promessi oltre 14,3 miliardi di dollari, in cinque anni, nel periodo 2021-2025.

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