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Crepuscolo

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Aurora

Aurora

E così, il 21 febbraio 2020, mentre in Diocesi a Milano si celebrava il Primo Convegno Diocesano sull’educatore retribuito in oratorio, abbiamo scoperto che a Codogno era stato individuato il primo caso italiano di paziente positivo al COVID-19. I giorni successivi tutte le sfilate previste durante il weekend per il Carnevale sono state sospese, le scuole e gli oratori chiusi nella speranza che si trattasse di una situazione temporanea. Ma, quando si è capito che non sarebbe stato così, che la situazione sarebbe andata avanti per un bel po’, cosa abbiamo fatto? L’impatto della pandemia non è stato vissuto in maniera omogenea: ogni realtà ha reagito in maniera diversa, decidendo cosa fare, come riorganizzarsi. Alcuni sono rimasti paralizzati. Altri si sono reinventati. Come hanno fatto? Dove hanno trovato energia e intelligenza per riuscire a “esserci”, comunque? Sono

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riusciti a reinventarsi quegli oratori che hanno ritenuto fondamentale nella propria mission lo stare accanto ai ragazzi e accompagnarli nel loro percorso di crescita.

Parafrasando l’espressione1 che Alessandro D’Avenia ha utilizzato in un suo articolo per il Corriere della Sera, nel marzo del 2020 l’oratorio c’era ancora? Sì, l’oratorio c’era. O, per lo meno c’è stato, laddove, anche prima della chiusura forzata del luogo fisico, l’oratorio era qualcosa di più delle mura che lo definivano. L’o-

ratorio è rimasto aperto solo dove “oratorio” è il nome che

diamo alla relazione che sopravvive alla chiusura dell’edificio. Altrimenti, aperto, un oratorio, non lo è mai. Chi questa relazione la viveva, là dove l’attenzione al singolo ragazzo era reale e non solo dichiarata, ci si è inventati modalità di stare vicino ai ragazzi. Chi guardava all’oratorio come un luogo dove i ragazzi si reca-

1 Alessandro D’Avenia, Scuole Chiuse, Corriere della sera, 23 marzo 2020

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vano e lì apprendevano uno stile educativo è rimasto fermo, immobile, aspettando che tutto passasse e che si potesse tornare a fare le cose come se nulla fosse accaduto. Ma chi propendeva per questa seconda ipotesi, nulla più dei mesi primaverili ha fatto vedere quanto quella visione fosse limitata e soprattutto limitante. Perché la contrapposizione non era tra incontri su Zoom o incontri in presenza, ma tra incontri su Zoom… e niente. E per molti oratori “niente” è stata la parola che ha descritto i mesi di lockdown e in alcuni casi anche i mesi estivi. Il re era nudo e questa volta lo era completamente, non c’era

niente dietro a cui nascondersi. Non c’erano i numeri degli oratori estivi, le feste dell’oratorio con i cortili pieni di persone.

Tuttavia, il provare a inventare nuove modalità di stare vicino ai ragazzi qualcosa ha prodotto, per lo meno in chi si è messo in gioco. Le prime settimane di marzo, da questo punto di vista, sono state un momento di grande creatività: proposte per passare bene il tempo in casa, incontri online di gruppo e videochiamate individuali per affrontare insieme il momento difficile, una grande adrenalina ha percorso tanti oratori e gruppi di educatori. È stato un continuo incontrarsi e ri-incontrarsi (online) per elaborare proposte da lanciare a ragazzi e adolescenti.

Abbiamo scoperto che potevamo portare l’oratorio “fuori”. Di-

rettamente nelle case dei ragazzi. Che è stata un po’ come la scoperta dell’acqua calda. Ma l’abbiamo scoperto in virtù della costrizione a portar fuori ciò che è sempre stato dentro. Abbiamo avuto bisogno di una pandemia per fare quello che ripetiamo continuamente: portare fuori l’oratorio. E così ne abbiamo inventate di ogni per farci prossimi ai ragazzi e alle loro famiglie. Per non lasciarli soli. Il tutto, però, non senza una certa ritrosia da parte di alcuni, sia volontari che responsabili, anche tra più giovani: «Perché dobbiamo vederci online con i ragazzi per giocare? Noi facciamo un’altra cosa...» oppure: «Già è difficile sentire un ragazzo in presenza, figurati con una videochiamata!» e infine: «I ragazzi non sono interessati all’incontro online». Come se fosse possibile incontrare i ragazzi ed educare solo all’interno delle mura dell’oratorio e in occasione di incontri prefissati, come l’ora di catechismo.

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Incontro = oratorio. Perché è questa l’equazione che abbiamo radicata dentro di noi.

Le domande e le obiezioni sopra esposte mettevano in luce una parte di realtà, ma non andavano al cuore della questione educativa. È riuscito a riadattarsi a questa situazione chi ha tenuto vive le domande di senso: Come stanno i ragazzi? Come possiamo stare loro vicino? Mi stanno a cuore? Cosa possiamo e possono apprendere da questa esperienza? Come rendere questo momento educativo per noi e per loro? In questo i mesi di lockdown sono stati davvero esplicativi della sensibilità educativa degli oratori. In molti casi la comunità

educante ha avuto bisogno di essere sostenuta e orientata, sul perché avesse senso seguire i ragazzi anche online. In molti altri si è completamente eclissata, in attesa di giorni migliori. Chi ha agito così ha creduto di poter “mettere in pausa” l’educazione. Ma l’educazione, come la vita, non si può mettere in pausa. L’educazione, come la vita, continua.

Durante il lockdown, i nostri oratori avevano disperato bisogno di giovani e adulti, sacerdoti e laici, religiose e consacrate, educatori professionisti e volontari, in grado di rispondere Presente! al bisogno dei ragazzi e delle famiglie di essere accompagnati proprio in quelle settimane difficili. Di una comunità educante che fosse davvero tale. Una comunità non dipendente esclusivamente dall’iniziativa del singolo (sacerdote, consacrata, educatore), ma espressione di diverse figure. La sconfitta più grande per gli oratori non è stata la scarsa presenza online di ragazzi e ragazze, ma l’assenza di chi ha scelto di farsi da parte, nascondendosi a volte dietro le fatiche tecnologiche, a volte dietro la necessità di fare silenzio e pregare, a volte dietro l’impossibilità del raggiungere fisicamente i ragazzi. E allora per alcuni è stato preferibile non fare nulla. Per quegli oratori il cancello chiuso ha significato davvero la chiusura dell’oratorio in quanto tale: con la totale (o quasi) assenza di proposte rivolte ai ragazzi. Per quegli oratori la notte fonda è arrivata prima, e purtroppo spesso è finita dopo. Ma, per tutti, c’è stato un momento più buio di altri.

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