PIANETA QUATTRO ZAMPE
Dalla parte delle api (e dell’intero pianeta)
Il Dobermann oltre i falsi miti
In passato facevo il gatto da guardia
Conversazione con Francesco Panella, presidente dell’Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani.
Guidati dall’allevatore Stefano Sardelli, andiamo a vedere quali sono le reali caratteristiche di questa razza.
Viaggio nel mondo dei gatti Siberiani. Dove anche chi è allergico può trovare il proprio felino ideale.
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Foto di Silvia Pampallona
02 DICEMBRE 2014
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Editoriale Il confronto tra visioni differenti è quella scintilla da cui può scaturire una conoscenza più estesa del reale, una condivisione più profonda, una maggiore lucidità nell’osservare il mondo che ci circonda. In una parola, il confronto rappresenta la base per l’evoluzione. A questo principio, non sfugge il meraviglioso mondo degli animali domestici. Anche al suo interno, infatti, assistiamo ad un fiorire di esperienze diverse e di modi di amare queste creature che sembrano, a volte, molto distanti. La storia di chi lavora duramente per proteggere i cani randagi da una morte certa è diversa da quella di coloro che, per esempio, scelgono di dedicarsi ad un’unica razza e allevarla selezionando gli esemplari più sani. Tuttavia, siamo convinti che il denominatore comune sia sempre lo stesso: l’empatia profonda che sperimentiamo di fronte agli animali e la passione che scegliamo di seguire nel dedicarci a loro. Le vie per fare questo possono essere numerose quanto i fili della prateria, possono sembrare in contraddizione l’una con l’altra, eppure è solamente conoscendosi e confrontandosi che riusciranno, nel tempo, a scambiarsi le conoscenze e le competenze che ciascuna ha conquistato.
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È per questa ragione che Pianeta Quattro Zampe ha scelto di dare voce a tutte le realtà che hanno a che fare con gli amici a quattro zampe: dagli asili alle associazioni che combattono per i diritti, dagli allevamenti specializzati ai locali che accolgono al loro interno cani e gatti, fino ad arrivare a chi si impegna per cause legate alla biodiversità. Così, in questo numero, ci occuperemo dell’aumento di mortalità delle api, scopriremo perché sono preziose e cosa si sta facendo per salvarle. Scopriremo poi nuove razze, dal gatto Norvegese a quello Siberiano, dal Collie al Dobermann. Indagheremo sulla situazione penosa dei randagi romeni, individuando coloro che si stanno occupando con serietà del problema. Ascolteremo poi una fiaba meravigliosa, basata su una storia vera: quella dell’oca che ha riacquistato il suo becco grazie ad una protesi. Queste e tante altre storie animano le nostre pagine questo mese, in piena sintonia col nostro spirito: condividere tutto ciò che viene da esperienze che testimoniano l’amore dell’essere umano per gli animali.
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In questo numero 2
Rubrica Appuntamenti
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Dalla parte delle api (e dell’intero pianeta) Il legame tra la morte delle api, gli insetticidi neonicotinoidi e l’abbandono delle più elementari regole della scienza agronomica. Conversazione con Francesco Panella, presidente dell’Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani.
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Se Lassie prende la metropolitana. Il Pastore Scozzese a pelo lungo tra passato e presente
Alla scoperta del Collie moderno assieme a Davide Lassini, allevatore professionista.
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Il Dobermann oltre i falsi miti
Guidati dall’allevatore Stefano Sardelli, andiamo a vedere quali sono le reali caratteristiche di questa razza. Al di là di tutti i luoghi comuni.
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Ti regalo i miei occhi
Viaggio nel centro di addestramento cani guida dei Lions.
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Non dimenticare Fido a casa
La filosofia dell’One Akita Bar. Quando il cane è assai gradito.
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I gatti del profondo Nord
Con l’allevatrice Francesca Piva alla scoperta del gatto Norvegese delle Foreste.
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In passato facevo il gatto da guardia Viaggio nel mondo dei gatti Siberiani. Dove anche chi è allergico può trovare il proprio felino ideale.
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L’Aristide Hotel
L’accogliente albergo parigino riservato ai gatti.
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Romania, quanta strada da fare
Un esercito di cani randagi da salvare, una legge che li condanna alla soppressione, la speranza di una nuova sensibilità in crescita.
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INFO
info@enci.it
sede@anfitalia.it
Ente Nazionale della Cinofilia Italiana
Associazione Nazionale Felina Italiana
ESPOSIZIONI CANINE
ESPOSIZIONI FELINE
7.12
Verona - esposizione internazionale
6/7.12
8.12
Asti - esposizione internazionale
13/14.12
Erba (co) - esposizione internazionale
20.12 6.12
6/7.12
Roma - esposizione internazionale
Verona - esposizione internazionale
20/21.12
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Mostra Felina Fortezza Da Basso (FI) Info: Spadafora Francesco 3393808830 Email : photos.fi@libero.it AGI - Associazione gatti d’Italia Serravalle (repubblica San Marino) Esposizione internazionale felina di Bari Palaflorio Bari - Club 94 Tel. 3803045464
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Dalla parte delle api (e dell’intero pianeta)
Dalla parte delle api (e dell’intero pianeta) Il legame tra la morte delle api, gli insetticidi neonicotinoidi e l’abbandono delle più elementari regole della scienza agronomica. Conversazione con Francesco Panella, presidente dell’Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani. Sara Chessa
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Api, una parte importante di quello che, secondo il nostro intervistato, potrebbe essere chiamato “piccolo volontariato del vivente”. Non è certo un’espressione esagerata, se si considera che l’80% delle specie vegetali si riproduce grazie all’impollinazione degli insetti, ovvero quel processo attraverso cui il polline “viaggia” dagli organi maschili delle piante a quelli femminili. Facile dunque intuire il legame tra api e biodiversità: se l’utilizzo di insetticidi neonicotinoidi in agricoltura determina la decimazione di questo esercito di volontari alati, andiamo verso la compromissione delle basi stesse dell’affascinante varietà di forme in cui la vita si esprime. L’intuizione, però, non basta. È necessario che gli studi scientifici contribuiscano a diffondere una più chiara la visione del problema. In altre parole, a rendere l’opinione pubblica consapevole del rischio che si corre con la progressiva riduzione della popolazione delle api. Impresa difficile, in un mondo in cui è considerato ancora normale che siano spesso le stesse industrie chimiche a commissionare ricerche sugli antiparassitari che producono e che hanno tutto l’interesse a tenere in commercio. Se le api continueranno a diminuire di numero, chi impollinerà quel 70% di piante che rientra sotto la loro competenza? Quanta varietà di forme di vita vegetali verrà cancellata? Se qualcuno inizia a porsi queste domande, significa che, nonostante tutto, la speranza di arrivare a un approccio diverso esiste ancora. Ne abbiamo parlato con Francesco Panella, presidente Unaapi, apicoltore e testimone diretto del tragico aumento di mortalità delle api. «È qualcosa che mi ha cambiato la vita», ci dice. E aggiunge: «Quando ho visto attorno a me 5
una morte crescente, nel mestiere che facevo, vicino a me, ho rischiato di sballare. “Siamo impotenti”, mi sono detto. Tuttavia, la nostra associazione – una piccola realtà – si è battuta per far circolare le informazioni scientifiche sul fenomeno, in modo che non ci sia soltanto la voce di chi è interessato a vendere nel settore della chimica».
Le api e il club degli invertebrati. Al servizio della vita Se l’impennata verso l’alto della percentuale di mortalità delle api ricorre assai spesso nelle 6
cronache degli ultimi anni, viene da chiedersi se sia davvero recente o se invece la si riscontrasse anche in passato. «È recente e ha dimensioni mondiali», afferma Panella. E spiega: «Diventa notevole dagli anni Novanta, a partire dai quali aumenta l’impronta lasciata dall’uomo nel coltivare, con sostanze che hanno un’efficacia moltiplicata rispetto al passato. La mortalità delle api, legata a questi composti chimici, è un problema che, a sua volta, è parte e termometro di un fenomeno più ampio, ovvero riguarda quella che chiamiamo “biodiversità”», spiega Panella. L’immagine mentale che questo argomento suPIANETA QUATTRO ZAMPE
scita, tuttavia, non ha di solito a che fare con gli invertebrati. «Noi tendiamo a vedere il problema del rischio di estinzione del panda, tendiamo cioè a vedere ciò che è grosso ed evidente, perché siamo di solito un po’ “grossolani”, tuttavia i vertebrati rappresentano una minoranza, nel campo delle specie viventi. Circa il 90% delle specie in cui si differenzia la vita sul pianeta fanno parte dell’insieme degli invertebrati. Questi ultimi stanno vivendo un drammatico declino, un declino che non può non trascinare con sé il resto del ciclo naturale», afferma ancora il presidente Unaapi. Ciò che si PIANETA QUATTRO ZAMPE
ignora è che si tratta di un anello fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio di un ecosistema. «Se tu, uccidendo i vermi dannosi con metodi chimici, hai fatto fuori anche i lombrichi, hai posto le condizioni perché quella terra, l’anno seguente, sia meno fertile. Senza di loro, il terreno si compatta», commenta Panella. Poi, tornando alle api, le definisce come “un’agenzia ambientale eccezionale”: «In un chilo di miele ci sono dai 100 ai 150 mila chilometri di volo, quindi 150 mila chilometri di microprelievi di polline su un’area pari a quella di 4000 campi da calcio», spiega. 7
Dalla parte delle api (e dell’intero pianeta)
Api e neonicotinoidi La tossicità sulle api di un grammo di neonicotinoidi è pari a quella di 7 chili e 300 grammi di DDT. In altre parole, un grammo di neonicotinoide è una bomba atomica. Ed è una bomba atomica che, come il DDT, persiste. «È sufficiente che non venga esposto ai raggi solari, perché duri nel terreno per anni», spiega Panella. «Infatti», continua, «l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) registra un forte peggioramento della qualità delle acque: oltre il 50% delle fonti d’acqua di superficie 8
sono non potabili e in una buona percentuale sono velenose». E quando si dice “velenose” si intende che nessuna forma vivente potrebbe sopravvivere, se vi dovesse entrare in contatto. Tutto questo a causa dell’accumulo di sostanze chimiche. E quali sono gli effetti sulle api? Secondo una ricerca dello scienziato statunitense Jeffrey Pettis, a contatto con questi pesticidi, le api vedono un brusco calo delle difese immunitarie, in quanto è proprio il sistema che fa capo a queste ultime a subire l’attacco dei veleni. Intanto, come in tutti i casi riguardanti emergenze di tipo ambientale, dalla diossina agli efPIANETA QUATTRO ZAMPE
Dalla parte delle api (e dell’intero pianeta)
fetti del fumo, chi appoggia gli interessi dei colossi della chimica risponde a studi come quello di Pettis facendo riferimento a tutte le possibili concause che potrebbero essere legate alla morte delle api. Vengono cioè chiamate in causa patologie e altri fattori esterni che potrebbero “scagionare” il proprio prodotto dalle accuse che le ricerche scientifiche indipendenti rivolgono. Secondo Francesco Panella, col tempo, la questione delle api è stata posta cercando di disconnetterla dal fatto che nelle campagne non ci sono più passeri, raganelle, allodole, pipistrelli. Si tratta invece di fenomeni strettamente PIANETA QUATTRO ZAMPE
interconnessi. «Il dato di fato è che oggi le api vivono meglio a Milano che nei campi intorno», spiega. Poi va dritto al nocciolo della questione. «Il mio mestiere è fare l’apicoltore in una zona di vigneto, con la sfortuna che si tratti di un vigneto di qualità, un vigneto che ha un mercato, dunque ciò che conta è produrre sempre di più», dice. E sottolinea: «Quello che sta dominando è il “metodo Ilva”: di fronte ai veleni prodotti, l’atteggiamento delle grandi case produttrici è di indifferenza. Oppure, addirittura, la preoccupazione è quella di nascondere sotto il tappeto tutte le conseguenze negative di quanto si fa». 9
Dalla parte delle api (e dell’intero pianeta)
Api, studi scientifici e istituzioni
Istituzioni e agricoltura intensiva
«Le aziende produttrici hanno, anche all’interno della crisi economica, fatturati e dividendi che sono di tutto rispetto. Quelli che stanno male sono i miei colleghi contadini, perché sono l’ultima ruota del carro», racconta il presidente Unaapi. «E, riguardo alle evidenze scientifiche, sono talmente eclatanti che persino i poteri pubblici hanno dovuto cominciare a prenderne atto», rivela Francesco Panella. Quando gli chiediamo in che modo questo stia avvenendo, ci parla di un obiettivo importante raggiunto dall’associazione che presiede. «In Italia siamo riusciti a ottenere la sospensione dell’uso di questi insetticidi sul mais nel 2008. Questa sospensione è stata prorogata all’italiana per sei mesi per molte volte, fino a che nella primavera 2013 siamo arrivati a un primo fatto eclatante: la sospensione europea dell’uso delle molecole insetticide più utilizzate al mondo. Sono state sospese per due anni su una parte degli utilizzi, questo anche grazie alle correlazioni individuate dagli studi scientifici». E, a sorpresa, tra le ricerche che hanno contribuito a questo risultato, troviamo anche uno studio italiano. Il nostro Ministero dell’Agricoltura ha infatti finanziato un programma di ricerca indipendente – detto ApeNet – che ha studiato nel contempo i pregi dei neonicotinoidi per il mais e gli effetti della loro somministrazione. Se per la prima volta si è giunti ad una sospensione, è anche grazie a questi lavori.
Il forte impatto delle colture di mais – tra quelle che più utilizzano i neonicotinoidi sotto accusa per la morte delle api – ha a che vedere con l’oblio di alcuni principi basilari della scienza agronomica. In particolare, con una prescrizione basilare di questa disciplina: l’alternanza delle colture. «Una regola scientifica, che viene contraddetta da comportamenti che puntano alla produttività immediata», interviene ancora Panella. E aggiunge: «C’è un errore primordiale, ossia quello di considerare la produzione agricola affine alla produzione industriale. E, in virtù di questo, pensare che si possa mantenere come unico obiettivo un aumento sempre maggiore della produzione. Tuttavia, fare agricoltura significa avere a che fare con la natura». Quando Panella parla di “natura”, immaginiamo che non si riferisca semplicemente all’avere a che fare col meteo. Ciò che intende ha piuttosto a che vedere con un concetto più completo di equilibrio tra attività umane ed ecosistema naturale. «Si tratta di alternare le colture che fissano azoto e quelle che lo tolgono, si tratta di non rinnovare sempre le stesse coltivazioni sullo stesso terreno, perché altrimenti si finisce con l’allevare i parassiti di queste ultime. Si tratta, insomma, di ricominciare a seguire i punti di riferimento agronomici che da pochi secoli a questa parte hanno permesso di fare un salto in avanti in agricoltura», spiega. E poi fa riferimento ad alcune zone del paese in cui la monocoltura del mais ha preso il sopravvento da decenni. «Vi sono,
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in Lombardia, intere province, come Cremona e Lodi, in cui la produzione agricola si riduce a un mare di mais, coltivato sempre negli stessi spazi». Di fronte a questa osservazione, viene spontaneo domandarsi che ruolo giochino le istituzioni locali. «La Regione Lombardia ha la possibilità di avvalersi di funzionari che, quanto a preparazione e capacità, fanno parte delle eccellenze espresse dall’amministrazione italiana», spiega Panella. «Tuttavia, non è dalla direzione amministrativa che dipende la scelta di dare appoggio indiscriminato all’agricoltura intensiva: sono piuttosto i vertici politici degli ultimi vent’anni ad aver fatto questa scelta». Parole forti, quelle del presidente Unaapi. Parole di chi ha vissuto e vive da vicino il dramma della morte delle api e che, tuttavia, esprime oggi speranza verso la possibilità di un “cambio di rotta”.
La strada suggerita dalle api
nella ci crede. Ricorda per esempio che, quaranta anni fa, l’energia nucleare era vista come unica chance possibile, mentre oggi un paese come la Germania programma di utilizzare entro il 2050 solamente fonti rinnovabili. Altri problemi ambientali continuano a esistere, tuttavia qualcosa, secondo Panella, sta cambiando. Anzi, ritiene che vi sia un un motivo in più per gioire: il fatto che la conquista del 2013, ovvero la sospensione dell’utilizzo dei neonicotinoidi su una parte delle colture, sia stata motivata a livello istituzionale facendo riferimento non semplicemente alla salute dell’essere umano, ma alla protezione dell’ambiente. Per una volta, insomma, mettiamo al centro «la natura e non il nostro ombelico», come dice scherzosamente il nostro intervistato. E non nasconde l’auspicio che questo sia un timido segnale di un fenomeno più ampio: il lungo cammino verso una visione in cui l’essere umano non è più il centro dell’universo.
«Abbiamo costituito un’associazione europea e stiamo cercando, a Bruxelles, di essere cassa di risonanza della cosa più importante di tutte: la conoscenza», ci dice Francesco Panella a proposito degli obiettivi futuri dell’Unaapi. E continua: «Come le dicevo all’inizio, puntiamo a mettere in circolo le informazioni scientifiche serie e a far sì che non siano solamente gli interessi economici a farla da padroni. Ciò che è accaduto alle api è per noi un termometro: dobbiamo apprendere a leggerne i segnali». La speranza è quella di un cambio di approccio complessivo e, oggi, Francesco Pa12
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Se Lassie prende la metropolitana
Se Lassie prende la metropolitana. Il Pastore Scozzese a pelo lungo tra passato e presente Alla scoperta del Collie moderno assieme a Davide Lassini, allevatore professionista. La vita del cane pastore di un tempo e la vita di oggi, le selezioni che l’hanno reso meno imponente e il carattere dolce che non è mai cambiato. Sara Chessa
Un tempo, il fiore all’occhiello del suo curriculum era l’esperienza come abile pastore. E anche la sua “stazza” lo diceva: più imponente rispetto alla media degli esemplari odierni, facevi fatica a immaginare che avrebbe potuto vivere in appartamento senza troppa nostalgia per i verdi pascoli. Oggi, se il Collie si recasse a un colloquio di lavoro, cercherebbe forse di spiazzare l’addetto alla ricerca del personale con un 16
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Dalla parte delle api (e dell’intero pianeta)
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ventaglio assai più variegato di competenze: “Sono un animatore provetto, nessuno è più bravo di me a giocare coi bambini di casa. Senza contare che ho esperienza anche come addetto alla sicurezza, la sfido a trovare qualcuno che protegga la casa meglio di me, in assenza della famiglia. Ah, dimenticavo… Ci so fare anche con gli anziani: con me non si sentono mai soli”. Sì, proprio così: Lassie ha cambiato lavoro, ma è cambiata anche la sua presenza scenica: i Collie più diffusi oggi, appena meno lunghi e un filino meno alti, sono frutto delle selezioni seguite negli anni dalla maggior parte degli allevamenti professionali, che tutto hanno puntato sulla possibilità di favorire l’affermarsi di uno “standard” che rendesse questi cani adatti alla vita in appartamento. Questo ha fatto la felicità di molti bambini di città, che avranno forse faticato meno per convincere i genitori ad adottare 18
un cucciolo di questo affascinante animale. Di sicuro, la strada seguita dagli allevatori avrà suscitato anche qualche critica: si sa che non tutti sono intrigati dal discorso della selezione di caratteri operata in allevamento. Del resto, il mondo è bello proprio perché esiste varietà di punti di vista. Tuttavia, anche chi ha un punto di vista differente rispetto a chi alleva per professione, può stare tranquillo: il carattere del Collie è rimasto quello adorabile che i tanti affezionati del telefilm “Lassie” ricorderanno. Dolce, mite, giocoso e perspicace: è sempre lui.
Una vita tra i Collie Quando abbiamo chiesto a Davide Lassini come mai avesse scelto di allevare questa razza, ci aspettavamo una risposta tra il nostalgico e il romantico, del PIANETA QUATTRO ZAMPE
tipo: “da bambino mi incantavano le avventure di Lassie”. Niente di tutto questo. A spiegarci il perché della scelta di Davide è invece il microclima cinofilo che respira fin da bambino: nato in una famiglia in cui i Collie erano già “di casa”, ha la fortuna di riceverne uno in regalo. Non solo: i Collie lo aspettano fuori casa. Durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, infatti, uno dei luoghi che più ama frequentare è un rinomato allevamento di Collie che si trova proprio nella sua città, a Cuggiono. Obiettivo, conoscere meglio la razza. Così, inizia a frequentare le esposizioni, ma non gli basta: siamo nell’Italia degli anni Ottanta, in cui ancora non esistono scuole specifiche per allevatori cinofili. Così, appena può, decide di muoversi verso l’Inghilterra, deciso a familiarizzare con le linee di sangue, apprendere le tecniche di allevamento e la prassi quotidiana che le caratterizza. Al termine di PIANETA QUATTRO ZAMPE
questo percorso Davide ha le idee chiare: punta sulle linee di sangue inglesi e si mette alla ricerca di cani esenti da malattie genetiche ereditarie. A vent’anni, nel 1993, ottiene l’affisso ENCI, Ente Nazionale della Cinofilia Italiana: più che un punto di arrivo, per Davide è un nuovo punto di partenza. Il lavoro di studio e selezione continua negli anni e diventa una scelta di vita.
Davide Lassini e il “Collie moderno” Robusto e forte nel presente come nel passato, il Collie attuale nasce dal lavoro di selezione effettuato dagli allevamenti professionali negli ultimi venticinque anni. Un percorso lungo, in cui ad essere favoriti sono stati, secondo quanto ci racconta Davide Lassini, gli incroci che promettevano di portare a esem19
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plari di dimensioni di poco inferiori a quelle del Collie che eravamo abituati a vedere qualche decennio fa. «Al giorno d’oggi, la maggior parte delle persone vivono in appartamento, sono relativamente pochi coloro che possono disporre di un grande giardino, così la selezione che gli allevamenti effettuano si è orientata sempre di più verso un ridimensionamento della razza», afferma Lassini. E aggiunge: «Trenta anni fa, i Collie più diffusi erano cani di grossa taglia non facilmente gestibili in appartamento. Col tempo, si è andati verso quello che io definisco “Collie moderno”, leggermente ridimensionato in lunghezza e altezza». Certo, esiste ancora chi predilige il Collie “old style”. Tuttavia, Lassini non ha dubbi sul fatto che questo progressivo cambiamento abbia agevolato non solamente chi accoglie il cane in casa, ma anche l’animale stesso. «In una città come Milano», sostiene, «un cane di grossa taglia, come potrebbe 20
essere un Pastore Tedesco, vive male. Immaginiamo un Collie che abbia la stessa “stazza”: a Milano, in un parchetto, sarebbe sacrificato. Per questo alleviamo linee di sangue inglesi: non hanno bisogno di spazi immensi e in città sono l’ideale».
Le misure del Collie Caratterizzati da un’altezza media di 55-60 cm per i maschi e 50-54 cm per le femmine, i pastori scozzesi a pelo lungo arrivano a pesare tra 22 e 32 chilogrammi. Tendendo ad assimilare poco il cibo, gli esemplari di questa razza difficilmente aumentano di peso. A colpire, oltre al fascino del suo portamento nobile, è subito il mantello, con il collare ampio che lo caratterizza e le sfumature del colore che possono assumere tutte le gradazioni del fulvo oppure attestarsi sul fulvo-nero-bianco e sul PIANETA QUATTRO ZAMPE
Se Lassie prende la metropolitana
blue merle. Come Davide Lassini ci spiega, il pelo è costituito da tre differenti strati. In primo luogo, una sorta di “ragnatela” che funziona da seconda pelle, isolando l’animale dal caldo e dal freddo. In secondo luogo, un sottopelo stagionale che viene perso quando il clima si fa più caldo. Infine, una copertura esterna che non viene mai cambiata, fatta di peli fitti e ruvidi al tatto, che si fanno più corti solamente nella zona del muso, del cranio e sulla parte finale dell’orecchio. Proprio l’orecchio, colpisce per le dimensioni piccolissime. Inserito al centro della testa, si piega per un terzo in avanti. E proprio mentre parliamo del “look” del Pastore Scozzese attuale, Davide Lassini ci illumina su un’altra caratteristica “cercata” negli anni dagli allevatori
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col loro processo di selezione. Si tratta dell’aspetto del muso e della canna nasale. «Nello standard di oggi, non c’è più il lungo muso che dominava un tempo, la canna nasale è meno lunga rispetto a quella del Lassie di una volta e la base cranica deve essere maggiormente larga, piatta con uno stop al centro degli occhi per poter conferire una sorta di dolcezza all’espressione del cane». Certo, come si legge sul sito internet della Società italiana Collies, lo standard non dice che non si possano allevare soggetti con caratteristiche differenti o che soggetti non rientranti in queste specifiche non possano avere un pedigree. Tuttavia, sono queste le linee guida seguite dagli allevatori professionisti che fanno capo alla società stessa.
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Il Collie dal veterinario Le principali patologie che possono riguardare il Collie interessano l’anca e gli occhi. Nel primo caso, si tratta in particolare della displasia dell’anca. Non molto frequente ai giorni nostri, lo è stata invece in passato. Nel secondo caso, il problema più grave è rappresentato dalla CEA, la Collie Eye Anomaly. Come si intuisce dal nome, si tratta di una vera e propria patologia di razza. Chiamata in linguaggio tecnico anche ipoplasia della coroide (CH), è una malattia ereditaria degli occhi che causa lo sviluppo abnorme della coroide, uno strato di tessuto posto sotto la retina. Al momento, non esistono trattamenti per la CEA. Esiste tuttavia almeno la consolazione di sapere che difficilmente al giorno d’oggi il cane smette di vedere completamente. «La selezione operata negli allevamenti privilegiando esemplari non portatori ha 22
permesso di far regredire la malattia», spiega Lassini. «Andando avanti negli anni regredirà, grazie al controllo odierno degli accoppiamenti. Essendo un gene legato alla razza e ben radicato nel suo DNA, escluderei che si possa arrivare ad una esenzione totale dalla malattia. Tuttavia potrei dire, come allevatore, che, tenendo conto degli studi compiuti fino a questo momento, il livello di gravità si attesterà sul primo grado o al massimo sul secondo, mentre attualmente si vedono patologie più gravi, classificate come terzo e quarto grado». Il rischio, secondo Lassini, sta nella possibilità che il movimento di molti allevatori verso altri paesi, alla ricerca di linee di sangue differenti, complichi il problema. Se è vero che in Italia si è ormai affermata in larga misura la prassi del testare i cani prima di procedere agli accoppiamenti, esistono invece paesi in cui tale prassi non viene seguita o gli allevatori sono meno rigorosi. Come spesso accade, PIANETA QUATTRO ZAMPE
Per saperne di più.. Nome: Origine : Carattere: Caratteristiche: Testa: Tartufo: Orecchie: Coda:
Collie (Pastore Scozzese a Pelo Lungo) Gran Bretagna tranquillo ed intelligente - ottimo come cane da guardia peso: maschi da 20,5 a 29.5 Kg - femmine: da 18 a 25 Kg altezza: maschi 55-60 cm - femmine 50-54 cm piatta in mezzo alle orecchie muso allungato verso il naso nero minuscole portate all’indietro con punta incurvata in avanti lunga
la globalizzazione presenta aspetti positivi e negativi. E dato che, ormai, il raggio di azione degli allevatori diventa piuttosto lungo, non resta che sperare che i paesi più all’avanguardia si affermino come esempio.
L’indole del Collie «Poche razze presentano l’equilibrio del Collie», a ritenerlo è sempre Lassini, che ci rivela di gestire anche una pensione per amici a quattro zampe, in cui negli anni ha visto passare cani di ogni tipo. «La sua intelligenza è tale che, in genere, consiglio di non portarlo neppure da un addestratore cinofilo. Sono cani in grado di imparare tutto anche in casa», ci spiega. «Necessita semplicemente di essere ben inserito nella famiglia con dolcezza», ci spiega. Cani sensibili e protettivi, spesso si offendono se sgridati o relegati in un ambiente che non ritengono dignitoso. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Per questo, uno dei consigli di Davide Lassini ha a che vedere proprio con lo spazio da assegnare al cane come “suo”. «Se per esempio vi trovaste a cena con un ospite allergico ai cani, avreste bisogno di un luogo in cui il cane possa stare separato dalla famiglia pur continuando a sentirsene parte. Noi consigliamo di riservare al cane uno spazio preciso, ricavato per esempio nel bagno di servizio o, se le condizioni lo consentono, nel garage o in una taverna». Se fin da cucciolo lo abituate dunque a riconoscere lo spazio a lui dedicato, non avrete problemi. Se siete dei ritardatari, occhio agli orari. Il Collie non li dimentica. Come se avesse con sé un orologio svizzero interno, sa riconoscere perfettamente il momento della colazione, della passeggiata o del rientro dei bambini da scuola. E, se proprio dovesse offendersi per un qualche “qui pro quo”, non preoccupatevi. Una montagna di coccole e tutto tornerà come prima. 23
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Il Dobermann oltre i falsi miti Guidati dall’allevatore Stefano Sardelli, andiamo a vedere quali sono le reali caratteristiche di questa razza. Al di là di tutti i luoghi comuni. Sara Chessa
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Il Dobermann è un cane dal carattere dolce, che sta benissimo in famiglia. A dirlo è qualcuno che se ne intende. Stefano Sardelli, titolare dell’allevamento “Di Casa Fox Dobermann”, ha iniziato il suo percorso con questa razza nel 1993, col suo primo cucciolo. La sua è dunque un’esperienza che abbraccia vent’anni di conoscenza diretta, dandogli di sicuro più autorevolezza rispetto a quella che possono avere i luoghi comuni. Quelli che, per esempio, associano questo cane a un concetto di particolare aggressività. “Sono vecchie dicerie”, ci dice Stefano. “Il Dobermann è sempre stato visto come un cane da difesa e forse la televisione e altri media hanno aiutato PIANETA QUATTRO ZAMPE
il diffondersi di alcuni luoghi comuni”, spiega. I luoghi comuni, però, hanno interessato anche altre razze. Il Pastore Tedesco per esempio. “Il Pastore Tedesco è uno dei cani più mordaci che al giorno d’oggi abbiamo, tuttavia film e tv ne danno un’immagine che non corrisponde alla realtà”. Gli chiediamo se si riferisca al fatto che non tutti i pastori tedeschi sono il Commissario Rex. La risposta è affermativa. Non che a Stefano interessi sottolineare caratteristiche proprie di altre razze: la volontà degli allevatori di Dobermann è piuttosto quella di uscire da ogni forma di stereotipo, che si stia parlando della razza che allevano o di altre. PIANETA QUATTRO ZAMPE
I Dobermann, lo ZTP e la salute Il primo cucciolo adottato da Stefano, è stato uno dei cani più belli d’Europa. L’ha dimostrato partecipando a delle esposizioni attraverso tutto il continente europeo. Come ogni allevatore di Dobermann, Stefano segue delle regole precise, che consentono di ottenere un certificato detto ZTP, il quale certifica che il cane sia idoneo a portare avanti il proprio patrimonio genetico, sia a livello caratteriale, sia a livello morfologico. Per assegnare uno ZTP, vengono effettuate apposite verifiche dello stato di salute tramite radiografie ed altri esami clinici. 27
Il Dobermann oltre i falsi miti
E, oltre a garantire che un cane sia idoneo per la riproduzione, questa scrupolosa prassi ha permesso di raggiungere anche un altro risultato importante: portarsi, cioè, ad un ottimo livello nell’eradicazione della displasia dell’anca. “La nostra selezione viene portata avanti da anni e si cerca di far conoscere questo criterio selettivo anche ai privati”, spiega Stefano. E aggiunge: “Il cane a 12 mesi effettua la lastra specifica per la displasia, quella ufficiale utilizzata anche per i concorsi. L’AIAD, Associazione italiana amatori Dobermann, ti dice che il cane deve essere dentro a due valori: a o b. Già un “c” per noi è displasia. Attenendoci da anni a queste linee guida, non abbiamo i problemi che affliggono altre razze, con riferimento alla displasia”.
Il Dobermann e i bambini In base all’esperienza di Stefano, il Dobermann può vivere tranquillamente in una casa in cui sono presenti dei bambini. Certo, come tanti altri cani, ha bisogno di essere gestito. “Ho dei cani che potrei mettere dentro un asilo, ma questo non vuol dire che lo si debba lasciare solo coi bambini: il pericolo maggiore diventa il bambino stesso, che magari mette un dito in un occhio, tira un orecchio; ci sono cani che hanno una tempra e una sicurezza di sé alta, che accettano di più queste situazioni, le reggono di più. Altri cani hanno una soglia un po’ più bassa e magari possono allontanare bruscamente il bambino con una zampata”. Ciò che conta, dunque, sembra 28
piuttosto il buon senso di non lasciare da soli il bambino e il cane. Dai racconti di Stefano, però, capiamo che questo, più che a un concetto di aggressività dell’animale, si lega al fatto che il bimbo può non avere ancora la consapevolezza necessaria per comprendere cosa può fare e cosa deve assolutamente evitare quando è in compagnia del cane.
Il menù per i Dobermann Con curiosità, domandiamo a Stefano quali manicaretti prepari per i suoi cani. “Io uso un mangime apposito”, ci spiega. “Non sei mai completamente certo di fare la cosa giusta. Tuttavia, ciò che puoi fare è scegliere mangimi di alta qualità”. Il consiglio di Stefano Sardelli è quello di proseguire con gli stessi croccantini a cui il cane è stato abituato da cucciolo. Ci racconta, però, che talvolta i proprietari cedono alla tentazione di servire al loro cane anche del formaggio o della carne. Niente di male, ma bisogna tener presente che si può incorrere in una conseguenza inaspettata: il cane potrebbe, da quel momento in poi, “snobbare” i mangimi, anche di qualità elevata, aspettando di ricevere ancora una volta la carne.
Il Dobermann e il rapporto con l’essere umano Secondo il titolare dell’allevamento Di Casa Fox Dobermann, un cane di questa razza può stare solo in casa anche per 8/10 ore, se gestito bene. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Il Dobermann oltre i falsi miti
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Per saperne di più.. Nome: Origine : Carattere: Caratteristiche: Tronco: Dentatura: Muscolatura: Colore:
Dobermann Germania Coraggioso, forte, leale Non deve dimostrare nè paura nè aggressività Peso: maschi 40 - 44 kg - femmine 32 - 36 kg Altezza: maschi 68 - 70 cm - femmine 63-67 cm Con dorso solido e corto Petto di buona larghezza Con chiusura a forbice Ben sviluppata ed evidente Nero focato e marrone focato
Un bel vantaggio, rispetto ad altre razze che sentono subito la necessità di ricongiungersi al branco. Parlando di questo tema, Stefano Sardelli ci spiega più nel dettaglio come veda il rapporto tra essere umano e cane. “Ci sono persone che hanno una visione secondo la quale il cane sta allo stesso livello dell’umano. Secondo me, il cane va trattato benissimo, deve avere il miglior veterinario, il miglior mangime, le migliori cure. Tuttavia, è un cane, non va messo a tavola assieme a noi, non va messo al letto assieme a noi. Il cane deve fare il cane, perché ha bisogno di regole. Un cane che ha delle regole sta bene tutta la vita e con lui sta bene anche il proprietario. Se quest’ultimo dà a intendere che a comandare è il cane, staranno male entrambi, perché non tutti i cani nascono per il comando”. E, quando gli domandiamo se ai 30
Dobermann piaccia essere coccolati, per quanto la risposta sia affermativa, Stefano ci mette in guardia: “Spesso, stare per delle ore ad accarezzare il cane è un comportamento che deriva da un bisogno umano, più che da un bisogno dell’animale”.
Le amputazioni Impossibile non toccare questo tema, quando si parla di Dobermann. In Italia, i Dobermann con le orecchie amputate e la coda tagliata alla seconda vertebra non possono partecipare alle esposizioni. Stefano Sardelli è un allevatore che si attiene con precisione alla normativa esistente in materia. Tuttavia, quando ci parla del punto di vista di chi lo contatta per avere un cucciolo, è PIANETA QUATTRO ZAMPE
molto schietto con noi: “Su dieci telefonate che ricevo”, dice, “sette mi chiedono un cane tagliato”. Questo comporta di sicuro una riduzione del numero dei possibili clienti, che di fronte al “no” di Stefano continuano magari la loro ricerca contattando altri allevatori. D’altra parte, l’Ordinanza Turco che stabilì questa regola, ha avuto il merito di avvicinare agli allevamenti di Dobermann tutti coloro che sono sempre stati contrari alle mutilazioni subite per decenni da questi cani.
Consigli per chi adotta
regole, seguendo le quali mese dopo mese ci si trova sempre meglio”. Insomma, ciò che si vuole offrire a chi adotta un cucciolo di Dobermann è un servizio di assistenza vera e propria. Tuttavia, c’è anche un’altra importante finalità: “Il contatto con chi ha acquistato uno dei miei esemplari mi permette di capire se negli incroci che ho portato avanti tutto va bene, se si è sviluppato qualche problema”. Così, il lavoro di studio e selezione di Stefano continua anche quando il cucciolo ha trovato una nuova famiglia.
Stefano Sardelli ci lascia con alcuni consigli per chi accoglie in casa un cucciolo. “Se a consegnarti il cane è un allevatore, questi ti aiuta fino al momento in cui il cane non c’è più. Lo fa con delle PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Romania, quanta strada da fare
Romania, quanta strada da fare Un esercito di cani randagi da salvare, una legge che li condanna alla soppressione, la speranza di una nuova sensibilità in crescita. Sara Chessa
Prendi un paese in cui il randagismo è un fenomeno endemico, aggiungi una classe politica per cui la sensibilità di fronte alle violenze sugli animali è una sconosciuta, unisci al composto anche una crescente empatia della popolazione, che tuttavia ancora non riesce a organizzarsi con efficacia per difendere dai maltrattamenti il mondo animale: ti ritroverai a Bucarest, circondato di cani vagabondi al limite della magrezza e accalappiacani che hanno il solo compito di catturarli per avviarli verso il triste destino dell’eutanasia. E, a pensarci bene, se eutanasia significa “morte dolce”, forse non è neppure il termine esatto. Se lo fosse, alle associazioni animaliste sarebbe almeno permesso di effettuare controlli sulle modalità in cui l’amara soppressione avviene. Sarebbe cioè consentito verificare se la procedura è eseguita da un veterinario e se le condizioni prevedono il minor stress possibile per gli animali. Guarda caso, invece, la legge “ammazza-ranPIANETA QUATTRO ZAMPE
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dagi” – così è stata soprannominata – dà la possibilità alle associazioni di controllare tutte le attività dei canili romeni, meno una: precisamente, l’eutanasia. E questa non è che una delle norme oggetto di accusa da parte degli attivisti. A essere condannato è l’approccio stesso che ha condotto alla promulgazione della legge, che secondo gli animalisti opera una vera e propria normalizzazione del ricorso alla soppressione. Andiamo però con ordine e vediamo di ricostruire il processo che ha portato all’emanazione dell’attuale normativa, facendo mettere invece in soffitta un altro progetto di legge, quello n.9/2008, appoggiato dalle associazioni di tutela dei diritti degli animali in quanto orientato a vietare l’eutanasia nei canili. 36
Un sogno infranto: la Legge Quadro sulla protezione degli animali Attendeva di essere completata da oltre due anni, dimenticata nelle stanze del Ministero degli Affari Pubblici della Romania. Dimenticata dai politici, ma non dalle associazioni che si battono per cambiare la condizione dei cani di strada: era la Legge quadro sulla protezione degli animali. Le pressioni delle associazioni affinché si giungesse a un completamento erano notevoli, ma, a un certo punto, accade qualcosa che spazza via i piccoli successi collezionati in anni di duro lavoro. Si tratta della morte di un bambino di quattro anni a Bucarest, che si dice essere stata causata da morsi PIANETA QUATTRO ZAMPE
di cani randagi. In realtà, sulla versione ufficiale dei fatti vengono affacciati parecchi dubbi, non ultimo il fatto che i cani identificati come randagi si trovassero, in realtà, all’interno di un terreno privato. E, se pensate che la scelta più razionale sarebbe stata quella di proseguire le indagini e ottenere una conferma dei fatti ipotizzati, preparatevi invece a sentire il racconto dell’iter legislativo più veloce al mondo. Quello promosso a tempo di record dal presidente Traian Basescu, noto per le sue posizioni favorevoli alle soppressioni di massa dei randagi. Non passa neanche una settimana dalla morte del bambino e la legge viene approvata. Un gruppo di senatori sensibilizzati dall’associazionismo animalista prova a presentare un ricorso, ma non serve PIANETA QUATTRO ZAMPE
a nulla: la Corte Costituzionale dà il lasciapassare ad un legge che, nei nove mesi seguenti, avrebbe mietuto 16.000 vittime tra i cani che vagabondano senza una casa per le strade della Romania. Sono dati dell’ASPA, l’organismo che coordina le operazioni relative ai cani randagi nella capitale romena. Intanto, la ricerca della verità non si è fermata: le indagini delle forze dell’ordine hanno appurato che ad aggredire il bambino non sono stati dei randagi, ma cani di proprietà. Troppo tardi: l’eccidio indiscriminato di quattro zampe ha già avuto modo di compiersi e ancora va avanti, forte del sostegno ricevuto dalla maggior parte delle tv e dei giornali, ben poco interessati ad attendere che le indagini facessero emergere la realtà dei fatti. 37
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Gli obiettivi dell’associazionismo animalista Difficile parlare di notizie positive, quando è ancora in vigore una legge che condanna i cani randagi ad essere catturati, imprigionati in canili che somigliano a dei lager e poi eliminati con metodi che nessuno può appurare e che potrebbero essere anche molto distanti da ogni forma di umanità ed empatia. Difficile ancor di più è comprendere perché neppure i cani sterilizzati possano essere rilasciati dagli accalappiacani che li catturano: esiste la garanzia che non si moltiplicheranno, ma questo non basta: la legge vieta la loro liberazione. Su questo aspetto e sulla impossibilità, per le associazioni animaliste, di vigilare sulle eutanasie, abbiamo sentito Sara Turetta, presidente di Save the Dogs, una delle associazioni che più si battono per arrivare ad una modifica della legge ammazza-randagi. «Il fatto di non poter liberare sul territorio i cani sani, socievoli, che sono già stati sterilizzati è una cosa che lega le mani a noi e a tante altre associazioni. Allo stesso modo, sarebbe importante, in questo momento, che le associazioni ambientaliste potessero svolgere un compito di controllo. È però su un risultato più massimalista che stiamo cercando di riprendere il dialogo con il Governo romeno. Noi vorremmo arrivare ad una legge che preveda che i cani non possano essere uccisi. La soppressione può, al più, essere prevista in casi molto estremi, ma deve essere vietato l’utilizzo dell’eutanasia come strumento di controllo del randagismo», spiega la presidente Turetta. Le associazioni internazionali presenti in Romania non 38
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rinunciano dunque al difficile obiettivo di arrivare ad una radicale modifica della legge. Viene spontaneo chiedersi se ricevano sostegno dai propri governi. Per quanto riguarda l’Italia, chiediamo ancora alla presidente di Save the Dogs se qualche politico italiano si sia speso per aiutare le battaglie animaliste in Romania. Il primo nome che ritorna alla memoria è quello di Franco Frattini, ex Ministro degli Esteri. «L’intervento di Frattini è stato per noi strategico, perché dal 2003 al 2010 ha chiesto alla Ambasciata 40
italiana a Bucarest di sostenere il nostro intervento in vari modi. Senza il clamore di altri politici, avendo un amore per i cani e per i gatti davvero particolare, ha sempre lavorato esponendosi anche in prima persona, anche con alti rappresentanti delle istituzioni in Romania», ci racconta Sara Turetta. E aggiunge: «Mi viene in mente un altro nome che in tempi un po’ più recenti ha fatto molto, si tratta dell’ex parlamentare europeo Andrea Zanoni, che ha sensibilizzato moltissimo la Commissione ed ha presentato diverse PIANETA QUATTRO ZAMPE
interrogazioni parlamentari a Bruxelles». Se dunque si può gioire nel verificare che alcune personalità politiche mostrano sensibilità verso la triste condizione dei cani in Romania, bisogna augurarsi che a crescere sia anche l’associazionismo locale nel paese. La conversazione con Sara Turetta ci conferma che la sensibilità è in crescita tra i giovani, mentre fino a quindici anni fa, quando si parlava di amore per i randagi in Romania, predominava la figura delle “vecchiette amanti degli animali”, anziane signore PIANETA QUATTRO ZAMPE
che usavano prendersi cura di gatti e cani di strada. Espressioni di sicuro genuine e positive, ma impossibilitate a sedersi al tavolo delle istituzioni e discutere coi rappresentanti politici. La scena attuale vede una fase di estremizzazione, caratterizzata dallo scontro a muso duro e anche dalla competizione estrema tra i vari gruppi romeni. «Da un lato», commenta Sara Turetta, «è bello che cresca la sensibilità, è necessario però anche incanalare bene le energie per evitare di sprecarle». 41
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Tra obbligo di sterilizzazione e crescita della consapevolezza In una situazione come quella romena, lo strumento della sterilizzazione si rivela indispensabile per aiutare la popolazione dei randagi. Alcuni la ritengono importante anche in ambito domestico. Eppure, chi ha la fortuna di vivere con gli animali domestici da una vita e ha provato la gioia di una cucciolata, non può non ritrovarsi a sognare una società che sia abbastanza sensibile da non aver bisogno dell’obbligo di sterilizzare i propri animali. Una società in cui agli individui viene spontaneo 42
cercare una famiglia che adotti i cuccioli nati in casa propria. Una società, insomma, in cui l’orientamento verso il benessere dell’animale non è frutto di un’imposizione ma di una consapevolezza interna. Conversando con Sara Turetta di questi argomenti, le domandiamo se sia possibile essere ottimisti, circa la possibilità di arrivare, in Romania come ovunque, ad una società i cui membri esprimano questo tipo di consapevolezza. «La risposta è sì», esordisce la presidente di Save the Dogs. «Anche se sono processi che durano decenni», continua. «L’assorbimento di una serie di valori all’interno di una collettività è un processo che richiede molto PIANETA QUATTRO ZAMPE
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tempo e lavoro. Da lì il nostro impegno nelle scuole, che è diventato un pilastro del nostro lavoro, con l’intervento quotidiano, da gennaio a giugno, con l’accompagnamento dei ragazzi presso le nostre strutture per incontrare gli animali, per far scoprire la bellezza di queste creature, per educarli ad un rapporto corretto con gli animali». Di fronte alla drammatica situazione dei diritti degli animali in Romania, associazioni come Save the Dogs scelgono dunque di puntare sui progetti educativi, sulla possibilità di seminare nelle giovani generazioni dei valori diversi rispetto a quelli espressi al momento dalla classe politica. Riguardo alla possibilità di PIANETA QUATTRO ZAMPE
essere ottimisti circa il fiorire di una maggiore sensibilità individuale, abbiamo visto che anche voci autorevoli rispondono di sì. È però sempre Sara Turetta a precisare che «la velocità con cui questo avverrà dipenderà dall’azione delle associazioni, dalla loro capacità di costruire – e non solo di distruggere – e, ovviamente, dall’impegno delle istituzioni che purtroppo in questo momento è nullo. Dopotutto è un percorso già fatto da altri paesi, basta guardare l’Italia: quaranta o cinquanta anni fa sarebbe stato impensabile avere milioni di cani e di gatti nelle nostre case trattati quasi come dei figli». 43
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Ti regalo i miei occhi
Ti regalo i miei occhi Viaggio nel centro di addestramento cani guida dei Lions.
nella più completa gratuità. In compagnia del presidente Giovanni Fossati abbiamo oggi la possibilità di osservare più da vicino come il Servizio cani guida dei Lions riesca a fare questo piccolo grande miracolo.
La struttura: uno dei maggiori centri in Europa
Sara Chessa
Riassaporare la gioia di muoversi in città grazie allo sguardo vigile e addestrato di un amico a quattro zampe: non è poco ciò un cane guida può regalare a chi non ha la fortuna di vedere il mondo attorno a sé con i propri occhi. Lo sa bene Giovanni Fossati, presidente nazionale della Scuola cani guida Lions per non vedenti di Limbiate. A lui, capita spesso di ascoltare le espressioni di gratitudine di chi ha ricevuto in dono uno degli “allievi” del centro di addestramento. Confessa, però, di esser lui, di fronte a queste persone, a sentire la necessità di ringraziare: “Non nascondo che in queste situazioni qualche lacrima mi scappa”, ammette. E aggiunge: “Sono io a sentire di dover dire grazie per aver avuto la possibilità di aiutarli, la gioia che si prova è davvero grande”. D’altronde, il Lions Club International è un’associazione umanitaria che dal 1917 ha come motto “We serve” (in italiano: “noi serviamo”). Non stupisce dunque che tutte le iniziative nate in seno alle declinazioni nazionali di questa realtà – e quindi anche lo stesso centro Lion di Limbiate – siano animate dallo stesso spirito di servizio verso cause nobili, come quella di rendere migliore la vita di chi sperimenta una condizione di disabilità. E di farlo, oltretutto, 46
Cinquanta esemplari addestrati ogni anno, millenovecentoquaranta cani donati dal 1959 – anno di nascita del centro – a oggi. Numeri notevoli, che fanno della scuola dei Lions di Limbiate una delle più grandi realtà europee nel campo dell’addestramento di cani guida per non vedenti. Ogni giorno, quindici dipendenti regolarmente assunti conducono i cani ospitati dal centro attraverso il percorso di addestramento che li renderà pronti per la missione. L’importanza di questo centro non è dovuta però solamente ai numeri raggiunti: anzi, questi ultimi derivano soprattutto dalla qualità della vita che viene garantita ai cani addestrati: “A Limbiate i cani sono i veri padroni”, afferma sorridente Fossati. “Siamo all’avanguardia sotto tutti i profili”, continua. “Tutto è stato realizzato nel più stretto rispetto delle norme igieniche sanitarie europee, siamo dotati di ambulatorio veterinario per i controlli periodici, dedichiamo tutta la nostra attenzione al benessere di questi cani. Ad esempio, abbiamo previsto il pavimento riscaldato per proteggerli dall’umidità”. Ciascuno dei 38 box presenti nella struttura può ospitare due cani, che oltre al comfort dell’interno possono usufruire anche di un giardinetto esterno. E PIANETA QUATTRO ZAMPE
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da dove arrivano i cani? Se in passato li si reperiva principalmente all’esterno, esiste ora invece un allevamento interno, con tanto di sala parto e zona svezzamento cuccioli. Tuttavia, le nascite interne non riescono ancora a coprire il numero di cani addestrati ogni anno. Si è così deciso di ampliare la struttura, costruendo un altro stabile. “I lavori partiranno nel 2015, avremo a disposizione nuovi spazi, con quattro sale parto, nursery e tutto ciò che è necessario per essere autonomi in tutto e per tutto”, ci spiega ancora il presidente.
Chi può diventare cane guida Viene spontaneo domandarsi se tutte le razze canine possano candidarsi con aspettativa di suc48
cesso per l’ambito ruolo di guida. Girando la nostra curiosità a Giovanni Fossati, scopriamo che non è così. Non tutte le razze possiedono le caratteristiche adeguate, soprattutto è necessario fare attenzione all’incidenza di alcune patologie. “In passato addestravamo molte femmine di pastore tedesco. Nel tempo abbiamo però riscontrato in questi esemplari un’alta percentuale di casi di displasia dell’anca”, ci spiega. Si tratta di uno sviluppo anomalo dell’articolazione dell’anca che un cane guida, dati i suoi compiti, non può permettersi. La scuola di Limbiate si è allora focalizzata maggiormente sui labrador. Capace di entrare nella più armonica simbiosi con l’essere umano a cui fa da guida, questa razza si è finora dimostrata l’ideale per le finalità del centro. PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Biografia di un cane guida Venuti alla luce nell’allevamento interno alla struttura, i cuccioli rimangono all’interno del centro per circa tre mesi, trascorsi i quali vengono affidati a delle famiglie di volontari che, col sostegno economico dei Lions, si prendono cura dei piccoli fino all’età di un anno, quando saranno finalmente pronti per l’addestramento. “A queste famiglie va tutta la nostra gratitudine”, rivela il presidente Fossati. E aggiunge: “Chi accoglie in affidamento i cuccioli fa spesso visita al centro di Limbiate, così da favorire la socializzazione del cucciolo con l’istruttore cinofilo e rendere così più dolce l’allontanamento dalla famiglia adottiva una volta raggiunti i dodici mesi. Davvero ci si sente un’unica grande famiglia”. E, se separarsi dal cucciolo è senz’altro difficile, chi lo restituisce al centro è però ripagato dalla consapevolezza del grande dono che il cane rappresenterà per la persona non vedente. Ritornato al centro, l’animale viene sottoposto a visite che ne certificano l’ottimo stato di salute, necessario per poter iniziare l’addestramento. Inizia così il percorso, la cui prima parte si svolge nei 21 mila metri quadrati della scuola, dove i quattrozampe si cimentano con simulazioni della vita urbana e di tutte le sue difficoltà, dal traffico ai tombini aperti. Dopo queste esperienze in laboratorio, viene finalmente il momento di proseguire l’addestramento in una città vera e propria. Nel frattempo, il personale della struttura seleziona, tra coloro che hanno fatto richiesta, il candidato più adatto - – per costituzione fisica e caratteristiche psicologiche – a ricevere il cane guida addestrato. Individuato il fortunato – le liste d’attesa includono spesso oltre cento persone – si apre PIANETA QUATTRO ZAMPE
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la pagina della socializzazione con quest’ultimo. Il cane trascorrerà due settimane presso il domicilio del non vedente, familiarizzando con la casa e con il destinatario delle sue attenzioni. Infine, l’ultimo momento di apprendimento. Stavolta, però, è l’umano a sedere sui banchi di scuola. Ospitato presso uno dei quattro appartamenti presenti nella “casa dell’accoglienza” interna al centro dei Lions, il non vedente, accompagnato da un familiare, apprenderà dall’istruttore tutti i comandi necessari per interagire con la propria preziosa guida e le modalità per impartirli. A questo punto, si è pronti alla partenza. O meglio, al ritorno a casa. E, lungo il percorso, è facile sentirsi già inseparabili. 50
Chi sostiene i progetti dei Lions In quest’articolo, è comparsa più volte la parola “dono”. Non è certo un caso. Ai non vedenti che si mettono in lista d’attesa richiedendo un cane guida, non è richiesto alcun contributo in denaro: i Lions della Scuola di addestramento cani guida di Limbiate fanno, come nel loro spirito, tutto gratuitamente. E come riescono? Riescono, prima di tutto, grazie al contributo dei singoli Lion, persone che appartengono alla realtà dell’associazione e che sostengono i progetti benefici come questo. Non va dimenticata la partecipazione dei Leo, i PIANETA QUATTRO ZAMPE
giovani dell’associazione. Un grande aiuto per il centro di Limbiate, però, arriva, come ci racconta il presidente Fossati, dall’esterno: ci sono, infatti, non solo aziende e privati cittadini che hanno a cuore i progetti solidali portati avanti dai Lions, ma anche enti, come Regione Lombardia - il cui contributo è ormai istituzionalizzato – e Fondazione Cariplo, anch’essa presente con un contributo annuale. A tutte queste realtà va il ringraziamento della Scuola e in primis di Giovanni Fossati, che rivela: “Quando il non vedente esce dal nostro centro con i due occhi che non aveva più – quelli della sua guida a quattro zampe – mi sento ripaPIANETA QUATTRO ZAMPE
gato per tutto il tempo che dedico a questa struttura”. E, infine, aggiunge un pensiero in merito alla felicità dei cani guida: “Alcuni ritengono che questi cani siano meno fortunati di altri, in quanto conducono una vita densa di responsabilità, io sono invece convinto che si sentano più fortunati di altri, proprio perché sanno rendersi conto che la loro presenza regala all’essere umano due occhi che funzionano. Questa loro capacità di intuire l’importanza della loro presenza, se li si osserva, non si può non percepire”.
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Non dimenticare Fido a casa La filosofia dell’One Akita Bar. Quando il cane è assai gradito. Sara Chessa
Uscire per andare al bar con gli amici, e poter portare con sé il proprio amico a quattro zampe. Se poi anche gli altri umani del gruppo decidono di venire accompagnati dal loro cane, ancora meglio: all’One Akita bar sono tutti ben accetti. Aperto dal luglio 2014, questo locale dog-friendly di Concorezzo 56
(Monza Brianza) si distingue per la possibilità offerta ai clienti di portare all’interno del locale il proprio cane. Certo, siete assolutamente graditi anche se avete due sole zampe e non ci sono le altre quattro al seguito. Cresce però il numero di coloro che, specie nel fine settimana, compiono tragitti anche medio lunghi – c’è chi arriva da Brescia – pur di trascorrere assieme a Fido anche il momento dell’aperitivo. In realtà, come ci spiega il titolare Vito Giasi, capita raramente che all’interno del locale ci siano molti cani: la presenza di quattro zampe si concentra più che altro negli eventi ad hoc creati appositamente per loro. “Finora abbiamo organizzato due eventi di questo tipo”, spiega Vito. E aggiunge: “In questi casi, la sala è riservata e il locale è chiuso. A presentarsi sono quindi i proprietari di cani a conoscenza dell’evento”. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Naturale domandarsi se la presenza di due o più cani abbia mai creato problemi di trambusto e confusione. La risposta, però, è negativa: mai avuto un solo problema. Di solito, oltretutto, i cani che arrivano al locale si conoscono: spesso capita che un gruppo di amici porti con sé i cani dei vari componenti della comitiva, quindi soggetti che già hanno avuto modo di familiarizzare e creare un legame. Il momento trascorso in compagnia è poi facilitato dall’ampia varietà di crocchette che, col permesso del proprietario, il personale del locale può servire ai quattro zampe. Forse, solamente l’ingresso di un gatto potrebbe turbare la tranquillità che normalmente accompagna i momenti trascorsi all’One Akita. Fortunatamente, però, i gatti non vengono portati facilmente in giro dai proprietari e il probabile tafferuglio da ingresso di felino è un’ipotesi piuttosto remota. PIANETA QUATTRO ZAMPE
L’unico piccolo neo è, semmai, che alcune persone non entrano nel locale proprio perché sanno che esiste la possibilità di ingresso per i cani. Il problema, in realtà, non si dovrebbe porre, in quanto i cani, come ci conferma Vito, non hanno accesso in alcun modo alle cucine. Quando il cane arriva nel locale per la prima volta esiste un momento irrinunciabile: quello della fotografia. Quelle scattate in questi mesi, verranno presto pubblicate sul profilo Facebook del locale, in corso di realizzazione. Se volete che anche il vostro cucciolo diventi una star nella pagina dell’One Akita Bar, non vi resta che impostare il navigatore su Concorezzo e mettervi in viaggio. Chissà che, per il vostro cane, non sia anche un’ottima occasione per stringere nuove amicizie.
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I gatti del profondo Nord
I gatti del profondo Nord Con l’allevatrice Francesca Piva alla scoperta del gatto Norvegese delle Foreste. Sara Chessa
“Maestoso, grande, dall’aspetto selvaggio”. Così il gatto Norvegese delle Foreste è apparso per la prima volta a Francesca Piva, che li alleva da undici anni. In quel caso, però, il nordico felino faceva capolino da una rivista. Erano gli anni Ottanta e Novanta, in cui ancora non esisteva Internet e il suo straordinario flusso di informazioni. “All’epoca avevano appena fatto la loro comparsa le prime riviste specializzate sui gatti, si trovavano in edicola e mostravano un po’ tutte le razze, un po’ come fate voi. Quando, sfogliandone con curiosità le pagine, vidi questo gatto, me ne innamorai completamente”, ci racconta. Francesca, però, viveva in Friuli e non aveva vicino a casa esposizioni in cui poter vedere dal vivo questi “re delle foreste” norvegesi. Poi, nel 1997, Trieste ospita finalmente una mostra. Francesca vede dal vivo per la prima volta tanti imponenti gatti Maine Coon e un Gatto Norvegese, bianco, dolcissimo. All’epoca, però, Francesca non ha ancora una casa sua, così, per quanto mantenga i contatti con l’allevatrice conosciuta a Trieste, non riesce a coronare il suo sogno. La sua prima gattina arriva invece all’inizio degli anni 60
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Foto di Silvia Pampallona
Duemila: la situazione è cambiata, ha un’abitazione propria, in Italia il numero degli allevamenti sta crescendo e i siti web consentono di far circolare più informazioni. Così, un viaggio alla volta della Danimarca e il gioco è fatto: Francesca torna indietro con la sua prima micia. Da allora, il sogno continua nell’allevamento “Antiche Rune” di cui è titolare.
Ci vuole un fisico bestiale Nella memoria genetica del Gatto Norvegese, ci sono intemperie e climi rigidi di fronte ai quali l’inverno mediterraneo fa sorridere. Familiarizzando con queste creature, subito è chiaro che la Natura li ha progettati per vincere anche di fronte a difficoltà 62
incredibili. Sono gatti robusti e forti. Le zampe posteriori più alte rispetto a quelle anteriori si devono alla necessità di non mettere il ventre a contatto con il suolo freddo. La canna nasale è molto allungata e anche qui è una questione biologica: più l’aria impiega tempo per raggiungere i polmoni, più si riscalda, consentendo al gatto di contrarre meno facilmente raffreddori. Gli artigli sono molto forti, perché per poter vivere in un ambiente del genere, hanno bisogno di supporti per potersi arrampicare, per difendersi o per predare. “Come una vera e propria Panda 4x4 del mondo felino, dotati di muscolatura massiccia, questi gatti scendono dagli alberi a testa in giù”, ci spiega Francesca Piva. Le orecchie larghe alla base consentono a questi abili predatori di sentire PIANETA QUATTRO ZAMPE
meglio, mentre i ciuffi proteggono ulteriormente il padiglione dal freddo. Anche la lunghezza della coda si lega ad una ragione strettamente pratica: più la coda è lunga, più aiuta l’equilibrio del gatto. E, se in molti rilevano una somiglianza tra il Norvegese e il gatto Maine Coon, Francesca Piva ci fa notare che esistono invece tante differenze tra le due razze. Una di queste risiede nel manto. “Il Maine Coon non ha il sottopelo, ha un pelo morbido senza altri strati. Il Norvegese invece ha la lana, che tiene costante il calore del corpo, sovrastata dal pelo di copertura, che è idrorepellente e gli serve per asciugarsi rapidamente”. Un ulteriore “accessorio” di cui il Norvegese è dotato per far fronte alla neve, sono le zampe palmate: sono PIANETA QUATTRO ZAMPE
queste ultime a consentirgli di non sprofondare. Le sue unghie, poi, sono come spade. “Non vivendo allo stato brado, non riuscendo cioè a consumare le unghie arrampicandosi sugli alberi, è necessario che vengano tagliate ogni 15 giorni, se si tiene ai propri mobili”, scherza Francesca.
Un carattere d’oro Secondo l’esperienza di Francesca, le femmine si mostrano da subito più intraprendenti dei maschi: “Le femmine sono sempre quelle che escono prima dalla nursery. I maschi sono più teneroni, più tranquilli”. E aggiunge: “Il gatto ha bisogno di condividere con me – che sono il suo punto di riferimento 63
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– tre momenti della giornata: il gioco, la nanna e il mangiare. Si mangia insieme, si dorme insieme e si gioca insieme. Se io non riesco ad avere questo tipo di rapporto con i miei gatti, loro non mi sentiranno come un punto di riferimento. Questo vale a maggior ragione col Norvegese, che è un gatto gregario: ha necessità di stare con l’essere umano”. Questo rapporto stretto influenza anche il comportamento delle gatte gravide. “Quando le gatte sono incinte, se io sono il loro punto di riferimento, devo essere presente. E mi succede addirittura che, se io non riesco ad essere presente, se sono fuori casa per lavoro e loro iniziano ad avere il travaglio, non partoriscono finché io non arrivo”. Francesca ci confessa addirittura che, durante il primo mese dopo il parto, quasi non riesce ad allontanarsi per fumare una sigaretta. “Le gatte mi cercano sempre, si affidano completamente”. Più in generale, la razza Norvegese delle Foreste si caratterizza per la dolcezza: “Non sono gatti che mordono, che graffiano, che si spaventano, non hanno paura di niente, tanto che sono anche capaci di infilarsi nei guai. Hanno un rapporto speciale con ogni membro della famiglia, ognuno ha il suo ruolo. Il gatto sente tutto quello che noi siamo, percepisce la nostra personalità e riesce ad adattarsi, ad avere un rapporto unico con ogni membro della famiglia. Loro percepiscono anche le persone che “fingono”. Tu ti accorgi , quando qualcuno ti viene a trovare, di quali persone hanno una sensibilità più accentuata rispetto ad altre, perché il gatto si comporta in maniera diversa con quella persona”. Pare che la rigidità del clima scandinavo abbia permesso a questo gatto di sviluppare non solamente PIANETA QUATTRO ZAMPE
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un fisico da urlo, ma anche un’intelligenza sopraffina. “Dovevano cacciare anche in condizioni molto critiche, dovevano preservare la vita, quanto hanno conquistato in questo modo è rimasto nei loro geni”, spiega la titolare di Antiche Rune. E aggiunge, sospirando e pensando a epoche più recenti: “Quando portavo in giro la mia prima gattina con la pettorina, lei, prima di attraversare, guardava a destra e a sinistra”. Un ricordo che ci dà l’idea del livello di presenza e attenzione all’ambiente espresso da questi gatti.
I Gatti Norvegesi a tavola I Norvegesi dell’allevamento Antiche Rune si stanno avvicinando gradualmente alla dieta a base di carne cruda. Così ci racconta Francesca, illuminandoci anche su quali difficoltà esistano. “Non è semplice passare da un alimento cotto al crudo, però sono dell’idea che sia la cosa più giusta. Se facciamo un passo indietro, i gatti, fino a qualche anno fa, non mangiavano i croccantini. Mangiavano le prede che trovavano in giro nei giardini. Il gatto non nasce in casa, nasce allo stato brado. Alimentandosi di prede ha sviluppato determinati anticorpi e queste prede gli danno tutto ciò di cui ha bisogno. Il croccantino e tutti quegli alimenti che negli ultimi anni hanno costituito la parte principale dell’alimentazione del gatto, dai premium a quelli più scadenti, di fatto sono alimenti che l’essere umano ha creato per il gatto. Però, se andiamo a guardare, quanti casi di tumore , problemi di allergia sviluppano gli animali domestici? Tantissimi. Tanto è vero che la maggior parte dei 66
problemi che i veterinari si trovano davanti, sono tutti legati all’alimentazione”. Dunque, più ci si avvicina a ciò che mangerebbero in natura, più ci si assicura che l’animale non abbia problemi. Pur consapevole di tutto il lavoro che, comunque, le case produttrici di alimenti pronti per gatti hanno portato avanti, Francesca ricorda che già diversi anni fa, nel nord dell’Europa, era in corso un ritorno almeno parziale verso l’alimentazione basata sul crudo. “Mi viene in mente l’allevatrice dalla quale acquistai la mia gattina. Tirava fuori dal freezer un sacchetto contente dei pulcini, li passava per qualche minuto al microonde e poi li dava così, interi, ai suoi gatti, sicura che rappresentassero quanto di più vicino alle prede naturali”. Tuttavia, Francesca è chiara: quando un gatto è abituato alla sola alimentazione industriale, occorre avere attenzione ed equilibrio nell’introduzione del crudo nel suo menù. Ed è infatti noto che non si deve mai “accavallare” la digestione delle crocchette a quella della carne cruda. La motivazione sta nel fatto che il gatto, carnivoro, digerisce velocemente la carne. Avendo inoltre un tratto intestinale molto corto, il suo corpo è strutturato per eliminare subito eventuali batteri arrivati attraverso la carne stessa. Se, a distanza minore di due ore, gli si danno anche le crocchette, che richiedono una digestione molto più lunga, si potrebbe compromettere la capacità di eliminare con velocità eventuali microrganismi dannosi. Questo principio vale, oltre che per il gatto norvegese, per tutti gli altri felini da compagnia che vivono nelle nostre case. PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Il Norvegese e la salute Le patologie di cui oggi questi felini possono soffrire hanno una derivazione per lo più recente. Non sono, cioè, patologie “di razza”. Bisogna tener conto del fatto che il Gatto Norvegese delle Foreste è una razza completamente naturale, l’idea di allevarlo nasce dal rischio di estinzione che stava vivendo. Così, persone che li avevano a cuore hanno deciso di portarli in casa e cercare di fare un programma di selezione per preservarli. Prima di allora, erano semplicemente i gatti dei boschi. Dunque, essendo un gatto naturale, era un gatto privo di patologie particolare. Sono stati fatti dei programmi di selezione talmente accurati che si potevano avere solamente piccoli problemi, come un nodo alla coda, ma mai gravi patologie. Queste ultime, si sono sviluppate solamente di recente attraverso selezioni poco attente, ad esempio incroci con razze simili portatrici di determinate malattie ereditarie. Si tratta, per esempio, dell’HCM (cardiomiopatia ipertrofica) e della GSD IV (malattia ereditaria del metabolismo dello zucchero glucosio). Allo stato attuale, quest’ultima patologia è stata quasi debellata. Come ci spiega Francesca, infatti, gli allevatori vanno a cercare riproduttori esenti dal problema e sterilizzano gli esemplari portatori. Il consiglio, dunque, per chi acquisti un cucciolo di Norvegese, è quello di chiedere i test che dimostrino l’esenzione da GSD IV. Informazione che può essere reperita anche direttamente sul pedigree. 68
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In passato facevo il gatto da guardia
In passato facevo il gatto da guardia Viaggio nel mondo dei gatti Siberiani. Dove anche chi è allergico può trovare il proprio felino ideale. Sara Chessa
Quando incontriamo Masha Baldi, titolare dell’allevamento “Siberiani di Sansone”, non possiamo fare a meno di cominciare la nostra conversazione con lei da questo argomento: la possibilità, per un soggetto allergico ai gatti, di adottare “almeno” un gatto Siberiano. E questo “almeno”, si capisce, è un modo di dire: si sarà pure intolleranti al pelo dei felini, ma, nella sfortuna, si ha la possibilità di accogliere in casa una delle razze più affascinanti che esistano. L’unica che, pare, non crei reazioni allergiche. Ma è proprio così? “Tutti i gatti che ho avuto fino a questo momento sono andati a persone allergiche. È importante fare una prova in allevamento, prima con le femmine e col maschio sterilizzato, perché il maschio intero è quello che dà più allergia . Se la prova va a buon fine, li faccio avvicinare anche al maschio non sterilizzato”, ci spiega. Si va per gradi, insomma. Poi, se tutto va bene, si mette la persona in lista per il cucciolo. Se i Siberiani sono considerati “ipoallergenici”, ciò è dovuto alla quasi totale incapacità di sintetizzare la 72
proteina Fel D1, prodotta in altri gatti dalle ghiandole sebacee.
Sulle tracce del “vero” Siberiano Quando si vuole conoscere una razza, viene spontaneo domandare a chi la alleva come mai l’abbia scelta, tra tante. “Cercavo un gatto nordico, una razza naturale che non avesse problemi”, ci racconta. Così, si è diretta verso il Siberiano, una razza non creata dall’uomo e, pertanto, non portatore di malattie genetiche. A dir la verità, Masha studia da vicino anche il Norvegese e il Maine Coon, ma poi non ha dubbi: vuole un Gatto Siberiano. “Il Norvegese ha un muso più triangolare, quello del Maine Coon è molto lungo. Io avrei preferito qualcosa di più armonico, di più tondeggiante, così ho scelto il Siberiano”, ricorda entusiasta. Per Masha, il Siberiano più autentico è quello importato diversi anni fa dalla Russia da Mauro Ferrero dell’allevamento “Taiga”. “Erano i primi importati dalla Russia, i più belli, i più grossi, non contaminati da ciò che è accaduto dopo. Le chiediamo cosa sia accaduto in seguito e ci spiega che il problema ha a che vedere con il compito dell’allevatore. Quest’ultimo dovrebbe coincidere con la selezione degli esemplari migliori e la scelta di questi ultimi per la riproduzione. A volte capita però che alcuni allevamenti cedano alla tentazione di incrociare i loro Siberiani con gatti di altre razze, alla ricerca di qualche caratteristica particolare. Per esempio, data la comparsa dell’HCM – patologia cardiaca tipica del Maine Coon – in alcuni esemplari di SibePIANETA QUATTRO ZAMPE
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riano, si suppone che, in Italia o all’estero, qualcuno abbia voluto portare avanti degli accoppiamenti tra le due razze, inseguendo magari la stazza o altre peculiarità del Maine Coon. “Oggi molti non cedono i loro cuccioli da riproduzione, io sono riuscita ad avere degli esemplari da alcuni allevamenti che considero i migliori, come Taiga, Sinus Iridum ed Emerald, che sono i primi nati in Italia, diversi anni fa. Sono queste linee di sangue a interessarmi”. 74
Il Siberiano e la salute “Si sono visti Siberiani morire di PKD, che è una malattia del Persiano, quindi vuol dire che è stata fatta qualche manipolazione”, ci dice Masha quando riprendiamo il discorso relativo alla salute. Meglio, dunque, richiedere agli allevatori a cui ci si rivolge dei test specifici anche per la PKD e per l’HCM, pur non essendo queste patologie parte del corredo PIANETA QUATTRO ZAMPE
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genetico del Siberiano delle origini. In generale, poi, va richiesto il test per la FeLV (leucemia felina) e per altre patologie trasmissibili, come la FIV.
Gatti Siberiani e ambiente domestico “È un gatto energico, gli piace gironzolare all’aperto, ma si adatta molto bene alla vita di appartamento”, PIANETA QUATTRO ZAMPE
così Masha descrive il Siberiano quando le domandiamo come si comporti in casa. Incuriositi dall’aggettivo “energico”, le chiediamo se questo significhi che ci si deve aspettare un mini-terremoto felino. La risposta è negativa. “Sono molto educati, non sono gatti che dormono tutto il giorno, è un gatto a cui piace giocare, però non combina guai in casa”. Scopriamo così che i gatti di questa razza giocano anche da adulti, sebbene da un esemplare all’altro il carattere possa essere più o meno vivace. E, quando arrivano gli ospiti, si svela tutto il loro carattere socievole. Vedendo in casa persone nuove, i mici siberiani – soprattutto i maschi – si avvicinano alla porta presentandosi subito a chi arriva. “Le femmine”, precisa Masha, “sono un attimino più contenute e prudenti, ma poi finiscono anche loro per avvicinarsi, spinte dalla curiosità”. Questo è dovuto al fatto che il gatto Siberiano è molto partecipe delle vicende della famiglia: non vi permetterà mai di tenere gli ospiti solo per voi. E le coccole? Sono richieste e attese sia dalle femmine che dai maschi. Tuttavia, come accade anche in altre razze, il maschio si mostra più tenero e desideroso di carezze. Se vi state chiedendo come un Siberiano possa comportarsi come un cane, ci risponde anche qui Masha, che testimonia di aver dato dei cuccioli anche a famiglie proprietarie di cani, senza che questo comportasse alcun problema. In ultima analisi, esaminando il carattere del Siberiano, Masha non ha dubbi: rappresenta l’equilibrio ideale tra dolcezza e indipendenza. “Ci sono i momenti in cui si fa la sua vita. In altri, invece, ti manda in estasi esprimendo il suo affetto. Il suo sguardo, soprattutto, è ipnotico: se ti da un’occhiata, ti trasmette tantissimo”. 75
Cucciolate e consigli per chi adotta “Faccio una cucciolata all’anno per femmina, non di più”, ci spiega Masha. Le chiediamo se sia molto difficile “controllare” le femmine e i maschi presenti in casa, nel momento del calore. Dal sorriso che fa, capiamo che la domanda era un po’ retorica. “È molto, molto impegnativo. I maschi percepiscono quando la gatta sta per andare in calore. Quando la gatta non da ancora segni, loro lo sanno già grazie all’olfatto. È una guerra continua per riuscire a mantenersi al livello di una gravidanza ogni dodici mesi”, ci spiega. Viene, poi, il momento di scegliere le famiglie 76
per i nuovi cuccioli. “Seleziono le persone, verifico che non sia un regalo di Natale. Quando arriva un cucciolo, consiglio sempre di coccolarlo fin dal primo momento, giocando subito tanto per “distrarlo” dalla condizione di spaesamento che la nuova casa può dare.
La struttura fisica Agili e ben strutturati, i gatti Siberiani presentano una struttura muscolare possente. Il pelo lungo e abbondante è accompagnato da un sottopelo idrorepellente. Se sulla testa è decisamente folPIANETA QUATTRO ZAMPE
to, sul torace lo è in misura appena inferiore. La coda, più ampia alla base, diventa poi affusolata a mano a mano che ci si avvicina alla parte finale. Gli occhi, disposti solitamente in obliquo, sono grandi e tendenzialmente arrotondati nella parte inferiore. Ben distanziati l’uno dall’altro, possono assumere svariati colori, dal verde al blu, al colore ambrato. Le orecchie sono di dimensioni medie, tuttavia la base è piuttosto larga e sono presenti ciuffetti che rappresentano una difesa dal freddo. Le guance tondeggianti sono attraversate da vibrisse ben evidenti, mentre la fronte presenta una leggera curvatura. Nel complesso, queste pecuPIANETA QUATTRO ZAMPE
liarità si fondono in un’espressione facciale dolce, sebbene sia sempre palese, grazie allo sguardo, l’alto livello di attenzione all’ambiente esterno.
Gatti da guardia Salutiamo Masha con una curiosità: pare che un tempo i Siberiani fossero gatti da guardia. Felini enormi, nati da incroci tra gatti selvatici e domestici, scoraggiavano i ladri in quanto molto aggressivi e abbastanza “inavvicinabili”. “Si racconta”, dice Masha, “che fossero molto fedeli al proprietario, ma che incutessero agli estranei vero e proprio terrore”. 77
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L’Aristide Hotel L’accogliente albergo parigino riservato ai gatti. 80
Vanna Chessa
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Lo scorso mese di marzo è stato inaugurato a Parigi il primo albergo riservato ai gatti. Situato nel centro della capitale francese, più precisamente nel nono arrondissement, l’Aristide Hotel ha già ospitato oltre cinquecento felini e si appresta a registrare il tutto esaurito anche per le prossime vacanze natalizie. Quindi, se il binomio gatto-Parigi evoca in voi pensieri di aristogattiana memoria, sappiate che, se il celeberrimo cartone animato Disney venisse ambientato ai giorni nostri, di sicuro Romeo, Duchessa e i gattini sceglierebbero 82
di alloggiare proprio in questa residenza coi fiocchi, ideata dal trentatreenne parigino Gauthier Berdeaux. È stato proprio Gauthier a raccontarci di aver avuto questa brillante idea grazie al suo gatto, che guarda caso ha dato poi il nome all’hotel per mici. Quando una persona ama sia i piccoli felini sia viaggiare, ha sempre il problema di trovare qualcuno a cui affidare l’amato quattro zampe. Spesso, però, le pensioni per animali, oltre che fuori mano, si rivelano luoghi poco PIANETA QUATTRO ZAMPE
ospitali e non proprio accoglienti come li si immaginava. In secondo luogo, non si può sempre pesare su amici e parenti o addirittura rinunciare a un viaggio importante. Ed è stata questa serie di motivi ad aver acceso la lampadina nella mente di Berdeaux, che ha ammesso: “Ero stanco di dover sempre compiere una scelta tra la libertà di muovermi e avere la certezza che Aristide potesse stare in un luogo adatto alle sue esigenze, così ho riflettuto bene e ho buttato giù l’idea dell’hotel per gatti”. PIANETA QUATTRO ZAMPE
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L’Aristide Hotel
Nelle venticinque camere dell’Aristide Hotel, progettato a misura di felino insieme ad un amico architetto che si occupa di interior design e seguendo i consigli di due veterinari, i mici trovano tutto ciò di cui hanno bisogno per riposare, divertirsi e trascorrere le giornate nel migliore dei modi. Alle pareti spiccano tiragraffi e mensole, collocate a diverse altezze in maniera che gli ospiti possano dilettarsi in ciò che sanno fare meglio: muoversi con agilità, esplorare l’ambiente circostante, ma anche concedersi una pausa su un morbido cuscino. Soffici e invidiabili zone relax sono infatti ricavate in diversi angoli delle modernissime stanze, arricchite da particolari oggetti d’arredo collocati ad hoc per accendere la curiosità dei piccoli ospiti. E per i felini più indiscreti, inoltre, c’è la possibilità di sbirciare negli ambienti attigui attraverso delle finestre che fungono da punto d’osservazione. Il fiore all’occhiello della struttura è la playroom, un ambiente spazioso in cui gli animali possono socializzare e giocare in compagnia. In quest’area i gatti passano il tempo che preferiscono, e se talvolta quelli più timidi si trattengono meno, altri vi trascorrono volentieri svariate ore e addirittura non andrebbero mai via. Gestire una struttura con venticinque stanze è un’impresa piuttosto impegnativa. Nell’Aristide Hotel, oltre al titolare, lavorano tre catsitter. “Sono come le babysitter dei bambini, però si occupano di gatti!”, precisa sorridendo il responsabile della struttura. Certo, bisogna pulire le stanze e cambiare la lettiera, in modo che l’ambiente sia sempre impeccabile, ma il bello di questo lavoro consiste nel coccolare i 84
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mici, spazzolarli, giocare con loro e nutrirli. Gli ospiti vengono alimentati secondo le indicazioni fornite da ciascun proprietario e hanno a disposizione acqua e cibo sia nelle proprie stanze, sia nell’area comune. Infine, come in un qualsiasi hotel, ci si deve occupare delle prenotazioni, dell’accoglienza clienti e dei check-out. In albergo vengono accettati gatti domestici in ottime condizioni di salute, ma se nel corso del soggiorno dovessero avere dei problemi, i gestori hanno dei veterinari di riferimento pronti a intervenire in caso di necessità. Sembra che i parigini abbiano apprezzato la trovata geniale di Gauthier Berdeaux e che siano in tanti 86
ad affidargli senza indugio i propri amici pelosetti. L’80% della clientela risulta essere residente nella capitale o comunque della zona. Gran parte di loro sono persone che devono allontanarsi spesso per motivi di lavoro e che hanno trovato nell’Aristide Hotel un punto di riferimento, mentre altri si rivolgono all’albergo quando devono partire per un classico viaggio di piacere. Infine capita che i clienti affidino i loro gatti ai catsitter parigini in momenti particolari, in cui hanno bisogno di maggiore libertà, come nel corso di un trasloco o mentre vengono svolti lavori di ristrutturazione nell’appartamento in cui risiedono. Per gli abitanti di Parigi, insomma, l’hotel per gatti pare essere ormai una comodità facilmente fruibile. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Non sono però gli unici a godere di questo speciale servizio: a usufruirne sono talvolta anche i turisti che, arrivati in città con i gatti al seguito, non hanno la possibilità di farli accettare in un hotel tradizionale. È chiaro che, di questi tempi, spostarsi e prendere l’aereo o i mezzi pubblici in compagnia di un animale domestico risulta essere piuttosto complicato per un viaggiatore, però, come sottolinea Gothier, “tutti i gatti sono benvenuti, compresi quelli dei turisti, e noi siamo sempre disponibili ad accoglierli”. A questo punto, vi starete chiedendo se una location del genere, nel centro di Parigi, dove i cuccioli possono soggiornare e avere tutte le attenzioni, sia PIANETA QUATTRO ZAMPE
davvero accessibile a tutte le tasche. È presto detto. I prezzi vanno dai ventisei euro per un posto in una doppia, ai quaranta euro per la suite, nella quale potrebbero alloggiare anche due gatti della stessa famiglia. Esistono poi dei pacchetti per i soggiorni più lunghi o delle offerte speciali per i week-end. Dunque, se state programmando un viaggio nella romantica Parigi, ma non vi decidete ad acquistare i biglietti perché non sapete a chi affidare i vostri gattini, potete prendere in considerazione la possibilità di regalare, anche ai vostri mici, un piacevole soggiorno all’ombra della Tour Eiffel.
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