Anabolizzanti e atleti magrolini. Nei luoghi comuni del giornalismo, gli anabolizzanti sono associati all’idea di atleti “gonfiati” o comunque molto muscolosi, roba per body builder o sollevatori di pesi o tutt’al più lanciatori dell’atletica leggera. I risultati dei test antidoping con incrollabile periodicità sfatano questo concetto: anche atleti magrissimi come ciclisti e fondisti risultano assumere sostanze anabolizzanti. In realtà per rendersi conto di questo fatto basta dare un’occhiata ai protocolli d’allenamento degli atleti professionali odierni: dalle 5 alle 8 ore di lavoro quotidiano e per quasi tutto l’anno, è una regola con pochissime eccezioni. Chiunque abbia un minimo di pratica sul campo capisce che simili volumi di allenamento non possono essere sopportati dall’organismo umano in condizioni naturali. Non è un caso che quando gli atleti d’elite erano veramente naturali (cioè fino agli anni 30’ dello scorso secolo), lo standard del volume d’allenamento si esprimeva in sedute della durata di circa due ore con una frequenza di tre volte la settimana. E spesso con lunghi periodi di astinenza dall’allenamento: non era raro che gli atleti si dedicassero gli allenamenti solo tre mesi all’anno! Anche così troviamo che negli anni ’20 il famoso mezzofondista finlandese Paavo Nuurni candidamente propagandava l’uso del “Juvenal” farmaco a base di estratto testicolare di testosterone. Affrontare i moderni protocolli d’allenamento senza assunzione di anabolizzanti significherebbe: 1) l’impossibilità di mantenere la seppur ridotta massa muscolare ideale per la specialità prescelta, con conseguente crollo della performance sportiva (quanti atleti “domenicali” si chiedono perché le loro performance
peggiorano nonostante aumenti il loro impegno negli allenamenti?); 2) una severa compromissione del sistema immunitario che, come ben sanno i malati di AIDS, è strettamente correlato alla massa corporea magra. Quello che per l’atleta domenicale è fonte di continue infezioni virali minori, per l’atleta professionale diverrebbe fonte di complicazioni ben più gravi, tra cui lo sviluppo di una maggiore quantità di carcinomi. Infatti seconda una recente indagine americana gli utilzzatori cronici di anabolizzanti costituiscono il segmento della popolazione a più bassa incidenza di cancro; 3) in generale gli allenamenti prolungati spesso portano ad un quadro di depressione del testosterone e di altri ormoni “sessuali” con documentate negative conseguenze sul sistema cardiocircolatorio, su quello osseo e, a lungo termine, su quello nervoso. L’assunzione di anabolizzanti da parte degli atleti di elite non è certo una facile scorciatoia per evitare allenamenti estenuanti ma, anzi, è l’unico modo per poter affrontare tali allenamenti. Può piacere oppure no, ma questa è la realtà. E’ un paradosso solo apparente il fatto che proprio gli atleti di bodybuilding, o di altri sport dove il volume di lavoro è meno importante dell’intensità, siano meno legati all’uso di farmaci anabolizzanti. Nel bodybuilding, quando si rispettino certi parametri di allenamento intenso, breve e poco frequente, sono possibili risultati soddisfacenti anche in modo naturale.
Bibliografia:
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