2 minute read

Lettere al Direttore Giovanna Vecchiotti

L’ALTRA FACCIA DELLA MATERNITÀ

Troppo spesso si dà per scontato l’amore materno, ma i continui fatti di cronaca nera che vedono i bambini vittime delle proprie madri, ci deve far riflettere su cosa significhi oggi la maternità

Gentile Direttrice, le scrivo questa lettera in uno dei giorni di fuoco di questa estate bollente, con il termometro vicino ai 40 gradi. Sono stremata dal caldo e, devo confessarle, anche dalle terribili notizie che purtroppo stanno popolando le pagine di cronaca dei giornali. Mi riferisco a quei bambini a cui è stata tolta la vita dalle proprie madri, le stesse donne che li hanno messi al mondo e che ora si sono sentite in diritto di toglierli dal mondo. Io non capisco che cosa stia accadendo; le madri dovrebbero essere un porto sicuro per ogni bambino, le persone su cui fare affidamento, quelle che ti aiutano a crescere e da cui ti puoi rifugiare quando la società per te diventa tempesta. Invece siamo arrivati al punto che non ti puoi fidare neppure della tua stessa genitrice. Ma l’istinto materno che fine ha fatto? Antonietta Sotgiu

Bella domanda, signora Antonietta. Secondo alcuni scienziati, il cosiddetto istinto materno non esiste, per altri esso è iscritto nei geni, ma deve essere “attivato” da alcuni ormoni che si mettono in moto durante la gravidanza ed il parto. Questo, però, è soltanto il primo passo. Ciò che “rafforza” il legame madre-figlio è il rapporto stretto fra i due, fatto di contatti visivi e tattili - soprattutto nei primi mesi di vita del bambino -, contatti che alimentano in entrambi un amore dalla marcia in più. Ma ad “influenzare” quel legame è anche l’ambiente in cui vive la neo mamma, la cultura che incide sui suoi comportamenti, la sua storia personale. Perché non tutte le donne reagiscono allo stesso modo alla nascita di un figlio: molte vivono un senso di solitudine e di inadeguatezza, e si rendono conto che la vita perfetta della famiglia perfetta che hanno immaginato la si trova solo all’interno di uno spot pubblicitario. La realtà è fatta di fatica, di notti insonni e giornate intense. Un tempo, quando le famiglie erano allargate, le donne che davano alla luce un bambino erano sostenute dalle altre donne della comunità: madri, sorelle, tate quando le puerpere non erano in grado di allattare. Oggi, molte donne vivono la maternità esclusivamente sulle proprie spalle, con un compagno non sempre presente o disposto a condividere le incombenze della genitorialità, mentre la famiglia d’origine vive in un’altra casa, pronta solo a contatti fugaci. E sono proprio questi contatti fugaci ad impedire di rilevare i segnali lanciati dalle mamme in difficoltà. “Andava tutto bene”, “Era una famiglia normale”, “No, non ci siamo accorti di niente”, si ripete troppo spesso a tragedia avvenuta. Nessuno si accorge di nulla perché non siamo più abituati a prestare attenzione all’altro e, di contro, non siamo più abituati a chiedere aiuto. E allora che si fa? Per alcuni la soluzione è eliminare il problema alla radice, negarlo, cancellarlo. Ma un bambino non si può cancellare come fosse un errore di ortografia. Né si può continuare a girare la testa dall’altra parte quando ci si accorge che in una famiglia c’è qualcosa che non va. È nostro dovere di persone, di cittadini, di nonni.

PARLIAMONE...

Chi volesse scrivere a Giovanna Vecchiotti può farlo: per posta - C/O Redazione 50&Più Via del Melangolo, 26 - (RM) per fax - 066872597 per email - g.vecchiotti@50epiu.it

This article is from: