Identità, futuro, tradizione: Sacca Fisola 2.0_Th scr

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Indice

Abstract 17 Il fronte Nord: reinterpretando la rigidezza 18

La spina centrale: una promenade fra Nuovo e Antico

19

La piazza pubblica: un cuore pulsante

19

1 Premesse 24 1.1. L’attacco a terra 24 1.2. La sezione come generatrice di spazio

25

1.3. Rapporto col cielo 28 1.4. Principio costruttivo e principio insediativo

29

1.5. Il Nuovo come opportunità, l’Antico come risorsa

31

2

Sacca Fisola: frammenti di un passato

prossimo dimenticato 36 2.1. Introduzione 36 2.2. Il luogo: l’isola della Giudecca

37

2.3. Sacca Fisola: un’emergenza morfologica e tipologica

41

2.4. Sacca Fisola nella storia della Città

44

Genesi e primi sviluppi della Sacca

44

L’emergenza abitativa a Venezia 45

La fase moderna e il problema identitario

47

Sacca Fisola: le premesse e i criteri di pianificazione

48

Giuseppe Samonà: progettista o coordinatore?

49

Sacca Fisola: il progetto 49

Sacca Fisola: il lungo cantiere

50


Sacca Fisola: difficoltà e problematiche

Conclusioni 52

2.5. Problematiche e risorse: Venezia e Sacca Fisola

51

53

Analisi 53

Esigenze 56

Conclusioni e riflessioni

59

Allegati Tav. 01_Inquadramento 62

Tav. 02_Giudecca: il processo formativo

64

Tav. 03_Sacca Fisola: il processo formativo

66

Tav. 04_Emergenze e ipotesi 68 Tav. 05_Il quadro tipologico 70 Tav. 06_Le strategie 72 Tav. 07_Planivolumetrico: plastico 74 Tav. 08_Planivolumetrico 76 Tav. 09_Attacco a terra 78

3 La residenza contemporanea 82 3.1. La nuova condizione sociale 82

Una società sempre più anziana

82

Una società sempre più multietnica

83

Una famiglia sempre più nuova

84

Un mercato sempre più univoco

84

3.2. Flessibilità e modificazione continua

85


La modificazione continua come risposta

85

La flessibilità

86

3.3. Il sistema costruttivo 90

Tipologia “a secco” 90

Il sistema costruttivo REP 92

3.4. Il progetto 93

Premessa 93

Principio insediativo 95

Scelte distributive 95

Principio costruttivo 99

Scelte impiantistiche

101

Riferimenti progettuali 104 Allegati Tav. 10_La residenza contemporanea: il rapporto con lo Stucky 106

Tav. 11_La residenza contemporanea:

108

Tav. 12_La residenza contemporanea: plastico

110

Tav. 13_La residenza contemporanea:

flessibilità e tipologia

il fronte compatto 112

Tav. 14_La residenza contemporanea:

il principio costruttivo 114


4 La casa dello studente 118 4.1. L’alloggio temporaneo per studenti

118

Epoca di cambiamento 118

Un nuovo pensiero: temporaneità 118

Nuovi bisogni abitativi 119

La Casa per Studenti 120

4.2. Il progetto 122

Principio insediativo 122

Scelte distributive 123

Principio costruttivo 125

Scelte impiantistiche

128

Riferimenti progettuali 136 Allegati

Tav. 15_La casa dello studente

138

Tav. 16_Mensa e alloggi: il principio costruttivo

140

Tav. 17_Biblioteca: il principio costruttivo

142

5 La casa a patio 146 5.1. Abitare il recinto 146

Alle origini della spazialità 146

L’evoluzione del recinto 147

Introversione e dimensione psicologica

Il patio nella contemporaneità 148

Da archetipo a matrice urbana

148 149


Una corte-giardino 150

5.2. L’archetipo del patio a Venezia: la casa a corte

151

La “domus elementare” 152

La calle corte e le stratificazioni degli archetipi

Dalla corte al patio 154

La privatizzazione della corte 154

153

5.3. Il progetto 155

Premessa 155

Principio insediativo 156

Scelte distributive 158

Principio costruttivo 161

Scelte impiantistiche

162

Riferimenti progettuali 164 Allegati Tav. 18_La casa a patio: il blocco nord

6

166

Tav. 19_La casa a patio: plastico

168

Tav. 20_La casa a patio: il blocco sud

170

Rigenerazione urbana e conservazione

174

6.1. Nuovo e Antico: questione di identità

174

6.2. Il ruolo della storia 176 6.3. La tematica della stratificazione

177

6.4. Il significato della rigenerazione urbana nell’architettura contemporanea 177 6.5. Il progetto 180


L’approccio tipologico 180

Dualità dialoganti 181

L’approccio conservativo 185

Riferimenti progettuali 192 Allegati Tav. 21_Rigenerazione urbana e conservazione

194

Tav. 22_Rigenerazione urbana e conservazione:

nodi e dettagli 196 Bibliografia

199






Abstract

Architettura per comprendere il presente e proiettarlo al futuro, nel solco della tradizione. Il progetto di densificazione urbana previsto sull’isola di Sacca Fisola in Venezia interpreta da un lato le esigenze contemporanee di una società sempre più volta all’integrazione del tema della residenza con i nuovi modelli abitativi e familiari imposti dalla contemporaneità, dall’altro mette in campo nuove strategie tipologiche al fine di trasformare il manufatto in un elemento cardine fra gli elementi tipici della tradizione veneziana e la loro reinterpretazione in chiave contemporanea. In accordo con l’idea del “fronte compatto” che caratterizza non solo l’isola della Giudecca, ma tutto il contesto veneziano, l’impianto morfologico prevede l’estensione di una cortina urbana sul fronte prospiciente a Venezia con un’unica grande apertura che indirizza, come un grande cannocchiale, verso il cuore dell’isola composto dalla grande piazza pubblica, restituita alla città in una dimensione più consona al nuovo ruolo pubblico principale afferitogli, grazie all’inserimento di due edifici atti a completarne e ridefinirne il bordo, il limite. Il tema della residenza è stato affrontato secondo un approccio mirato all’ equilibrio fra le richieste spaziali ed economiche contemporanee, fattibilità costruttiva e ricchezza spaziale, ottenuta mediante l’utilizzo tipologico della corte veneziana, reinterpretata in chiave moderna sotto forma di patio. Tema cardine di tutta la densificazione è stata la sezione: elemento regolatore non solo dello spazio interno ma anche del rapporto dell’edificio stesso con l’esterno, in grado di arricchire e valorizzare anche spazi spesso dimenticati. Il rapporto fra Nuovo e Antico ha rappresentato il filo conduttore comune dell’intervento, in grado di assecondare talvolta elementi tipologici tradizionali ma anche entrare in sottile antitesi con essi, concretizzando la convinzione che il progresso e l’innovazione sono inevitabili, ma possono e devono essere controllati. Lo studio del sistema costruttivo e impiantistico si è basato su scelte strettamente connesse al tema dell’integrazione interdisciplinare: essi sono stati considerati parte integrante della progettazione fin dai primi schizzi, costantemente in interazione con le scelte architettoniche che influenzano e vengono necessariamente influenzate dalla tematica della costruzione. Il principio costruttivo viene quindi di volta in volta declinato alle esigenze architettoniche ma senza esserne totalmente subordinato: diviene quindi regolatore spaziale e di scelte. La costruzione come mezzo per tramutare il “progetto” in “architettura”. ABSTRACT

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L’idea di progetto si sviluppa quindi attorno ai 2 assi, costituenti, assieme a quello realizzato da Samonà che collega l’isola alla Giudecca, lo scheletro della stessa. Il fronte Nord: reinterpretando la rigidezza La cortina urbana prevista sul fronte Nord è stata pensata articolata in due sistemi, differenti sia per condizione che per funzionalità. Il primo ad Est, prettamente residenziale, e l’altro a ovest, adibito a studentaro, distinti ma dialoganti. Entrambi presentano quindi un sistema “testa-corpo centrale-coda”, con un edificio di apertura ed un edificio di chiusura con funzioni pubbliche. Il sistema Est si apre con l’edificio di testa che si confronta volumetricamente con lo Stucky e si chiude con la coda, che si rapporta volumetricamente all’esistente. Il corpo centrale del sistema Est riprende la rigidezza del fronte veneziano reinterpretandolo attraverso una serie di elementi verticali e seriali che scandiscono la facciata e che rappresentano anche i nuclei strutturali ed impiantistici, garantendo al contempo la permeabilità di visuale verso la laguna. Il sistema si basa quindi sull’alternanza del “pieno-vuoto” con il pieno che prende rilevanza e scandisce il vuoto. Il sistema poi, in corrispondenza della testa di apertura, si snoda e prosegue sul fronte prospiciente allo Stucky, sul Canale dei Lavraneri. L’edificio di testa diviene quindi, soprattutto nell’articolazione dell’attacco al suolo, un edifico-cerniera, uno snodo. Il fronte Est è pensato principalmente in relazione, sia volumetrica che formale, con l’edificio novecentesco di Cappai. L’altro sistema ad Ovest invece, funzionalmente differente e riservato alla categoria degli studenti, inizia con l’edificio della biblioteca: esso riprende volumetricamente l’altezza della testa precedente, presentandosi quindi come seconda “testa” di apertura, mentre la chiusura viene affidata ad un edificio terminale (sempre pubblico) che volumetricamente segna in altezza anche la chiusura dell’interno fronte, nonchè la fine dell’isola. L’edificio della biblioteca si scardina in pianta, presentandosi gerarchicamente come l’elemento più importante del fronte, dal quale poi si dirama l’asse principale di accesso alla piazza. Il corpo centrale del secondo sistema è stato composto tenendo conto degli stessi moduli del primo corpo al fine di renderli dialoganti, ma è stata invertita la gerarchia fra pieni e vuoti: ora è il vuoto che predomina. Questa scelta deriva dalla volontà di far rendere dialoganti i fronti, ma non di renderli 18

ABSTRACT

Vista del fronte Nord dal Canale della Giudecca, verso la fermata di Santa Marta Vista del fronte Nord dalla fondamenta delle Zattere


identici: la rigidità e la durezza del fronte diviene quindi via via decrescente man mano che l’isola si allontana dalla Giudecca e da Venezia. Per quanto riguarda il linguaggio, si è cercato di mantenerlo, per coerenza con quanto detto, il più pulito e rigido possibile, con aperture generate da grandi tagli precisi e netti della sagoma volumetrica, ad eccezione della biblioteca, che come detto è l’edificio che ha la licenza di sradicarsi e costituire l’eccezione anche dal punto di vista formale. La spina centrale: una promenade fra Nuovo e Antico Dall’edificio della biblioteca, la vista e i percorsi si incanalano lungo la spina centrale, Calle Figher. Essa, diretta verso la piazza, presenta un linguaggio diverso in quanto non si rapporta più con il fronte della Giudecca che necessita di rigidità. Si è deciso pertanto di adottare un linguaggio più libero che potesse rispecchiare le esigenze di illuminazione e ariosità dell’alloggio (anche in linea con l’idea prospettica degli edifici esistenti...). La funzione è prettamente residenziale con abitazioni a patio a 2 piani sostenute da strutture portanti in muratura e travi in calcestruzzo armato. Al piede degli edifici è prevista una massiccia introduzione di botteghe e negozi artigianali, al fine di reintrodurre questo elemento della tradizione in un contesto, almeno in parte, straniante, e al contempo implementare le dotazioni dei servizi. Calle Figher diviene quindi una sorta di promenade in cui nuovo e antico vengono a contatto e si stratificano, portando al cuore dell’isola rappresentato dalla piazza. Il rapporto si manifesta in modo chiaro ed esaustivo nel punto di incrocio fra l’asse principale e quello trasversale previsto da Samonà: qui l’edificio esistente viene a contatto con il nuovo e viene rifunzionalizzato al fine di essere restituito ai cittadini.

Vista dall’imbocco di Calle Figher Vista della piazza centrale

La piazza pubblica: un cuore pulsante La piazza, ad oggi dimensionalmente sproporzionata, torna ad assumere carattere di fulcro urbano, di luogo della socialità in cui, attraverso lo studio dell’attacco al suolo, è in grado di accogliere le funzioni necessarie alla città. Essa diviene quindi il cuore pulsante del progetto nonché luogo nel quale si innestano e confluiscono tutti i percorsi: la spina centrale di nuova realizzazione e l’asse trasversale esistente. Quest’ ultimo, che connette l’isola direttamente con la Giudecca, viene riconnesso, su entrambe le sponde, tramite il disegno di pavimentazione, al nuovo sistema. ABSTRACT

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Inoltre, sull’altra sponda, viene riqualificato tramite l’inserimento di elementi vegetali e sedute. L’attività principale, il mercato cittadino, viene intensificato grazie alla predisposizione dell’apposito spazio al di sotto dell’edificio in piazza. Questo cambio di ruolo dell’attività del mercato, che ora si carica anche di significati più profondi e importanti, vista la quantità di persone insediate, comporta anche la scelta di spostare l’attracco delle merci dal fronte nord a quello ovest, defilato quindi non intralciante i percorsi di navigazione e configurandosi come quarto e ultimo polo che, assieme all’esistente ponte dei Lavraneri, alla Biblioteca e all’edificio-cerniera a nord, definiscono la strategia insediativa complessiva.

1 2

3

Concept di progetto: 1 - assialità esistenti da preservare 2 - fronte compatto 3 - permeabilità Nella pagina a fianco, ortofoto di Sacca Fisola 20

ABSTRACT



Architettura per comprendere il presente e proiettarlo al futuro, nel solco della tradizione. Il progetto di densificazione urbana prevista sull’Isola di Sacca Fisola in Venezia interpreta da un lato le esigenze contemporanee di una società sempre più volta all’integrazione del tema della residenza con i nuovi modelli abitativi e familiari imposti dalla contemporaneità, dall’altro mette in campo nuove strategie tipologiche al fine di trasformare il manufatto in un elemento cardine fra gli elementi tipici della tradizione veneziana e la loro reinterpretazione in chiave contemporanea. In accordo con l’idea del “fronte compatto” che caratterizza non solo l’Isola della Giudecca, ma tutto il contesto Veneziano, l’impianto morfologico prevede l’estensione di una cortina urbana sul fronte prospiciente a Venezia con un’unica grande apertura che indirizza, come un grande cannocchiale, verso il cuore dell’isola composto dalla grande piazza pubblica, restituita alla città in una dimensione più consona al nuovo ruolo pubblico principale afferitogli, grazie all’inserimento di due edifici atti a completarne e ridefinir ne il bordo, il limite. Il tema della residenza è stato affrontato secondo un approccio mirato all’ equilibrio fra le richieste spaziali ed economiche contemporanee, fattibilità costruttiva e ricchezza spaziale, ottenuta mediante l’utilizzo tipologico del “campo” veneziano, reinterpretato in chiave moderna sotto forma di patio. Tema cardine di tutta la densificazione è stata la sezione: elemento regolatore non solo dello spazio interno ma anche del rapporto dell’edificio stesso con l’esterno, in grado di arricchire e valorizzare anche spazi spesso dimenticati. Il rapporto fra Nuovo e Antico ha rappresentato il filo conduttore comune dell’intervento, in grado di assecondare talvolta elementi tipologici tradizionali ma anche entrare in sottile antitesi con essi, concretizzando la convinzione che il progresso e l’innovazione sono inevitabili, ma possono e devono essere controllati. Lo studio del sistema costruttivo e impiantistico si è basato su scelte strettamente connesse al tema dell’integrazione interdisciplinare: essi sono stati considerati parte integrante della progettazione fin dai primi schizzi, costantemente in interazione con le scelte architettoniche che influenzano e vengono necessariamente influenzate dalla tematica della costruzione. Il principio costruttivo viene quindi di volta in volta declinato alle esigenze architettoniche ma senza esserne totalmente subordinato: diviene quindi regolatore spaziale e di scelte. La costruzione come mezzo per tramutare il “progetto” in “architettura”.


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Premesse


Premesse

Prima di affrontare nello specifico i temi progettuali, è bene ripercorrere brevemente gli elementi che hanno costituito il filo conduttore di tutto il progetto. Trattandosi infatti di un completamento urbano, il progetto ha necessariamente investito tematiche differenti, sia a livello puramente compositivo, in virtù delle differenti posizioni delle aree di progetto, sia a livello costruttivo e impiantistico. Tuttavia, pur cercando di modellare ciascuna porzione a seconda di ciò che la microzonazione offriva, alle esigenze funzionali e strutturali, al significato architettonico voluto, si è cercato di mantenere comunque una linea unica di riferimento. Essa è stata, durante lo sviluppo delle varie parti, la strada maestra, il filo conduttore in grado di riportare sempre le singole porzioni di progetto all’ interno di una visione ben più complessa e soprattutto unitaria. I punti che tracciano questa via, sono: 1. l’attacco a terra, 2. la sezione, 3. il rapporto col cielo, 4. il rapporto fra il principio insediativo e principio costruttivo, 5. i rapporti fra il Nuovo e l’Antico.

1.1. L’attacco a terra Un primo punto a cui è stata prestata costantemente particolare attenzione, è l’attacco al suolo. Sempre più spesso infatti, all’interno del contesto architettonico odierno, assume forza il modo in cui il progetto si rapporta con il suolo. All’interno di un contesto urbanizzato come questo, il ripensamento del sistema di relazioni fra esterno e interno diventa fondamentale. L’attacco a terra diventa fondamentale sia per ripensare il sistema degli accessi in modo alternativo rispetto a quanto già presente, il tutto legato alle esigenze economiche dei giorni nostri, sia come opportunità per riqualificare gli spazi aperti, talvolta oggi terra di nessuno. Questa tematica si confronta strettamente con il principio costruttivo, in quanto in una città come Venezia, a stretto contatto con l’acqua, diventa fondamentale il modo in cui i sostegni verticali intralciano o non intralciano la visuale verso la laguna. La permeabilità degli assi visivi viene quindi regolata tramite lo studio del modo in cui l’edificio si ancora al suolo. Il disegno della pianta a terra, unitamente al “lavoro in sezione” diviene il campo in cui precipitano tutte queste questioni. Rispetto all’esistente poi, la pianta al suolo mantiene un alto valore morfogenetico e fondativo. Essa diviene una pianta archeologica atta a decifrare le ragioni del manufatto, attraverso 24

PREMESSE

Progetto, attacco al suolo della zona relativa alla piazza


opportune convenzioni grafiche. Lo strumento della pianta al suolo è forse il luogo in cui meglio si manifesta il rapporto fra topos, tipo e tettonica: in essa infatti convergono sia le ragioni del luogo, ma anche le tipologie distributive e le forme costruttive.

1.2. La sezione come generatrice di spazio “La mia architettura non è concepita come piani,ma come spazi. Io non disegno piante, facciate, sezioni. Per me non c’è il piano terreno, il primo piano, ecc... Per me ci sono solo spazi continui e contigui, stanze e antistanze, terrazzi, e così via. I livelli si fondono e gli spazi si relazionano tra loro...”

Adolf Loos, Casa di Tristan Tzara, 1925-27. Sezione trasversale Progetto, sezione trasversale degli alloggi a patio del blocco Sud

Così Adolf Loos, grande architetto del ‘900 in un intervista rilasciata a Plzen nel 1930 risponde sul suo modo di approcciare la progettazione. Egli intende l’architettura in senso realista sottolineando l’importanza della concretezza del costruire in quanto tale, avvicinandosi così più a Mies Van der Rohe che alla Secessione viennese. Egli vede nella tecnica il fondamento del costruire intendendo con il termine “tecnica” una regola del gioco dettata dal tempo storico che l’architetto deve comprendere, svelare e applicare rinunciando alla facile seduzione della fantasia. Loos distingue tra la casa e il monumento: la prima è un costruire destinato al bisogno, il secondo un costruire destinato all’arte. L’esistenza quotidiana è dominata dal bisogno, per cui la casa deve sottostare alla ferrea legge della Sachlichkeit, della rispondenza allo scopo imposta dal principio di utilità. Uno dei caratteri fondamentali dell’architettura di Loos è l’intimismo: “Verso l’esterno, l’edificio dovrebbe restare muto e rivelare la sua ricchezza soltanto all’interno”. L’esterno appartiene alla civiltà, l’interno all’individuo. La facciata però non deve rivelare quella messa in scena del vissuto individuale che la casa permette al suo interno. L’architettura deve salvare lo spazio interno in cui si può pensare senza il condizionamento dei pregiudizi sociali. Da tale impostazione deriva il più noto principio metodologico di Loos, il Raumplan. Esso rappresenta la sintesi più complessa delle innovazioni moderne nell’architettura della casa; riguarda il progetto del volume o del piano spaziale; l’abitazione è pensata come un continuum tridimensionale alla ricerca di un equilibrio tra separatezza e relazione. Il Raumplan è un complesso incastro di spazi di diverse altezze, contenuto all’interno di rigidi volumi stereometrici PREMESSE

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che risponde, prima ancora che ad un criterio di economia spaziale, alla volontà di creare una Einfúlung, una simpatia simbolica tra oggetto e soggetto, tra lo spazio abitabile e l’abitante. I caratteri essenziali del Raumplan sono: 1. differenziazione in pianta e in altezza delle stanze; 2. dislivelli del piano di calpestio; 3. progressione ascensionale degli ambienti; 4. spostamento in pianta delle scale e dei percorsi che danno luogo a degli spazi minori di transizione; 5. affaccio dei vari luoghi fra loro. Il Raumplan ha quindi un indubbio movente nell’intimismo. Il muro è lo strumento essenziale attraverso cui l’architetto separa uno spazio delimitandolo e rivela una doppia pelle: all’esterno l’assenza di qualità, all’interno il vissuto dell’individuo. Villa Moller (Vienna, 1928): è un manifesto della poetica Loosiana, testimonianza emblematica di un codice autoimposto; ha un carattere perentorio ed assiomatico che proviene dall’applicazione dei principi progettuali dell’autore. É subito evidente nelle scelte compositive la lama muraria bianca perfettamente regolare che sottolinea la purezza geometrica del muro nel suo ruolo di separatore tra pubblico e privato. Questo muro svolge un ruolo analogo a quello del piano prospettico rinascimentale, è come un gigantesco schermo su cui si proiettano le forme architettoniche. Il muro è come una griglia concettuale che detta le regole per l’intera composizione: è compatto, solido, pieno, inciso solo dalle bucature e dall’ingresso. La transizione tra lo spazio pubblico (che potremmo leggere come profano) a quello privato (sacro) è mediata dall’atrio, luogo compresso e poco profondo che funziona come polo di smistamento verso altre direzioni. La scala conformata ad angolo retto propone un salire in cui si rivelano le reciproche interrelazioni tra i volumi dello spazio interno; essa sfocia nell’ampio spazio di soggiorno articolato in più livelli, che è il cuore della casa. L’ambiente più intimo è l’alcova sollevata rispetto al pavimento del soggiorno di cinque gradini e inglobata nel parallelepipedo bianco sospeso all’esterno. La maggiore altezza del soggiorno rispetto all’ alcova ne rende evidente il carattere più pubblico, confermando le valenze psicologiche del Raumplan. Gli spazi della casa sono concatenati e comunicanti fra loro: la sala pranzo è annessa alla sala musica con una porta scorrevole da 2.5 m; il pavimento della prima è rialzato di 70 cm rispetto a quello della seconda e le scale per passare da un piano all’altro sono occultate. Questa scelta denota una dialettica tra il collegamento percettivo tra i due ambienti e una loro intrinseca differenza funzionale espressa anche dall’uso di materiali diversi. Sempre Adolf Loos, in una serie di scritti, esplicita chiaramente la sua concezione di interno ed esterno. 26

PREMESSE

Adolf Loos, Casa Moller, 1929. veduta della facciata sulla strada e spaccato assonometrico del primo piano con il raumplan degli ambienti di soggiorno


La mia scuola di architettura (1913) [...] “Tre cose venivano insegnate: il costruire dall’interno verso l’esterno, la storia dell’arte e la conoscenza dei materiali. [...] Il mio metodo consiste nell’affrontare fin dall’inizio, in un progetto, tutti i dettagli tecnici e architettonici. [...] I progetti dovevano svilupparsi secondo un processo che andava dall’interno verso l’esterno. Il pavimento e il soffitto (pavimento di legno e soffitto cassettoni) dovevano essere risolti per primi, la facciata veniva in seguito. Si attribuiva massima importanza alla distribuzione ordinata delle parti e alla sistemazione logica degli arredi. In questo modo ho insegnato ai miei allievi a pensare in tre dimensioni, pensare al cubo.” L’eliminazione dei mobili (1924) [...] “Che cosa deve fare l’architetto veramente moderno? Deve costruire delle case nelle quali tutti quei mobili che non si possono muovere scompaiano nelle pareti. [...] Tutte le cose che vengono realizzate in modo moderno dai nostri artigiani [...] ognuno se li procuri da sé secondo il suo desiderio, il suo gusto e la sua inclinazione. [..] All’architetto appartengono i muri della casa. Qui egli può far ciò che vuole. E come i muri, gli appartengono i mobili che non si possono spostare.”

Adolf Loos, Casa Moller, 1929. Veduta degli ambienti di soggiorno Le Corbusier, studi del Modulor basato sulla serie di Finobucci e la sezione aurea

Le Corbusier (1887-1965) com’è noto ha teorizzato nel 1928 cinque punti dell’architettura moderna. Possiamo ritrovare nelle parole che scrisse in Vers une Architecture (1925) alcuni elementi di conferma dei principi loosiani, preziosi per una concezione moderna dello spazio interno. Il volume e la superficie sono gli elementi mediante i quali si manifesta l’architettura: essi a loro volta sono determinati dalla pianta. È la pianta l’elemento generatore. “La pianta sta alla base. [...] la pianta richiede la più attiva immaginazione e insieme la più severa disciplina. La pianta determina tutto: è il momento decisivo. [...] Nella pianta è già compreso il principio della sensazione. Il costruttore [...] ha messo ordine misurando. Per misurare ha preso il suo passo, il suo piede, il suo gomito o il suo dito. [...] ha creato un modulo che regola tutta l’opera; e quest’opera è alla sua scala, per il suo vantaggio, per i suoi comodi, è rapportata alla sua misura. È alla scala umana. Si armonizza con lui: è l’essenziale. La pianta implica, dall’inizio, i procedimenti di costruzione [...] procede da dentro a fuori, poiché la casa o il palazzo sono un organismo simile a ogni essere vivente. [...] PREMESSE

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l’esterno è sempre un interno.” Le Corbusier conferma il procedimento dall’interno all’esterno, ma aggiunge anche che un esterno è un interno. Aggiunge inoltre il legame fondamentale tra la misura umana e la misura dello spazio, cioè lo spazio alla scala umana. La sezione, sulla scia dell’insegnamento di Adolf Loos, rappresenta un filo conduttore di tutto l’intervento previsto. Essa è visto come strumento che, assieme alla pianta, riesce a generare particolare movimento all’interno dei flussi visivi che attraversano l’alloggio. Attraverso lo studio in sezione, è possibile frantumare la consueta scatola muraria per donare agli spazi una diversa importanza a seconda del ruolo che hanno, ma anche contemporaneamente donare qualità (visiva e relazionale) ad ambienti invece spesso considerati secondari, e che rappresentano invece spazi che frequentemente ci si trova a percorrere (come per esempio i corridoi).

1.3. Rapporto col cielo Una terza condizione emerge in tutto il progetto, ovvero il ruolo che la copertura assume nell’architettura a noi contemporanea. Le coperture, oggigiorno, svolgono un ruolo fondamentale per lo sfruttamento delle energie rinnovabili, ma anche come luogo aggiuntivo in cui, senza ampliare il volume delle abitazioni, nascono rapporti e relazioni. Inoltre, il disegno della copertura assume in se anche una straordinaria opportunità di ripensare lo skyline urbano e la figura complessiva dell’edificio. Il tetto-giardino, in fin dei conti, è patrimonio dell’architettura moderna in quanto lo stesso Le Corbusier lo inserisce a pieno titolo all’interno dei cinque punti dell’architettura moderna. Allora, erano le condizioni tecniche che permettevano la trasformazione del linguaggio architettonico e l’introduzione del tetto-giardino, così è anche oggi. Le nuove conoscenze in campo strutturale e diagnostico, le esigenze impiantistiche sempre più pressanti e le necessità energetiche spingono oggi a nuove opportunità sul piano compositivo e formale La copertura viene pensata, in tutto l’intervento previsto, come spazio utilizzabile dagli abitanti e alternativa al giardino del piano terra o come supplemento al soggiorno interno, un luogo dove all’occorrenza si può scegliere la privacy o la relazione, ma in cui si mantiene costante uno strettissimo rapporto con i fattore ambientale. Questo, 28

PREMESSE

Le Corbusier, tetto-giardino di Ville Savoye, 1929 Progetto, vista della copertura degli alloggi a patio, blocco Sud


oltre che portare qualità spaziale nella vita degli abitanti a parità di costo rispetto al classico tetto a due falde, permette anche un sensibile miglioramento delle condizioni psicologiche degli utenti.

1.4. Principio costruttivo e principio insediativo

Pier Luigi Nervi, copertura del Palazzetto dell sport di Roma, 1956 Le Corbusier, finestre a nastro di Ville Savoye, 1929 Mies Van der Rohe, Padiglione di Barcellona, 1929. Vista di un interno

Elemento che ha assunto nel corso della progettazione un importanza fondamentale è il rapporto instauratosi fra principio costruttivo e principio insediativo. Da sempre infatti, la tematica dell’involucro e della corrispondenza fra struttura e rivestimento è motivo di discussione all’interno del dibattito architettonico. Le Corbusier (1887-1965) com’è noto ha teorizzato nel 1928 i cinque punti dell’architettura moderna. Interessa qui riprendere unicamente la pianta libera e la finestra a nastro, due aspetti che assieme costituiscono quel principio di separazione tra la struttura e l’architettura, in particolare l’involucro, che già è presente nelle opere della “Scuola di Chicago” (dal 1880 agli inizi del ‘900) che Rem Koolhaas riprenderà nei testi Bigness (1995) e Junkspao (2002). Questo principio della pelle dell’edificio scissa dall’edificio stesso è cruciale nell’architettura attuale dove la pelle si è arricchita di ulteriori valori comunicativi e tecnologie. Il principio del rivestimento, che Loos fa risalire a Gottfried Semper, è per lui fondamentale nel rapporto con la “verità” del materiale e l’edificio stratificato come il corpo umano. Per indagare questo principio, è emblematica l’opera di Ludwig Mies Van Der Rohe: il Padiglione Tedesco all’esposizione di Barcellona del 1929. Interessante sottolineare come quest’edificio sia composto unicamente di struttura leggera puntuale e rivestimento, ovvero non abbia corpo; Mies applica proprio quel discorso loosiano della bellezza dei materiali per sé stessi, senza alcun altro ornamento che la propria figura. Nell’apprestare uno spazio alla scala umana, cioè di dettaglio, è importante, e anche complesso, stabilire le proprietà di ciascun elemento, che non sono certo casuali ma frutto di ricerca ed esperienza. Nel momento in cui si mettono assieme le cose si ha una composizione. Lo stesso principio di Mies si è cercato di adottare nel progetto. La visione di Le Corbusier appare quindi lontana. L’architettura è, prima di tutto, costruzione, il che implica un connubio irrinunciabile fra forma e struttura, rinunciando a quella sorta PREMESSE

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di “paura dello scheletro” manifestata da Le Corbusier. Anzi, come afferma Mies, “laddove la vera costruzione prova un contenuto autentico, là sorgono opere vere.. opere vere e corrispondenti alla loro essenza”. Il passato stesso ci mostra che questo atteggiamento è da sempre insito nel mestiere dell’architetto e delle costruzioni. Le colonne doriche, con i capitelli, e le entasi, sembrano quasi “schiacciate” dal peso enorme della copertura che supportano. Gli antichi quindi utilizzavano la costruzione come manifestazione fisica di una forza intangibile, quella di gravità. D’altronde, volgendo lo sguardo all’opera dello stesso Mies della Neue Nationalgalerie di Berlino, si intravede un principio per cui gli sforzi tensionali a cui sono sottoposti i pilastri non vengono nascosti, ma si manifestano tramite la messa in luce degli innesti metallici. Illuminante è la riproduzione di Francesco Venezia in cui l’opera di Mies viene posta accanto ai templi di Paestum: questo quasi a significare una continuità temporale dell’opera di Mies con l’Antico, che aveva nello snodo del capitello dorico, le stesse intenzioni esternalizzanti riguardo la gravità, gli sforzi e la loro messa in luce. Illuminante è poi tutta l’opera di Pier Luigi Nervi, pioniere dell’integrazione completa fra architettura e ingegneria: nelle sue opere infatti, le due discipline divengono una cosa sola e l’elemento strutturale diviene anche elemento architettonico e formale. Pertanto, la progettazione è sempre stata diretta di pari passo tra le scelte compositive e quelle strutturali. Ogni porzione del progetto tuttavia, nasce necessariamente da un’idea, da una concezione “formale”. Tuttavia, il punto fondamentale sta nel riuscire, talvolta, a compiere dei piccoli passi indietro, di giungere a compromessi, di ibridare l’intenzione e l’effetto architettonico voluto con le esigenze della struttura, senza vergognarsi di mostrare il modo in cui l’edificio resiste alla gravità. La differenza tra l’essere o non essere “formalismo” sta tutto qui, in questo rapporto: laddove l’intento architettonico assolve esclusivamente l’intento estetico e formale, scardinandosi da qualsiasi altra funzione, esso è formalismo; laddove invece la scelta compositiva trova giustificazione non solo negli intenti formali, ma anche in campo strutturale, impiantistico, funzionale ecc..., allora la scelta diviene architettura. Il compromesso tra forma e struttura diviene oggi elemento indispensabile per non correre il rischio di cadere in progetti dal carico utopistico, in cui il contenuto unico e imprescindibile è quello compositivo. Oggigiorno, l’integrazione impiantistica e strutturale non è più da considerarsi secondaria ma anzi svolge un ruolo determinante 30

PREMESSE

Tempio di Paestum, dettaglio del capitello dorico e della colonna, “schiacciati” dal peso della copertura in pietra Francesco Venezia, fotomontaggio della Neus Galerie in continuità ai templi di Paestum


nella buona riuscita degli intenti architettonici. Il dialogo fra architetto, strutturista e impiantista diviene quindi un punto fisso. Ecco dunque che, per esempio, i moduli degli appartamenti vengono mano a mano adattati alla struttura che li regge, in modo da rendere figurativamente l’effetto voluto ma al contempo far comprendere come l’edificio si regge in piedi, o ancora i grandi elementi a parete che sostengono gli appartamenti divengono occasione per mettere in luce il sistema strutturale senza inficiare sulla qualità dell’attacco al suolo e sulle intenzionalità compositive del complesso. Come un adulto che tiene per mano un bambino, un fantino che tiene le redini del suo fidato cavallo, la composizione assume necessariamente un ruolo di guida principale. Essa tiene le redini del progetto, senza tuttavia imporsi: si plasma, accetta e contempla le esigenze della costruzione, amalgamandosi con essa in un tutt’uno di compromessi. Perché in fondo nessun pilota vince senza la sua macchina, nessun fantino senza il suo cavallo, e così il progetto di architettura.

1.5. Il Nuovo come opportunità, l’Antico come risorsa

Mies Van der Rohe, Neue Nationalgalerie, 1968. Dettaglio del pilastro di copertura

Troppo spesso, quando ci si trova di fronte a situazioni in cui si deve necessariamente intervenire in un contesto urbanizzato e preesistente, si tende a considerare il vecchio come opportunità per mettere in luce il nuovo. Così facendo, l’esistente assume il carattere di pretesto, pretesto in cui il nuovo deve quasi necessariamente affermarsi. Il processo seguito nel progetto invece, ha preso la direzione opposta. Il rapporto con l’antico è stato gestito e visto come opportunità, più che come pretesto: opportunità per garantire alla città funzioni necessarie e richieste dagli abitanti, opportunità per migliorare gli edifici presenti dal punto di vista gestionale e donar loro nuova vita. In senso ampio, il rapporto fra il nuovo e l’antico è stato sviluppato secondo 2 differenti accezioni. Da un lato infatti, la progettazione del Nuovo è relazionato all’antico dal punto di vista tipologico e insediativo, riprendendo i caratteri basilari della città; dall’altro si esplicita in un rapporto fisico diretto fra nuova costruzione, fra modifica/aggiunta ed edificio esistente, in un contesto in cui la disciplina del restauro si pone al limite della sua applicazione, con le complicazioni etiche e formali che questo comporta. Il rapporto tipologico si è basato sulla reinterpretazione di alcuni elementi insiti nella PREMESSE

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tradizione della città e che sono dettati dal topos, dal luogo in cui stiamo operando. Infatti, al pari dell’intervento portato a termine da Gino Valle nella vicina Giudecca, l’alta densità abitativa, l’introversione delle abitazioni, i fronti puliti, netti e compatti, la presenza delle altane, il sistema costruttivo in muratura portante ecc sono elementi che vengono reintrodotti nel progetto in modo ammiccante ma non imitativo. Nella tematica invece strettamente fisica, ruolo fondamentale ha svolto la comprensione della storia di questo luogo. Attraverso la comprensione della genesi degli edifici, della loro storia e della loro origine, si è potuto comprendere il motivo per il quali essi devono essere conservati, nonché i caratteri fondamentali che li denotano come edifici storici e che pertanto non possono essere persi. Se perso il carattere dell’edificio infatti, ne viene persa la sua identità e di conseguenza perde senso l’intervento conservativo. Di conseguenza, in determinate situazioni, la stratificazione del nuovo sul vecchio è stata resa evidente mediante strategie apposte, mirate non all’esaltazione del nuovo in quanto tale, ma anzi in segno di rispetto verso il vecchio: la stratificazione degli interventi potrà infatti permettere un domani alle generazioni future di riconoscere il nucleo edilizio originario. Illuminante è la massima di Viollet, che, seppur legata alla disciplina del restauro, si può considerare come traccia portante che ha caratterizzato le scelte eseguite nell’ambito della conservazione: “Restaurare un edificio è ripristinarlo in uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato tempo [...]. se l’ Architetto deve conoscere le forme, gli stili propri e la scuola da cui l’edificio è uscito, deve ancor meglio conoscerne la struttura, l’autonomia, il suo temperamento....perché prima di tutto bisogna lo faccia vivere.” A seguito, si farà una disamina puntuale delle tematiche affrontare, corrispondenti alle porzioni di progetto. La ricerca bibliografica e teorica ha costituito elemento essenziale di supporto e spunto per ogni fase della progettazione. Le tematiche, seguendo l’ordine morfologico e topografico in cui si susseguono, riguardano il fronte Nord e la spina centrale che porta alla piazza, e nello specifico sono:

Gino Valle, edifici residenziali alla Giudecca, 1984

1. la residenza contemporanea; 2. la casa dello studente; 3. la casa a patio; 4. rigenerazione urbana e conservazione. 32

Massimo Carmassi, nuovo polo universitario di Santa Marta a Verona, 2015

Nella pagina a fianco Planivolumetrico di progetto PREMESSE




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Sacca Fisola: frammenti di un passato prossimo dimenticato un sentito ringraziamento a: prof.ssa Alessandra Ferrighi


Sacca Fisola: frammenti di un passato prossimo dimenticato con il contributo di: prof. ssa Alessandra Ferrighi

2.1. Introduzione Sacca Fisola si colloca ad Ovest dell’isola della Giudecca, a Venezia. Essa si presenta con una configurazione insulare, al pari delle altre isole di Venezia, come ad esempio la vicina Giudecca, in quanto risulta delimitata dalle acque lagunari: a Nord, troviamo il Canale della Giudecca; ad Est il Canale dei Lavraneri, che la separa dall’isola della Giudecca; a Sud il Canale di San Biagio, elemento naturale che la rende autonoma dall’omonima Sacca San Biagio , e ad Ovest il Canale di Fusina. Come detto, l’isola di Sacca Fisola ha quindi un importante rapporto con l’elemento lagunare e con la città stessa di Venezia. Infatti, percorrendo il Canale della Giudecca, ci si rende immediatamente conto come l’autonomia dettata dalla conformazione naturale della Sacca, si vada pian piano a perdere se si osserva la Sacca da un punto di vista più allargato. La Sacca si presenta infatti come naturale prosecuzione della Giudecca e ne ha sempre costituito l’appendice occidentale. Da questa prima affermazione, si può quindi intuire una prima peculiarità della Sacca che risiede nella sua estraneità per quanto concerne il fronte Nord, affacciante su Venezia. A nord, la Giudecca appare come un fronte denso e continuo, che corre lungo un unico sistema di fondamenta. Questo carattere si nota essere preminente anche lungo il fronte veneziano affacciante sulla fondamenta delle Zattere. A sud, invece, l’isola mantiene un bordo frammentato, di difficile accessibilità a causa dei cantieri e insediamenti industriali che si sono susseguiti nel tempo. La mixitè di aree produttive e residenziali è infatti tipico di questa isola, e trova la sua origine all’interno dello storico connubio tra la promiscuità da sempre esistente tra artigianalità e residenza nel centro storico di Venezia. Rispetto alla Giudecca, tuttavia, l’isola di Sacca Fisola presenta caratteristiche insolite. Infatti, il fronte Nord appare estremamente rarefatto: percorrendo con lo sguardo dalla Chiesa del Palladio tutto il fronte della Giudecca, il termine ideale della percezione trova la sua fine nell’enorme mole del Mulino Stucky, mentre Sacca Fisola, con i suoi viali alberati in fondamenta e l’arretramento del fronte, appare come un frammento di periferia posto come conclusione del ”sistema Giudecca”. Proprio questa estraneità, questo apparente rifiuto verso i canoni della tradizione, trova ragione di esistere se si passano in rassegna le dinamiche e la storia di un luogo che, fino agli anni ’70 del ‘900, appare travagliato e frammentario, del quale si tratterà dei capitoli successivi. Il terreno è composto da materiale di riporto (ma idoneo comunque al supporto dei carichi di fondazione), derivante da un secolare 36

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

Sacca Fisola, ortofoto Sacca Fisola, vista dal Canale della Giudecca


costipamento. Lo stesso nome, Sacca Fisola, ne identifica l’origine. A Venezia, infatti, col termine “sacca” viene indicato un punto specifico nel quale si insinua l’acqua, formando dapprima una rada e successivamente un dosso. Esso viene poi completato dall’uomo tramite l’apporto di materiali tratti dallo scavo dei canali lagunari. L’isola ha un estensione di circa 100.000 mq. Dal punto di vista architettonico, l’isola si compone di isolati pressoché quadrati con tre differenti configurazioni, legate allo stile di vita che era stato pensato per le persone che lì dovevano abitare: blocchi edilizi “chiusi” di cinque/sei piani, che si configurano con l’isolato stesso, lungo la spina centrale; isolati verdi e aperti lungo il perimetro e isolati “misti”, quindi con tipologia residenziale a blocchi ma con spazialità aperta e campo visuale profondo (gli edifici hanno quindi un valore di quinta). I percorsi si sviluppano secondo assi paralleli al perimetro dell’isola e perpendicolari tra loro. Lo schema urbanistico di impianto prevedette la formazione di 2 assi principali: il primo, ad andamento Nord-Sud, connette la fermata del vaporetto con la piazza pubblica, considerata il cuore dell’intera isola; il secondo taglia trasversalmente la Sacca dal ponte dei Lavraneri, connettendo la vicina Giudecca alla medesima piazza.

2.2. Il luogo: l’isola della Giudecca

Sacca Fisola, vista di un edificio risalente al 1960 circa, della Chiesa e del Ponte dei Lavraneri

Situata nella parte Sud di Venezia, la Giudecca è l’isola più lunga e più vicina a Venezia; comprende un complesso di 10 isole e nove canali ed è collegata con il centro storico dal bacino di San Marco e dal Canale della Giudecca, una volta chiamato Canale Vigano. Secondo alcune fonti, il nome attuale si deve ai tanti Ebrei e Giudei che la abitavano prima del XIV secolo, secondo altre ipotesi, il nome deriva dalla parola Giudicato, causa la donazione della sua terra come indennizzo alle famiglie degli esiliati del IX secolo. Lo sviluppo storico-urbanistico dell’isola viene suddiviso in quattro periodi fondamentali, secondo le funzioni che assunse nelle varie epoche. Un primo periodo coincide con quello in cui anche Venezia prendeva la sua forma. L’isola aveva funzione di porto e vi abitavano pescatori, allevatori e agricoltori. Fungeva da mura di difesa dagli attacchi da Sud. Il secondo periodo è quello Medievale avanzato e del Rinascimento, quando l’isola ebbe il suo apice storico. Nell’isola si concentravano i SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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magazzini e il commercio della terraferma e del porto di Malamocco; tutta Venezia passava dalla Giudecca. Attività economiche e produttive si stabilirono nella zona, ma anche complessi conventuali e famiglie nobili (Barbaro, Mocenigo, Vendramin, ecc.) che trovarono spazio adeguato per i loro giardini e le loro ville. Nel periodo tra il XVII e il XVIII secolo, la caduta della “Serenissima”, i continui conflitti di Napoleone contro il fanatismo religioso e la decadenza economica, segnarono l’irreversibile caduta dell’equilibrio dell’isola, che causò lo spostamento degli abitanti verso il centro storico e il decadimento delle zone di periferia. L’ultimo periodo, tra il XIX e il XX secolo fu caratterizzato dalla forte industrializzazione della Giudecca; infatti tutte le funzioni indispensabili per Venezia ma impossibili da stabilire in centro storico, trovarono posto qui: prigioni, industrie, cantieri navali e grandi complessi di case popolari. Giudecca, da zona periferica a “periferia interna”, confine dell’edificato urbano e soglia meridionale del paesaggio lagunare, un’isola né così vicina da poter essere unita alle altre con dei ponti, né troppo lontana da poter essere considerata un’unità urbana funzionalmente indipendente; ha sempre conservato nei secoli la caratteristica di periferia urbana, sia nell’uso nobile di essa quando vi si trovavano dieci unità conventuali, nobili palazzi, accademie filosofiche e letterarie, sia nel riuso territorialmente “dequalificante” di questi spazi quando vi si collocarono attività produttive, istituzioni carcerarie, ecc. L’isola ha la struttura morfologica del “pettine”, costituita dalla compatta edificazione lineare della riva settentrionale e daii canali e percorsi che attraversano perpendicolarmente l’isola da Nord verso Sud. Una struttura compatta e lineare a Nord, una fragile ed inconsistente struttura di orti e giardini a Sud. Il fronte sul canale della Giudecca, rivolto al centro storico, è sempre stato privilegiato rispetto alla sponda rivolta alla laguna; abbiamo, nel primo caso, un assetto simile a quello urbano: fronte continuo di edifici insistente sulla riva di collegamento; nel secondo notiamo la labilità e la pressoché totale mancanza di edificazioni essendo destinato alla coltivazione di orti e giardini. L’attuale assetto urbano dell’isola è stato determinato da un susseguirsi di eventi abbastanza schematici. In epoca medievale l’edificazione sul lotto gotico era costituita da dimore gentilizie e abitazioni civili, miste a nuclei di chiesa-convento. In molti casi la proprietà occupava l’intero lotto dal fronte principale sino al limite lagunare, e ciò creava una barriera contro un’eventuale viabilità longitudinale alternativa alla riva sul Canale della Giudecca; soprattutto se il lotto 38

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

Giudecca, ortofoto e giardino di Villa Cornaro


apparteneva ad un convento (sistema chiuso). Fin da quest’epoca la viabilità terrestre e acquatica è limitata a uno schema a pettine subordinato alla riva sul canale. Nel periodo rinascimentale le nuove chiese edificate costituiscono uno scenario per la città e ricercano con essa una dialettica monumentale mentre con la loro mole appiattiscono l’edilizia residenziale sul fronte. In seguito alla legge napoleonica sulle proprietà della chiesa, dal 1809 in poi vengono sciolti molti ordini religiosi e ridotto il numero delle parrocchie con conseguente passaggio di proprietà dei terreni e delle strutture conventuali allo Stato. Alla Giudecca troviamo numerosi casi di conventi trasformati in carceri, caserme, archivi, ecc. Quasi in tutti i casi tuttavia assistiamo al riutilizzo del convento con un altro sistema chiuso, fatto questo che mantiene le medesime condizioni di viabilità.

Jacopo de Barbari, veduta a volo d’uccello di Venezia, 1500. Dettaglio sulla Giudecca

All’inizio del suo sviluppo quindi, la Giudecca fu il luogo di villeggiatura di nobili e borghesi che possedevano ville con giardini ed orti. Bonificata più tardi rispetto a Venezia era infatti considerato luogo di evasione per i ricchi e di sostentamento per i poveri dove trovavano infatti spazio per la coltivazione e l’allevamento. Sansovino alla metà del 1500 scrisse un testo molto dettagliato anche nella descrizione del verde urbano, dagli orti dei conventi, agli orti botanici privati dal quale si evince: “…sparsi copiosamente con straordinaria e vaghezza e delicatura. Nei quali [i giardini] con la varietà degli abbellimenti, e con gli ornati delle verdure e delle pitture e sculture, con fontane e altri ritrovati dilettevoli e graziosi, si compiace ognuno…”. Di questa testimonianza si può far il confronto con l’incisione eseguita ai primi anni del 1500 da Jacopo De Barbari, per conoscere quanto peso avesse allora il verde coltivato nel dar forma alla città, soprattutto nelle sue aree di margine. Emblematico a questo proposito il tratto della Giudecca rilevato dal Dè Barbari là dove la teoria di giardini e di orti si sussegue senza soluzione di continuità riportando l’immagine ormai perduta di un paesaggio assolato e lussureggiante, aperto verso la laguna. Nei primi decenni del 1800 gli orti erano 46 e i giardini 7 senza contare i piccoli appezzamenti coltivati a verdure e fiori annessi alle case. Orti e giardini occupavano un terzo dell’isola e bastavano a nutrire gran parte della città. Tali orti avevano da due a quattro stradoni che conducevano alla laguna, coperti di viti, a pergola, sostenute da pertiche di salice. Tra uno e l’altro vi erano le platee che racchiudevano gli erbaggi tra filari di alberi fruttiferi. Altri orti non attraversati da stradoni paralleli ma SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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contornati da essi venivano usati per imparare a cavalcare. Attorno al 1790 erano state ridotte a cavallerizza alcune grandi ortaglie accanto al convento delle Convertite a Sant’Eufemia: il sito divenne di moda e vi si facevano numerose feste. Tale sito venne chiuso alcuni mesi prima della caduta della repubblica. Si coltivavano in gran parte prugne, zucchette imperiali, fico, carciofo, piselli primaticci, asparagi, erbaggi di ogni genere (cavoli, sedani, finocchio, salatine), negli angoli mori, nelle pergole viti (che producevano un vino leggero che d’estate inacidiva), infine si piantavano anche fagioli, sorgo, e altri legumi. Alle soglie dell’800 l’isola si presenta inalterata nella sua struttura morfologica ma le strategie di infrastrutturazione della città ottocentesca pretendono anche da Venezia l’uso e il consumo di grandi superfici di suolo urbano. Stazioni ferroviarie, ponti, impianti industriali, macelli, caserme e carceri occupano le aree marginali, i nuovi imbonimenti di Venezia e le vaste superfici inedificate della Giudecca. Sull’isola si insediano grandi complessi industriali come lo stabilimento di macinazione del grano di Giovanni Stucky, la fabbrica di orologi Junghans, numerosi impianti per la produzione di tessuti, bevande, tappeti e cantieri navali. E alle fabbriche seguono i quartieri di residenza operaia: S. Giacomo, campo di Marte e ‘Casette’. Così, dal primo decennio del nostro secolo e, con maggiore slancio, negli anni immediatamente successivi la fine della prima guerra, si localizzano nell’isola gli interventi della Commissione per le case sane economiche e popolari e dello IACP veneziano. Gli insediamenti realizzati saturarono le aree retrostanti la fascia edificata dell’isola, in una ambigua condizione di marginalità, determinata dalla inesistenza di tracciati insediativi capaci di definire relazioni significative con la struttura lineare della Giudecca storica e, al tempo stesso, dalla incapacità di individuare come sito di una nuova struttura urbana l’ancora incerto margine lagunare, oscillante tra l’abbandono, la vocazione industriale e la privatizzazione delle superfici verdi a vantaggio di isolate residenze signorili. La realtà fisica della Giudecca, con cui oggi ci si deve confrontare, è segnata dalla irrisolta contrapposizione tra la figura ‘dura’ dell’edificazione lineare sulla riva settentrionale e la labilità delle sue aree retrostanti, la cui trasformazione ha avuto come esiti, fino ad oggi, la sottrazione crescente di aree alla città, la segregazione sempre più estesa dei suoi luoghi. La crisi verosimilmente irreversibile della vocazione industriale dell’isola, l’inattualità dei suoi istituti carcerari, militari e assistenziali ospitati tra le mura di antichi conventi, il degrado fisico dei quartieri operai, propongono la 40

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

Giudecca, schemi di genesi 1. Villeggiatura 2. Industriale 3.Residenziale


Giudecca come uno dei luoghi su cui urgentemente intervenire. Successivamente uno degli aspetti che colpisce di più osservando le mappe storiche è il progressivo diradamento degli spazi verdi. Prima dell’ industrializzazione del 1900, la Giudecca era considerata zona agricola come Sant’ Erasmo ricca di campi e di allevamenti di bestiame. Nei primi decenni del 900 l’isola si trasforma in zona industriale e il verde lascia il posto al cantiere.

2.3. Sacca Fisola: un’ emergenza morfologica e tipologica

Sacca Fisola, schemi di genesi 1. Industriale 2. Residenziale 3. Piani incompiuti

Sacca Fisola si configura come emergenza morfologica della Giudecca in quanto non presenta nessuno dei due caratteri che hanno storicamente contraddistinto l’isola: la compattezza del fronte Nord e la naturalità del fronte Sud. Infatti, come visto, la Giudecca nasce come area a destinazione residenziale, per poi divenire, in un secondo momento coincidente con il periodo di boom dell’industrializzazione, luogo culla del settore industriale dell’intera città di Venezia. Alle soglie del Novecento poi, in seguito alla caduta in rovina di molte industrie, ritorna ad assumere un ruolo prettamente residenziale, mantenendo il suo carattere di periferia attraverso la costruzione di edifici di edilizia residenziale pubblica. L’origine residenziale della Giudecca e la sua urbanizzazione intorno agli ultimi anni del ‘400, fece si che essa assumesse caratteri morfologici e tipologici tipici del tessuto veneziano: fronte compatto prospiciente alla laguna, case installate su lotti gotici stretti e lunghi, viabilità trasversale alla fondamenta principale. Tuttavia, dato il suo carattere periferico, la Giudecca venne contemporaneamente vista anche come luogo di villeggiatura e questo le consentì di ibridare a questi caratteri tradizionali, l’elemento del giardino ovvero l’elemento vegetazionale. Il tessuto della Giudecca si configura quindi come un ibridazione fra la densità del tessuto veneziano e un’insolita impronta naturalistica. Sacca Fisola invece, ha una storia molto più breve. Essa nacque solo nel 1860 come zona industriale e di deposito. La sua urbanizzazione avviene nel 1960, periodo che coincide con la sperimentazione tipologica dell’alloggio in cui la casa, per ragioni economiche ed emergenziali, veniva vista come un oggetto standardizzato da ripetere e replicare in ogni contesto indifferentemente dalle condizioni. Ecco dunque che lo sfasamento d’età fra Giudecca e Sacca Fisola, unitamente alle particolari condizioni di sperimentazione edilizia in cui quest’ultima ha avuto origine, configura SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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Sacca Fisola come elemento estraneo alla Giudecca anche se formalmente identificabile come suo termine naturale. Questa estraneità, sia morfologica che tipologica quindi, è dovuta principalmente al differente sviluppo assunto dalle due realtà. Se infatti la Giudecca, nata nel ‘400, ha vissuto tipologicamente un’ evoluzione completa, dalla casa veneziana fino alle ultime realizzazioni di Gino Valle, Alvaro Siza, Carlo Aymonino e Cino Zucchi, Sacca Fisola appare come ferma al suo periodo di nascita. Le abitazioni presenti ricalcano fedelmente i caratteri dell’edilizia standardizzata della metà del Novecento, ma persistono come unici complessi edilizi ad oggi realizzati. Su Sacca Fisola infatti, dopo il 1980, non viene sostanzialmente realizzato più nulla e il suo sviluppo tipologico appare ad oggi fermo e immutato.

In alto, Cino Zucchi, Case popolari, Edificio D alla Giudecca, Venezia, 2003. Alvaro Siza, Edifici residenziali Ater alla Giudecca, Venezia, 1983

Rossi - Aymonino, Edifici residenziali Ater alla Giudecca, Venezia, 1983 Gino Valle, quartiere popolare alla Giudecca, Venezia, 1985 Nella pagina a fianco Piano di Giuseppe Samonà, 1957 42

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO



2.4. Sacca Fisola nella storia della città

estratto della ricerca eseguita in concomitanza con il Corso di Storia dell’Architettura 2, prof.ssa Alessandra Ferrighi Nel 1985 all’interno del numero 22 della rivista “Rassegna”, vari autori, tra cui Vittorio Gregotti, sostenevano che Venezia poteva essere potenzialmente la città di una nuova modernità, per il fatto che ha da sempre portato in sé potenzialità doppie: cambiamenti e stratificazioni. Ha sempre mantenuto una certa resistenza al correre degli anni. Sacca Fisola rappresenta un’anomalia all’interno del contesto nel quale si inserisce la Giudecca e, più in generale, all’interno del contesto veneziano. L’urbanizzazione della sacca iniziò ufficialmente nel 1960, a seguito del progetto redatto dall’arch. Giuseppe Samonà. La storia delle proposte urbanistiche, che iniziarono nel 1943 con la proposta del prof. Duilio Torres, risulta ben più complessa e imbrigliata all’interno della situazione economica e sociale nella quale versava Venezia all’inizio del ‘900. Sacca Fisola nacque e si sviluppò in due momenti distinti e con due funzioni completamente diverse. Una prima fase, che va dalla seconda metà del XIX secolo ai primi anni del ‘900, vede la formazione fisica della Sacca e le sue successive modificazioni morfologiche dettate da obiettivi principalmente legati alle volontà imprenditoriali del suo fondatore, Giovanni Busetto detto Fisola. Una seconda fase, che va dal 1901 al 1974, vede l’isola come opportunità per l’edificazione dei nuovi quartieri che avrebbero dovuto assolvere l’emergenza abitativa di quegli anni. Le ragioni di questo cambiamento di visione, vanno ricercate nelle scelte politiche che hanno caratterizzato il territorio veneziano dei primi del ‘900. Genesi e primi sviluppi della Sacca I primi cenni sulla presenza di questa Sacca risalgono al 1839, nelle carte si individua chiaramente la prima origine naturale dell’isola che si presentava come un avvallamento naturale nel quale l’acqua tende ad insediarsi, che viene comunemente chiamato dai veneziani “sacca”. Per opera del cavalier Giovanni Busetto iniziò l’imbonimento che si concluse nel 1880. Grazie all’azione del Fisola e altri uomini di affari, verso la metà del 1800 l’isola venne inserita in un quadro di possibile sviluppo portuale. Proprio il 1880, data di termine dell’imbonimento, vide concludersi contemporaneamente i lavori alla nuova Marittima, che spinsero le figure imprenditoriali 44

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

Perissini, Pianta topografica della città, 1840 Seiffert, Pianta topografica della città, 1847. Dettaglio di Sacca Fisola


dell’epoca alla costruzione dei primi enormi capannoni lungo il perimetro Nord della sacca . Le volontà di inserire Sacca Fisola all’interno di un quadro funzionale alla città di Venezia, si ebbero già nel 1867, quando l’ingegner Pietro Marsich propose un “Piano di riordino generale della Città di Venezia” che includeva anche la futura zona di Sacca Fisola. Nell’arco di un ventennio, dal 1880 al 1901, numerose industrie decisero di insediarsi sulla Sacca, determinando uno spostamento del suo carattere da zona marginale di deposito ad area industriale. Infatti nel Piano di Risanamento e Regolatore per la città di Venezia, redatto nel 1891, si torna a parlare della costruzione di nuove case mai realizzate sull’isola.

Allodi, Pianta topografica della città, 1840. Dettaglio di Sacca Fisola Scozzi, Pianta topografica della città, 1881. Dettaglio di Sacca Fisola

L’emergenza abitativa a Venezia Dopo il 1901 tuttavia, lo scenario economico/industriale di Venezia in generale cambiò radicalmente. A seguito infatti dello spostamento del polo commerciale verso Marghera, dopo il primo conflitto mondiale, numerose aziende presenti sull’isola fallirono, causando una situazione di notevole degrado e abbandono di edifici ex-industriali. Si tornò quindi a considerare la possibilità di nuovi insediamenti urbani sull’ isola, che troveranno tuttavia concretezza solo verso la metà del secolo. Per comprendere le scelte eseguite dai progettisti, è necessario esaminare la situazione veneziana nel suo complesso. Dall’800 in poi Venezia conosce un periodo di crisi. In questi anni, le operazioni svolte dalle amministrazioni in merito alla questione delle condizioni abitative dei cittadini, ebbero come obbiettivo solamente la preservazione del patrimonio edilizio esistente. Ciò nonostante con lo sviluppo dell’industrializzazione, emerse il problema di valutare la qualità dell’urbano, in rapporto a un nuovo problema emergente: l’igiene e la salubrità dell’abitare. Nel contesto veneziano il tema venne tradotto in maniera brutale attraverso lo sventramento e ammodernamento dei tessuti urbani: si voleva far diventare Venezia una città moderna. La volontà era quella di preservare il più possibile la salubrità degli abitanti, visti in maniera pragmatica come elementi fondamentali per la crescita industriale della città. In questa condizione, nascono alla fine del 1800 le prime risposte a questo problema: nel 1886 venne redatto un “Piano di Risanamento della città”, nel quale sono SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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evidenti i tentativi diametralmente opposti all’atteggiamento che ha investito gli anni 80/90 dell’800 fino alla metà del ‘900 rispetto agli anni precedenti. In questo piano infatti era prevista la demolizione della case insalubri e la costruzione di nuovi fabbricati con nuovi criteri di igiene. Tali insediamenti non avevano disposizioni planimetriche studiate in rapporto con la città ma venivano disposte esclusivamente tenendo conto dei venti, del soleggiamento, dell’ariosità. Sono infatti tutte caratterizzate da una disposizione regolare e da ampie calli, spazi vuoti e giardini fra un blocco e l’altro. Sacca Fisola risulta ancora esclusa data la sua destinazione d’uso prettamente industriale. Nel 1931 i dati testimoniano in maniera lampante le prime motivazioni che hanno spinto verso l’esigenza di un ente apposito in grado di risolvere la questione abitativa: il 12% delle abitazioni erano al piano terra (quindi soggetti a problematiche legate all’innalzamento della marea) e contenevano 17.555 abitanti, di questi 10.000 vivevano in locali sovraffollati. Più in generale, circa un terzo della popolazione viveva in abitazioni inadeguate, in cui gli abitanti erano il doppio rispetto al numero delle stanze. La medicina quindi, è la prima scienza che si occupa dell’intervento pubblico nel settore abitativo. Alle costruzioni realizzate dagli enti pubblici delegati alla loro realizzazione dovevano accedere non solo gli operai, ma anche l’insieme dei ceti “meno abbienti” che costituivano “il popolo”, ovvero coloro che avevano redditi modesti. Queste abitazioni erano connotate dall’“economicità”: i costi iniziali dei terreni erano molto bassi, vista la loro posizione periferica, come lo erano i costi successivi di costruzione. Con la legge “Luzzatti”, del 31/05/1903 si concretizzò l’istituzione di operatori autonomi per la produzione di abitazioni destinate all’edilizia economica e popolare. Quest’ultimi nel 1913 presero il nome di Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) e del comitato UNRRA-CASAS, entrambi assorbiti all’interno di enti autonomi delocalizzati e specifici per le singole Regioni (ATER per Venezia), a seguito del passaggio di competenza della questione “case popolari” dallo Stato alle Regioni. Oltre a scelte meramente economiche, dettate dalla necessità di localizzare gli interventi lontani dal centro storico per non interferire con interventi privati, fu dettata anche dall’utilità di insediare le nuove residenze in prossimità dei luoghi di lavoro. Lo sviluppo di Porto Marghera come nuovo polo industriale/commerciale, spinse l’amministrazione alla costruzione fuori dal centro storico, con un duplice intento: sfollare il centro urbano e facilitarne contemporaneamente l’espansione. Il mix di abitazioni popolari con abitazioni a libero accesso, era uno dei requisiti principali 46

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

Giacomelli, Il giardino del Mulino Stucky verso Sacca Fisola, 1890 Ufficio Municipale di Venezia, Piano di risanamento, 1886


nella realizzazione dei quartieri popolari: l’Istituto vedeva questa condizione come necessaria per evitare la formazione di “ghetti” monoclasse, che avrebbero portato all’isolamento di questa e ai successivi problemi di ordine sociale e gestionale. Nei primi anni Trenta la città era sovraffollata, le previsioni del Piano di Risanamento del 1939 prevedevano l’inserimento di 35.000 vani per dare nuova qualità alla vita urbana i quali interpretavano progettualmente esigenze e bisogni spaziali concreti. Nello stesso periodo si registrava un aumento della popolazione nell’estuario di circa 13.000 unità, fatto tutt’altro che trascurabile in rapporto alla grandezza della città originaria di 38.000 abitanti. Nel secondo dopoguerra iniziò una fase di ricostruzione. Il bisogno di abitazioni era pressante, il che spinse l’amministrazione a prediligere lottizzazioni ad alto numero di alloggi sacrificandone la qualità spaziale interna.

Anonimo, Pianta topografica della città, 1901. Dettaglio di Sacca Fisola Archivio Basaldella, Sacca Fisola vista da Sud-Est, 1939-1957 ? Miozzi, Piano di risanamento, 1939. Dettaglio di Sacca Fisola

La fase moderna e il problema identitario L’intervento dello IACP intorno agli anni ‘50 si concentra principalmente verso il cosiddetto “bordo lagunare”, questa proposta su Sacca Fisola si può interpretare come un’offerta per rallentare il flusso, oramai incontrollato, di persone che si allontanava sempre di più dalla Venezia storica alla ricerca di benessere. Sacca Fisola quindi è compresa nel “Piano generale di risanamento della città insulare” , punto di forza per adempiere al fabbisogno di alloggi. Le case popolari di tale ente dovevano trovare non solo coordinamento nel Piano di risanamento di Venezia, ma anzi formarne esse stesse parte integrante: in primis vi era la trasformazione dei fabbricati inabitabili destinati in precedenza al settore manifatturiero, la ristrutturazione dei complessi edilizi e in ultimo l’intervento sulle aree libere. Prende sempre più corpo l’immagine policentrica della città ma un caposaldo rimane ben chiaro nella mente tipica veneziana: le abitazioni sane devono appartenere alla città. Samonà infatti afferma che: “le tecniche si avvolgono del tecnicismo, mentre la ricerca del carattere formale si avvolge nel senso comune, anzi nei luoghi comuni”, mettendo in evidenzia quanto sia importante lo studio del contesto. E’ in questi anni che architetti come Samonà, Narduzzi assieme all’ing. Bertanza, Marsich e altre figure come il Prof. Raffaele Valente, si interrogano su come debba essere lo “stile di intervento” in linea con la “venezianità”. Questo cambio di rotta avvenuto nel secondo dopoguerra, è testimoniato dalla stessa Sacca Fisola nell’ambito del progetto elaborato da Duilio Torres nel 1943. Infatti, se confrontiamo SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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questo con il progetto poi realizzato successivamente da Samonà nel 1957, appare evidente la differenza di approccio dei due filoni: uno esclusivamente con intenti igienico-sanitari, l’altro con l’intento di integrare gli stessi con la questione della “venezianità”, in un quadro di sperimentazione tutto da scoprire per quegli anni. Il progetto di D. Torres e L. Bertanza è dimenticato totalmente col fatto che diviene operante la legge 17 agosto 1942, n. 1150, rendendo il progetto stesso irrealizzabile in quanto non rispettoso dei nuovi standard urbanistici. La corrente di pensiero guidata da Samonà intendeva superare la standardizzazione del razionalismo di D. Torres evitando la ripetizione di elementi isolati, favorendo invece la loro interrelazione attraverso l’uso delle corti. Alla fine degli anni ’60, con l’adozione del nuovo “Piano Regolatore per Venezia” del 1962, l’intervento a Sacca Fisola assume la sua rilevanza a livello pianificatorio. Sacca Fisola: le premesse e i criteri di pianificazione Nel secondo dopoguerra Venezia non aveva un “Piano Regolatore Generale”. Nella maggior parte delle grandi città italiane furono sostituiti i vecchi regolamenti e le stesse si dotarono di tale Piano utile per uno sviluppo controllato. Solo Venezia in quegli anni era sprovvista di regolamenti “aggiornati”. Nel 1962 venne approvato il primo PRG che mirava alla riqualificazione del vecchio tessuto senza alterarne la forma. Gli obiettivi del programma erano il risanamento del centro antico insulare e lo sviluppo per la terraferma. Tuttavia l’emergenza abitativa era talmente forte che le amministrazioni iniziarono l’urbanizzazione di Sacca Fisola nonostante il Piano fosse ancora in fase di elaborazione. Le operazioni di inurbamento dell’isola iniziarono infatti nel marzo del 1940 con i primi passi per l’acquisizione delle aree allo IACP. Nel 1957 Giuseppe Samonà pubblicò sulla “Rivista di Venezia” un rapporto sul piano di Sacca Fisola nel quale affermava le sue intenzioni e gli aspetti morfologici e sociali necessari per il risanamento di tale area. Come riportano i documenti, nel 1956 il Comitato Redazionale del PRG esaminò tre diversi progetti elaborati dallo IACP di Venezia dall’UNRRA-CASA e dall’ingegner Salmoni. I criteri con i quali l’urbanizzazione venne concepita erano sostanzialmente quattro: • formazione dell’arteria baricentrica di connessione alla Giudecca; 48

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Duilio Torres, progetto di massima per Sacca Fisola, plastico, planimetria complessiva e vista d’insieme


• nuclei residenziali alternati a “zone verdi”; • mantenimento della “venezianità” nella spazialità e negli ambienti; • realizzazione di quartieri prevalentemente nella zona compresa tra la proprietà Sade e il Canale della Giudecca. Aspetto estremamente importante è la composizione sociale: essa doveva essere varia, in modo da non trasformare il quartiere in un “dormitorio”, l’obiettivo era ospitare una collettività variamente assortita per evitare la concentrazione di una sola categoria sociale. Giuseppe Samonà: progettista o coordinatore? Alla lettura dei documenti, sembra che Samonà, contrariamente a quanto si possa pensare, abbia agito come una sorta di figura intermedia tra il Comitato e gli enti devolti alla costruzione e alla progettazione dell’isola. Dalla lettura delle fonti sembra trapelare che, inizialmente, siano stati redatti 3 progetti da 3 enti diversi, ciascuno su 3 aree diverse. Il Comitato infatti respinse i progetti invitando gli enti IACP e UNRRA‐ CASAS ad adattarli a nuove linee guida generali. Il Comune sembra essersi servito della figura di Samonà adottandola come una sorta di mediatore, con il compito di raccogliere le idee e le intenzioni presenti nei 3 progetti originali, distinti, autonomi e non dialoganti e di metterle a sistema all’interno di un unico grande Piano per Sacca Fisola. Più che un progetto elaborato dallo stesso Samonà di sua pura iniziativa, è possibile pensare che possa trattarsi quindi di un “mix” dei 3 progetti originali, come testimoniato anche dalle prime rappresentazioni che l’UNRRA-CASAS e lo IACP forniscono delle loro porzioni di progetto originali (quelle respinte inizialmente dal Comitato), che appaiono similari alla soluzione poi effettivamente realizzata da Samonà. Emerge per la prima volta un pensiero che interpreta quella vecchia volontà di far rivivere il “tipicamente veneziano”.

UNRRA-CASAS, plastici e schizzi delle prime versioni, poi scartate

Sacca Fisola: il progetto Il piano di Sacca Fisola è formato da una concatenazione di nuclei, quasi una evocazione delle corti. La concatenazione è tale perché lo spazio interno dei nuclei fluisce nei tracciati i quali a loro volta portano alle arterie principali. Le abitazioni seguono lo stesso schema relativo alla semi-corte ma contengono i capisaldi sul quali si è fondata la vita veneziana e a differenza del progetto di D. Torres i singoli fabbricati SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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sono differenti l’uno dall’altro eliminando la sequenza seriale. Il tessuto urbano è composto da isolati pressoché rettangolari, esso assume tre configurazioni, corrispondenti ai tre principali tipi edilizi contemplati o al modo di vita dei cittadini che vi dovevano essere ospitati. Essi sono i seguenti: 1. i blocchi edilizi si identificano con l’isolato stesso. Questa edilizia è disposta soprattutto lungo il percorso mediano di spina. Gli inquilini appartengono a classi sociali che non fruiscono di verde privato; le abitazioni, per compenso, godono di buona esposizione solare; 2. gli isolati contengono del verde pubblico che occupa la parte centrale, mentre lungo il perimetro hanno posto le schiere delle unità edilizie. Queste ultime sono in generale di tre o quattro piani al massimo; qualche porzione della fascia verde intermedia è di proprietà, ed è tenuta a giardino; 3. gli isolati contengono edilizia destinata a classi sociali di maggiori possibilità economiche. La composizione planimetrica di questi isolati consente una spazialità aperta e la penetrazione di visuali profonde. Gli edifici hanno valore di quinta, e costituiscono episodi spaziali singoli. Essi sono generalmente di cinque o sei piani; il verde privato poteva essere dato in dotazione collettiva agli inquilini che abitano in questi tipi edilizi. La trama dei percorsi è ordinata secondo assi, paralleli al perimetro dell’isola, fra loro perpendicolari, secondo quella che è la caratteristica peculiare della città di Venezia. Le case adiacenti a queste calli longitudinali, vivono della vita delle calli stesse in quanto mancano di spazi supplementari (orti e giardini). Lievi deviazioni d’asse e slarghi che si incontrano lateralmente, caratterizzano il percorso principale di spina in distinti episodi parziali. Un importante percorso è costituito dalla fondamenta lungo il Canale della Giudecca. La soluzione contemplava edifici disposti su piani sfalsati, tangenti allo sviluppo della riva, in modo che le visuali di scorcio (le più importanti e comprensive dell’intero quartiere) ricompongano la continuità visuale senza ricorrere ad allineamenti frontali. Sacca Fisola: il lungo cantiere L’evoluzione dell’edificato è stata caotica, in accordo con la consuetudine degli anni, nei quali non vi era una pianificazione territoriale ma ogni progetto “faceva” il Piano. La documentazione delle delibere approvate dai Consigli Comunali negli anni compresi tra il 1955 e il 1974, testimoniano anche un’altra prassi corrente, ovvero quella 50

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Archivio IUAV, riproduzioni dei disegni originali di Samonà. Pianta piano primo isolato N Archivio Giacomelli, Sacca Fisola in costruzione, 1961


pratica speculativa per la quale si tendeva a rilasciare la documentazione circa la compravendita dei terreni dopo aver effettivamente ricevuto la licenza di costruire. Questo veniva fatto principalmente per motivi economici: la compravendita di un terreno non ancora edificabile come quello di Sacca Fisola risultava estremamente meno costoso e meno conveniente per il Comune rispetto a un terreno potenzialmente edificabile. Mettendo in ordine cronologico e in sequenza le delibere che testimoniano l’inizio e la fine dei lavori, la data del rilascio del certificato di abitabilità e le convenzioni per l’acquisto dell’area suddetta relativa ad alcuni fabbricati, risulta evidente che la pianificazione dell’epoca era dettata dalle esigenze del momento e da pratiche speculative.

Archivio IUAV, riproduzioni dei disegni originali di Samonà. Prospetto e sezioni isolato N e pianta piano primo isolato P

Sacca Fisola: difficoltà e problematiche Come anticipato, per comprendere la ragione dell’esito architettonico dell’intervento, è necessario tornare al 1957. Sulla “Rivista di Venezia” n.2 del 1957, Samonà riporta una dichiarazione fondamentale: “nessuno sa dire oggi con sicurezza come deve essere costruito un quartiere che soddisfi la condizione sociale; non si tradisce il moderno guardando la tradizione, anzi interrogare la tradizione costruttiva, e la vita che in atto vi si svolge, sembra una via che può cogliere aspetti sostanziali e forme appropriate”. Lo spirito veneziano, qui, è reinterpretato in chiave moderna: i campi ordinari si svincolano spostandosi verso il concetto di “ampio spazio verde”, le strade vengono riproposte accanto ad ogni edificio in modo tale da riprendere le strutture delle calli e le grosse arterie la fondamenta. E’ percepibile un’attenzione particolare nel cercare di rendere il fronte Nord un fronte compatto, in accordo con l’isola della Giudecca. La parte Nord dell’isola, oggi costituita da grandi fasce alberate che la rendono a prima vista “estranea” al fronte della Giudecca, nel progetto è costellata da 4 grandi nuclei di abitazione, che avrebbero dovuto contribuire in realtà a ricreare la durezza del fronte tipico veneziano e a conferire la tipica conformazione alle fondamenta createsi lungo il Canale della Giudecca. Samonà affermava l’aspetto irrevocabilmente problematico del fare e il compito infinito di ricerca, secondo il quale solo uno studio portato avanti per tentativi poteva indurre ad un’unica direzione. In questa iniziativa per Sacca Fisola si riteneva di far opera coerente o almeno si era tentato di farlo, nello spirito veneziano e nelle funzioSACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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ni dell’ambiente edilizio lagunare. Si tentò di esaltare un modo di vita, una consuetudine urbana, che trovava il suo fulcro nel «campo» a bordo di canale. Le tipologie urbane non erano del tutto corrispondenti ai caratteri della zona, mancavano allora di criteri dettati da esperienze sicure e continue. L’intervento di pianificazione urbanistica è stato dunque indubbiamente produttivo, rispettando gli obiettivi economico-sociali che l’urbanizzazione del territorio si prefiggeva. Seppur la volontà e gli strumenti vi fossero, a cose fatte si notò che la disposizione al compromesso era atto di convenienza. E si vide pure che la distinzione di categorie abitative tendeva a identificare tipi sociali prima che tipi edilizi.

Conclusioni Alla luce di quanto detto, affermare che Sacca Fisola risulti un quartiere “estraneo” a Venezia è giustificabile solo parzialmente. Da sempre infatti, il grande dilemma dell’architettura è quello di cercare di rendere possibile il connubio fra modernità e tradizione. La rilettura della storia di questo luogo sembra sussurrarci che il tutto deve necessariamente essere letto contestualmente al periodo storico in cui esso si manifesta, in quanto si rischierebbe di ricadere in giudizi impropri. La necessità di creare grandi spazi fra un edificio e l’altro, la necessità del verde, l’ariosità, il grande numero di appartamenti sono tutti elementi che non trovano diretto riscontro all’interno del contesto storico della città di Venezia, ma che tuttavia rappresentano per quegli anni il primo polo del confronto, il primo elemento: la modernità. La scelta di disporre i volumi secondo un sistema di corti, di affiancare ad ogni edificio una strada, di rendere “rigido” il fronte, di ricreare il sistema “edificio-fondamenta-acqua” rappresentano quindi la “venezianità” e, in termini più generali, la tradizione. Numerosi fabbricati non furono mai costruiti rendendo il risultato finale un susseguirsi di paradossi. Le cause non sono chiare: è possibile pensare che la principale causa fu l’esaurimento dei fondi e il mancato supporto urbanistico o la presa di coscienza della trasformazione della sacca in quartiere dormitorio. A prima vista, come più volte ripetuto, la “non venezianità” di Sacca Fisola appare evidente. Tuttavia, ad uno sguardo più colto e approfondito ci si rende conto che Samonà e gli enti pubblici che hanno pianificato l’isola, altro non volevano fare che ciò che ogni progettista 52

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Vista assonometrica di Sacca Fisola nel 1940, rielaborazione degli autori Vista assonometrica di Sacca Fisola nel 1961, rielaborazione degli autori Anonimo, è iniziata la costruzione delle case nell’area ex-Fregnan


farebbe al giorno d’oggi: modellare gli elementi e le necessità del vivere contemporaneo alla tradizione. Sacca Fisola compare quindi sotto un’altra veste, ovvero quella di un frammento incompiuto e di una sperimentazione che ai nostri occhi appare insensata in quanto, in realtà, radicalmente diverso è per noi semplicemente il concetto di modernità. Gli stili di vita di oggi non sono decisamente quelli del 1957, di conseguenza risulta evidente che una parte degli elementi in gioco non è da noi capibile, se vista esclusivamente dagli occhi di un uomo del 2017. Se si riuscisse a fare un passo indietro, ci si accorgerebbe che forse questo frammento di periferia calato all’interno della città di Venezia, non appariva come tale nel 1957; che Sacca Fisola non è “sbagliata” e nemmeno “giusta”, ma è semplicemente “coerente” al proprio contesto di formazione e inevitabilmente “incoerente” rispetto alla modernità di oggi; che esso non risulta poi tanto diverso dai progetti contemporanei, i quali hanno lo stesso obbiettivo che inevitabilmente muta i suoi risultati formali e tipologici al variare delle condizioni e della storia.

2.5. Problematiche e risorse: Venezia e Sacca Fisola Analisi

CGR Parma, Sacca Fisola ortofoto, 1974 Vista assonometrica di Sacca Fisola nel 1974, rielaborazione degli autori Vista assonometrica di Sacca Fisola nel 2017, rielaborazione degli autori

Sacca Fisola, dal punto d vista urbano, presenta alcune evidenti lacune. Innanzitutto, se compariamo i servizi di quartiere presenti nelle vicinanze del tessuto storico con quelli presenti sulli’isola si comprende come essa sia sprovvista in modo piuttosto importante di alcune funzioni pubbliche importanti. All’interno dell’isola, troviamo: - una piccola farmacia; - un bar; - un circolo anziani; - una stazione dei carabinieri; - sede dell’Enel; - una chiesa; - una scuola elementare; - una sede di Poste Italiane. Sono assenti pertanto i servizi di quartiere più comuni, come possono essere un SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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supermercato, o semplici botteghe dove poter acquistare viveri o altro materiale. Dal punto di vista del sistema del verde poi, come già detto, assume connotati distintivi rispetto alla città di Venezia e alla Giudecca. Infatti, mentre Venezia e i fronti sul Canale della Giudecca appaiono come fronti duri, compatti, rigidi, a Sacca Fisola la situazione è ribaltata. Il fronte Nord di Sacca Fisola appare brulicante di vegetazione, con alberi e arbusti, contrariamente alla tradizione veneziana che vede il sistema del verde sempre “nascosto” dall’edificato. La fondamenta, che solitamente nella tradizione è in stretto rapporto dimensionale con il fronte urbano e la prospiciente laguna, a Sacca Fisola assume proporzioni ben più ampie fino addirittura a scomparire nella porzione più ad Ovest. Si evidenziano quindi 2 aspetti decisamente insoliti rispetto al contesto in cui l’isola è inserita: la presenza di elementi vegetali, come alberi e arbusti, affacciati sulla laguna e l’assenza del sistema edificio - fondamenta - acqua. Decisamente differente è anche il rapporto fra gli spazi pubblici e quelli privati, in particolare se si fa riferimento al rapporto fra gli edifici e la strada. A Venezia, l’elemento della Calle è strettamente connesso alla condizione morfologica della città: è infatti una città ad altissima densità e a misura d’uomo, dove l’assenza di traffico veicolare comporta una condizione completamente diversa rispetto agli altri centri urbani. Le Calli assumono per tanto dimensioni molto ridotte, dai 60 cm agli 1.50 m. A Sacca Fisola invece, tutto ciò non accade, in quanto il rapporto edificio-strada appare molto più simile a quanto si vede oggigiorno nelle comuni periferie, con le arterie pedonali sovradimensionate rispetto alle esigenze del traffico cittadino. Inoltre, forse consequenziale alle condizione precedente, a Sacca Fisola la popolazione è in prevalenza costituita da anziani, mentre i giovani sono perlopiù di passaggio. Tutto ciò, porta a considerare Sacca Fisola, più che come frammento di periferia integrato nel contesto veneziano, a un elemento assolutamente distaccato, quasi abbandonato. Di fatti, la sua natura di periferia è innegabile, la storia lo dimostra. Appare dunque poco coerente l’intento di modificare e stravolgere totalmente una condizione urbana che è nata proprio per non essere come il centro storico. Tuttavia, la differenza fra lo stravolgimento, la “trasformazione” di una condizione, e il suo adattamento ad un contesto nel quale si inserisce è molto sottile. Sacca Fisola si innesta, dal canto suo, in un contesto particolarmente delicato, unico al mondo. Appare dunque altrettanto sconsiderata, l’idea che essa possa configurar54

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

Sacca Fisola, vista della Chiesa e della fondamenta sul Canale della Giudecca


si come una sorta di porzione di centro urbano qualsiasi (come può essere Mestre) impiantato a Venezia. Questo perché, specialmente a Venezia, la popolazione sente molto il richiamo della tradizione, e la facoltà di riconoscersi o meno all’interno di un contesto è anche causata dalla presenza o meno di elementi figurativi, di stereotipi che appartengono all’immaginario della città. L’assenza di una fondamenta, la presenza insolita del verde, la dimensione delle strade, sono tutti elementi che portano gli abitanti a sentirsi quasi estranei, perché inseriti in un ambiente totalmente estraneo. Sembrerebbe opportuna invece un’opzione di compromesso. L’identità dell’isola, così come configurata, deve necessariamente rimanere, ma d’altro canto è pressante la necessità di renderla più vicina ai veneziani e agli abitanti in particolare, sfatando il pericolo di una marginalizzazione sempre più forte. La scelta appare in qualche modo giustificata anche dagli intenti progettuali di Samonà e quindi dal “come” questa isola doveva sorgere originariamente. Intenti che, come detto, sono stati estremamente distorti dalla mancata realizzazione di alcune porzioni. Ultimo aspetto che costituisce una criticità sta nella vetustà degli edifici presenti. Pur marcando in modo marcato l’identità dell’isola, gli edifici appaiono talvolta vuoti. Questo sta, principalmente, nella differenza di esigenze abitative che sussistono fra il modo di vivere a noi contemporaneo e il modo di vivere del 1960. Gli alloggi infatti sono serviti da un solo vano scala, il che aumenta considerevolmente i costi di gestione delle zone comuni, e soprattutto appaiono fortemente inadeguati dal punto di vista dimensionale alle esigenze odierne. Si tratta infatti di appartamenti di 4/5 persone, con un solo bagno e senza la consueta suddivisione fra zona giorno e zona notte. Questo, se si osservano le dinamiche dei nuclei familiari odierni, appaiono fuori luogo, così come le dimensioni stesse dei locali che appaiono sproporzionate (una camera singola misura attorno ai 10/12 mq), il che influenza in modo determinante il costo di acquisto dell’appartamento. Se colleghiamo ciò con la scarsa efficienza energetica degli alloggi, in quadro si completa.

Sacca Fisola, sistema dei servizi e sistema del verde

Tuttavia vanno evidenziati alcuni elementi positivi, come la grande presenza del verde all’interno delle corti e soprattutto l’ottima connessione con Venezia e Giudecca. Infatti, sono presenti ben 2 fermate del vaporetto, entrambe sul fronte Nord, che collegano in maniera molto agevole Sacca Fisola col centro storico e la Giudecca. E’ presente anche un’ attività settimanale di mercato all’aperto, che viene svolta in SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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piazza, e che sicuramente aumenta la possibilità di relazione fra gli abitanti, favorendo l’amalgama sociale e sopperendo almeno in parte all’assenza di alimentari o negozi per gli acquisti. Elemento sicuramente a favore dell’isola, in quanto potenzialità, è la grande presenza di spazi vuoti, soprattutto al piano terra, che in un ottica di rigenerazione potrebbero assumere il ruolo di ottima risorsa. Aspetto più importante è legato all’identità di questo luogo. Come verrà ripreso più avanti, è innegabile che le scelte urbanistiche fatte in quel determinato periodo segnino una porzione importante della storia dell’architettura italiana e non solo. Gli edifici ne sono i portatori fisici. L’isola, così come le altre operazioni fatte in questo periodo, sono facilmente riconoscibili all’interno del tessuto urbano, denotando quindi una propria forte identità. Esigenze Le scelte architettoniche alla base del progetto, se da un lato hanno un obbiettivo compositivo e costruttivo, non possono essere sconnesse dalle reali esigenze della popolazione. Pertanto, è stata eseguita in fase di analisi una piccola indagine atta a carpire i reali bisogni dei cittadini e le loro richieste. Sono state eseguite 10 interviste a 10 soggetti diversi. Si riporta di seguito sinteticamente il contenuto delle principali. Ad un campione più vasto, 30 persone, è stato posto un piccolo questionario al fine di capire in modo anonimo e speditivo, le esigenze funzionali degli stessi. Pur non essendo significativi dal punto di vista quantitativo e statistico, visto lo scarso numero di campioni utilizzato, sono comunque dati significativi che fanno meglio comprendere dal punto di vista qualitativo le esigenze e le sensazioni degli abitanti. Intervista 1, Luca, 38 anni D1. “Quali sono gli aspetti per i quali Lei ha piacere a vivere qui e quali aspetti secondo Lei sarebbero da migliorare?” R1. “Sicuramente qui la situazione è meno caotica rispetto al centro. Meno turismo di massa, meno sporcizia, meno casino. Di brutto c’è che ci sentiamo un po’ isolati...” D2. “Cosa intende per isolati? Come mai avete questa sensazione?” R2. “Essendo isolati proprio fisicamente dal centro, anche se ben collegati, ci sentiamo un po come fossimo dei foresti. Poi questa cosa è anche accentuata dal fatto che 56

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

Sacca Fisola, viabilità e connessioni con Venezia e la Giudecca


ci sono pochi servizi, mancano i negozi anche di prima necessità perché il mercato settimanale non può comunque darci tutto ciò che ci serve. Quindi ogni volta dobbiamo prendere il vaporetto per andare a fare spesa di là o anche solo per andare dal medico, e mia madre che è anziana per esempio fa molta fatica. Poi non c’è un ufficio comunale quindi anche per fare riferimento al Comune bisogna attraversare il Canale ed è molto scomodo.” Intervista 2, Mauro, 65 anni D1. “Cosa manca a questa isola? sempre che manchi qualcosa...” R.2 “La cosa che sento di più è la mancanza di un centro medico adeguato. Comincio ad essere anziano e inizio ad avere sempre più problemi. Per andare dal medico devo ogni volta andare in Giudecca e non è comodissimo”. D.2. “Se potesse chiedere una cosa che vorrebbe realizzata nel suo quartiere, cosa chiederebbe?” R.2. “Beh sicuramente un centro medico, almeno degli ambulatori per noi anziani. E poi anche un rifacimento del verde che in alcuni punti è un pò fatiscente. Poi se si potesse chiederei degli altri posti dove poter stare al chiuso in compagnia perché il circolo è piccolo e siamo in tanti, quando è inverno fa sempre piacere bersi un po di vino in compagnia!” Intervista 3, Sara 30 anni D1. “Che aspetti postivi ha secondo Lei vivere qui? Lo consiglierebbe?”

Sacca Fisola, vista dal margine Est dell’isola, dal Ponte dei Lavraneri Sacca Fisola, vista di un edificio da Calle Figher

R1. “Beh, sicuramente lo consiglierei per alcuni aspetti, meno per altri. Sicuramente l’idea di essere in uno spazio periferico, lontano dal turismo di massa e dai grandi negozi ci rende un po più tranquilli, e anche perché ovviamente il prezzo delle abitazioni è più basso. Certo è che l’assenza di alcuni servizi anche amministrativi si fa sentire... ” D2. “Lei ha figli? com’è per loro la vita qui?” SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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R.2. “Si, ho due figli di 8 e 13 anni. Loro si trovano bene, perché c’è tanto verde, parchi gioco e campo da calcio. Però per noi genitori a volte è davvero difficile... Quando erano piccoli non sapevo mai a chi mollarli in estate perché dovendo lavorare a Mestre, dovevo lasciarli ai nonni... Ma i nonni, che vivono qui, andavano al circolo o dormivano e i miei figli si stufavano o rompevano le scatole ai nonni... Se ci fosse un luogo, uno spazio anche minimo dove poter lasciare i bambini sorvegliati ma senza impedir loro di giocare, stare in compagnia, fare i compiti sarebbe davvero un passo avanti secondo me. Poi eravamo in difficoltà sull’ aspetto medico, non c’è un pediatra quindi tutt’ ora per andare dal medico devo prendere il vaporetto e portarli in centro. Ovviamente lo stesso discorso si può fare anche per i negozietti, che qui non ci sono... ripeto, è un bene che non ci siano le grandi catene ma almeno un pò di dotazione secondo me si... Si riporta di seguito il risultato del questionario. Quali servizi vedreste più volentieri nella vostra città? Ambulatori/studi medici 9 persone Scuola infantile 2 persone Piccoli negozi artigianali/bar 9 persone Spazi ricreativi per anziani e bambini 8 persone Uffici amministrativi 1 persona Nessuno di questi 1 persona Catene multinazionali 0 persone Quale categoria di utenze sarebbe a voi più gradita? Studenti 14 persone Nuclei familiari provenienti dal centro storico 9 persone Nuclei familiari provenienti dall’esterno 3 persone Turisti occasionali (permanenza 1/2 mesi) 3 persone Stranieri provenienti dal centro storico e non 1 persona Turismo di massa 0 persone nessuno 0 persone 58

SACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

Sacca Fisola, vista del “terminal passeggeri” di Venezia Sacca Fisola, vista del campo da calcio


Vi sentite emarginati, esclusi da Venezia? Si 19 persone In parte 7 persone No 4 persone Quali aspetti introdurreste, rafforzereste o manterreste per invogliare la gente a venire qui? Introdurre possibilità di lavoro a km 0 9 persone Incentivare l’economicità degli alloggi 8 persone Introduzione di grandi poli culturali 6 persone Potenziare il collegamento al centro storico 4 persone Mantenere la presenza del verde 3 persone Introdurre grandi negozi multinazionali 0 persone

Conclusioni e riflessioni

Sacca Fisola, fermata del vaporetto da Calle del Fisar. Sacca Fisola, vista di un edificio residenziale

Da queste brevi dinamiche, si può comprendere come gli abitanti di Sacca Fisola si sentano per la maggior parte esclusi dalla città ci Venezia. Questo in quanto la mancanza di servizi principalmente di assistenza (quali ambulatori medici, spazi ricreativi sorvegliati, bar, uffici di riferimento comunali ecc) è uno degli elementi ricorrenti sia nelle interviste che nel questionario. Altro elemento particolarmente sentito è l’assenza di centri culturali, in cui i bimbi (ma anche le persone comuni) possano studiare o semplicemente passare il proprio tempo in maniera proficua (come per esempio biblioteche, spazi gioco...). Questo è anche il motivo principale per cui gli studenti sono una categoria ben accetta, in quanto da un lato vengono visti come nuova linfa per una popolazione dall’età media alta, dall’altra sono visti anche come vettori di cultura in grado di spingere le amministrazioni a redigere dei poli culturali anche per i residenti. Dalle interviste, si evince anche come la presenza di botteghe e negozi venga ben vista all’interno del quartiere, mentre la vicinanza del luogo di lavoro continua a rimanere un must nella scelta del luogo in cui abitare, assieme al prezzo delle case. Si può concludere che a Sacca Fisola i bisogni più pressanti e le azioni da intraprenSACCA FISOLA: FRAMMENTI DI UN PASSATO PROSSIMO DIMENTICATO

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dere per migliorare la vita degli abitanti e intraprendere un rinnovamento generazionale sono: - aumento dei servizi di quartiere, in particolare ambulatori, botteghe e uffici amministrativi di riferimento; - predisposizioni di spazi neutri per anziani e bambini; - intensificazione dei poli culturali; - introduzione di luoghi di lavoro interni all’isola a km 0.

Sacca Fisola, sprazzo erboso a Sud Nella pagina a fianco Dualità fra il Piano di Samonà e la condizione attuale, rielaborazione degli autori 60

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Tav. 01 Inquadramento

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Tav. 02 Giudecca: il processo formativo

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Tav. 03 Sacca Fisola: il processo formativo

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Tav. 04 Emergenze e ipotesi

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Tav. 05 Il quadro tipologico

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Tav. 06 Le strategie

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Tav. 07 Planivolumetrico: plastico

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Tav. 08 Planivolumetrico

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Tav. 09 Attacco a terra

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Dal punto di vista compositivo, la scelta è stata quella di reintrerpretare la rigidità dei fronti veneziani porspicienti al Canale della Giudecca nonchè della Giudecca stessa, attraverso una sequenza ritmata di elementi verticali (le “pinne”) che connotano architettonicamente il nuovo prospetto Nord dell’ Isola. Il principio insediativo adottato quindi, se da un lato vuole riprendere alcuni elementi della tradizione, dall’altro si scardina da essi, incentrandosi sulla volontà di garantire la maggiore permeabilità possibile al piano terra, per godere della vista sulla città storica e sulla laguna. Esso viene modellato di pari passo al principio costruttivo: gli elementi verticali che ritmano e scandiscono la facciata costituiscono anche i nuclei portanti e impiantistici degli alloggi. Essi sono collocati nelle braccia centrali dell’impianto ad “L”, nel quale un elemento architettonico di testa chiude il sistema confrontandosi volumetricamente con lo Stucky, mentre un secondo elemento di chiusura si rapporta proporzionalemente alla cortina urbana esistente. Gli alloggi sono pensati in coerenza con le condizioni del vivere contemporaneo: dinnanzi all’evoluzione continua del nucleo familiare e alle ristrettezze economiche, prevedono un certo grado di flessibilità spaziale e funzionale, garantito grazie all’utilizzo di un sistema prefabbricato a secco che permette l’ampliamento dell’alloggio in caso di necessità. Gli alloggi, simplex e duplex, sono quindi per nuclei di 2 o 3 persone, ampliabili fino a 4 o 5 senza rinunciare tuttavia alla qualità.


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La residenza contemporanea un sentito ringraziamento a: prof. Pierantonio Val arch. Andrea Praolini prof. Luca Boaretto prof. Roberto Di Marco


La residenza contemporanea con il contrinuto di: prof. Pierantonio Val arch. Andrea Praolini prof. Luca Boaretto prof. Roberto Di Marco

3.1. La nuova condizione sociale La società italiana è oggi al centro di un rapido e sempre più veloce processo di trasformazione nella struttura demografica, nella sua connotazione etnica e culturale e negli assetti familiari. Questo fenomeno di trasformazione è davanti agli occhi di tutti, anche se ancora troppo spesso la politica e gli stessi mass media fanno finta di non vedere, o danno di questo processo irreversibile in atto una descrizione limitata, funzionale all’esigenza giornalistica o di opportunità politica del momento. Di fronte ad una politica sempre più chiusa nei palazzi del potere e totalmente sconnessa dalla realtà, oggi siamo qui, operatori economici, tecnici, professionisti ed esperti osservatori della società, giovani imprenditori, perché non possiamo attendere oltre i tempi della politica: il desiderio di garantire alle nostre realtà produttive un futuro in una società in trasformazione, ci chiama al bisogno di capire cosa sta accadendo. Una società sempre più anziana La mancanza di lavoro, l’ampio clima di incertezza ed instabilità professionale, mescolati con le maggiori difficoltà economiche degli italiani, stanno ponendo un serio intoppo, soprattutto per i giovani, alla capacità di organizzare percorsi di vita e di programmare la costituzione e l’allargamento del proprio nucleo familiare. Nel 2016 sono nati in Italia 474 mila bambini, il peggior risultato dall’Unità d’Italia ad oggi. Sono dati che parlano chiaro: l’invecchiamento della popolazione in Italia è un elemento strutturale, reso ancora più evidente dalla crisi economica. Allungare l’inserimento nel modo del lavoro ai giovani, impedendo la possibilità di ottenere l’indipendenza economica in modo da non poter lasciare la casa dei genitori per formare a loro volta una famiglia non fa altro che diminuire la natalità all’interno del nostro sistema portato avanti in parallelo da una mortalità sempre più in discesa grazie al progresso nel campo medico e tecnologico per l’aiuto nella vita mondana. La combinazione tra aumento della vita media e decremento del tasso di fecondità genera indici di vecchiaia e di dipendenza alle stelle in Italia, tra i più alti al mondo. La popolazione anziana (over 65) rappresenta il 21,7% della popolazione, contro una media europea del 18,9%. È il dato più alto di tutta Europa. I processi in corso sopra riportati proseguiranno il loro trend, aggravando il processo di invecchiamento della popolazione in Italia, a meno di una svolta epocale nelle politiche sociali che sia in grado di mutare i comportamenti degli individui e delle 82

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA


famiglie. Il tutto affiancato dalla continua emigrazione dei giovani laureati sempre più marcata verso il nord Europa. La somma di tali condizioni ci porta ad ottenere una crescita irrisoria, tanto che la possiamo definire pari a zero. Il cambio generazionale è sempre più posticipato e le previsioni per il futuro pongono uno scenario sempre più preoccupante. Una società sempre più multietnica La società multietnica è il frutto di un processo storico ormai inevitabile. Nonostante i politici abbiano cercato e cerchino di regolamentare i flussi migratori mediante fantomatiche leggi, l’immigrazione verso il nostro Paese, o verso i Paesi “ricchi” in generale, è inarrestabile. L’individuo in generale tende a un “bene maggiore”. Per questo molti individui originari di Paesi sottosviluppati, danno vita a flussi migratori verso Stati che godono di una migliore situazione economica. Ad oggi gli stranieri in Italia sono arrivati a quota 5,8 milioni, di cui 5 milioni regolarmente iscritti all’anagrafe di qualche Comune. E ora rappresentano il 9,5% della popolazione residente, facendo dell’Italia uno dei principali Paesi europei nell’ambito dell’immigrazione: il 14,5% degli stranieri presenti nella Ue è infatti residente nel nostro Paese, quando l’Italia nel suo complesso contribuisce solo per il 12% al totale della popolazione Ue. Il consistente apporto di popolazione straniera, prevalentemente costituita da giovani in età da lavoro, rappresenta un elemento imprescindibile nell’ottica del riequilibrio dei vuoti generazionali che caratterizzano la popolazione italiana. Una famiglia sempre più nuova Se si studia più a lungo, si fa sempre più fatica a conquistare un’autonomia economica, mentre di contro, l’offerta abitativa specie nelle grandi città risulta tutt’altro che accessibile. Non stupisce che la permanenza nella famiglia di origine tenda a prolungarsi considerando inoltre che la capacità reddituale anche dei giovani lavoratori, fortemente condizionata dalle difficoltà nell’entrare nel mercato del lavoro o dallo svolgere occupazioni dalle forme atipiche, rappresenta un vincolo importante nella ricerca dell’autonomia economica e abitativa dalla famiglia di origine, a scapito dei progetti di vita individuali. In generale, la crisi ha intaccato fortemente le capacità reddituali dei giovani italiani LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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che hanno cercato di contrastare come possibile le minori disponibilità economiche. Data l’assenza di risparmi accumulati che avrebbero potuto compensare le minori entrate, i giovani, soprattutto di età compresa tra i 18 e i 24 anni, hanno deciso di rimandare proprio l’acquisto della casa in attesa di trovare una migliore condizione lavorativa. Le condizioni economiche dei giovani sono alla base dei percorsi abitativi soprattutto per quanto riguarda la scelta tra affitto e proprietà. Per molti giovani, infatti, l’affitto o la convivenza con i genitori, non rappresenta un’alternativa ma un obbligo, che tende ad attenuarsi con l’età e la carriera lavorativa (si spera). A pagare canoni più onerosi sono sia le coppie senza figli, che sono anche quelle con una maggior capacità di spesa, che quelle con figli, che necessitano di abitazioni più spaziose e confortevoli anche se lo loro condizione reddituale è più svantaggiosa rispetto alla media della popolazione giovane. Una mercato sempre più univoco L’Italia è un Paese con un mercato del lavoro rigido, caratterizzato da una mobilità fortemente limitata, con una società permeata dal mito del “posto fisso” e anche per questo, poco competitivo. A ciò contribuisce anche un mercato immobiliare altrettanto immobile, fortemente improntato su un secondo mito della società italiana, ovvero quello della “casa di proprietà”. Le nuove realtà aziendali in cambio del raggiungimento professionale dell’individuo impongono una continua formazione e ad una ricercata mobilità sul territorio nazionale e oltre facendo si che quei dogmi impressi nella mente dell’italiano medio siano abbattuti generando scompiglio e dubbi. Il mondo cambia, ed è inevitabile. Noi in quanto individui cerchiamo di reagire al cambiamento sperando di non dover più fronteggiare tale mutamento. Il Paese non può più aggrapparsi a tale concezione sociale e deve farsi promotore del nuovo pensare e agire di conseguenza. L’Italia non può permettersi di rimanere indietro anche in questo campo. Le imprese seguite da un piano legiferativo adeguato devono cercare di offrire prodotti in locazione, non necessariamente di edilizia sociale, ma semplicemente “in affitto”: un mercato di sbocco, quello della locazione, che già molti di noi praticano in maniera residuale, ma che nel tempo è regredito in Italia (mentre negli altri Paesi è cresciuto in maniera esponenziale), probabilmente in quanto percepito erroneamen84

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

Costo medio per Nazione del canone mensile di locazione in percentuale al reddito famigliare. L’Italia si pone a metà grafico con un dato di 19.1 % Dati TreuNumbers settembre 2017


te come rischioso, complesso e poco redditizio. Vi è certamente un problema di “offerta sociale”, di fronte all’acuirsi del problema dell’accesso alla casa come bene primario, ma prima di tutto leggiamo, nel futuro delle nostre imprese, la necessità di intercettare situazioni di vita sempre più volatili, temporanee, mutevoli, dando vita ad un solido mercato dell’affitto libero, convenzionato e sociale e con formule di riscatto.

3.2. Flessibilità e modificazione continua

Mies Van der Rohe, Pianta case Weissenhof, 1927

La modificazione continua come risposta Come sosteneva Mies Van der Rohe, la differenziazione delle esigenze abitative richiede necessariamente la massima libertà d’uso dello spazio. E’ in tale concetto che si inserisce il dispositivo del patio come riserva spaziale, una superficie aggiuntiva a disposizione degli utenti che possono utilizzarlo e personalizzarlo a loro piacimento. Cambiamenti di destinazioni d’uso, addizioni, adeguamenti sono pratiche oramai consolidate e che stanno sempre più entrando prepotentemente all’interno dello scenario abitativo contemporaneo, sfatando il mito della “casa immutabile”, ovvero dell’abitazione che, una volta ultimata, mantenesse inalterate le sue caratteristiche spaziali all’interno di un contesto di anonimato, anche figurativo, che non consentiva l’appropriazione e la riconoscibilità della cellula abitativa. Il riallestimento dello spazio domestico va di pari passo al mutare delle esigenze abitative. Sempre più dunque, si rileva il passaggio dello spazio abitativo da spazio stabile e immutabile a spazio instabile che, pur mantenendo la sua identità spaziale, è sottoposto a continue manomissioni da parte degli abitanti. Questa è un’ operazione insita nella natura dell’uomo: la distinzione e l’angoscia dell’anonimato, come sostiene Pierre Bordieu, sono le ossessioni dell’uomo contemporaneo, che più che essere preoccupato dall’ignoto, lo è dall’essere ignoto, dal non essere riconosciuto. Ogni individuo agisce all’interno della propria casa con gesti che possono riguardare anche le più comuni attività quotidiane che scatenano trasformazioni dello spazio abitativo, lo adeguano, lo plasmano attorno alla personalità e alle esigenze dell’abitante. In questo ambito, la presenza di spazi neutri in grado di fornire elevato grado di perLA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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sonalizzazione all’utente, svolge oggi un ruolo fondamentale. Il patio è proprio uno di questi. Tuttavia, la sfida rimane quella di riuscire a mantenere l’ordine prefissato senza sconvolgere lo scheletro della composizione e il suo funzionamento nonostante le modifiche imposte dall’evoluzione delle esigenze dell’abitante. Un esempio illuminante si ha nel quartiere Quinto di Malagueira di Alvaro Siza. Qui, gli abitanti si sono tramutati in costruttori applicando piccole modifiche al complesso, spinti dal continuo desiderio di personalizzazione ma soprattutto a seguito delle loro esigenze abitative. Sono infatti via via comparse cornici intorno alle finestre, tettoie in metallo ecc ma i protagonisti sono stati soprattutto gli spazi aperti delle corti e dei balconi. Essi si sono prestati a integrazioni volumetriche, nuovi corpi edilizi, forme parassitarie sorte sulle strutture preesistenti. Tuttavia, il disegno di impianto generale, definito dalla serialità delle case a patio, rimane ben visibile anche dopo le trasformazioni, resistendo quindi ai sussulti individuali dettati da libertà animate da esigenze distinte. La flessibilità Un sistema è definito più o meno flessibile in virtù della sua capacità di variazione rispetto a una configurazione iniziale o di base, in riguardo a un certo arco temporale. Le esigenze di flessibilità sono una conseguenza della specializzazione degli spazi nei confronti delle funzioni: la forte specializzazione genera un’alta determinazione di configurazione e attrezzature, cioè molti vincoli e perciò poca flessibilità. Per quanto riguarda l’architettura, una prospettiva di flessibilità può darsi in risposta a diversi fenomeni, tra loro collegati: la velocità con cui possono avvenire cambiamenti di esigenze nell’attuale momento storico-culturale; la sempre maggiore riduzione degli spazi, a cui consegue la necessità di svincolarli da un uso univocamente definito. L’edificio residenziale si può intendere flessibile in vari modi: 1. considerando la questione dal punto di vista spaziale e fisico, a seconda della scala dell’intervento: flessibilità di un singolo ambiente, dell’intero alloggio, dell’edificio. Quest’ultima è più realistica intesa come capacità di realizzare variazioni rispetto a una configurazione di base piuttosto che come reale variazione dell’edificio nel corso del tempo; 2. dal punto di vista costruttivo, a seconda della scala degli interventi possiamo distinguere tra gli estremi della flessibilità leggera, qualora si tratti semplicemente di 86

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

Alvaro Siza, Quartiere Quinto di Malagueira, 1976


spostare qualcosa di semovente, e pesante, allorché si debba demolire e ricostruire parte dell’edificio; 3. dal punto della scala temporale, distinguiamo tra un cambiamento giornaliero (tipico il caso della differenziazione giorno/ notte), un cambiamento a medio termine (nell’arco di una stagione) e uno a lungo termine (alcuni anni o addirittura il ciclo di vita dell’edificio).

Louis Khan, Richards Medical Center, 1957

L’evoluzione dello spazio domestico è legata ai cambiamenti dei modi di vita. Ma l’offerta del mercato della casa oggi, rivolto per la maggior parte allo stereotipo della famiglia tradizionale ha scarse relazioni con la pluralità e le dinamiche reali della società caratterizzata da mobilità del mercato del lavoro, contaminazioni tra culture diverse ecc. Ci sono invece sperimentazioni di modelli abitativi innovativi che cercano di rispondere ai nuovi modelli. Il tema della flessibilità coinvolge profondamente il senso e la natura stessa dell’architettura. In senso generale la flessibilità è la capacità di adattamento ad una trasformazione possibile. Un primo fondamento della flessibilità riguarda la capacità definita in sede di progetto di mantenere la propria identità, pur accettando elementi fissi che consentano una variabilità nell’uso. Una ricerca emblematica è il lavoro di Louis Khan: la separazione tra spazi serviti e spazi serventi definisce un ordine tramite nuclei stabili che permettono di determinare flessibilmente gli spazi. Progetti come i laboratori Richards a Philadelfia, dove gli impianti trovano uno specifico ed emblematizzato collocamento nelle torri verticali annesse ai piani abitati, o nei Salk Laboratories in California, dove i piani della ricerca si alternano a piani tecnici impiantistici, mostrano come in tipologie limite, per funzioni altamente specifiche la flessibilità implichi spazi accessori, di servizio, affiancati a quelli usati che risultano così liberi da vincoli. In questo senso il progettista introduce un aspetto centrale: la flessibilità richiede nuclei di stabilità per potersi determinare. La complessità del progetto sta nell’individuare come e quali debbano essere. Va sottolineato come la ricerca di L. Kahn introduca un altro principio legato alla flessibilità intesa come spazio neutro, legato alle potenzialità offerte dalla tecnologia che permette grandi luci costruttive rendendo lo spazio completamente disponibile. Ci sono diversi tipi di flessibilità qualitativa o quantitativa. Flessibilità iniziale: riguarda la possibilità di modificare l’alloggio prima che sia terminato grazie ad un’interazione progettista-utente. LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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Flessibilità permanente: possibilità di modificare lo spazio nel tempo. L’introduzione della dimensione temporale nello spazio abitativo, in rapporto all’evoluzione del nucleo domestico e all’opportunità di riuso di edifici preesistenti, comporta progetti che predispongano la flessibilità nel tempo. Le variazioni qualitative possono essere suddivise in: • mobilità: la capacità di modificare la configurazione dello spazio interno rapidamente e facilmente per adattarlo alle differenti attività svolte nei diversi periodi della giornata; • evoluzione: possibilità di modifiche di lunga durata dovute a cambiamenti della struttura familiare. • elasticità: la possibilità di aggiungere degli spazi (uno o due stanze). Le variazioni da un punto di vista quantitativo si articolano invece in: 1. variazione all’interno di una superficie costante, ossia consentire la disaggregazione di porzioni che possono divenire autonome. Tale operazione può per esempio essere facilmente attuabile mediante la previsione di impianti multipli e l’incremento di ingressi in rapporto ad un connettivo di distribuzione appositamente concepito. Le variazioni che si possono verificare nei nuclei possono richiedere differenti soluzioni distributive dell’alloggio originario, per esempio la presenza di una persona anziana o di un figlio che diviene adulto può comportare la necessità di disporre all’interno dell’abitazione di uno spazio completamente autonomo, anche se magari in diretto rapporto con la cellula originaria. In tali eventualità è necessario analizzare in sede dí progetto quali predisposizioni consentono dì variare e moltiplicare il numero di unità senza che si debba intervenire pesantemente sulle murature e sugli impianti. Da un punto di vista distributivo la maggior difficoltà è legata alla previsione di più blocchi servizio o di asole che consentano di incrementarne il numero in fasi successive. Tali predisposizioni possono di per se costituire un costo aggiuntivo in fase iniziale, ma consentono poi di adeguare l’alloggio a nuove esigenze senza doverne cercare uno nuovo. Nel progetto di soluzioni flessibili è necessario intervenire anche sulle caratteristiche del connettivo e delle parti comuni dell’edificio che devono consentire l’apertura di più ingressi per ogni alloggio. Uno degli interventi più semplici per incrementare la superficie dell’alloggio è quello di chiudere gli spazi esterni privati in modo da aumentare la superficie e definire nuovi vani. 2. variazione all’interno di un volume costante: si tratta di incrementare la superficie 88

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

Le Corbusier, Maison Loucheur, 1929


Rietveld, Casa Schroder, 1924. Pianta pianto primo con divisorie semovibili

abitabile all’interno di volumi globali costanti, mediante: • la chiusura di spazi esterni; • l’appropriazione di spazi inizialmente, comuni, quali per esempio spazio di connettivo o locali condominiali, appositamente progettati per costituire “superficie dì riserva” degli alloggi; • il frazionamento di volumi a doppia altezza, appositamente predisposti all’interno dell’abitazione; 3. incremento di superficie e di volume dell’abitazione, mediante la chiusura di spazi esterni predisposti in fase di progetto e di costruzione. Tale operazione risulta ovviamente meglio attuabile nel caso di abitazioni singole o a schiera, ma è comunque ipotizzabile anche in edifici pluripiano, purché gli incrementi siano dimensionalmente più contenuti. La Schroder House, costruita nel 1924 da G.T. Rietveld per una vedova con i suoi tre figli, è il paradigma della flessibilità nella casa moderna. Il primo piano, dedicato al soggiorno alternatamente al dormire, è una complessa macchina dove non esistono divisori fissi e tutto è mutevole. La possibilità di cambiare la configurazione è assicurata dal posizionamento centrale del vano scale assieme alla canna fumaria, su cui si annettono tutti gli ambienti. Ma quali strategie possono, a prescindere dalle risoluzioni specifiche e di dettaglio, improntare l’architettura alla flessibilità? Vi sono due strategie di base. • La prima è la strategia del centro. Riprendendo la distinzione operata da Louis Kahn tra spazi di servizio e spazi serviti, e la distinzione “lecorbusiana” tra ossatura e rivestimento, si può affermare che raggruppare tutte le funzioni “dure”, tecniche, minute, in un blocco centrale, permetta di avere il massimo di libertà nella configurazione della facciata e nell’organizzazione degli spazi attorno. • Una seconda strategia elementare di base è quella dell’organizzazione per fasce (o bande), che consiste nell’affiancare distribuzione, servizi e “oggetti”, e spazi d’uso liberi. Tale concetto lo ritroviamo nelle case a ballatoio, negli appartamenti di S. Saitowitz ma anche nella città lineare e nel progetto di Rem Koolhaas per il Parc de La Villette a Parigi. La flessibilità consiste nell’indeterminazione con cui possono stabilirsi i limiti tra i vari spazi delle bande (es: soggiorno-camera, etc.), ma anche gli accessi reciproci tra le bande stesse.

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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3.3. Il sistema costruttivo Tipologia “a secco” I sistemi di costruzione a secco sono una pratica costruttiva impiegata fin dalle epoche più antiche per costruire baracche, mura ciclopiche e megalitiche; viene utilizzata anche oggi, ma in chiave differente mediante l’impiego di nuovi materiali e componenti e quasi sempre leggeri per costruire soluzioni architettoniche innovative sfruttando esperienze di montaggio odierne. I vari componenti prodotti in officina e già parzialmente assemblati prendono il posto dei materiali già ampiamente conosciuti come legno e pietra. Le imprese immobiliari nella nostra penisola hanno generato delle abitazioni e costruzioni ad uso residenziale eseguiti quasi per la totalità con la tecnologia detta “ad umido”, cioè con elementi in laterizio di diversa forma combinati con malte di varia natura e da calcestruzzo armato. In altre regioni d’Europa (e del mondo) invece, si sono sviluppate le tecniche di costruzione dette “a secco”, cioè con l’assemblaggio di materiali stratificati di vario tipo, su una intelaiatura leggera e resistente di acciaio o legno o nelle soluzioni ibride in calcestruzzo armato. La tecnologia stratificata a secco è l’alternativa al sistema tradizionale umido laterocementizio. La costruzione stratificata a secco prevede tre stadi funzionali: 1. Involucro esterno; 2. Struttura; 3. Involucro interno. L’involucro esterno, formato da materiali industriali in grado di garantire le prestazioni richieste dal progettista, è costituito da un rivestimento, realizzato da lastre in cemento alleggerito fibrorinforzate, in parte intonacate o rivestite, formanti un’intercapedine di ventilazione delle facciate, con spessore variabile in funzione dell’esposizione cardinale; quindi andando verso l’interno, una serie di stratificazioni con funzioni meccaniche e ambientali specifiche come la resistenza alla spinta del vento e all’intrusione, impermeabilizzazione, isolamento termico con diverse caratteristiche di attenuazione, sfasamento o inerzia termica, isolamento acustico, il tutto supportato da guide, montanti e profilati. 90

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

Rapporto tra tecnologia stratificata a secco e sostenibilità. Lo schema evidenzia come la natura meccanica alla base del sistema costruttivo possa condurre ad elevate prestazioni a un’analisi condotta in termini di CLA Tecnica del ballon frame


La struttura, di norma, è costituita da telai realizzati in opera con elementi precostituiti che possono essere, nel caso di edifici di modeste dimensioni e altezza, strutture a scheletro in legno massiccio o lamellare (tecnica particolarmente indicata nelle zone di costruzione limitrofe alle aziende produttrici). Per edifici di dimensioni maggiori le strutture sono realizzate con scheletro in ferro che offre, leggerezza e velocità di montaggio, oppure da strutture a telaio in calcestruzzo armato. L’involucro interno, è costituito da un’ulteriore stratificazione di materiali di coibentazione, da barriera al vapore e da lastre di rivestimento in gesso rivestito o in gesso fibra, con caratteristiche di resistenza meccanica e di idrorepellenza diversa a secondo degli ambienti interni con cui devono interagire, sempre supportate da un’orditura metallica, all’interno della quale trovano posto, in una programmata sequenza meccanica, gli impianti tecnologici. La tecnologia stratificata a secco ha molti vantaggi rispetto alla tradizionale tecnica a umido: • il primo vantaggio è quello di essere, ad oggi, il sistema di costruzione più sostenibile, in quanto minimizza l’uso dei materiali e quelli utilizzati sono biocompatibili e in gran parte riciclabili; • permette un grado di flessibilità più ampio in quanto una possibile riconfigurazione dell’alloggio non implicherebbe una potenziale demolizione ma solamente uno smontaggio e successivo assemblaggio delle pareti divisorie, innescando un sistema a catena che può essere adottato anche alla volumetria stessa annettendo alla struttura nuovi vani o togliendo quelli in eccesso generando un organismo in grado di evolversi nel tempo e alle circostanze; • il tempo di realizzazione della costruzione, che dopo essere stata progettata, viene montata in un tempo ridotto rispetto alla costruzione tradizionale e ricordiamo che stretti tempi di costruzione significano un risparmio sui costi dell’immobile finito; • vi è un’ottima integrazione con il sistema impiantistico il quale non prevede la rimozione di parti del rivestimento come nel caso del laterocemento ma è semplicemente inserito all’interno di appositi vani che a loro volta possono agevolare la manutenzione e i controlli periodici. Sistema di aggancio a perno del montante nella trave di irrigidimento LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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Il sistema costruttivo REP In parallelo al sistema a secco vi sono, per la parte strutturale, dei sistemi prefabbricati quali la tipologia REP e i solai autoportanti che permettono anch’essa la riduzione delle tempistiche relative al cantiere aiutando il progettista a soddisfare le nuove esigenze imposte dal mercato non solo pertinenti ai costi ma anche alla nuova condizione sociale, la quale esige abitazioni che sappiano assorbire i cambiamenti all’interno dei contemporanei nuclei familiari. Le Travi REP sono travi metalliche reticolari che, successivamente al getto di completamento di calcestruzzo, danno luogo a strutture miste aventi caratteristiche variabili e compatibili alle esigenze progettuali e ai livelli prestazionali richiesti. Nel sistema REP, le travi sono autoportanti così come il solaio che vi grava. I benefici di tale sistema costruttivo sono molteplici, tra i quali ricordiamo: • Velocità e facilità di posa in opera: avendo un peso proprio molto ridotto, è posizionabile in modo veloce e preciso con i comuni mezzi presenti in cantiere; • Totale autoportanza: durante la prima fase, sopporta il peso proprio, del calcestruzzo di riempimento e quello del solaio che le compete senza bisogno di nessuna puntellatura; • Sicurezza antincendio: le componenti metalliche sono inglobate nel calcestruzzo, sono protette dal fuoco e garantiscono la richiesta resistenza della struttura in caso di incendio; • Possibilità di realizzare le travi direttamente in cantiere; • Disponibilità immediata del piano inferiore: abbinando dei solai autoportanti, il piano sottostante agli stessi si presenta immediatamente libero da puntellature ed agibile; • Nessuna esigenza di manutenzione: a differenza delle strutture metalliche, le Travi REP non hanno bisogno di alcuna manutenzione o trattamento in quanto il metallo è annegato nel getto di completamento di calcestruzzo. Affiancato a questo sistema vi è il solaio autoportante, anch’esso di origine industriale prefabbricato in grado di aumentare la velocità di costruzione aumentando i pregi del sistema precedente in quanto il getto finale di calcestruzzo è unico. I pregi di quest’ultima innovazione sono i medesimi di un sistema prefabbricato e riprendono gli stessi della tipologia REP ma essendo un elemento di chiusura ha inoltre ulteriori pregi quali: • Complanarità trave-solaio 92

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

Le travi tralicciate a struttura mista acciaio-calcestruzzo e relativo nodo pilastro-trave-solaio (sistema REP)


• Disponibile in sottomultipli; • Isolamento termico elevato. I primi più che i secondi, sebbene diano un grande aiuto al progettista in quanto possiedono grandi resistenze meccaniche e un grado di adattabilità elevato capace di assecondare le più svariate forme dell’edificio, non bisogna dimenticare che hanno dimensioni non trascurabili, il che implica che non sempre sono adattabili al contesto in cui si costruisce. Il trasporto non è un fattore trascurabile. Questo lo possiamo definire come unico “difetto”, problema evitabile solo grazie ad una progettazione integrata a tutti gli aspetti dell’edificio (gestione cantiere, sicurezza, logistica e trasporti, collaboratori, ecc.).

3.4. Il progetto

Movimentazione degli elementi prefabbricati in cantiere

Premessa Il fronte urbano che caratterizza la Giudecca, e più in generale Venezia, è storicamente caratterizzato da un alto grado di compattezza. Gli edifici, ciascuno di altezza diversa, si accostano gli uni agli altri fino a formare un’ impenetrabile cortina, a scudo e protezione degli ambienti interni (le corti verdi) più private. Il sistema è poi completato dalla fondamenta, elemento estremamente caratterizzante per la città, che proietta quindi forzatamente la visuale sull’acqua, a cui Venezia è ovviamente molto connessa. Tutto ciò a Sacca Fisola viene stravolto, a causa dello stato di incompiutezza del progetto originario di Samonà. Come già visto, se lo si osserva attentamente, ci si rende conto che la volontà si Samonà era quella di ricreare, con un linguaggio e una strategia a lui contemporanee, lo stesso elemento-barriera a protezione delle corti interne verdi e che il fronte originariamente avrebbe dovuto essere formato da 4 nuclei di 4 corti, che avrebbero certamente reso evidente una sorta di continuità fra la Giudecca e l’isola. Oggi invece, Sacca Fisola appare come una linea di frattura fra la Giudecca e Venezia, una discontinuità urbana che non va sottovalutata sotto il punto di vista psicologico. Essa, come gli altri fattori che già sono stati enunciati in analisi, porta gli abitanti ad una condizione di straniamento, quasi di isolamento od esclusione dal tessuto storico cittadino. Il tema del fronte nord è stato quindi approcciato con questo intento: la volontà di LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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completare il progetto iniziale di Samonà, pur reinterpretandolo in chiave contemporanea mantenendone gli stessi obbiettivi, e ampliandoli cercando di plasmarli attorno alle esigenze del vivere contemporaneo. Principio insediativo L’idea, come detto, è quella di sviluppare due sistemi, differenti sia da un punto di vista insediativo e geografico, sia funzionale. Il primo sistema, quello posto a Nord-Est, si configura con un edificio pubblico di apertura del sistema, di testa, carico di significato anche come snodo. Infatti l’edificio, che si relaziona in altezza al Molino Stucky adiacente, presenta un piano terra articolato in grado di generare un “effetto centrifuga”, tale da rigirare il ritmo volumetrico nord sul lato est. Tale edificio presenta, in copertura, un piccolo stacco composto da un coronamento in policarbonato e vetro in grado di rendere l’edificio, di notte, chiaramente riconoscibile: una sorta di faro accanto al Molino Stucky. Il proseguo del fronte, sia ad est che a nord, si configura come un alternanza di pieni e vuoti dato da un sistema di elementi verticali (le pinne) che escono dalla linea della fondamenta per relazionarsi con l’acqua e al tempo stesso generare, al piano terra, dei piccoli spazi di deposito ad uso delle residenze. Ogni reidente, nello spazio fra una pinna e la successiva, ha la possibilità di posteggiare l’imbarcazione grazie a delle piccole briccole appositamente posizionate. Tali pinne si configurano anche come elemento strutturale, esplicitando quindi il principio costruttivo adottato ma garantendo al contempo la permeabilità al piano terra. Quest’ultima è stata reputata una condizione fondamentale per tutto il fronte. Il passante che attraversa il percorso centrale al piano terra ha sempre quindi la possibilità di traguardare a sinistra verso la laguna e a destra verso lo spazio verde della corte esistente, riqualificato mediante l’interposizione di nuovi spazi di sosta pavimentati. Tale condizione viene interrotta nel punto corrispondente all’inizio della cortina urbana retrostante, dove in contrappunto ad essa viene posto un blocco compatto di 3 appartamenti. Lo stesso sistema di pinne è adottato sul fronte est in un formato più compatto, dove in corrispondenza della fine troviamo una terza testa, con funzione di chiusura, sempre pubblica. In corrispondenza della cerniera, il sistema di pinne ruota di 90 gradi andandosi ad ancorare alla fondamenta, la cui linea viene ripresa non dall’impostazione dei volumi ma dall’inclinazione data frontalmente alle pinne. Il sistema a nord si chiude mediante il terzo edificio, che ospita una funzione sempre 94

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

Progetto, attacco al suolo e vista della testa a Nord-Est


pubblica, e che si presenta in altezza inferiore alla testa e alla biblioteca sull’altro lato in quanto gerarchicamente inferiore, ma assume connotati proporzionali differenti andando a distinguersi morfologicamente anche dalle residenze. Esso assume così il ruolo comunque di chiusura del sistema, ma solo parziale: è da ritenersi concluso il primo sistema, ma il fronte prosegue. Tale edificio è suddiviso in 2 porzioni, separate da un grande vuoto centrale. Questo per due ragioni: la prima consiste nella volontà, al fine di massimizzare i guadagni solari e la luce interna, di articolare l’edificio con altezza via via decrescente man mano che si procede da nord a sud; l’altra sta nel desiderio di donare agli abitanti del complesso una sorte di campo, una piazza sopraelevata, un agorà che si configuri come polo terminale di incontro e relazione dell’ipotetico percorso pubblico/privato del ballatoio, che va quindi a confluire e dare accesso a tutti e 3 gli edifici pubblici. Il tutto è tenuto assieme da un grande elemento longitudinale di copertura, una vela in acciaio rivestita, che proietta la vista dalla copertura alla laguna e che si presenta come elemento unificante. Dal punto di vista prospettico, è stato adottato un linguaggio vicino alla contemporaneità ticinese, in quanto ritenuto un giusto compromesso in grado di apportare la giusta iniezione di modernità senza tuttavia risultare totalmente estraneo. Le pinne, al fine di esaltarne il triplice ruolo, sono pensate completamente cieche, con piccole finestre per i servizi poste sui lati trasversali alla fondamenta. Le teste invece presentano grandi aperture molto nette, indirizzate verso la città storica. La scelta per gli alloggi è stata quella di garantire una sorta di maschera posta in primo piano che svolgesse sia il ruolo di raccordo statico fra le parti ma anche un ruolo figurativo importante, ovvero quello di dare durezza, rigidità al fronte. Questo primo livello è rappresentato da una fascia bianca di calcestruzzo alleggerito che diventa contemporaneamente parapetto del balcone, mentre il layer retrostante, corrispondente agli alloggi veri e propri, presenta bucature ampie e irregolari, che manifestano la diversificazione interna.

Pianta piano terra della testa di chiusura

Scelte distributive Dal punto di vista funzionale, questa porzione dei fronte è stata pensata per dare risposta alla continua richiesta di abitazioni da parte di turisti occasionali, magari in soggiorno 1/2 mesi, e famiglie con disponibilità economica media e bassa. La mixitè LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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prevista, nell’ottica generale di dare accesso alle case a tutte le categorie funzionali che interessano la città, si completa mediante l’inserimento di 3 poli pubblici, inseriti nei punti nevralgici della L: apertura e chiusura a nord e chiusura ed est. Le due braccia della L sono il luogo in cui prendono posto gli appartamenti. Per quanto riguarda gli alloggi, prima scelta, in coerenza con il principio compositivo adottato, è stata quella di inserire all’interno delle pinne gli spazi serventi, in modo tale da configurarle non solo come elemento puramente formale, ma elevandolo ad architettura caricandolo di funzioni fondamentali, come quella portante, impiantistica e funzionale sganciandolo da ogni forma di puro formalismo. Il distributivo si compone secondo un sistema a ballatoio, con due scale e due ascensori che distribuiscono al piano primo 5 appartamenti, collocati nello spazio interstiziale tra le pinne. Gli alloggi quindi hanno una dimensione di circa 9.20 x 9.20 m, ciascuno dotato dei propri servizi posti della relativa pinna. Gli alloggi sono strettamente pensati in relazione alle esigenze del vivere contemporaneo. Di fatti, viene ripresa come filo comune a tutto il progetto la tipologia della casa a patio, ma essa viene qui declinata ad aspetti diversi. Difatti il patio assume in queste abitazioni in carattere di “riserva di spazio”, di spazio neutro, che un domani potrà essere riempito per dare atto a quelle trasformazioni continue a cui la famiglia italiana è oggi sottoposta. Grazie all’utilizzo di un principio costruttivo a secco con struttura prefabbricata, gli alloggi possono essere realizzati con tempistiche brevi, senza venir ovviamente a meno della qualità, e possono subire modificazioni. Tuttavia, essendo controllabili e previste fin dal principio, la struttura dell’impianto e le volontà architettoniche possono resistere a tali trasformazioni. In caso dunque di aumento del nucleo familiare (nascita di un figlio), integrazione con altri nuclei (pensiamo ad esempio al nonno che per necessità va a vivere con il figlio), o nuclei singoli (single) è consentito alle categorie di utenza che ne hanno il desiderio, in un passato vicino o lontano, di cambiare la configurazione dell’alloggio aggiungendo dei locali o ampliardone altri, personalizzando così anche la propria abitazione. Il tema dell’appropriazione della casa è oggi di fondamentale importanza. Di fatti, come detto, la casa odierna mal tollera le standardizzazione, l’anonimato e la ripetitività, soprattutto quando si parla di alloggi. La trasformabilità permette quindi da un lato di personalizzare la propria abitazione rendendola unica e irripetibile (elemento importante soprattutto psicologicamente) senza stravolgere l’impianto architettonico previsto, e dall’altro consente di adeguarsi nel tempo attraverso la modificazione 96

LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

Pianta piano primo e secondo di un alloggio duplex


Pianta piano terra e primo degli alloggi di seconda linea

continua alle esigenze sempre più dinamiche dell’abitare. Gli alloggi sono in parte simplex e in parte duplex e si sviluppano su 2 piani. Gli alloggi al piano secondo hanno a disposizione anche la copertura, vista come tetto verde e pavimentato in grado di fungere da piacevole solarium o zona di gioco per i bambini. Dimensionalmente, si presentano di dimensione variabile a seconda della posizione assunta dal patio. Proprio con l’obbiettivo di donare a ciascuno una sorta di alloggio “unico” e “speciale”, ognuno dei moduli è stato pensato differente dagli altri, con varie e diverse possibilità di modifiche, sia dal punto di vista distributivo che prospettico. Ogni alloggio è poi ovviamente dotato di un’ uscita su Venezia grazie al balcone, pensato di dimensioni ridotte in “stile” veneziano. Particolare attenzione è stata posta alle spese di gestione. Essendo quelli sul fronte già relativamente costosi, a seguito dell’utilizzo di strutture di fondazione su pali, si è tentato di ricavare il maggior risparmio possibile su altri fronti. I patii sono qui pensati non come giardini, ma come pozzi di luce e relazioni. Infatti spesso, essi sono vuoti che attraversano interamente la struttura architettonica. Questa ha anche l’obbiettivo di ridurre le spese di acquisto dell’appartamento in relazione alle future trasformazioni. Il rischio infatti sarebbe quello di “costringere” l’acquirente a comprare uno spazio, il patio, che aumenterebbe il costo iniziale solamente per averlo poi come spazio disponibile per l’eventuale futura trasformazione. Non attribuendolo invece, in partenza, a nessuno, queste spese non esistono. Talvolta invece, questi patii sono in comune fra due appartamenti, dandone magari l’accesso a entrambi e dividendo così le spese di gestione. In caso di futura trasformazione saranno gli inquilini a stipulare tra loro delle convenzioni o specifici concordati sull’acquisto. Gli edifici posti in seconda linea, in corrispondenza dell’edificio esistente, sono stati ancora più massimizzati dal punto di vista dei costi e risultano i più economici di tutto il progetto. Infatti, a parità di dimensioni (2-3 persone) e possibilità di trasformabilità dell’alloggio, il prezzo di partenza sarà sicuramente minore, in quanto il sistema strutturale è stato impostato i modo tale da garantire una fondazione diretta su platea, avente costi decisamente inferiori rispetto all’indiretta fondazione su pali. Gli edifici pubblici hanno invece due obbiettivi differenti. L’edificio di chiusura vuole dare ascolto alle esigenze degli anziani e dei genitori, predisponendo un edificio interamente devolto allo svago. Al suo interno infatti, troviamo spazi di lettura e gioco per i bambini che desiderano giocare al chiuso (quelli che desiderano farlo all’aperto possono farlo in copertura, nel patio centrale o al piano terra) e anziani che LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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desiderano stare in compagnia. Al piano primo in particolare, troviamo una caffetteria, pensata in autogestione e come punto di ritrovo e svago per gli anziani insediati, mentre i piani superiori sono riservati ai bambini. La particolare conformazione della sezione, permette a ciascuno ambiente di traguardare sull’altro: questo consente di mantenere costante la vigilanza degli anziani sui bimbi. Come testimonia il posizionamento al piano terra lungo l’asse di attività artigianali e commerciali, la convinzione è che uno dei caratteri distintivi che la città di Venezia sta perdendo, è il suo storico rapporto con l’attività artigianale, oggi sempre più soppiantata dalle tecnologie e dal business turistico. Per questo, agganciandoci a quanto detto in precedenza, si propone grazie agli altri due edifici pubblici previsti qui, di elevare Sacca Fisola ad una specie di nuovo Polo dell’artigianato, dove le persone possano rivivere il fatto unico di abitare in una città come Venezia (con la sua laguna, le sue calli e i suoi campi), respirandone l’artigianalità. Per questo, l’edificio previsto adiacente allo Stucky, quello di testa, presenta una lobby di ingresso al piano terra e dei laboratori artigianali ai piani superiori, dove gli abitanti del luogo vivono l’esperienza attraverso itinerari e pacchetti di visita: l’idea è quella di creare un centro di produzione, consumo e condivisione, dove cioè le persone abbiano la possibilità di vedere con i propri occhi come ciò che consumano viene effettivamente prodotto, anche in un’ottica di sensibilizzazione. Per esempio attività come la realizzazione delle gondole, la pesca, la lavorazione dei mobili in legno, gli artigiani del ferro ecc troverebbero qui il luogo dove dare avvio alla loro produzione attraverso la progettazione dei loro spazi, che tuttavia verrebbero affiancati da laboratori per il co-working, corsi di cucina, corsi manifatturieri, itinerari di visita, dove le persone possano vedere e toccare con mano il ciclo produttivo di ciò che utilizzano tutti i giorni. La testa terminale sul fronte Est infatti, è funzionalmente uno squero, con attracco al piano terra e relativi spazi per la lavorazione. Il piano superiore diviene spazio in cui i visitatori possono comprare i prodotti o assistere a conferenze esplicative riguardo alla produzione. La visita parte ipoteticamente dal luogo di produzione, in cui i visitatori possono vedere gli artigiani al lavoro tramite un vuoto posto al piani superiore, per poi proseguire la visita tramite il ballatoio e giungere allo spazio laboratoriale dove gli stessi si cimentano nella produzione, in piccola scala, di quanto appena visto. Questi spazi sono luoghi pensati anche e soprattutto per le nuove generazioni, per riportare in alto il nome dell’artigianato e dei mestieri veneziani che rischiano di ve98

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Pianta piano primo della testa di chiusura e sezione trasversale della testa di chiusura


nire dai giovani dimenticati. Al contempo diventano luoghi contro la divisione sociale e l’isolamento della porzione anagraficamente più anziana. Si ricorda infine che, al piano terra, è prevista la predisposizione della nuova fermata del vaporetto, ovvero quella che da Sacca Fisola porta a Venezia. Questa è posizionata sotto l’edificio riservato allo svago ed è sorretta da piastre galleggianti ancorate alla fondamenta con ganci metallici sagomati attorno ad apposite briccole.

Pianta piano primo della testa a NordEst Attacco al suolo della testa di chiusura a Sud (squero)

Principio costruttivo Dal punto di vista costruttivo, il progetto prevede l’utilizzo di una strategia basata sulla prefabbricazione. La scelta di questo deriva da molteplici motivazioni. In primo luogo, c’era il desiderio di garantire al piano terra la maggiore permeabilità possibile, in accordo con il contesto di particolare interesse naturalistico in cui si sta operando. Questo imponeva, dal punto di vista compositivo, luci strutturali elevate di circa 9 m. Ma questa ragione fa da cornice ad altre questioni di sicuro maggiore spessore. Innanzitutto, ci si è interrogati sulla situazione gestionale del cantiere. Venendo a colloquio anche con addetti ai lavori, si è capito di essere in presenza di uno spazio estremamente limitato, in quanto la presenza degli edifici esistenti, quasi a ridosso della fondamenta, riduce notevolmente le possibilità di accatastamento di materiale e movimentazioni di mezzi ingombranti. Inoltre, essendo a Venezia, si è dovuto fare i conti anche con un altro problema di non poco conto, ovvero la trasportabilità dei materiali. Dovendo arrivare in loco tramite delle chiatte, gli elementi che formavano la struttura dovevano essere necessariamente leggeri, ma nemmeno troppo costosi, altrimenti il prezzo delle abitazioni (già elevato per l’utilizzo di un sistema fondazionale necessariamente indiretto su pali, a seguito della scelta di sagomare la fondamenta in corrispondenza delle pinne) sarebbe diventato insostenibile. Quindi, a seguito della volontà compositiva, è stato escluso l’utilizzo di un telaio in calcestruzzo armato tradizionale, in quanto le luci elevate degli elementi avrebbero comportato un aumento antieconomico del prezzo dei solai tradizionali in latero-cemento. E’ stata poi scartata immediatamente l’opzione di infittire la maglia strutturale al fine di ridurre le luci principali, in quanto questo avrebbe significato lo stravolgimento e l’incoerenza tra principio insediativo e costruttivo: le pinne infatti, dovevano avere necessariamente funzione strutturale per coerenza e pulizia di pensiero, prima ancora che di spazio. LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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Per la questione della movimentazione dei mezzi e del peso, sono state scartate tutte le ipotesi relative al calcestruzzo armato precompresso, mentre gli elevati costi dell’acciaio lo hanno automaticamente escluso anch’esso dalle scelte. Si è adottata quindi una soluzione mista, costituita da un sistema interamente REP, ovvero strutture miste a traliccio in acciaio preassemblate in cantiere e poi completate con un getto in opera in calcestruzzo. Esse sono di conseguenza molto leggere e relativamente economiche, e soprattutto totalmente autoportanti. L’autoportanza è stato un aspetto fondamentale in quanto ha permesso l’eliminazione delle opere di puntellatura che avrebbero congestionato il cantiere con materiali di risulta e scarto. Questo sistema non ha bisogno nemmeno di casserature, in quanto le sponde sono già integrate in officina alla struttura e vengono quindi semplicemente posizionate in cantiere prima di eseguire il getto in opera di completamento. Tuttavia, sempre grazie all’utilizzo di casseri a perdere e all’autoportanza sia delle travi che dei solai, è possibile procedere immediatamente al posizionamento delle finiture. Le finiture, al fine di adottare il principio di trasformabilità, sono state previste come strutture prefabbricate di pannelli, sottofondi e tavolati montati a secco, quindi senza giunture cementizie o malte. Questo, se da un lato decongestiona il cantiere che diventa estremamente rapido, dall’altro permette lo smontaggio delle parti per una più agevole gestione delle opere di manutenzione e per le integrazioni volumetriche. Esse sono garantite mediante l’integrazione della struttura esistente REP con un sistema totalmente in acciaio. Laddove servirà quindi l’ampliamento con una stanza aggiuntiva, verrà agevolmente smontata la pannellatura di rivestimento, verrà imbullonata una trave tipo IPE in acciaio ad una flangia preassemblata nella trave REP a contorno del patio in questione e completato il nuovo solaio con l’inserimento di una cappa collaborante in calcestruzzo armato su lamiera grecata e travi secondarie, sempre in acciaio. Il sistema REP viene applicato per i moduli degli appartamenti, 9.20x9.20 m, e su tutti gli edifici pubblici. Le pinne invece si configurano come gli elementi di trasmissione verticale dei carichi e sono composte con blocchi di muratura armata di sp. 25 cm, tecnica che massimizza il risparmio economico e reinterpreta in chiave moderna la tradizione costruttiva veneziana. Gli edifici di seconda linea, adiacenti alla cortina urbana, sono invece strutturalmente tradizionali, non avendo la tematica dell’acqua da affrontare direttamente. Di fatti, sono composti da lame controventanti in muratura abbinate a un sistema di travi e 100

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Sequenza delle lavorazioni: 1- realizzazione dei nulcei portanti grazie a manodopera non specializzata; 2- posizionamento degli elementi REP prefabbricati con l’utilizzo di normali gru di cantiere e manodopera specializzata; 3 - completamenti e connessioni in calcestruzzo armato gettato in opera; 4 - Finiture e tampunature a secco mediante manodopera non specializzata


pilastri in calcestruzzo armato tradizionale, a interasse di 6.00 m. Queste dimensioni hanno permesso l’utilizzo di un solaio classico in latero-cemento e di una fondazione diretta su platea, il che rende questi alloggi economicamente come i più convenienti dell’intero progetto. Data l’assenza di particolare emergenza dal punto di vista sismico, tutte le strutture del fronte sono state pensate a ritti pendolari e controventi, al fine di risparmiare sul costo della manodopera riguardante le lavorazioni dei nodi.

Integrazione della struttura REP con struttura in acciaio per operare sulla modificazione continua

Scelte impiantistiche Dal punto di vista impiantistico, essendo gli alloggi destinati a famiglie di medio taglio economico, si è deciso di optare per una soluzione non centralizzata, con pompe di calore acqua-acqua poste in copertura o nei locali a magazzino del piano terra, in grado di fornire ottima efficienza sia in riscaldamento che in raffrescamento. E’ stata scelta l’opzione di fornire gli alloggi di ventilazione meccanica controllata mediante un sistema VMC posto nei controsoffitti, opportunamente dimensionati. Tale sistema presenta gli elementi di mandata a pavimento nei soggiorni e nelle camere e gli elementi di ripresa nelle cucine e nei bagni. Gli spazi pubblici sono invece serviti da impianti UTA a tutta aria posti in copertura. Particolarmente importante diviene l’aspetto manutentivo degli impianti delle residenze. Infatti la tecnologia a secco ha permesso l’utilizzo di un massetto a secco composto da argilla espansa altamente densa, in grado di fornire bassi valori di conducibilità termica (λ = 0,09 W/mK) e alto isolamento acustico. Tuttavia, essendo estremamente lavorabile, permette in caso di necessità di rimuoverlo agevolmente senza interventi distruttivi come accade con i comuni massetti gettati. Gli impianti dei sanitari sono stati il più possibile mantenuti in linea, per facilitare le opere di manutenzione. In caso di guasto al sistema impiantistico infatti si prevede il distacco dei sanitari e il semplice smontaggio delle contropareti, agevole grazie alle tecnologie a secco, e degli strati di rivestimento. L’utilizzo di una piastrellatura in gres a secco permette il facile smontaggio della stessa in caso di revisione agli impianti di scarico, senza quelle fastidiose situazioni per le quali è necessario rompere il costoso rivestimento in ceramica per poter procedere alla riparazione dello scarico. Le piastrelle così concepite vengono quindi rimosse e riposizionate al termine dei lavori. L’involucro edilizio è stato pensato come giusto connubio fra isolamento termico e LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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sfasamento, in modo tale da garantire il massimo comfort grazie anche all’utilizzo del VMC. Il sistema di chiusura prevede infatti uno sfasamento di circa 8h, in grado di dare il giusto sollievo durante i periodi estivi (ricordando tuttavia che i patii fungono giĂ da camini in grado di smaltire il calore prodotto), mentre il valore di trasmittanza termica è pari a 0.27 W/mqK per uno spessore totale di 27 cm circa.

In alto, sequenza operativa per la manutenzione impiantistica: 1 - smontaggio contropareti; 2 - smontaggio piastrellatura; 3 - rimozione del massetto a secco; 4 - sostituzione delle componenti

Sezione trasversale sugli alloggi del corpo centrale 102

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Pianta piano primo del complesso

Il principio costruttivo si basa sull’utilizzo di setti in muratura portante abbinati a un sistema REP

Pianta piano primo e secondo di un alloggio duplex. A destra si vede la soluzione 2, con l’aggiunta della stanza (in arancione)


Riferimenti progettuali

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Gregotti Associati, Piano particolareggiato della zona Corassori, Modena, 1983-1984

Alvaro Siza, Quartiere Malagueira, Evora, 1977

Vivienda Social IX Biau, Argentina, 2014

Alejandro Aravena, Centro d’innovazione dell’Università Cattolica del Cile, Santiago del Cile, 2014

Nella pagina a fianco, in alto, la vista del complesso dal Canale della Giudecca. In basso, il planivolumetrico. LA RESIDENZA CONTEMPORANEA

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Tav. 10 La residenza contemporanea: il rapporto con lo Stucky

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Tav. 11 La residenza contemporanea: flessibilitĂ e tipologia

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Tav. 12 La residenza contemporanea: plastico

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Tav. 13 La residenza contemporanea: il fronte compatto

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Tav. 14 La residenza contemporanea: il principio costruttivo

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La parte terminale dell’Isola ha l’obbiettivo di dare respiro alla sempre più frequente domanda di abitazioni e sistemazioni da parte di studenti universitari fuori sede. Il sistema si compone di un edificio di testa, in cui ha sede la nuova biblioteca pubblica aperta a tutti, un corpo centrale con gli alloggi disposti in moduli quadrati che ritmano la facciata, e un edificio di chiusura a funzione sempre pubblica, ove risiede la mensa per gli studenti. Elemento predominante del sistema è il blocco di testa: esso, sia funzionalmente che volumetricamente, vuole porsi come l’edificio principale del progetto, in quanto elemento presso il quale avviene lo sbarco sull’isola, e che indirizza verso la piazza (il “cuore”) dell’Isola. Viene ripresa la volontà di mantenere coerente il principio costruttivo e il principio insediativo: l’edificio principale infatti è sorretto, per la parte a sbalzo sulla laguna, da una maestosa struttura reticolare in acciaio che lo rende figurativamente riconoscibile e differente, mentre le proporzioni dei blocchi degli appartamenti rispecchiano la relativa struttura a travi e pilastri in calcestruzzo armato, scelta in virtù delle esigenze economiche degli alloggi e per mantenere costante, al piano terra, il rapporto di permeabilità fra lo spazio verde retrostante e la laguna. Gli alloggi hanno diversi tagli: si passa da una serie di camere singole sul lato interno dell’isola a camere simplex doppie sul fronte prospiciente al Canale della Giudecca, con l’inserimento anche di piccoli appartamenti semi - autonomi.


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La casa dello studente un sentito ringraziamento a: prof. Pierantonio Val arch. Andrea Praolini prof. Luca Boaretto prof. Roberto Di Marco prof. Lamberto Borsoi


La casa dello studente con il contributo di: prof. Pierantonio Val arch. Andrea Praolini prof. Luca Boaretto prof. Roberto Di Marco prof. Lamberto Borsoi

4.1. L’alloggio temporaneo per studenti Epoca di cambiamento Viviamo in un’epoca di grandi trasformazioni, caratterizzata dalla velocità con cui tutto accade. I moderni sistemi di comunicazione fanno sì che le distanze fisiche e culturali si possano annullare. Non sempre questo accade, a causa delle resistenze per le quale l’essere umano tende ad avere spesso il bisogno di certezze e di identificazione. Il cambiamento è però diventato un bisogno per le persone più evolute che riescono a mantenere un contatto costante con le trasformazioni del mondo esterno e al contempo è una necessità per tutti. Cambiare vuol dire saper modificare rapidamente il proprio modo di pensare, il proprio metodo di lavoro; cambiare vuol dire anche adattarsi a vivere in luoghi diversi, a contatto con persone diverse. La casa temporanea sembra costituire il tipo edilizio proprio dell’epoca post-moderna, in quanto come citato sopra, rappresenta l’atteggiamento più complementare ai modi di abitare del viaggiatore contemporaneo, ovvero quell’individuo che per motivi di lavoro o studio è costretto a continui spostamenti di città in città o di stato in stato. Questa nuova condizione ha messo in forte contraddizione quello che prima era il concetto base per definire l’architettura classica: la stazionarietà. La maggioranza della popolazione tende a stabilizzare i propri beni e attività compresa la dimora, tant’è che perfino Vitruvio nei suoi trattati poneva il concetto di firmitas (ad indicare il pensiero di stabilità) imprescindibile. Solo dopo il periodo dell’illuminismo si è cercato di andare incontro a tale esigenza fino ad arrivare al culmine con la rivoluzione industriale in cui la forte mobilità sul territorio ha costretto ad inseguire nuove soluzioni. Un nuovo pensiero: temporaneità Prima di proseguire è necessario precisare che vi sono diverse forme per definire il concetto di temporaneità. Principalmente due categorie: 1. Strutturale 2. Funzionale Queste a loro volta si dividono in transitorie e provvisorie. Due concetti simili ma che 118

LA CASA DELLO STUDENTE

Del trattato di Vitruvio sono da evidenziare i tre requisiti, o componenti essenziali, di ogni edificio. “Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza”


mirano ad un fine completamente differente. Il primo segna il passaggio di un modo di abitare nel quale vi è il cambiamento da arcaico a moderno, il secondo invece lo si occupa solo momentaneamente. Nei primi anni del ‘900 sono molti gli architetti che hanno cercato di sviluppare tali concetti, passando per i più rinomati quali L. Khan, F. L. Wright fino oltre oceano a Le Corbusier; in particolar modo quest’ultimo dedica più attenzione non solo al concetto di abitare in sè, ma anche a tutti quei processi di costruzione, montaggio e trasporto. Un esempio significativo è il progetto per le Case Murondins. In questa circostanza si trovano anticipate le moderne teorie sull’autocostruzione proposta per i paesi in via di sviluppo come metodo idoneo per la riduzione dei costi e la personalizzazione dell’alloggio secondo le proprie esigenze specifiche. Sebbene queste abitazioni dovessero adempiere ad un soggiorno breve, lo spazio cercava in tutti i modi di riprodurre gli elementi fondamentali della vita di campagna. Queste proposte rispecchiavano solamente la temporaneità funzionale. Con lo scorrere del tempo fino ad arrivare ai giorni nostri la società si è mossa in tale direzione affiancando di pari passo le tecnologie strutturali ed impiantistiche e le innovazioni nel campo dei materiali generando residenze di notevole qualità costruttiva, discostandosi da quell’atteggiamento che mira ad affiancare i termini transitorio-scadente. Possiamo definire quindi che i nuovi modi dell’abitare dunque non riguardano tanto gli aspetti intrinseci dell’alloggio, bensì le nuove relazioni che si stabiliscono tra casa e spazio sociale.

Le Corbusier, Casa Murondins, 1940

Nuovi bisogni abitativi Dal Rapporto sulla condizione abitativa in Italia, del 1996, presentato dal Comitato per l’Edilizia Residenziale, emerge che a quella data non era stata soddisfatta la domanda di nuovi e specifici bisogni che emergevano da particolari categorie di cittadini. Tali condizioni sono attuali ora più che mai, non solo nel nostro Paese ma in tutto il globo. Insorgono nelle città richieste per utenze atipiche: immigrati, anziani, disabili, studenti e lavoratori i quali richiedono abitazioni che rispecchino il ruolo di “casa”. Citando Bauman Z. “la casa è sempre stata considerata come sospirato rifugio e LA CASA DELLO STUDENTE

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riparo al tormento e alle sofferenze del vivere in città, una vita di stranieri tra stranieri. È il sogno di uno spazio difendibile, un luogo dai confini sicuri ed effettivamente protetti, un territorio, semanticamente trasparente e semioticamente leggibile, un posto in cui non si corrono rischi e, in particolare, rischi imprevedibili.” Facendo un’analisi del nostro contesto nazionale possiamo affermare che siamo ancora fortemente legati alla nostra casa, cosa che però si sta alienando in modo sostanziale grazie al cambio generazionale, che vede i giovani cambiare sede lavorativa di frequente o adeguarsi ai ritmi del progresso che richiedono molte ore fuori casa, con la conseguente perdita di legami emotivi che prima vi si attribuivano. La Casa per Studenti Lo spazio abitativo destinato agli studenti (residenze universitarie, collegi, case dello studente) è particolare per tipologia, dimensione, prestazioni e servizi, in quanto costituito da un insieme integrato di unità abitative e spazi ad uso collettivo. Differisce dall’abitazione tradizionale per le modalità di fruizione da parte di una varietà di utenti singoli e in gruppo, e per il tempo di utilizzo, variabile da qualche anno a qualche settimana. Relativamente all’organizzazione distributiva la manualistica distingue tre modelli di residenza universitaria: ad albergo, ad alloggio e a maisonnette. Ciascun modello implica un modo di abitare diverso in funzione del ruolo che viene dato alle singole attività all’interno dell’alloggio, e delle relazioni tra vita individuale e vita collettiva. L’equilibrio tra i due ambiti, esplicitato in spazi collettivi e semi privati equamente dimensionati, distribuiti e relazionati tra loro, in Italia lo si ritrova soltanto nelle residenze costruite dal 1980 in poi. Fino ad allora, infatti, avevano trovato ampia diffusione le teorie che sostenevano l’opportunità della collettivizzazione e socializzazione di molti ambiti della vita privata, a scapito dell’individualità e della privacy dei singoli. Il modo di abitare dello studente non è riconducibile ad una condizione unica ma comporta una realtà multiforme: i bisogni e lo stile di vita variano in relazione al sesso, all’età, al tipo di studi, all’anno di corso, alla vicinanza con la famiglia, alla sistemazione abitativa, ecc.. Si impone dunque la scelta di sistemazioni residenziali fruibili in modi diversi, rendendo possibile una flessibilità d’uso nel tempo in relazione al variare dei bisogni e 120

LA CASA DELLO STUDENTE

Gli studenti in sede, fuori sede, pendolari (%)


Giancarlo de Carlo, Spazi collettivi Collegio della vela, 1972

delle abitudini. L’alloggio deve consentire di studiare a casa, di ricevere gli amici, di preparare i pasti ed assicurare il normale svolgimento della vita quotidiana dello studente. In primo luogo, ciò che distingue l’abitare dello studente è il suo carattere di transitorietà temporale. In effetti, la transitorietà degli studenti nelle residenze universitarie e nei collegi è più simile a quella degli utenti di una struttura alberghiera che a quella degli abitanti di una baraccopoli poiché, mentre questi ultimi acquisiscono in breve tempo un senso di padronanza e di possesso nei confronti del proprio alloggio temporaneo, gli studenti mantengono sempre un certo distacco, consapevoli che le loro radici stanno altrove, nella città di provenienza. La vita nella residenza studentesca soddisfa il fondamentale bisogno di essere inseriti in una comunità protettiva nel momento in cui lo studente fuori sede instaura un confronto con una realtà urbana e sociale estranea a quella d’origine. La residenza collettiva, come riferimento di stabilità, media il rapporto tra lo studente, la nuova città ed il suo territorio, introducendolo gradualmente nel nuovo contesto. La mediazione avviene attraverso una successione graduale e gerarchica di spazi, da quelli sociali a quelli collettivi, a quelli pubblici o urbani. Per tale motivo, nel progetto della residenza collettiva per studenti, la definizione dei nessi che intercorrono tra il privato, il collettivo ed il pubblico assumono un’ importanza focale. Essere inseriti in una comunità già strutturata, poter scambiare informazioni con gli altri studenti, è utile per superare più facilmente il disagio dovuto all’impatto con un’organizzazione ed una condizione sociale e abitativa nuova. La condizione abitativa, quindi, influenza fortemente la crescita dello studente, in quanto riguarda anche i modi di svolgere attività fondamentali e secondarie nell’abitazione e nel contesto urbano e sociale in cui egli vive; può contribuire ad aumentare i contatti e le aperture dei giovani verso i compagni e l’ambiente esterno all’università; può produrre abitudini che, se opportunamente indirizzate, inducono comportamenti innovativi. Vivere nelle residenze collettive, impone l’utilizzo degli spazi e delle attrezzature comuni, favorendo la socializzazione e la condivisione delle esperienze. Questo fatto differenzia sostanzialmente il modo di abitare nelle residenze universitarie da quello delle camere in subaffitto, nonostante queste possano presentare un analogo grado di comfort. LA CASA DELLO STUDENTE

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Non è un caso che le ultime realizzazioni di residenze studentesche, oltre a curare la qualità dello spazio individuale, prevedono una varietà di spazi comuni integrati con gli spazi individuali ma ad uso di piccoli gruppi, onde evitare fenomeni di estraniamento legati alle difficoltà di appropriarsi dello spazio.

4.2. Il progetto Principio insediativo Il sistema si presenta come terminale al nuovo fronte previsto per l’isola. Al fine di rendere il progetto unitario e dialogante in ciascuna delle sue parti, il sistema studentato è stato pensato dialogante al sistema precedente, ma differenziato nei contenuti. Come nel precedente, troviamo un edificio di testa e un edificio di coda: il primo riprende in altezza la testa precedente, ergendosi quindi a landmark, ma lo supera gerarchicamente grazie all’avanzamento dello stesso nell’acqua. Planimetricamente infatti, l’edificio di testa è l’unico che si scardina dalla linea della fondamenta e dall’edificio Stucky, divenendo così l’eccezione all’interno del fronte. La scelta è dovuta al fatto che l’asse visivo legato alla percorrenza della fondamenta, sbatte sulla testa e viene quindi indirizzato verso l’allargamento di Calle Figher, che poi porta all’interno della piazza. In questi connotati, l’edificio di testa rappresenta non una semplice testa, ma l’edificio più importante di tutto il progetto in quanto planimetricamente e figurativamente differente rispetto agli altri, proprio in virtù della sua funzione di indirizzamento. Esso infatti si discosta formalmente da tutti gli altri per la presenza di una struttura reticolare a sostegno del grande sbalzo che si protrae sull’acqua: tale elemento, che coniuga esigenze strutturali ed architettoniche, diviene il simbolo rappresentativo dell’edificio, e lo rende riconoscibile. La coda del sistema invece, è rappresentata da un edificio alto tanto quanto le teste, ma differente rispetto alla coda del sistema delle residenze. Se in quel caso infatti, la coda doveva chiudere ma al contempo relazionarsi all’esistente e allo stesso modo lasciare aperta la porta al proseguo del fronte, in questo caso la coda diviene elemento di chiusura non solo del sistema studentato ma anche di tutto il fronte. Questa è la ragione per la quale l’edificio è stato pensato alto tanto quanto le teste, in quanto gerarchicamente loro pari, ma comunque posto sulla linea della fondamenta e arretrato rispetto alla testa dello studentato alla quale (essendo quest’ultima il landmark) rimane gerarchica122

LA CASA DELLO STUDENTE

Prospetto del nuovo fronte Nord dal Canale della Giudecca Vista della biblioteca (testa Nord-Ovest)


mente inferiore. Il corpo centrale è stato pensato simile al corpo centrale delle residenze, ma invertito. Se infatti l’obbiettivo del fronte è quello di reinterpretare la serialità e la rigidità del tipico fronte veneziano, è sembrato opportuno fare in modo che tale rigidità andasse via via scemando man mano che ci si allontanava da Venezia e dalla Giudecca. Per questo motivo, se prima la gerarchia pieno-vuoto-pieno rafforzava e dava predominanza al pieno, per rendere appunto il fronte adiacente allo Stucky estremamente compatto, qui le proporzioni si invertono: è il vuoto che domina sul pieno, con una serie di corpi quadrati, sorretti da un basamento vetrato, in cui l’estroflessione del bordo ne rende comunque visibili le proporzioni, sempre nette e precise. In questi blocchi le ombre generatesi quindi sono in grado di dare la sensazione che la compattezza con cui il fronte era nato si sia mano a mano disciolta, ma che il linguaggio architettonico e l’idea compositiva rimanga a filo conduttore di tutto l’intervento.

Pianta piano tipo dello studentato

Scelte distributive L’edificio principale ospita una biblioteca pubblica, distaccata funzionalmente dallo studentato che invece risiede nel corpo centrale e terminale. Questa scelta è risultata da due fattori precisi, uno funzionale, l’altro compositivo. Se da un lato questo edificio ha l’obbiettivo di dare risposta alle esigenze dei cittadini, dall’altro risponde architettonicamente a quanto previsto: tale edifico è diverso rispetto a tutti i precedenti, si scardina su tutti i punti di vista e tale doveva essere anche dal punto di vista funzionale. Sotto allo sbalzo è prevista la seconda fermata del vaporetto, che apre poi la vista su Calle Figher. L’accesso alla biblioteca avviene mediante delle porte scorrevoli in vetro tramite le quali si raggiunge la hall di ingresso. Da qui, si accede ai piani superiori con sale lettura e deposito pensate in costante rapporto tra loro grazie all’articolazione in sezione. Gli impianti tecnici sono stati posti in copertura, la quale rimane ovviamente accessibile in quanto punto panoramico. Le residenze per studenti sono composte da due nuclei funzionali ben distinti. Il piano terra ospita la reception e le sale svago, mentre ai piani superiori sono previste 33 camere singole e 9 camere doppie, per un totale di 51 studenti. Il piano terra mantiene la stessa volontà del sistema residenze: la permeabilità. Infatti, è composto da una portineria di ingresso e da piccoli nuclei parzialmente vetrati contenenti LA CASA DELLO STUDENTE

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la zona ping-pong, calcio balilla e billiardo, una sala per l’ascolto della musica e una sala lettura. Queste risultano regolari ma inglobate nella maglia strutturale, pensata in accordo con le proporzioni dei blocchi di residenze superiori. Grazie alla scelta di mantenere chiuso il piano terra tramite delle vetrate a tutta altezza, è stato possibile garantire dello spazio verde retrostante e permeabilità di visuale sulla laguna. Il sistema distributivo prevede un corridoio centrale servito da due scale alle estremità. Tale corridoio è illuminato e ritmato con dei tagli di luce ottenuti svuotando gli spazi interstiziali fra i blocchi. Le camere sono di 3 tipologie: camera singola, camera doppia, appartamento. Le prime, le più economiche, sono pensate per la maggior parte con affaccio sul retro, sul giardino, e occupano un blocco ogni due camere. Le camere doppie invece sono poste sul lato Nord in alternanza agli appartamenti. La sezione longitudinale infatti presenta una configurazione ad L speculare per i vari blocchi, in cui gli alloggi si dispongono a due piani con zona giorno al piano terra o al piano superiore e camera doppia al piano superiore o inferiore. Tutte le camere sono state previste di servizi e, ovviamente, una zona studio privata. Tuttavia, per ovviare alle esigenze degli studenti, il blocco adiacente alla biblioteca è stato interamente riservato ad aula studio comune a tutti gli studenti del piano. In questo modo è stata data la possibilità agli studenti di accedere e studiare liberamente in queste zone comuni indipendentemente dall’orario, cosa che non sarebbe stata possibile in caso di un loro posizionamento al piano terra. Infatti quest’ultimo è stato pensato con un funzionamento part-time durante la giornata, sia per motivi di sicurezza che di gestione, che sarà affidata ad un personale pubblico. Il piano terra quindi rimarrà presumibilmente chiuso e non accessibile nelle ore notturne, se non dagli studenti stessi che in caso di uscita possono liberamente accedere alle scale di distribuzione e uscire sul lato del giardino retrostante. L’ultimo edificio infine, è stato pensato come adibito a mensa per gli studenti. Questa si compone, al piano terra, di uno spazio contenente le cucine e i servizi di deposito, celle frigorifere ecc in diretta comunicazione con un montacarichi, il quale provvederà alla distribuzione delle vivande nelle sale da pranzo ai piani superiori. L’accesso si trova al termine della fondamenta pensata al piano terra, in modo tale da garantire l’agevole accesso per gli studenti alle scale di distribuzione. E’ prevista una hall con scala di accesso a L, la cui estensione si prolunga anche sull’acqua. Infatti, la hall non occupa interamente il volume ma si ferma in corrispondenza della fondamenta, lasciando aperto lo spazio terminale che si configura quindi come una piattaforma fissa sull’acqua utile per i momenti di svago, 124

LA CASA DELLO STUDENTE

Abaco delle camere esistenti: 1 - camera singola (1 studente); 2 - camera doppia (2 studenti); 3 - appartamento (2 studenti)


come per esempio gli aperitivi in compagnia. Sia per le residenze che per la mensa, le scale di distribuzione proseguono in copertura in modo tale da renderla vivibile sia come spazio comune verde o pavimentato dedito al relax, sia come utile elemento per il posizionamento di eventuali fonti di energia rinnovabili.

Porzione di sezione longitudinale di un alloggio fronte laguna Pianta strutturale di un modulo delle camere

Principio costruttivo Dal punto di vista strutturale, la prima scelta è stata quella di trattare gli edifici in modo autonomo. Avendo notevoli differenze di quota fra i 3 edifici, è risultato conveniente non collegarli e assimilarli a 3 strutture indipendenti. Le scelte sono state influenzate da criteri riguardanti l’effettiva disponibilità economica prevista per i blocchi. Il corpo centrale e il corpo della mensa, essendo destinati a studenti, avrebbero dovuto avere un basso impatto economico di realizzazione, il che comportava non solo un’ adeguata attenzione alle luci degli elementi strutturali in relazione all’aumento di dimensione degli stessi, ma anche un’ accurata valutazione dei materiali da utilizzare. Per questi motivi, la scelta è ricaduta su una struttura in calcestruzzo armato a ritti pendolari e controventi. La soluzione a telaio è stata scartata in quanto avrebbe comportato un elevato costo di realizzazione in corrispondenza dei nodi di telaio, da realizzare a incastro. Il solaio è stato pensato come un solaio leggero in laterocemento, costituito quindi da una soletta di calcestruzzo armato di spessore 4 cm e travetti di dimensione pari a 10 x 20 cm. Ai fini di ottimizzare al meglio il materiale a disposizione, si sono mantenute le luci degli elementi strutturali inferiori ai 6.00 m, in modo tale da mantenere lo spessore delle strutture di solaio entro altezze ragionevoli. Di fatti, l’impianto strutturale è stato pensato come una griglia di pilastri regolare, in quanto plasmata in e con l’impianto architettonico e prevede una luce massima di interasse pari a 5.50 m. In tal modo, in conformità al D.M. del 09/01/1996, si è mantenuto lo spessore del solaio entro i 25 cm. Il solaio, sia per la mensa che per il corpo centrale, risulta di spessore pari a 20+4. L’orditura è stata posizionata cercando di mantenere la luce degli elementi principali (le travi) lungo il lato più corto, riducendo al minimo le dimensioni in altezza delle stesse. Per gli elementi secondari del solaio, ovvero i travetti, si sono osservate le prescrizioni previste dal D.M. del 09/01/1996 mantenendo gli stessi ad un interasse pari a 50 cm, in quanto gli elementi di alleggerimento in laterizio sono stati previsti di dimensioni 40 x 28 cm. La larghezza dei travetti, essendo di 10 cm, rispetta i paraLA CASA DELLO STUDENTE

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metri del D.M. del 09/01/1996 così come le dimensioni delle pignatte. Per entrambi gli edifici previsti in calcestruzzo armato, le travi di bordo costituenti i cordoli perimetrali agli edifici, sono state mantenute in spessore di solaio in coerenza con le scelte architettoniche, mentre le travi sono state posizionate in modo tale da poter usufruire maggiormente dell’inerzia in direzione assiale, realizzando quindi sezioni ribassate, non inficiando sulla qualità architettonica e la vivibilità spaziale. Nella mensa infatti, la trave ribassata trova collocazione alla mezzeria dell’edificio all’interno del controsoffitto, appositamente dimensionato al fine di consentire il passaggio delle principali tubazioni impiantistiche. I travetti sono posti invece in direzione perpendicolare alle travi. Il sistema di controventatura è stato pensato come un sistema iperstatico costituito da un nucleo scatolare al vano ascensore e da un sistema cerniera-appoggio, realizzato mediante il posizionamento di una lama controventante sul lato ovest e una doppia lama ad L sul lato sud. Nello studentato invece, gli elementi strutturali sono stati pensati congiuntamente alla realizzazione degli interni architettonici. L’interasse tra gli elementi principali del solaio è stato mantenuto pari al modulo di una stanza da letto, elemento modulare che definisce la scansione volumetrica del corpo centrale. Adottando questa soluzione, la trave centrale è stata mantenuta ribassata senza interferire con la vivibilità interna degli spazi, massimizzando le potenzialità offerte dal materiale. I travetti sono stati posizionati in direzione ortogonale alle stesse. Gli schemi statici sono stati quelli tipici degli elementi in calcestruzzo, ovvero travi continue su più appoggi, posti in corrispondenza dei pilastri terminali e intermedi. Fa eccezione il fronte nord dello studentato, in cui le travi principali sono previste sbalzanti di circa 2.80 m oltre il livello dell’ultimo pilastro. Come elementi controventanti del sistema centrale sono stati considerati i due vani scala, posti agli estremi degli stessi. Tuttavia, essendo un edificio unitario ma composto da piccoli blocchi modulari, si è ritenuto opportuno inserire travi di irrigidimento laterali al fine di aumentare la rigidità del complesso. Per entrambi gli edifici, gli elementi verticali sono costituiti da pilastri quadrati di sezione sagomata rastremata decrescente dal piano terra ai piani superiori in relazione alla diminuzione del carico, fatta eccezione per la filata di pilastri lungo il fronte Nord, mantenuta di forma circolare. L’edifico della biblioteca invece, posto all’estremità est del complesso, è stato pensato in maniera differente. Tale costruzione, dato l’elevato ruolo progettuale e ar126

LA CASA DELLO STUDENTE

Pianta strutturale della mensa


Pianta strutturale della biblioteca

chitettonico che le compete, è previsto con una tecnologia in acciaio. I motivi di questa scelta sono molteplici. Dapprima, la natura pubblica dell’edifico ha indotto a considerarlo come l’eccezione fra i tre, in grado quindi di estrapolare una maggiore quantità di fondi economici per la sua realizzazione. La relativamente elevata disponibilità economica plausibile per un edificio di questa natura, congiuntamente alla necessità di grandi open space interni legati alla destinazione funzionale, all’elevata articolazione spaziale interna e alla presenza di sbalzi e grandi luci, ha portato ad optare per una soluzione che riuscisse a coniugare al meglio queste esigenze. L’acciaio, seppur costoso, risulta un materiale conveniente ove le luci superano i 6/7 m entrando prepotentemente in competizione con il calcestruzzo armato. Inoltre presenta una notevole leggerezza, che risulta opportuna in caso di grandi luci come quelle in oggetto. Il solaio è stato pensato come un’ orditura di travi secondarie, disposte lungo il lato corto dell’edificio, e da un sistema di travi principali disposte longitudinalmente all’asse principale della biblioteca. L’orditura regge una struttura composta da una lamiera grecata di sp 55 cm e da una soletta di calcestruzzo armato di spessore 45 cm, costituente la parte terminale del pacchetto strutturale. Il solaio si presenta quindi come un solaio misto acciaio-calcestruzzo. I nuclei controventanti sono stati posizionati in corrispondenza del nucleo scatolare del vano scala, pensato comunque in calcestruzzo armato, e una doppia lama ad L sul lato sud ed est costituita da un sistema reticolare a montanti e diagonali. Il sistema è quindi sufficientemente rigido a sopportare i carichi orizzontali e verticali della struttura, in quanto aiutato staticamente anche dalla soletta stessa in calcestruzzo del solaio, che costituisce un piano unico si trasmissione delle forze orizzontali. La particolarità che distingue la biblioteca dagli altri due complessi risiede nel suo altissimo ruolo figurativo e architettonico. Essendo l’edificio di ingresso all’isola e non potendo, per ragioni di fattibilità, eseguire sbalzi di grande entità, si è dovuto pensare un sistema alternativo per rendere staticamente equilibrata la struttura e allo stesso tempo generare una forma architettonica coerente con il ruolo dell’edificio. La soluzione pensata è stata quella di arretrare i pilastri terminali del fronte Est e Ovest (ove è presente la fermata del vaporetto e l’ingresso all’isola). Questa scelta ha comportato la formazione di uno sbalzo alle due estremità dell’orditura secondaria. A reggere la struttura aggettante è incaricata una struttura reticolare composta da tubolari metallici imbullonati da piastre e squadrette, terminanti agli estremi in piloni LA CASA DELLO STUDENTE

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di scarico in calcestruzzo armato. La struttura reticolare si articola su tutti e 3 i fronti sporgenti dalla linea di argine e aggettanti sull’acqua, in modo tale da conferire alla biblioteca uno scarto a livello di immagine nei confronti degli altri edifici, rendendola immediatamente riconoscibile. Il corrente superiore della trave reticolare corrisponde alla trave principale che sorregge il solaio. Questo è stato possibile in virtù del posizionamento accurato di un ulteriore pilastro di chiusura del sistema adiacente alla reticolare, la cui mancanza avrebbe comportato l’inserimento di una sottotrave ausiliaria. I profili adottati sono del tipo IPE per le strutture orizzontali, tubolari per le strutture di controvento e reticolari e HEB per gli elementi verticali. Questi ultimi sono stati pensati di sezione decrescente all’aumentare dell’altezza, in modo tale da ottimizzare l’utilizzo del materiale. Le giunzioni fra gli elementi sono prevalentemente a bullonatura, in virtù della maggiore facilità di esecuzione e della riduzione di manodopera necessaria. La soluzione di continuità necessaria agli sbalzi è stata garantita mediante l’interposizione di squadrette coprigiunto di collegamento fra le ali degli elementi. Particolare attenzione è stata posta all’aspetto esecutivo dell’opera, facendo attenzione nell’evitare il più possibile la saldatura in opera in corrispondenza dei nodi. Nello specifico, le aste della struttura reticolare sono previste come semplici tubolari, la cui estremità è opportunamente sagomata in officina e collegata a un piatto terminale. Tale piatto è presente anche nel corrispondente pilastro superiore, che sarà anch’esso prodotto con piatto in officina. Scelte impiantistiche La progettazione impiantistica è stata elaborata nella ricerca delle migliori condizioni ambientali, intese come parametri complessivi nei quali svolgersi l’attività, considerando gli aspetti su cui possono incidere gli impianti. Si sono adottate le soluzioni che consentono una economicità gestionale, intesa come perseguimento dei minimi livelli di spesa necessari per un utilizzo completo degli impianti al massimo delle loro prestazioni, che consentono quindi di prevedere una gestione impiantistica controllata dai competenti operatori, ma esercitabile in modo automatizzato. Nella determinazione della dotazione impiantistica con la quale servire l’edificio, si è 128

LA CASA DELLO STUDENTE

Dettagli assonometrici della struttura reticolare di base Dettaglio assonometrico dell’aggancio del pontile


fatto riferimento ai seguenti criteri di progettazione: manutenibilità microclima risparmio energetico ottimizzazione dei costi Le scelte progettuali sono state avanzate dopo attente valutazioni incrociate riguardanti: periodo di utilizzo (U) disponibilità economica (€) requisiti termo-acustici interni (R) necessità di rapida messa a regime (MR) Le scelte sono state ponderate su varie tipologie di impianti, considerando per ciascuna i punti di forza e di debolezza, in particolare: Impianti di termoventilazione a tutta aria (TA) Impianti di ventilazione ad aria primaria (ed eventuale sistema di climatizzazione aggiuntivo) (AP) Ventilconvettori (FC) Pannelli radianti (PR) Radiatori (RA)

Dettagli dei nodi della struttura in acciaio della biblioteca

Considerata l’attività da svolgere all’interno del complesso della biblioteca, si è optato per l’utilizzo di un impianto a tutta aria. La biblioteca infatti, essendo un complesso di natura pubblica dedita allo studio, alla lettura e alla consultazione, necessitava di un assortimento impiantistico completo, ovvero di un sistema di riscaldamento, raffrescamento e ventilazione. L’impianto di raffrescamento è stato pensato per sopperire i carichi termici durante il periodo estivo, in quanto la biblioteca è un edificio indipendente dallo studentato e quindi autonomo dal punto di vista funzionale e conseguentemente anche impiantistico. Il periodo di utilizzo della stessa è molto ampio, in quanto riguarda sostanzialmente tutto l’arco della giornata (mattino, pomeriggio e sera), ad esclusione delle ore notturne. L’edificio, essendo pubblico e autonomo dal punto di vista impiantistico, risulta essere quello con ha la maggiore possibilità di investimento economico all’interno del nuovo complesso. Per l’attività svoltasi all’inLA CASA DELLO STUDENTE

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terno, i requisiti acustici sono piuttosto elevati ed era quindi necessario un impianto abbastanza silenzioso, tuttavia la questione più importante è stata ritenuta la alta velocità di messa a regime. La tecnologia a pannelli radianti è stata ritenuta non idonea, in virtù dell’elevato tempo necessario alla messa a regime dell’impianto per garantire le giuste condizioni di comfort, nonostante l’ottima inerzia termica garantita e il basso impatto acustico. In caso di pannelli a pavimento un altro problema che sarebbe potuto insorgere è quello legato al discomfort degli arti inferiori, data la lunga permanenza degli occupanti in posizione seduta. La tecnologia inerente al radiatore è stata ritenuta non idonea principalmente: per la scarsa diffusione di calore e la conseguente necessità di averne in quantità elevata (stratificazione dell’aria calda); viste le dimensione dell’ambiente, la sua elasticità di occupazione e l’elevata inerzia termica della ghisa, che comporta alti tempi di messa a regime. La tecnologia a ventilconvettori, abbinata a impianti di ventilazione ad aria primaria, risultava idonea dal punto di vista economico e acustico; tuttavia si è preferito optare per l’utilizzo di un sistema a tutta aria. La scelta progettuale è stata dettata dalla sezione dell’edificio e dalla volumetria dello stesso. Vista l’articolazione dell’edificio con cavedi, doppie e triple altezze, è sembrato sconveniente adottare dei ventilconvettori che, per principio di funzionamento, porterebbero ad una risalita naturale dell’aria calda verso i cavedi e le doppie altezze, rendendo necessario il posizionamento di un alto numero di apparecchi per la climatizzazione efficace di tutti gli ambienti. L’aria calda, che tenderebbe a salire dalla base dell’apparecchio verso l’alto, genererebbe una stratificazione di aria calda nella parte sommitale dell’ambiente lasciando scoperta invece quella inferiore, in cui è richiesto il comfort, data le attività e la posizione degli occupanti. La scelta finale è quindi ricaduta su un impianto a tutta aria che grazie alla sua tecnologia è in grado di sopperire in maniera più convincente a tutte le problematiche esposte. La soluzione impiantistica per quanto concerne le camere degli studenti ha dovuto necessariamente trovare ragione nella differente necessità dei vari piani. Il piano terra, composto da piccoli padiglioni vetrati contenenti le zone svago, è stato pensato come spazio ricreativo, quindi con necessità di riscaldamento e ricambio dell’aria funzionante fino all’orario serale. Per i piani superiori invece, è evidente che la dota130

LA CASA DELLO STUDENTE

Porzione di sezione trasversale della biblioteca. In evidenza, in rosso, il sistema di riprese e in blu il sistema delle mandate dell’impianto di termoventilazine


zione impiantistica è stata pensata come funzionante 24 ore su 24. Essendo alloggi destinati a studenti, il primo criterio che è stato seguito per le scelte in campo impiantistico è stato quello dell’economicità; pertanto il sistema a tutta aria è stato fin da subito considerato non idoneo. Il posizionamento di ventilconvettori a soffitto, abbinati ad un sistema di ventilazione primaria, è sembrata la soluzione più appropriata. In primo luogo per quanto concerne l’economicità degli apparecchi e in secondo luogo per la rapida messa a regime. Si è valutato infatti che alloggi di questo tipo comportano un’occupazione estremamente varia, in quanto gli utenti (studenti) potrebbero necessariamente aver bisogno degli ambienti anche solo durante le ore notturne o comunque per un arco di tempo, in giornata, molto limitato. Pertanto la scelta dei pannelli radianti è stata esclusa, così come la possibilità di installare radiatori. Inoltre, la soluzione dei ventilconvettori garantisce anche un notevole comfort dal punto di vista acustico. Le condizioni interne, soprattutto per quanto riguarda la ventilazione, risultano estremamente differenti per le due zone (piano terra - piani superiori), si è pertanto scelto di adoperare due macchine termiche a portata e dimensioni differenti. La zona interstiziale, presente al piano terra, essendo un’ area si passaggio, è stata pensata come sprovvista della dotazione impiantistica e la ventilazione è garantita in modo naturale mediante delle apposite aperture automatiche posizionate nella parte sommitale delle vetrate. Questa scelta è dovuta alla scarsa occupazione della stessa sia in termini di affollamento che in termini di tempo e all’enorme dispersione che sarebbe causata dal fronte continuo vetrato presente su tutta la facciata nord. Un’ eventuale dotazione di impianto di climatizzazione avrebbe quindi comportato più dispersioni che benefici, sia in termini di comfort che in termini economici.

Pianta piano terra del corpo centrale, con indicazione del passaggio del sistema di riprese (rosso) e del sistema di mandate (blu)

Per quanto riguarda la mensa, la scelta è stata quella di dotarla di un impianto a tutta aria. La scelta è stata ponderata in virtù delle necessità legate all’utilizzo delle cucine, che comportano un elevato tasso di ricambio orario, e dalla necessità di impostare un sistema impiantistico autonomo dagli alloggi adiacenti. Non avendo particolari requisiti acustici di messa a regime ed essendo un edificio con interpiani elevati, si sono scartate le opzioni relative ai ventilconvettori e ai radiatori a parete. Al posto dei pannelli radianti si è preferito un sistema di termoventilazione in grado di fornire in maniera più pratica e diretta i requisiti microclimatici interni, anche in virtù di una LA CASA DELLO STUDENTE

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disponibilità economica maggiore rispetto alla condizione degli alloggi. Le scelte sono state riassunte nella tabella seguente. U

H V A

DU

P

BIBLIOTECA

0 - 1 -2 -3

*

*

*

*

*

*

MENSA

0 - 1 -2 - 3

*

*

*

*

*

*

*

R

TAAPFCPRRA

MR

M P S N B M A B M A L MV

STUDENTATO

0

*

STUDENTATO

1 -2 3

*

* *

*

*

*

*

*

*

*

*

*

* *

X

* * * *

X

* *

X

X

X

X

dove, H= necessità di impianto di riscaldamento (Heating) V= necessità di impianto di ventilazione controllata (Ventilation) A= necessità di impianto di raffrescamento (Air Conditioning) M= utilizzato la mattina (08.00 - 13.00) P= utilizzato al pomeriggio (13.00 -19.00) S= utilizzato la sera (19.00 - 00.00) N= utilizzato di notte (00.00 - 08.00) B= bassa disponibilità economica / bassa tolleranza al rumore M= discreta disponibilità economica / media tolleranza al rumore A= alta disponibilità economica / alta tolleranza al rumore L= non necessità di rapida messa a regime (> 60 min) M= necessita di una messa a regime mediamente rapida ( 60 > t > 30 min) A= necessita di rapida messa a regime (< 30 min) TA= Impianti di termoventilazione a tutta aria AP= Impianti di ventilazione ad aria primaria FC= Fan Coil o ventilconvettori 132

Schema di una cellula bagno: in evidenza le linee di scarico, acqua calda sanitaria e acqua fredda Schema di ventilazione dei servizi igienici e allacciamento al sistema fognario

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PR= pannelli radianti RA= radiatori Le valutazioni antincendio sono state fatte alla luce del D.P.R. n. 51 del 01.08.2011, verificando innanzitutto la presenza delle attività di progetto nell’elenco delle attività soggette a controllo da parte dei Vigili del Fuoco. La biblioteca è risultata non presente all’interno dell’elenco stabilito nel decreto, pertanto non si sono adottate particolari condizioni, se non quella di mantenere le aperture delle porte verso le vie di esodo, in modo da facilitarne l’apertura in caso di pericolo. Il complesso dello studentato (corpo centrale e mensa) è stato assimilato a una struttura alberghiera, in quanto costituita principalmente da camere con reception e spazi comuni. Pertanto, sulla base del D.M. del 09.04.1994, si è provveduto alle seguenti accortezze progettuali, considerando la capacità superiore a 25 posti letto: • • • • • • •

Porzione di panimetria antincendio, contenente le vie di esodo, il posizionamento degli estintori, dei rilevatori di fumo e dei naspi

• • •

l’edificio è stato mantenuto separato dalla biblioteca (attività non pertinente) mediante una porta a tagliafuoco di vetro scorrevole REI 90; gli accessi all’area sono stati mantenuti di larghezza superiore ai 3.50 m, precisamente il passaggio di accesso risulta essere di 5.10 m; sono state previste due uscite di sicurezza, poste ai due lati corti dell’edificio in modo tale da essere ragionevolmente contrapposte; essendo l’altezza antincendio pari a 11.50 m, le strutture avranno R 60 mentre quelle separanti avranno REI 60; le scale e gli ascensori sono di tipo protetto con camino di ventilazione, essendo l’edificio inferiore ai 6 piani fuori terra; le rampe hanno larghezza pari a 1.20 m con alzate pari a 17 cm e pedate 30 cm; le larghezze delle vie d’uscite sono state mantenute di 1.20 m (2 moduli), due per piano, in modo tale da garantire la capacità di deflusso a tutti i piani (affollamento massimo per piano pari a 50 persone); le aperture delle porte di uscita lungo le vie di esodo sono state poste verso lo spazio sicuro esterno a semplice spinta; la distanza fra i vani scali, e quindi fra e uscite di sicurezza, è pari a 40 m; il corridoio, essendo di lunghezza superiore a 15 m e più precisamente di 40

LA CASA DELLO STUDENTE

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• • • •

m, è stato dotato di uscite verso l’esterno e di aperture vetrate; il corridoio di distribuzione agli alloggi è stato mantenuto su una larghezza pari a 2.00 m; l’edificio è stato dotato di 3 estintori, collocati a ciascun piano dell’edificio, distribuiti sul corridoio in modo da consentire l’intervento in tutte le zone dello stesso, facilmente accessibili e visibili; sono stati posizionati 2 naspi DN20, in corrispondenza delle via d’uscita, con tubazione semirigida di lunghezza pari a 20 m, tali da ricoprire tutta l’estensione del corridoio; sono stati posizionati dei rilevatori di fumo in quantità pari a 1 per camera e in quantità pari a 3 lungo il corridoio, a una distanza pari a 10 m.

A lato, esploso assonometrico 134

LA CASA DELLO STUDENTE


Attacco al suolo del complesso dello studentato

Vista assonometrica della struttura reticolare

Sezione trasversale in corrispondenza della zona studio comune, nel corpo centrale del complesso


Riferimenti progettuali

Vista del complesso della biblioteca dal Canale della Giudecca Viste di dettaglio della struttura reticolare in acciaio, in corrispondenza della fermata del vaporetto 136

LA CASA DELLO STUDENTE


Studio Valle Associati, Polo Universitario, Padova, 1998

Le Corbusier, Unité d’Habitation, Marsiglia, 1947

LA CASA DELLO STUDENTE

Alvaro Siza, Museo Ibere Camargo, Porto Alegre, 2008

Kim Younhjoon, Hakhyunsa Publishing Co., Paju, 2005-08

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Tav. 15 La casa dello studente

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Tav. 16 Mensa e alloggi: il principio costruttivo

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Tav. 17 Biblioteca: il principio costruttivo

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Gli edifici presenti sulla spina centrale hanno un duplice obbiettivo: dal punto di vista compositivo, indirizzano la visuale e il percorso verso il “cuore” dell’Isola, rappresentato dalla piazza centrale, regolando volumentricamente il “bordo” del percorso principale, ovvero la Calle Figher. Dall’altro lato, si propongono di integrare l’offerta abitativa con appartamenti di dimensione leggermente più grande rispetto ai precedenti. La sfida è stata quella di approcciare una sperimentazione tipologica innovativa per Venezia, ma che al contempo potesse rendersi riconoscibile per i veneziani. La proposta è stata quella innanzitutto di adibire i piani terra delle abitazioni a botteghe e negozi, al fine di riportare l’artigianato al centro della vita cittadina. A questa, viene poi affiancata la tipologia abitativa del patio, vista come elemento intermedio in grado di restituire densità ad un tessuro urbano rarefatto, senza tuttavia rinunciare alla qualità e alla gioia del vivere. Molta importanza, infatti, è stata riservata al tema della sezione, pensata fin subito come l’elemento spaziale regolatore, la cui articolazione è in grado di definire molteplici relazioni fra interno ed esterno, donando vita e qualità anche a spazi che spesso vengono dimenticati. La casa a patio diviene quindi il collante fra la modernità e la tradizione: infatti il suo utilizzo intende reinterpretare la casa a corte veneziana e il tessuto urbano regolato dai “campi”, garantendo la tipica introversione che la residenza veneziana ha sempre storicamente insita in sè.


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La casa a patio un sentito ringraziamento a: prof. Pierantonio Val arch. Andrea Praolini


La casa a patio con il contributo di: prof. Pierantonio Val arch. Andrea Praolini

5.1. Abitare il recinto L’elemento “patio” è da sempre presente all’interno della storia dell’uomo. Nell’arco di sei millenni infatti, la sua presenza ha scandito l’abitare di aree geografiche lontanissime e diverse, come Cina, Giappone, India e Africa. Si afferma e rafforza principalmente nel Mediterraneo e negli ultimi anni va a consolidarsi anche nel nord Europa. Questo tipo di dimora, fra le più arcaiche presenti, risulta quindi ancora straordinariamente attuale. Alle origini della spazialità Il dispositivo del patio si può considerare quindi un vero e proprio archetipo dell’abitare. Ma non solo. Intrinsecamente, la casa a patio si pone come ultimo tassello di un puzzle ben più complesso, che ha origine dalla definizione stessa di spazio. Pensiamo infatti alle origini della spazialità, nonché alle prime operazioni di appropriazione spaziale compiute dall’uomo. Attraverso l’atto del disboscamento, l’uomo definì in negativo una porzione di territorio creando la figura della radura. In modo analogo quindi, il recinto non è altro che la rappresentazione fisica dei primari bisogni dell’uomo: sicurezza, curiosità verso l’infinito e l’ignoto, desiderio di demarcazione territoriale (distinzione fra il “dentro” e il “fuori”), contrapposizione fra “sicuro” e “insicuro”. La demarcazione di un recinto diviene quindi, per l’uomo, atto fondativo: è elemento che “eleva” la condizione del luogo, che separa, include od esclude. Diviene al tempo stesso anche principio topografico, grazie al quale l’uomo entra in relazione per la prima volta con l’ambiente, con la luce, con l’orientamento, con le ombre, con il vento ecc... Il patio può essere assimilabile ad un vuoto recintato. Di conseguenza, aggiunge alla semantica del recinto anche un altro fondamentale elemento, che lo ha reso nel tempo un principio abitativo e compositivo caro agli architetti e all’uomo in generale: la misura. Essendo uno spazio misurato, esso trae forza dalle relazioni che si instaurano fra l’ individuo e lo spazio che lo circonda, dal suo movimento, dai suoi percorsi. Dalle proporzioni dell’uomo, nascono quindi le proporzioni del patio e del recinto, misurate al fine di garantire l’ottimale performance del dispositivo abitativo. Pensare ad un confine e costruire un recinto sono pratiche omologhe, che nascono 146

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Granada: Alhambra, Patio de los Arrayanes. Pianta e vista interna


dalla volontà di generare uno spazio e di controllarlo. Il recinto, così come il patio, sottrae una determinata porzione di terreno all’infinito, donandole una dimensione, trasformandolo in spazio.

Le Corbusier, schizzo dell’attico Bestegui Mies van der Rohe, schizzi progettuali per la casa a corte

L’evoluzione del recinto Se l’atto di recintare è quindi il presupposto per la nascita di un luogo, la demarcazione del limite fisico di esso attraverso la creazione del patio definisce ciò che propriamente assume carattere di luogo per l’abitare. La casa a patio presenta spazialmente uno o più vuoti interni, che sono tuttavia esterni al tempo stesso. Il patio infatti è, come detto, la materializzazione dei limiti del recinto, ad eccezione di quello superiore. Lo stesso Le Corbusier, nello schizzo dell’attico del Bestegui, identifica il patio come una sorta di stanza a cielo aperto. Il patio può essere letto come aggregazione di più volumi attorno ad un vuoto oppure come un vuoto scavato internamente ad una massa, ma l’elemento straordinariamente importante rimane il vuoto. La vicinanza o meno delle masse, quindi l’ampiezza o meno del vuoto, ne definisce la pressione, caratterizzata anche da una certa densità di masse, rappresentata dalla luce che lo pervade. Vediamo quindi come la geometria del patio stessa diviene elemento di straordinaria importanza: al variare della sua geometria, varia il suo significato simbolico e architettonico. Il vuoto, nella casa a patio, diviene l’elemento ordinatore, gerarchizzante dello spazio abitativo, che viene assecondato alle sue regole, riportando talvolta l’accidentalità del perimetro dell’area (il margine) alla regolarità di forme pure interna (spazio abitato). A testimonianza di come il concetto di patio venga interpretato e abbia intriso numerose e differenti culture, si pensi al termine arabo Wuest ed Dar, letteralmente “centro della casa”: è questo il termine con il quale il patio viene indicato in lingua araba. La centralità a cui fa riferimento il termine è non solo una centralità fisica, ma anche nella pratica stessa dello spazio domestico: il patio è il centro della socialità, della convivialità, della condivisione, è spazio da abitare. E’ totale (o quasi...) introversione rispetto all’esterno, mediata solo dall’assenza del limite superiore della copertura, grazie al quale l’esternalità dell’interno è mediata attraverso il contatto col cielo. Il senso del recinto, ovvero quello legato all’accamparsi all’aperto, è quindi recuperato e spazializzato attraverso il patio, senza perdere la sua peculiare caratteristica di porsi come interno, in diretta comunicazione aperta con l’esterno. LA CASA A PATIO

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Introversione e dimensione psicologica Oltre alle sue caratterizzazioni fisiche e spaziali, il patio diviene portatore dei valori psichici dell’uomo. Così come il recinto infatti, il patio rappresenta introversione, interiorizzazione del mondo esterno. Dà libero sfogo al desiderio dell’uomo di intimità, non solo fisica ma anche psicologica ed emotiva. Non è solo elemento regolatore spaziale fisico ma anche mentale, una sorta di giardino segreto, un giardino dell’Eden al riparo dagli occhi indiscreti del mondo esterno, salvaguardato dal silenzio. Questa condizione di riservatezza e introversione, espressa dalle antiche civiltà, trova ancora maggiore ragione nella società contemporanea che è oggi fondata su una concezione di individualità ben più marcata rispetto al passato e dove la privacy, soprattutto in alcuni contesti urbani, svolge un ruolo dominante dal punto di vista psicologico. Il patio nella contemporaneità Le forme dell’abitare possono essere considerate una risposta, sempre mutevole nel corso dei secoli, alla continua ricerca di adeguatezza dello spazio abitato ai bisogni della vita dell’uomo. Tuttavia, nonostante queste continue variazioni, le forme dell’abitare mostrano alcuni tratti costanti che ne definiscono l’identità. Ripercorrendo brevemente le sperimentazioni che gli architetti hanno svolto sulla tematica, sono evidenti le analogie che accomunano la composizione della casa a patio fin dalle origini. Fustel de Coulanges identificava la casa degli antichi come atto di recinzione attorno all’altare degli Dei. Greci e Romani trasponevano nella cinta muraria il rapporto fra casa e luogo, il limite planimetrico dello “stare”. Successivamente, Le Corbusier riconosce nel tempio il medesimo principio primitivo che è insito nella casa: entrambi nascono dal disegno della palizzata tracciata dall’uomo primitivo nella radura per mettere al sicuro il suo Dio. Questa idea fondativa del tempio, associata alla stanzialità, segna per Le Corbusier la “nascita fatale dell’architettura”. Anche lo stesso Mies Van der Rohe reinterpreta le intenzioni degli antichi all’interno della sua Casa a tre corti. Qui il vuoto sottratto al pieno assume il ruolo di generatore spaziale e geometrico degli spazi in cui la copertura diviene l’elemento che unifica 148

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Le Corbusier, disegno del tempio primitivo. Pianta e assonometria


planimetricamente il sistema che, grazia alla smaterializzazione della pareti, si dilata dallo spazio al cielo aperto delle corti. Da questo stesso principio, si muove oggi la ricerca di Eduardo Souto de Moura che, nella Casa a Matosinhos, reinterpreta la “casa romana”. Se si osserva infatti il principio sotteso all’interno della Casa del Fauno a Pompei, ci si rende conto che, tralasciando le dimensioni delle due case, esse si muovono sulle stesse frequenze proporzionali e che entrambe si organizzano nella concatenazione di patii interni che si dislocano lungo l’asse principale della composizione, il tutto rigorosamente chiuso entro il perimetro murario. Bakema e Van den Broek, nella loro casa a patio, traggono invece ispirazione dalla “casa greca”, come si evidenzia dal confronto fra la planimetria della stessa e la Casa XXXIII a Piene risalente al IV sec. a.C. Infatti, la successione di ambienti dislocati a raggiera intorno al vuoto centrale e il sistema distributivo posto tangenzialmente alla pianta, mettono ancora più in luce come il modello abitativo della casa a patio rimane nei secoli, attraversando e toccando culture distanti e apparentemente inconciliabili.

Mies van der Rohe, casa a tre corti, 1934 Eduardo Souto de Moura, Casa a Motosinhos, 1999 Casa del Fauno a Pompei, III sec. a.C.

Da archetipo a matrice urbana Non va dimenticato poi il ruolo complesso che il patio ha assunto nella storia dell’architettura. Esso è stato spesso utilizzato come modello per organismi architettonici più complessi, pensiamo ad esempio alle grandi strutture claustrali, composte da piccole celle elementari aggregate ad un grande vuoto centrale, a cui lo stesso Le Corbusier faceva riferimento per la realizzazione della Tourette. Forte è stato anche il ruolo urbano del patio, come elemento generatore di tessuti urbani densi e come alternativa alla casa verticale, come dimostrato dalle sperimentazioni di Adalberto Libera nell’ Unità di Abitazione Orizzontale. I più grandi architetti del ‘900, come Le Corbusier, Mies Van der Rohe, Aalvar Alto, Arne Jacobsen, Jorn Utzon, si sono cimentati nel tentativo di reinterpretare il patio come diversa possibilità per mettere in contatto l’uomo e la natura. Oggigiorno, la loro eredità è stata colta da figure come Tadao Ando, Eduardo Souto de Moura, Alberto Campo Baeza, J.Luis Carrilho da Graça che ne esplorano le possibilità spaziali soprattutto in risposta alla città contemporanea: il ruolo psicologico del patio oggigiorno è quindi estremamente potenziato dalle condizioni urbane delle nostre città, esso assume significato di risposta laddove la misura umana si contrappone alla dismisura urbana. LA CASA A PATIO

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Negli anni Quaranta, Irenio Diotallevi e Franco Marescotti, iniziarono una serie di studi sull’abitare contemporaneo, mettendo in luce un diverso sistema insediativo rispetto alla consuetudine fino ad allora adottata. Contrariamente alle case alte, Diotallevi e Marescotti si interrogano sulla possibilità di adottare un diverso sistema costituito da case basse che, pur mantenendo lo stesse indice di densità, pongono su un diverso piano il rapporto fra il suolo e lo spazio abitato. Questi studi, sfociati poi nella Città orizzontale di Hilberseimer e degli stessi autori, propongono come elemento cardine del sistema l’alta densità e lo sviluppo monopiano della abitazioni. I vantaggi di questo sistema sono riportati nel loro scritto “Aspetti e problemi della casa popolare”, nel quale specificano come la differenziazione delle strade di traffico da quelle di accesso alle case comporti oltre ad una netta gerarchizzazione degli spazi anche una distinzione di parti tale da consentire la lettura delle singole celle orizzontali come inserite all’interno di un unico sistema. Inoltre, altro vantaggio risiedeva nella estrema versatilità del sistema, in grado di adattarsi a differenti contesti urbani. La tipologia costruttiva inoltre era semplice ed economica. Ma il successo del modello è derivato soprattutto grazie ai suoi vantaggi, per così dire, umani. A differenza delle case alte, questo sistema permetteva ad ogni abitante di avere un giardino privato e protetto e al contempo introduceva la luce, che permea nell’abitazione, come elemento dirompente e caratterizzante la vita quotidiana degli abitanti in modo molto più insistente rispetto a quanto visto sino allora. Tuttavia, se da un lato questi progetti indagano il ruolo della composizione a patio come elemento unitario morfologicamente definito e distinguibile, le ricerche non esplorano la possibilità che la casa a patio offre in relazione all’individualità. Progetti come il Quartiere Kiefhoek a Rotterdam di J.J.P. Oud del 1925-29, le case a schiera di Gropius a Dessau del 1926, i progetti per abitazioni minime a Budapest, Zurigo e Stoccolma, ci presentano una nuova espressione in cui la casa a patio si eleva anche come occasione per esaltare l’individualità, dominando la ripetizione delle singole celle all’interno del tessuto urbano. Esse, come le più recenti case di Souto de Moura o le novecentesche case a schiera di Mies, indagano la ripetizione come opportunità per dare sfogo all’estrema individualità e libertà che la cellula a patio offre. Se calato all’interno della contemporaneità, non bisogna tuttavia dimenticare i problemi di natura ambientale che affliggono i nostri tempi, primo fra tutti il consumo di suolo. 150

LA CASA A PATIO

Bajema e Van den Broek, casa per il quartiere Het Hool, 1973 Casa XXXIII a Priene, IV sec. a.C.


Ecco dunque che la cellula abitativa a patio potrebbe vedere dinnanzi a se nuovi orizzonti esplorativi, in cui i benefici appena descritti fin qui possano relazionarsi e intrecciarsi ai problemi dettati dall’urbanistica contemporanea. Lo stereotipo di città orizzontale pensato da Marescotti e Diotallevi, pur mantenendo i caratteri distintivi della ripetitività e riconoscibilità del sistema, si plasma in un nuovo modello, dove l’ infinita distesa orizzontale potrebbe essere ottimizzata dalla sovrapposizione di più layer, in cui la sfida più ardua rimarrebbe quella del mantenimento dello spirito fondativo del patio e del suo valore psicologico: riservatezza e profondo rapporto con il cielo e il suolo.

Irenio Diotallevi, Franco Marescotti, Quartiere Unità di Corso Garibaldi, 1940 Adalberto Libera, Unità d’abitazione orizzontale al Tuscolano, 1950/54 Gino Valle, edifici residenziali alla Giudecca, 1985

Una corte-giardino La parola “giardino” e “corte” hanno la stessa origine greca: Chòrtos e Hòrtus. Innegabile dunque la stretta relazione tra i due concetti. E’ proprio il recinto, di cui fin ora si sono decantate le doti di progenitore dello spazio architettonico, l’elemento comune fra i due. Più precisamente, il termine di giardino/orto deriva dal greco Kepos, nel cui significato vi è anche quello di grembo della vita. Il giardino, fin dalle origini, viene quindi assimilato ad un luogo in cui ha inizio e si genera la vita. Diviene così legittimo attribuire al patio, discendente diretto del recinto e forma ibrida fra corte e giardino, il ruolo di generatore dello spazio della casa. Come detto, esso può essere considerato un’ ibridazione fra la corte e il giardino: di fatti, si tratta di un vuoto i cui margini sono ben rimarcati (come il recinto) che tuttavia, come il giardino, è luogo dell’ otium, dell’intimità, della contemplazione. Questo concetto, in alcune abitazioni è estremizzato al punto da far coincidere patio e giardino. Mies van der Rohe ha dedicato interi anni della sua ricerca sulla casa a patio e fin dai suoi schizzi prospettici si può notare come egli identifichi nel patio una variazione di trattamento: talvolta risulta pavimentato, altre volte invece ricoperto di terreno. Sia nelle rappresentazioni planimetriche che prospettiche, egli identifica sempre gli elementi vegetali che vanno a caratterizzare e arricchire lo spazio vuoto, intensificando l’idea che il patio non deve essere semplicemente un vuoto, ma un elemento generatore dell’intero alloggio, dove elementi come gli alberi intensificano l’esternalità della casa al di la del vetro. Mies enfatizza inoltre nei suoi schizzi anche l’estremo LA CASA A PATIO

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rapporto che ricerca fra il dentro e il fuori, in cui la fluidità spaziale è resa massima dalla frantumazione delle scatole murarie e dalla dissolvenza delle murature. In Italia, lo stesso Gio Ponti, all’interno del tema della casa italiana, riconosce nella contemplazione del verde, del sole, della luce, l’ elemento essenziale per le case moderne. Con tale idea, elabora una serie di case per vacanze dove proprio il patio diviene elemento di transizione tra interno ed esterno. Il patio infatti aprendosi sui lati diventa uno spazio ibrido fra quello interno della casa e quello esterno di giardino: come detto in precedenza, una stanza all’aperto in grado di accogliere sia le funzioni domestiche che gli elementi naturali. Nella contemporaneità, Souto de Moura utilizza molto spesso il dispositivo spaziale del patio come giardino interno. Le sue case sono spesso generate proprio dal recinto, dal muro perimetrale che, inspessendosi e assottigliandosi, genera lo spazio abitativo. I suoi patii sono caratterizzati quasi sempre dalla presenza di elementi naturali come vegetazione e acqua, mentre i muri vengono trattati sempre in maniera differente a seconda che si affaccino verso lo spazio privato o verso il paesaggio. La stretta relazione che sussiste fra il concetto di patio e quello di paesaggio, è ribadito dal pensiero di Alessandro Rocca che evidenzia come il paesaggio, per l’uomo, rimane un concetto astratto fin tanto che non si concretizza il giardino. Ogni uomo ha, dentro di sé, la propria idea di paesaggio che materializza personalmente all’interno del proprio giardino, in cui l’infinito della natura può essere dall’uomo controllato e circoscritto e, pertanto, capibile: “Il paesaggio rinvia ciascuna delle sue prospettive interiori alle prospettive interiori di chi lo contempla. Il giardino è la dimostrazione di un pensiero. Il paesaggio, sinonimo culturale, non sarà niente senza una propria immagine, raggiunta e vinta attraverso il corpo: il giardino”.

5.2. L’archetipo del patio a Venezia: la casa a corte L’eredità romana del tipo “domus” sembra persistere per tutto il medioevo a Venezia, con una rivoluzione tipologica riferibile solo ad aggregati più recenti a partire dal XIII secolo, dove agisce l’intenso urbanesimo e un addensamento abitativo ben lontano dalla meno densa strutturazione a domus. La prima edificazione, con case monocellulari elementari aggregate in modo seriale, porta inevitabilmente ad anteporre la formazione del tessuto tipico veneziano “a 152

LA CASA A PATIO

Mies van der Rohe, schizzo per Casa Hubbe, 1925 Euardo Souto de Moura, schizzo di casa a Maia con indicazioni per la costruzione del muro di granito e per la scelta dell’albero, 1990 Gio Ponti, Ville Mediterranee, 1932


corti” molto prima del XI-XII secolo. Ecco allora come la tesi dell’origine urbana dalla “domus elementare” prende vigore e vada ad appoggiare ciò che è riscontrabile nell’assetto edilizio di Venezia, dalle mappe antiche e dalle case esistenti. La “domus elementare” Ma cosa significa il termine “domus elementare”? Questo tipo di abitazione assume i caratteri distintivi dell’essere costruita da uno spazio recinto, rettangolare, con il lato corto sul percorso d’adduzione o, meno comunemente, con il lato corto verso l’esterno assumendo la forma del prospetto “a cascina”. Altra caratteristica della domus è l’isorientamento solare del lato costruito: il fronte prospiciente lo spazio aperto vuole l’orientamento verso la migliore insolazione ottenibile, quando le condizioni lo permettono. La tipologia diverrà quindi “aggregato”, successivamente “urbano” o, meglio, “proto urbano” a seconda del grado di intasamento del vuoto centrale. Il primo step di costruzione all’interno del recinto è riconoscibile nel fenomeno di tabernizzazione, con occupazione dello spazio frontale dell’area della domus per costruire botteghe, e quello dell’insulizzazione, con innalzamento su più piani dell’unità elementare. In entrambi i casi, la corte non viene comunque cancellata, anzi, questo spazio aperto ma protetto dalla vita delle case, diventa infatti luogo di aggregazione privato nonché giardino segreto, elemento onnipresente della casa-corte.

Pianta piano terra di un palazzo in Rio del Gaffaro a Venezia Corte interna del palazzo Fontana sul Canale Grande a S. Felice a Venezia

La calle corte e le stratificazioni degli archetipi Se l’originaria forma della domus elementare isorientata traspare dalle case veneziane, è opportuno notare gli esiti del consumo della domus stessa, dovuti alle edificazioni del XIII secolo, ossia quelle presenze del costruito ancora visibili. Ci si può riferire alle domus insulizzate che hanno dato luogo alla “calle corte” che rappresenta il prodotto di crescenti gerarchie sociali e si pone in opposizione alla matrice formale del palazzo veneziano. Si tratta quindi non di case derivanti dal frazionamento, ma dalla decisione di una famiglia proprietaria di più domus di riservarne una parte e renderla palazzo e le altre minori per i propri servi. La stretta calle, si allarga in questa corte semi privata, accessibile da tutti, ma con precise connotazioni storiche e sociali. Il nucleo edilizio gotico delle calli corti, tutt’ora riconoscibile a Venezia, rapLA CASA A PATIO

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presenta una delle caratteristiche più comuni dell’intera città. Nel periodo veneto-bizantino, in alcuni edifici, è riscontrabile qualche residuo dell’antica corte, intesa soprattutto come accesso agli edifici affaccianti sulla stessa, come luogo dove spesso la scala per risalire ai piani superiori si sviluppa ad L sul fondo della corte. Essa si trova in posizione centrale verso l’esterno, luogo d’accesso via terra al palazzo stesso, oppure nella densa aggregazione di case, più come concetto moderno di patio che come corte antica. Dalla corte al patio Nel periodo gotico successivo, le trasformazioni politiche, economiche e di popolazione furono determinanti nell’evoluzione della società e conseguentemente del tema abitativo. I gotici infatti, assunsero e applicarono il tipo “a blocco” della grande casa-fondaco bizantina per quelle stesse situazioni singolari per le quali esso era nato. Gli edifici trecenteschi realizzati secondo lo schema “ad L” presentano una riduzione della corte stessa dovuto alla trasformazione a corpo doppio dell’ala di facciata, che risulta così più fusa con il volume architettonico. Il continuo lavoro di inspessimento dei tessuti con probabile restringimento degli alvei canalizzi, portò all’evoluzione dei caratteristici impianti “ad L” in nuovi impianti “ad L-C” oppure in forme complesse a “C”. In questo caso, gli spazi abitativi coperti eliminano l’accezione precedente della corte, inglobandola totalmente, introducendo il concetto del patio o di vuoto catturante la luce, dove talvolta, per massimizzare l’effetto di illuminazione, le corti di più impianti architettonici vengono affiancati. La corte viene solitamente posta sul fondo, a completare la composizione architettonica, come sbocco e arrivo del percorso d’accesso via acqua. Talvolta, dove lo spazio lo permetteva, venivano costruiti due palazzi speculari, con risoluzione su corte allungata comune, dove permettere gli accessi a diverse unità abitative. La privatizzazione della corte Nel settecento assistiamo allo sviluppo di case plurifamiliari con accesso e scala comuni a più alloggi sovrapposti, con caduta del rapporto tra abitazione e spazio pubblico o comunque collettivo (corte), ovvero l’autonomia rispetto ad essi delle diverse abitazioni di uno stesso edificio. Si assiste infatti ad un fenomeno di plurifamiliarizzazione degli edifici esistenti. Le novità dell’accesso e della scala comune, 154

LA CASA A PATIO

Pianta piano terra di Corte dei Preti a S. Felice, Venezia Palazzo gotico con impianto a U


appaiono pertanto solo come una perdita, destinata infatti a trascinare con sè anche altre componenti architettoniche. Luogo di aggregazione, collettivo, di affaccio, di ritrovo, di scambi verbali e commerciali, utile all’affaccio degli edifici, poi successivamente privato, protetto, nascosto, la corte secolo per secolo rimane elemento fondante e necessario per la città di Venezia, non solo utile all’architettura circostante ma soprattutto centro di una microscopica vita sociale.

5.3 Il progetto

Corte interna di un complesso a Dorsoduro, Venezia Pianta piano terra di un palazzo gotico a Cannaregio

Premessa Sacca Fisola, come più volte detto, presenta al suo interno una condizione di incompiutezza. Per motivi non totalmente chiari infatti, il progetto elaborato e successivamente avviato dal prof. e architetto Giuseppe Samonà nel corso degli anni ’60 non vide mai la sua conclusione. Questa condizione fa di Sacca Fisola un frammento urbano incompiuto. Tutto ciò è chiaramente percepibile sia osservando l’impostazione planimetrica del complesso, sia attraversando l’isola. In particolare, la zona della piazza centrale e della Calle Figher rappresentano, assieme al fronte Nord, un punto particolarmente delicato. L’assenza, rispetto al progetto originale di Samonà, del braccio a L posto a Nord, il mancato completamento dell’edificio terminale di Calle Figher verso la piazza e soprattutto la mancata chiusura del lato della piazza verso la chiesa, generano nel visitatore che percorre questa Calle e che si ritrova nella piazza, una sensazione di straniamento: mancando infatti i bordi del sistema, non viene percepita la misura stessa del vuoto centrale e la sensazione in “incanalamento” che era invece presente nell’ idea di Samonà. L’obbiettivo del progetto è quindi quello, anche in questo caso, di completare il progetto di Samonà restituendogli l’identità che ne è propria attraverso il mantenimento dell’idea di concept principale, ovvero quella di creare lungo Calle FIgher una cortina urbana composta da edifici compatti e lineari in grado da fornire prospettivamente l’infilata verso la piazza centrale, cuore pubblico pulsante di tutta l’isola. Questi nuovi bordi urbani si comporranno principalmente di residenze, andando ad integrare l’offerta abitativa del fronte, ma reintroducendo anche un altro tema già affrontato in precedenza, LA CASA A PATIO

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mantenuto costante in tutta la strategia, ovvero l’intenzione di restituire Sacca Fisola ai veneziani attraverso l’introduzione, al piano terra, di negozi e botteghe artigianali. L’artigianato è stato infatti, per Venezia, sempre un elemento distintivo e insito nella sua natura. Un tempo infatti, prima che il grande turismo di massa invadesse la città storica, le Calli brulicavano di botteghe artigianali di falegnami, vetrai, vasari, fabbri, tessitori, ecc. Certi mestieri, che per secoli sono stati la spina dorsale dell’economia veneziana, continuano oggi ad esistere grazie a pochi irriducibili artigiani, ma anch’essi si trovano in balia di quelle che sono le logiche del turismo di massa. Questo ha provocato un appiattimento della qualità dei prodotti e tutt’oggi assistiamo al proliferare di numerosi negozi che vendono merce solo all’apparenza “made in Italy”, tutta importata da quell’Oriente low cost. Nonostante ciò c’è chi, con coraggio, continua a svolgere il proprio mestiere secondo le tradizioni, utilizzando materiali di qualità, abbinandoli ad una vera e propria arte, unica nel suo genere. Per tutti questi motivi è indispensabile dare visibilità, voce ed importanza a chi caparbiamente lotta contro tutto ciò che è di massa, perché è importante che una categoria come quella degli artigiani non scompaia, perché con loro scomparirebbe certamente anche un pezzo di Venezia stessa. Inoltre, visto il carico residenziale previsto dall’intervento, è giustificato un massiccio aumento del numero di servizi di quartiere previsti, anche andando incontro alle esigenze espresse dagli abitanti. L’introduzione di botteghe artigianali permetterebbe quindi di affrontare 3 problematiche congiunte: assenza di servizi di prima necessità, inserimento di nuovi posti di lavoro per i nuovi residenti, reintroduzione e recupero di un carattere tradizionale della città e che si sta via via perdendo. Gli alloggi previsti hanno dimensioni contenute ma ampiamente accettabili, e sono pensati per un tipo di utenza con disponibilità economica medio/bassa, con l’obbiettivo di fornire alloggi a basso costo ma comunque di alta qualità spaziale. Si tratta quindi prevalentemente di alloggi per 3 o massimo 4 persone. Principio insediativo Dal punto di vista compositivo, i blocchi residenziali lungo Calle Figher e a lato della piazza si configurano con due edifici apparentemente a blocco. Entrambi affrontano la tematica del patio, cercando di utilizzarlo come elemento dominante della composizione, snodandolo talvolta lungo l’asse principale della composizione e talvolta ponendolo come fulcro centrale. Il patio, come una sorta di reinterpretazione della 156

LA CASA A PATIO


Pianta piano primo, secondo, e sezione trasversale di un alloggio, blocco Nord

casa a corte veneziana e del campo, vuole essere elemento in grado non solo di fornire un valido centro di socialità all’interno della casa (una sorta di soggiorno all’aperto) ma anche di garantire uno sviluppo in sezione dell’alloggio. Entrambi i blocchi sono articolati in modo tale che da uno stesso ambiente, l’abitante possa traguardare in più punti e in più direzioni, intercettando direttamente l’esterno ed entrando, anche psicologicamente, in contatto con la natura. Inoltre, la moltiplicazione delle direttrici visuali permette un maggior controllo e un maggior grado di socialità rispetto alla classica soluzione scatolare. La sfida è stata quella di abbinare, in via sperimentale, la tipologia del patio allo sviluppo in sezione, con l’obbiettivo di risolvere la spinosa tematica della privacy. Se infatti da un lato il patio permette un’ articolazione molto più ricca in pianta e in sezione, dall’altra non va dimenticato che l’introversione del patio, reinterpretazione tra l’altro dell’introversione classica della casa veneziana, va sicuramente in apparente contraddizione con la moltiplicazione delle visuali proposte dallo studio della sezione. Si è fatta quindi particolare attenzione nel cercare di garantire l’introspezione sia degli ambienti stessi dell’alloggio, attraverso la loro posizione planimetrica, ma soprattutto garantendo la privacy degli alloggi gli uni rispetto agli altri. Ecco dunque che in prossimità dei punti critici sono presenti dispositivi in grado di limitarla: in copertura per esempio, in corrispondenza del patio dell’alloggio al piano terra, sono quasi sempre presenti dei parapetti pieni o degli elementi vegetali in grado di mantenere l’osservatore a debita distanza, sufficiente per non traguardare nello spazio verde altrui; nei corridoi dei piani superiori affaccianti sul patio dell’appartamento inferiore, la finestra sarà sufficientemente alta per far entrare la luce e traguardare all’esterno, ma anche sufficientemente rialzata da terra per evitare l’ introspezione al patio inferiore. Infine, il modulo dell’alloggio è stato pensato in aderenza al principio costruttivo adottato, ovvero struttura a setti portanti in muratura con travi e pilastri in calcestruzzo. Gli alloggi infatti, prendono planimetricamente la dimensione di riferimento di interasse massimo, ovvero 6.50 m. Sullo stesso principio, sono stati concepiti gli edifici a cortina della piazza. Qui viene sfruttata la geometria del lotto per organizzare gli alloggi su una spina perpendicolare all’asse di Calle Figher, formando così un edificio lineare, in grado di fungere da quinta e ricostituire spazialmente il vuoto della piazza. Volumetricamente, è composto da un porticato a piano terra, culminante delle stanze amministrative Comunali, da un corpo centrale a 2 piani e una testa, che si configura come ideale LA CASA A PATIO

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chiusura del sistema in contrappunto alla chiesa esistente sull’altro lato. Tuttavia, scardinandosi solo planimentricamente, questa testa viene percepita solo come chiusura parziale: infatti la cortina prosegue in realtà anche lungo il bordo del campo da calcio. Tuttavia, essendo due edifici ideologicamente e funzionalmente differenti, sembrava opportuno generare uno stacco adeguatamente forte da separare i due sistemi, ma non troppo marcato per dividerli nettamente, in quanto entrambi facenti parte comunque di un pensiero generale. Entrambi sono caratterizzati dall’utilizzo di un basamento in pietra bianca, materiale molto comune a Venezia così come il tonachino grigio scelto per le facciate, che risalta le bucature nette e pulite contornate anch’esse da una cornice in pietra bianca di spessore variabile. Questa scelta formale rispecchia tuttavia la distribuzione interna, in cui ogni finestra e la sua relativa cornice varia le sue dimensioni a seconda dell’ambiente a cui fa da fonte illuminante. Scelte distributive L’edificio posto a Nord, all’inizio della via, è composto volumetricamente da una torre di 5 piani che si confronta con la cortina esistente e ne prende le misure, si sgancia in altezza e planimetricamente dal corpo adiacente che rimane invece di 3 piani e risulta parallelo all’asse longitudinale della via, mentre la torre risulta, solo al piano terra, leggermente inclinata, in modo tale da far percepire l’ingresso al piano terra. Quest’ultimo presenta, sul lato affacciante sulla calle, una divisione rigida e standard, con la presenza di botteghe e negozi per il corpo principale, ognuno dei quali è dotato di ampio spazio per l’esposizione dei prodotti e una fascia terminale di servizio composta da un bagno privato e un deposito. Ai piedi della torre, è stato pensato invece un piccolo bacaro, in linea con lo stile veneziano e alla posizione particolarmente influente dello stesso: si trova infatti nella “testa” del sistema e soprattutto è in affaccio sullo slargo che immette sulla via, nonché sullo sbarco del vaporetto che giunge a Sacca Fisola dal centro storico. Nel lato invece rivolto verso lo spazio verde retrostante, sono presenti 3 alloggi a patio, uno dei quali si sviluppa sotto forma di duplex. Il duplex è un trilocale con ampia zona soggiorno-cucina al piano terra e affacciante sul patio, una zona servizi e la scala di risalita al piano superiore, dove troviamo una camera doppia, una singola con spazio studio e un bagno. Gli alloggi simplex invece, presentano a differenza del duplex una camera doppia e un disimpegno posto di fronte al bagno: questa disposizione planimetrica 158

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Esploso assonometrico del blocco Nord


Pianta piano terra di due alloggi simplex, blocco Nord

permette di utilizzare il patio come fulcro della composizione, disponendo le stanze attorno ad esso ma facendo attenzione a garantire la giusta distanza tra le porzioni vetrate, al fine di mantenere la privacy dovuta fra l’ambiente privato della camera e quello conviviale del soggiorno. Il sistema distributivo è composto da due scale a doppia rampa, poste alle estremità del blocco centrale, che danno l’accesso al ballatoio posto sul lato della Calle e che a sua volta distribuisce agli alloggi. La scala Nord è anche l’elemento di accesso agli appartamenti della torre. Quest’ultima, è composta da un simplex al piano primo e due alloggi triplex al piano secondo. Si è cercato quindi di massimizzare il numero di alloggi serviti da una sola scala, in modo da ridurre il più possibile le spese di gestione relative agli spazi comuni. La copertura presenta grandi spazi verdi, sulla scia dell’insegnamento di Le Corbusier, ed è pensata come spazio di aggregazione e relazione, ma anche di svago all’aperto, dove viene massimizzato il contatto con l’esterno e la relazione col cielo, che come in un climax diviene via via crescente man mano che si percorre con lo sguardo la sezione dell’alloggio: da strette visuali a squarci più profondi, da finestre sul paesaggio all’immersione totale nel cielo. Gli alloggi posti a cortina della piazza, sul lato della chiesa, presentano per alcuni versi caratteristiche analoghe ai precedenti mentre per altri si discostano leggermente. Dal punto di vista planimetrico, la scelta compositiva è leggermente diversa. Di fatti, se in precedenza il patio era l’elemento centrale della composizione, qui lo sviluppo del lotto stretto e lungo ha dato vita alla possibilità di redigere una sorta di composizione lineare. Con riferimento alle domus romane e alle ricerche condotte da Eduardo Souto de Moura, il patio viene visto come elemento in grado scavare il pieno, fornire inaspettate visuali all’esterno, squarci di luce e visuali lungo l’asse principale della composizione, che rimane dunque anche l’asse di percorrenza. Al piano terra, sul lato opposto alla piazza e affacciante sulla cortina esistente, sono previsti 4 alloggi simplex, mentre al piano superiore troviamo 4 corrispondenti alloggi duplex. Gli alloggi sono composti da 3 patii di 3 gerarchie differenti: il primo patio, che si trova a livello strada, costituisce il filtro di ingesso e la dovuta separazione fra la strada e l’ingresso vero e proprio alle abitazioni. Gli alloggi infatti, risultano rialzati dalla quota strada di 1.00 m, in modo tale da garantire la visuale sull’esterno ma non entrare in contatto troppo stretto con i passanti. Si ha quindi un primo accesso, costituito da un cancello metallico, posto sulla strada che porta all’ingresso vero e LA CASA A PATIO

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proprio del soggiorno, raggiungibile con una scalinata. Il soggiorno presenta il doppio affaccio grazie al doppio patio in cui è avvolto: oltre al patio di ingresso infatti, è posizionato centralmente anche il patio principale pensato per dare luce e rapporti alla zona giorno. La zona pranzo-cucina infatti, è situata dinnanzi al suddetto patio. La continuità visiva e la fluidità fra interno ed esterno è garantita, come nelle opere di Mies, dalle ampie porzioni vetrate che, tuttavia, non ricoprono tutte la pareti del patio. Infatti, oltre ovviamente al muro di spina, anche il lato verso il bagno, collocato alla fine del corridoio distributivo, è previsto pieno, con una sola piccola apertura in grado di dare un piacevole sguardo verso il cielo e permettere in contemporanea una stretta privacy, necessaria nei locali di servizio. Un terzo patio è poi previsto per la zona notte, composta da una camera doppia e una singola entrambe con predisposizione dello spazio studio, affaccianti sul patio stesso che diviene quindi funzionalmente adibito alla sola zona notte, permettendo di risolvere nella maniera più efficace possibile l’introspezione fra gli ambienti privati e pubblici. Tutti e 3 questi patii, sono pensati al piano terra come giardini. Il sistema distributivo prevede degli ingressi autonomi dalla Calle retrostante per i simplex, mentre i duplex vengono serviti da un unico vano scala rivestito in acciaio corten posto all’estremità nord del lotto, in grado di fungere quindi anche come elemento distintivo di separazione fra il vecchio edificio a blocco e il nuovo fabbricato. Sul lato piazza, in coerenza col ruolo pubblico che essa assume , non sono previsti alloggi ma bensì servizi in grado di ampliare la richiesta del quartiere. Infatti, come naturale prosecuzione della spina su Calle Figher, è prevista l’introduzione di servizi sanitari come ambulatori e studi medici, un piccolo bacareto in testata e l’ufficio anagrafe e di riferimento Comunale sulla testata verso la chiesa, come significativa conclusione del portico che scandisce la promenade verso la piazza. Infatti, l’assenza di un adeguato servizio medico e di un centro amministrativo di riferimento è stato evidenziato, nelle analisi, come motivo di insoddisfazione dei residenti che si sentono esclusi dalla città e isolati. Il vano scala, imbocca poi il ballatoio distributivo che si erge esclusivamente per il piano primo e che distribuisce quindi anche gli alloggi della torre, composti da due simplex aventi una sola camera doppia. Il piano primo, a differenza del piano terra, prevede 4 alloggi anche sul fronte prospiciente alla piazza. I duplex retrostanti invece presentano una passerella di accesso con un patio vegetale, mediante il quale si accede alla zona del soggiorno. Qui, una 160

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Sezione trasversale del blocco Nord Sezione trasversale del blocco Sud


scala autoportante in acciaio porta al piano superiore, differenziando distintamente le zone serventi in una fascia adiacente al muro di spina, contenete oltre alle scale anche i bagni. La zona giorno è divisa funzionalmente dal patio del piano inferiore grazie alla finestra alta 1.5 m da terra,che illumina il corridoio con la stessa luce che illumina il patio centrale, ma in questo modo è garantita l’ introversione visuale sullo stesso (di altra proprietà). Nella parte terminale dell’alloggio sono previsti poi 2 patii di servizio pavimentati, l’uno a servizio della cucina, l’altro a servizio del bagno e della lavanderia. Il piano primo articolato attorno ai vuoti generati ai piani sottostanti, presenta un bagno di servizio e la zona notte, composta da 2 camere: doppia e singola. La scala prosegue poi in copertura, dove un’ alternanza di spazi pavimentati e verdi, scandisce il rapporto col cielo. Sono inoltre previste, in corrispondenza della scala, delle piattaforme leggermente rialzate rispetto al piano di calpestio della copertura, come elementi pensati a reinterpretazione moderna delle classiche e tradizionali altane veneziane, che tanto contraddistinguono e marcano lo skyline del centro storico.

Attacco al suolo della zona del bacareto, blocco Sud Schizzo dell’angolo del bacareto. Si evidenzia l’elemento distributivo a cuscinetto fra il Nuovo e l’Antico

Principio costruttivo Dal punto di vista costruttivo, si è cercato di massimizzare le possibilità offerte dalla configurazione e posizione dei lotti, in modo tale da adottare una struttura semplice ed economica. I lotti, lunghi e stretti, unitamente alla scelta di sperimentazione tipologica e compositiva adottata, hanno spinto verso l’idea di mantenere una struttura a setti, sfruttando le lunghe pareti cieche presenti a divisione degli alloggi. In linea con la tradizione costruttiva veneziana e con le ristrettezze economiche dei nostri tempi, è stata scelta quindi una struttura mista, con setti portanti in muratura armata di laterizio composta da blocchi semipieni, e griglia di travi in calcestruzzo armato. La scelta, se da un lato è stata adottata di pari passo alla stesura del progetto architettonico, dall’altra vuol essere un ulteriore punto di contatto con la tradizione reinterpretando la tipologia costruttiva veneziana in chiave contemporanea. I solai, dato l’interasse previsto dalla composizione, sono in laterocemento di altezza 20 + 4, con finiture tradizionali ad umido composte da massetto per gli impianti e pavimentazione. Il sistema involucro, al fine di massimizzare le prestazioni energetiche, è stato pensato come una doppia parete in laterizio, composta quindi dalla struttura portante in blocchi da 25 cm, dall’isolante termico posto in mezzeria e da una controparete in laterizio di spessore 8 cm. Questa soluzione, grazie all’abbinaLA CASA A PATIO

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mento di massa-isolante-massa, permette il massimo sfruttamento dell’inerzia termica del fabbricato e ne garantisce gli adeguati livelli si sfasamento e isolamento. La scelta di scaricare le forze lungo linee di carico unitamente alla scelta di adottare una struttura semplice a maglie strette, ha permesso di pensare a una fondazione continua su platea, anziché la classica struttura di fondazioni su pali, che avrebbe comportato un notevole aumento del costo di costruzione. I nodi non sono pensati come nodi rigidi: in Italia infatti, la manodopera svolge ancora un ruolo prettamente di rilievo rispetto al costo del materiale. Si è quindi preferito, anche coerentemente con la posizione non altamente sismica della zona, di optare per una struttura a ritti pendolari e controventi, risparmiando quindi sulla lavorazione dei nodi, che avrebbero dovuto altrimenti essere lavorati in mododa trasferire gli sforzi di flessione anche al pilastro. Ciò avrebbe permesso di ridurre l’altezza degli elementi travi che compogono il solaio. Tuttavia, il problema della sottosporgenza delle travi è stato ovviato adottando, per l’appunto, delle luci di calcolo basse e ordendo il solaio trasversalmente ai muri di spina: così facendo risultano assenti travi ribassate in mezzeria dell’alloggio in quanto tutto il carico di piano viene assorbito dalla muratura di spina. Le uniche travi presenti sono a rinforzo dei patii, con il compito di sopperire alla rigidezza di piano sottratta dalla mancanza, nel patio, della soletta di ripartizione.

Scelte impiantistiche Dal punto di vista impiantistico, le scelte sono ricadute su un sistema non centralizzato composto da pompe di calore acqua-acqua e locali tecnici posti in copertura. Per ragioni di semplicità, è stato scelto un sistema di ventilazione tradizionale e non meccanica. La distribuzione avverrà con una rete di tubazioni posta nel massetto porta-impianti in calcestruzzo alleggerito, mentre le condutture verticali saranno inglobate all’interno della controparete in laterizio. Si è cercato, al fine di ridurre il più possibile le dispersioni termiche, di calibrare le porzioni vetrate in modo tale da garantire l’effetto architettonico voluto senza inficiare in maniera troppo pesante sulle spese di gestione. I serramenti sono composti quindi, per lo stesso motivo, con una classica vetrocamera doppia, senza l’ausilio di vetri basso-emissivi per cercare di limitare il più possibile il costo di costruzione, quindi il conseguente prezzo di vendita, degli alloggi. 162

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Vista della copertura degli alloggi del blocco Sud Pianta delle coperture del blocco Nord


Sezione costruttiva del blocco Nord

Sezione prospettica del blocco Nord

Pianta piano tipo e sezione trasversale blocco Sud


Riferimenti progettuali

Vista della cortina dalla piazza e da Calle Figher 164

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Palazzo gotico, Venezia

Adolf Loos, Villa Muller, Praga, 1930

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Mies van der Rohe, Progetto per la casa a tre corti, 1934

Alvaro Siza, FacoltĂ di Architettura, Porto, 1985-96

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Tav. 18 La casa a patio: il blocco nord

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Tav. 19 La casa a patio: plastico

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Tav. 20 La casa a patio: il blocco sud

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L’edificio presente in piazza, fulcro dei 3 percorsi principali, presenta il tema del “Nuovo e Antico” a contatto. Il nuovo edificio, dialogante dal punto di vista del linguaggio ma moderno e riconoscibile nelle finiture, completa l’offerta residenziale proponendosi come naturale prosecuzione dell’edificio adiacente. Il piano terra viene pensato come un mercato, uno spazio per la città polivalente, chiuso o aperto all’occorrenza. Il contatto fra il nuovo edificio e quello preesistente, risalente agli anni ‘60 del novecento, è enfatizzato mediante l’utliizzo di una scala distributiva e ascensore in lamiera corten traforata, volumetricamente scardinata sia dal nuovo che dal vecchio, e pertanto riconoscibile come diaframma intermedio. L’edificio esistente viene conservato come testimonianza di un periodo storico preciso, le cui dianamiche hanno influenzato le scelte architettoniche e che non possono pertanto essere dimenticate. La simmetria, così come il sistema distributivo, interpretano le esigenze abitative degli anni che, ovviemente, non risultano più coerenti con quanto oggi la modernità richiede. Tuttavia, la scelta è stata quella di porsi in una condizione di rispetto nei confronti dell’esistente: anzichè adattare l’esistente alle esigenze progettuali, sono state queste ultime a modellarsi, attraverso una rifunzionalizzazione utile alla città e che garantisse il mantenimento dei caratteri principali dell’edifico, che ne connatano quindi l’identità. Questa funzione è stata identificata come una serie di uffici, comunali e direzionali, a supporto dei cittadini.


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Rigenerazione urbana e conservazione un sentito ringraziamento a: prof. Pierantonio Val arch. Andrea Praolini prof. Paolo Faccio


Rigenerazione urbana e conservazione con il contributo di: prof. Pierantonio Val arch. Andrea Praolini prof. Paolo Faccio

6.1. Nuovo e Antico: questione di identità Ignazio Gardella, nel 1995, sosteneva che l’architettura: “non può essere nuova se non affonda le sue radici nel passato, come ogni nuovo fiore affonda le sue radici nella terra, altrimenti non è un fiore vero, ma un fiore di carta”. Il rapporto fra Nuovo e Antico è, per l’architettura contemporanea, un tema costante e dunque sempre attuale, anche perché affrontato e declinato secondo una grande varietà di modi e di impostazioni. Ciò che è indiscutibile, è che la presenza dei nostri centri urbani è segno evidente di quanto l’architettura incida sul nostro tempo. Fintanto che un oggetto architettonico esiste ai nostri occhi, qualsiasi sia la sua epoca di costruzione, funzione, o importanza, esso appartiene al presente. Talvolta tali edifici risultano come tracce di un passato intriso non solo da intenzionalità architettoniche, ma sono anche e spesso testimonianza della storia umana. Per questo motivo, la storia dell’architettura si differenzia dalla storia dell’arte proprio in quanto l’esperienza teorica può solo parzialmente rendere la commistione tra presente e passato, che muta di continuo ed è già diverso nel momento in cui lo si descrive. Grazie proprio alla loro matericità, alla loro potenza espressiva generata dalle forme, dalle masse, dalla luce, gli edifici sono più che mai una testimonianza viva di un avvenimento, di un gruppo di avvenimenti o, addirittura, di una porzione di storia umana. Si pensi all’architettura rurale: oggigiorno, con la meccanizzazione, il mondo agrario ha percorso evoluzioni tecnologiche estremamente importanti. Tuttavia, gli edifici risalenti al periodo, come per esempio le stalle e i fienili, anche se apparentemente insignificanti, testimoniano indissolubilmente non solo le tecnologie costruttive con le quali si era soliti costruire quel tipo di edifici e che oggi sono completamente cambiate (si pensi alla struttura in muratura oggi sostituita dal calcestruzzo per esempio...), ma raccontano anche una porzione di storia del nostro Paese, quello in cui il contadino si levava alle 7.00 del mattino per raccogliere il fieno e depositarlo nel fienile che era fatto in quel modo completamente diverso dal modo odierno, o il mugnaio che mungeva la vacca manualmente e non con l’ausilio della macchina, all’interno di una stalla che per tale ragione era fatta in quel modo ecc.. 174

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Massimo Carmassi, restauro dell’ex-panificio di Santa Marta a Verona, 2015. Viste interne


Edifici quindi non solamente come testimonianza preziosa di un modo di fare architettura, legata ai materiali, legata alle tecniche, agli archetipi, alle tradizioni, ma anche serbatoi inestimabili di cultura del nostro Paese, emblemi di un modello di vita prezioso che oggi non esiste più. Se si cancellassero, con questi edifici non scomparirebbe quindi solo uno straordinario bagaglio tecnico, ma anche un bagaglio culturale. L’architettura, come detto, ha la straordinaria dote di insegnare nel momento in cui la si vive in prima persona. E’ pensabile quindi togliere ai nostri figli, per esempio, la possibilità di imparare il modo in cui le popolazioni vivevano e lavoravano la terra, il bestiame direttamente coi loro occhi? E’ pensabile l’idea di trasferire tutto ciò solo attraverso dei libri di storia, come si fa con le vecchie storie dimenticate? Se si osserva tutto sotto questa ottica, si capisce forse che non esiste una netta distinzione fra l’edificio storico e non. Ogni edificio diviene storico nel momento in cui tramanda qualcosa, ci racconta una tradizione, un modo di vivere, un modo di pensare, di costruire. E ogni qualvolta un edificio racconta ciò, abbiamo il dovere di conservarlo, perché se perso, perderemmo non solo muri e finestre, ma soprattutto cultura. E non può esistere società senza cultura. Diviene quindi fondamentale il concetto di identità. E’ proprio grazie alla sua identità che l’edificio assume i connotati di riserva di cultura e conoscenza. L’identità è ciò a cui la conservazione dovrebbe tendere. Troppo spesso infatti, ci troviamo di fronte a situazioni in cui la conservazione viene confusa con l’”imbalsamazione” del fabbricato, che vuole essere tenuto lontano da ogni tipo di contaminazione del nuovo, visto come il male assoluto e come pericolo. Tutto ciò però, trova poca ragione di essere se consideriamo il fatto che proprio il nuovo per manifestarsi ha bisogno della cancellazione di ciò che lo precede. Talvolta dunque la cancellazione selettiva di alcuni elementi risulta in realtà l’unica forma reale di salvaguardia. Ciò che non deve essere persa è l’identità, ciò che connota l’edificio, ciò che fa balzare alla mente nel momento in cui lo si indaga e lo si capisce, ciò che fa di quel fabbricato un vettore di storie. Illuminante in questo senso è la dichiarazione di Rafael Moneo il quale sostiene che “l’opera di architettura trascende l’architetto, va oltre l’istante in cui si compie la sua costruzione, e dunque può essere contemplata sotto le luci mutevoli della storia senza che la sua identità si perda con il trascorrere del tempo. I principi stabiliti dall’architetto nel costruire l’opera si conservano nel corso della storia, e se risultano sufficientemente solidi, l’edificio può subire trasformazioni, cambiamenti e alterazioni senza cessare di essere nella sostanza ciò che RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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era, cioè rispettando quelle che erano le sue origini.” Non esiste dunque conservazione totalitaria, semplicemente per il fatto che non esiste un passato e un nuovo: le due aree si vengono continuamente a intrecciare all’interno del ciclo temporale della vita, per cui risulta assurdo pensare di cristallizzare il passato più remoto, talvolta considerato a priori di qualità, tralasciando ciò che la modernità o la contemporaneità ci ha lasciati o ci sta lasciando. Questo perché tanto è scorretto privare i nostri successori delle tradizioni agricole del ‘800 rappresentate dalle stalle, tanto è scorretto privarli della grande emergenza abitativa sentita dall’Italia del 1960 e che ha generato quegli edifici che, nell’opinione comune, sono considerati di poco valore. Ma tutto ciò che porta storia, di qualsiasi tipo essa sia, porta anche cultura. E ciò che ha cultura, ha valore.

6.2. Il ruolo della storia Uno degli aspetti da chiarire dunque è il ruolo che la storia assume nella progettazione. Sono state tante le visioni che hanno contraddistinto il dibattito, prime fra tutte quelle di Bruno Zevi e Manfredo Tafuri: il primo sostenitore della “metodologia operativa”, il secondo sostenitore invece dell’estraneità della ricerca storica alle esigenze pratiche del progetto. La grande incognita rimane la tempistica entro la quale si viene a relazionare la ricerca storica con i tempi del progetto. Il primo punto chiarificatore è infatti la consapevolezza del progettista che la ricerca è in qualche modo costretta a darsi dei limiti, parziali e provvisori. La parola fine è necessaria ma non come chiusura definitiva, ma anzi come una sospensione in cui l’apertura del prossimo cantiere è l’ultima pagina da scrivere. Altro punto fondamentale è il come la storia viene affrontata. La storia dell’architettura può essere interpretata in varie modalità, può essere più o meno nozionistica, più o meno astratta. La condizione di astrazione appare necessaria nel momento stesso in cui si danno per assodati i limiti della ricerca. La storia infatti dovrebbe essere strumento nelle mani nel progettista, grazie al quale egli interpreta un luogo, un contesto, ne capisce il significato nascosto e quindi, di conseguenza, agisce. Studiare la storia, in ambito progettuale, significa quindi capire gli avvenimenti e soprattutto le condizioni che hanno portato a quegli avvenimenti, in quanto essi come detto vengo176

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Tadao Ando, intervento a Punta della Dogana a Venezia, 2009. Vista interna


no poi rispecchiati dalle nostre città e dai nostri edifici. Significa contemplare sotto le mutevoli luci del tempo i segni di adorazione, rispetto o spregio che hanno misurato il perdurare dell’ identità del fabbricato.

6.3. La tematica della stratificazione

Restauro e riuso dei Magazzini Ligabue, Università IUAV di Venezia. Vista fra due magazzini

Abbiamo compreso dunque che le cose non “sono” ma “diventano”, in quanto il mutamento continuo è condizione della nostra esistenza e delle cose che ci circondano e che le trasformazioni si sommano su ogni edificio producendo stratificazioni che sono testimonianza di una sua naturale evoluzione, nonché della sua vitalità. Soprattutto in ambito italiano, i cultori del restauro hanno dato vita ad una produzione vasta e articolata, col rischio talvolta di apportare un eccesso di teorizzazione, tanto che spesso restauro e architettura vengono considerati come due ambiti disciplinari distinti. Ma se il progetto di architettura significa “trasformazione” e le operazioni di restauro significano “conservazione”, sembrerebbe impensabile immaginare un’ integrazione fra le due discipline. Tuttavia, il progetto è l’unico modo in cui questa dualità può essere risolta, anche dinnanzi al fatto che anche la più pura opera di conservazione (come una pulitura) porta in sè una trasformazione, come conferma lo stesso Manfredo Tafuri. Il progetto è l’unico strumento in grado di verificare consapevolmente gli effetti trasformativi dell’intervento proposto, il loro peso; è lo strumento che fa comprendere perché conservare e che cosa conservare. E’, in sintesi, un atto di regolamentazione della trasformazione, che aggiunge il proprio segno, che reinterpreta senza distruggere. Anche un intervento come la rifunzionalizzazione dell’edificio crea una discontinuità all’interno della vita dello stesso, in quanto l’apporto di forme e materiali differenti, porta esso verso una nuova vita. Si produce quindi un ulteriore dualità, un ulteriore diversità che il progetto deve affrontare. Ecco dunque che appare evidente il motivo per il quale è necessaria una differenziazione, la stratificazione delle trasformazioni e degli interventi: significa rendere autonome e riconoscibili le parti e gli elementi di nuova formazione rispetto agli esistenti. La differenza misura una “distanza” ma nel contempo pone in luce la necessità di sintesi fra tutte le dualità viste fin ora: tra nuovo e antico, fra continuità e discontinuità, tra conservazione e trasformazione, tra storia e progetto. Differenziazione quindi non come pretesto auto celebrativo, ma al contrario come RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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operazione di rispetto e onestà, come a mettere in luce ciò che “era” e ciò che “è diventato”, per fornire ai posteri una luce chiara e netta in grado di scandagliare e ripercorrere con il solo ausilio degli occhi la storia trasformativa dell’edificio, in modo tale da poter apprezzarne o disprezzarne liberamente le origini, apprezzarne o disprezzarne liberamente le aggiunte, le modifiche, le trasformazioni.

6.4. Il significato della rigenerazione urbana nell’architettura contemporanea Molte delle periferie italiane presentano condizioni di precarietà e instabilità, sotto vari punti di vista. Uno degli aspetti che più è noto riguarda il degrado fisico, ma questo non è da considerarsi slegato dalla condizione sociale presente, la quale talvolta è intrinsecamente connessa al progetto pensato per quell’area. Spesso infatti ci si trova di fronte a situazioni che, nate sotto i migliori auspici, si trasformano nel concreto in altre realtà molto meno idilliache (si pensi, ad es, al caso dell’ Hotel House o al quartiere Lunetta di Mantova), dove la mancata conclusione dei progetti originari, la cattiva gestione e le errate previsioni hanno generato contesti urbani di difficile gestione. Ne nasce un circolo vizioso, che porta all’abbandono e al conseguente aumento di problematiche. Rigenerare le periferie risulta quindi un’ operazione di vitale importanza, soprattutto in un contesto come quello italiano dove sempre più spesso si fa riferimento all’intervento su contesti esistenti, onde evitare l’aumento del fenomeno del consumo di suolo. Rigenerazione urbana significa quindi, oggigiorno, riconsegnare un pezzo di città ai suoi abitanti, donarle una nuova vita e soprattutto un nuovo scopo. Tuttavia, è molto rischioso pensare che contesti come questi si manifestino solo in presenza di situazioni allo stremo e al limite della civiltà. Laddove si ha uno stato di incompletezza, di insoddisfazione, si ha una possibile fonte di disagio futuro e come tale andrebbe il più possibile limitata. Quando si interviene in contesti di questo genere, incompiuti o sensibili ad essere trascurati, sarebbe utopistico pensare di risolvere ogni problematica con semplicità... tuttavia, la storia ci insegna che basta una piccola scintilla per far scoppiare il fuoco e che la rivitalizzazione dei contesti urbani più difficili non è impresa impossibile. La sfida tuttavia, risulta ancora più complicata se viene innestata con le tematiche fin ora esposte. Sarebbe infatti troppo semplicistico, oltre che culturalmente 178

RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

MAP Studio, Recupero della Torre di Porta Nuova all’Arsenale di Venezia, 2011.


Carlo Scarpa, intervento di restauro al Museo di Castelvecchio di Verona, 1958. Dettagli di stratificazione

irrispettoso, pensare di risolvere i problemi urbani con la metodologia della “tabula rasa” o dello stravolgimento complessivo del volto delle città. La sfida rimane quella quindi di preservarne l’identità, attuando gli interventi strettamente necessari al fine di riportare il contesto a condizioni di completezza mai viste prima. I bisogni di una società culturalmente in continua evoluzione, la continua tecnologicizzazione, il cambiamento dei nuclei familiari, il mutamento continuo delle risorse economiche, la richiesta di spazi sempre nuovi, il multiculturalismo, sono solo alcune delle ragioni che ci portano lontani dal pensare oramai la città come luogo statico, fatto e finito. La città è in continua evoluzione e così divengono quindi anche i contesti marginali. Essi, di fronte all’onta di cambiamento a cui è sottoposta la città contemporanea, si presentano come straordinaria risorsa. Infatti grazie alle nuove tecnologie costruttive ed impiantistiche, ad una sempre crescente sensibilità verso il rispetto dell’ambiente e dei manufatti esistenti, è possibile infondere nuova linfa alle periferie non solo con interventi ristretti alla scala del singolo edificio, ma anche a scala urbana, integrando l’esistente. La città è fatta prevalentemente di edifici residenziali. Oggi il tema del residenziale torna a rivestire quindi un ruolo da protagonista, di disegnatore della forma urbana. Rigenerazione urbana e nuove forme dell’abitare sono binomi di un unico processo che coinvolge la città, l’economia e la società. Il grande punto interrogativo è sul come questi completamenti vengono redatti. Sta infatti al progettista essere in grado di decifrare le esigenze del luogo, mediante la storia dello stesso, il dialogo, l’interazione disciplinare, e tramutarle in pratica senza stravolgere l’origine del frammento urbano. L’operazione di ricucitura urbana richiede quindi da un lato un’ attività di analisi dei bisogni pressanti, dall’altro un interpretazione della storia del luogo come supporto al progetto di architettura. Questa opportunità diviene ancora più evidente dal momento in cui sempre più spesso sta cambiando la concezione generale di città, vista nell’immaginario comune non più come luogo del disagio, della bassa qualità, dell’esclusione sociale ma come l’espressione più democratica della società e come occasione di convivenza collettiva. Un primo tema da affrontare quando si parla di città, è il tema della densità. Sempre più spesso infatti, si prediligono alte densità e forme aggregative compatte e concentrate. Questo nasce dalla volontà di minimizzare il consumo di suolo e i costi di gestione per spazi comuni, servizi e trasporti. Inoltre, anche avvicinare le persone RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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tra loro è sinonimo di nuove condizioni sociali oltre che spaziali. La prossimità di oggetti e persone accentua la mixitè, le relazioni e aumenta di conseguenza la complessità delle città. Un secondo aspetto importante è la riconsiderazione del rapporto tra strada ed edificio. E’ sempre più evidente ormai che il modello di riferimento debba essere necessariamente quello della città ottocentesca, in cui la strada diviene luogo vissuto, pubblico, in relazione strettissima con il costruito e non semplicemente un dispositivo distributivo autonomo. In questo contesto, sta assumendo sempre più forza il tema dell’attacco a terra. Da una parte, esso è il luogo capace di attirare le funzioni integrative dell’abitare, dall’altra è in grado anche di ospitare funzioni rivolte alla città. Diviene quindi di fondamentale importanza la progettazione attenta e precisa del piano terra connessa al disegno del suolo: gradini, recinzioni, vetrate, dislivelli, interpiani, marciapiedi, in quanto essi sono elementi precisi in grado di separare o sovrapporre la sfera pubblica a quella privata. Infine un ultimo aspetto da considerare quando si parla di rigenerazione urbana, sta nel rapporto fra le parti. Aldo Rossi sosteneva che la città si costituisce per parti e che dalla contrapposizione di esse deriva il carattere identitario della città stessa. Si esplicita quindi la volontà di diversificare le parti per risolvere l’uniformità delle forme, che simboleggia la standardizzazione e la ripetizione di modelli nei quali la società contemporanea non si riconosce più.

6.5. Il progetto Sacca Fisola si presenta come frammento di architettura di un passato prossimo avente una storia e delle motivazioni ben precise. Questo pone il luogo in una condizione di estremo interesse rispetto alla tematica del Nuovo e dell’Antico. Questo perché il rapporto si dilata e oscilla tra due poli: quello della relazione morfologica e tipologica con le preesistenze, e quella della relazione fisica e del contatto. Il progetto ha affrontato entrambi i temi, cercando di reinterpretare quanto visto fin ora. L’ approccio tipologico Dal punto di vista tipologico, i capitoli precedenti hanno avuto modo di illustrare come il tema del Nuovo e dell’Antico sia stata la tematica principale del lavoro nonché di tutto il corso di studi svolto. Un filo conduttore che ha mosso le intenzioni 180

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Porzione di fronte urbano su Fondamenta delle Zattere affacciante sul Canale della Giudecca Porzione di fronte urbano su Fondamenta San Biagio affacciante sul Canale della Giudecca


fin dal principio e che mantiene salde le redini delle decisioni. Nuovo e Antico non esplicitato, dunque, solo nel momento del contatto fisico, ma in un quadro più complesso e articolato che sottende anche le scelte di impianto, volumetriche, funzionali e tecnologiche. Tutti questi campi infatti hanno fatto i conti con la storia di questo luogo, ampiamente indagata, e l’ hanno ibridata con gli elementi propri dell’idea di Venezia come città. L’alta densità del costruito; la riproposizione delle fondamenta sul fronte Nord-Ovest; la rigidità e la durezza che si sono voluti ridestare al fronte; l’utilizzo tipologico della corte storica nella sua accezione moderna (il patio) e il suo utilizzo come strumento utile a rispondere alle esigenze di vita contemporanee; la reintroduzione dell’artigianato abbinata a un processo conoscitivo, di apprendimento e condivisione del tutto innovativo; l’utilizzo di un linguaggio architettonico nuovo ma dialogante con la chiarezza e pulizia dei palazzi veneziani; l’utilizzo del principio strutturale della muratura armata, che reinterpreta il sistema costruttivo su cui tutta Venezia è fondata; l’utilizzo di materiali sobri e coerenti; il rapporto instaurato volumetricamente e planimetricamente con l’esistente, a cui il Nuovo talvolta va in opposizione e che talvolta invece asseconda; l’utilizzo di una strategia insediativa in coerenza sia con ciò che è oggi l’isola di Sacca Fisola, sia con quello che in realtà avrebbe dovuto essere ma non è stata, attraverso l’integrazione degli assi esistenti con delle nuove polarità... sono le scelte che hanno permesso di rendere il progetto un frammento di modernità all’interno di un puzzle complicato, dove questo rapporto non è mai stato chiaro e forse mai lo sarà. Tuttavia, le volontà che muovono questi interventi devono essere necessariamente volte a dare una risposta, o perlomeno provare a darla, al quesito sul come far dialogare i caratteri del centro storico con quelli delle periferie, anche se a posteriori i giudizi in merito saranno sempre discordanti e forvianti se non si apprendono nei loro significati più profondi, nelle loro motivazioni. La storia di questo luogo ce lo insegna. Vista del fronte Nord di Sacca Fisola attuale

Vista del fronte Nord di Sacca Fisola così come prevista dal progetto

Dualità dialoganti La tematica del contatto ha visto come protagonisti principali 2 edifici, quello riservato alle residenze a patio in piazza e quello prospiciente al campo da calcio. In particolare il secondo nel quale il contatto è il preludio di un intervento volto a riqualificare e rifunzionalizzare l’edificio adiacente, oggi riservato ad abitazioni, rispetto a criteri più consoni alle esigenze del luogo. RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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La prima scelta che è stata fatta ha riguardato il punti di contatto fra i vecchi edifici del 1960 e quelli nuovi. Al fine di rendere evidente la differenziazione, ma al tempo stesso fornire una riconoscibilità complessiva a tutto l’intervento, i due casi sono stati trattati allo stesso modo. Si è interposto quindi una specie di diaframma, quasi un cuscinetto, composto in entrambi i casi dall’elemento distributivo della scala a doppia rampa. Questo volume è stato poi matericamente trattato allo stesso modo, ovvero rivestito con una lamiera di acciaio corten traforata. Questo elemento intermedio è stato scardinato volumetricamente dall’esistente: sia in altezza che in pianta esso scardina gli allineamenti del vecchio, presentandosi così all’evidenza come elemento innovativo. Si può quindi intuire la volontà di tripartire tale sistema: da una parte il vecchio edificio, poi un diaframma intermedio indipendente e infine il nuovo edificio. La riconoscibilità e autonomia formale delle parti è ovviamente estremizzata dall’utilizzo del materiale. I due edifici nuovi, ovvero quello riguardante le abitazioni a patio e quello adiacente, risultano formalmente dialoganti fra loro mediante l’utilizzo di un basamento continuo e delle cornici alle finestre in pietra bianca, del tonachino grigio di rivestimento e dall’utilizzo di una sorta di altana moderna. E’ differente tuttavia il linguaggio utilizzato. La scelta è stata infatti quella di ripartire il fronte sulla piazza e calle Figher in 3 porzioni, distinte ma dialoganti: la parte più a Sud, la torre a 5 piani (punto di riferimento per la piazza) e l’edificio successivo. Quest’ultimo vuole essere il proseguo dell’edifico esistente al quale va strettamente in relazione, così da riprendere e portare a termine l’idea originale di Samonà, reinterpretandola nel contemporaneo. Questa scelta è legata alla decisione di creare un climax nella distribuzione delle aperture, in modo tale da rendere il sistema via via sempre più autonomo dall’esistente. Quest’ultimo, come tutti gli edifici realizzati all’epoca, ha la caratteristica di essere formalmente estremamente semplice: esso infatti presenta una sequenza di finestre, tutte identiche ad eccezione del piano terra, poste a ritmi corrispondenti alle esigenze funzionali degli interni, fino alla metà dell’edificio. Successivamente vengono specchiate, tuttavia l’ultima finestra viene rigirata sul fronte opposto e il terrazzo viene separato in due corpi autonomi, per cercare di rendere meno evidente la simmetria della facciata. Con lo stesso principio è stato pensato l’edificio che lo va a completare. Le aperture sono infatti disposte in modo tale da rispecchiare la distribuzione interna degli appar182

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Cino Zucchi, edifici residenziali area ex-Junghans alla Giudecca, edificio D, 2003 Sezione ambientale lungo Calle Figher


Edificio esistente visto dalla piazza

tamenti, presenti ai piani superiori e accessibili mediante un ballatoio posto sul lato del campo da calcio. A differenza però dell’edificio novecentesco, le aperture sono state differenziate nelle dimensioni, pur riprendendo gli interpiani dell’esistente, in modo tale da inserire quella punta di novità necessaria al riconoscimento del Nuovo in quanto tale. Si distinguono figurativamente 3 elementi: la loggia, che fa capo al soggiorno; le finestre piccole che fanno capo ai servizi e le finestre di media dimensione che fanno riferimento alla zona giorno. La loggia, elemento principale, è stata leggermente scardinata dalla facciata al fine di aumentarne la plasticità. Le 2 aperture sono state poi bordate ciascuna con una cornice differente, mentre la loggia è stata lasciata priva di cornice. Tale elemento è ereditato dall’intervento di Cino Zucchi nell’area ex-Junghans, dove nell’edificio D le finestre sono l’elemento dominante del volume cubico le quali, bordate dalle campiture bianche delle ampie cornici costituite da lastre di rivestimento di 50 cm di larghezza accostate a squadra, reinterpretano in modo ammiccante ma non sarcastico il tema delle aperture delle residenze tradizionali veneziane, caratterizzate dalla presenza di architravi, davanzali e imbotti in pietra bianca di spessore uniforme. Questo linguaggio sottende quindi la scelta di mantenere l’elemento della matericità, della serialità e della regolarità di impaginato della tradizione, ma l’utilizzo di dimensioni differenti. La torre si configura invece come elemento figurativo interstiziale fra il linguaggio pseudo antico e il linguaggio totalmente nuovo. Se infatti l’edifico immediatamente adiacente al vecchio risulta quasi contaminato da esso, man mano ch ci si allontana dall’esistente i nuovi corpi non ne risentono pian piano l’influenza, fino a scardinarsi completamente da esso. In questo climax, le torre svolge il ruolo di diframma. Riprende infatti alcuni elementi dell’edificio che la precede e alcuni elementi del corpo che la segue. Troviamo quindi la presenza dello stesso tipo di aperture, per dimensione, forma e cornice, ma disposte con un impaginato che ammicca all’edificio successivo, in cui invece tutte le regole precedenti vengono stravolte e che si scardina dal vecchio con l’uso di finestre geometricamente differenti, cornici differenti e impaginato rispondente alle esigenze di un interno nettamente più articolato. La scelta di adottare questo climax figurativo è legato al fatto che altrimenti si incorrerebbe nel rischio di posizionare degli elementi troppo forti accanto a un edificio che figurativamente non ha la stessa valenza. In questo caso l’edifico stesso risulterebbe quasi di troppo, quasi inglobato all’interno di un sistema che lo rigetta, come totale estraneo, come un blocco di pietra in un mare d’oro. RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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Il nuovo edificio, quello accanto all’esistente, prevede il posizionamento al piano terra di una serie di elementi sinuosi ed organici, apribili e scompattabili che ospitano al loro interno cucine, depositi e zona cassa. Infatti essi sono pensati per essere dei piccoli padiglioni adibiti ad implementare l’attività del mercato cittadino, strutture presenti in modo costante ma utilizzabili da tutti a seconda delle svariate esigenze. Nel momento in cui esse risultano inutilizzate, lo spazio al piano terra viene chiuso mediante dei pannelli scorrevoli che lo rendono quindi inattaccabile agli atti di vandalismo. Nel momento in cui è aperto può configurarsi sia come mercato coperto sia come luogo di ritrovo e aggregazione che, posto accanto al nuovo bacareto all’altro lato e il vecchio circolo anziani, costituisce uno spazio flessibile e polivalente per tutta l’isola. Sono previste una serie di colonne verticali per l’alimentazione elettrica che possono consentire l’attacco libero per l’alimentazione dei padiglioni e delle sedute poste all’estremità Sud, che potrebbero permettere l’utilizzo di questo spazio come piacevole ritrovo serale o ufficioso spazio per convegni, manifestazioni o semplici riunioni. Lo spazio è illuminato grazie a un grande vuoto presente nel solaio del primo piano a tutta altezza, chiudibile mediante un sistema di tende a rullo automatizzato. Al piano superiore invece si trovano appartamenti estremamente semplici, composti da una zona giorno divisa dalla loggia in soggiorno e sala da pranzo e una camera doppia. La torre invece prevede l’utilizzo di una doppia scala interna nella parte terminale del ballatoio del secondo piano: una che consente la discesa di mezzo piano e l’altra che ne consente la salita. In questo modo, l’interpiano del piano primo si svincola dall’interpiano esistente, raccordandosi invece con quello dell’edificio successivo, ospitando al piano primo e secondo un alloggio con zona giorno, patio e due camere da letto, mentre al mezzo piano superiore trovano posto due alloggi triplex, con accesso in copertura dove ritroviamo l’elemento dell’altana. Dal punto di vista strutturale, la scelta è ricaduta su una struttura a telaio in calcestruzzo armato e fondazioni dirette su platea. La scelta di adottare il telaio deriva ancora una volta dalle esigenze architettoniche. Come già visto, composizione e struttura diventano un tutt’uno nel progetto e così avviene anche in questo caso. Per le esigenze funzionali di avere il piano terra libero da elementi controventanti come lame o setti, indispensabili nel caso di strutture a ritti pendolari, il sistema strutturale ha quindi fatto riferimento a nodi rigidi. 184

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Padiglioni organici. Il sistema, costituito da forme organiche che inglobano la maglia regolare di pilastri, vuole essere un’omaggio e una ripresa dell’opera Le Corbuseriana Le Corbusier, Ville Savoye, 1928-31. Piano terra


L’approccio conservativo L’edificio esistente a cui si àncora la nuova cortina urbana risulta edificato intorno agli anni ‘70 del 900 all’interno di quello che doveva essere il Piano di Samonà. Come si vede dai disegni originari, tale edificio doveva continuare nella stessa direzione fino all’incrocio con l’asse perpendicolare alla piazza. Era funzionalmente adibito a residenza, ma come abbiamo già visto, la mixitè prevista dal Piano comportava la commistione di abitazioni private ed edifici riservati all’IACP. Così, la porzione che oggi vediamo fu quella poi effettivamente realizzata dall’ente pubblico, mentre la successiva, che avrebbe dovuto essere realizzata da enti privati, non è stata mai realizzata, trasfigurando come in altre occasioni le intenzionalità del Piano. Da qui si intuisce il motivo per il quale l’edifico esistente sembra quasi tagliato, in corrispondenza della copertura, e dimostra che per sua natura era pensato come indipendente dall’altro, come testimonia anche l’accesso posto in posizione centrale. Attualmente vi sono presenti 6 residenze, servite da un vano scala e distribuite su 3 piani. Ogni piano quindi ha solamente due appartamenti. Essi si configurano come perfettamente coerenti all’epoca di costruzione. Si tratta infatti di appartamenti estremamente grandi (86 mq) con una distribuzione composta da: -ingresso; -corridoio distributivo; -camera da letto singola; -soggiorno; -cucina; -ripostiglio; -camera da letto doppia; -camera da letto matrimoniale.

Disegni originali di Samonà: in alto, stralcio del Piano di Samonà con disposizione originale del fabbricato, al centro e in basso le piante dello stato attuale con indicazione delle metrature

In totale quindi, gli alloggi sono per famiglie composte da 5 individui. E’ evidente che tale condizione, nel contemporaneo risulta fuori luogo, alla luce delle dinamiche familiari messe in capo nei capitoli precedenti. L’idea quindi è stata quella rifunzionalizzare l’edificio per aumentarne l’appetibilità sul mercato ridandogli così uno scopo e riconsegnarlo, più efficiente e più utile, alla città e ai cittadini. La scelta iniziale è stata non banale, ovvero quella sulla demolizione o meno del fabbricato. Ovviamente si è optato per la conservazione, alla luce di alcuni aspetti che si sono RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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ritenuti fondamentali. Tale edificio, come gli altri presenti sull’isola, denotano un carattere identitario estremamente forte comune a tutti questi tipi di interventi, che si connotano per i loro aspetti formali e distributivi. Essi non rappresentano solamente la storia di un singolo edificio, ma di un periodo ben preciso nella storia del nostro Paese. L’epoca in cui l’Italia, devastata dal conflitto mondiale, si accingeva a ripartire, l’epoca della grande industrializzazione, della grande emergenza abitativa, delle ristrettezze economiche. Tutti questi aspetti sono chiaramente ed emblematicamente rappresentati da questo e gli altri edifici. Cancellarli, vorrebbe dire cancellare ai posteri la possibilità di toccare e vedere con mano gli esisti di uno dei periodi più controversi ma anche produttivi della storia dell’architettura italiana. Che cosa sono quelle finestre, tutte uguali e di quelle proporzioni, se non il risultato dell’intento di massimizzare l’economicità e la concretizzazione fisica (nonché testimonianza) del limite tecnico-costruttivo presente allora? Che cosa sono quei prospetti, se non la testimonianza concreta e viva di un pensiero architettonico che puntava a massimizzare il numero degli alloggi, senza curarsi troppo dell’aspetto esteriore del fabbricato, dettato dalle emergenze abitative di dare un riparo alle masse di popolazione che lasciavano o tornavano in citta? Che cos’è quell’impianto distributivo, in cui gli alloggi sono composti da tante stanze dimensionalmente uguali, indistinte e sproporzionate, se non la rappresentazione fisica di un filone culturale che puntava alla quantità, più che alla qualità, e che ha perdurato per oltre 30 anni nella vita del nostro Paese? Cos’è la simmetria di cui si fa portatore, se non la concretizzazione di un’architettura in cui, per esigenze, la casa diveniva un prodotto standardizzato e quindi necessariamente veloce da costruire e progettare? Dato per assodato questo, si intuisce facilmente che l’identità del fabbricato sta nel suo impianto distributivo, nella purezza e nelle sue facciate, così banali ma così “uniche”, nella sua simmetria, nella sua indipendenza distributiva nei confronti dell’edifico adiacente. Questi elementi rappresentano il modo in cui questo fabbricato ci racconta il periodo in cui è stato costruito, sono la testimonianza culturale di scelte precise. Eliminare uno di questi aspetti avrebbe comportato l’eliminazione di ciò che “è” questo edificio ma soprattutto ciò che rappresenta. Renderle riconoscibili anche dopo l’intervento è segno non solo di rispetto, ma anche di correttezza nei confronti della storia, in quanto questo è e dovrà rimane un edifico storico. Storico non perché eseguito con materiali o tecniche di alta qualità o perché compositivamente eccezio186

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Attacco a terra e primo dell’edificio esistente, in rosso sono indicati i nuovi interventi, in giallo le demolizioni


nale, ma perché è coerente con le ragioni che hanno portato alla sua edificazione e che rappresentano quindi intrinsecamente anche il periodo storico a cui fanno capo, il che rende questa fabbrica una narratrice insostituibile di esse. Definiti gli elementi che connotano l’unicità del fabbricato, la strada scelta è stata logica e consequenziale. L’idea originaria era quella di implementare e adattare le residenze già presenti per renderle più consone al tipo di abitazione contemporanea. Tuttavia, ci si è resi conto che tale operazione avrebbe comportato uno stravolgimento del sistema distributivo causato dallo sventramento degli interni. Per tale ragione, l’ipotesi è stata scartata. Scartata anche l’opzione di rendere l’edificio esistente un prolungamento del Nuovo. Infatti, come dimostrano ancora una volta i disegni originali, se da un lato esso è nato come parte integrante di un sistema urbanistico più ampio, dall’altro è evidente e innegabile come l’edificio per sua natura sia sempre stato pensato come indipendente. Connetterlo (con un unico ballatoio distributivo, per esempio) avrebbe comportato una modifica di tutti gli aspetti prima citati e caratterizzanti, ovvero il prospetto e il distributivo. Il metodo più efficace intravisto per dare vita a questo edificio è stato quello di porre i progettisti in secondo piano. L’esistente è quindi stato considerato la regola attorno al quale doveva muoversi il progetto, la causa che avrebbe dovuto generare le scelte, scontrandosi con una realtà odierna in cui spesso l’architetto “cala” la sua volontà dall’alto e cerca di inserire forzatamente la sua idea in un oggetto che ne risulta bistrattato, violentato, distrutto. La scelta è stata quindi quella di fare un passo indietro, rivalutando l’inserimento di funzioni tali da non compromettere l’edificio ma che potessero allo stesso tempo essere coerenti col fabbricato esistente. La funzione individuata è stata quella direzionale. Infatti, la presenza di uno spazio distributivo relativamente ampio e di una serie di celle indipendenti ad ogni piano, si presta facilmente ad una conversione delle stanze a singoli uffici indipendenti. Questo ha fatto si di non stravolgere il carattere principale, il distributivo (fatto salvo qualche demolizione selettiva per l’inserimento dell’ascensore necessario e la chiusura di qualche porta) e al contempo dare risposta al bisogno dei cittadini di avere a disposizione una sede amministrativa locale. Inoltre, la presenza del direzionale viene incontro anche al desiderio di prossimità del luogo di lavoro da parte dei possibili futuri cittadini. L’unico elemento in cui si è garantito un grado più elevato di trasformabilità è il piano terra, in quanto è sempre stato adibito a deposito, quindi come spazio di secondaria RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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importanza e come tale è stato deciso di sacrificarlo, frazionandolo in unità più piccole a servizio degli uffici come archivio o deposito. Al piano terra trova posto anche il locale tecnico del nuovo sistema impiantistico, composto da una pompa di calore acqua-acqua. Gli interventi innovativi hanno riguardato l’efficientamento energetico dell’involucro, visto come necessario a fronte di una trasmittanza termica complessiva molto elevata (0.97 W/mqK) che, assieme a un sistema impiantistico poco efficiente (caldaia a condensazione per il riscaldamento) rende questo edificio una sorta di “rubinetto a perdere” in termini di spese di gestione. L’intervento innovativo ha quindi riguardato 3 aspetti: l’involucro, l’infisso e l’impianto. L’isolamento termico è stato notevolmente migliorato tramite l’apposizione di un cappotto interno con blocchi di idrati di silicati di calcio (utili sia in fase di isolamento che di controllo igrometrico) che vengono poi integrati con un infisso a taglio termico in sostituzione dell’esistente e all’utilizzo di ventilconvettori a pavimento per il raffrescamento e il riscaldamento. Queste azioni combinate hanno poi permesso, tramite l’utilizzo di un software di simulazione energetica in regime dinamico sviluppato dal Politecnico di Milano (BestEnergy) di confrontare le spese di gestione (bollette) annuali prima e dopo il miglioramento, derivanti dalla differenziazione dei consumi (kWh/mq annui). L’intervento energetico è risultato giustificato da una decurtazione dei costi di gestione pari al 60% circa. Dal punto di vista strutturale, al fine di aumentare la resistenza ai carichi di esercizio maggiori previsti, si è optato per l’inserimento di fasce in carbonio all’intradosso dei solai esistenti con la tecnica del Beton Plaqué, in modo tale da aumentare il momento resistente delle armature, una volta verificata la tenuta a compressione della porzione di sezione in calcestruzzo. Tutti questi interventi, tuttavia, sono stati caratterizzati da un’ intenzione comune, ovvero quella di rendere evidente la differenziazione. Rendere queste integrazioni visibili e riconoscibili e al contempo renderle efficaci, è stato l’obbiettivo di tutti gli interventi. La prima strategia è stata quella della differenziazione materica. Così come per l’esterno, dove è stato scelto un unico materiale riconoscibile, così avviene anche per l’interno. L’ascensore di nuovo inserimento è previsto in calcestruzzo armato lasciato a vista, mentre la finitura a pavimento del nuovo pacchetto è pensata in 188

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In alto, specchietto con i dati relativi alle simulalzioni energetiche e ai miglioramenti eseguiti. In basso, la riconoscibilità materica: vista dell’interno di una stanza Nella pagina a fianco, al centro la preservazione dei segni preesistenti: esploso assonometrico di dettaglio. In basso, il distacco fisico: vista assonometrica del nodo fra le murature esistenti e il nuovo pacchetto di solaio


una resina di cemento spatolato. Lo stesso tipo di finitura viene applicata anche sul cappotto interno, in quale viene rigirato sul soffitto per un lunghezza pari a 1.00 m in corrispondenza dell’intersezione fra il solaio superiore e la parete, in modo tale da evitare la formazione di ponti termici. Questo ha come obbiettivo l’effetto di uniformità estetica e d’impatto: il nuovo assume tutto la stessa colorazione, le stesse sembianze, e si rende così immediatamente riconoscibile. All’interno delle stanza sarà visibile una “lingua” di cemento spatolato che dal pavimento ricopre la parete verticale esterna e parzialmente il soffitto. In secondo luogo, la preservazione dei segni preesistenti è stata una condizione che è stata il più possibile mantenuta. Infatti sono previste solo due demolizioni importanti, ovvero quella in concomitanza del nuovo ascensore e quella relativa al muro di separazione fra le due preesistenti cucine, posto esattamente sull’asse mediano dell’edificio. La demolizione si è resa necessaria per la creazione della sala d’aspetto. Se per quanto concerne la prima, la matericità bastava di per sé ad identificare il Nuovo dal Vecchio, nel secondo caso invece era necessario rendere evidente la preesistenza ora scomparsa, al fine di lasciare la memoria dell’elemento e rendere il visitatore cosciente e critico dell’intervento svolto. A tal fine, si è scelto di non demolire completamente la muratura in questione, ma di lasciare il primo corso intatto (alla quota del nuovo pavimento finito, cioè +10 cm). A questo, vengono poi affiancate due squadrette ad L bullonate al solaio esistente, leggermente distanziate dal corso. Esse divengono sia il cassero a perdere del nuovo pacchetto di solaio, sia il sostegno per un carter metallico in vetro di chiusura a protezione del corso residuo. Questo, abbinato ad un sistema di luci semplici e puntuali poste nell’intercapedine fra il concio e la squadretta, consente a chiunque, anche nelle ore notturne, di riconoscere l’intervento e capire che in quel punto vi è stata una demolizione. Al piano terra, le nuovi partizioni sono state pensate con tecnologia a secco, in cui rimane quindi a vista il telaio in alluminio esterno. Esso, così come le fasce di rinforzo visibili all’intradosso, viene colorato con una vernice rossa in modo da esaltarne l’estraneità materica e temporale rispetto all’esistente. Così facendo, i telai in acciaio divengono automaticamente anche l’elemento di separazione fra la vecchia partizione e la nuova integrazione. RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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La stratificazione è stata poi enfatizzata mediante la scelta di distaccare il nuovo pacchetto a pavimento dal perimetro delle stanze originali. Infatti, sul pavimento originale e in concomitanza con i lati di ciascuna stanza, vengono posizionate degli elementi in acciaio a forma di U, imbullonati al solaio sottostante. Esse risultano dei casseri a perdere per il nuovo pacchetto a pavimento, costituito da un massetto a secco isolante di 7 cm che fa da sostegno alla nuova pavimentazione in resina di cemento battuto. Queste U sono quindi in grado di fungere da elemento distanziatore (una sorta di scarto scarpiano) che permette di riconoscere e distinguere nettamente il nuovo dal vecchio. Ma questo espediente ha anche uno scopo funzionale, oltre che formale: esso, coperto da un apposta griglia in PVC, racchiude al suo interno le tubazioni impiantistiche del nuovo sistema a venticonvettori. Il formalismo lascia posto quindi, ancora una volta, all’ architettura.

Nella pagina a fianco, sezione costruttiva sull’edificio esistente: in arancione sono evidenziati i nuovi interventi A lato, esploso assonometrico con dualità fra stato di fatto (a destra) e stato di progetto (a sinistra) 190

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Esploso assonometrico degli interventi sulla cortina

Esploso assonometrico degli interventi sull’edificio


Riferimenti progettuali

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Massimo Carmassi, Restauro dell’ex-panificio di Santa Marta Verona, 2015

Cino Zucchi, Case popolari, Edificio D Giudecca, Venezia, 2003

Carlo Scarpa, Museo di Castelvecchio, Verona, 1958

MAP Studio, Recupero della Torre di Porta Nuova, Arsenale di Venezia, 2011

Nella pagina a fianco, stralcio di prospetto fra il nuovo edificio e quello di Samonà. In evidenza la scala-diaframma in corten; al centro, analisi dell’edificio esistente; a sinistra, ingombro dell’edificio previsto da Samonà, attuale e di progetto RIGENERAZIONE URBANA E CONSERVAZIONE

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Tav. 21 Rigenerazione urbana e conservazione

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Tav. 22 Rigenerazione urbana e conservazione: nodi e dettagli

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Bibliografia

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La residenza contemporanea [14] PEPE, Gian Carlo, con RIZZI, Giacomo, L’alloggio flessibile : metodi, tecniche ed esemplificazioni di trasformabilità e adattabilità interna, IG. Iuculano, Pavia, 1990; [15] TURCHINI, Giuseppe, con GRECCHI, Manuela, Nuovi modelli per l’abitare. Evoluzione dell’edilizia residenziale di fronte alle nuove esigenze, Il Sole 24 Ore, Milano, 2006; [16] SEGANTINI, Maria Alessandra, Atlante dell’abitare contemporaneo, Skira, Milano, 2008; [17] TICHELMANN, Karsten con PFAU, Jochen, Costruzioni a secco, UTET Scienze Tecniche, Milano, 2009; [18] ORTOLANI, Filippo, All_oggi contemporanei. Da cosa nasce casa, Tesi di dottorato, Università degli studi Roma Tre, 2010; [19] TRIVELLI, Alessandro, Edilizia residenziale innovativa : progettare l’Housing contemporaneo, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2011; [20] BERGAMASCHI, Paolo con BERTOZZI, Paolo e GHINI, Agnese, Il sistema stratificato a secco. Una tecnologia sostenibile per l’architettura della casa., Dario Flaccovio editore, Palermo, 2010; [21] CELLUCCI, Cristina con DI SIVO, Michele, Habitat contemporaneo: flessibilità tecnologica e spaziale, Angeli, Milano, 2016; 200

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[22] I giovani e la casa. La generazione dei Millennials di fronte alla questione abitativa, ricerca realizzata da SIDIEF, Ottobre 2016;

La casa dello studente [23] RIZZO, Amelia, La casa temporanea per studenti. Ideologie, tipologie, agregazioni, Graphil, Palermo, 2003; [24] PERRICCIOLI, Massimo (a cura di), La *emporaneità oltre l’emergenza : strategie insediative per l’abitare temporaneo, Kappa, Roma, 2005; [25] CHIARANTONI, Carla, La residenza temporanea per studenti, Alinea, Firenze, 2008; [26] BERTOLDINI, Marisa con CAMPIOLI, Andrea, Progettare oltre l’emergenza: spazi e tecniche per l’abitare temporaneo, Il Sole 24 Ore, Milano, 2009; [27] PIVA, Marco con FRANZOIA, Elena, Space for life: sperimentazioni per l’abitare temporaneo, Compositori, Bologna, 2013;

La casa a patio [28] CAMBI, Enrico con DI CRISTINA, Benedetto e STEINER, Giovanna, Tipologie residenziali con patio, BE-MA, Milano, 1988; [29] MARETTO, Paolo, La casa veneziana nella storia della città, Marsilio, Venezia, 1992; [30] CAPITEL, Anton, La arquitectura del patio, Gili, Barcellona, 2005; [31] ALBIERO, Roberta con COCCIA, Luigi, Abitare il recinto. Introversione dell’abitare contemporaneo, Gangemi Editore, Roma, 2008; BIBLIOGRAFIA

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Rigenerazione urbana e conservazione [37] DI STEFANO, Anna Maria, con VASSALLO, Eugenio e SCHELLINO, Francesca, Eugène E. Viollet le Duc : un architetto nuovo per conservare l’antico , Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1994; [38] FERLENGA, Alberto, con VASSALLO, Eugenio e SCHELLINO, Francesca, Antico e Nuovo. Architetture e architettura vol.1, Il Poligrafo, Padova, 2007; [39] FRANCO, Cristina (a cura di), L’antico e il nuovo : il rapporto tra città antica e architettura contemporanea: metodi, pratiche e strumenti, UTET, Torino , 2002; [40] CARBONARA, Giovanni, Architettura d’oggi e restauro : un confronto antico-nuovo, UTET, Torino , 2011; [41] DI GIULIO, Roberto (a cura di), Paesaggi periferici : strategie di rigenerazione urbana, Quodlibet, Macerata, 2013; [42] D’ONOFRIO, Rosalba, con TALIA, Michele, La rigenerazione urbana alla pro202

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BIBLIOGRAFIA

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Ringraziamenti

Un ringraziamento sentito va ai colleghi ed amici che mi hanno incoraggiato e sempre sostenuto durante la stesura di questo elaborato e del percoso accademico in generale. Decìsi due anni fa di intraprendere il percorso verso il binomio del “Nuovo e Antico” e come degna conclusione, desidero ringraziare sia i miei ex compagni del Politecnico di Milano, sede di Mantova, che sono la testimonianza vivente di come il “vecchio” rimanga impresso nelle memorie e sulla pelle, sia i nuovi compagni di avventura di questi due anni a Venezia che hanno condiviso con me le tante gioie di questo mio percorso specialistico. Un ringraziamento speciale va alla mia famiglia, che attraverso il continuo sostegno e incoraggiamento, mi ha accompagnato al termine di questo percorso, sostenendomi, incoraggiandomi e dandomi sempre l’impressione di essere pienamente capito e mai colpevolizzato sulle scelte che, per loro, non si sono rivelate semplici, soprattutto in questo biennio veneziano. Un grazie doveroso alla mia compagna Elisa, faro che in questi ultimi due anni ha fortunatamente accompagnato e illuminato la mia Vita e l’ha resa una favola meravigliosa, anche attraverso i suoi preziosi consigli e incoraggiamenti. Un grazie alle mie amiche di mille avventure Giorgia, Annalisa, Sara a Marta, compagne ideali degli stravaganti ma quanto mai necessari fine settimana, e a Pierre, amico di una vita e intramontabile sostegno. Vorrei infine ringraziare i miei colleghi e amici Andrea e Camilla, con i quali ho condiviso non solo la stesura di questo elaborato, ma anche momenti indimenticabili durante tutto l’arco di questi lunghi anni. L’ultimo pensiero è rivolto ancora una volta al passato, a Marco e Matteo. A loro, dimostrazione ancor più evidente che il passato non è mai passato, dedico questo lavoro di tesi, nella consapevolezza assoluta che saranno presenti nel giorno più importante della mia Vita. A Voi che, comunque vada, sarete sempre al mio fianco. Nicola Piacentini

Un ringraziamento speciale va sicuramente ai miei genitori e nonni, che nonostante tutti i problemi a cui sono stati sottoposti non hanno mai smesso di aiutarmi e di darmi supporto economico ed emotivo nei periodi più bui e difficili del mio percorso formativo. Infine un sincero e sentito ringraziamento ai miei colleghi di tesi Nicola e Camilla che in questi due anni mi hanno aiutato e sorretto nei momenti di studio più duri. Andrea Zubelli


Queste parole non saranno mai abbastanza per ringraziare la mia famiglia del continuo sostegno dimostrato in questi anni. Un grazie speciale ai miei genitori perché sono stati un punto di riferimento fondamentale, mi hanno permesso di raggiungere questo grande e importante obiettivo, mi hanno saputa incoraggiare a partire dai momenti in cui tutto sembrava essere davvero difficile. Grazie perché hanno sempre dimostrato una fiducia cieca e priva di incertezze, spingendomi ad andare sempre avanti puntando sempre più in alto. Un grazie a Giovanni per l’infinita pazienza, il continuo aiuto e i grandi sorrisi condivisi in questi anni. Un grazie alle amiche di sempre per l’appoggio, l’incoraggiamento e l’instancabile amicizia. Un grazie ai compagni del Politecnico di Milano e dello IUAV per la gioia, le delusioni condivise e per aver reso indimenticabili questi anni di università. Un grazie a Federica che ha saputo essere una speciale coinquilina in questi due anni a Venezia ed è diventata un’indispensabile amica di vita. Infine un grazie sincero ai miei compagni di tesi ed amici, Nicola ed Andrea, che hanno saputo essere instancabili, pazienti e comprensivi. Grazie per questo stupendo percorso insieme. Camilla Pozzani Desideriamo ricordare congiuntamente tutti i docenti che ci hanno accompagnato nel nostro percorso e particolarmente, per la disponibilità e il supporto costante: - l’arch. Andrea Praolini, correlatore di questo lavoro di tesi, il quale grazie al prezioso supporto e con grande pazienza e disponibilità ci ha aiutati nella stesura completa dell’elaborato; - l prof. Pierantonio Val e Roberto Di Marco, relatori del presente elaborato, per la preziosa ed elevata competenza e collaborazione concessaci; - Il prof. Luca Boaretto, preziosa figura in grado di spronarci nelle scelte eseguite in campo strutturale; - Il prof. Lamberto Borsoi, che grazie alla sua esperienza sul campo impiantistico ci ha fatto comprendere l’importanza dell’integrazione disciplinare anche all’interno di questo elaborato; - Il prof. Paolo Faccio, faro che con la sua immensa competenza e disponibilità ci ha costantemente illuminato con luce nuova sul significato del “lavorare con l’esistente”; - La prof. ssa Alessandra Ferrighi, sostegno fondamentale grazie alla quale siamo rusciti a scavare a fondo nel cuore delle questioni tramite l’utilizzo della storia. Ringraziamo altresì il personale della biblioteca IUAV di Venezia e degli archivi storici di Venezia per la disponibilità preziosa tramite la quale siamo giunti alla conoscenza e all’approfondimento dei temi trattati.



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