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Aurora

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Tramonto

Tramonto

Dopo la notte dei mesi primaverili e dopo aver sperimentato un’alba nuova con Summerlife, i mesi autunnali e invernali hanno un po’ bloccato lo slancio estivo degli oratori. Anche se questa volta non siamo stati colti del tutto impreparati. Con l’anno nuovo e la speranza di vaccini che possano essere efficaci nel prevenire il contagio da COVID-19, si affaccia anche per gli oratori la possibilità di vivere un tempo nuovo. Può essere l’opportunità per migliorarci, a patto di guardare con

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serietà e spirito critico quello che è emerso in questi mesi e usarlo come opportunità di mettere mano a certe pratiche che

davamo per scontate. È l’occasione per andare oltre il “si è sempre fatto così”, grande mantra che pronunciamo e pratichiamo nei nostri oratori. Perché, se è vero che abbiamo sempre fatto così, non è detto che questo sia sempre stato un bene. La ripresa di settembre ha spesso seguito i vecchi schemi mentali prima ancora che pratici. Le narrazioni, all’interno degli oratori, sono tornate a essere quelle di un tempo: «Chissà quando torneremo a fare grandi feste» e magari ad avere un oratorio estivo pieno di ragazzi. «Perché alla fine quello che abbiamo fatto quest’estate non è stato un vero oratorio estivo!».

Forse dovremmo iniziare a chiederci seriamente cosa rimane di un’esperienza con 300 o più iscritti in chi la frequenta. Come viene garantita e tutelata la cura e l’attenzione educativa verso bambini e animatori? E verso le loro famiglie?

Dobbiamo accettare di fare la fatica di mettere in discussione ciò che è stato finora, non perché ci viene imposto dalle autorità civili, ma per accogliere, ogni giorno, ciò che sarà.

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Siamo in bilico, tra l’eredità del passato e l’eredità che lasceremo in futuro. Perché l’eredità è sia qualcosa che abbiamo ricevuto sia qualcosa che noi lasciamo. In questo momento siamo concentrati sul passato che stiamo perdendo o abbiamo perso a causa del COVID-19 (l’oratorio estivo senza vincoli numerici, i cortili aperti, la libera frequentazione). Ma forse conviene concentrarsi su cosa vogliamo lasciare di questa esperienza. Tra dieci anni che cosa rimarrà? Perché qualcosa lasceremo senz’altro. E le nuove generazioni ci chiederanno conto. Quale aurora attende quindi i nostri oratori? Starà un po’ a noi in base a quello che vivremo da qui ai prossimi mesi. Ma molto dipenderà dalla capacità di fare tesoro di questi mesi difficili e di quello che ci hanno insegnato.

Provare a cambiare quindi, tenendo davanti ai nostri occhi, nella testa e nel cuore, le stelle che abbiamo osservato nelle ore più buie. Senza dimenticarci del desiderio che ci guida, ma facendoci illuminare il cammino anche nei momenti più difficili.

Un oratorio che assolve al suo ruolo di avamposto educativo, di un territorio e di una comunità, scruta l’orizzonte cercando i segni del giorno nuovo. E, dopo averli visti, li indica con coraggio a chi domanda: «Cosa possiamo fare ora?». Per vivere il giorno nuovo non solo come una ripetizione di quello che è stato. Vivranno allora un giorno nuovo quegli oratori che sapranno andare davvero oltre la logica dei numeri. Una terminologia che utilizziamo oggi più che altro per giustificare il fatto che dopo una certa età, tendenzialmente la terza media, in oratorio non vediamo più molti ragazzi. Per uscire davvero dalla logica dei numeri dobbiamo semplicemente non rendere più conto del numero di coloro che aderiscono alle nostre proposte, utilizzandolo come elemento di valutazione. E concentrarci sui nomi, sui volti, sulle storie di chi varca il cancello dei nostri oratori.

Lavorando sull’attenzione al singolo, sia esso un bambino, adolescente, giovane, adulto, genitore, volontario. Mettendo al centro la persona e la sua storia e non le nostre idee e teo-

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rie:è solo così che potremo incarnare 5 una proposta educativa capace di incidere nella vita delle persone invece di chiedere a quelle stesse persone di adattarsi alle nostre proposte. Che è poi il motivo per cui i nostri oratori sono vuoti. Vivranno un giorno nuovo quegli oratori che sapranno fare rete, al proprio interno come all’esterno. Tra le diverse equipe educative e i diversi gruppi di interesse. Con gli oratori vicini. Ma anche con altre realtà educative del territorio: scuole, società sportive, associazioni. L’attitudine a lavorare in rete, con altri, dovrà esse-

re una competenza chiave per il rilancioeducativo degli oratori.

«Ogni cambiamento, però, ha bisogno di un cammino educativo che coinvolga tutti. Per questo è necessario costruire un “villaggio dell’educazione” dove, nella diversità, si condivida l’impegno di generare una rete di relazioni umane e aperte. Un proverbio africano dice che “per educare un bambino serve un intero villaggio”. Ma dobbiamo costruirlo, questo villaggio, come condizione per educare».6 Questo sarà possibile solo lavorando sulla formazione, la su-

pervisione e l’accompagnamento delle equipe educative, che

sono l’ossatura su cui si regge ogni oratorio. E da cui dipende (anche in questo i mesi di lockdown sono stati rivelatori) il futuro di ogni realtà. Ma una comunità educante non si improvvisa da un giorno con l’altro. Occorre tempo per formarla e per farle prendere coscienza del proprio ruolo. Allestendo spazi di senso e riflessione, investendo tempo, energie e risorse economiche. Ma da questo dobbiamo partire per darci una prospettiva di lunga durata, una progettualità che sappia guardare lontano, oltre la staticità di questo momento e di quelli che verranno: donando un cuore pulsante e una testa pensante ai nostri oratori. Solo a quel punto, forse, la notte sarà davvero finita.

5 Per approfondire il tema dell’incarnazione nelle pratiche educative pastorali rimandiamo alla riflessione sviluppata da Chiara Scardicchio nel testo Dell’amore e del merito. Grovigli e sgrovigli dell’educatore pastorale, La Meridiana, Bari 6 Papa Francesco, Messaggio del Santo Padre per il lancio del Patto Educativo

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