Editoriale In questo numero, le “quattro zampe” di cui la nostra rivista vi parla non si aggirano solamente nelle strade di casa o nei nostri cortili. Le terre su cui risuona l’eco dei loro passi sono lontane e affascinanti, ma inevitabilmente “vicine” per chi ha a cuore gli animali selvatici che ancora regalano bellezza al pianeta e l’equilibrio dell’ecosistema. Si tratta della Namibia e dell’India, rispettivamente patria di ghepardi a rischio e di elefanti afflitti dalla pericolosissima riduzione dell’estensione di terra identificabile effettivamente come “habitat naturale”. Volgiamo quindi lo sguardo verso il continente africano e verso quello asiatico, scoprendo i grandi progetti delle organizzazioni che, con mezzi concreti e risultati visibili, si impegnano per modificare quelle condizioni ambientali che ostacolano la sopravvivenza della fauna selvatica e la meravigliosa ricchezza rappresentata dalla biodiversità. D’altra parte, non dimentichiamo certo i quattrozampe che rendono più bella la nostra vita di tutti i gior-
ni. Entriamo così nel mondo del gatto Nebelung, del gatto Bombay, del Bracco Italiano e del Rhodesian Ridgeback. In più, faremo un nuovo tuffo nel mondo dei volatili da affezione, guidati dal nostro esperto Francesco Chieppa. Ultima, ma non certo per importanza, la nostra “storia del mese”, quella raccontata dalla sorprendente mostra fotografica “1914-18. Truppe silenziose al servizio degli eserciti”. Serenella Ferrari e Susanne Probst, curatrici dell’esposizione, ci raccontano alcuni degli aneddoti più toccanti legati ai “compiti” che gli animali più vicini all’uomo hanno avuto durante i conflitti armati e, in particolare, durante la Grande Guerra. Scoprirete la storia di gatti che facevano da antidoto alla densa amarezza della vita in trincea, cani addestrati per segnalare i soldati sopravvissuti, piccioni pluridecorati come eroi di guerra. Per quali imprese? Non vi resta che scoprirlo tra le pagine di Pianeta Quattro Zampe.
ANCHE QUANDO LA REALTÀ FA PAURA, C’È UNA FORZA CHE PUÒ TRASFORMARLA. E RENDERLA MAGICA COME UNA FIABA. LA STORIA DELL’OCA CORAGGIOSA CHE HA COMMOSSO L’ITALIA SUPERANDO IL PEGGIORE DEGLI INCIDENTI. www.beccodirame.com
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Rubrica Appuntamenti Expo - Le 32 strutture certificate dal Comune di Milano Ghepardi, bellezza da salvare (e da studiare) Quello sguardo che ti ricorda l’Africa
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Il bracco italiano, orecchie lunghe, fiuto e intelligenza
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Piccole pantere nere tutte muscoli Gatti Nebelung, creature della nebbia Londra, gli elefanti da salvare e la corsa dei risciò multicolor Alla scoperta del Diamante mandarino
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Guerre umane, soldati a quattro zampe
L’educatore cinofilo ai tempi dei corsi facili
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INFO
info@enci.it
sede@anfitalia.it
Ente Nazionale della Cinofilia Italiana
Associazione Nazionale Felina Italiana
ESPOSIZIONI CANINE Esposizioni Nazionali
06.09
Caltanissetta - Gruppo Cinofilo Caltanissetta Tel. 0934 23253
20.09
Monza - Gruppo Cinofilo Monzese Corona Ferrea - Tel. 039 360321
06.09
Castellamare di Stabia (Na) - Gruppo Cinofilo Stabiese - Tel. 3487019680
20.09
Venezia - Associazione Cinofila Serenissima Tel. 041 5411083
06.09
Treviso - Gruppo Cinofilo Trevigiano Tel. 0422 235998
26.09
Montichiari (Bs) - Gruppo Cinofilo Prov. Lecchese - Tel. 0434 366726
12.09
Rapallo - Gruppo Cinofilo Tigullio e Grande Genova - Tel. 0185 56947
26.09
Roma - Gruppo Cinofilo Capitolino Tel. 06 2334325
13.09
Bologna - Circolo Cinofilo Bolognese Tel. 051 4170068
27.09
Catania - Gruppo Cinofilo Etneo Tel. 095 2545385
13.09
Oristano - Gruppo Cinofilo Oristanese Tel. 0783 358153
27.09
Macerata - Gruppo Cinofilo Maceratese Tel. 0733 4932020
13.09
Savona - Gruppo Cinofilo Savonese Tel. 019 881139
27.09
Roma - Kennel Club Roma Tel. 340 1241954
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Esposizioni canine e feline
Esposizioni Internazionali
26.09
26/27.09 Biassono (MB) - Federazione Italiana Associazione Feline - www.starcats.eu
Siracusa - Gruppo Cinofilo Siracusano Tel. 0931 1967034
03/04.10 Casale Monferrato (Al) - Casiraghi - Anfi
27.09
Montichiari (Bs) - Gruppo Cinofilo Bergamasco - Tel. 035 4175207
17/18.10
03.10
Chieti - Gruppo Cinofilo Pescarese Tel. 085 2056749
24/25.10 Chivasso (To) - Fiaf
04.10
Chieti - Gruppo Cinofilo Chieti Tel. 087 1346447
10/11.10
Bastia Umbria (Pg) - Gruppo Cinofilo Perugino Tel. 075 5056986
17.10
Gravina in Puglia (Ba) - Gruppo Cinofilo Lucano - Tel. 335 8308659
18.10
Gravina in Puglia (Ba) - Gruppo Cinofilo Materano - Tel. 333 4937489
24.10
Messina - Gruppo Cinofilo Reggino Tel. 0965 332599
25.10
Messina - Gruppo Cinofilo Peloritano Tel. 090 2923822
31.10
Busto Arsizio - Gruppo Cinofilo Bustese Tel. 0331 1629362
www.expofeline.com Bari - Club 94 www.club94.it www.fiafonline.it
ESPOSIZIONI FELINE Esposizioni Internazionali
05/06.09 Caravaggio (Bg) - Federazione Italiana Associazioni Feline - www.fiafonline.it
12/13.09 Erba (Co)-Paolo Gianfranchi - Anfi www.esposizioni.org
26/27.09 Reggio Emilia - Associazione Star Cats - Anfi www.starcats.eu
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Le 32 strutture certificate dal Comune di Milano alle quali è possibile affidare i vostri amici a quattro zampe mentre visitate Expo 2015 4
Asili per cani Asilo Nido Via dei Missaglia,59
Ass.ne sport.Dilett. Caninmente Via F.Palizzi
Bau Club snc Via G.B.Piranesi,35
Doggy Club sas Via Savona.127
Happy Bau –Urban Dog Resort Via Argelati,35
Happy school di S.Borri Via Mosè Bianchi, 11
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strutture certificate dal Comune di Milano
Attenti al gatto s.a.s. Agrituristica Via G.B. Grassi, 69
Az.Agric.Agritur.di Campi Carlo Via F.lli Rizzardi, 15
Bubi e Pupe di Paola Restani C.so San Gottardo, 28
Carbonai Giuseppe Via Lessona,2
Ciao Cucciolo Via Palmanova,67
Ciao Cucciolo di Milani Alberto Via Lippi,10
Il Cinofilo Via Carpi, 5
I Sogni di Pluto s.a.s. C.so di Porta Romana,19
L’Arca di Mariani Daniele Via Martinengo,2
L’Isola verde s.a.s Via Maro Aurelio,49
Magic cat’s hotel I dog you snc
Via Della Valle,20
Via Capecelatro,41
Medivet di Tesse Francesco
Veronica Villa
Via Marco Bruto,24
Via Perugino,8
Strutture anche per altri animali
Miciolandia Viale Umbria, 36
Mirtillo Via Fraschini, 8
Amicio mio
Mondo Gatto di Ghirardi Lorella
Via Esiodo, 7
Via Schievano,15
Animal One
Nicoli’s Zoo
Via Lazzaretto, 16
Via Mosca,153
Animal One s.n.c. di Bachis Silvia
Nuovo Zoo Bergognone
C.so di Porta Nuova, 52
Via Bergognone,27
Animal City
Rettilandia
Via Binda,45
Via Melloni,19
A.r.c.a. di Ragazzi Fernando
Tropical Blu di Signorini U.
Via Teodosio, 67
Via Gianella,26
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Ghepardi, bellezza da salvare (e da studiare)
Ghepardi, bellezza da salvare (e da studiare) Pianeta Quattro Zampe incontra Laurie Marker, fondatrice del Cheetah Conservation Fund (CCF) ed esperta di ghepardi di fama mondiale. Sara Chessa
Un conflitto con una posta in gioco molto alta, quello tra umani e animali selvatici. Come accade a tante altre specie, ciò che in questa contrapposizione i ghepardi rischiano di perdere è, infatti, la base stessa della loro esistenza sul pianeta: l’habitat naturale. Ne abbiamo parlato con Laurie Marker, zoologa americana che da oltre quarant’anni combatte la sua battaglia per la salvaguardia di questi grandi felini. Era infatti solamente il 1974, quando Laurie si trasferisce in Namibia e, a circa 50 km da Otiwarongo, acquista una notevole estensione di terreno, che diventerà la base del CCF, il Cheetah Conservation Fund, Fondo per la conservazione del Ghepardo. Una scelta non casuale: la Namibia è, infatti, sede della comunità di ghepardi più numerosa al mondo. 6
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Ghepardi e allevatori Conversando con la dottoressa Marker, scopriamo che i ghepardi necessitano di una notevole estensione di spazio vitale. “Tendono a vivere fuori dalle riserve naturali, in quanto in queste ultime non sono abbastanza estese per loro”, ci spiega. Non è tuttavia l’unico motivo per cui i ghepardi disertano queste aree idealmente finalizzate a favorire la conservazione delle specie. Al loro interno, infatti, può accadere che altri grandi predatori rubino le loro prede o che uccidano i loro piccoli. Dove si riversano dunque i ghepardi? Lungo terreni che comprendono anche le fattorie degli allevatori locali. Ed eccoci al punto chiave: la convivenza non è sempre facile. Anzi, un 8
singolare equivoco fa sì che gli allevatori sviluppino una particolare diffidenza verso il felino. “Il ghepardo caccia anche di giorno”, spiega la nostra intervistata. E prosegue: “Questo comporta che gli allevatori incontrino più di frequente i ghepardi, rispetto ad altri animali che cacciano solamente durante la notte. Di conseguenza, nella loro percezione il ghepardo è spesso identificato come responsabile di gran parte delle perdite di bestiame dovute alla predazione”. In più, la competizione continua anche su un altro fronte: quello del territorio. Se chi alleva è alla ricerca di nuovi possibili spazi per il pascolo, il ghepardo ha bisogno invece di ampliare l’area entro la quale effettua le sue operazioni di caccia. Queste ragioni di conflittorgh rappresentano così una sfida per il CCF PIANETA QUATTRO ZAMPE
e per chiunque abbia a cuore il superamento positivo della contrapposizione tra prerogative degli umani e necessità dei ghepardi.
Ghepardi e commercio illegale di animali Diecimila esemplari. Questa è la cifra che si raggiunge facendo il censimento complessivo dei ghepardi sul pianeta. Un dato allarmante, legato anche al commercio illegale di animali. “Ogni anno vengono portati via al loro habitat circa trecento cuccioli. Di questi, cinque su sei moriranno entro pochi mesi”, spiega Laurie Marker. Facile dunque comprendere che, riducendo il traffico di piccoli di ghepardo, PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Ghepardi, bellezza da salvare (e da studiare)
sarebbe certamente più facile proteggere questo grande felino e scongiurarne l’estinzione.
Il CCF e l’approccio olistico Ricerca, istruzione e conservazione. Facile intuire che si tratta degli obiettivi essenziali del Cheetah Conservation Fund. Tuttavia, c’è una caratteristica che contraddistingue i progetti di questa organizzazione: l’ottica olistica. Ovvero, considerare l’intero nella sua complessità e non semplicemente le prerogative di una delle due parti del conflitto uomo/natura. Seguire questo tipo di approccio significa, insomma, considerare allo stesso tempo i bisogni delle popolazioni locali e le necessità della fauna selvatica, cercando di creare un equilibrio tra queste, tenendo conto della terra e dell’ecosistema che questi due mondi condividono. Essenziale, in questo percorso, la ricerca scientifica condotta dal CCF negli ultimi venticinque anni e da Laurie Marker negli ultimi quarant’anni.
Il cane da guardia per il bestiame. Uno dei successi del CCF “Nel 1994 abbiamo introdotto in Africa l’utilizzo del cane da guardia per il bestiame, che si è rivelato uno dei più utili strumenti per mitigare il conflitto tra agricoltori e ghepardi”, spiega la nostra intervistata. A questo scopo, il CCF alleva e addestra grossi cani appartenenti a razze rientranti nel gruppo dei cani da pastore dell’Anatolia, tra cui il Kanglas. Si tratta di cani aggressivi e di taglia notevole. Inoltre, il loro abbaio è abbastanza forte da intimorire e scoragPIANETA QUATTRO ZAMPE
giare il ghepardo, che non ha di per sé un marcato istinto all’ingaggio di lotte. E, nel caso tale istinto dovesse farsi vivo, queste tipologie di cani non si tirerebbero indietro. “Gli allevatori che utilizzano un cane da custodia fornito dal CCF segnalano una riduzione delle perdite da predazione che va dall’80 al 100%”, racconta la nostra esperta. E i dati positivi non sono finiti. “Negli ultimi 20 anni”, spiega, “abbiamo consegnato agli allevatori più di 650 cani, contribuendo a iniziare programmi simili in Botswana, in Sud Africa e, più recentemente, in Tanzania”.
La lotta contro l’invasione del cespuglio Bush Project, ovvero lotta contro l’invasione del cespuglio. Un’azione che il CCF porta avanti con l’obiettivo di recuperare quei milioni di ettari di terreno che in passato fungevano da habitat per i ghepardi e che sono poi stati “invasi” dai cespugli. Le ragioni dell’impossibilità di “coesistenza” tra questi ultimi e il nostro grande felino? Le esplosioni di velocità che il ghepardo utilizza nei momenti di caccia. Queste richiedono savana aperta o semi aperta. E non è solamente un problema di difficoltà nell’appropriarsi delle prede. Gli addensamenti di piante tendenzialmente spinose possono causargli infortuni, specie agli occhi. “Per ripristinare l’habitat è necessario reintrodurre nell’ecosistema specie come la giraffa e il rinoceronte nero, che si nutrono di senegalia”, spiega la dottoressa Marker. Senegalia, ovvero la pianta identificata come 11
principale responsabile del problema. “La senegalia impedisce all’erba di crescere e impoverisce la falda sotterranea”, continua la nostra intervistata. “Un altro strumento contro l’invasione del cespuglio è il “Bushblock”. È questo il nome commerciale di un combustibile da biomassa prodotto dalla senigalia. Una fonte sostenibile di energia pulita, per i popoli sub-sahariani, la maggior parte dei quali non possiede l’elettricità. Grazie al Bushblock, è per esempio possibile riscaldare le case. E le conseguenze si vedono anche sul piano economico: la fabbrica di bushblock a cui il CCF ha dato vita, riesce a dare un impiego a quaranta residenti della comunità locale. 12
Favorire lo sviluppo locale, favorire i ghepardi “Il miglioramento del rapporto tra ghepardi e umani passa anche attraverso lo sviluppo dell’economia locale”, sostiene la dottoressa Marker. Per questa ragione, il CCF ha avviato un programma ormai molto popolare in Namibia, chiamato “Future farmers of Africa”. Attraverso corsi di formazione portati avanti anche nei villaggi più remoti, il CCF trasmette alle popolazioni locali tecniche integrate di allevamento e gestione della fauna selvatica, ma anche conoscenze e competenze più prettamente economiche, PIANETA QUATTRO ZAMPE
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come quelle legate alla commercializzazione dei prodotti del loro artigianato tra i turisti che visitano la Namibia attratti dalla bellezza della fauna selvatica. “Abbiamo osservato”, spiega la nostra zoologa, “che le persone con mezzi di sussistenza più sicuri sono più propense a proteggere la fauna selvatica piuttosto che a vederla come un pericolo”.
Come aiutare il CCF Abbiamo parlato dei tanti progetti con cui il Cheetah Conservation Fund si impegna per aiutare tanto i ghepardi quanto l’ecosistema complessivo che li PIANETA QUATTRO ZAMPE
ospita e le popolazioni che con essi lo condividono. A questi si aggiungono anche i programmi di formazione che l’organizzazione ha attivato per gli studenti, in particolare presso le università. Se tuttavia vi state chiedendo come fare la vostra parte ed essere voi stessi a dare un contributo in prima persona, abbiamo per voi alcuni suggerimenti. “La consapevolezza della situazione del ghepardo è il primo passo per salvarli da un triste destino”, spiega la dottoressa Marker. Il primo consiglio è dunque quello di visitare il sito del CCF (http://cheetah.org) e di apprendere di più su questo felino, diffondendo poi le informazioni tra i propri amici e conoscenti. Sulla stessa pagina web è poi possibile acquistare prodotti che finanziano i progetti di conservazione, come t-shirt e altri gadget. Laurie Marker invita però i più motivati a visitare la sede del CCF, aperta tutti giorni e tutto l’anno, ad eccezione del giorno di Natale. “Esiste anche la possibilità di pernottamento presso la nostra struttura, per chi volesse trattenersi più giorni”, spiega. E rivela: “Per chi volesse poi impegnarsi come volontario nei nostri progetti, esiste anche la possibilità di fermarsi qui per qualche giorno, per diverse settimane o anche per qualche mese”. Infine, un appello. “Anche chi è lontano può fare molto, attraverso il proprio stile di vita”, afferma la Marker. Attraverso scelte più consapevoli è insomma possibile innescare un circolo virtuoso che potrà ripercuotersi sulla vita della fauna selvatica africana. “Già solamente riducento il consumo di combustibili fossili”, conclude la nostra intervistata, “faremmo un mondo di bene ai ghepardi”. 13
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Quello sguardo che ti ricorda l’Africa Giovanna Giovanna Bacchini Carr, allevatrice dal 1978, ci racconta la sua esperienza con il Rhodesian Ridgeback. Astrid Blake
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Vent’anni trascorsi nello Zimbabwe, trentasette anni di allevamento all’attivo e sette Rhodesian Ridgeback in giro per casa: questi sono i numeri di Giovanna Bacchini Carr, titolare dell’allevamento Cime Bianche. Quando la contattiamo, lo ammette: qualche Rhodesian Ridgeback l’ha conosciuto, in questi anni. Così, ci racconta la sua esperienza con questi cani, originari dell’Africa meridionale. Per la precisione, come il nome stesso dice, la loro patria è la Rhodesia, regione che per tanto tempo ha dato il nome a quella che oggi chiamiamo Repubblica dello Zimbabwe.
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Il carattere Forte e testardo, ma equilibrato e capace di rispondere molto bene all’addestramento: così Giovanna ci descrive il Rhodesian Ridgeback. “Sono cani che sono nati per vivere in fattoria, dunque vivere in appartamento non rappresenta il massimo della vita, per loro”, spiega. E, su questo, la nostra intervistata è molto chiara: “Esistono 360 razze, una buona parte delle quali costruita apposta per vivere in spazi ridotti, non vedo per quale ragione uno dovrebbe prendersi in appartamento un cane di 50 Kg”. Incuriositi, le chiediamo che tipo di persone prendano in 18
considerazione di adottare un cucciolo di Rhodesian Ridgeback. “Spesso a prenderlo sono coloro che amano anche i cavalli. Si combinano bene con i cavalli delle scuderie. Si tratta soprattutto di gente che abita in campagna. Certo, anche qualcuno che abita in città”. , Tuttavia la gestione di un Ridgeback in città è complessa. “È un cane che va educato”, spiega Giovanna. E ribadisce: “Un cane di questa mole maleducato diventa un peso e non un piacere”. Diversi i fattori importanti nello sviluppo di un’indole equilibrata. “Per una certa percentuale a contare è il carattere dei genitori, ma hanno grande importanza anche l’ambiente in cui vengono cresciuti nei primi PIANETA QUATTRO ZAMPE
60 giorni e il proprietario che lo segue nell’infanzia e nell’adolescenza”. Riflettendo sulla vita nei tempi moderni, ci domandiamo se il Rhodesian Ridgeback possa soffrire la solitudine, se inserito in un contesto in cui tutti gli umani sono impegnati in gran parte della giornata in delle attività fuori dal contesto domestico. La risposta della nostra esperta è affermativa. “È possibile che il Ridgeback soffra la solitudine. È in grado di autogestirsi in misura notevole, ma ha bisogno dell’essere umano vicino”. Tuttavia, è opportuno che venga educato a saper stare da solo, almeno per un certo tempo. “È una delle prime cose che bisogna insegnargli, essere capace di stare da solo”, spiega PIANETA QUATTRO ZAMPE
Giovanna. “Glielo si insegna giorno dopo giorno, lo si lascia solo cinque minuti, il giorno dopo dieci minuti e così via”.
Un fisico bestiale. Le caratteristiche fisiche dei Rhodesian Ridgeback Il Rhodesian Ridgeback si contraddistingue per una singolare caratteristica: una evidente cresta di peli che crescono in senso contrario al resto del mantello, lungo tutto il dorso. Il luminoso mantello può essere di colore fulvo chiaro o rossiccio, con un pelo corto e fitto, liscio al tatto. Se i maschi arrivano ai 66 cm 19
di altezza, le femmine si fermano invece a 63,5 cm. Muscolosi e dotati di grande resistenza fisica, raggiungono da adulti un peso medio di 33 chilogrammi per le femmine e 36,5 per maschi, che, in alcuni casi, possono toccare addirittura i 40 kg. Noti per la loro velocità nella corsa, possono addirittura sfiorare gli 80 km orari. Alla testa di grandi dimensioni fa riscontro un cranio piuttosto piccolo, con muso allungato, tartufo nero o marrone, orecchie pendenti. A colpire sono gli occhi dalla forma rotonda, caratterizzati da una particolare brillantezza. Dorso e arti sono possenti e muscolosi, mentre la coda, più grossa alla base, si assotiglia verso la punta.
Salute Il Rhodesian Ridgeback è in genere un cane longevo, con un’aspettativa di vita media intorno ai 12 anni. Rustico e resistente alle malattie, può tutt’al più risentire di una patologia genetica nota come fistola dermoide, un’apertura tubulare della cute che connette gli strati più profondi con la superficie cutanea, arrivando in alcuni casi a interessare addirittura la 20
spina dorsale. Un altro problema di cui la razza può risentire è la displasia dell’anca. Si tratta tuttavia di patologie che possono essere tenute sotto controllo attraverso un’accurata selezione. “In particolare, la fistola dermoide viene in genere diagnosticata alla nascita o nelle prime settimane di vita”, spiega Giovanna. E aggiunge: “Tra i due mesi e mezzo di età e i tre, si può intervenire chirurgicamente. In seguito il cane non ne soffre più, ma noi allevatori lo escludiamo dalla riproduzione”.
Cure e benessere Il mantello a pelo raso non richiede particolari cure. Un accorgimento che invece Giovanna segnala come necessario è quello di mantenere la regola dei due pasti al giorno. Il Ridgeback, infatti, come tutti i cani dal torace profondo, può essere soggetto a torsione dello stomaco. Uno dei consigli utili per prevenire quest’ultima ed evitare l’ostruzione dell’apparato digerente è, appunto, quello di mangiare e bere varie volte al giorno, ingerendo però in ciascun pasto scarse quantità di cibo e acqua. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Quello sguardo che ti ricorda l’Africa
Per saperne di più.. Nome: Origine: Peso: Altezza: Carattere: Muso: Orecchie: Occhi: Collo: Colore: Tartufo: Coda: Colore: Pelo:
Arti: Tronco: Caratteristiche:
Rhodesian Ridgeback Sudafrica maschi 37 Kg - femmine 32 Kg maschi 63/69 cm - femmine 61/66 cm vivacissimo, molto allegro e coraggioso - indipendente e intelligente dovrebbe essere di buona lunghezza, piatto e largo fra le orecchie la testa a riposo dovrebbe essere esente da rughe attaccate piuttosto alte - di media grandezza rotondi - colore in armonia con il mantello lungo e forte dal grano chiaro al grano rosso. Ammesso un po’ di bianco sul petto e sulle dita nero o marrone. Il tartufo nero deve abbinarsi a occhi scuri, il tartufo marrone a occhi color ambra portata con una curva verso l’alto, mai arrotolata dal grano chiaro al grano rosso. Ammesso un po’ di bianco sul petto e sulle dita corto, fitto, liscio, brillante. Subito dietro le spalle inizia la caratteristica cresta di pelo che deve contenere al suo inizio due corone identiche opposte l’una all’altra. La cresta è la caratteristica distintiva della razza forti, di buona ossatura con forme simmetriche - capace di resistenza e rapidità cio’ che rende unica la razza è la tipica e particolarissima cresta sul dorso
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Il bracco italiano, orecchie lunghe, fiuto e intelligenza Vanna Chessa
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Non tutti sanno che il bracco italiano, insieme allo spinone italiano, è l’unico cane da ferma originario del Bel Paese. Nato come ausilio ideale per la caccia agli uccelli, si è rivelato nel tempo anche un ottimo e fidato esemplare da guardia. Ma il suo curriculum di tutto rispetto affonda le radici in epoche ben più remote, poiché questo cucciolone dallo sguardo dolce e il carattere docile era conosciuto già nell’Antica Grecia. E, dopo aver inanellato diverse citazioni nelle opere di Senofonte e Dante Alighieri, la sua fama era giunta persino in Francia, dove, nel XV secolo, approdò alla corte del re. Purtroppo, come spesso capita, nel corso della sua lunga carriera il bracco italiano ha dovuto attraversare anche un periodo buio, fortunatamente circoscritto agli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Nello secolo scorso, infatti, attraverso una lunga e accurata selezione, gli allevatori sono riusciti PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Il bracco italiano, orecchie lunghe, fiuto e intelligenza
nuovamente a riprodurre e a diffondere esemplari capace di esprimere tutti i tratti peculiari della razza originale. E quali sono le caratteristiche tipiche di questa famiglia di amici a quattro zampe? Innanzitutto una corporatura forte, muscolosa ma al contempo armoniosa, con gli arti asciutti e la testa scolpita e dotata di cesello suborbitale. Il capo del cane è di grandi dimensioni, all’incirca i due quinti dell’altezza misurata al garrese che, a sua volta, risulta essere identica alla lunghezza del tronco. Dorso e petto sono ampi e le costole risultano ben cerchiate. I potenti arti culminano in zampe massicce e arrotondate, mentre la coda, dritta e robusta alla radice, tende a rastremarsi. Questo esemplare, catalogato tra i cani da ferma (gruppo 7), può raggiungere un’altezza compresa tra i cinquantacinque e i sessantasette centimetri e un peso massimo di quaranta chilogrammi. Gli occhioni, color ocra o marron (a seconda del mantello), non devono essere né infossati né sporgenti e, soprattutto, devono esprimere docilità. Le guance sono asciutte e le labbra superiori, cadenti ma mai flaccide, appaiono ben sviluppate. Lo stop è poco pronunciato e il tartufo, rosa o marron, è dotato di narici grandi e aperte. Le lunghe orecchie sono un tratto distintivo e, secondo lo standard, possono arrivare a sfiorare la parte anteriore del tartufo. Infine il manto, corto, fitto e lucente, può avere tre diverse combinazioni di colore: bianco-arancio; roano-marrone; bianco-marrone o melato (varietà rara e delicata). Adesso, che abbiamo ben chiara in mente la morfologia dell’animale, possiamo concentrarci sugli aspetti caratteriali e comportamentali. Secondo voi, 26
chi meglio di un amante della razza, allevatore da ormai oltre tredici anni, potrebbe descriverci le qualità del nostro bracco italiano? Nessuno. Per questa ragione abbiamo contattato Manuel Francesconi, titolare dell’allevamento Dei Colli Orientali di Udine. “Io provengo da una famiglia di estrazione contadina e amo particolarmente i cani da caccia – spiega l’esperto – il bracco italiano, un po’ per il carattere e un po’ per il suo aspetto, mi aveva sempre incuriosito. Poi, quando ho avuto modo di conoscerlo, mi ha immediatamente rubato un pezzetto di cuore”. Lui, come la maggioranza degli allevatori, vive a stretto contatto con i propri cani, condivide con loro l’ambiente domestico e offre loro un giardino in cui, se vogliono, possono trascorrere del tempo. A proposito, sarà mai possibile ospitare questi cuccioli extralarge esclusivamente in un appartamento? Secondo Francesconi non sarebbe la scelta migliore. Il bracco italiano ha bisogno di vivere a contatto con il padrone, quindi apprezza gli spazi abitativi del proprio umano, però ha la necessità di essere gestito in un certo modo, di muoversi e di avere un appuntamento quotidiano con la natura, giardino o parco che sia. “Come tutti i cani, se vengono abituati fin da piccoli, non dovrebbero soffrire di solitudine se per qualche ora del giorno stanno da soli, però preferirebbero di gran lunga trascorrere tutto il giorno in ufficio con il proprietario piuttosto che ritrovarsi da soli in un terreno di un ettaro – aggiunge l’esperto – è un cane che si adatta a tutto, ma l’ideale sarebbe dagli un po’ di sfogo”. Manuel Francesconi, oltre a una cucciolata appena venuta alla luce, ha ancora i due cani anziani con cui PIANETA QUATTRO ZAMPE
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aveva dato il via al suo allevamento e ha tenuto per sé anche un esemplare di ciascuna cucciolata portata a termine negli anni. Fedeltà assoluta alla razza, insomma. E quando gli viene chiesto cosa colpisce maggiormente del bracco italiano, lui afferma che “È un cane che o si ama alla follia o non piace. Qualcuno non ama la pelle, le orecchie lunghe e la natura un po’ sorniona. Io lo adoro, mi piace il suo odore, perché è particolare e non dà fastidio, e mi colpisce la grinta che sfodera quando, in campagna, entra in azione. Inoltre ha un modo di essere tutto suo, solo lo spinone riesce, in parte, ad avvicinarsi”. Sono animali molto attaccati al padrone e alla famiglia. Fin da cuccioli riescono a comprendere le esigenze del nucleo familiare e a comportarsi di conseguenza. 28
“Ho visto un cucciolo di otto mesi che sembrava un cane di otto anni, cosciente del suo ruolo, camminava accanto alla carrozzina di un neonato senza tirare il guinzaglio. Io avevo ancora la sorellina in casa, sarebbe dovuta essere più matura e invece a confronto sembrava una bambina”. Brillanti, intelligenti, docili e addestrabili. Ma anche giocherelloni, affettuosi, seri e posati. Una lunga sfilza di aggettivi che, secondo l’esperto, non sono comunque sufficienti a esprimere tutti gli aspetti di dolcezza ed equilibrio tipici del cane. “Sanno come porsi in tante situazioni e questo va oltre l’intelligenza”, commenta Francesconi. Già, e inoltre hanno uno sguardo umano, sono attenti alle sfumature e sono sempre pronti a dedicare attenzioni al proprio padrone quando ne ha bisogno, magari PIANETA QUATTRO ZAMPE
Per saperne di più.. Nome: Origine: Altezza: Peso: Carattere: Testa: Coda: Occhi: Collo: Mantello:
Orecchie:
Bracco Italiano Italia maschi tra i 55 e 67 cm - femmine tra i 55 e 62 cm tra i 25 e 40 Kg in proporzione all’altezza resistente ed adatto a qualsiasi genere di caccia, serio, intelligente, docile con grande capacità di apprendimento angolosa, stretta alle arcate zigomatiche, la sua lunghezza misura i 4/10 dell’altezza al garrese robusta alla radice, dritta. Quando il cane è in movimento e soprattutto in cerca è portata orizzontalmente o quasi in posizione semilaterale, esprimono docilità forte, tronco conico di lunghezza non inferiore ai 2/3 della lunghezza della testa bianco, bianco con macchie più o meno grandi e di colore arancio o ambra, bianco con macchie di colore marrone, bianco punteggiato di arancio pallido bianco punteggiato di marrone ben sviluppate, con attacco piuttosto arretrato
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mostrando il proprio affetto posando la testa sulle sue gambe. Nonostante le grandi dimensioni sono molto posati. I cani adulti risultano essere più tranquilli rispetto a quelli più giovani, che manifestano l’esuberanza e la gioiosità propria dell’età. Talvolta, i cani impiegati nelle attività venatorie, tendono ad avere un carattere forte, mentre il bracco italiano non diventa mai aggressivo. Un’altra interessante dote della razza è l’assenza di problemi e tare ereditarie. L’unica patologia ricorrente può essere la torsione dello stomaco che, come abbiamo appreso in più occasioni, è la croce di tutti i cani di grossa taglia. Si tratta però di una problematica evitabile con alcune precauzioni, come la suddivisione del pasto in più momenti nell’arco della giornata. E riguardo all’alimentazione, qual è il menu ideale per questi esemplari? L’allevatore suggerisce i prodotti industriali di qualità, “Sia per questioni di comodità sia per motivi di garanzia, poiché ho la certezza di garantire determinati contenuti agli animali. Il bracco italiano è un po’ delicato, ha una crescita molto rapida e bisogna stare attenti perché 30
certi errori possono compromettere gli appiombi e la salute. Io, a parte una fase iniziale dove integro con un po’ di carne fresca macinata, utilizzo i mangimi, che non mi hanno mai dato problemi”. Il pelo del bracco italiano, a differenza del cugino spinone, non richiede particolari cure. Potrebbe essere definito autopulente, visto che, quando il cane si asciuga, basta passare un semplice panno sul pelo per renderlo lucido e asciutto. Maggiori cure richiedono invece le lunghe orecchie, la cui pulizia si compie con l’ausilio di un prodotto specifico e, anche in questo caso, di un panno morbido. Si tratta, fortunatamente, di una pratica che non presenta alcuna difficoltà e che si porta a termine in appena dieci minuti. Se ancora non vi siete del tutto innamorati della razza, sappiate che per conquistarvi il bracco ha un ultimo asso nella manica: la sua andatura. Il suo passo naturale è il trotto, proprio quello che molti altri cani apprendono solo dopo un lungo addestramento. È una movenza particolare, che consente loro di vincere numerose esposizioni e di far breccia nel cuore dei potenziali nuovi padroni, voi lettori compresi! PIANETA QUATTRO ZAMPE
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L’educatore cinofilo ai tempi dei corsi facili Con Marcello Cotugno, scopriamo il mondo degli educatori cinofili odierni. Passione, studio e occhio critico verso i percorsi formativi a tempo di record. Sara Chessa
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Marcello, ci sembra di capire che il termine “addestratore cinofilo” non è più adeguato per descrivere il vostro lavoro. Non è che sia un termine datato. È un po’ come nelle tribune sanitarie: le caposala e i dirigenti oggi si chiamano “management”. Cambiano i termini. In ambito cinofilo, la parola educatore sta prendendo sempre più piede. Ci troviamo però in una fase in cui, purtroppo o per fortuna, il cane è anche business, vengono “prodotti” educatori a nastro: tutti questi corsi spesso promettono lavori sicuri, cosa che non è vera, sguinzagliano educatori con zero esperienza, che magari non hanno neanche un cane e che spesso vanno a insegnare cose che hanno solamente letto. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Proliferano insomma gli organizzatori di corsi, ma non tutti assicurano la qualità della formazione. C’è un po’ un far-west, negli ultimi cinque anni in particolare: tantissime associazioni più o meno riconosciute, più o meno valide, producono questi corsi a cifre neanche basse, c’è un business. In Italia ancora non esiste nessuno che può dire che tu puoi fare l’educatore, manca una regolamentazione vera e propria, quindi è una jungla dove uno si inserisce come può. Io sono il presidente della mia associazione e, se domani voglio fare un corso per educatore, lo posso fare tranquillamente. Ci sono tuttavia ragazzotti, giovani e non solo, che con un diplomino facile commettono spesso qualche bel danno. Tieni presente che, addirittura, qualcuno produce anche corsi online per educatori. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Insomma, la situazione è disperata ma non è seria. Son corsi che superano i tremila euro per una formazione di sei mesi. È anche una formazione discreta, il problema è che c’è dietro un business non indifferente.
Il problema è solamente il business o ne risente anche la qualità dell’insegnamento? Assolutamente! È come se un chirurgo dovesse imparare a fare una coleicistectomia, asportazione della coleicisti, leggendo un libro. Molti di coloro che frequentano questi corsi non fanno tirocinio, il tutor numero uno è il proprio cane e questi spesso 35
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non hanno neanche il cane. Si confrontano con una parte teorica ricchissima – che spesso e volentieri ha anche poco senso – e con una parte pratica poverissima. Tuttavia, la parte pratica con i cani deve passare attraverso il tempo. Serve molto tempo: devi conoscere cani su cani, soggetti su soggetti, razze su razze, realtà su realtà. L’ultima cosa che io imparerò, la imparerò domani o fra trent’anni. Lo dico sempre a coloro che si formano attraverso di me: “Ragazzi, per imparare a lavorare coi cani bisogna prendere i morsi”.
intento è quello di avere una casa in Sardegna, ha sbagliato tutto. Lo stesso vale per l’educatore cinofilo e per l’educatore in genere. Soprattutto nei confronti del cane, tu devi arrivare a parlare con quell’animale. Devi entrare nel suo modo di ragionare e di comunicare, negli istinti, negli impulsi. Per questo hai bisogno di tempo, pazienza, passione.
Ragazzi che “non hanno preso morsi”, ma vanno a insegnare ai proprietari di cani come gestirli. È questo il problema?
Assolutamente sì. Ci sono associazioni appoggiate dalle istituzioni. Mi viene da pensare all’Enci, l’Ente Nazionale Cinofilia Italiana, perché da qualche anno anche loro stanno mettendo in moto percorsi di formazione. C’è la formazione universitaria, con master sull’educazione. La mia opinione è che, al momento, la formazione produce tantissimi educatori ma anche tantissimi incapaci. Anche perché l’educatore deve avere dei requisiti, deve essere portato per fare l’educatore. La prima necessità è quella di avere la passione per il cane, ma non solo. Serve anche la capacità di relazionarsi con il cane, di leggere il cane e soprattutto la capacità di comunicare coi proprietari. Perché io, per arrivare al cane, passo sempre per i proprietari.
Il grande problema di una formazione senza momenti di pratica è proprio questo: vengono fuori educatori che purtroppo hanno già tutte le abilità in mano. Queste abilità vengono passate ai proprietari, che spesso e volentieri non si trovano bene e non portano più il cane a scuola. È una cattiva pubblicità che danneggia quella che potrebbe essere un’educazione più seria.
In ambito etologico, “educare” significa “modellare e orientare comportamenti naturali dell’animale”. Stiamo prendendo poco sul serio lo studio che questo intento richiede? Se uno fa il medico perché vuole guadagnare e il suo 36
Esistono delle istituzioni affidabili, nonostante tu mi abbia parlato di una carenza di regolamentazione?
In mezzo a questo proliferare di corsi e corsetti, c’è qualche misura che si potrebbe prendere per far si che non si generi questo scenario abbastanza tragico? Sarebbe possibile fare una PIANETA QUATTRO ZAMPE
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selezione all’ingresso all’interno di questi corsi? Qualcuno lo sta già facendo, tuttavia chi rinuncia a tremila euro di guadagni? Cominciano a esserci dei rimandati, ma bocciati non ce ne sono. Non sono io la persona più adatta per arrivare a capire quale sarebbe il metodo migliore per arrivare a regolamentare tutto ciò, mi viene però in mente in questo momento che noi viaggiamo ancora su ordinanze ministeriali (del Ministero della Salute) che hanno una scadenza e magari ogni due anni cambiano. Tra queste ordinanze ce ne è una datata 1954, della Polizia veterinaria, dove venivano regolamentati l’utilizzo del guinzaglio e della museruola. Queste disposizioni sono ancora lì. Non si ha voglia di creare delle leggi nuove ad hoc e questo mette in moto le associazioni. 38
Per esempio? Io ho un progetto carinissimo con il comune di Peschiera del Garda, perché ho un sindaco che adora i cani. Con questo progetto ci prendiamo cura dei cani smarriti, dei cani che vengono in vacanza sul Lago di Garda, dei proprietari bisognosi. È chiaro, però, che a livello di sistema è necessaria una regolamentazione complessiva.
Si devono muovere le istituzioni, insomma. Il mondo pet in Italia (parlo non solo del cane, ma anche del gatto e del cavallo) alimenta 17 miliardi di euro all’anno. Ti puoi immaginare che industria è: che le cose vadano così va bene a tutti. Ecco cosa PIANETA QUATTRO ZAMPE
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non funziona in Italia. Qualcosa si sta muovendo ma ancora col freno a mano tirato.
Il consiglio che daresti ai ragazzi che sentono di avere davvero la passione per diventare educatore cinofilo? Provare col proprio cane. Cimentarsi col proprio cane. Cominciare a frequentare centri cinofili, dove, con il loro cane, il loro primo tutor, possono cominciare a capire quale potrebbe essere il percorso giusto. Io credo, inoltre, che un educatore dovrebbe avere una sua specialità, perché il tuttofare alla fine ti fa apparire come uno che ha voglia di guadagnare. Alcuni potrebbero specializzarsi nella preparazione dei cani cani per i set televisivi, altri potrebbero aprire scuole di agility, pista, difesa, educazione, risoluzione dei problemi comportamentali.
serve tempo. Quando ho aperto il mio centro, da me arrivavano solo cani problematici, sopra i due anni. L’anno scorso abbiamo avuto più di cento cuccioli sotto i cinque mesi. Un boom? No. La gente comincia a capire che a educare un cane si comincia da cucciolo.
L’ideale sarebbe che un educatore si specializzasse e che magari si associasse con altri educatori? L’ideale sarebbe creare un vero e proprio albo di educatori ma costruitocon serietà dal Ministero, in cui attraverso un percorso e un esame si garantisca che “tu puoi fare l’educatore”.
Se il consiglio è quello di iniziare dal proprio cane, è necessario partire dalla scelta del cane. La scelta del cane deve essere fatta anche in base al carattere, non solo all’estetica. Sono più di quindici anni che faccio sta cosa, più di duemila cani sono passati nel mio centro, ho conosciuto più di duemila proprietari. Il mio sogno è di conoscere le persone prima che prendano un cane, per farle riflettere sui pro e sui contro. Il cane è una spesa, è un impegno. Vive in un contesto che non è quello del cane. Vive in una comunità che è la nostra, non la sua. Bisogna insegnargli a stare con un guinzaglio legato al collo e PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Piccole pantere nere tutte muscoli Nel mondo del gatto Bombay. Fascino, particolarità e aspetti critici di una delle razze feline più legate all’essere umano. Astrid Blake
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“Quando sarò grande, questo sarà il mio gatto”, si era detta da bambina Arianna Gatti, osservando il Bombay su un poster che raffigurava gatti di tutte le razze conosciute. Certo, ha dovuto fare un po’ di strada per andare a prenderselo: gli Stati Uniti – area d’origine di questo piccolo felino – non erano tanto vicini. Tuttavia, non è stata certo la necessità di attraversare l’Oceano a intimorirla. Arianna, oggi titolare dell’allevamento “Delle Streghe”, ha avuto il suo gatto. E, come vedremo, non si è fatta fermare neppure da altri più seri ostacoli, ben più difficili da superare rispetto ad una traversata oceanica. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Gatto Bombay, la storia A vederli girare in casa, sembra di avere vicino tanti piccoli Bagheera in miniatura. E non è mica un caso. Nikki Dorner, l’allevatrice che nel 1958 selezionò quella che oggi è la razza Bombay, sembrerebbe essersi ispirata, nella sua opera, proprio all’immagine della pantera del celebre Libro della Giungla di Kipling. Risalendo nell’albero genealogico del Bombay, troviamo, in cima, un gatto Shortair nero e una Burmese. Sono i suoi progenitori. A partire da questo incrocio, inizia la storia di questa PIANETA QUATTRO ZAMPE
razza, riconosciuta in maniera ufficiale solamente nel 1976.
Carattere e tendenze Il “gatto da compagnia definitivo”, così Arianna definisce il Bombay, parlando dell’attaccamento di questa razza verso l’essere umano. “Può vivere per il proprio padrone, anche in quattro metri quadri di casa, l’importante è che ci sia l’umano, perché sono umano-dipendenti”, spiega. Se siete alla ricerca di un gatto che vi pedini come un’ombra, avete trova43
Piccole pantere nere tutte muscoli
to ciò che fa per voi. “Tra i miei Bombay”, continua Arianna, ce n’è una che ho soprannominato “la mia protesi”, perché mi segue ovunque vada: se io cammino in una certa direzione, lei mi segue camminando sui mobili lungo il percorso, accanto a me”. Aspetti negativi dell’attaccamento all’essere umano? Nessuno, ma occorre tenere presente che un legame così forte può portare ad avvertire con più intensità la solitudine, in assenza dei propri bipedi preferiti. “Per questo motivo, lo sconsiglio a chi lavora fuori casa dal primo mattino fino a tarda sera”, precisa la titolare dell’allevamento “Delle Streghe”. E ribadisce: “Questo è un gatto che ha bisogno di continui stimoli e di socializzazione con il suo padrone. Vivrebbe dalla mattina alla sera in braccio al suo umano, tutto il suo mondo siamo noi”. Non a caso, alcuni dei gatti di Arianna hanno fatto la felicità di anziani bisognosi di compagnia, come pure di bambini disabili che hanno trovato un compagno di giochi sempre presente e affettuoso. Viene da domandarsi se, in presenza di altri gatti, il Bombay possa soffrire la solitudine. Stando alla lunga esperienza di Arianna, sembra che la piccola pantera domestica consideri poco gli altri mici di casa. “Se c’è un altro gatto che fa compagnia va bene”, spiega, “ma questo non gli importa più di tanto. È buono con gli altri suoi simili, ma gli interessa soltanto la persona”. Su questa caratteristica, dopo quindici anni di vita accanto ai Bombay, Arianna non ha dubbi. “Paradossalmente, è un gatto per le persone, non un gatto per gli altri gatti”. 44
Caratteristiche fisiche Due piccole luci gialle o rosso rame incastonate in una testolina rotondeggiante: sono gli occhi del gatto Bombay, che spiccano nel nero setoso del pelo e del naso. Le orecchie, di media grandezza, presentano una lieve “smussatura” alle estremità, mentre il muso piuttosto corto si caratterizza per uno stop ben marcato. Con un peso compreso tra i due e i cinque chilogrammi, i gatti Bombay possono essere annoverati tra i gatti di media taglia, con una differenza di peso tra maschi e femmine più evidente che in altre razze. Il corpo flessuoso di queste piccole pantere si contraddistingue per l’estrema agilità, aiutata da un’ottima struttura muscolare.
La salute Se vi è capitato di fare una ricerca su Internat alla ricerca di allevamenti di gatti Bombay, avrete notato che sono pochissimi. Data la loro bellezza, questo stupisce parecchio. Le ragioni, tuttavia, risiedono nel grande impegno richiesto a chi sceglie di avviare un allevamento di questa razza: i Bombay sono infatti portatori del genoma craniofacciale HD, un disordine genetico che causa gravi deformazioni alla testa e assenza di occhi e naso. “I cuccioli, purtroppo, se c’è un minimo di tessuto cerebrale, nascono vivi”, spiega Arianna. Questo comporta che i piccoli debbano subito essere sottoposti a eutanasia. “Di conseguenza”, prosegue Arianna, “sarà necessario avere sempre a disposizione un veterinario oppure si devono avere le capacità per PIANETA QUATTRO ZAMPE
Foto di SilviaQUATTRO Pampallona ZAMPE PIANETA
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sopprimere i cuccioli alla nascita e sottrarli alla mamma prima che cominci ad accudirli”. È questa la ragione per cui in tutto il mondo vi sono, stando a quanto ci illustra Arianna, solamente cinque allevatori di Bombay originali, con non più di 7-8 linee di sangue. Un dato che parla da solo, se si considera che, per esempio, nel mondo del gatto Persiano esistono circa trecento linee di sangue. “Per l’allevatore ogni cucciolata è un costo, perché ci sono comunque dei cuccioli da eliminare”, racconta la nostra intervistata. E ricorda: “In una cucciolata di cinque, una volta il problema ha interessato tutti quanti i cuccioli. Altre volte sono interessati solo tre gattini, altre ancora nessuno. In ogni caso, questo è il motivo per cui questa razza è poco allevata: accettare questo rischio non è facile”. C’è però anche chi ha scelto di infilare nella selezione alcuni burmesi europei esenti da questo tipo di patologia. Arianna fa parte di coloro che non concordano con questa linea. “In questo modo”, sostiene, “abbiamo risolto il problema del genoma craniofacciale ma, nel contempo, si è perso in tipicità e si è inquinato inquinato il pedigree, in quanto bisognerebbe utiliz46
zare solamente burmesi americani”.
Cure e cibo “È un gatto abbastanza facile da tenere, basta una lucidata con un guanto con i dentini di gomma oppure una pelle di daino e sicuramente la muta estiva è favorita”, ci dice Arianna. Difficile, insomma, che vi ritroviate in preda alla disperazione a causa dello spargimento di pelo: difficilmente questo problema angustierà i proprietari di Bombay. Conversando con la titolare dell’allevamento “Delle Streghe”, scopriamo che i Bombay si contraddistinguono per una particolare voracità. “I piccoli mangiano in continuazione, sono voraci e molto pesanti rispetto a ciò che vediamo”, spiega Arianna. A vedere un micio di taglia media come il Bombay, si sarebbe portati a pensare che non sia pesante. Ci si deve ricredere: come la nostra esperta ci spiega, sono gatti muscolosissimi. “Li si prende in braccio aspettandosi che siano leggeri, ma ci si accorge subito che sono “piccoli piombi”, piccole pantere tutte muscoli”.
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Per saperne di piĂš.. Nome: Origine: Peso: Corpo: Testa: Coda: Colore: Occhi: Collo: Pelo: Carattere:
Gatto Bombay Stati Uniti dai 2 ai 5 Kg taglia media, muscoloso, massiccio tonda, faccia paffuta e grande con muso corto e naso nero medio lunga Nero intenso rotondi di colore giallo o rame scuro e distanziati lungo e poderoso corto e lucidissimo intelligente, di indole affettuosa, prigro e socievole. Non deve essere lasciato solo troppo a lungo in quanto soffre di solitudine.
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Gatti Nebelung, creature della nebbia Il “cugino capelluto” del Blu di Russia. Scopriamo il suo fascino con l’allevatore Davide Benincasa. Astrid Blake
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Corporatura elegante, occhi verdi e manto di un inconfondibile blu. Il gatto Nebelung, decisamente, ci ricordava qualcuno. Poi, pensa e ripensa, abbiamo capito: a somigliargli tanto è il gatto Blu di Russia. Tanto, ma così tanto che… Si tratta “quasi” dello stesso gatto. Come ci spiega infatti Davide Benincasa, titolare dell’allevamento Blue Mist Glare, il gatto Nebelung è un Blu di Russia a pelo semilungo. Conversando con lui, abbiamo scoperto di più su questa razza, ancora molto rara e, per questa ragione, riconosciuta da poche associazioni feline. Tra queste, TICA, LOOF e alcuni club indipendenti. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Gatti Nebelung, creature della nebbia
occhi, di forma leggermente ovale, hanno dimensioni medie e sono ben distanziati. Immancabile, il colore verde, anche se lo standard permette anche un impasto giallo/verde. Le orecchie dalla base larga sono visibilmente appuntite, mentre il muso è di media lunghezza, con guance delle vibrisse abbastanza paffute. Gatto di media taglia, il Nebelung presenta una corporatura decisamente atletica. Sia i maschi che le femmine sono molto muscolosi, con struttura complessiva particolarmente aggraziata.
Indole e rapporto con gli umani
Caratteristiche fisiche “Nebelung”, ovvero “creature della nebbia”. Questa parola tedesca rende bene l’idea del colore blu/grigio che il mantello di questo gatto presenta. Il pelo, semilungo, ha un’altra caratteristica importante: per la gioia dei proprietari, non tende alla formazione di nodi. Le altre peculiarità della razza non si discostano da quelle che costituiscono lo standard del Blu di Russia. A partire dalla fronte, che deve apparire dritta sulla linea degli occhi. La testa è cuneiforme, appuntita e ben proporzionata rispetto al corpo. Gli PIANETA QUATTRO ZAMPE
“Sono gatti che tendenzialmente amano la tranquillità, fatti per la vita in appartamento”, afferma Davide. Tuttavia, precisa: “Nulla impedisce che, se uno ha un giardino recintato o un terrazzo dal quale il gatto non può scappare, li si possa far giocare all’aperto”. Come carattere non amano la confusione. Le case dove c’è molta confusione li portano a soffrire stress. “Si affezionano molto alla famiglia nella quale nascono”, spiega Davide. E racconta: “In una cucciolata, ogni gattino può sviluppare un carattere diverso rispetto agli altri. Tuttavia, perché non crescano con un carattere troppo introverso, è bene che siano da subito a contatto con gli esseri umani, che vengano presi in braccio, abituati a vedere le persone”. Insomma, non è il caso di lasciarli soli in una stanza e visitarli una sola volta al giorno. “Il compito dell’allevatore”, prosegue Davide, “è anche quello di formare il carattere dei cuccioli”. E, quando citiamo l’eventualità che il gatto possa tendere ad affezionarsi ad una sola persona della famiglia, sfata il mito. “Nonostante tendano ad 49
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Gatti Nebelung, creature della nebbia
Per saperne di più.. Nome: Origine: Peso: Carattere: Testa: Coda: Occhi: Collo: Mantello: Orecchie:
Gatto Nebelung Stati Uniti / Russia maschi 3,5/4,8 Kg - femmine 2,5/3,5 Kg tranquillo, dolce e affettuoso - tipico gatto da appartamento ampia, allungata ma mai troppo lunga lunga, dritta che si assottiglia all’estremità di colore verde - ben distanziati lungo e poderoso pelo semilungo, fine e molto soffice dritte, relativamente grandi ed appuntite
avere una persona un po’ più “di riferimento”, legano con tutti i componenti della famiglia”. Riguardo poi alla solitudine durante l’assenza dei proprietari, scopriamo che il Nebelung è un gatto flessibile: i mici del titolare dell’allevamento Blue Mist Glare, per esempio, dormono mentre lui è fuori casa, ma subito gli vengono incontro al rientro, per poi tornare a dormire nel momento in cui anche gli umani prendono sonno. Insomma, sanno come gestire il proprio tempo.
Cure, salute e obiettivi per il futuro Come accennato, il pelo semilungo del Nebelung non presenta la tendenza alla formazione di nodi. È dunque sufficiente una spazzolata una volta alla settimana, con pettine e cardatore. Riguardo a questioni più specificamente legate alla salute, il gatto 52
Nebelung non è afflitto da particolari patologie genetiche. Verso la fine della nostra conversazione, Davide ci parla del lavoro che attende nel prossimo futuro gli allevatori di questa razza. Il fronte sarà quello di selezionare il Nebelung con l’obiettivo di raggiungere uno standard elevato. “La razza nasce da un incrocio casuale tra due gatti, uno Blu di Russia e l’altro con gene a pelo lungo”, spiega Davide. E aggiunge: ”Da questo incrocio nascono prima un maschio e poi una femmina che sono i due capostipiti. In seguito, i vari club acquisiscono questa razza come Blu di Russia a pelo lungo, ma in realtà si tratta di un gatto che si porta dietro un corredo genetico differente rispetto a quello originale del Blu di Russia”. Il lavoro sarà dunque quello di “aggiungere più Blu di Russia” al corredo genetico del Nebelung. In passato, ci si è PIANETA QUATTRO ZAMPE
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trovati spesso ad avere dei Nebelung molto scuri o dei Nebelung con gli occhi gialli. Caratteristiche, insomma, che si discostano dallo standard. È giunto il momento per un lavoro più approfondito, che sarà basato su incroci col Blu di Russia. Tuttavia, non sarà un’operazione veloce. “Essendo il gene a pelo lungo recessivo”, spiega Davide, “l’incrocio tra Nebelung e Blu di Russia ti da dei gattini a pelo corto che però presentano anche il gene del pelo lungo. Questi, a loro volta, incrociati coi Nebelung, avranno i figli o a pelo lungo o a pelo corto. Sono necessarie almeno tre generazioni di gatti prima di arrivare ad un risultato. La soddisfazione del mio allevamento sta, al momento, nel fatto che, andando avanti con l’intento di raggiungere uno standard più elevato, sono riuscito ad avere anche gatti molto belli che adesso sono riproduttori all’estero”. PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Gli elefanti da salvare e la corsa dei risciò multicolor
Londra, gli elefanti da salvare e la corsa dei risciò multicolor Tra le iniziative benefiche più originali dell’estate 2015, Travels to my Elephant nasce da un’ idea di Quintessentially Foundation e Elephant Family a sostegno dei più grandi erbivori del pianeta. Sara Chessa
Raccogliere un milione di euro per salvare trentacinquemila elefanti asiatici. Un’impresa difficile? Non se un esercito di stilisti e artisti decidono di scatenare una tempesta di fantasia per trasformare degli autorisciò in autentici oggetti d’arte. Accade a Londra, dove Quintessentially Foundation ed Elephant Family, organizzazioni benefiche impegnate nella salvaguardia del grande mammifero dalle orecchie importanti, hanno coptato creativi di ogni settore per decorare un nutrito “sciame” di autorisciò, diventati veri e propri pezzi da museo. Lo scopo? Attirare passeggeri che, acquistando un piacevole tragitto, finanziassero la protezione degli elefanti in Asia. E così è andata: 56
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nel mese di luglio, migliaia di turisti e residenti hanno aiutato la raccolta fondi utilizzando questi singolari taxi nelle vie di Londra.
Gli elefanti di Assam Andiamo a conoscere più da vicino i beneficiari del progetto. Si tratta di una delle popolazioni di elefanti più importanti al mondo, con circa 1.700 esemplari. La loro casa è lo stato di Assam, nell’India nord-orientale. Tuttavia, non è al momento una dimora tra le più accoglienti. Secondo quanto riferiscono Quintessentially Foundation ed Elephant Family, i 58
sentieri utilizzati dagli elefanti si sono nel tempo trasformati in percorsi ad ostacoli, rendendo difficile la ricerca del cibo e riducendo l’accesso a molti spazi potenzialmente utili per il prseguimento armonico della vita di branco di questi mammiferi. Queste condizioni critiche influiscono anche sul benessere delle famiglie locali di contadini: difficile sentirsi sicuri se l’incontro con gruppi di elefanti sottoposti ad alto livello di stress fa parte della quotidianità. L’obiettivo è quindi quello di ristabilire un livello di qualità della vita adeguato per gli elefanti e per gli umani che condividono il loro habitat. In particolare, creare dei corridoi più agevoli per gli spostamenti di PIANETA QUATTRO ZAMPE
questi grandi animali, così da ristabilire un migliore utilizzo dello spazio e facilitare la ricerca del cibo per il branco.
Le “charities” che hanno dato vita a Travels to my Elephant “Charities”, ovvero organizzazioni con finalità benefiche, laiche o religiose, nate con l’intento di migliorare un qualche aspetto della vita dell’essere umano o della realtà ambientale in cui questo vive. Sono quelle che noi in Italia chiamiamo in genere “associazioni senza scopo di lucro” (Onlus) oppure imprese no PIANETA QUATTRO ZAMPE
profit o ancora organizzazioni non governative (Ong). Il concetto è lo stesso: raccogliere fondi per progetti concreti che siano in grado di modificare in positivo la realtà che viviamo. Sono organizzazioni di questo tipo quelle che hanno ideato l’iniziativa Travels to my Elephant. Si tratta di Elephant Family e Quintessential Foundation. Diamo uno sguardo ai loro progetti.
L’azione di Elephant Family Elephant Family nasce grazie a Mark Shand, il grande ambientalista fratello – tra l’altro – di Camilla Parker Bowles. Shand, negli anni Ottanta, attraversò l’India 59
Gli elefanti da salvare e la corsa dei risciò multicolor
con Tara, un’elefantessa salvata da condizioni di vita durissime e ora felice ospite del Kipling Camp, in Madhya Pradesh. Oggi, a distanza di un anno dalla scomparsa del suo fondatore, Elephant Family continua a impegnarsi sul fronte della protezione della fauna selvatica, focalizzandosi in particolare sulle tragiche conseguenze della decimazione delle giungle, a causa della quale un altissimo numero di animali sta perdendo il proprio ecosistema. Per avere un’idea del fenomeno, basti pensare che il numero di esemplari di elefante asiatico è diminuito del 90% negli ultimi cento anni. La perdita della “casa naturale” trasforma questi giganti buoni in mandrie disperate e pericolose, che razziano le colture, si riversano nelle autostrade e giungono a causare anche ribaltamenti di treni. I progetti umanitari di Elephant Family nascono proprio per fermare questo conflitto. Travels to my Elephant è, insomma, solamente l’ultima di una ricca serie di campagne di finanziamento creative.
I progetti di Quintessentially Foundation “Consentire a bambini e giovani svantaggiati di tutto il mondo di realizzare il loro potenziale e i loro sogni”. Questo è uno dei punti cardine della filosofia d’azione di Quintessentially Foundation, “ramificazione” del gruppo economico Quintessentially nata con l’obiettivo di perseguire progetti di utilità sociale. Secondo i dati consultabili nel sito stesso della fondazione, dal 2008 – anno della sua costituzione – fino a oggi, Quintessentially Foundation ha raccolto sei milioni di sterline da destinare ad attività benefiche, attraverso 60
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partnership con un gran numero di realtà no profit. Spaziando da iniziative focalizzate sulla realtà londinese fino ad altre orientate verso paesi in difficoltà, come quelle portate avanti in Siria attraverso War Child. Tra i partner di Quintessentially Foundation, troviamo dunque stavolta Elephant Family, con una sinergia che ha permesso di trasformare una flotta di risciò a motore in una variopinta sfilata di creatività.
Creativi amici degli elefanti Moda, design, architettura, gioielleria, arte: questi sono solo alcuni mondi che hanno partecipato alla “personalizzazione” dei risciò a motore. Tra gli artisti, le stiliste Diane von Furstenberg e Carolina Herrera, l’illustratore indiano Nilesh Mistry, la ceramista Samantha Buckley. Nomi evocativi per i risciò: da “The super Elephantastic Risciò” a “A Rage to Love”, letteralmente “una rabbia da amare”. Quella degli elefanti, appunto. Quella che, secondo lo spirito dell’iniziativa, dovrebbe condurci a modificare il nostro agire verso l’ambiente. Per 62
amore di questi grandi animali, come di noi stessi. Elephant Family, con i suoi progetti, sta compiendo molti passi avanti. Secondo dati forniti nel sito stesso dell’organizzazione, nelle zone in cui si è già lavorato, gli episodi espressione del “conflitto” riguardante gli elefanti e gli umani si è ridotto del 90%. Lo sguardo dei sostenitori di Elephant Family è ora rivolto verso il mese di novembre 2015, quando una flotta di quaranta risciò attraverseranno lo stato del Madhya Pradesh (nell’India centrale) dirigendosi verso il Kipling Camp, la casa dell’elefantessa salvata dal fondatore. Tra i partecipanti, celebrità come l’attrice Susan Sarandon e le modelle Yasmin e Amber Le Bon. In partenza anche Ben Elliot, numero uno di Quintessential Foundation. Per ciascuna squadra di piloti, un obiettivo: raccogliere almeno diecimila sterline da destinare ai progetti di Elephant Family. Se ci avete fatto un pensierino e state già programmando di partecipare alla corsa del prossimo anno, non vi resta che contattare per tempo l’organizzazione, scrivendo a info@elephantfamily.org. PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Alla scoperta del Diamante mandarino (Taeniopigya guttata), esotico bonsai dalle grandi virtù riproduttive Francesco Chieppa
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Estremamente vivace e robusto, con una lunghezza di di 8 - 10 cm nella varietà ancestrale, è uno dei più piccoli pet piumati esistenti. Formidabile riproduttore, nidifica con facilità in casa, praticamente in qualsiasi stagione dell’anno. Ha un becco che, nei maschi adulti, è di un bel colore rosso scarlatto, mentre si presenta rosa-arancio nella femmina. Stiamo parlando del Diamante mandarino (Taeniopygia guttata), uccello passeriforme della famiglia degli Estrildidi, talora erroneamente indicato dagli amatori poco edotti come “bengalino” o, più comunemente, “diamantino”. Si tratta di una specie incline ad essere piuttosto canterina, sebbene il canto del maschio PIANETA QUATTRO ZAMPE
non sia particolarmente ricercato. Al genere Taeniopygia sono ascritte due specie: Taeniopygia guttata guttata, autoctona dell’isola indonesiana di Timor, di taglia più piccola e priva di striature nere sul petto, e Taeniopygia guttata castanotis, specie di origine australiana importata come uccellino d’affezione ad inizio Ottocento. Il Diamante mandarino vive tuttora allo stato selvatico in quasi tutto il territorio australiano, dove è possibile avvistarlo in stormi numerosi negli habitat naturali umidi ed aridi, a motivo della grande adattabilità della specie che ama tantissimo bagnarsi in stagni e pozze d’acqua e, secondo alcuni naturalisti, avrebPIANETA QUATTRO ZAMPE
be sviluppato addirittura la capacità di bere acqua salmastra per sopravvivere nelle piccole isole e negli atolli australiani poveri di acqua dolce.
Allevamento Chi desiderasse avvicinarsi all’hobby dell’ornicoltura amatoriale, dovrebbe iniziare da neofita proprio con questa specie, facilissima da gestire e riprodurre. Benché il volatile acquistabile nelle rivendite presenti taglia minuta, va collocato in contenitori sufficientemente spaziosi, manifestando un temperamento vivace e bisognoso di esercitare il volo. La 67
Alla scoperta del Diamante mandarino
scelta della gabbia ideale deve cadere sui modelli di forma rettangolare, della lunghezza minima di 65 cm, scartando contenitori più piccoli, di forma cilindrica o a pagoda, esteticamente accattivanti per l’occhio umano ma decisamente inidonei al nostro amico pennuto. La gabbia va collocata in un ambiente tranquillo e luminoso e, se si desiderasse ottenere la riproduzione dell’estrildide, non va spostata allorchè munita del nido, perché essa costituisce l’equivalente del “territorio di nidificazione” che gli uccelli occupano e difendono in natura durante la fase riproduttiva. Ogni cambiamento confonde e disorienta gli uccellini, inibendone la riproduzione. Il nido ideale è quello a cassettina di legno o plastica rigida, aperto sul frontale. Andrebbe applicato dall’esterno ad uno sportellino della gabbia. Tra i nidi da scartare, quelli cilindrici di vimini, che risultano angusti per le covate spesso numerose di Diamante mandarino, nonché difficili da ispezionare. Come imbottitura del sito di nidificazione, potete fornire del fieno per conigli, della iuta ed un po’ di fibra di cocco, materiali reperibili nei negozi specializzati. Se la coppia è sufficientemente affiatata ed in buona salute, allestirà rapidamente un talamo riproduttivo con un caratteristico incavo laterale che accoglierà, dopo circa 7 – 10 giorni, le ovette dal guscio bianco, deposte a cadenza quotidiana per un totale di 3 – 7. Tutti e due i partner alati si alternano alla cova per un periodo di 12 - 13 giorni. Se la cova è stata regolare, i pulcini nascono in genere di primo e vengono accuditi da entrambi i genitori. Crescono rapidamente, tanto che già a 15 - 16 giorni si affacciano fuori dal nido per sortirne poco dopo. Lo svezzamento può considerarsi 68
concluso a 30- 35 giorni di vita dei novelli. Come già consigliato per altre specie, dopo tre nidiate consecutive eliminate il nido, altrimenti i vostri diamantini continueranno a nidificare a discapito della propria salute e di quella della prole generata. Il Diamante mandarino raggiunge la maturità sessuale già a 3-4 mesi, ma è preferibile non consentirgli la riproduzione prima del compimento dei 10 mesi, pena la scarsa fertilità dei maschi, la ritenzione distocica delle uova, ovoperitoniti ed altre patologie della sfera riproduttiva. Fornite con costante frequenza il bagnetto, la specie in parola adora le abluzioni.
Alimentazione Il Diamante mandarino è un uccello granivoro dalle abitudini alimentari parche e spartane. L’alimento base è costituito da una buona miscela di semi per esotici reperibile nelle rivendite specializzate, contenente soprattutto panico ed in percentuali decrescenti: miglio giallo, bianco e rosso, scagliola, niger. Alla miscela di semi aggiungeremo un pastoncino sfarinato secco del tipo per allevamento, durante la fase riproduttiva, che andrà sostituito con altro morbido da mantenimento, lievemene grassato e a minor tenore proteico, idoneo alla fase del riposo autunno-invernale. Completeranno egregiamente la dieta dei vostri diamantini l’osso di seppia, l’acqua di bevanda sempre fresca – integrata con un multivitaminico per ornitologia durante riproduzione e muta – unitamente a qualche foglia di cicoria o centocchio selvatici, raccolti in terreni non contaminati da pesticidi. PIANETA QUATTRO ZAMPE
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Mutazioni Anche il Diamante mandarino, come tutti gli uccellini resi domestici ed allevati dall’uomo, ha prodotto in cattività svariate mutazioni di colorazione e taglia. La specie ancestrale è nettamente dimorfica, il maschio è cioè facilmente distinguibile dalla femmina per la cromia del piumaggio: grigio scuro con guance color arancio intenso, una marcatura sotto l’occhio a forma di lacrima, petto zebrato da striature bianche 70
e nere, ventre bianco, fianchi castani punteggiati di bianco. La femmina è poco appariscente, grigio castana, priva di altri attributi cromatici della livrea, fatta eccezione per la lacrima nera sotto l’occhio. Dal tipo ancestrale sono derivate in ambiente domestico tante nuove varietà di colore e relative sovrapposizioni di mutazioni. Per tutte le varietà l’unico elemento certo di dimorfismo sessuale resta il colore del becco, diverso tra i sessi nei soggetti maturi per la riproduzione, come già accennato sopra. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Da un po’ di anni si trovano in commercio dei Diamanti mandarini di taglia grossa, detti “maggiorati” o anche “olandesi”, in quanto selezionati originariamente in Olanda. Sono uccelli che possono raggiungere una lunghezza anche di 14 - 15 cm, sovente caratterizzati tuttavia da minori capacità riproduttive, perché in ornitologia amatoriale la ricerca per via selettiva del gigantismo va spesso a discapito della fertilità e della rusticità dei ceppi allevati. PIANETA QUATTRO ZAMPE
Prezzi I soggetti di taglia ancestrale costano mediamente nelle rivendite intorno a 10 - 15 euro. I diamantini di taglia maggiorata – detti olandesi – quotano, sempre in rivendita, 20 - 25 euro. Per esemplari molto selezionati e pluricampioni o per le ultimissime mutazioni, il prezzo è più elevato a discrezione dell’allevatore.
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Guerre umane, soldati a quattro zampe
Guerre umane, soldati a quattro zampe A colloquio con Serenella Ferrari, curatrice - assieme a Susanne Probst - della mostra “1914/18: la guerra e gli animali. Truppe silenziose al servizio degli eserciti”. Sara Chessa
Ci sono stati accanto in guerra, ma non hanno potuto raccontarlo. Hanno trasportato messaggi in volo per chilometri, cacciato i topi negli accampamenti delle milizie, regalato un momento di dolcezza a soldati che, altrimenti, non avrebbero avuto altra consolazione di fronte alla triste realtà del vedere i propri compagni morire in battaglia. Sono gli animali che, durante un conflitto armato di grandi dimensioni, viaggiano assieme alle truppe, conoscono la vita nelle trincee, “lavorano” di fatto accanto ai soldati, addestrati a svolgere delle funzioni essenziali che l’uomo non può compiere. Piccoli frammenti delle loro storie si possono ritrovare nelle lettere dei soldati dal fronte o nei racconti degli scrittori che parteciparono alla Grande Guerra, in cui di tanto 74
in tanto fanno capolino cani, gatti, cavalli, piccioni e altri volatili che hanno servito gli eserciti. I libri di storia a scuola non ce ne parlano, ma molti di questi animali sono diventati dei veri e propri eroi. A Serenella Ferrari e Susanne Probst, curatrici della mostra “1914/18: la guerra e gli animali. Truppe silenziose al servizio degli eserciti”, va il merito di aver ricostruito tassello a tassello questo mosaico di storie, almeno quelle che sono giunte fino a noi attraverso le testimonianze del primo conflitto mondiale. In questa conversazione, Serenella ci racconta alcuni dei più toccanti esempi di questo inesplorato universo di storie. La mostra, mentre scriviamo ospitata in provincia di Udine, toccherà varie città italiane, fino ad arrivare, nell’estate 2016, a Berlino.
Se al caffè letterario sono tutti amanti degli animali Serenella Ferrari, come gli altri componenti del comitato organizzatore, risiede a Gorizia, in Friuli Venezia Giulia. Una terra che, prima della Grande Guerra, apparteneva all’Austria. E che, dunque, ha fatto il suo ingresso nel conflitto nel 1914, non nel 1915. Le manifestazioni culturali che la ricordano sono dunque iniziate, in Friuli, lo scorso anno. E, Hic Caffé, il caffè leterario del quale Serenella cura la parte culturale, non poteva non proporre un evento che, con originalità, tenesse viva la memoria di quel difficile momento della nostra storia. Siccome poi il caso vuole che i membri del comitato organizzatore siano tutti amanti degli animali, nasce l’idea di mettere il focus su questi ultimi e raccontare al grande PIANETA QUATTRO ZAMPE
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pubblico le vicende che li hanno visti protagonisti, al fianco degli umani, nella Prima Guerra Mondiale.
Documenti e testimonianze “C’è parecchia letteratura su questo argomento, io avevo già dato un’occhiata e sapevo che gli animali non si riducevano ai cavalli e ai muli, ma comprendevano diverse altre specie, utilizzate non solo durante la Grande Guerra ma fin dall’antichità ed anche nei combattimenti odierni”, spiega la nostra intervistata. Le due curatrici non vogliono però accontentarsi di immagini reperite su Internet. “Abbiamo rintracciato alcuni collezionisti che possedevano delle fotografie, chiedendo loro di mettere a disposizione gli originali”, prosegue Serenella. Tuttavia, su determinati animali 76
si trova davvero poco. Quasi impossibile, per esempio, trovare testimonianze sui piccioni. Nonostante questo, il lavoro della squadra Ferrari - Probst è andato avanti, con il sostegno degli organizzatori, ovvero Open e il Comitato “Amici dell’arte felice” di Gorizia.
Piccole tigri nemiche della depressione Trovarsi al fronte, lontano dagli affetti, dalla famiglia, da tutto ciò a cui si tiene. Avere accanto, magari, qualcuno che neppure parla la propria lingua. Guardare l’orizzonte e non saperci arrivare, perché la terra davanti ai propri occhi è disseminata di corpi di altri soldati. Questa era la realtà abbracciata giorno PIANETA QUATTRO ZAMPE
dopo giorno dagli sguardi dei soldati. “In situazioni come questa, si ha bisogno di un’ancora di salvezza per non impazzire e i gatti, che accompagnavano le truppe nei loro accampamenti, l’hanno offerta a molti”, racconta Serenella. “Le trincee erano spesso immondezzai a cielo aperto, ricettacoli di malattie, in quanto i corpi dei caduti non potevano essere recuperati facilmente: si rischiava di cadere sotto il fuoco nemico”, prosegue la nostra intervistata. E rivela: “L’ancora di salvezza di cui parlo è proprio la possibilità di prendersi cura di una creatura”. I gatti, insomma, come altri animali presenti al fronte, sono stati per i soldati una insostituibile “pet therapy”. Non è tuttavia l’unico compito che questi felini avevano. Grazie al loro olfatto d’eccezione, era possibile per i militari accorgersi della presenza di gas nervino PIANETA QUATTRO ZAMPE
nell’aria e prendere le dovute precauzioni. Questo può dare l’idea di quanti gatti, segnalando la presenza di sostanze tossiche nell’aria, si siano di fatto sacrificati per la soravvivenza dell’essere umano.
Piccioni viaggiatori e piccioni “drone” Lo stesso ruolo svolto da questi felini, veniva deputato anche agli uccellini, come canarini e cocorite. Questi volatili erano infatti i primi a sentire la presenza del gas. Ci sono però creature alate che avevano un’altra, importante missione: i piccioni viaggiatori. Utilizzati per il trasporto dei messaggi oltre le linee nemiche, riuscivano a percorrere anche quaranta-cinquanta chilometri. “Volando sopra le nubi dei gas, traspor77
Guerre umane, soldati a quattro zampe
tavano gli ordini da e per il fronte”, racconta la curatrice di “Truppe silenziose”. Non è dunque una leggenda, i piccioni viaggiatori esistono. Sottoposti ad un addestramento molto particolare, erano destinatari di premurose cure da parte degli umani. “Erano alloggiati in piccionaie apposite che potevano essere mobili o fisse”, spiega Serenella. Quelle fisse occupavano spesso vecchi fienili e torri abbandonate. Quelle mobili erano invece trasportate utilizzando caravan, camion o carretti trainati da auto o moto. Le più grandi potevano trasportare anche duecento esemplari. In alcuni casi, addirittura, erano i singoli soldati a portarsi in spalla, in moto o in bicicletta, una piccola voliera che poteva contenere da due a quattro piccioni. I compiti di questi volatili, tuttavia, non si esaurivano con la rischiosissima consegna dei messaggi. L’invenzione, da parte di un farmacista tedesco, di una piccola macchina fotografica applicabile sul loro petto, fece si che i piccioni iniziassero ad essere usati per riprendere dall’alto la superficie occupata dal nemico. Antenati dei droni, insomma. E, se la maggior parte delle eroiche storie su questi uccelli è andata perduta, alcune sono però ben documentate. “Un noto esempio”, rievoca Serenella, “è quello di Cher Ami, un piccione che apparteneva all’esercito americano, che compì un gran numero di missioni e, in una delle ultime, trasportando un messaggio per una sessantina di chilometri oltre le linee nemiche, salvò un intero battaglione americano bloccato tra due fuochi nemici”. La cosa incredibile è che, prima di portare a destinazione il messaggio, Cher Ami venne impallinato due volte, cadde, si rialzò in volo e riuscì a consegnare quell’informazione 78
così vitale per la salvezza dei soldati. Certo, il suo corpo mostrava i segni del grande atto di coraggio e resistenza: una zampa persa e una grossa ferita alla testa. Il lieto fine della storia, tuttavia, è completo. Come la nostra intervistata ci racconta, venne curato, riportato negli Stati Uniti, pluridecorato e accolto con tutti gli onori. Non solo: è ancora conservato, imbalsamato, presso lo Smithsonian Institution di Washington. Un eroe nazionale, insomma. Non è un caso che, anche in tempi di fame nera come quelli che caratterizzano usualmente i conflitti, l’utilizzo di cani o piccioni a fini alimentari fosse, in alcune aree, severamente vietato. Era infatti ampiamente riconosciuto che si trattasse, a tutti gli effetti, di potenziali “soldati”.
Fido in trincea Fare la guardia, aiutare nel trasporto, regalare una preziosa compagnia ai soldati e... cacciare i ratti presso gli accampamenti. Sì, perche le dimensioni di questi roditori erano così grandi che non potevano essere cacciati dai gatti. Enormi e voraci, avrebbero fatto sparire il micio in un boccone. Sanità, compagnia e trasporto erano dunque le tre “aree di competenza” in cui venivano impiegati i cani. “Ovviamente, i cani da sanità, così come quelli da trasporto, dovevano avere una certa dimensione, un minimo di taglia, non pensiamo al chiwawa, ma almeno un cane dai 25-30 chilogrammi in su”, spiega ancora la curatrice della mostra. E aggiunge: “Doveva essere forte, trainare, portare le borse che contenevano le bende”. Molto accurato l’addestramento, che doveva per esempio PIANETA QUATTRO ZAMPE
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insegnare al cane a girare a zig zag, per poter coprire una porzione di terreno che fosse la più ampia possibile. Dal momento che il loro ruolo era anche quello di scovare feriti nei pressi di un conflitto a fuoco e portare al più presto i soccorsi, era necessario che non si spaventassero nell’udire spari ed esplosioni.
Cavalli, a fianco dell’uomo fino in fondo “I cavalli sono stati veramente dei grandissimi eroi”, afferma Serenella. In effetti, un cavallo, in trincea, non 80
durava più di 10 giorni. Erano sottoposti al fuoco del nemico e, molto spesso, i loro conduttori li facevano distendere a terra e li usavano come riparo per poter sparare contro il loro nemico. Incredibili, inoltre, sono i viaggi che riuscivano ad affrontare. “Sono arrivati cavalli dall’America e dall’Australia e la maggior parte morivano durante il viaggio per le condizioni in cui dovevano viaggiare: solo che durante la Grande Guerra sono morti quasi 16 milioni di soldati e 16 milioni di animali, tra cui 11mila equini”, rivela la nostra intervistata. Si parla ovviamente anche dei muli, che entrarono in gioco soprattutto quando la guerra arPIANETA QUATTRO ZAMPE
rivò sul fronte bianco. Furono quindi gli “alpini” nella guerra di montagna. “Erano intelligentissimi, non si facevano prendere dal panico come i cavalli, potevano camminare per centinaia di chilometri con oltre 150 kg di soma”. Un ruolo simile avevano i bovini. Inoltre, come gli equini e i muli, quando c’era necessità perché la fame era nera, i muli e soprattutto i bovini venivano sacrificati per sfamare i camerati.
Una mostra da scoprire Tra necessità alimentari e gestione degli escrementi PIANETA QUATTRO ZAMPE
doveva essere difficilissimo portarsi dietro, oltre alle armi, anche gli animali. Tuttavia, queste storie mostrano che gli animali ebbero, durante la Grande Guerra, un ruolo essenziale. Tante le storie di eroismo, innumerevoli quelle tragiche, in cui gli animali, cime gli esseri umani, finivano col morire di stenti. “Oggi, l’utilizzo di animali si è ridotto abbastanza, soprattutto per quanto riguarda gatti e bovini. Quello che non si è ridotto è stato ad esempio l’utilizzo dei cani”, spiega Serenella. E aggiunge: “I cani ci sono sempre stati durante la seconda guerra mondiale, così come i cavalli, presenti anche nella guerra del 81
Vietnam e in Afghanistan”. In questi ultimi due casi, in particolare, venivano addestrati ad andare sotto i carri armati nemici. Attorno al loro collo veniva infatti posta una pettorina con dell’esplosivo, utilizzato per far saltare le vetture nemiche.
Un nome non casuale Un sacrificio immane, quello dei nostri soldati a quattro zampe. “La mostra nasce anche per questo, proprio per far ricordare. Ecco perché si chiama “Truppe silenziose”, perché questi animali, come i soldati che non sono tornati dal fronte, sono stati degli eroi che non hanno potuto raccontare la loro coraggiosa storia”, conclude Serenella. “They had no choice”, ossia “non avevano scelta”, recita in effetti la lapide posta accanto al monumento dedicato, a Londra, a tutti gli animali che hanno servito le truppe angloamericane nelle varie guerre. Un vero peccato che i nostri libri di storia non raccontino anche questa parte della guerra. In 82
attesa che i programmi scolastici si aprano a questa dimensione dimenticata dei conflitti, importante anche per accrescere la consapevolezza del ruolo assunto dagli animali in numerosissime imprese umane, potete visitare la mostra sulle “truppe silenziose”, attualmente ancora in Friuli, ma attesa a breve in altre città italiane. Una visione integralista dell’animalismo avrebbe impedito, forse, di organizzare una mostra in cui molti degli “incarichi” dei quattro zampe in guerra possono apparire come puro “sfruttamento”. “Siamo riusciti a rimanere in equilibrio tra le varie parti coinvolte senza cadere, almeno per il momento, in nessuna di queste”, afferma la nostra intervistata. Serenella e Susanne hanno insomma scelto di andare oltre qualsiasi schieramento o ideologia, sia politica che di altro genere, focalizzandosi piuttosto sulla ricostruzione di una preziosa mappa dell’aiuto ricevuto dalle “truppe silenziose”. Una mappa che, ci scommettiamo, non potrà che accrescere la sensibilità verso i nostri animali. PIANETA QUATTRO ZAMPE
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