La biologia del mieloma multiplo
American Society of Hematology Meeting 2024
La biologia nel mieloma multiplo
American Society of Hematology Meeting 2024
Carolina Terragna
IRCCS Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna, Laboratorio di Biologia Molecolare - Istituto di Ematologia “Seràgnoli”
Meccanismi genomici di resistenza a immunoterapia
Genomic determinants of resistance to anti-BCMA Chimeric Antigen Receptor T-Cell (CART ) therapies in patients with relapsed/ refractory multiple myeloma
Maura F, Freeman CL, Lee H, et al.
Abstract 247
L’introduzione dei CART e degli anticorpi bispecifici (T-cell engagers, TCE) ha rivoluzionato il panorama terapeutico nei pazienti con mieloma multiplo recidivante/refrattario (RRMM). Tuttavia, nonostante le impressionanti risposte riportate finora, i meccanismi responsabili della resistenza o del fallimento terapeutico rimangono insufficientemente determinati. Per studiare i meccanismi genomici coinvolti nella refrattarietà primaria e nella resistenza alle immunoterapie anti-BCMA, abbiamo analizzato 122 profili genomici (WGS, coverage mediano 80X) e 10 esomi (WES) ottenuti da un totale di 96 pazienti trattati con CART (n=74) o TCE (n=22). In 74 pazienti è stato raccolto un campione prima del trattamento con CART (idecel n=58; ciltacel n=16), e in 13 prima del trattamento con TCE. I pazienti trattati con CART hanno mostrato una sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana di 394 giorni, con 19 pazien-
ti (25%) che hanno avuto una progressione entro i primi 100 giorni (refrattari). La presenza di malattia extra-midollare pre-trattamento (EMD, 12%) e l’esposizione pregressa a terapie anti-BCMA (20%) sono state associate a una PFS inferiore (entrambi p<0.0001). Utilizzando il sistema di scoring MyCAR, sono stati identificati 3 pazienti ad alto rischio (4%), il cui decorso clinico è stato sfavorevole; Il sistema di scoring non è stato in grado di discriminare tra i pazienti a rischio basso (n=21, 37,5%) e medio (n=32, 57%) (p=0,10). La delezione di TNFRSF17 è stata osservata in 5/96 (5%) pazienti, 4 dei quali trattati con CART. Di questi, 3 avevano precedentemente ricevuto terapie anti-BCMA, come il belantamab mafodotin (n=2), e questi eventi genomici erano presenti prima del trattamento con CART, causando una refrattarietà completa al trattamento. Tutti i pazienti con perdita biallelica di BCMA hanno mostrato anche una perdita biallelica di CYLD o TRAF3, regolatori chiave della via di segnalazione NFkB. Poiché BCMA è un driver dell’attivazione di NFkB nelle cellule di MM, l’assenza di BCMA potrebbe essere tollerata dalla cellula tumorale solo in presenza di alterazioni genomiche che coinvolgono NFkB, promuovendo la resistenza al CART.Nei campioni pre-CART, abbiamo poi studiato quali altre alterazioni siano associate a una PFS inferiore e a malattia refrattaria al trattamento. Tra le caratteristiche ad alto rischio note, il gain del cromosoma 1q è stato significativamente associato a una PFS inferiore. Inoltre, dall’analisi di un ampio catalogo di geni driver, sono stati identificati numerosi driver genomici coinvolti nella resistenza e nella refrattarietà primaria al CAR-T antiBCMA. Questi driver possono essere categorizzati in cinque gruppi principali: uno associato a una PFS favorevole e quattro associati a una PFS sfavorevole. Il gruppo favorevole includeva pazienti con mutazioni di RPL10 (84% dei pazienti in remissione a 1 anno). Il secondo gruppo includeva pazienti con perdita di geni coinvolti nell’instabilità e nella complessità genomica, come RPL5, TP53, CDKN2C e la presenza di iper-APOBEC. Il terzo gruppo includeva geni coinvolti nella via di segnalazione NFkB (CYLD, TRAF3, NFKB2, MAP3K14). Il quarto gruppo includeva eventi di loss-of-function che coinvolgono fattori di
trascrizione e regolatori (ad esempio SP140, KMT2C, DIS3). L’ultimo gruppo includeva eventi genomici noti per essere coinvolti nel differenziamento delle plasmacellule (ad esempio IKFZ3, CD38 , XBP1, TNFRSF17 ). In generale, i pazienti con eventi genomici provenienti da almeno due dei gruppi sfavorevoli (n=32) hanno avuto esiti significativamente peggiori rispetto agli altri pazienti (PFS mediana 75 vs 763 giorni, p<0,0001), identificando l’84% di tutti i pazienti refrattari. Utilizzando un modello di rischio proporzionale di Cox, abbiamo dimostrato che queste caratteristiche genomiche predicono in modo indipendente e più accurato la refrattarietà alla terapia CAR-T anti-BCMA [p<0,0001; hazard ratio (HR): 5,5497] rispetto ai tradizionali score di rischio come EMD (p=0,59, HR: 0,5945) e MyCAR (p=0,03, HR: 0,1694). Confrontando i dati WGS dei campioni raccolti al momento della progressione dopo CART (n=12) e post-TCE (n=9), è stata osservata una sola mutazione di BCMA (P33S) dopo CART, e il suo impatto sul legame con CART non è stato confermato negli studi funzionali. Al contrario, nei pazienti trattati con TCE, mutazioni nei geni target e conseguente escape antigenico sono risultati responsabili d >50% delle recidive (5/9; Lee et al. Nat Med 2023). Questo supporta l’ipotesi che l’alta prevalenza di mutazioni in BCMA osservata dopo TCE sia la conseguenza della continua pressione selettiva da parte delle terapie basate su TCE. In generale, i dati riportati suggeriscono che una profilazione genomica completa possa prevedere accuratamente gli esiti clinici nei pazienti con mieloma multiplo trattati con CAR-T anti-BCMA, meglio degli attuali predittori di rischio clinico, risultando potenzialmente un efficace strumento a supporto della selezione di strategie terapeutiche differenti.
Quadro d’insieme
Lo studio, eseguito in una coorte di pazienti con RRMM, descrive alcuni possibili meccanismi di resistenza al trattamento con immunoterapia antiBCMA (CART o TCE), legati all’emersione di mutazioni nei geni target della terapia immunologica. Viene inoltre descritto il profilo genomico dei pazienti refrattari alla terapia anti-BCMA (ovvero ricaduti entro
100 giorni dal trattamento), identificando la prevalenza di alterazioni genomiche in geni driver critici per la patogenesi del MM.
Analisi dei risultati
Lo studio include un numero rilevante di pazienti con RRMM trattati con CART (74 pazienti) o TCE (22 pazienti) anti-BCMA, per i quali era stato raccolto un campione di aspirato midollare dopo il trattamento immuno-terapico e, in una parte di questi, anche prima del trattamento. I campioni sono stati profilati genomicamente mediante WGS o WES ad alto coverage (80x per WGS e 300x per WES), fornendo così un quadro completo delle alterazioni genomiche (mutazioni, alterazioni numeriche e strutturali) rilevabili nelle plasmacellule in seguito alla pressione selettiva esercitata dalla terapia con CART o TCE, in pazienti trattati con queste terapie.
Lo studio conferma che la presenza di mutazioni bi-alleliche in TNFRSF17, se pur osservata in una piccola porzione di pazienti, si associa invariabilmente a prognosi sfavorevole; inoltre, in tutti i casi si perdita bi-allelica di TNFRSF17, lo studio dimostra anche la perdita bi-allelica di CYLD e TRAF3, associata ad una iper-attivazione del pathway di NFkB, con conseguente attivazione di meccanismi di sopravvivenza cellulare e di resistenza all’apoptosi. Questo suggerisce che la resistenza alla terapia con anti-BCMA possa associarsi ad un processo di co-selezione, in cui la perdita di BCMA viene compensata dall’attivazione del pathway di NFkB.
Contrariamente a quanto osservato in corso di trattamento con TCE, nel caso di trattamento con CART non sono state osservate mutazioni nel dominio extra-cellulare di BCMA, suggerendo che queste vengano selezionate positivamente solo in presenza
Gain_Amp1q
MAF_IGH
CCSER1
CDKN2C
RPL5
TP53
CD38
GLCCI1
IKZF3
PAX5
XBP1
ZNF292
SP140
TNFRSF17
CYLD
MAP3K14
NFKB2
PRKD2
Refractoryness
di una esposizione continua ad immunoterapia. Inoltre, le traiettorie evolutive in corso di terapia con CART sono risultate prevalentemente stabili, suggerendo che una analisi genomica pre-terapia potrebbe già mettere in evidenza eventuali vulnerabilità genomiche, che potrebbero condizionare le scelte terapeutiche successive.
La profilazione genomica eseguita pre-trattamento, oltre a permettere di rilevare la possibile presenza di mutazioni già presenti prima del trattamento nei geni target immunoterapici, ha permesso anche di esplorare l’intero profilo genomico dei pazienti, identificando ulteriori alterazioni prevalenti in geni driver importanti per la patogenesi del MM in sottogruppi di pazienti a decorso clinico diverso. In generale, una maggiore complessità genomica si associa a decorso clinico sfavorevole (Figura 1); in particolare, lo studio identifica 5 sottogruppi di geni driver, che identificano 5 possibili pathway diversi, alterati in sottogruppi diversi di pazienti: il primo sottogruppo, caratterizzato da mutazioni prevalenti nel gene RPL10, identifica pazienti a prognosi favorevole. Il gene RPL10 codifica per una proteina ribosomiale, descritta in letteratura per la sua interazione con il gene NSD2, over-espresso in alcuni pazienti con MM.
Gli altri 4 sottogruppi di geni driver identificano (1) l’instabilità genomica, (2) il pathway di NFkB, (3) eventi di loss-of-function in fattori di trascrizione e (4) il differenziamento delle plasmacellule, come possibili meccanismi alterati nei pazienti a prognosi sfavorevole.
Il 25% dei pazienti incluso nello studio ha avuto una progressione entro i primi 100 giorni dal trattamento e sono stati pertanto definiti “refrattari”. Lo studio ha quindi stimato l’associazione tra l’esito clinico particolarmente sfavorevole di questo sottogruppo di pazienti e la presenza di alcuni fattori clinici, notoriamente associati a prognosi sfavorevole, come la presenza di malattia extra-midollare, il trattamento pregresso con farmaci anti-BCMA, il sistema di stratificazione del rischio MyCAR, la presenza di alterazioni cromosomiche ad alto rischio (es gain1q).
Accanto a questi fattori prognostici, è stato anche valutato l’impatto sulla prognosi delle alterazioni rilevate nei 5 pathway sopra citati, dimostrando che
la loro presenza conferiva un rischio molto elevato di refrattarietà al trattamento studiato, in maniera significativa e indipendente dai fattori di rischio impiegati convenzionalmente.
Concetti-chiave
L’efficacia della terapia con CART o TCE è limitata dalla possibile emersione di resistenze, a volte anche precoci, di cui non sono ancora noti tutti i determinanti genomici. Mutazioni nel gene TNFRSF17, che codifica per BCMA sono relativamente poco comuni nei pazienti trattati con CART o TCE anti-BMA, e comunque più comuni nei pazienti trattati con TCE, a causa della pressione selettiva continua esercitata da questo tipo di trattamento sul clone di plasmacellule. Lo studio genomico del clone plasmacellulare ha consentito di identificare nuovi determinanti della prognosi dei pazienti, il cui significato clinico può essere anche più rilevante di quello dei fattori prognostici convenzionali, grazie alla possibilità di identificare i pathway deregolati nei pazienti resistenti alla terapia. In generale, lo studio supporta l’importanza della caratterizzazione genomica dei pazienti trattati con immunoterapia, per ottimizzare e guidare le scelte terapeutiche nei pazienti RR.
Convergent evolution towards CD38 biallelic loss is a recurrent mechanism of resistance to anti- CD38 antibodies in multiple myeloma
Diamond B, Baughn LB, Poorebrahim M, et al.
Abstract 592
Introduzione. Gli anticorpi monoclonali (MoAb) diretti contro CD38 rappresentano una pietra miliare nel trattamento del mieloma multiplo (MM). La down-regolazione dell’espressione di CD38 è un meccanismo di escape antigenico che causa resistenza alla terapia; tuttavia, nel tempo, il CD38 può tornare ad essere espresso sulla superficie cellulare. Sebbene questa plasticità delle cellule tumorali sia probabilmente controllata da meccanismi epigenetici, non è ancora chiaro se le cellule di MM possano sviluppare una resistenza permanente agli MoAb anti-CD38, acquisendo eventi genomici che portano alla distruzione biallelica del gene CD38, impedendo così un’eventuale riesposizione al farmaco. In questo studio, presentiamo la perdita bi-allelica di CD38 come un meccanismo ricorrente di resistenza, che si verifica spesso attraverso un processo di evoluzione convergente, in cui sub-cloni distinti sono favoriti dalla stessa pressione selettiva.
Metodi. Due set di pazienti (Mayo Clinic; n=31, Università di Calgary; n=19) con recidiva dopo trattamento con MoAb anti-CD38 sono stati inclusi nello studio. Inoltre, sono stati aggiunti due ulteriori casi di interesse, provenienti dall’Università di Heidelberg. Per ciascun paziente sono stati eseguiti un sequenziamento genomico (WGS, 60-100x) o esomico com-
pleti (WXS), una citometria a flusso (flow), e un bulk RNAseq per valutare il risultato degli eventi genomici osservati nel gene CD38. Le mutazioni missenso nel putativo sito di legame con MoAb anti-CD38 sono state validate mediante mutagenesi site-directed di un plasmide clonato col gene CD38, trasduzione nella linea cellulare K562 e successivi saggi di legame con MoAb anti-CD38.
Risultati. La prevalenza di inattivazione biallelica di CD38 nelle recidive dopo trattamento con MoAb anti-CD38 è stata del 6% (3/50). Un ulteriore evento biallelico selezionato è stato osservato nel set di Heidelberg. Ogni caso è descritto di seguito nel dettaglio: MM-19 (Calgary) ha ricevuto daratumumab (Dara), lenalidomide e desametasone (Dex), e successivamente una seconda esposizione a Dara dopo la recidiva. Alla seconda recidiva, è stato effettuato il WGS su due localizzazioni indipendenti di malattia extramedullare nel fegato. Entrambi i campioni presentavano ampie delezioni (>3 Mb) sul cromosoma 4, associate a delezioni focali che coinvolgevano CD38. La citometria a flusso ha confermato la presenza di popolazioni di plasmacellule CD138+/CD38in entrambi i siti. Un secondo caso di evoluzione convergente è stato osservato in un paziente (Mayo) dopo una settima linea di trattamento con Dara/ Len/Dex. Il WGS ha rivelato una delezione comune che includeva la regione di CD38. Sull’allele rimanente, un sub-clone ha mostrato una variazione strutturale che ha mediato la perdita di CD38 (frazione di cellule tumorali; CCF 40%), mentre un altro subclone portava la mutazione missenso L153H (CCF 60%). La citometria a flusso ha confermato la presenza di due cloni CD138+, di cui uno caratterizzato da una ridotta espressione del CD38. La mutazione L153H è stata validata funzionalmente dimostrandone un ruolo nell’inibizione del legame con Dara, pur mantenendo l’espressione del CD38. Il terzo campione è stato raccolto dopo un trattamento di quinta linea con Dara e di sesto linea con Dara/Bortezomib/ Dex (Heidelberg) e rappresenta un altro caso di evoluzione convergente con una perdita comune del cromosoma 4 e due sub-cloni rilevati tramite WGS (P98Lfs*12, CCF 39% con inattivazione bi-allelica; R140G, CCF 61%). Il confronto del profilo RNAseq del
paziente portatore di mutazione con i campioni di pazienti non trattati provenienti da CoMMpass, ha dimostrato una espressione di CD38 inferiore al primo decile. La variante R140G ha portato ad una riduzione dell’affinità di legame con Dara, ma non con Isatuximab (Isa). Un quarto caso (Mayo), in recidiva dopo 6 mesi di terapia con Dara, ha mostrato anch’esso una delezione focale di CD38 con una delezione frameshift L18Sfs*16 sull’allele rimanente, associata a una riduzione di 4,35 volte dell’espressione di CD38, rilevata tramite RNAseq, rispetto all’espressione di CD38 nel campione raccolto pre-trattamento.
È interessante notare che, in 3/4 dei casi, il clone negativo per CD38 è emerso dopo una seconda esposizione a MoAb anti-CD38, suggerendone una emersione dopo la prima esposizione, successivamente selezionata dalla seconda. Un altro evento monoallelico (C275Y; Heidelberg) è stato rilevato dopo il trattamento con Isa: in questo caso, il numero di copie dell’altro allele non è noto perché è stato eseguito un sequenziamento targeted; tuttavia, la variante ha dimostrato una ridotta affinità di legame sia per Dara che per Isa. In generale, la prevalenza di perdita monoallelica di CD38 in MM di nuova diagnosi provenienti dallo studio CoMMpass è risultata del 7% (50/701), con due pazienti portatori di mutazioni in CD38; non sono stati osservati casi di perdita biallelica di CD38, suggerendo che questi eventi siano condizionati dalla pressione selettiva del trattamento con MoAb anti-CD38.
Conclusioni. La definizione del meccanismo di perdita di CD38 è importante per prevedere l’esito di un eventuale re-challenge con MoAb anti-CD38. I risultati riportati suggeriscono che circa il 5-10% delle recidive da MoAb anti-CD38 siano caratterizzate da un escape antigenico genomico. Questi risultati sono in linea con l’escape antigenico osservato post immunoterapia con anti-BCMA e antiGPRC5D (Lee et al, Nat Med 2023), suggerendo che un escape antigenico acquisito, risultante da una prolungata esposizione alla pressione selettiva esercitata della terapia immunologica, sia un meccanismo ricorrente di resistenza nel MM. Inoltre, in alcuni casi selezionati, l’insorgenza in sub-cloni diversi,
portatori di mutazioni diverse correlate a resistenza, fornisce un razionale al cambio di agente alla seconda esposizione.
Quadro d’insieme
Lo studio, eseguito in una coorte di pazienti provenienti da diversi centri e ricaduti dopo trattamento con combinazioni terapeutiche comprendenti un anticorpo monoclonale anti-CD38, descrive un meccanismo di resistenza genomico al trattamento con questo tipo di immunoterapia, che prevede un escape antigenico causato dalla perdita bi-allelica del gene CD38, osservata nel 6% dei pazienti inclusi nello studio. Lo studio dimostra che, in alcuni casi la perdita bi-allelica avviene attraverso una traiettoria evolutiva convergente, con delezione del locus CD38 sul cromosoma 4 e mutazioni nell’allele non deleto, diverse in diversi sub-cloni.
Analisi dei risultati
Lo studio descrive un meccanismo di evoluzione clonale legato all’esposizione prolungata e/o ripetuta a trattamento immunoterapico con anti-CD38 nei pazienti in cui sono state rilevate mutazioni in questo gene. In generale, i meccanismi di resistenza primaria al trattamento con anti-CD38 sono noti e in alcuni casi sono stati associati a complessità genomica; i meccanismi di resistenza sviluppati in corso di terapia, anche successivamente all’ottenimento di una risposta completa, rappresentano l’oggetto di questo lavoro.
La casistica comprende una coorte di pazienti provenienti da diverse Istituzioni, trattati con anti-CD38. Per ognuno dei casi sono state eseguite analisi ad alta risoluzione (WGS e WES) e analisi citofluorimetriche e il lavoro descrive, per ciascun caso, il meccanismo di perdita mono- o bi-allelica del gene CD38. Le alterazioni sul cromosoma 4, in prossimità del gene CD38, possono essere delezioni estese o focali, oppure alterazioni strutturali; nel caso di alterazioni bi-alleliche, nell’allele non deleto sono state rilevate mutazioni, talvolta in cloni diversi, suggerendo traiettorie evolutive convergenti, determinanti la perdita dell’espressione del CD38 (dimostrata mediante citofluorimetria), oppure in un caso, la coesi-
stenza di cloni CD38+ e CD38-, con il clone CD38+ caratterizzato da una ridotta affinità con il farmaco impiegato per il trattamento del paziente. In un caso, lo studio è stato eseguito su due lesioni extramidollari, ciascuna portatrice di una diversa mutazione sul gene CD38.
Le mutazioni rilevate sul gene CD38 cadono prevalentemente nel dominio extra-membrana della proteina (Figura 1) e non sono ricorrenti, anche se la casistica analizzata non è probabilmente sufficientemente grande per rilevare la presenza di eventuali ricorrenze.
Lo studio descrive, per la prima volta e in maniera molto dettagliata, la traiettoria evolutiva di pazienti trattati con anti-CD38 e la sua rilevanza sta nel fornire uno strumento per guidare le scelte terapeutiche, soprattutto in considerazione della prolungata esposizione a questo tipo di trattamento come terapia di mantenimento per pazienti con MM di nuova diagnosi.
Concetti-chiave
La perdita di risposta alla terapia con anticorpi monoclonali anti-CD38 può essere dovuta alla perdita dell’antigene, che, nel caso sia determinata da alterazioni bi-alleliche a carico del gene CD38 (delezione, anche focale sul cromosoma 4 e mutazione sull’altro
allele), può essere irreversibile. Una percentuale compresa tra il 5 e il 10% dei pazienti studiati mostra perdita bi-allelica di CD38 dopo esposizione prolungata alla pressione selettiva di farmaci anti-CD38; al contrario, nessun paziente alla diagnosi o non esposto a questi farmaci presenta alterazioni bi-alleliche di CD38. Questo suggerisce una traiettoria evolutiva nei pazienti trattati con anticorpi monoclonali antiCD38, condizionata da una profonda pressione selettiva esercitata da questo tipo di trattamento. Alcune mutazioni conferiscono resistenza a anticorpi monoclonali diversi, suggerendo la possibilità di guidare le scelte terapeutiche sulla base del profilo mutazionale dei pazienti e supportando il ruolo della profilazione genomica anche post terapia.
L18Sfs*16 Mayo-31
Mayo-68
P98Lfs*12 RRMM53 L153H Mayo-26 R140G RRMM53 Missense Truncating
C275Y RRMM54
Bi-Allelic GPRC5D alterations provide proliferative advantage in presence of talquetamab
Munawar U, Han S, Nerreter S, et al.
Abstract 593
Contesto. Il recettore accoppiato alla proteina G, classe C, gruppo 5, membro D (GPRC5D) è recentemente emerso come un promettente target immunoterapico nel mieloma multiplo (MM), sebbene la sua funzione rimanga sconosciuta. Alterazioni mono-alleliche di GPRC5D sono presenti nel 15% dei pazienti con MM di nuova diagnosi, ed è realistico pensare che questa frequenza possa aumentare nei pazienti con MM recidivante/refrattario, che spesso sono stati esposti all’anticorpo bi-specifico anti-GPRC5D-CD3 talquetamab. Il ruolo funzionale delle alterazioni del gene GPRC5D, monoalleliche basali o bi-alleliche acquisite, non è ancora noto. In questo studio, abbiamo studiato il ruolo funzionale di diverse alterazioni genetiche di GPRC5D analizzando il loro impatto sulla biologia della malattia e sulla risposta ai trattamenti immunoterapici contro il MM. Metodi. Sono stati creati modelli cellulari di knockout (KO) mono-allelico e bi-allelico di GPRC5D utilizzando la linea cellulare MM OPM-2, tramite tecnologia CRISPR-Cas9. Lo stato allelico di GPRC5D nelle cellule è stato confermato mediante digital droplet PCR (ddPCR) e sequenziamento Sanger. La microscopia ottica stocastica a ricostruzione diretta (dSTORM) è stata utilizzata per stimare la distribuzione del recettore e quantificare l’epitopo dei bersagli immuno-terapici più comuni, come GPRC5D, CD38, BCMA e SLAMF7. Utilizzando linfociti T effettori sani, sono stati eseguiti studi funzionali ed è stata testata l’efficacia di diverse immunoterapie e farmaci convenzionali contro il MM.
Risultati. Il profilo di espressione genica tramite RT-PCR ha confermato che le cellule GPRC5DWt/Del mostravano una riduzione del 50% di espressione dell’mRNA di GPRC5D (diminuzione di 2 volte in 2-ΔΔct) rispetto alle cellule WT. Le cellule GPRC5DDel/Del mostravano invece una riduzione del 98% dell’espressione di GPRC5D a livello di mRNA. Questi risultati trascrittomici sono stati confermati tramite dSTORM. L’espressione di superficie di GPRC5D nelle cellule GPRC5DWt/Del è risultata ridotta di 2 volte (0,1624±0,0222 cluster/µm2) rispetto alle cellule WT (0,3237±0,1024 cluster/µm²). Le cellule GPRC5DDel/ Del hanno mostrato una espressione appena rilevabile (0,0322±0,007 cluster/µm²). Questi dati sono stati confermati anche a livello proteico tramite Western blot. Una volta esposte all’anticorpo bispecifico antiGPRC5D-CD3 talquetamab, le cellule GPRC5DWt/Del mostravano una resistenza significativa, ulteriormente accentuata nelle cellule GPRC5DDel/Del. Inoltre, in presenza di talquetamab, i modelli cellulari deficienti per GPRC5D mostravano un aumento di proliferazione (0,5 volte, p=0,016) rispetto alle cellule WT parentali. Questo fenomeno era particolarmente marcato nelle cellule con inattivazione bi-allelica (aumento di 2 volte, p<0,0001). In assenza di talquetamab, il tasso di proliferazione cellulare di base non differiva tra le cellule WT e i nostri modelli. Nessun cambiamento di proliferazione è stato osservato nei modelli trattati con talquetamab in assenza di linfociti T effettori.
Il profilo ad alto contenuto cito/chemiochinico è stato eseguito con la piattaforma microarray scioCyto in esperimenti di cocultura di GPRC5D è stato eseguito con la piattaforma microarray scioCyto, rivelando profili significativamente alterati, in particolare relativi a citochine promotrici di crescita e proliferazione come CCL28, IL34, HGF e CXCL9. Inoltre, l’analisi differenziale dell’espressione genica da RNAseq di cellule WT e KO di GPRC5D ha confermato una overespressione delle vie MAPK e PI3K, coinvolte nella crescita e proliferazione, e una down-regolazione della via di segnalazione RAP1, coinvolta nell’adesione cellulare. L’assenza di legame non specifico o alternativo di talquetamab alla superficie delle cellule GPRC5DDel/Del è stata confermata tramite citome-
tria a flusso. Per chiarire il potenziale meccanismo di induzione della crescita tramite legame non specifico di talquetamab, sono in corso analisi proteomiche basate su saggi di pull-down.
Conclusione. Questo studio fornisce dati preliminari in merito all’inattivazione mono-allelica di GPRC5D, in grado di ridurre l’efficacia di talquetamab. I risultati supportano un ruolo antiproliferativa di GPRC5D e suggeriscono che un trattamento prolungato con talquetamab potrebbe favorire la crescita tumorale in cellule prive di GPRC5D.
Quadro d’insieme
Lo studio è finalizzato alla comprensione del significato biologico delle mutazioni nel gene GPRC5D, osservate nel 15% di pazienti con Mieloma Multiplo di nuova diagnosi (NDMM), e spesso associate a resistenza a immunoterapia con farmaci bispecifici
Figura 1. Saggi in vitro di citotossicità che dimostrano la resistenza al trattamento delle linee con mutazione bi-allelica.
anti-GPRC5D. Lo studio dimostra che l’inattivazione mono-allelica di GPRC5D compromette l’espressione della proteina GPRC5D, causando una riduzione dell’efficacia dei farmaci bispecifici e suggerendo che questo gene conferisca un vantaggio proliferativo alle cellule mutate e ne riduca le capacità di adesione al microambiente.
Analisi dei risultati
Nonostante la generale efficacia dei trattamenti immunoterapici anti-GPRC5D, sia bispecifici che CART, alcuni pazienti risultano resistenti al trattamento e la mancanza di conoscenze sulla funzione biologica della proteina di membrana GPRC5D impedisce la piena comprensione del meccanismo di resistenza al trattamento, osservata in una percentuale rilevante (tra il 25% e il 35%) di pazienti trattati con questa terapia. Lo studio si interroga quindi sul ruolo funzionale delle mutazioni osservate nel gene GPRC5D e utilizza un modello in vitro di linee cellulari trasformate con varianti mono- o bi-alleliche di GPRC5D per studiare i meccanismi e le dinamiche di resistenza al trattamento con anti-GPRC5D.
La stabilità dei modelli cellulari allestiti per lo studio è stata dimostrata con diverse tecniche, tra cui un nuovo approccio di microscopia molecolare (dSTORM), in grado di quantificare con elevata accuratezza i recettori di superficie delle cellule studiate, confermando la ridotta espressione di GPRC5D nelle linee cellulari con mutazione mono-allelica e la sua quasi totale scomparsa nelle linee cellulari con mutazione bi-allelica.
Lo studio funzionale delle mutazioni in GPRC5D è stato eseguito mediante saggi di citotossicità con le cellule di MM ingegnerizzate, insieme a T-cell ottenute da donatori sani, trattate con talquetamab; in questo modo è stato dimostrato non solo che la perdita bi-allelica di questo gene conferisce resistenza al bispecifico testato, ma che anche la sua perdita mono-allelica riduce notevolmente la sensibilità cellulare al trattamento (Figura 1).
Per comprendere quali pathway sono alterati nelle linee cellulari con mutazione bi-allelica, è stato eseguito uno studio mediante RNAseq finalizzato al confronto del profilo trascrizionale delle linee muta-
te e delle linee wt, mettendo in evidenza che i profili differenziali suggeriscono una marcata deregolazione di pathway associati alla proliferazione cellulare nelle linee doppio mutate.
Questo dato è stato confermato mediante saggi di competizione clonale, dimostrando un chiaro vantaggio proliferativo del clone con mutazione bi-allelica rispetto al clone wt, con una dinamica di progressione clonale dipendente dal rapporto iniziale di cellule mutate e cellule wt. Infine, i surnatanti di questi esperimenti sono stati utilizzati per studiare il profilo di rilascio citochinico delle diverse linee cellulari, mediante un approccio ad alta risoluzione (ovvero studiando l’espressione di oltre 100 citochine), confermando l’attivazione di segnali di proliferazione nelle linee con mutazione bi-allelica e dimostrando l’attivazione di pathway infiammatori nelle linee wt.
Concetti-chiave
Lo studio, eseguito su modelli in vitro, fornisce dati preliminari in merito al ruolo funzionale delle mutazioni osservate frequentemente nel target immunoterapico GPRC5D, la cui espressione è quasi ubiquitaria sulle plasmacellule di MM, ma il cui ruolo biologico non è ancora noto. I risultati devono considerarsi preliminari proprio perché eseguiti su linee cellulari, ma forniscono indicazioni interessanti, ancora non riportate in letteratura, in merito al possibile ruolo biologico di questa proteina di membrana. Mutazioni bi-alleliche nel gene codificante per la proteina, localizzato sul cromosoma 12 e spesso affetto da delezioni e/o mutazioni, sembrano causare un incremento delle capacità proliferative delle plasmacellule, possibilmente associato alla resistenza al trattamento, dimostrata anche in vitro
Elementi circolanti nel MM: CMMCs e cf DNA
Circulating tumor cells as a biomarker to identify high-risk transplant eligible myeloma
patients
treated with bortezomib, lenalidomide and dexamethasone with or without daratumumab during induction/ consolidation, and lenalidomide with or without daratumumab during maintenance: results from the
Perseus Study
Bertamini L, Fokkema C, Rodríguez-Otero P, et al.
Abstract 487
Introduzione. Le cellule tumorali circolanti (CTC) sono sempre più riconosciute come biomarcatori prognostici per la stratificazione del rischio nel mieloma multiplo di nuova diagnosi (NDMM). Un’alta percentuale di CTC è stata associata a un tasso in -
feriore di negatività della malattia minima residua (MRD) e a una sopravvivenza libera da progressione (PFS) inferiore in due studi recenti (Bertamini et al, JCO 2022; Garces et al, JCO 2022). Tuttavia, il valore prognostico delle CTC nei pazienti trattati con quadruplette (anti-CD38, inibitori del proteasoma, farmaci immunomodulatori, steroidi), trapianto autologo e terapia di mantenimento, che rappresentano il nuovo standard di cura per i pazienti eleggibili al trapianto (TE) con NDMM, non è stato ancora investigato.
Metodi. Campioni di sangue periferico di pazienti con NDMM arruolati nello studio multicentrico di fase III PERSEUS (NCT03710603; Sonneveld et al, NEJM 2023) sono stati analizzati presso l’Erasmus MC. Le CTC sono state fenotipizzate e quantificate tramite citometria a flusso (EuroFlow) con una sensibilità mediana di 4e-06 (range 2e-06-1.3e-04). La MRD nel midollo osseo a 10 -5 e 10 -6 è stata misurata tramite sequenziamento di nuova generazione (clonoSEQ®). Il tasso complessivo di MRD-neggatività (MRD-neg) è stato definito come la proporzione di partecipanti nella popolazione ITT che hanno raggiunto sia la MRD-neg che una risposta completa (CR) o superiore. La MRD-neg sostenuta è stata definita come due risultati consecutivi negativi a distanza di almeno 12 mesi senza risultati positivi intermedi. Le anomalie citogenetiche ad alto rischio (HRCA) sono state definite come la presenza di del17p, t(4;14) e/o t(14;16) tramite FISH. L’analisi di regressione proporzionale multivariata (MV) di Cox è stata eseguita per la PFS includendo le CTC come variabile continua (log10) o categorica (bassa vs alta), ISS (I vs II/III), citogenetica (HRCA assente vs presente/sconosciuta), LDH (inferiore vs superiore al limite massimo di normalità) e terapia (senza vs con daratumumab). Il cut-off ottimale di CTC è stato stabilito utilizzando la regressione di Cox per la PFS, aggiustata per ISS, LDH e HRCA, identificando il cut-off con il C-index più alto (Bertamini et al, JCO 2022). Le mediane sono state confrontate con il test di Kruskal-Wallis, le frequenze con il test del chi-quadrato.
Risultati. Dei 709 pazienti arruolati nello studio PERSEUS, 451 sono stati testati per la presenza di
CTC, in base alla disponibilità dei campioni. Il followup mediano è stato di 48 mesi. Prima dell’inizio della terapia, le CTC sono state rilevate in 396 pazienti (87%). I valori mediani di CTC erano simili in entrambi i bracci (D-VRd 0,010%, IC 95% 0,0009-0,074%; VRd 0,0088%, IC 95% 0,0012-0,075%; p=0,8). Come variabile continua, un livello più alto di CTC è risultato fortemente correlato a una PFS più sfavorevole (HR 1,36, IC 95% 1,15-1,6, p=4,07e-04) indipendentemente da HRCA, LDH, ISS e braccio di trattamento. Questo si è tradotto in una stima di PFS a 4 anni ridotta nei pazienti classificati in base ai livelli crescenti di log10 delle CTC (CTC ≤0,001%: 93%, CTC 0,001-0,01%: 79%; CTC 0,01-0,1%: 71%; CTC 0,1-1%: 67%; CTC>1%: 48%; log-rank p<0,0001). I cut-off di CTC riportati in precedenza (ad esempio 0,01%, 0,07%) hanno identificato pazienti con PFS ridotta anche nello studio PERSEUS, confermando la robustezza del biomarcatore. Per ulteriori analisi è stato calcolato un cut-off ottimale di 0,175% per questo dataset, identificando il 15,3% dei pazienti con CTC al di sopra della soglia (CTC-Alte, n=69/451).
Come riportato in precedenza, i tassi di MRD-neg sono risultati più alti nei pazienti trattati con D-VRd rispetto VRd (Sonneveld, EHA 2024), e questo valeva anche per i pazienti con CTC-alte e CTC-aasse (≤0,175%). I tassi complessivi di MRD-neg nei pazienti con CTC-alte sono risultati del 69% D-VRd vs 34%
VRd (p=0,008, soglia 10 -5) e del 47% D-VRd vs 22%
VRd (p=0,054, soglia 10 -6). I tassi di MRD-neg sostenuta nei pazienti con CTC-alte erano: 50% D-VRd vs 16% VRd (p=0,004, soglia 10 -5) e 39% D-VRd vs 6% VRd (p=0,003, soglia 10 -6).
In termini di PFS, D-VRd è risultato superiore a VRd sia nei pazienti con CTC-alte (tassi di PFS a 4 anni: D-VRd 58% vs VRd 40%) che nei pazienti con CTCbasse (PFS a 4 anni: D-VRd 88% vs VRd 74%, log-rank p<0,001). Infine, è stato identificato un piccolo gruppo di 34 pazienti a rischio ultra-elevato combinando CTC-alte e HRCA (PFS a 4 anni: CTC-alte HRCA 29% vs CTC-alte rischio standard CA 73% vs CTC-basse HRCA 68% vs CTC-basse rischio standard CA 84%, log-rank p<0,001). Tuttavia, l’analisi per braccio di trattamento non è stata possibile a causa del numero ridotto di pazienti.
Conclusioni. Le CTC rappresentano un fattore prognostico indipendente nel contesto del miglior standard di cura per pazienti con TE-NDMM. La presenza di alte CTC insieme a HRCA identifica un gruppo di pazienti con una prognosi globale sfavorevole. L’aggiunta di daratumumab al regime VRd per induzione/consolidamento e mantenimento migliora l’outcome nei pazienti con NDMM ad alto rischio definito da alte CTC, portando a tassi più elevati di MRD-negatività e MRD sostenuta, e ad una migliore PFS.
Quadro d’insieme
Lo studio, eseguito nell’ambito del protocollo clinico multicentrico di fase III Perseus per pazienti con Mieloma Multiplo di nuova diagnosi (NDMM) elegibili al trapianto (che ha portato all’approvazione di FDA e EMA la quadrupletta daratumumab-bortezomiblenalidomide-desametasone come standard-of-care) valuta, mediante citometria a flusso, il ruolo delle
CTC nel sangue periferico di pazienti con MM. Lo studio dimostra, in maniera incontrovertibile, che un alto numero di CTC, misurato prima dell’inizio della terapia, condiziona in maniera sfavorevole il decorso clinico dei pazienti, indipendentemente dal loro profilo di alto rischio citogenetico o di ISS.
Analisi dei risultati
La presenza di cellule circolanti in pazienti con MM è stata osservata in molti studi ed è un concetto acquisito che alti livelli di CTC identifichino pazienti a prognosi sfavorevole, anche nel contesto della malattia asintomatica.
Questo studio per la prima volta esegue uno studio sistematico delle CTCs in pazienti trattati in prima linea con quello che oggi viene considerato lo standard-of-care per la cura dei pazienti con MM, ovvero una quadrupletta comprendente il daratumumab, il bortezomib, la lenalidomide e il desametasone, in preparazione al trapianto autologo di cellule stami-
Figura 1. Sopravvivenza libera da progressione di pazienti stratificati in base al numero di CTC prima della terapia e in base alla terapia eseguita. D-VRd ha migliorato significativamente la PFS nei pazienti con CTC alte e basse.
nali, seguito da un mantenimento con lenalidomide o daratumumab e lenalidomide. Questa rappresenta la principale novità dello studio, che, misurando le CTC in un numero rilevante di pazienti trattati in maniera omogenea e ben caratterizzati dal punto di vista dei fattori di rischio comunemente utilizzati per stabilire la prognosi dei pazienti, ha permesso di confermare l’importanza clinica di questo elemento circolante per la progressione del mieloma.
Un ulteriore elemento di novità dello studio consiste nel fatto che viene valutata l’interazione clinica tra la presenza di CTC e la malattia minima residua (MRD), misurata con tecnologie molecolari ad alta risoluzione (NGS) nel midollo osseo. L’ottenimento di MRD-negatività viene oggi considerato uno dei fattori prognostici più importanti nel MM e recentemente è stato approvato da FDA come end-point precoce per l’approvazione dei nuovi farmaci. Quindi è molto importante valutare il ruolo dei fattori prognostici, misurati al basale, nel condizionare l’ottenimento di questo importante risultato clinico. Questo studio dimostra che il numero di CTC misurato prima della terapia condiziona l’ottenimento della risposta molecolare nel midollo, suggerendo che la capacità di rispondere alla terapia dipenda, anche nel contesto delle nuove combinazioni terapeutiche, dalla capacità di diffusione della malattia attraverso il circolo periferico.
La misura delle CTC è stata eseguita mediante citometria a flusso in maniera centralizzata, assicurando un ulteriore livello di omogeneità del risultato ottenuto e quindi delle analisi effettuate.
Lo studio dimostra che l’aumento progressivo di CTC nel sangue periferico dei pazienti correla con PFS progressivamente più corte, con una stima di sopravvivenza libera da progressione a 4 anni del 48% per pazienti che all’esordio avevano più dell’1% di plasmacellule circolanti (Figura 1).
Tutti gli studi pubblicati fino ad oggi hanno cercato di identificare un valore-soglia di CTC, che permettesse di stratificare i pazienti in base a valori alti o bassi di CTC, in due categorie di rischio prognostico. Anche questo studio esegue questa valutazione e identifica come miglior livello-soglia per la stratificazione dei pazienti un numero di plasmacellule circo -
lanti pari a 0,175%. Sebbene non esista un consenso in letteratura in merito al valore-soglia da utilizzare a questo scopo, tutti quelli riportati finora hanno valori abbastanza simili e in generale confermano l’idea che un elevato numero di CTC alla diagnosi identifichi pazienti ad alto rischio.
Infine, la combinazione di due fattori di rischio (alto numero di CTC e rischio citogenetico, definito in base alla presenza di del17, t(4;14) o t(14;16)) identifica una categoria di pazienti ad altissimo rischio di progressione, che non beneficia neanche del trattamento con dara-VRD, contrariamente ai pazienti ad alto rischio citogenetico con basso numero di CTC, suggerendo ancora una volta che la capacità delle plasmacellule di lasciare il midollo osseo e circolare nel sangue periferico potrebbe essere condizionata dal profilo genomico delle plasmacellule tumorali e rappresenta un fattore biologico di rischio molto importante.
Concetti-chiave
Lo studio dimostra che alti livelli di CTC sono un fattore prognostico che si associa a prognosi sfavorevole in termini di sopravvivenza libera da progressione, indipendentemente da altri fattori di rischio (come ad esempio la citogenetica, ISS o LDH). La combinazione di alti livelli di CTC e alto rischio citogenetico identifica un sottogruppo di pazienti a prognosi molto sfavorevole.
Alla luce di questi risultati, gli autori sottolineano l’importanza di misurare le CTC nell’ambito di trial clinici e, una volta che il metodo è standardizzato, anche nella pratica clinica, vista l’importanza di questa misura nel definire la prognosi dei pazienti.
Single-cell wholegenome sequencing of circulating
tumor cells in relapsed/ refractory multiple myeloma patients receiving BCMAor GPRC5D -targeted immunotherapies
Toenges R, Alberge J-B, Corrado F, et al.
Abstract 492
Introduzione. Lo studio delle alterazioni genetiche nel mieloma multiplo recidivante/refrattario (RRMM) è cruciale per guidare la selezione di terapie mirate. Questo richiede l’esecuzione di una biopsia midollare, procedura che spesso non viene eseguita nelle fasi avanzate della malattia. Di conseguenza, la scelta della possibile terapia successiva, come ad esempio trattamento con CAR-T o con bispecific T cell engagers (TCE) anti-BCMA o anti-GPRC5D non è guidata dalla conoscenza dello stato mutazionale dei geni target, pur essendo nota la presenza di mutazioni in questi geni che possono condizionare l’efficacia del trattamento. La recidiva della malattia nel RRMM è caratterizzata dall’espansione di subcloni sotto la pressione selettiva del trattamento. Attraverso il sequenziamento dell’intero genoma (WGS) di cellule tumorali circolanti (CTC) isolate da campioni di sangue periferico (PB) di pazienti con RRMM prima e durante il trattamento, l’obiettivo dello studio è stato di produrre informazioni utili per prendere decisioni cliniche in modo efficace, senza ricorrere a biopsie midollari.
Metodi. Le CTC sono state inizialmente arricchite per il marcatore di superficie CD138+ utilizzando colonne autoMACS® e successivamente sortate in base al loro immunofenotipo aberrante tramite FACS. Il DNA è stato estratto da singole cellule e
mini-pool (max. 25 cellule), nel caso di mini-pool di cellule, utilizzando un metodo di amplificazione diretta del template primario (ResolveDNA®, Bioskryb Genomics), oppure senza amplificazione, nel caso di pool di oltre 50 CTC. Le librerie WGS delle CTC sono state sequenziate su NovaSeq X10B e il profilo genomico è stato confrontato con il genoma germinale corrispondente. Le caratteristiche cliniche di ogni paziente sono state valutate al basale; le risposte alla terapia sono state definite secondo i criteri IMWG.
Risultati. Un WGS è stato eseguito in CTC di 16 pazienti con RRMM dopo una mediana di 6 linee di terapia (intervallo: 3-12) e prima di ricevere CAR-T anti-BCMA (n=8), TCE anti-BCMA (n=5) o TCE antiGPRC5D (n=3). In tutti i casi analizzati, è stata confermata l’origine tumorale dei campioni di CTC (purezza tumorale mediana: 99%, range 22%-100%) e nella maggior parte dei casi (n=14/16, 88%) è stata identificato il B-cell receptor. Nella maggior parte dei casi (n=13/16, 81%) sono stati rilevati eventi primari come traslocazioni e iperdiploidia. Dodici pazienti avevano eseguito una FISH e in tutti i casi sono stati confermati i risultati citogenetici e sono state rilevate ulteriori anomalie ad alto rischio nel campione raccolto pre-terapia (del(17p), n=1; gain(1q), n=1). Inoltre, sono state rilevate mutazioni puntiformi con frequenze attese nei geni driver noti del mieloma in 13/16 pazienti (81%), dimostrando l’affidabilità del sequenziamento WGS in CTC (NRAS/KRAS [6/16; 40%], TP53 [3/16; 19%], DIS3 [3/16; 19%], SP140 [1/16; 6%], ecc.). Nessuno dei pazienti studiati ha presentato mutazioni in GPRC5D o TNFRSF17 (codificante per BCMA), neanche quelli che avevano già ricevuto un trattamento anti-BCMA (CAR-T ide-cel, n=4). L’assenza di mutazioni nei geni target è risultata coerente con il livello di risposta clinica ottenuto (CR, n=10; VGPR, n=1; PR, n=2; SD, n=2 [TCE anti-GPRC5D]; decesso non correlato, n=1), anche nell’unico paziente passato da CAR-T anti-BCMA a TCE anti-BCMA (VGPR). L’assenza di mutazioni in BCMA dopo CAR-T suggerisce che le precedenti linee di trattamento non avevano selezionato un clone mutato, espanso durante la terapia. Abbiamo quindi verificato la presenza di cloni resistenti prima della recidiva, elemen-
to che potrebbe informare le successive decisioni riguardanti cambiamenti terapeutici precoci. A tale scopo, le CTC di 3 pazienti in trattamento con immunoterapie sono state studiate longitudinalmente. Il primo paziente trattato con TCE anti-BCMA ha ottenuto solo una SD. Nonostante una riduzione del 65% nella conta delle CTC, è stata rilevata la selezione di un clone con una mutazione nonsenso in TP53 R342* e un cariotipo complesso (con frazione di cellule tumorali [CCF] aumentata dal 16% al 45%) prima della progressione. In un altro paziente trattato con CAR-T anti-BCMA che ha raggiunto una sCR (malattia minima residua [MRD] positiva a 10^-6), abbiamo potuto eseguire WGS su 7 singole cellule. Di queste, 5 sono state confermate di derivazione tumorale, ma non presentavano mutazioni in TNFRSF17. Infine, nel terzo paziente, trattato con TCE anti-BCMA, abbiamo sequenziato le cellule residue dopo 6 cicli di terapia (CR) e non sono state trovate mutazioni in TNFRSF17, suggerendo l’esistenza di un meccanismo alternativo di escape dal trattamento.
Conclusione. La caratterizzazione genomica delle CTC in pazienti con RRMM, anche in fase di MRD, mediante studi a singola cellula, può essere utilizzata per prevedere la risposta all’immunoterapia, monitorare l’emergere di sub-cloni ad alto rischio e fornire informazioni a supporto di decisioni terapeutiche successive, senza la necessità di una biopsia midollare.
Quadro
d’insieme
In questo studio è stata seguita una profilazione molecolare a singola cellula ad alta risoluzione (mediante WGS) di plasmacellule circolanti (CTC) raccolte da una coorte di pazienti con mieloma multiplo ricaduto/refrattario (RRMM) dopo una mediana di 7 linee di terapia, prima del trattamento con immunoterapia con CART o con bispecifici anti-BCMA o antiGPRC5D. Sebbene l’analisi non rilevi in tutti i pazienti la presenza nelle CTC di mutazioni nei target di immunoterapia, il profilo genomico delle CTC viene delineato in tutti i campioni analizzati, anche quelli con poche cellule, dimostrando la possibilità – e mettendo in evidenza – l’importanza di eseguire valutazioni longitudinali del profilo genomico dei pazienti con MM, anche in corso di trattamento, con
l’obiettivo di ottenere precocemente e in maniera minimamente invasiva, informazioni importanti per eventualmente guidare le scelte terapeutiche o anticipare la progressione di malattia.
Analisi dei risultati
Lo studio è stato eseguito nel contesto di pazienti trattati con immunoterapia mediante CART o bispecifici anti-BCMA o anti-GPRC5D e ha come razionale quello di valutare la dinamica clonale della malattia sotto la pressione selettiva di questi nuovi approcci terapeutici, utilizzando un approccio minimamente invasivo per il paziente, ovvero studiando le plasmacellule circolanti (CTC). Questo tipo di valutazione non viene oggi eseguita, soprattutto in pazienti molto fragili, come quelli ricaduti dopo molte linee di terapia, a causa dell’impossibilità di eseguire prelievi di aspirato midollare ripetuti nel tempo. Inoltre, la metodica comunemente utilizzata per definire il profilo genomico dei pazienti è la FISH, che richiede un numero elevato di cellule per fornire un risultato valutabile, condizione che non può essere soddisfatta nel caso di pazienti pluri-ricaduti. Tuttavia, la conoscenza delle dinamiche evoluzione clonale potrebbero essere di aiuto nel guidare le scelte terapeutiche. La presenza di CTC nei pazienti con MM è stata dimostrata da molti studi e la possibilità di sequenziare le CTC in bulk mediante WGS ha dimostrato che questa tecnologia può sostituire la FISH, fornendo un profilo genomico del tutto sovrapponibile a quello delle plasmacellule midollari. La novità di questo studio consiste nell’aver utilizzato un approccio molecolare innovativo che ha permesso di sequenziare ad alta risoluzione e in singola cellula 16 campioni di CTC raccolti prima dell’immunoterapia, in una singola Istituzione, nel corso di 1 anno di osservazione, da una coorte di pazienti ricaduti dopo una media di 7 linee di terapia. Alcuni dei pazienti inclusi nello studio erano già stati esposti a immunoterapia. Inoltre, nei 5 casi che sono ricaduti nel corso dell’anno di osservazione o che hanno avuto una risposta subottimale, è stata ripetuta l’analisi molecolare.
La possibilità di studiare le CTC a singola cellula permette di aumentare notevolmente la risoluzione dell’analisi molecolare, restituendo un quadro molto
dettagliato del profilo genomico delle cellule studiate. La metodica richiede un livello di tecnologia relativamente elevato e i costi non sono confrontabili a quelli degli approcci convenzionali. Tuttavia lo studio rappresenta una importante proof of concept dell’applicabilità di metodi molecolari innovativi per lo studio degli elementi circolanti. Il presupposto dello studio era che le CTC fossero qualitativamente rappresentative del tumore presente nel midollo osseo e le analisi eseguite hanno in effetti restituito un quadro di alterazioni genomiche e di mutazioni compatibile con quelli che vengono normalmente descritti studiando plasmacellule midollari in pazienti con MM, dimostrando la possibilità di utilizzare un campione di sangue periferico per profilare molecolarmente i pazienti con MM (Figura 1).
Mutazioni nei target terapeutici nei campioni raccolti pre-terapia sono state rilevate solamente in un paziente e solamente nel gene GPRC5D. L’analisi genomica è stata poi ripetuta in corso di trattamento, in alcuni casi anche in campioni di pazienti in risposta clinica completa, dimostrando le potenzialità dell’approccio impiegato.
Infine, lo studio descrive nel dettaglio la dinamica di evoluzione clonale dei pazienti ricaduti, dimostrando in alcuni casi la rapida espansione di cloni sotto la pressione selettiva della terapia nel campione della progressione. In un caso, la ricaduta sembra associata all’espansione di un clone con double-hit sul gene TP53.
Concetti-chiave
Lo studio riporta la caratterizzazione molecolare ad alta risoluzione delle CTC raccolte da una coorte di pazienti con MM, ricaduti dopo molte linee di terapia e dimostra la fattibilità di un nuovo metodo di profilazione genomica che può essere eseguito anche partendo da numeri molto ridotti di cellule. Lo studio dimostra inoltre la possibilità di ottenere informazioni genomiche importanti per studiare la dinamica di progressione della malattia, partendo da campioni di sangue periferico, supportando l’importanza del concetto di biopsia liquida come metodica minimamente invasiva, utile per studiare i pazienti in corso di terapia, soprattutto nel caso di pazienti con malattia avanzata, caratterizzati da un elevato livello di fragilità.
Teclistamab
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Teclistamab
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Talquetamab
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Ciltacel
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Circulating tumor DNA as a minimally invasive predictor of early relapse in multiple myeloma
Bajaj P, Landgren O, Green DJ, Coffey DG
Abstract 252
Contesto. Il raggiungimento della negatività della malattia minima residua (MRD) nel mieloma multiplo (MM) è associato a un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (PFS) e della sopravvivenza globale (OS). Tuttavia, la valutazione attuale della MRD si basa su biopsie invasive del midollo osseo e non è in grado di rilevare malattia extramidollare. Questo studio ha come obiettivo la valutazione della sensibilità del rilevamento del DNA tumorale circolante (ctDNA) nel DNA libero circolante (ccfDNA), utilizzando una combinazione di sequenziamento mirato ad alta profondità e sequenziamento dell’intero genoma a bassa copertura (WGS) per identificare i pazienti con MM a rischio elevato di recidiva precoce.
Metodi. Campioni seriali di plasma sono stati raccolti in quattro momenti temporali da 24 pazienti con MM di nuova diagnosi arruolati in uno studio clinico finalizzato allo studio della terapia di mantenimento con lenalidomide dopo terapia di induzione (NCT02538198). Questa coorte includeva 13 pazienti che hanno raggiunto una negatività MRD sostenuta e 11 pazienti che hanno perso o non hanno mai raggiunto la MRD-negatività durante il primo anno di mantenimento (MRD non sostenuta). Il ccfDNA è stato estratto da 4 ml di plasma. Il sequenziamento dell’intero genoma a bassa copertura (10X) è stato utilizzato per valutare la frazione tumorale e rilevare alterazioni del numero di copie (CNA). Il sequenziamento mirato ad alta profondità (5000X) con identificatori molecolari univoci (UMI) per la correzione degli errori è stato eseguito su 76 geni mutati ricorrentemente nel MM per rilevare varianti a sin-
golo nucleotide (SNV) e inserzioni/delezioni (indels). Risultati. Mediante WGS a bassa copertura sono state rilevate CNA nel ccfDNA in tutti i pazienti, inclusi quelli che hanno raggiunto una MRD-negatività sostenuta. I pazienti che hanno raggiunto una MRD-negatività sostenuta hanno mostrato una riduzione significativa della frazione tumorale dopo la terapia di induzione, mentre i pazienti con MRDnegatività non sostenuta hanno mostrato un aumento (variazione media nella frazione di DNA tumorale: -0,006 vs. 0,05, rispettivamente, test di Wilcoxon p=0,0006). Il ctDNA rilevabile (frazione di DNA tumorale >0,01) ha preceduto la progressione clinica con una mediana di 252 giorni nei pazienti che sono andati in recidiva. Inoltre, i pazienti con ctDNA rilevabile hanno avuto una PFS inferiore ed erano associati a un rischio maggiore di progressione della malattia dopo la terapia di mantenimento rispetto a quelli con una frazione di DNA tumorale ≤0,01 (log-rank=0,009). SNV non sinonime in FAM46C, KRAS, NRAS e STAT3 sono stati rilevate esclusivamente nei pazienti con MRD-negatività non sostenuta. Conclusione. Questo studio dimostra che l’analisi del ccfDNA utilizzando una combinazione di WGS a bassa copertura e sequenziamento mirato ad alta profondità può essere impiegata per monitorare la dinamica tumorale e prevedere la progressione della malattia nel MM. Questo approccio può superare le limitazioni associate alle attuali valutazioni di MRD, che richiedono campionamenti del midollo osseo e comportano alti costi, morbilità e ridotte possibilità di monitoraggio seriale. Inoltre, l’analisi del ccfDNA consente di ottenere una maggiore sensibilità per rilevare sia recidive extra-midollari che midollari. La rilevazione di CNA e SNV nel ccfDNA può fornire informazioni preziose per orientare le decisioni terapeutiche e migliorare gli esiti clinici. La validazione in studi prospettici più ampi potrebbe confermare questi risultati e stabilire l’utilità clinica di questo approccio come nuovo standard nella gestione del MM.
Quadro d’insieme
Lo studio esplora il ruolo della frazione tumorale (ctDNA) del DNA libero circolante (cfDNA) in pazien-
ti con Mieloma Multiplo (MM). Il ctDNA è un elemento circolante nel sangue periferico dei pazienti con malattie oncologiche e recentemente ne è stato esplorato il ruolo anche in alcune malattie ematologiche. Il ctDNA deriva dalla rottura delle cellule tumorali e, come tale, porta in circolo informazioni genomiche relative al tumore, rendendole più facilmente accessibili come biopsia liquida, rispetto alle procedure invasive (aspirato midollare) convenzionalmente eseguite per ottenerle. La letteratura riporta alcuni dati relativi all’impiego del ctDNA nel MM, suggerendone un ruolo importante per la descrizione della cosiddetta eterogeneità spaziale (ovvero della distribuzione disomogenea della malattia all’interno del paziente); alcuni autori ne riportano un possibile impiego per misurare le dinamiche della malattia residua post trattamento e questo abstract si inserisce in questa linea di ricerca.
Analisi dei risultati
Uno dei fattori prognostici più importanti nel Mieloma Multiplo (MM) è rappresentato dall’ottenimento di una MRD-negatività nel midollo osseo. Recentemente è emerso anche il ruolo della MRD come possibile predittore di progressione; infatti, la cosiddetta ricaduta molecolare (ovvero la perdita di un risultato di MRD-negatività) potrebbe anticipare la ricaduta clinica. Di conseguenza, la possibilità di monitorare frequentemente la dinamica della malattia residua aprirebbe la possibilità di un intervento clinico precoce, che potrebbe prevenire la progressione del mieloma.
Tuttavia, la gestione di un monitoraggio continuo della MRD, che preveda continui aspirati midollari eseguiti a cadenze ravvicinate, viene considerato un problema perché il prelievo di sangue midollare è una procedura invasiva, che potrebbe essere mal tollerata da pazienti tendenzialmente fragili, a causa dell’età, di comorbidità o di malattia avanzata. Questo studio si propone di valutare il ruolo del ctDNA come predittore precoce e in tempo reale della progressione di malattia. Lo studio comprende 24 pazienti, arruolati in un protocollo clinico, per i quali sono stati raccolti campioni di sangue periferico prima dell’inizio, durante e al termine della tera-
pia di mantenimento con lenalidomide. Per tutti i pazienti inclusi nello studio è disponibile il dato relativo alla misura della malattia minima residua (MRD) nel midollo: 13 pazienti avevano raggiunto una MRD-negatività sostenuta nel tempo mentre 11 una MRD-negatività non sostenuta. Per ciascun campione è stato estratto il cfDNA dal plasma del sangue periferico e, dallo stesso campione il DNA germinale dalla frazione granulocitaria. Sul campione di cfDNA è stato quindi eseguito un sequenziamento genomico a basso coverage (10X) (LP-WGS), con l’obiettivo di studiare il profilo genomico di Copy Number Alterations (CNAs) e un ultra-deep targeted sequencing (5000X) di un pannello di 76 geni frequentemente mutati nel MM, con l’obiettivo di rilevare ad alta risoluzione la presenza di mutazioni e alterazioni strutturali. Quest’ultima analisi è stata eseguita anche sul DNA germinale, allo scopo di valutare ed escludere le eventuali varianti non correlate al tumore. I risultati ottenuti da ciascun tipo di analisi sono stati valutati con una analisi statistica finalizzata alla definizione dei valori-soglia ottimali (ovvero quelli che ottimizzano il rapporto tra sensibilità e specificità delle chiamate) di frazione tumorale per la chiamata delle alterazioni di CNAs e di Variant Allele Frequency (VAF) per la chiamata delle mutazioni; per le alterazioni di CNAs, tale valoresoglia è stato fissato a 0,01%, per le mutazioni a 0,045%. Questo è importante per evitare la chiamata di falsi positivi o falsi negativi, soprattutto in corso di trattamento, quando i livelli di malattia residua possono essere molto bassi.
Il monitoraggio delle dinamiche di ctDNA è stato eseguito con entrambi gli approcci, mostrando che la valutazione delle CNAs mediante LP-WGS ha permesso di rilevare un numero maggiore di positività nei pazienti con MRD-negatività non sostenuta, rispetto a quelli con MRD-negatività sostenuta, che al contrario hanno presentato più frequentemente valori di frazione tumorale del cfDNA negativi. Al contrario (e inaspettatamente, data l’alta sensibilità della metodica), l’ultra-deep targeted sequencing ha mostrato una capacità discriminatoria dei pazienti stratificati in base all’ottenimento di MRD-negatività nel midollo inferiore (Figura 1).
Lo studio ha anche valutato la potenzialità del ctDNA di predire la progressione clinica; per questo motivo, il ctDNA è stato misurato longitudinalmente per ciascun paziente e le analisi dei risultati sono state eseguite in maniera distinta per i pazienti che avevano rggiunto o meno una mRD-negatività sostenuta nel tempo. Nei pazienti che avevano ottenuto una MRDnegatività non sostenuta, è stato possibile rilevare una quantità misurabile di ctDNA nella maggior parte dei time-points; al contrario, nei pazienti con MRD-negatività sostenuta, il ctDNA è risultato frequentemente non rilevabile. I dati, analizzati a livello del singolo paziente, hanno dimostrato che un risultato positivo di ctDNA è in grado di predire la progressione della malattia con una media di 252 giorni di anticipo rispetto all’insorgenza della sintomatologia clinica, ovvero con un anticipo di circa un mese, rispetto alla media di giorni alla progressione da una valutazione di MRDpositività nel midollo (274 giorni).
Infine, lo studio ha dimostrato che l’analisi qualitativa delle alterazioni rilevate nel campione di biopsia liquida suggerisce che alcune alterazioni, soprattutto mutazioni e delezioni a livello di geni oncosoppressori, sono risultate presenti solamente nei pazienti con MRD-negatività non sostenuta, suggerendone un ruolo nella progressione della malattia.
Concetti-chiave
Lo studio dimostra che il ctDNA, studiato con una tecnologia di sequenziamento a basso coverage (quindi non costosa), consente di ottenere una misura importante della quota di malattia tumorale in circolo nei pazienti con MM. La frazione tumorale del cfDNA nei pazienti in corso di trattamento ha infatti una dinamica simile a quella della malattia minima residua misurata nel campione di aspirato midollare, con il vantaggio di poter eseguire l’analisi in maniera più frequente nel tempo, data la minima invasività del prelievo di sangue periferico. Questo ha permesso di anticipare di circa un mese il momento della predizione della progressione clinica, rispetto alla capacità predittiva del risultato di positività molecolare ottenuto in campioni di aspirato midollare.
Nonostante i dati siano stati riportati su una casistica relativamente limitata di pazienti, lo studio fornisce dati preliminari molto importanti a supporto dell’impiego di tecniche di biopsia liquida per il monitoraggio della dinamica della malattia residua nei pazienti con MM.
Un limite dello studio consiste nel non aver considerato il ruolo del ctDNA come fattore prognostico nel contesto degli altri fattori prognostici critici nel MM, come il profilo di alto rischio citogenetico o di ISS.
Nuovi concetti nel contesto
della malattia minima residua
Clinical value of Peripheral Residual Disease ( PRD) and Measurable Residual Disease ( MRD) in newly diagnosed elderly patients in the GEM2017FIT trial
Puig N, Paiva B, Cedena MT, et al.
Abstract 365
Introduzione. Nei pazienti anziani con mieloma multiplo (MM), la valutazione della MRD tramite NGF ha dimostrato di superare le risposte convenzionali nel predire gli esiti clinici dei pazienti, con un impatto clinico significativo, anche superiore a quello della MRD valutata in pazienti giovani, elegibili al trapianto. Tuttavia, l’integrazione della MRD nella pratica clinica quotidiana in questi pazienti può risultare particolarmente complesso a causa della necessità di un aspirato midollare (BM). Il nostro studio indaga il valore clinico della Malattia Residua Periferica (PRD) valutata tramite spettrometria di massa (MS) e della MRD mediante Next Generation Flow in pazienti non elegibili al trapianto inclusi nel trial GEM2017FIT.
Pazienti e metodi. GEM2017FIT è uno studio open-label di fase 3, randomizzato, destinato a pazienti fit con nuova diagnosi di MM di età compresa tra 65 e 80 anni. La fitness è stata valutata con la
scala GAH e i pazienti elegibili dovevano avere un punteggio ≤42. I pazienti sono stati randomizzati per ricevere 18 cicli di induzione con VMP-Rd (braccio 1, controllo), KRd (braccio 2a) o Dara-KRd in un rapporto 1:1:1; i pazienti non trattati con Dara durante l’induzione (bracci 1 e 2a) hanno ricevuto 4 cicli di consolidamento con Dara-Rd. Dopo l’induzione e il consolidamento, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere mantenimento con Dara-R o osservazione (dopo stratificazione in base allo stato di MRD tramite NGF). VMP e Rd sono stati somministrati a dosaggi convenzionali. Nei regimi a base di Kz, Kz è stato somministrato due volte a settimana alla dose di 36 mg/m² durante i cicli 1-2 e di 56 mg/m2 dal ciclo 3 in poi. Dara era inizialmente previsto in infusione endovenosa ma è stato successivamente somministrato sottocute, sempre a dosaggio e calendario convenzionali.
L’endpoint primario dello studio era il tasso di negatività della MRD post-induzione (sensibilità 10^-5).
Gli endpoint secondari includevano le risposte standard, la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la sopravvivenza globale (OS). Inoltre, abbiamo utilizzato la spettrometria di massa quantitativa con immunoprecipitazione (Quantitative Immunoprecipitation Mass Spectrometry) con biglie anti IgG/A/M, k totale e λ totale per valutare la PRD post-induzione utilizzando la piattaforma EXENT® Analyzer (The Binding Site, parte di Thermo Fisher Scientific).
Risultati. Lo studio ha incluso 230 pazienti che avevano completato i 18 cicli di induzione e che sono stati analizzati per l’endpoint primario utilizzando NGF e MS. L’età mediana era di 72 anni (64-80), il 48% era di sesso maschile, quasi un terzo aveva ISS 3 e il 12% presentava malattia extra-midollare.
Lo stato di PRD e MRD (NGF con una sensibilità di 10^-6) è risultato associato a differenze significative nella PFS (p<0,0001, HR 0,29 e p<0,0001, HR 0,31, rispettivamente). Il 79,6% dei risultati è stato concordante (25,2% [58/230] NGF+MS+, 54,3% [125/230] NGF-MS-) e il 20,4% discordante (8,7% [20/230] NGFMS+, 11,7% [27/230] NGF+MS-). Prendendo i risultati NGF come riferimento, i valori predittivi negativo e positivo di MS erano rispettivamente dell’82% e del 74% (p<0,0001). Risultati simili sono stati osservati
confrontando lo stato di PRD e MRD (NGF-5) (p<0,0001, HR 0,29 [e p=0,0004, HR 0,32, rispettivamente]). Nei pazienti stratificati in base al punteggio della scala GAH, sia lo stato di PRD che di MRD sono risultati associati a differenze significative nella PFS. Nei paienti con GAH ≤20, la mPFS non è stata raggiunta (NR) nel gruppo PRD- rispetto al gruppo PRD+ (p=0,0021, HR 0,25), e lo stesso risultato è stato osservato per MRD (p=0,0074, HR 0,31). Nei pazienti con GAH >20, la mPFS era NR nel gruppo PRD- rispetto a 34 mesi nel gruppo PRD+ (p=0,0064, HR 0,31), con un risultato simile per MRD (p=0,0044, HR 0,31).
Abbiamo anche studiato il valore di PRD e MRD in base al rischio citogenetico dei pazienti. Sia PRD che MRD sono stati in grado di stratificare i pazienti con PFS differenti, con significatività chiara nei pazienti a rischio standard (PRD: p=0,0049, HR 0,22; MRD: p=0,0051, HR 0,23) e in quelli con del17/ del17p/t(4;14)/t(14;16)/Gain/amp1q/del1p (PRD: p=0,0032, HR 0,33; MRD: p=0,0081, HR 0,38). Combinando il rischio citogenetico con lo stato PRD o MRD, abbiamo osservato che i pazienti PRD negativi a rischio standard avevano un outcome molto favorevole (mPFS NR) rispetto ai pazienti PRD positivi ad alto rischio (mPFS 34 mesi; p<0,0001 HR 0,12). Tendenza analoga è stata osservata per MRD- e pazienti a rischio standard rispetto a MRD+ e pazienti ad alto rischio (mPFS NR vs 36 mesi; p<0,0001; HR 0,12).
Conclusioni. In questa coorte di pazienti anziani fit, non elegibili al trapianto, con nuova diagnosi di MM, la valutazione di PRD e MRD ha dimostrato un valore clinico significativo in termini di PFS, sia nella coorte globale che nei diversi gruppi di rischio basati su fragilità e rischio citogenetico. Questi risultati suggeriscono che l’integrazione della valutazione della PRD nella pratica clinica quotidiana potrebbe essere vantaggiosa per tutti i pazienti anziani, indipendentemente dalle loro specifiche caratteristiche di rischio.
Quadro d’insieme
Lo studio, eseguito nell’ambito di un protocollo clinico di fase 3 per pazienti anziani fit con Mieloma Multiplo (MM) di nuova diagnosi non elegibili al trapianto, dimostra l’importanza del monitoraggio della malattia minima residua (MRD) anche in questo
setting clinico e, soprattutto, dimostra il significato prognostico della valutazione della malattia residua nel sangue periferico (PRD), valutata mediante spettrometria di massa (MS).
Analisi dei risultati
Recentemente il ruolo della negativizzazione della MRD (MRD-negatività) è stato valutato da FDA attraverso due importanti metanalisi della letteratura, comprendenti un numero molto alto di pazienti per i quali era stata studiata l’MRD mediante tecnologie molto sensibili (almeno a 10 -5), finalizzate a dimostrarne il significato prognostico in diversi contesti clinici. Il risultato di questa valutazione è stato il formale riconoscimento della MRD-negatività come endpoint precoce per l’approvazione accelerata di farmaci nel contesto di protocolli clinici. Il conseguimento di questo importante obiettivo porta al centro dell’attenzione della comunità scientifica lo studio della MRD nel MM e ne proietta un prossimo impiego anche nella pratica clinica.
Secondo le indicazioni FDA, lo studio della MRD deve essere eseguito nel midollo osseo dei pazienti, anche se vi sono una serie di svantaggi in merito a questa procedura (invasività del prelievo, limiti spaziali, qualità del campione) che hanno spinto molti gruppi di ricerca ad esplorare possibilità alternative di valutazione della dinamica della malattia residua, che potrebbero essere particolarmente interessanti soprattutto per pazienti fragili.
Questo studio si inserisce in questo filone di ricerca, portando l’attenzione allo studio della malattia residua nel sangue periferico; da anni, il gruppo spagnolo sta esplorando il ruolo di una tecnologia di spettrometria di massa avanzata (QIP MS-MALDI-TOF) per la misura e la quantificazione della componente M nel siero dei pazienti con MM e in questo studio questo approccio è stato utilizzato per valutare la PRD in una coorte di 230 pazienti anziani, fit, con MM di nuova diagnosi, arruolati in un protocollo clinico di fase 3, il cui disegno sperimentale è descritto nell’abstract. L’endopint primario dello studio era il rate di MRD-negatività alla fine dell’induzione e lo studio presenta i dati relativi alla valutazione della MRD e della PRD in questo momento del percorso
terapeutico dei pazienti e al loro impatto sulla progressione dei pazienti.
L’originalità del lavoro consiste nell’aver messo a confronto due tecnologie per la valutazione della dinamica della malattia (NGF e MS) in due compartimenti diversi (sangue midollare e sangue periferico). In questo modo, lo studio dimostra che entrambe le metodiche impiegate (midollare, NGF e periferica, MS) sono in grado di stratificare i pazienti in categorie di rischio diverse, con risultati di Sopravvivenza Libera da Progressione (PFS) sovrapponibili (Figura 1). Più nel dettaglio, il confronto dei risultati ottenuti con i due approcci dimostra che nel 79% dei casi i risultati sono coerenti, mentre nei restanti pazienti si ottengono risultati discordanti, con circa il 9% dei pazienti con risultato NGF-negativo e MS-positivo e circa il 12% con risultato NGF-positivo e MS-negativo. Il risultato della discordanza non viene discusso, ma dati presenti in letteratura suggeriscono che il primo tipo di discordanza possa essere dovuto a una clearence ritardata della proteina M nel sangue periferico, rispetto alla riduzione del burden tumorale nel
midollo, mentre il secondo tipo possa essere dovuto alla maggiore sensibilità della metodica NGF rispetto alla MS. Un limite del lavoro presentato consiste nel non aver presentato una analisi clinica limitata ai casi discordanti, probabilmente per il numero ridotto di pazienti incluso in queste sott-categorie. L’integrazione dei risultati di MRD e PRD con i fattori di rischio convenzionali (fragilità, età e citogenetica) conferma la capacità di predire la progressione sia con i dati MRD che con i dati PRD, con performances sovrapponibili. In particolare, la combinazione del rischio citogenetico con i risultati di MRD e PRD identifica due categorie estreme di rischio, corrispondenti a pazienti con MRD (o PRD)-positiva e alto rischio citogenetico (con il più alto rischio di progressione) e a pazienti on MRD (o PRD)-negativa e rischio citogenetico standard (con il più basso rischio di progressione). Infine, sia MRD che PRD consentono di misurare l’efficacia di risposta alle diverse combinazioni terapeutiche impiegate nei diversi bracci di terapia, supportando ulteriormente il ruolo della PRD nel monitorare la dinamica della malattia residua.
Concetti-chiave
Nel MM, la MS rappresenta un possibile approccio per la valutazione delle dinamiche della malattia residua, alternativo al metodo convenzionale di valutazione della MRD nel midollo. Il vantaggio della MS consiste soprattutto nel poter valutare la malattia nel sangue periferico, quindi con una raccolta del materiale biologico minimamente invasiva e quindi eventualmente ripetibile più frequentemente rispetto all’aspirato midollare (che, allo scopo della valutazione della MRD, viene eseguito ogni 12 mesi). Il limite principale della metodica proposta consiste nella inferiore sensibilità rispetto al metodo di confronto (in questo caso NGF). Per questo motivo, gli autori confermano che, ad oggi, la valutazione nel midollo rimane lo standard di riferimento, e che un possibile flusso di lavoro potrebbe comprendere valutazioni seriali nel sangue periferico mediante MS e valutazioni nel BM con NGF (o NGS) nel caso di un risultato PRD-negativo.
Immune-MRD status informs tumor-MRD outcome prognostication in multiple myeloma patients on lenalidomide maintenance
Firestone RS, Simhal AK, McAvoy D, et al.
Abstract 72
Introduzione. In pazienti con mieloma multiplo (MM) di nuova diagnosi (ND), l’ottenimento di una negativizzazione della malattia residua misurabile (MRD-) ha un significato predittivo. Tuttavia, ad oggi non è ancora chiaro il ruolo di una ri-emersione della MRD (MRDres), nel caso in cui pazienti MRDmostrino una ri-positivizzazione della MRD (MRD+). Inoltre, il ruolo del profilo immunologico specifico dei pazienti con MM senza evidenza di malattia misurabile non è stato esplorato in maniera approfondita.
Metodi. Abbiamo seguito in maniera prospettica 108 pazienti con MM in uno studio di fase 2, singolo braccio, della durata di 5 anni di mantenimento continuo con lenalidomide (Len) dopo terapia iniziale non vincolata. Le valutazioni dinamiche della MRD sono state effettuate mediante biopsie annuali del midollo osseo (BM) (MRD- definita come 10^-5 tramite citofluorimetria). È stato eseguito un profiling esplorativo delle cellule T del sangue periferico (PB) tramite citometria spettrale ad alta risoluzione utilizzando due pannelli di cellule T, focalizzati su circa 40 colori, inclusi marcatori di lineage, exhaustion, attivazione e fattori di trascrizione intracellulari e granzimi. I risultati del profiling delle cellule T sono stati analizzati con riduzione dimensionale tramite UMAP e clustering cellulare assistito da algoritmo tramite Phenograph, e correlati con lo stato dinamico della MRD e gli esiti clinici. L’analisi statistica per i risultati
del profilo immunologico è stata eseguita utilizzando t-test non accoppiati con correzione per confronti multipli tramite il metodo di Bonferroni. Risultati. In linea con quanto osservato in studi precedenti, pazienti MRD- pre terapia di mantenimento con Lenalidomide (Len) (N=46) hanno mostrato una sopravvivenza libera da progressione (PFS) superiore rispetto ai pazienti MRD+ (N=62, p=0,0021). Una MRDres è stata osservata in 11 pazienti; di questi, solo 4 hanno avuto una successiva progressione della malattia (POD), con un tempo mediano di follow-up post-MRDres di circa 2 anni. I pazienti con MRDres hanno mostrato esiti peggiori rispetto a quelli con persistente MRD- sia a 1 anno (p=0,036) che a 2 anni (p=0,0014); tuttavia, non sono state riscontrate differenze significative nella PFS tra i pazienti MRDres e quelli MRD+ né a 1 anno (p=0,68) né a 2 anni (p=0,27). Gli esperimenti di profilazione delle cellule T nel sangue periferico (PB) effettuati al momento di MRDres (eseguiti negli stessi time-point dei pazienti con persistente MRD-) hanno dimostrato che i pazienti con MRDres, ma senza successiva progressione, avevano caratteristiche delle cellule T praticamente identiche a quelle dei pazienti con stato MRD- persistente. I pazienti con MRDres e con successiva progressione entro 18 mesi da MRDres hanno mostrato profili distinti di cellule T, arricchiti con cluster di cellule T corrispondenti a CD8+CD45RO+CCR7- effettori di memoria (TEM, aumento di 2,5 volte, p=0,003) e CD4+CD45RO+CCR7- TEM (aumento di 1,6 volte, p=0,004). Questo includeva un arricchimento per una sottopopolazione di TEM CD8 con alta espressione di Ki-67, CD38, granzyme K e granzyme B (aumento di 5,2 volte, p=1,1 x 10^-5). I pazienti in remissione sostenuta hanno mostrato un arricchimento di cluster corrispondenti a cellule T naive CD4+CD45RA+CCR7+ (aumento di 3 volte, p=0,037), cellule T naïve CD8+CD45RA+CCR7+ (aumento di 5,4 volte, p=0,020) e CD8+CD45RA+CCR7+CD31+CD103+ emigranti timici recenti (aumento di 6,9 volte, p=0,028). I pazienti con progressione precoce hanno inoltre mostrato un arricchimento di espressione di IRF4 (p=7 x 10^-5) e PLZF (p=0,0038) in cellule T CD4+, e un’elevata espressione di Granzyme B (p=0,0016) e T-bet (p=7,4 x 10^-5) in cellule T CD8+. I profili del-
le cellule T erano indipendenti dai noti fattori prognostici nel MM, inclusi ISS, rischio citogenetico e storia del trattamento. La profilazione longitudinale delle cellule T in questi stessi pazienti ha mostrato che i pazienti con remissione sostenuta (indipendentemente dallo stato dinamico di MRD) avevano profili di cellule T invariati per circa 1 anno. Tuttavia, i pazienti con progressione della malattia hanno mostrato un esaurimento progressivo delle cellule T man mano che si avvicinavano al momento della progressione, caratterizzato da una riduzione dell’espressione di CD38 (p=0,028) e una riduzione del numero di cellule TEM CD8 con alta espressione di Ki-67, CD38, granzyme K e granzyme B (diminuzione del 53%, p=0,0029). Questi risultati sono stati convalidati in una coorte separata di pazienti MRD+, con pazienti con MRD+ sostenuta e senza progressione che mostravano profili delle cellule T simili a quelli dei pazienti con MRDres ma senza POD successivo. Conclusioni. La positivizzazione del risultato MRD (MRDres) è un fattore prognostico sfavorevole in pazienti con MM trattati con Len. I risultati della profilazione delle cellule T del sangue periferico mostrano che un profilo attivato delle cellule T del sangue periferico, arricchito di effettori attivati, è associato a una recidiva precoce nonostante livelli bassi/non rilevabili di malattia. Questo stato di “immune MRD ” è indipendente dai noti fattori di rischio nel MM e dallo stato dinamico della MRD, suggerendo che potrebbe rappresentare un nuovo biomarcatore predittivo nei pazienti MRD- con MM trattati con mantenimento con Len.
Quadro d’insieme
L’ottenimento di una negativizzazione della malattia minima residua (MRD-neg) è considerato oggi uno dei più importanti fattori prognostici nel Mieloma Multiplo (MM). Tuttavia, l’ottenimento di questo importante risultato clinico non preserva il paziente da una possibile ripresa clinica della malattia, che potrebbe essere preceduta da una ri-positivizzazione della MRD. Lo studio affronta dal punto di vista biologico il processo di ri-positivizzazione della MRD in pazienti con MM che avevano ottenuto una MRD-negatività, esplorando il ruolo del mi-
croambiente immunologico nel condizionare questo tipo di evoluzione della malattia. In particolare, lo studio esplora il ruolo del microambiente immunologico nel condizionare la dinamica della malattia residua in pazienti in corso di trattamento con lenalidomide, identificando le condizioni che potrebbero favorire il mantenimento della risposta profonda (immune MRD).
Analisi dei risultati
Il valore prognostico della MRD-negatività sostenuta nel tempo è stato dimostrato da numerosi studi clinici nel MM. Al contrario, la ri-positivizzazione di un risultato MRD-negativo è stata associata a prognosi sfavorevole, anche se non esiste un consenso in merito al comportamento clinico da tenere nel caso di un cambiamento di risultato della MRD da negativo a positivo; in particolare non è chiaro se questo cambiamento richieda una intensificazione del trattamento per eventualmente impedire la ricaduta clinica. Inoltre non è chiaro la differenza in termini biologici tra una situazione di ricomparsa di una piccola quota di malattia residua e una situazione di controllo continuo della malattia residua. Per valutare il ruolo della dinamica della malattia residua nel midollo, lo studio ha incluso 108 pazienti con MM, trattati con lenalidomide in corso di mantenimento nell’ambito di un trial clinico di fase 2. La MRD dei pazienti inclusi nello studio è stata valutata prima dell’inizio della terapia di mantenimento e successivamente ogni 12 mesi; dal punto di vista clinico, lo studio ha confermato che l’MRD-negatività sostenuta nel tempo identifica un sottogruppo di pazienti a prognosi favorevole, e che la perdita della MRDnegatività, come pure la persistenza di MRD nel midollo identifica pazienti a prognosi sfavorevole.
Tuttavia, l’osservazione che la ricomparsa di MRD, osservata in 11 pazienti, abbia preceduto la progressione clinica solamente in 4 di questi (nel corso di due anni di osservazione dal momento della valutazione di MRD-positività) ha indotto gli autori a ipotizzare che nel microambiente immunologico possano esserci altri elementi che potrebbero alternativamente esercitare un controllo “contenitivo” sulla malattia residua rilevabile, oppure al contrario con-
sentirne o favorirne una proliferazione, che potrebbe portare alla ricomparsa dei sintomi clinici.
Lo studio quindi si è proposto di studiare questo aspetto biologico della dinamica della MRD, utilizzando una tecnologia di citometria spettrale ad alta risoluzione, che ha permesso di valutare un elevato numero di marcatori espressi da cellule mononucleate del sangue periferico, per descrivere nel dettaglio le sotto-popolazioni cellulari T dettagliate nella parte dei metodi dell’abstract.
L’aspetto di originalità dello studio è stato quello di eseguire le valutazioni citometriche nei pazienti stratificati in tre categorie: due categorie di pazienti che non sono progrediti entro due anni di osservazione, il primo con MRD-negatività sostenuta nel tempo, il secondo con una ricomparsa della MRD; e una terza categoria di pazienti che è progredita entro i due anni di osservazione, con una ricomparsa della MRD. Le valutazioni citometriche sono state eseguite per tutte e tre le categorie di pazienti nel momento in cui è ricomparsa la positività della MRD ed è importante sottolineare che le tre categorie di pazienti sarebbero risultate indistinguibili tra loro, se fosse stata considerata solamente la prima valutazione di MRD (pre-terapia), che è risultata negativa per tutte. Dal punto di vista immunologico, i risultati dell’analisi citometrica hanno mostrato che in generale le popolazioni di cellule T sono relativamente simili tra loro nei pazienti che non sono progrediti (indipendentemente dal risultato MRD), ma diverse nei pazienti che sono progrediti: questo suggerisce che, dal punto di vista immunologico, quello che distingue i pazienti progrediti da quelli non progrediti non è la valutazione della MRD nell’aspirato midollare, ma la distribuzione delle cellule T nel sangue periferico. Più nel dettaglio, i pazienti che sono progrediti hanno mostrato una prevalenza di cellule T effettrici CD8 e CD4, anche in assenza di MRD; al contrario, i pazienti che non sono progrediti, hanno mostrato una prevalenza di cellule T naïve, simile a quella di soggetti sani, suggerendo che una condizione di MRD-negatività sostenuta nel tempo si associ ad una normalizzazione del microambiente immunitario. Il dato è stato confermato sia utilizzando marcatori extra- che intra-cellulari, con una prevalenza di
cellule T citotossiche e di marcatori di proliferazione nei campioni di pazienti che sono progrediti, rispetto a quelli che non sono progrediti. In considerazione dei risultati ottenuti, gli autori quindi suggeriscono che esista uno stato di MRDimmuologica che sia in grado di predire la progressione dei pazienti in maniera più precisa della misurazione convenzionale del burden tumorale nel midollo osseo (Figura 1). Infatti, i pazienti che progrediscono, indipendentemente dalla dinamica della MRD nel midollo, hanno un sistema immunitario attivato, mentre quelli che non progrediscono presentano una sorta di recupero delle funzionalità del sistema immunitario, che protegge dalla ricaduta non solo i pazienti che si ri-positivizzano dopo l’ottenimento di una MRD-negatività, ma anche quelli che sono persistentemente MRD-positivi, probabilmente esercitando un controllo contenitivo della quota residua di malattia minima. Al contrario, i pazienti che progrediscono perdono il controllo sulla proliferazione della malattia residua e presentano una attivazione del sistema immunitario.
Concetti-chiave
Lo studio della dinamica della MRD nel midollo è più informativo della singola valutazione MRD in un particolare time-point. Una ripositivizzazione della MRD si associa generalmente a prognosi sfavorevole, anche se non tutti i pazienti che si ri-positivizzano ricadono precocemente. Il microambiente immunologico è in grado di distinguere i pazienti che ricadono da quelli che non ricadono, indipendentemente dallo stato MRD, suggerendo che un fenotipo immunitario attivato (arricchito di cellule T effettrici), predica una progressione precoce, soprattutto in pazienti che perdono la negatività della MRD.
Figura 1. Confronto delle caratteristiche delle popolazioni di cellule T in coorti di pazienti identificate dal risultato MRD e dall’evento di progressione.
Sustained nonprogressor
Nonsustained nonprogressor
Nonsustained progressor
Nonsustained nonprogressor Durable responders Compared to MRD+ durable responders
Sustained nonprogressor Nonsustained progressor
La biologia delle fasi precliniche
A 1,000-genome map for multiple myeloma and its precursor stages, and its impact on clinical outcome
Alberge J-B, Dutta AK, Poletti A, et al.
Abstract 1019
Introduzione. Le alterazioni genomiche sono comuni negli stadi precursori del mieloma multiplo, inclusa la gammopatia monoclonale di significato incerto (MGUS) e il mieloma multiplo smoldering (SMM). Tuttavia, i sistemi di stratificazione comunemente usati non includono le alterazioni somatiche che hanno un ruolo patogenico. Per rispondere a questa necessità clinica, abbiamo generato una mappa genomica completa del MM e dei suoi precursori armonizzando e analizzando prevalentemente dati WGS di 1.030 pazienti. Abbiamo utilizzato questi dati per definire un “MM-like score” in grado di discriminare quali pazienti pre-sintomatici sono a rischio di progressione.
Metodi. Abbiamo raccolto, arricchito ed eseguito un WGS di plasmacellule tumorali, e del genoma normale corrispondente, da 138 pazienti con MGUS o SMM, comprendenti gruppi a basso, intermedio e alto rischio. Abbiamo combinato il nostro dataset con profili genomici ottenuti da MM (n=20) e fonti esterne (MGUS: n=18, SMM: n=62, MM: n=792), ottenendo un totale di 1.030 individui con MM o condizioni pre-sintomatiche. In 16 pazienti, abbiamo effettuato un WGS seriale su campioni di midollo osseo o cellule tumorali circolanti (n=39) per rivalutare la presenza di mutazioni.
Risultati. Allo scopo di sviluppare un semplice score in grado di riflettere le similarità tra i genomi delle fasi pre-sintomatiche e quelli dei MM conclamati, sono stati analizzati 107 eventi driver ricorrenti (osservati in >1% dei pazienti) e traslocazioni primarie differenzialmente alterate nelle condizioni pre-sintomatiche rispetto al MM. Abbiamo rilevato 26 eventi alterati in modo differenziale: solo le traslocazioni MAF e MAFB sono risultate più frequenti in MGUS/ SMM, mentre 24 eventi sono risultati più frequenti nel MM, comprendenti alterazioni a livello dei geni MYC, KRAS, FAM46C e alterazioni numeriche come del(1p) e gain(1q). Abbiamo quindi definito un MMlike score per ogni tumore, definito come numero di eventi driver arricchiti nel MM meno il numero di quelli arricchiti in MGUS. Come atteso, il valore dell’MM-like score nella coorte di pazienti tendeva ad aumentare passando da MGUS a SMM a MM (mediana MM-like score MGUS = 1, SMM = 2, MM = 3). Nell’ambito dei pazienti con SMM, è stato osservato un incremento graduale dell’MM-like score a partire dai gruppi a basso rischio (mediana=1), a quelli a rischio intermedio (mediana=2), fino a quelli a rischio alto (mediana=3), che si accorda con le mediane generali rilevate negli MGUS, nello SMM e nel MM (p=2e-5). Successivamente, abbiamo valutato se il MM-like score potesse essere utilizzato per stimare il rischio di progressione. Tra i pazienti con SMM non trattati caratterizzati con WGS, un MM-like score superiore a 2 è risultato associato a una maggiore probabilità di progressione (HR=5,3, p=0,03). Utilizzando un dataset indipendente di 87 pazienti con SMM, siamo stati in grado di validare che un MM-like score superiore a 2 era effettivamente associato a un rischio maggiore di progressione (HR=3,3, p=5x10 -5). In 11 pazienti che non sono progrediti e per i quali abbiamo eseguito un WGS longitudinale, i MM-like score sono rimasti stabili nel tempo, mentre tre pazienti con progressione clinica hanno mostrato un aumento dell’MM-like score al momento della progressione (dovuto alla rilevazione di nuove mutazioni in KRAS e NRAS ). Nei due pazienti rimanenti, il MM-like score è aumentato e abbiamo osservato una crescita del sub-clone che aveva acquisito ulteriori driver MM-like. Nel primo paziente con MGUS/SMM
a basso rischio, è stato rilevato un nuovo clone iperdiploide, in aggiunta a un evento bi-allelico in TP53 e alla traslocazione t(11;14), che ha mostrato un aumento della frazione clonale coerente con il burden tumorale (catene leggere +104% in tre anni). Nel secondo paziente non progredito con un MM-like score crescente, è stata rilevata una nuova del(1p), mentre altri sub-cloni nell’albero filogenetico si sono ridotti o sono rimasti stabili nell’arco di tre anni. Infine, poiché l’MM-like score consente di localizzare i tumori su un asse graduale di evoluzione verso uno stato tumorale genomicamente più maturo, abbiamo testato se fosse anche predittivo della sopravvivenza nei pazienti trattati, con nuova diagnosi di MM. A questo scopo, abbiamo calcolato l’MM-like score nei pazienti del database pubblico CoMMpass. Abbiamo scoperto che un punteggio elevato era significativamente correlato a una sopravvivenza libera da progressione (PFS) più breve (PFS1 mediana: 3 anni nei punteggi alti, rispetto a 5 anni nei punteggi bassi/intermedi; p=1x10 -3) e a una sopravvivenza globale (OS) più breve (OS mediana: 4,5 anni nei punteggi alti, rispetto a non raggiunta nei punteggi bassi/intermedi; p=1x10 -5).
Conclusioni. In conclusione, abbiamo dimostrato che è possibile stratificare gli stadi pre-sintomatici del MM, identificando eventi driver, rilevando quelli associati allo stadio della malattia e definendo uno score genomico, utilizzabile per valutare il rischio di progressione e facilmente implementabile nella pratica clinica.
Quadro d’insieme
La progressione del Mieloma Multiplo avviene attraverso una progressione successiva di fasi cliniche, durante le quali avvengono successivi cambiamenti biologici che alla fine portano all’insorgenza di danno d’organo e sintomi clinici. Nonostante siano stati proposti diversi metodi per assegnare un rischio di progressione alle fasi asintomatiche della malattia (Smoldering MM, SMM), non sono noti ad oggi specifici determinanti genomici della progressione e quindi non si dispone di marcatori utilizzabili per identificare precocemente i pazienti a maggior rischio di progressione. Dal punto di vista clinico, la
possibilità di identificare precocemente i pazienti ad alto rischio di evoluzione clinica potrebbe permettere la pianificazione di un intervento precoce in pazienti selezionati, finalizzato a rallentare la progressione clinica.
Lo studio si inserisce in questo contesto e utilizza un approccio molecolare ad alta risoluzione, integrato con una analisi bio-informatica molto raffinata, per identificare i fattori genomici che potrebbero condizionare la progressione clinica dagli stadi pre-sintomatici al Mieloma Multiplo (MM) conclamato.
Analisi dei
risultati
La storia naturale del Mieloma Multiplo (MM) prevede almeno due condizioni precliniche (l’MGUS e lo SMM) che sono indolenti e asintomatiche, che hanno una probabilità, se pure bassa, di sviluppare sintomi e progredire a mieloma conclamato. Il tasso di progressione dell’MGUS è 1% all’anno, quello dell’MGUS è del 10% nei primi 5 anni, ma aumenta progressivamente negli anni successivi. Oggi esistono stratificatori del rischio, che riescono a identificare i pazienti a più alto rischio di progressione, in base alla presenza di alcune caratteristiche misurabili della malattia.
Recentemente è stato dimostrato che diversi eventi di mutazione somatica (mutazioni nucleotidiche, traslocazioni, alterazioni numeriche) possono accumularsi nel corso della progressione del mieloma, a partire dagli stadi più precoci di MGUS, attraverso la fase di SMM fino al MM e lo sviluppo di una malattia attiva. È opinione comune che queste mutazioni abbiano un ruolo patogenetico, ma i metodi comunemente usati per la stratificazione del rischio nelle fasi pre-cliniche non includono fattori genomici. Questo perché al momento non erano disponibili casistiche sufficientemente ampie per studiare questo aspetto e perché non sono state identificate alterazioni, inequivocabilmente associate alla progressione.
Quindi non è oggi noto come si trasformi il genoma di una fase pre-clinica in quello di un mieloma e non sono note le implicazioni cliniche di questa trasformazione. Questo rappresenta lo scopo di questo lavoro, che ha utilizzato una grande coorte di pa-
zienti con malattia asintomatica o sintomatica (comprendente oltre 1000 pazienti), per i quali era disponibile il dato di sequenziamento genomico (WGS) o esomico (WES) eseguito ad alta risoluzione. Sui dati disponibili sono state eseguite analisi bio-informatiche molto complesse, con l’obiettivo di stabilire le similitudini a livello di genoma tra le diverse fasi della malattia, identificare le alterazioni più correlate alla progressione clinica e stabilire la progressione temporale degli eventi genomici. L’analisi preliminare dei risultati genomici ha messo in evidenza l’esistenza di 159 alterazioni drivers più ricorrenti nell’intera casistica, comprendenti 62 geni ricorrentemente mutati (compreso IKZF3), 54 hotspot di CNA (comprendenti BCMA) e 15 hotspot di alterazioni strutturali (comprendenti CDKN2C).
Utilizzando queste alterazioni caratterizzanti, l’obiettivo è stato quello di definire un MM score, basato sulla valutazione della prevalenza delle alterazioni nelle due fasi della malattia. L’idea di fondo è stata che quante più alterazioni driver – che caratterizzano la fase sintomatica di MM – sono presenti negli SMM, tanto maggiore è il rischio di progressione di questi pazienti asintomatici. In base a questo score, i pazien-
ti con SMM, stratificati nelle tre categorie di rischio secondo il classificatore 20/2/20, hanno mostrato un livello di MM score progressivamente più alto e quindi un maggiore rischio di progressione a MM (Figura 1). Il significato clinico della stratificazione dei pazienti SMM con il MM score si è mantenuto anche in una analisi multivariata che comprendeva il rischio secondo il modello 20/2/20 e altri fattori di rischio del MM, suggerendo l’importanza di considerare anche il profilo genomico tra i possibili fattori di rischio di progressione delle fasi asintomatiche. In una seconda fase dello studio sono state fatte considerazioni temporali sulla progressione del genoma dei pazienti con SMM, attraverso una rivalutazione del MM score dopo 12 mesi dalla prima valutazione. Questa parte dello studio ha dimostrato che nella maggior parte dei pazienti che non sono progrediti, il MM score è rimasto stabile nel tempo, mentre nei casi di cambiamento dello score, si è osservato un incremento del numero di alterazioni e l’espansione clonale di un piccolo clone osservato nella prima valutazione, che poi ha causato un incremento del burden tumorale e comparsa di sintomi. Utilizzando un metodo bioinformatico che stu-
dia i cambiamenti delle signature mutazionali, gli autori sono poi stati in grado di stabilire l’età dei tumori, dimostrando che l’MGUS è una malattia relativamente giovane (16 anni), lo SMM una malattia matura (21 anni), mentre il MM è una malattia anziana (33 anni). In generale, gli SMM che progrediscono sono più anziani di quelli che non progrediscono (mediamente 30 anni).
Infine, gli autori hanno stabilito l’ordine di acquisizione delle alterazioni genomiche, dimostrando che alterazioni a carico di MYC e del cromosoma 12 (delezioni del braccio p o del braccio q) avvengono relativamente tardi negli SMM, ma molto presto nei MM, e che, quindi, se rilevate negli SMM possono suggerire un rischio di progressione molto alto; il dato è confemrato dal fatto che queste alterazioni fanno parte di quelle incluse nel MM score.
Concetti-chiave
Lo studio dimostra l’importanza di studiare il profilo genomico dei pazienti con malattia asintomatica (eventualmente anche solo con pannelli targeted ), perché i cambiamenti genomici durante la storia naturale delle gammopatie monoclonali hanno un ruolo determinante per la progressione da fasi asintomatiche a fasi sintomatiche. In particolare gli autori definiscono un MM score, che stratifica i pazienti con SMM in categorie a rischio diverso di progressione, con un significato clinico indipendente da altri fattori di rischio già descritti in letteratura. Infine gli autori identificano alcune alterazioni (relativamente poco frequenti nel MM) come marcatori di progressione.
Improved risk stratification of Smoldering Multiple Myeloma (SMM ) using trajectory data in the PANGEA 2.0 Model: a
multicenter
study in 1,431 participants
Chabrun F, Schwartz D, Gentile S, et al.
Abstract 1017
Introduzione. Il modello 20/2/20 rappresenta l’attuale gold standard per la stratificazione dei pazienti con mieloma multiplo smoldering (SMM) in tre sottogruppi (basso, intermedio e alto rischio) in base al rischio di progressione, considerando il rapporto delle catene leggere libere (FLCr), la concentrazione della proteina M e la percentuale di plasmacellule (PC) nel midollo osseo (BM). Tuttavia, questo modello statico non tiene conto dei pattern evolutivi che possono modificare il rischio di progressione. In uno studio precedente, abbiamo proposto il modello PANGEA, che permette una previsione del rischio personalizzata utilizzando FLCr, proteina M, creatinina, età, emoglobina e, opzionalmente, le PC nel midollo osseo. In queto studio presentiamo uno sviluppo di questo modello, PANGEA 2.0, che include la definizione delle traiettorie di questi biomarcatori per definire i pattern evolutivi e migliorare la previsione della progressione a Mieloma Multiplo (MM).
Metodi. In questo studio abbiamo condotto una revisione retrospettiva dei dati clinici di 1.431 pazienti con diagnosi di SMM, raccolti in 4 centri internazionali (Dana-Farber Cancer Institute, Boston, USA, n=737; Università Nazionale e Capodistriana di Atene, Grecia, n=379; University College London, Regno Unito, n=97; Università di Navarra, Spagna, n=218). I
partecipanti del Dana-Farber hanno costituito la coorte di training per identificare le traiettorie dei biomarcatori e sviluppare il modello PANGEA 2.0. Il modello è stato validato su due coorti internazionali: la coorte di validazione 1 includeva pazienti provenienti da Grecia e Regno Unito (n = 476), mentre la coorte di validazione 2 comprendeva pazienti dalla Spagna (n = 218). I dati longitudinali raccolti tra il 2018 e il 2024 includevano i valori attuali e le traiettorie storiche di età, proteina M, FLCr, creatinina ed emoglobina, nonché le PC nel midollo osseo (opzionale). Abbiamo utilizzato una ricerca sistematica a griglia con una cross-validazione 5-fold per determinare la migliore definizione delle traiettorie per proteina M, FLCr, creatinina ed emoglobina. Per ciascun biomarcatore, abbiamo valutato sette definizioni binarie di traiettoria basate sull’aumento medio nel tempo (pendenza) o sull’aumento recente rispetto alla visita precedente, sia in termini assoluti che percentuali, con soglie e periodi temporali variabili. Modelli di regressione di Cox sono stati utilizzati per creare i modelli di previsione del rischio PANGEA 2.0, includendo le variabili di traiettoria ottimali. Abbiamo confrontato il modello PANGEA 2.0 con dati di PC nel midollo osseo rispetto al punteggio 20/2/20 calcolato all’ultimo punto temporale disponibile, utilizzando l’accuratezza predittiva (Cstatistics) nelle coorti di validazione.
Risultati. Il follow-up mediano della coorte di training era di 3,5 anni (IQR: 1,2-7,0 anni), con una mediana di 5 visite per paziente (IQR: 2-9 visite). L’età mediana era di 67 anni, il 53% dei pazienti erano donne e il 68%, 21% e 12% presentavano rispettivamente SMM a basso, intermedio e alto rischio al basale secondo il modello 20/2/20. Ad oggi, 227 pazienti (19%) sono progrediti a MM conclamato con un tempo mediano di progressione di 3 anni (IQR: 1,1-6,1 anni). Il modello PANGEA di traiettoria nel BM ha migliorato la previsione del rischio di progressione dei pazienti con SMM, con C-statistics di 0,86, 0,83 e 0,72 rispettivamente nella coorte di training e nelle coorti di validazione 1 e 2. Questi risultati rappresentano un miglioramento rispetto al modello 20/2/20 calcolato all’ultimo punto temporale disponibile (Cstatistics: 0,77, 0,76 e 0,71). In particolare, in 33 (25%)
casi di progressione a MM con traiettorie di biomarcatori crescenti nella coorte di validazione 1, il modello PANGEA 2.0 ha identificato accuratamente un rischio aumentato di progressione entro 2 anni, mentre il modello 20/2/20 li aveva classificati come a basso rischio (n = 10) o a rischio intermedio (n = 23). Nella coorte di validazione 2, in 4 (44%) casi di progressione con traiettorie di biomarcatori crescenti, PANGEA 2.0 ha identificato correttamente un alto rischio di progressione, mentre il modello 20/2/20 li aveva classificati come a rischio intermedio. Conclusioni. Abbiamo sviluppato il modello PANGEA 2.0 per prevedere il rischio di progressione nell’SMM. In una coorte multicentrica su larga scala con follow-up longitudinale, abbiamo dimostrato che l’integrazione delle traiettorie dei biomarcatori ha migliorato la previsione del rischio rispetto al modello 20/2/20, specialmente per i pazienti con valori di biomarcatori in evoluzione. Raccomandiamo di aggiungere queste traiettorie al modello 20/2/20 in uno studio internazionale collaborativo.
Quadro d’insieme
La stratificazione del rischio di progressione dei pazienti con Mieloma Smoldering (SMM) si basa oggi sul cosiddetto modello 20/2/20, che, in base al rapporto delle catene leggere libere (FLCr), alla concentrazione della proteina M e alla percentuale di plasmacellule (PC) nel midollo osseo (BM), consente di stratificare i pazienti in tre categorie di rischio. Esistono altri modelli più raffinati di previsione del rischio, come ad esempio il modello PANGEA, proposto dagli autori di questo abstract.
Questo studio rappresenta una ulteriore evoluzione del modello PANGEA, che valuta le traiettorie evolutive dei marcatori utilizzati nel modello PANGEA per raffinare la stratificazione del rischio. Lo studio è molto complesso dal punto di vista bio-informatico e si avvale di una casistica di pazienti molto vasta, che riunisce 4 studi internazionali per avere una coorte di training e una di validazione del modello.
Analisi dei risultati
L’esigenza di stratificare correttamente i pazienti con SMM in categorie di rischio di progressione rappre -
senta una esigenza clinica molto attuale, soprattutto nell’ottica di proporre ai pazienti un trattamento finalizzato al rallentamento della progressione.
Il modello più utilizzato oggi per la stratificazione del rischio negli SMM è stato proposto dall’IMWG nel 2020 e definisce l’alto rischio in base alla percentuale di plasmacellule nel midollo (>20%), alla componente monoclonale nel siero (2g/dL), al rapporto delle catene leggere (FLCs) (>20) e al dato FISH, se disponibile. Questo modello, chiamato 20/2/20, viene considerato un modello “statico”, perché tiene conto di una singola valutazione, eseguita al baseline; tuttavia viene spesso utilizzato anche durante il monitoraggio dei pazienti, senza però tener conto che i diversi parametri misurati possono cambiare nel tempo (aumentare o diminuire), definendo così traiettorie di cambiamenti.
Il razionale dello studio nasce dall’osservazione che, seguendo le traiettorie dei diversi marcatori, in alcuni casi, la predizione della progressione avrebbe potuto essere fatta molto più precocemente di quanto fatto dai modelli impiegati convenzionalmente.
Lo studio include un numero molto elevato di pazienti (2203), per i quali i parametri biochimici indi-
cativi dell’andamento clinico sono stati raccolti nel corso di 3 anni di monitoraggio, con almeno due misure all’anno. Vista la numerosità della casistica, è stato possibile dividere i pazienti in due coorti, in modo da poter disegnare un nuovo modello di predizione della progressione nella coorte di training (comprendente 1031 pazienti) e validare il modello nella coorte comprendente i pazienti rimanenti. La parte più originale e complessa dello studio è stata la definizione delle traiettorie dei marcatori impiegati per definire il rischio di progressione. A questo scopo sono stati presi in considerazione tutti i possibili cambiamenti (aumenti o diminuzioni) nel tempo dei valori misurati per ciascun marcatore, valutando diversi tempi precedenti di osservazione, con l’obiettivo di definire la miglior traiettoria in grado di predire la progressione. L’analisi è stata eseguita su tutti i marcatori e tenendo conto di diversi tempi precedenti di osservazione e alla fine ha permesso di identificare 4 marcatori, i cui cambiamenti in corso di osservazione sono risultati più predittivi di progressione (Figura 1).
Con questi marcatori è stato costruito un nuovo modello di progressione, chiamato PANGEA 2.0 e le sue
patients)
2.10 (1.43-3.08) 9.1% visits (44.8% patients)
performance di predizione sono state confrontate con quelle del modello classico 20/2/20 e il modello PANGEA. Il modello è in grado di stratificare i pazienti in categorie di rischio e il confronto con gli altri modelli, eseguito in termini di capacità di predizione della progressione entro due anni, ha dimostrato una significativamente maggiore accuratezza di predizione, anche quando il modello PANGEA 2.0 è stato utilizzato al baseline, ovvero senza tener conto delle valutazioni precedenti. Una caratteristica importante del modello PANGEA 2.0 è che richiede solamente valutazioni eseguite sul sangue periferico, contrariamente agli altri due modelli, che invece prevedono anche la valutazione delle plasmacellule nel midollo (e quindi richiede un aspirato midollare).
Concetti-chiave
Lo studio ha proposto un nuovo modello di stratificazione del rischio in pazienti con SMM, basato sulle dinamiche di cambiamento di alcuni marcatori associati alla progressione della malattia. Il modello è in grado di predire molto accuratamente il rischio di progressione e in maniera precoce rispetto agli stratificatori di rischio convenzionali; inoltre non richiede l’esecuzione di un prelievo di sangue midollare, perché valuta solamente marcatori nel sangue periferico, risultando quindi più facilmente proponibile a pazienti asintomatici. Come valore aggiunto allo studio, gli autori hanno sviluppato un calcolatore, user-friendly e che sarà messo online, per consentire una vasta applicabilità del modello anche nella gestione clinica quotidiana dei pazienti con SMM.