Preaffaticamento Il preaffaticamento funziona? O i bodybuilders hanno, per decenni. solo sprecato energie usando questa popolare tecnica? E’ questo il quesito che affronta Robbie Durant in un articolo pubblicato a pagina 246 del numero del febbraio 2010 della rivista americana Muscular Development. E’ una domanda che si impone di fronte ai vari test fatti utilizzando l’elettromiografia per analizzare questa tecnica, ultimo quello effettuato da un equipe Brasiliana. Sia questo test che altri meno recenti arrivano chiaramente ad una conclusione che sembra condannare il preaffaticamento senza appello: il reclutamento di fibre muscolari diminuisce nel muscolo preaffaticato e aumenta nei gruppi muscolari “ancillari”. Per esempio superset leg extension più leg press, nel secondo esercizio il coinvolgimento di fibre del quadricipite diminuisce. Particolarmente chiaro il recente test brasiliano che utilizza il superset croci alla pectoral più distensioni su panca con bilanciere e testa anche il secondo esercizio eseguito singolarmente, senza preaffaticamento. Nel secondo esercizio il coinvolgimento di fibre del pettorale crolla a favore soprattutto del tricipite. A questo punto la conclusione appare univoca: buttiamo il preaffaticamento nello scarico del cesso e tiriamo la catena. Invece no. Già i miglioramenti dell’ipertrofia che certi soggetti conseguono nei muscoli preaffaticati dovrebbero indurre prudenza. E’ vero che fino a pochi anni fa le tecniche del bodybuilding si sono sviluppate senza base scientifica… ma è anche vero che questo avveniva sulla base di, seppur approssimative, osservazioni empiriche e reiterate. Se mettendo a confronto l’osservazione scientifica con le consuetudini e le osservazioni approssimative di cui è ancor fatto il bagaglio di teoria dall’allenamento del
bodybuiding si arriva a risultati contrastanti… qualche riflessione in più non nuoce. Cominciamo con il chiederci che cosa causa l’ipertrofia, perché a questo, come body builder o seri praticanti del fitness siamo interessati. La posizione attualmente più comune recita: muscolo sotto tensione per una certa quantità di tempo. E’ una posizione così approssimativa da non potere neanche essere chiamata teoria e discende solo da osservazioni non solo empiriche ma anche molto generiche che alla fine si riducono a questo: pesisti e sollevatori di potenza fanno poche ripetizioni con più peso e sviluppano maggiormente la forza, i culturisti usano meno peso e più ripetizioni e sviluppano maggiormente l’ipertrofia muscolare. C’è anche qualche ricercatore che si è disturbato a fare oggetto di test questa ovvietà. In realtà questa pozione non spiega affatto perché si verifica l’aumento della sezione traversa del muscolo, si limita ad osservare un fenomeno ben noto, senza però darne nessuna spiegazione. Peggio ancora vari tecnici del nostro settore cominciano a considerarla un assioma assoluto senza ricordarsi la sua origine. Infatti, coerente con questa impostazione, Robbie Durant conclude: “ … il preaffaticamento deve essere riconsiderato come efficace nel provocare miglioramenti di forza e dimensioni muscolari … ” dal momento che “… il preaffaticamento non provoca una maggiore attivazione dei muscoli perché questi sono preaffaticati … la crescita muscolare è causata dal tenere tensione sul muscolo. Ogni volta che c’è una decrescita dei delle unità motorie coinvolte durante l’esercizio, la tensione è tolta dal muscolo Questo è un completo errore, se si guardano le cose dal punto di vista del bodybuilding. Più sobriamente Steve Blechman e Thomas Fahey, nella rassegna di scientifica dello
stesso numero MD, nel commentare i risultai di questi test sul PA, li riferiscono al condizionamento per la forza. Infatti ricordiamoci che non basta il muscolo sotto tensione, ci vuole anche il tempo e i due termini sono dialetticamente opposti: aumentando la tensione diminuisce il tempo e viceversa. Ma allora che facciamo? Combiniamo i due fattori opposti e otteniamo fatica. È questa che causa l’ipertrofia. E’ per questo che è nato il motto “no pain, no gain”, è per questo che per anni i bb anno misurato l’intensità dei loro allenamenti in base a quanto e quante volte si avvicinavano al completo cedimento muscolare. E’ per questo che, se ci disturbiamo a leggere un manuale di allenamento per l’atletica leggera o il sollevamento pesi … scoprirete che gli autori candidamente sconsigliano la reiterazione eccessiva degli sforzi “perche questo causerebbe fatica e quindi ipertrofia” (Tudor O. Bompa, Periodizzazione dell’allenamento sportivo, 2001). La tensione muscolare, per il bb, non è un fine in sé, ma solo un mezzo per creare fatica (per questo la tensione deve essere mantenuta per un cero tempo) o forse, per essere più specifici, quel danno muscolare che in vari esperimenti è stato associato alla crescita muscolare, anche se non in modo ancora del tutto definitivo. Basti ricordare gli esperimenti tenuti nei primi anni ’70 da Arthur Jones sulle ripetizioni eccentriche e la loro maggiore efficienza nel determinare crescita muscolare. Più tardi il legame fra ripetizioni eccentriche, danno muscolare e DOMS fu chiaramente dimostrato, anche se tuttora manca la prova definitiva di una causalità diretta fra danno muscolare ed ipertrofia. A proposito di Arthur Jones … forse qualcuno si ricorderà che fu proprio lui il primo teorizzatore e sostenitore del preaffaticamento: a quell’epoca erano in voga le superserie tra gruppi antagonisti o, quando fatte per lo stesso gruppo muscolare, si trattava in realtà di
postaffaticamento, in quanto si cominciava con l’esercizio composto per finire con quello d’isolamento. Se riprendiamo in mano i Bollettini Nautilus dell’epoca o le divulgazioni di Ellington Darden per la Nautilus o quelle di Mike Mentzer che allora collaborava strettamente con AJ e la Nautilus, troviamo sempre lo stessa giustificazione del preaffaticamento: non si tratta di cercare il coinvolgimento di maggior quantità di fibre muscolari del muscolo target, bensì un suo superiore affaticamento, che sarebbe altrimenti reso impossibile dagli “anelli deboli” della catena motoria dell’esercizio, cioè i muscoli ancillari che entrano in gioco nell’esercizio composto. Questi cederebbero per primi in mancanza di un previo esercizio di isolamento e che così, invece, e che “assistono il muscolo più grande nel suo affaticamento, grazie ad loro progressivo maggior coinvolgimento”. Insomma, qualcosa di simile alle ripetizioni forzate o a degressione senza bisogno dell’aiuto di un partner o senza perdere tempo a cambiare i pesi. Quando qualcuno si prenderà la briga di controllare con l’elettromiografia l’attivazione delle fibre muscolari con ripetizioni forzate o serie a degressione, ovviamente scoprirà che l’attivazione diminuisce … perché il muscolo si stanca! Ma non per questo credo dovremo tralasciare queste tecniche, perché potrebbero anche loro essere molto utili nell’indurre un maggiore danno muscolare. L’importanza dell’affaticamento e del conseguente danno muscolare spiegano anche il significato di alcuni recenti esperimenti praticati con l’occlusione degli arti sotto sforzo, che altrimenti apparirebbero del tutto contradditori. Neanche a farlo apposta gli astratti di questi esperimenti sono pubblicati sullo stesso numero di MD che ci parla di esperimenti sul preaffaticamento. Un primo test giapponese
ha notato che la costrizione dei muscoli sotto sforzo, tale da provocare parziale occlusione dei vasi sanguigni, si traduce in maggiore forza e massa muscolare. Ricercatori svedesi hanno notato come la diminuzione dell’afflusso sanguigno dei muscoli sotto sforzo non provochi una maggiore attivazione muscolare ma aumenti i fenomeni di DOMS. Questa è un’ulteriore conferma che una maggiore attivazione muscolare di per sé non è essenziale all’ipertrofia, è bensì solo un mezzo per raggiungere la fatica che provoca danno muscolare ed eventualmente DOMS. Questa è la vera chiave dello sviluppo muscolare, il fattore che ci permette di predire l’efficacia di un sistema di allenamento piuttosto che un altro. “No pain, no gain” rimane il motto che riassume l’essenza del bodybuilding.