Smoldering Neuroinflammation: una nuova prospettiva nella gestione clinica della sclerosi multipla

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Smoldering Neuroinflammation: una nuova prospettiva

nella gestione clinica della sclerosi multipla

Smoldering Neuroinflammation:

una nuova prospettiva nella gestione clinica

della sclerosi multipla

Smoldering neuroinflammation: la “vera” sclerosi multipla? 3

Aspetti scientifici della smoldering neuroinflammation 5

Aspetti clinici della smoldering neuroinflammation 10

Prospettive terapeutiche nell’ambito della smoldering neuroinflammation 19

Conclusione 22

Bibliografia 23

Smoldering neuroinflammation: la “vera” sclerosi multipla?

Negli ultimi anni nuove evidenze cliniche e sperimentali hanno prodotto un cambiamento nel modo di concepire la patofisiologia della sclerosi multipla. Tradizionalmente l’evoluzione di questa patologia è stata suddivisa in due fasi: una precoce e infiammatoria, caratterizzata dal riscontro di lesioni attive alla risonanza magnetica e da ricadute cliniche, e una tardiva e progressiva, caratterizzata da fenomeni neurodegenerativi. In termini clinici l’evoluzione della patologia è stata invece suddivisa in una fase prediagnostica, comprendente le sindromi radiologicamente isolate (radiologically isolated syndrome, RIS) e le manifestazioni prodromiche, e una fase diagnostica, comprendente le sindromi clinicamente isolate (clinically isolated syndrome, CIS) e le forme recidivanti-remittenti (SM-RR) e secondariamente progressive (SM-SP). A queste ultime sono state affiancate le forme cosiddette primariamente progressive (SM-PP), caratterizzate da un peggioramento precoce e progressivo delle funzioni neurologiche in assenza di ricadute e remissioni.

Questa visione è stata però messa in crisi dalle evidenze emerse in seguito alla disponibilità di trattamenti ad alta efficacia in grado di agire sui meccanismi immunologici periferici mediati dalle cellule T e B, come i farmaci immunosoppressori o quelli rivolti alla migrazione linfocitaria. Entrambe queste strategie sono risultate in grado di agire in modo efficace sugli eventi infiammatori acuti, riducendo le ricadute cliniche e l’accumulo di disabilità.1, 2 3 Nonostante l’effettiva soppressione degli eventi infiammatori periferici ottenuta con questi trattamenti, dimostrata anche dall’assenza alla risonanza magnetica di lesioni pesate in T1 con contrasto o lesioni pesate in T2 nuove o in espansione, una porzione

considerevole dei pazienti continua tuttavia a esperire un progressivo deterioramento clinico e un conseguente accumulo di disabilità, suggerendo l’esistenza di meccanismi patofisiologici distinti sottostanti le ricadute cliniche e la progressione di malattia4 5 (Figura 1)

Sulla base di evidenze cliniche e di neuroimaging è stato ipotizzato che la progressione indipendente dall’attività recidivante (progression indipendent of relapse activity, PIRA) potrebbe dipendere da un meccanismo primario neurodegenerativo, a cui si affiancherebbe un’attività infiammatoria focale sovrapposta determinata dalla conseguente risposta immunitaria dell’organismo e causa del peggioramento associato alle ricadute (relapse-associated worsening, RAW).6 ,7 È stato infatti dimostrato che processi neurodegenerativi legati a fenomeni di infiammazione cronica – definiti nel loro complesso smoldering MS o smoldering neuroinflammationsono presenti a livello del sistema nervoso centrale dei pazienti con sclerosi multipla già nelle fasi asin-

tomatiche e pre-diagnostiche di malattia, contribuendo in modo rilevante all’accumulo di disabilità nel tempo. 8,9,10 La ragione per cui questa “progressione silente”9 – che alcuni autori hanno definito la “vera” sclerosi multipla11 – si manifesta spesso a livello fenotipico solo nelle fasi più avanzate sarebbe quindi da ricercarsi in meccanismi cerebrali che permetterebbero di compensare, attraverso la cosiddetta riserva cerebrale/cognitiva, l’iniziale perdita neuroassonale.12 Sebbene questi meccanismi compensatori non siano del tutto noti, i risultati di alcuni studi suggeriscono che potrebbero coinvolgere l’attivazione omologa di aree cerebrali addizionali e fenomeni di plasticità neuronale in forma di espansione locale nelle aree circostanti le lesioni.12,13,14

Se prima la sclerosi multipla era considerata una patologia principalmente outside-in innescata da eventi periferici mediati dai linfociti T (ipotesi autoimmune), quindi, oggi viene concettualizzata come una patologia inside-out caratterizzata da meccanismi che prendono avvio a livello del sistema nervoso

Figura 1. Storia naturale della sclerosi multipla nell’era dei trattamenti ad alta efficacia.

centrale e che causano eventi infiammatori focali periferici in risposta alla perdita neuroassonale primaria (ipotesi neurodegenerativa). Di conseguenza, è venuta meno anche la centralità della definizione clinica basata su due fasi di malattia, infiammatoria prima e progressiva poi, a scapito di una visione emergente che vede l’evoluzione della sclerosi multipla come un continuum biologico-clinico la cui manifestazione fenotipica dipende da fattori genetici, fisiologici e ambientali.15

Questo cambio di prospettiva ha comportato una serie di conseguenze per quanto riguarda la definizione di progressione, le modalità diagnostiche, la scelta del trattamento e la comunicazione medicopaziente. Tutte queste tematiche sono state trattate nel contesto del progetto Smoldering-From science to patient – costituito da tre gruppi di miglioramento tenutisi durante il mese di maggio 2024 a Napoli, Torino e Roma – nel corso dei quali alcuni dei maggiori esperti italiani in tema di sclerosi multipla si sono confrontati alla luce della propria esperienza clinica e delle evidenze disponibili in letteratura.

Questo documento ha l’obiettivo di riportare gli elementi più rilevanti emersi nel corso dei tre incontri.

Aspetti scientifici della smoldering neuroinflammation

Pur essendo più facilmente riconoscibili nella sostanza bianca come aree focali di demielinizzazione, infiammazione e reazione gliale, le lesioni che caratterizzano la sclerosi multipla possono presentarsi a livello di tutte le strutture del sistema nervoso centrale. Evidenze provenienti da studi di risonanza magnetica e di anatomia patologica (biopsie e autopsie) indicano che le lesioni attive precoci della sostanza bianca, caratteristiche delle fasi iniziali del processo di demielinizzazione, possono essere molto diverse tra loro.16 Quelle più comuni sono carat-

terizzate dall’attività di fagociti mononucleati con infiltrazioni perivascolari e parenchimali di linfociti T e, in alcuni casi, da depositi di immunoglobuline e di proteine del complemento. Il 25% circa delle lesioni attive, invece, è caratterizzata da apoptosi degli oligodendrociti. Dopo la fase acuta, gli assoni sopravvissuti possono andare incontro a tre destini diversi. In alcuni casi, una volta risolta l’infiammazione l’assone viene parzialmente o completamente ricoperto da una sottile guaina mielinica (rimielinizzazione), mentre in altri casi questo meccanismo non si verifica (lesione cronica inattiva). Una terza classe di lesioni invece, le cosiddette lesioni smoldering, va incontro a un lento processo di infiammazione cronica e degenerazione mielinica (lesione cronica attiva), caratteristico delle forme progressive di sclerosi multipla.17 Infine, le lesioni corticali subpiali, anch’esse tipiche delle forme progressive, si caratterizzano per un processo di demielinizzazione della corteccia superficiale, spesso in associazione a un’infiammazione nelle leptomeningi sovrastanti con presenza di macrofagi e microglia al confine tra il neuropilo demielinizzato e mielinizzato.18

Sembra quindi che nei pazienti con sclerosi multipla si verifichino due tipologie di infiammazione che si sviluppano in parallelo ma in modo almeno parzialmente indipendente. La prima si caratterizza per una perdita di integrità della barriera emato-encefalica e l’invasione massiccia e focale di linfociti T e B. Questo tipo di infiammazione acuta colpisce principalmente la sostanza bianca e dà origine alle lesioni demielinizzanti attive tipiche delle forme recidivanti. La seconda tipologia di infiammazione – la smoldering neuroinflammation – si caratterizza invece per un accumulo lento di cellule T e B negli spazi del tessuto connettivo del cervello, come le meningi e gli spazi perivascolari di Virchow-Robi, in assenza di un danno significativo alla barriera emato-encefalica. Questi siti contengono cellule T CD8+, cellule B CD20+ e un numero variabile di plasmacellule e possono presentare strutture con caratteristiche tipiche

dei follicoli linfoidi terziari.19 A questi si aggiungono i manicotti perivascolari composti principalmente da cellule T CD8+ presenti nella sostanza bianca del cervello. Questo tipo di infiammazione mediato da cellule T, cellule B e plasmacellule è presente già nelle fasi iniziali ma aumenta gradualmente con la durata di malattia e l’età del paziente. Esso è associato alla formazione di lesioni demielinizzanti subpiali nella corteccia cerebrale e cerebellare, con espansione lenta delle lesioni preesistenti nella sostanza bianca e fenomeni neurodegenerativi a livello della sostanza bianca e grigia. 20 Quando si parla di smoldering MS o smoldering neuroinflammation, quindi, si fa riferimento a un termine ombrello che definisce una neuroinfiammazione cronica associata a meccanismi neurodegenerativi a livello della sostanza bianca, della sostanza grigia e della corteccia subpiale, accompagnata da una perdita di volume cerebrale e da un progressivo accumulo della disabilità (Figura 2). Come riportato da Giovannoni e colleghi, sono diversi i meccanismi che sono stati proposti come driver patologici della smoldering MS, alcuni dei quali legati ai processi infiammatori focali e altri verosimilmente indipendenti da questi.11 Due, in particolare, hanno attirato negli ultimi anni l’attenzione di clinici e ricercatori: l’attivazione microgliale e quella delle cellule B nei follicoli meningei.

Il ruolo dell’attivazione microgliale

Quelle della microglia sono tra le cellule immunitarie più comuni a livello del sistema nervoso centrale, costituendo il 5-10% di quelle totali. Esse hanno un ruolo centrale nello sviluppo delle strutture cerebrali e nel mantenimento di un microambiente cerebrale sano, svolgendo un compito di sorveglianza immunitaria e facilitando la formazione delle reti neurali attraverso la regolazione della sopravvivenza neuronale, della formazione delle sinapsi, dell’eliminazione delle cellule apoptotiche e della morte cellulare programmata. 21, 22, 23, 24 Tuttavia se in condizioni fisiologiche le cellule della microglia “a riposo” – caratterizzate da una morfologia altamente ramificata – garantiscono il mantenimento dell’omeostasi cerebrale promuovendo la neuroprotezione, riducendo l’infiammazione e stimolando la riparazione dei tessuti, in condizioni neuropatologiche esse vanno incontro a una rapida attivazione e – assunta una morfologia ameboide – producono citochine proinfiammatorie e favoriscono processi di demielinizzazione e neurodegenerazione progressiva.25, 26 Se inizialmente si riteneva che l’attivazione della microglia fosse un processo dicotomico (non attivazione/attivazione), oggi è riconosciuto che questa costituisce un processo diversificato, dinamico e patologia-specifico.27 28 Diversi studi hanno infatti evidenziato come le cellule della microglia siano capaci di assumere fenotipi diversi in seguito a una lesione a

2. Fenomeni e manifestazioni cliniche associati alla smoldering neuroinflammation.

Figura

livello del sistema nervoso centrale, cambiando non solo nella morfologia ma anche nell’espressione genica e nella funzione27, 29 (Figura 3)

Nell’ambito della sclerosi multipla l’attivazione microgliale è predominante a livello della sostanza bianca ma si riscontra anche a livello corticale subpiale, sia nelle lesioni acute che in quelle croniche attive (smoldering) e inattive.30 In questo contesto, le cellule della microglia possono perdere la loro funzione omeostatica e innescare processi neurodegenerativi attraverso meccanismi di disgregazione neuronale e dei circuiti cerebrali, iperattivazione del pruning sinaptico, fagocitosi, demielinizzazione, infiammazione cronica latente e inibizione della rimielinizzazione (Figura 4) 31, 32, 33

Evidenze provenienti da esami autoptici mostrano che nei pazienti con sclerosi multipla il 20-40% delle lesioni può essere caratterizzato come lesioni a lenta espansione/evoluzione (slowly expanding/ evolving lesion, SEL).34 Queste sono lesioni caratterizzate da un basso grado di infiammazione, dalla

presenza di cellule T e B al centro della lesione, da una densa rete di cellule della microglia e macrofagi attivati e carichi di ferro ai bordi della lesione, la quale determina il caratteristico orletto paramagnetico che si riscontra in specifiche sequenze di risonanza magnetica. 35, 36 Di recente è stato dimostrato che l’infiammazione cronica associata all’attivazione delle cellule gliali dipende dalle risposte all’ambiente locale (ad esempio, neuroni danneggiati e cellule della glia vicine) e a quello esterno (ad esempio, virus e prodotti del microbioma) ed è modulato dall’interazione tra linfociti, cellule gliali e astrociti, con un ruolo rilevante della proteina C1q.37 38 Inoltre, a differenza di altre che tendono a ridursi nelle fasi gliali, le lesioni con bordi paramagnetici di cellule della microglia attivate contribuiscono a ostacolare i processi di rimielinizzazione, causando ulteriori danni al parenchima circostante.39

Significativamente, una maggiore proporzione di questo tipo di lesione risulta essere correlata a una maggiore gravità della malattia.40 I pazienti con una

Figura 3. Confronto tra vecchia e nuova concentualizzazione dell’attivazione microgliale. Fonte: Paolicelli et al. Neuron 2022.

Vecchia visione: categorizzazione rigida, dicotomica BUONO

M2 versus M1 a riposo versus attivata ramificata versus ameboide anti-infiammatoria versus pro-infiammatoria

Nuova visione: basata sulla coesistenza di molteplici stati

METABOLOMICO

PROTEOMICO

EPIGENETICO

TRANSCRIPTOMICO MORFOLOGICO

CATTIVO

maggiore attivazione microgliale, determinata dall’espressione del legame della proteina traslocatrice da 18 kDa (TSPO) al radioligando PK11195 alla tomografia a emissione di positroni (positron emission tomography, PET), hanno infatti maggiori probabilità di andare incontro a un PIRA.41 Un dato, questo, che assume ancora più valore di fronte all’evidenza che, specie nei pazienti con malattia progressiva, molte delle lesioni che appaiono inattive all’esame con metodiche di risonanza magnetica convenzionali mostrano in realtà una componente infiammatoria smoldering persistente, sia omogenea che limitata ai margini della lesione, all’esame con TSPO-PET.42

Il ruolo dell’attivazione delle cellule B nei follicoli meningei

L’immunità mediata dalle cellule B e la difesa mediata dagli anticorpi costituiscono una componente essenziale del sistema immunitario adattivo. In caso di infezione, i linfociti B che portano recettori antigenici in grado di riconoscere specificamente l’an-

tigene derivato dal patogeno invasore vengono attivati per proliferare e differenziarsi in plasmacellule in grado di produrre anticorpi. Questa risposta delle cellule B richiede tipicamente l’aiuto dei linfociti T CD4, a loro volta attivati dalle cellule dendritiche che presentano l’antigene. Dopo l’attivazione antigenica, i linfociti T interagiscono con i linfociti B in maniera specifica per l’antigene, fornendo citochine e altri fattori che promuovono l’espansione clonale delle cellule B. Le cellule B in espansione subiscono una diversificazione secondaria del recettore nella reazione del centro germinativo, durante la quale quelle con affinità più elevata per l’antigene sono preferenzialmente aiutate dai linfociti T. La reazione del centro germinativo produce cellule B selezionate come plasmacellule, che producono anticorpi per facilitare la clearance dell’infezione in corso, e cellule B della memoria, che possono sopravvivere a lungo dopo la risoluzione dell’infezione attuale in preparazione per rispondere a futuri episodi di reinfezione. Alcune plasmacellule tornano al

Figura 4. Effetti a associati all’attivazione microgliale nell’ambito della sclerosi multipla.

Fonte: Sierra et al. Trends Neurosci 2019.

Nel setting patogenico, la microglia perde la sua funzione omeostatica e passa a un fenotipo pro-infiammatorio

Compromissione dei neuroni e delle reti neurali

Guida l’infiammazione e il danno

Pruning sinaptico iperattivo

Può portare a campromissione delle reti neurali e a declino cognitivo

Incremento della fagocitosi e della demielinizzazione

„ Produce citochine e recluta cellule immunitarie nel sistema nervoso centrale

„ Diventa più fagocitica e attivamente demielinizzante

Infiammazione smoldering cronica

Guida le lesioni smoldering associate alla progressione della patologia

Remielinizzazione inibita

Inibisce la remielinizzazione

midollo osseo e sopravvivono per tutta la vita dell’individuo in nicchie simili a quelle per le cellule staminali emopoietiche, secernendo continuamente anticorpi.43

Per quanto riguarda i meccanismi immunitari attivi nello strato corticale nei pazienti con sclerosi multipla si possono ipotizzare diverse cause di demielinizzazione infiammatoria, alcune delle quali prevedono un ruolo rilevante dei linfociti B. Queste includono la possibile espressione o sovrabbondanza relativa di un autoantigene bersaglio per meccanismi immunitari adattivi mediati da cellule T e anticorpi o il coinvolgimento di una cellula T con specificità sia per un antigene della mielina che per un antigene neuronale.44,45 Una spiegazione alternativa, tuttavia, è che la presenza di infiltrati infiammatori nello spazio meningeo e/o negli spazi perivascolari adiacenti possa portare al rilascio di mediatori infiammatori citotossici nella materia grigia. Questo fenomeno potrebbe essere causato da un organismo infettivo situato nelle meningi adiacenti o da una risposta infiammatoria cronica compartimentalizzata a un autoantigene o a più autoantigeni. Il virus di Epstein-Barr (EBV) è stato più volte proposto come candidato, in quanto segni della sua presenza sono stati riscontrati nelle cellule B delle meningi e degli spazi perivascolari dei pazienti con sclerosi multipla caratterizzati da ampi infiltrati meningei e demielinizzazione corticale. Nello specifico, è stato proposto che la mancata capacità di controllare l’infezione latente causata da EBV nello spazio subaracnoideo potrebbe portare a una riattivazione intratecale ricorrente del virus e a danni tissutali nella materia grigia vicina.46,47 Tuttavia, il ruolo di EBV nelle lesioni subpiali dei pazienti con sclerosi multipla rimane a oggi controverso e dibattuto. È però un dato di fatto che nelle meningi dei pazienti con SM-SP si osservano strutture simili a follicoli linfatici contenenti cellule T, plasmacellule, una rete di cellule dendritiche follicolari e aggregati di cellule B CD20+.48 ,49 Accumuli simili di cellule B, poi, sono

stati riportati anche nel 40% delle biopsie corticali relativi a casi precoci di SM-RR, dove sono risultati associati a demielinizzazione subpiale.50 È stato dimostrato che nei pazienti con SM-SP la presenza di queste strutture si associa a un aumento dell’infiammazione diffusa a livello delle meningi, correlata con il grado di attivazione microgliale, di demielinizzazione della materia grigia e di perdita neuronale secondo un gradiente che va dagli strati corticali più esterni a quelli più interni.51, 52 Inoltre, il ruolo dei follicoli linfatici nella propagazione della demielinizzazione e della neurodegenerazione è sostenuto anche dalla rilevante risposta terapeutica che si ottiene con la somministrazione di anticorpi anti-CD20.53 54 Tutte queste evidenze supportano quindi l’ipotesi che fattori citotossici diffusi dal compartimento meningeo possano contribuire al danno a livello della materia grigia e al conseguente aumento della disabilità clinica. Significativamente, poi, la demielinizzazione subpiale e l’atrofia corticale risultano essere più pronunciate nei pressi dei ripiegamenti più profondi della corteccia, a suggerire che differenze regionali nel flusso del liquido cerebrospinale (cerebrospinal liquid, CSF) potrebbero creare un microambiente protetto per le strutture linfoidi. È stato quindi ipotizzato che queste potrebbero determinare una risposta immunitaria locale particolarmente ricca di linfociti B CD20+ e plasmablasti (ma comprendente anche cellule T CD4+, CD8+ e macrofagi) generando dei mediatori infiammatori che, circolando nel CSF, si diffonderebbero liberamente in tutto lo spazio subaracnoideo e attraverserebbero la membrana piale verso la materia grigia adiacente, dando luogo a lesioni diffuse e focali della materia grigia subpiale. Il fattore di necrosi tumorale e IFNγ potrebbero svolgere un ruolo centrale in questo senso, influenzando direttamente o indirettamente l’attività microgliale a livello corticale. A dimostrazione di ciò, l’espressione di questi due fattori è risultata significativamente aumentata, sia nelle meningi che nei campioni di CSF, in analisi post-mor-

tem condotte su pazienti con SM-SP caratterizzati da alti livelli di infiammazione meningea e danno corticale.55

Complessivamente, questi dati supportano quindi l’ipotesi che una maggiore attività patologica a livello della materia grigia subpiale, mediata dall’infiammazione meningea, potrebbe determinare un decorso della sclerosi multipla più rapido e aggressivo fin dalle fasi iniziali della malattia.56

Aspetti clinici della smoldering neuroinflammation

I progressi compiuti negli ultimi anni nella conoscenza dei meccanismi patofisiologici della sclerosi multipla hanno reso in parte obsoleta la tradizionale suddivisione tra SM-RR e SM-SP e la definizione di una cosiddetta “fase di transizione” tra i due fenotipi clinici. Numerose evidenze suggeriscono infatti che,

a prescindere dal decorso clinico, i pazienti con sclerosi multipla presentano caratteristiche patologiche qualitativamente simili ma quantitativamente diverse, tra cui, già dalle prime fasi di malattia, l’infiammazione e la neurodegenerazione.57

In linea con questa osservazione, sempre più evidenze mostrano come nei pazienti con sclerosi multipla a esordio recidivante una sostanziale proporzione della progressione della disabilità sia indipendente dalle recidive. Un recente studio osservazionale italiano che ha valutato un’ampia coorte di pazienti con sclerosi multipla a esordio recidivante seguiti per un tempo medio di 11,8 anni ha identificato come PIRA circa i due terzi di tutti gli eventi di peggioramento della disabilità, portando ulteriori conferme a supporto del ruolo della progressione indipendente dalle ricadute come principale fattore di accumulo della disabilità nella sclerosi multipla.58 Un risultato, questo, in linea con quanto già emerso sia in studi controllati randomizzati che in studi di coorte real world 59, 60, 61, 62 (Figura 5).

senza ricadute

Pazienti con ricadute

PIRA, sostenuta

RAW

PIRA + RAW

Né PIRA né RAW

Figura 5. Contributo di PIRA e RAW sull’accumulo di disabilità nei vari fenotipi clinici.
Fonte: Lublin et al. Brain 2022.

Alla luce di questi dati e della possibilità di sviluppare trattamenti in grado di agire in modo specifico sugli aspetti neurodegenerativi della sclerosi multipla diventa quindi fondamentale individuare dei protocolli diagnostici utili a identificare precocemente una progressione della malattia. La PIRA, infatti, è solo una delle molteplici componenti della smoldering neuroinflammation e il punteggio EDSS non è in grado, singolarmente, di cogliere tutti i segni di un’eventuale progressione 15, 63, 64 (Figura 6). Infatti, i punteggi longitudinali dell’EDSS non sono sempre disponibili e sono inoltre suscettibili alla variabilità tra i valutatori. Ad esempio, è stato dimostrato che la valutazione ripetuta dell’EDSS basata sull’autovalutazione del proprio cammino da parte del paziente può determinare un errore del 25% nella stima della disabilità.65 Un’analisi combinata degli studi OPERA, poi, ha mostrato che l’87% dei pazienti trattati con ocrelizumab e il 78% di quelli trattati con interferone-beta-1a è andato incontro a PIRA nonostante si trovasse in una fase relativamente precoce

e stabile della malattia.59 In questo caso, i ricercatori sono riusciti a evidenziare questo effetto utilizzando il punteggio composito EDSS-Plus – il quale integra i dati dell’EDSS standard con i risultati al test Timed 25-Foot Walk (T25FW) e al Nine-Hole Peg Test (9HPT)66 – che ha permesso loro di caratterizzare anche elementi della progressione che non sarebbero stati colti con l’esame neurologico di routine.

A oggi, tuttavia, non sono state prodotte evidenze circa la superiorità dell’EDSS-Plus rispetto all’EDSS per misurare la progressione della sclerosi multipla. Come sottolineato in un documento di consenso del 2022, l’uso di endpoint compositi ha però già un ruolo centrale sia nel contesto clinico che nella progettazione dei trial clinici.67 Il T25FW e il 9HPT, nello specifico, risultano particolarmente adatti per valutare la progressione della malattia poiché non hanno effetti legati alla reiterazione dell’esame, consentendo di assumere che i cambiamenti nei punteggi siano dovuti allo stato del paziente piuttosto che alla variabilità della misurazione.68 Per quanto riguar-

Figura 6. Lo score EDSS non permette di cogliere alcuni sintomi precoci associati alla neurodegenerazione. Fonte: Kobelt G, et al. Mult Scler J 2017.

da le tempistiche di tali valutazioni, è stato proposto che questo tipo di test dovrebbe essere effettuato ogni 6 mesi nei pazienti clinicamente e radiologicamente stabili e ogni 3 mesi in quelli clinicamente e radiologicamente instabili o con sospetta progressione di malattia.67

Anche i cambiamenti nella performance cognitiva possono poi riflettere una progressione della sclerosi multipla associata all’infiammazione smoldering. Ad esempio, è stato dimostrato che l’evoluzione del deterioramento cognitivo correla, anche se debolmente, con il riscontro di nuove lesioni o di lesioni in espansione alle immagini pesate in T2.69 70 Utilizzando la risonanza magnetica funzionale o il Diffusion Tensor Imaging (DTI) è stato poi dimostrato che il peggioramento cognitivo correla con il deterioramento della connettività a livello della materia grigia, la compromissione delle reti neurali e la degenerazione assonale.71 In questo senso, al fine di identificare un’eventuale progressione di malattia nei pazienti con sclerosi multipla è stato proposto di implementare una valutazione sistematica e ripetuta delle funzioni cognitive, utilizzando ad esempio la Brief Repeatable Battery of Neurological tests (BRBN).72 In molti casi però una valutazione di questo tipo richiede risorse e tempistiche non compatibili con le esigenze della pratica clinica. Test di più rapida somministrazione, come ad esempio la Brief International Cognitive Assessment for MS (BICAMS)73 o il Symbol Digit Modalities Test (SDMT),74 sono molto utilizzati e possono dare informazioni utili quando somministrati a intervalli di tempo regolari, ad esempio ogni 6 o 12 mesi. Alcuni clinici, tuttavia, lamentano la mancanza di criteri condivisi e una sensibilità spesso non sufficiente nel cogliere variazioni della performance di lieve entità. Altri fattori il cui monitoraggio costante può suggerire una progressione della sclerosi multipla sono la fatica, il peggioramento della qualità della vita, la depressione e la spasticità.67 Inoltre, possono presentarsi disturbi sfinterici, del tratto urinario e, nelle

donne, manifestazioni sovrapponibili a quelle della menopausa.75 76 In questo senso, è molto importante valutare nel tempo la percezione e la consapevolezza che il paziente ha della sua patologia, al fine di identificare tempestivamente eventuali segni di progressione (Tabella 1). I cosiddetti esiti riportati dai pazienti (patient reported outcomes, PROs) sono applicati in tal senso, come raccomandato dalla Food and Drug Administration (FDA) e l’European Medicines Agency (EMA), nell’ambito di numerose condizioni croniche, tra cui la sclerosi multipla.77,78,79, 80 Lo studio osservazionale, prospettico, multicentrico EmBioProMS, ad esempio, ha valutato tre misure impiegate comunemente per valutare i PROs nell’ambito della sclerosi multipla – la Fatigue Score of Motor and Cognition (FSMC), 81 il Beck Depression Inventory-II (BDI-II)82 e la Multiple Sclerosis Impact Scale-29 (MSIS-29)83 – al fine di determinare l’efficacia di questi strumenti nell’identificare la progressione di malattia. I risultati hanno messo in evidenza performance peggiori nei partecipanti che sono andati incontro una progressione confermata mediante EDSS/T25FW/9HPT, sia alla baseline che durante i follow up, mostrando come una rilevazione almeno annuale di questo tipo di misure potrebbe fornire informazioni utili e standardizzate.84

Altre metodiche potenzialmente utilizzabili per monitorare la progressione di malattia riguardano infine l’impiego di tecnologie smart, come dispositivi indossabili o applicazioni smartphone, le quali possono essere utilizzate per valutare lo status funzionale del paziente in un contesto di vita quotidiana.85, 86 Ad esempio, utilizzando un guanto ingegnerizzato per misurare i movimenti fini delle dita, è stato dimostrato che un lieve deterioramento della mobilità può verificarsi anche in pazienti con patologia presintomatica o RIS.87

Le tecniche di neuroimaging

A causa della possibilità di cogliere fenomeni di demielinizzazione di natura infiammatoria e cambia-

Tabella 1. Sintomatologia potenzialmente indicativa di una progressione della sclerosi multipla ed esempi di possibili domande da rivolgere al paziente.

Sistema Sintomo Domande da rivolgere al paziente

Autonomia motoria e coordinazione

Difficoltà nella deambulazione

Spasticità

Disturbi della coordinazione

Funzioni cognitive

Aspetti emotivi

Percezione sensoriale

Difficoltà di memoria e nella concentrazione

Ridotta velocità di elaborazione

Difficoltà nel problem solving e nella capacità decisionale

Ansia/depressione

Intorpidimento e formicolio

Problemi di vista

Ha notato un peggioramento della sua capacità di camminare?

Ha bisogno di un supporto per camminare, come un bastone o un deambulatore?

Ha difficoltà a mantenere l’equilibrio o cade più spesso?

Riesce a salire le scale senza difficoltà?

Avverte rigidità o spasmi muscolari?

In quali parti del corpo avverte questi sintomi?

La rigidità influisce sulla sua capacità di muoversi o svolgere attività quotidiane?

I sintomi sono peggiorati nel tempo?

Ha difficoltà con movimenti che richiedono coordinazione, come abbottonarsi i vestiti o scrivere?

Ha problemi a raggiungere oggetti o a maneggiarli?

Avverte tremori o movimenti involontari?

Ha difficoltà a ricordare cose, come appuntamenti o conversazioni?

Ha problemi a concentrarsi su compiti o attività?

Si distrae facilmente?

Ha difficoltà a seguire le istruzioni?

Si sente più lento nel pensare o nel reagire alle cose?

Ha difficoltà a tenere il passo con le conversazioni o a elaborare informazioni rapidamente?

Ha difficoltà a prendere decisioni o a risolvere problemi?

Si sente sopraffatto quando deve affrontare situazioni complesse?

Si sente spesso triste, ansioso o irritabile?

Ha notato cambiamenti nel suo umore?

Ha difficoltà a gestire le emozioni?

Ha pensieri negativi o di autolesionismo?

Avverte intorpidimento o formicolio in alcune parti del corpo?

Dove si localizzano queste sensazioni?

Sono costanti o intermittenti?

Sono peggiorate nel tempo?

Ha notato cambiamenti nella sua vista?

Vede doppio o la sua vista è offuscata?

Ha difficoltà a distinguere i colori o a vedere in condizioni di scarsa illuminazione?

Ha dolore agli occhi o mal di testa?

Dolore

Soffre di dolore cronico?

Dove si localizza il dolore?

Che tipo di dolore è (bruciore, lancinante, sordo)?

Il dolore è peggiorato nel tempo?

Cosa fa peggiorare o migliorare il dolore?

Funzione sfinterica

Problemi vescicali

Ha difficoltà a controllare la vescica?

Sente spesso il bisogno di urinare urgentemente?

Ha difficoltà a svuotare completamente la vescica?

Ha episodi di incontinenza urinaria?

Problemi intestinali

Fatica Fatica

Fatica in caso di sforzo

Soffre di stitichezza o diarrea?

Ha difficoltà a controllare l’intestino?

Ha episodi di incontinenza fecale?

Si sente spesso stanco o esausto, anche dopo aver riposato a sufficienza?

La fatica influisce sulla sua capacità di svolgere attività quotidiane?

La fatica è peggiorata nel tempo?

Si sente molto stanco dopo aver svolto attività fisiche o mentali?

Anche piccoli sforzi la fanno sentire esausto?

menti a livello della barriera emato-encefalica, la risonanza magnetica (MRI) rimane a oggi la tecnica diagnostica e prognostica più importante per valutare la sclerosi multipla, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Dal 2000, questa metodica rappresenta il gold standard per la valutazione dei pazienti con manifestazioni cliniche suggestive della presenza della patologia e i criteri più recenti, se applicati con la dovuta attenzione, permettono una diagnosi accurata con una singola scansione.18, 88, 89 L’MRI ha anche un ruolo centrale nello sviluppo di nuove terapie in quanto, come indicato in un documento di consenso del gruppo di studio Magnetic Resonance Imaging in MS (MAGNIMS), le nuove lesioni sono più frequenti rispetto alle ricadute cliniche.90 A dimostrazione di questo, studi di proof-of-concept hanno mostrato che l’effetto di una terapia sulla formazione di nuove lesioni rilevate mediante MRI è in grado di predire quello sui tassi di ricaduta negli studi definitivi.91

L’MRI ha anche un ruolo centrale nella misurazione dell’atrofia associata alla neurodegenerazione. Come detto in precedenza, infatti, la conseguenza finale dell’attività sia focale che diffusa, sia acuta che cronica, è la perdita di volume del cervello e del midollo spinale, e in particolare a livello delle strutture cerebrali coinvolte nelle funzioni motorie e cognitive, la cui degenerazione può contribuire all’accumulo di disabilità. Numerosi studi hanno infatti dimostrato che i cambiamenti nel volume cerebrale sono predittivi della progressione della malattia in tutte le fasi della sclerosi multipla.92 Inoltre, fenomeno neurodegenerativi quantitativamente maggiori nell’area del midollo spinale cervicale sono stati associati, in modo indipendente dalle lesioni focali, all’accumulo di disabilità.93 Significativamente, la presenza di atrofia a livello sistema nervoso centrale è stata documentata, in studi di coorte, anche prima della presentazione clinica.94,95 Negli ultimi anni, poi, l’avvento della MRI a 7 tesla (T) e, in misura minore, dei traccianti molecolari rilevabili dalla PET ha permesso di studiare anche specifi-

ci meccanismi patogenetici della sclerosi multipla, tra cui l’infiammazione perivascolare, lo sviluppo di lesioni corticali e del midollo spinale, la demielinizzazione e la rimielinizzazione, l’attivazione del sistema immunitario innato e l’infiammazione leptomeningea.96 Nello specifico, il riconoscimento sempre maggiore di un ruolo centrale dell’infiammazione cronica nel definire l’evoluzione della patologia ha portato all’identificazione di una serie di marcatori specifici per le metodiche di neuroimaging, come le lesioni con bordo paramagnetico (paramagnetic rim Lesions, PRL) nelle sequenze MRI sensibili alla suscettività (susceptibility-weighted imaging, SWI), le SEL definite tramite MRI pesata in T1 e in T2 e le lesioni positive alla TSPO-PET.97

Studi che hanno combinato MRI e analisi istologiche hanno fornito una validazione istopatologica delle PRL nella sostanza bianca visibile su mappe R2*/T2* gradient-echo (GRE),98 99,100 Quantitative Susceptibility Map, (QSM),101,102 ,103 ,104 immagini di fase 105,106 107,108,109 e SWI.110,111 Le evidenze oggi disponibili mostrano che il nucleo delle PRL si caratterizza per una perdita quasi completa di mielina, mentre il bordo co-localizza – per almeno 2/3 del perimetro della lesione97 – con la presenza del ferro legato alla ferritina contenuto all’interno delle cellule CD68+ di origine microgliale.112 Infatti, le cellule della microglia attivate fagocitano la mielina, la quale contiene molto ferro, diventando così rilevabili a tecniche di MRI suscettibili alla presenza di questa sostanza, come appunto la QSM e la SWI.113 Complessivamente, queste caratteristiche indicano che le PRL corrispondono alle lesioni croniche attive come tradizionalmente definite a livello istopatologico, le quali possono essere osservate in tutte le fasi della sclerosi multipla e anche in un contesto di RIS e sono associate a un decorso clinico e radiologico più aggressivo.114,115 Esse si sviluppano verosimilmente a seguito della formazione di nuove lesioni T2 e persistono poi per diversi anni, aumentando di dimensioni e con i bordi paramagnetici che possono persistere o scompa-

rire (Figura 7). Tale espansione è però molto lenta e in alcuni casi possono essere necessarie 2 o 3 scansioni, realizzate a distanza di 1 o 2 anni, per coglierla. Per quanto riguarda la specificità della MRI, l’unico studio che ha valutato questi aspetti ha identificato un basso tasso di PRL false positive o lesioni croniche attive false negative, con 39 delle 42 PRL identificate che corrispondevano a lesioni croniche attive e tre a lesioni croniche inattive. Per quanto riguarda la sensibilità, invece, gli stessi autori hanno riportato che 37 delle 40 lesioni croniche attive corrispondevano a una PRL a livello istopatologico e le restanti tre risultavano diffusamente iperintense.104 Come sottolineato da Bagnato e colleghi, è importante notare che sebbene le cellule cariche di ferro possano essere invariabilmente presenti ai margini o al centro di diversi sottotipi di lesioni rilevabili nel con-

Cellule T CD8+

Cellule B CD20+

Plasmacellule

Cellule microgliali attivate

testo della sclerosi multipla, la loro quantità è molto maggiore al bordo delle PRL rispetto ad altre lesioni e siti non lesionali.97 Gli stessi autori indicano poi che le PRL possono essere visualizzate con MRI a 1,5T, 3T e 7T. Tuttavia, dato l’aumento degli effetti di suscettibilità magnetica a campi magnetici più elevati e il fatto che gli orletti paramagnetici sono generalmente sottili, lo standard suggerito per la visualizzazione delle PRL è una risonanza magnetica di almeno 1,5T con una risoluzione in piano submillimetrica e ≤3 mm attraverso il piano per le acquisizioni 2D, e ≤2 mm o una risoluzione isotropica più alta per quelle 3D. Inoltre, a oggi il gold standard per l’identificazione e la quantificazione delle PRL è la revisione visiva da parte di esperti adeguatamente formati.97 In tal senso, è stato ipotizzato un possibile ruolo di software di analisi delle imaging basati algoritmi di intelligenza artificiale, i quali potrebbero potenzialmente automatizzare e perfezionare questo processo. A oggi, infatti, l’impiego delle sequenze MRI in grado di rilevare le PRL sono raramente disponibili e scarsamente utilizzate nella pratica clinica. Anche le SEL si caratterizzano per la presenza di un bordo paramagnetico, ma possono essere rilevate utilizzando le sequenze convenzionali T1 w e T2 w, con un MRI ad almeno 3T, e non richiedono l’acquisizione di sequenze sensibili alla suscettibilità.116 Tuttavia, la loro rilevazione richiede un minimo di 3 scansioni, preferibilmente nel corso di 1 o 2 anni.97 Queste lesioni – le quali co-localizzano raramente con le PRL e devono essere considerate in modo distinto da queste – sono caratterizzate da perdita assonale cronica e demielinizzazione. A differenza delle lesioni croniche inattive, le quali diminuiscono di dimensioni nel corso degli anni, le SEL si espandono lentamente nel tempo. Inoltre, presentano le seguenti caratteristiche: evolvono indipendentemente dalle condizioni della barriera emato-encefalica, hanno un basso rapporto del trasferimento di magnetizzazione (magnetization transfer ratio, MTR), presentano una diffusione radiale aumentata, sono meno propensi a

Spazio perivascolare
Espansione della demielinizzazione
Bordodellalesione (demielinizzazioneattiva)
Figura 7. Rappresentazione grafica di una PRL.

rimielinizzare e sembrano aumentare la vulnerabilità degli assoni residui ad andare incontro a una successiva neurodegenerazione.36,117 Inoltre, le misurazioni pesate in T1 delle SEL predicono la progressione della disabilità clinica.116 Seguendo una coorte di pazienti con SM-RR per un follow up mediano di 9,1 anni, uno studio ha mostrato che oltre alla gravità della disabilità clinica, al carico delle lesioni iperintense in T2 e al volume cerebrale, la quantità di SEL e anomalie microstrutturali dei tessuti era associata a un rischio più elevato di peggioramento del punteggio EDSS e di conversione a SM-SP.118 È stato ipotizzato che i mediatori infiammatori presenti a livello del bordo ipointenso della lesione, come i radicali liberi o l’ossido nitrico, possano stimolare un circolo vizioso di infiammazione smoldering e neurodegenerazione, determinando la progressione della malattia.39 A dimostrazione di ciò, le SEL si riscontrano sia nei pazienti con SM-RR che in quelli con SM-PP, ma sono prevalenti nella malattia progressiva.

Infine, come detto in precedenza, anche la PET con radiotraccianti può essere utilizzata per valutare il TSPO, la cui espressione è associata alla densità delle cellule immunitarie innate attivate nella sclerosi multipla.42 Grazie a questa tecnica è stato possibile mostrare la presenza di macrofagi e cellule della microglia attivati a livello della sostanza bianca apparentemente normale (normal appearing white matter, NAWM).119,120 Gli studi PET hanno poi messo in evidenza anche il ruolo svolto dall’attivazione diffusa delle cellule del sistema immunitario innato nel lento processo di deterioramento tissutale. È stato infatti dimostrato che, rispetto alla SM-RR, l’aumentata attivazione dei macrofagi e della microglia a livello della NAWM nella SM-SP è significativamente associata all’accumulo di disabilità e al tasso di atrofia cerebrale.121,122 Nonostante questi progressi, tuttavia, a oggi la valutazione delle lesioni delle lesioni croniche attive risulta essere scarsamente implementata nella pratica clinica quotidiana ed è stata inclusa solo recentemente negli studi clinici.

I biomarcatori

Negli ultimi anni, una migliore caratterizzazione dei meccanismi fisiopatologici responsabili delle malattie neurologiche ha determinato uno spostamento dell’approccio diagnostico da un’identificazione quasi esclusivamente clinico-radiologica a una basata anche su elementi biochimici. Uno dei fattori più importanti in questo senso è stata la ricerca sui biomarcatori del CSF. A causa della sua vicinanza con le strutture del sistema nervoso centrale, infatti, il CSF rappresenta il fluido di riferimento per l’identificazione dei biomarcatori nelle malattie neurodegenerative e neuroinfiammatorie.123 Tuttavia, poiché le analisi del liquor possono essere tecnicamente complicate sono stati proposti e studiati anche biomarcatori sierici, potenzialmente misurabili attraverso un semplice prelievo di sangue.

Nell’ambito della valutazione della smoldering neuroinflammation, sono stati presi in considerazione diversi biomarcatori a secondo del meccanismo patofisiologico oggetto di analisi: danno assonale, infiltrazione meningea e conseguente patologia corticale, attivazione microgliale e disfunzione a livello delle reti neurali.

Per quanto riguarda le patologie associate a lesioni o degenerazione assonale, come la sclerosi multipla, un biomarcatore che si è dimostrato particolarmente promettente è la catena leggera dei neurofilamenti (NfL).124,125 Negli ultimi due decenni, infatti, un numero crescente di studi ha dimostrato che nei pazienti con patologie neurologiche i livelli di NfL nel CSF e nel sangue sono alterati e correlati alle caratteristiche della malattia. Inoltre, proprio perché è possibile misurare la concentrazione di NfL anche nel sangue, questo biomarcatore risulta particolarmente adatto per monitorare il decorso e l’evoluzione delle malattie del sistema nervoso centrale e, idealmente, per valutare la risposta dei pazienti ai trattamenti.126,127

Nell’ambito della sclerosi multipla la concentrazione di NfL nel CSF risulta essere aumentata sia nella pa-

tologia conclamata che nella CIS.128 In entrambi casi, e anche per quanto riguarda la sua concentrazione sierica, questo biomarcatore può essere utilizzato per distinguere, con elevata precisione, i pazienti dai controlli senza malattie neurologiche.129 Va però sottolineato che il momento della misurazione dell’NfL potrebbe influenzarne la concentrazione, specialmente in relazione al momento dell’ultimo episodio infiammatorio acuto. Infatti, i livelli di NfL nel CSF e nel siero tendono a essere più elevati nei pazienti con SM-RR con una ricaduta nei 60 giorni precedenti rispetto a quelli con patologia clinicamente stabile.130 È stato ipotizzato che i livelli di NfL nel CSF e nel sangue rimangano elevati per 2-3 mesi dopo una ricaduta per poi scendere a livelli più bassi. Va però considerato che gli studi che hanno analizzato la capacità dell’NfL di distinguere la sclerosi multipla da altre patologie con caratteristiche in parte sovrapponibili hanno mostrato risultati contrastanti. Ad esempio, mentre uno studio ha mostrato che la concentrazione di NfL nel CSF era più alta nella neuromielite ottica rispetto alla sclerosi multipla, questo effetto non è stato riscontrato a livello sierico.131 Inoltre, un’elevazione dei livelli di NfL nel CSF e nel sangue è stata rilevata anche nei pazienti con iperintensità della materia bianca dovuta a malattia dei piccoli vasi cerebrali, una delle diagnosi differenziali più comuni nell’ambito della sclerosi multipla.132 La scarsa specificità e l’incapacità dell’NfL di fornire informazioni circa la localizzazione spaziale delle lesioni fanno sì che a oggi la misurazione di questo biomarcatore nel CSF e nel sangue non può sostituire l’MRI nella diagnosi di sclerosi multipla e CIS.133 Tuttavia, la misurazione dell’NfL durante l’iter diagnostico potrebbe avere un ruolo nel predire la prognosi di queste condizioni, permettendo di superare alcuni dei limiti della realizzazione seriale di esami MRI, quali l’alta frequenza di somministrazione di gadolinio e le difficoltà nel realizzare scansioni utili a effettuare confronti con precisione elevata. È stata proposta, ad esempio, la valutazione dei livelli sierici di NfL

per determinare lo status di ‘assenza di evidenza di attività della malattia’.134 Infatti, in aggiunta al monitoraggio clinico e alla valutazione con MRI, tale valutazione potrebbe fornire ulteriori informazioni sul grado di danno assonale a livello della materia bianca apparentemente normale, non rilevabile con precisione dall’esame di risonanza magnetica standard.135 Un’altra potenziale applicazione prognostica dell’NfL riguarda infine la previsione dell’accumulo di disabilità. Infatti, i livelli di NfL nel CSF e nel siero al basale sono risultati predittori indipendenti dei punteggi futuri all’EDSS e al Multiple Sclerosis Severity Score (MSSS) e associati all’evolversi dell’atrofia cerebrale.129,136 Inoltre, è stato dimostrato che l’NfL nel CSF è un fattore di rischio indipendente anche per la conversione a SM-SP. Infatti, in uno studio retrospettivo con un tempo di follow-up mediano di 14 anni, è stato riscontrato che nei pazienti con concentrazioni basali di NfL nel CSF più elevate (>386 ng/L), la conversione da SM-RR a SM-SP era più probabile rispetto ai pazienti con valori di NfL nel CSF bassi (<60 ng/L) o intermedi (60–386 ng/L).137 Uno studio che ha analizzato i dati dei trial clinici di fase III che hanno indagato l’impiego della terapia anti-CD20 con ocrelizumab ha messo in evidenza come nei pazienti con SM-RR senza attività acuta della malattia e in quelli con SM-PP i livelli basali di NfL più alti predicevano una maggiore atrofia cerebrale totale e talamica, una maggiore espansione delle SEL e una maggiore progressione clinica. In questo setting, il trattamento con ocrelizumab è risultato associato a una riduzione dei livelli di NfL, annullando il valore prognostico dei livelli basali sulla progressione della disabilità. Dopo una soppressione efficace dell’attività delle ricadute da parte dell’ocrelizumab, tuttavia, i livelli di NfL alle settimane 24 e 48 sono risultati significativamente associati al rischio a lungo termine di progressione della disabilità sia nei pazienti con SM-RR che in quelli con SM-PP.138 In ultimo, un recente studio di coorte ha invece identificato un aumento dei livelli di NfL che precede il peggioramento clinico, a suggerire

l’esistenza di una finestra temporale in cui potrebbe essere possibile intervenire in modo anticipato rispetto al peggioramento della disabilità.139 Nell’ottica di semplificare la valutazione di NfL nella pratica clinica, negli ultimi anni sono state sviluppate delle piattaforme digitali che forniscono dei range di riferimento sulla base delle caratteristiche individuali del paziente, come età e patologia, e delle metodiche di misurazione.140

Per quanto riguarda l’infiltrazione meningea e la conseguente patologia corticale, invece, la ricerca si è concentrata sullo studio della sintesi intratecale delle proteine anticorpali, rappresentate dal riscontro di bande oligloclonali (oligoclonal bands, OCB) nel CSF all’immunoelettroforesi. Tuttavia, una recente metanalisi, nell’ambito della quale sono stati valutati i dati relativi a 13.467 pazienti, ha messo in evidenza come la specificità diagnostica di questo biomarcatore per la sclerosi multipla scenda dal 94% al 61% prendendo in considerazione le eziologie infiammatorie. Inoltre, l’analisi delle OCB è risultata molto impegnativa in termini di tempo e associata a un’elevata variabilità

inter-rater.141 Negli ultimi anni è stato quindi valutato il possibile impiego, come nuovo biomarcatore di infiltrazione meningea, le catene leggere libere kappa (k-FLC), le quali vengono prodotte in eccesso rispetto alle immunoglobuline integre e si accumulano anche nel CSF in caso di infiammazione derivata dal sistema nervoso centrale.142 Diverse evidenze hanno infatti dimostrato l’elevata accuratezza diagnostica dell’indice k-FLC – definito dal rapporto tra il rapporto tra le k-FLC nel liquor e nel sangue e il rapporto tra albumina nel liquor e nel sangue – con una sensibilità e specificità pari a circa il 90% nell’ambito della SM-RR, simile a quella delle OCB.143 Inoltre, in un’altra analisi l’indice k-FLC è risultato significativamente più elevato nei pazienti SM-RR con PIRA rispetto a quelli senza PIRA144 (Figura 8). Di recente, infine, è stato dimostrato che l’indice k-FLC si associa a una sensibilità diagnostica pari al 93% anche nel contesto della SM-PP 145 e che questo valore risulta essere più elevato nei pazienti con compromissione della memoria verbale e della velocità di elaborazione delle informazioni.146 Questi dati assumono parti-

Figura 8. I livelli di kFLC risultano più elevato nei pazienti SM-RR con PIRA rispetto a quelli senza PIRA. Fonte: Rosenstein et al. J Neurol 2023.

Probabilità di PIRA

Pazienti a rischio: Mesi

KFLC ≤100

Indice KFLC >100

Logrank p = 0,0027

Tempo (in mesi)
Indice

colare rilevanza alla luce delle caratteristiche di questo biomarcatore, la cui determinazione risulta essere rapida (circa 20 minuti), economica e indipendente dal valutatore.145

Un’ulteriore classe di biomarcatori presi in esame nel contesto dell’infiammazione smoldering sono poi quelli riguardanti l’attivazione microgliale. Uno studio che ha valutato, in una coorte di 143 pazienti, l’associazione tra diversi marcatori microgliali al momento della puntura lombare diagnostica e diversi aspetti dell’attività della patologia (ricadute, disabilità, parametri di risonanza magnetica), ha messo in evidenza come i livelli di chitotriosidasi (CHIT-1) risultassero correlati a diversi parametri di progressione della malattia, tra cui la gravità della stessa e i livelli di NfL.147 Infine, un altro biomarcatore potenzialmente utile nel definire l’infiammazione smoldering è la proteina fibrillare acida della glia (GFAP), la quale costituisce una porzione del citoscheletro negli astrociti ed è stata indicata come biomarcatore del danno astrocitario e dell’astrogliosi reattiva.148,149,150,151

Di recente, uno studio che ha valutato GFAP e NfL ha messo in evidenza come livelli più elevati di GFAP fossero correlati alla probabilità di una successiva progressione, in particolare nei pazienti non attivi, mentre sNfL riflettesse l’attività acuta della malattia nei pazienti ad alto rischio di avere una sottostante patologia progressiva.152

In ultimo, nell’ambito dei biomarcatori della smoldering neuroinflammation è stato proposto anche l’uso della tomografia a coerenza ottica (OCT) per valutare la retina a una risoluzione micrometrica.153

La perdita di assoni delle cellule gangliari retiniche risulta infatti in un assottigliamento retinico facilmente rilevabile con questo esame e correlato con i cambiamenti rilevati con l’MRI a livello cerebrale e con l’accumulo di disabilità.154,155

In futuro, è possibile che la ricerca si muoverà verso l’identificazione di score compositi che integreranno il potere diagnostico e prognostico di più biomarcatori, come avviene, ad esempio, nel contesto del-

la malattia di Alzheimer. Questa valutazione biochimica integrata dovrebbe poi integrarsi a sua volta con le altre valutazioni di tipo clinico, radiologico, cognitivo, funzionale. Combinando più parametri potrebbe infatti essere possibile definire un profilo clinico rappresentativo del meccanismo patofisiologico del singolo paziente. Un’informazione di questo tipo potrebbe permettere di definire gli interventi terapeutici sulla base delle caratteristiche specifiche dei pazienti, in un’ottica di medicina personalizzata.

Prospettive

terapeutiche nell’ambito della smoldering

neuroinflammation

A oggi le strategie terapeutiche per la sclerosi multipla sono focalizzate sul trattamento degli episodi acuti, sull’attenuazione dei sintomi e sulla riduzione dell’attività biologica attraverso le cosiddette terapie modificanti la malattia (Disease Modifying Therapy, DMT) (Figura 9). Le DMT modificano il decorso della patologia attraverso la soppressione o la modulazione della funzione immunitaria, riducendo il tasso di recidive e l’accumulo di lesioni rilevabili mediante MRI e stabilizzando o ritardando l’accumulo di disabilità.156

Le prime terapie approvate, gli interferoni e il glatiramer acetato (o copaxone), si dimostrarono in grado di ridurre modestamente la frequenza delle recidive, diventando presto molto prescritti.157 In seguito, studi preclinici sull’encefalomielite autoimmune sperimentale, un modello animale di sclerosi multipla, hanno permesso di comprendere alcuni passaggi cruciali nella patogenesi delle malattie autoimmuni del sistema nervoso centrale, tra cui l’espansione periferica precoce delle cellule immunitarie autoreattive negli organi linfoidi secondari, la successiva

infiltrazione delle cellule attivate nel sistema nervoso centrale e la genesi di lesioni infiammatorie nella sostanza bianca.158,159 Tuttavia, sebbene questi studi avessero dimostrato che le cellule T giocano un ruolo critico nell’encefalomielite autoimmune sperimentale, le sperimentazioni cliniche relative a trattamenti basati esclusivamente su questo meccanismo sono risultate, nell’ambito della SM-RR, fallimentari.160,161 Al contrario, le strategie terapeutiche orientate all’inibizione dell’accesso dei linfociti nel sistema nervoso centrale, bloccando la loro adesione alle cellule endoteliali (natalizumab) o sequestrandoli negli organi linfoidi primari (fingolimod, siponimod e ozanimod), si sono rivelate efficaci sia nella sclerosi multipla che nell’encefalomielite autoimmune sperimentale.3,162,163,164

Un ulteriore progresso è stato poi lo sviluppo di modelli di malattia che replicavano più da vicino il modello di danno tissutale nella sclerosi multipla, portando a una nuova comprensione dell’importanza dell’immunità umorale nella patogenesi della patologia.165 166 Questo ha aperto la strada a sperimentazioni cliniche di terapie depletive delle cellule B, prima con l’anticorpo monoclonale anti-CD20 rituximab e successivamente con ocrelizumab, ofatu-

mumab e ublituximab. La deplezione delle cellule B mediata da anti-CD20 ha dimostrato un alto livello di successo nel limitare le nuove recidive e la progressione silente nella SM-RR, e nel ridurre la progressione della disabilità nella SM-PP. 4,53,54,167 Tuttavia, nonostante gli effetti previsti sulle reti infiammatorie mediate dalla microglia nelle lesioni croniche attive e nel metabolismo del ferro, è stato dimostrato che le terapie anti-CD20 non risolvono completamente le PRL dopo 2 anni di follow-up, verosimilmente a causa di un limitato ricambio tissutale delle cellule B, di un passaggio inefficiente degli anticorpi anti-CD20 attraverso la barriera emato-encefalica e della scarsa presenza di cellule B nelle lesioni croniche attive.168 Di conseguenza, lo sviluppo di terapie altamente efficaci contro le forme progressive di sclerosi multipla rimane a oggi un bisogno non soddisfatto. Una prospettiva particolarmente interessante in questo senso è rappresentata dai trattamenti che targetizzano la tirosina chinasi di Bruton (BTK): una tirosina chinasi non recettoriale espressa nella maggior parte delle cellule ematopoietiche che mette in relazione i recettori specifici della superficie cellulare con le vie di segnalazione a valle, collegando lo stimolo immunitario all’attivazione cellulare.169,170,171,172 Poiché que -

Figura 9. Terapie all’infiammazione focale acuta approvate negli ultimi tre decenni.

Natalizumab
Ofatumumab
Siponimod
IFN-1a

sta proteina svolge un ruolo centrale nella segnalazione delle cellule B e delle cellule della microglia presenti nel sistema nervoso centrale, si è ipotizzato che l’inibizione di BTK potesse ridurre l’infiammazione acuta associata alle lesioni e, in aggiunta, avere effetti benefici sulle lesioni croniche attive e gli infiltrati meningei 173 174 (Figura 10)

È stato anche proposto di sviluppare e studiare terapia di combinazione basate su agenti con caratteristiche diverse e complementari, in linea con quanto accade in altre discipline mediche. Allo stato attuale, tuttavia, nell’ambito della sclerosi multipla questa possibilità appare ancora lontana dall’essere percorribile a livello clinico. Come saranno progettati e condotti gli studi che valuteranno eventuali terapie di combinazione sarà una sfida sia per la comunità scientifica che per gli enti regolatori. Ad esempio, progettare trial in cui

l’obiettivo principale è il recupero della capacità funzionale appare una sfida complessa con le misure di outcome attualmente disponibili.11

In attesa della disponibilità di trattamenti in grado di agire efficacemente sulla smoldering neuroinflammation, l’evidenza di un processo neurodegenerativo presente sin dalle prime fasi di malattia e parallelo all’infiammazione acuta periferica pone nuove problematiche per quanto riguarda la comunicazione con il paziente. Infatti, se generalmente l’assenza di ricadute cliniche e nuove lesioni agli esami MRI di monitoraggio ottenuta grazie alle DMT veniva considerata una prova della stabilità della malattia, oggi è evidente che tali riscontri non permettono di escludere un concomitante processo progressivo di infiammazione compartimentalizzata. Allo stesso tempo le attuali possibilità di misurazione

Figura 10. Meccanismo d’azione putativo degli inibitori di BTK nell’ambito della sclerosi multipla. Fonte: Krämer et al. Nat Rev Neurol 2023.

Inibitori di BTK

Inibitori di BTK brain-penetrant

Modulazione delle cellule B nel SNC

Inibizione dell’attivazione e della proliferazione delle cellule B

Inibizione dell’attivazione dei macrofagi

Inibizione della microglia e/o attivazione dei macrofagi   Demielinizzazione   Degrado assonale

Microglia
Citochine
Oligodendrocita
Neurone
Cellula T
Cellula B
Macrofago

di questo processo – attualmente caratterizzate da limitazioni, soprattutto nella comune pratica clinica – e l’impossibilità di intervenire in modo efficace a livello farmacologico pongono dubbi sulla reale utilità del comunicare in modo trasparente, al momento della diagnosi, gli aspetti legati alla neurogenerazione. Non va dimenticato, poi, che le manifestazioni fenotipiche tipiche della progressione di malattia possono essere influenzate anche da fattori quali la riserva funzionale e possono sovrapporsi a processi fisiologici quali l’invecchiamento o la menopausa. Allo stato attuale, quindi, è molto complicato comunicare al paziente una previsione prognostica affidabile o prendere decisioni terapeutiche basate su queste valutazioni.

Ciò non significa, tuttavia, che una corretta comunicazione al paziente degli aspetti neurodegenerativi della sclerosi multipla sia sempre fine a sé stessa. Ci sono casi, ad esempio, in cui gli aspetti progressivi sono preponderanti a livello clinico, altri in cui fattori personali legati ad esempio alla vita lavorativa o alla genitorialità possono assumere un’importanza prioritaria. In altri casi, semplicemente, il paziente viene a conoscenza in modo autonomo degli aspetti neurodegenerativi della malattia. È prima di tutto fondamentale, quindi, comprendere al meglio delle proprie possibilità le caratteristiche patofisiologiche, cognitive, emozionali e socio-relazionali del singolo paziente.

Non bisogna dimenticare, infine, il crescente corpus di evidenze relative a quegli elementi che possono influenzare la funzione cerebrale e la salute del cervello e che possono agire, in termini sia positivi che negativi, anche sulla smoldering inflammation. Questi includono fattori come l’esercizio fisico, la dieta, il fumo, l’assunzione di alcol, i determinanti sociali della salute, i farmaci concomitanti e il sonno.175,176,177,178,179,180

In tal senso, potrebbe essere utile adottare un approccio trasparente con il paziente, al fine di favorire cambiamenti comportamentali in grado di impattare positivamente sull’evoluzione della patologia.

Conclusione

Nel corso dei tre incontri previsti dal progetto “Smoldering - From science to patient” sono state analizzate e discusse le evidenze cliniche e sperimentali che hanno portato, negli ultimi anni, a una nuova comprensione della patofisiologia della sclerosi multipla basata su un continuum biologico che coinvolge due tipi di infiammazione: una acuta periferica e una cronica compartimentalizzata, la cosiddetta infiammazione smoldering. Alla luce di questo cambiamento, e delle attuali possibilità e prospettive terapeutiche, hanno assunto grande importanza le metodiche – dalle tecniche di neuroimaging e i biomarcatori ai test cognitivi e i PROs – in grado di cogliere e identificare precocemente l’infiammazione cronica e le relative manifestazioni fenotipiche. In generale, questo nuova visione della sclerosi multipla enfatizza poi l’importanza di una gestione olistica del paziente con sclerosi multipla, che considera aspetti clinico-fisiologici ma anche fattori legati allo stile di vita e alla sfera socio-relazionale, al fine di mettere in atto gli interventi più adeguati per migliorare l’efficacia dei trattamenti e la qualità di vita dei pazienti.

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Una pubblicazione de Il Pensiero Scientifico Editore e Think2it

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Neuroinfo – Anno I, novembre 2024

Rassegna realizzata da NeuroInfo in collaborazione con

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