PIANI IN GRAVIDANZA Pietro Pecovela, marzo 2017
I. L’architettuura non equivale al volume. II. L’architettura non è una costante ripetizione in cui un qualsiasi programma pubblico implica limiti aperti e un programma privato spazi chiusi. III. Un movimento che produce architettura è la variazione per differenze e modi di questa ripetizione, quindi è una serie infinita, una sequenza relazionale. IV. L’architettura è un ambiente artificiale dentro cui accadono e cadono eventi. All’interno di questi eventi esiste una infinita sfumatura e gradazione di condizioni tra dentro e fuori, aperto e chiuso, pubblico e privato, piccolo e grande, programmato e non-programmato. V. Il contesto su cui insiste l’architettura, tra ambienti naturali e paesaggi artificiali, è fluido e in costante variazione. Queste variazioni sono gruppi di possibilità adiacenti e progressivi nel tempo, che poi cristallizzano, stratificano ed accumulano.
Quello che segue è un tentativo di calare l’architettura in un proprio contesto contemporaneo e reale, denso di punti e grammatiche che sfuggono. Cosa signifca pensare uno spazio fluido? Che cos’è un luogo, cosa significa essere in località? Cosa significa essere gettati in un paesaggio artificiale? Che cos’è e cosa implica una variazione? Che cos’è e come si sviluppa un movimento architettante? Che cos’è una sequenza relazionale? Il quasi decalogo con cui si è iniziato vuole essere in un certo modo un manifesto retroattivo, uno strato intuitivo e viscerale, da cui iniziare una ricerca attraverso una qualche traccia o segno dell’architettura contemporanea. Questi punti, tanto concettuali quanto ermetici ed incompleti, sono il ritmo e il modo attraverso il quale questa investigazione si sviluppa, cercando di comprendere una certa direzione e tonalità che ha assunto il contesto, la società e l’architettura contemporanea. I. Pieghe
1. La Casa Barocca Il molteplice non è soltanto ciò che ha molte parti, ma anche ciò che risulta piegato in molti modi. E un labirinto si ritrova ad ogni piano. (...) Questo piano ( quello superiore) è senza finestre: è una camera o cubicolo oscuro, adorno soltanto di una tela tesa e diversificata da pieghe, come un derma messo a nudo. Tali pieghe, corde o parti elastiche, presenti sulla tela opaca entrano in azione sulla sollecitazione della materia. E’ la materia infatti a scatenare vibrazioni e oscillazioni all’estremità inferiore delle corde, attraverso alcune piccole
In Il barocco. Leibniz e la piega (1988) Gilles Deleuze descrive il linguaggio che caratterizza la pittura, la scultura e l’architettura barocca. Sono due i piani in contrasto su cui questo linguaggio si articola: la facciata e il dentro, l’autonomia dell’interno e l’indipendenza dell’esterno. “Il campo del fisico, del naturale, del fenomenico, del contingente, è tutto immerso nell’interazione infinita di catene aperte: per questo non è metafisico. Il campo della metafisica si trova invece al di la, e chiude l’interazione” (M. Serres, le systeme de Leibniz). L’interazione infinta di catene aperte, che fa riferimento non ad un luogo oltre il fisico ma ad un luogo reale e contingente, Deleuze la identifica nell’uso della curvatura e della piega prima concettuale e matematica, poi come materia che densifica e rarefa tra pieni e vuoti, tra concavità e convessità. Una curva, una voluta ed una piega sono definite da una curvatura e di conseguenza il calcolo che ne permette la descrizione. Una funzione matematica che descriva una curvatura è legata al sistema parametrico che è in grado di attualizzarla, e di conseguenza alla variazione delle proprie incognite parametrizzate. Proprio su questo insiste la variazione e modulazioe della curva barocca.
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Deleuze aggiunge “ Il barocco non è la variazione di una verità a seconda del soggetto, ma la condizione in cui appare al soggetto la verità di una variazione”. Ed ancora “Quando la matematica si occupa della variazione, tende a privilegiare la nozione di funzione, ma anche la nozione di oggetto cambia e diventa funzionale .(...) L’oggetto non è più definito da una forma essenziale ma raggiunge una funzionalità pura, inseparabile da una serie di declinazioni possibili o da una superficie a curvatura variabile, descritta proprio dall’oggetto. Chiamiamo oggettile questo nuovo oggetto.“ Questo passaggio genera necessariamente tre nuove questioni: che cosa significa funzionalità pura? Che cos’è dunque una superfice ed il suo oggettile? Come si inserisce la topologia all interno di un discorso spaziale contemporaneo ed attuale? Dal 1969 Deleuze è docente nel nuovo polo universitario di Paris VIII Vincennes-Saint Denis e tra il 1986 e il 1987 tiene un corso di filosofia che riguarda Leibniz e il calcolo. L’argomento ed una nuova critica sul Barocco ed una relazione con Leibniz è già nell aria da tempo, quantomeno in Francia. Durante gli anni ‘80 Bernard Chache è studente al corso di Gilles Deleuze. All’inizio il filosofo, pensatore ed eclettico Deleuze decide di studiare la storia del calcolo; il giovane architetto Chace, con un passato che fluttua tra matematica ed economia, decide di studiare filosofia con lui. Da questo si sviluppa una relazione e collaborazione. Dall’interesse di Deleuze per le annotazioni di funzioni matematiche e per le funzioni parametriche, e dall’influenza di Cache emergono due idee, l’oggettile e la piega. L’oggettile è un generico oggetto: un algoritmo aperto, indeterminato ed indefinito, una annotazione generativa, che diventa un oggetto specifico solo nel momento in cui ad ogni parametro è assegnato un valore. Questo proprio come la notazione di una curva parametrica definisce un intera famiglia di curve, ma nessuna nello specifico. Questa definizione di oggettile corrisponde ad una contemporanea nozione dell’oggetto tecnico, che si adatta e segue i nuovi strumenti digitali per il design, la fabbricazione e la produzione. Il disegno contemporaneo, sostenuto dall’utilizzo di software CAD e CAM, computer aided design e computer aided modellig, diventa così largamente attraversato dalla logica del calcolo e dalla manipolazione di funzioni continue, curve flesse, spline e punti di inflessione; nel
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aperture che si trovano al piano inferiore. Leibniz mette quindi in scena un grande allestimento barocco, tra il piano inferiore munito di finestre, e il piano superiore, cieco e chiuso, ma per contro risonante, come una sala da musica capace di tradurre in suoni i movimenti visibili in basso. G. Deleuze, Il barocco. Leibniz e la piega
2-3. Objectile - Studies for the entrance to the Semper Pavilion
4. Objectile - Studies for forniture. Variable cafè-tables.
5. Objectile, 1998 - What we do in objctile is tring to implement all the means of conception and manifacturing facilities needed to produce objects which always differ although belonging to the same series. Objectile means non standard conception and production. It is a kind of continuation of the machinic philosophy of gilles deleuze.
linguaggio di Deleuze definendo che cos’è il barocco, e nel linguaggio di Cache per definire una tendenza contemporanea, si adotta il termine di Piega. Deleuze e Cache ad ogni modo proseguono, e ad una dimensione concettuale dell’argomento entrambi propongono la loro piega radicale e reale. Scrive Deleuze “Il nuovo statuto dell’oggetto lo sottrae ad ogni calco spaziale, cioè al rapporto forma materia, per inserirlo invece in una modulazione temporale, che implica una variazione continua della materia ed uno sviluppo continuo della forma”. Non si tratta più solamente di scrivere attraverso notazioni e calcolare la variazione di funzioni e curvilinearità, ma di espanderle nello spazio e nella materia, così da generarle come superfici di sequenze. Se Deleuze dunque trova una chiave di lettura dell’architettura e del disegno superciale e materico barocco, quello che Cache invece definisce è un sistema di produzione della superfice progettuale, sempre diversa, sempre realizzabile, sempre accessibile e variabile, sia che questa diventi un tavolo, un rifugio o una facciata. Ed infatti questo è quello che scrivono Bernard Cache, Patrick Beaucé e il gruppo Objectile nel 1998 “ Quello che facciamo all’interno di Objectile è cercare di attuare tutti i mezzi di concezione e produzione necessari per sviluppare oggetti che siano sempre differenti, appartenendo comunque alle stesse serie. Objectile significa una non-standard concezione e produzione di un oggetto. In qualche modo è la continuazione della filosofia reale macchinica-materica di Gilles Deleuze”. Nel saggio Toward a non-standard mode of production (20032005) Chache scrive che una non-standard architettura si inserisce in una tradizione di unicità, ed autenticità aggiungerebbe Toyo Ito, che interseca ogni modo di produzione - artigianale, artistico, industriale o digitale. In aggiunta a questo l’oggetto è anche una serie, fa parte di serie di catene aperte: l’oggetto è un punto su una continua variazione morfologica, una morphé in un continuum. Il gruppo Objectile lavorando in questa direzione ha adottato un proprio software di analisi ed elaborazione di dati basato su TOPCAD, che consente di analizzare la progettazione di curve e forme variabili, per produrle usando macchine digitali a controllo numerico. Gli oggetti sviluppati da questo processo, da elementi di arredo a facciate, da pannelli a strutture, sono oggetti e spazi topo-
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logici capaci di essere riprodotti in condizioni e contesti differenti, capaci di adattarsi e variare. In questo modo Objectile comprime processo e produzione, esprime in un termine ampio ed indefinito la funzionalità pura ed adattativa propria dell’oggetto. Objectile si concentra quindi sul processo di generazioni di piani e superfici, e successivamente del loro assemblaggio e produzione.
6. Deserted A vast desert is a pre-narrative and preàlanguaged consistent flock. Who, Where? Deserted. There are passages. A nomad grasps autonomous surfaces’s plane. Deserted
II. Deserti
Pregnancy: unprogrammed, an-original
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Nel 2016 il concorso svedese 120hours rilascia la traccia da sviluppare “ Che cos’è successo allo spazio architettonico?” a cui segue una breve e diretta contestualizzazione: “E’ possibile immaginare una architettura senza luogo e programma? Se è così, come si possono integrare qualità spaziali originarie? Attraverso il compito di progettare una casa senza funzioni, le scelte architettoniche dovranno definire il progetto basato su pure qualità spaziali piuttosto che la sua organizzazione programmatica ed economica.” “Deserted” è un illustrazione ed una storia breve, contratta, raccontata solo dal titolo di ogni capitolo. Ermetica perchè aperta, densa perchè polidirezionale. Deserted è la storia di un performer-nomade che vagando per un luogo aperto, un deserto, si trova nella condizione di dover stare. In quel momento è pura relazione 24 tra parti variabili e paramentri: la topologia e morfologia del terreno, la scala e la posizione dell’insediamento, una griglia segnata sul terreno, le proporzioni, gli oggetti, gli strati, il sistema costruttivo, le funzioni. Proprio nel momento in cui l’oggetto funzionale per eccellenza, la sedia, una seduta qualsiasi, perde la propria condizione, perde la propria funzionalità, in quel momento avviene una reazione. In quel momento si raggiunge un punto di an-originalità e muscolarità. Si va per tentativi, si cerca di linguare sull’oggetto perduto, sulla funzionalità annullata: questo è il perturbante della dis-funzionalità, che porta con se la reazone di un corpo in movimento muscolare. Si è arrivati fino ad ora a descrivere l’oggetto come funzionalità pura, la sua produzione e la sua condizione intrinseca superficiale ed ambientale; deserted riprende questa narrazione partendo però dall’annullamento della funzionalità, dalla sospensione dell’ogget12
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Tatami ; a multiple measure
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Deserted
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Map: morphogenerative anarchic
Directionality - Occupation
A skin ; strata consistency
Corpse, objects, ambients - haptic
Deserted
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Resistency
Tatami ; a multiple measure
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Pregnancy: unprogrammed, an-original
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Tatami ; a multiple measure
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Map: morphogenerative anarchic process
Directionality - Occupation
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A skin ; strata consistency
Corpse, objects, ambients - haptic
A skin ; strata consistency
Resistency
to. Rimane la superfice, il tratto superficiale di un deserto, ed un corpo. Che cos’è o cosa rappresenta, e come si rappresenta, qualcosa senza alcuna funzione? In che modo si muove qualcosa senza una specifica direnzione? Da dove comincia una non-funzione, una dis-funzione? Che cosa rimane? Una necessità, una località, una forma pura, organica, minimale, postmoderna, eclettica, contemporanea, effimera? La dis-funzione è forse la possibilità, il modo adattativo e resistente a qualsiasi funzione? Non è forse un movimento architettante ( architecturing movement) nella sua più pura e consistente essenza? Spostandosi di lato la questione diventa come provocare, come insinuare un processo di dis-funzionalità rispetto qualcosa di funzionale e funzionalizzato? Come poter dis-fare? Qual’è il momento prima di una dis-funzionalità? Dis-funzionalità, a-funzionalità, qualsiasi funzionalità: l’aperto. L’illustrazione intende indicare l’instabilità, il perturbante della funzione, per poi concentrarsi su un corpo che diventa espressione, che diventa architettura, che assorbe e condensa, che diventa un modo ed un movimento. Un deserto, un luogo desertico dove qualsiasi funzione è appiattita e annullata, dove si vaga per movimenti nomadici, è il luogo locale su di un piano in cui accade e giace una gravidanza. Che cos’è una team 3059 gravidanza? Map: Non è forse un grumo di possibilità e capacità in uno morphogenerative anarchic process stato ancora dis-funzionale ed aperto? Un gravidanza per adattare, per occupare, per appropriarsi, per resistere. Una gravidanza Corpse, objects, ambients - haptic attuale, contingente e densa di capacità. La reale questione di una non- o dis- funzione è in relazione a condizioni locali ed ambientali, ad appropriazioni nomadiche. E’ la condizione in cui si hanno solo possibili serie di variazioni e variabilità su cui ancora nessun paramentro è stato inserito. Un movimento o un pensiero nomadico è ciò che per se stesso si trova senza funzione, che si trova in una condizione fluttunte di intensa capacità. L’architettare, quindi una modalità di architettura orientata verso oggetti (in riferimento all’obect oriented programming) è un processo, qualcosa che diventa e sviluppa. Ma dove conduce? Consistenze e strati sono modalità morfogenerative essenziali di un anarchica e an-originale appropriazione. Questi sono scenari e panorami pre-narrativi e
Map: morphogenerative anarchic process
Resistency A skin ; strata consistency
Corpse, objects, ambients - haptic
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A skin ; strata consistency objects, ambients - haptic
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pre-linguistici, sono in effetti tentativi narrativi e linguistici, tentativi sul linguare. Quindi la risposta alla questione di una non-funzionalità non può essere una lista di elementi progettuali o un catalogo di stili, si tratta piuttosto di muovere verso una funzionalità aperta. Questo è un portamento, un portarsi, è il modo in cui un attore si include nello spazio e spazia, è il modo in cui si resiste e si è resistiti, è il modo in cui si assorbe e si è assorbiti da intensità e direzionalità. La reazione ad una funzione è una non-funzione, la reazione ad un programma è qualcosa di a-programmato. Andando oltre, un appropriazione-produzione nomadica dello spazio e un processo architettante sono lo sfondo che porta ad una reazione aptica, reale e muscolare di un corpo. Questo tentativo verso un processo pre-linguistico e pre-narrativo conduce ad una perturbante serie di possibilità e variazioni, che porta un attore e un corpo a non conoscere più il sedersi su una sedia. Come si siede? Che cosa e come si è casa? Tatami ; a multiple measure
Directionality - Occupation
Resistency
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Directionality - Occupation
A skin ; strata consistency
Map: morphogenerative anarchic process
Corpse, objects, ambients - haptic
III. Isole Topologia e capacità sono due tratti, grafici e concettuali, che conducono attraverso questa investigazione. La topologia definisce lo spazio non in modo univoco, non riferendosi qundi alla specificità di oggetti e superfici, quanto piuttosto alla loro posizione e collocazione variabile nello spazio. La topologia è relazione, è la descrizione della relazione morfologica ed interstiziale di superfici ed oggetti: non sta nell’oggetto ma tra oggetti in un paesaggio. Ciò che riguarda l’oggetto invece è l’intrinseca capacità. Come è capace un oggetto rispetto qualcosa di altro, rispetto l’esterno? Quello dell’oggetto è quindi un contorno attivo e passivo simultaneamente. La simultaneità di capacità attive e passive è proprio quello che Bernard Tschumi chiama spaziare in La Case Vide: La Villette, saggio introduttivo a Point de folie-Maintenant l’architecture di Jacque Derrida, 1985. Scrive Tschumi “ La differenza ( differenza - variare - differire) allude all’indecidibilità di questa alternanza tra struttura,evento e non-originaria origine di infinite sequenze di significato.” Aggiunge Jacque Derrida “ La differenza quindi è una strutura ed un movimento non più concepibili sulla base dell’opposizione presenza-assenza.” Nel nostro caso il binomio presenza-assenza è
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team 3059 7. Morphogenerative Anarchic Process - Map Fundamental rules for a morphogenerative process: density and intensity’s variations. Those are relational and an-archic qualities. 8. A skin : strata consistency The covering of a plane aims to a baroque envelope. Overlapped strata generates intersticial opennes. 9. Corpse, Ambient, Objekt Haptic An envelope expands to an intense-autonomic reaction of politic bodies. It unfolds actual and over-languaged modes.
A skin ; strata co
10. Tubes, cardboard and printed transparent paper. Containing Affet-Place I-II-III Aarhus, 2015
traslato in attuale e virtuale, “ La differenza è un gioco sistematico di differenze, di tracce di differenze, dello spaziare, attraverso il quale elementi sono in relazione tra loro. Questo spaziare è la simultanea produzione attiva e passiva di intervalli senza i quali il termine pieno non significherebbe, non funzionerebbe.” Non è nemmeno necessaria una distinzione tra attività o pasività in questa forma di linguaggio, le capacità infatti non sono attive o passive. Non esiste un ordine di gerarchia tra attori-attivatori attivi o passivi, quanto piuttosto un movimento continuo da attivo a passivo e da passivo ad attivo. Attori, oggetti e superfici si trovano sullo stesso piano, sono complanari. Si tratta di possibilità di eventi che l’oggetto, ed un corpo, possono attualizzare. Tutto condensa in un punto di relazione ed interazione. E’ proprio questo che Affects-Place (2015) tenta di visualizzare. Laeso è un isola sedimentaria nel Kattegat, in Danimarca. L’orogenesi dell’isola è legata a depositi sabbiosi lasciati da correnti marine, è fondamentalmente un incrostazione per strati successivi. Questa condizione implica l’estrema piattezza dell’isola, i cui lembi sono perennemente coinvolti dall’estendersi e ritrarsi della marea. Su questi lembi perimetrali ha luogo affect-place. Sigillati in tre tubi cilindrici di cartone si trovano tre affect-place virtuali, cioè in potenza di infinte capacità. Su ogni tubo c’è un etichetta che dice :
Affect-Place I , Topological enevelope, “Contiene 120m di corda polietilinica bianca, con infinite possibilità” Affect-Place II , Intesiveness-Extensiveness “Contiene 100 stringhe di ferro non galvanizzato lunghe 0,5m, con capacità molteplici e virtuali” Affect-Place III , Morphogenesis Consistency, “contiene 250g di fumo di segnalazione arancione, tipo e meccanismo 16819 e 16820, con un piano di consistenza in espansione”
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11. Photography III Affect - Place I Yellow II Topological Envelope Hornfiskron Laeso, 2015
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12. Photography III Affect - Place I Black I Topological Envelope Hornfiskron, Laeso, 2015
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13. Photography III Affect - Place II Intensiveness Extensiveness Riassemblaggio in studio Hornfiskron Laeso, 2015
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14. Photography III Affect - Place III Orage II Morphogenetic Consistency Hornfiskron, Laeso, 2015
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Ogni tubo viene aperto in un momento diverso; ogni installazione attiva ed attualizza alcune capacità. La corda viene stesa sull’terreno acquitrinoso, sul quale si adatta, sul quale ricopre e si appoggia. Le stringhe di ferro sono piegate per imprimersi della forma della superfice e poi abbandonate per tre giorni, così da ossidarsi. Successivamente saranno ricomposte in studio su un supporto di polistirolo. Il fumo di segnalazione viene lasciato espandere all’interno di una zona delimitata da una corda bianca. Dissolverà e si muoverà con la densità dell’aria e la pressione del vento. Ecco quindi che da de-territorializzato e concettuale, il discorso che riguarda funzionalità pure e non-funzionalità, variazioni e sistemi di produzione, modulazioni temporali e continui sviluppi della materia e della forma, è ri-territorializzato ed attualizzato. Accade qualcosa, un evento, un luogo un corpo. Partendo dunque dal accadere di un evento casuale, che cos’è un interazione locale? Bruno Latour in Reassembling the social. An introduction to actor-network theory (2005), al capitolo Second move: re-distributing the local scrive “ In effetti, ciò che si indica con il termine interazione locale è l’assemblaggio di tutte le altre interazioni locali distribuite da qualche altra parte nello spazio e nel tempo, che sono state portate per apparire sulla scena attraverso il collegamento di diversi attori. E’ la trasportata presenza di alcuni luoghi in altri, che io chiamo articolatori o localizzatori.” Si può quindi dire che gli affect-place sono da una parte contenitori di capacità, localizzatori, tali per cui: località sono localizzate ( ri-territorializzate) e luoghi posizionati (attualizzati). IV. Il nomade fuggitivo Toyo Ito, dopo essersi laureato in architettura nel 1965 e aver trascorso fino al 1969 un periodo presso Kikutake, apre il proprio studio URBOT, urban robot, a Tokyo nel 1971. Nel saggio The logic of Uselessness 1971 descrive Urban Robot come un bastardo dell’architettura, come un uovo depositato da una città apatica e svogliata verso la tecnolgia, ma della cui dominanza si è ormai rassegnata. Dal 1969 fino all’estate del 1971 URBOT non ha fatto altro osservare quieto i movimenti della società contemporanea, immersa
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15-16. Modellino e riproduzione parziale in scala 1:1 del progetto WhiteU, ToyoIto&associati. Presentato alla mostra The JapaneseHouse. Architettura e vita dal 1945 ad oggi. L’allestimento è curato da AtelierBow-Wow Roma, 2017
in edifici multipiano in acciaio, blocchi di cemento prefabbricato imbiancati, piazze e parcheggi senza fine, e la cui fede salvifica risiedeva nella ripetizione di un mantra “comunità, comunità”. Ito e URBOT portano avanti diversi concetti radicali, tra cui la dis-funzionalità e diverse condizioni del corpo contemporaneo che è prima nomade urbano, poi un corpo virtuale ed infine un corpo primitivo. Ripercorrendo ancora la linea della dis-funzionalità come una funzionalità aperta, Thomas Daniell in The fugitive, saggio introduttivo a Tarzan in the media forest, parafrasando Ito scrive che solamente un aperta disfunzionalità può avere un qualsiasi impatto su una sociaetà diventata ormai così razionalizzata. Qui sta proprio la logica dell’inutilità, una parodia dell’ostinata ricerca di un funzionalismo così pervasivo nella architettura del momento. Ecco quindi che URBOT si impone come una manifestazione dell’onnipresente ma raramente espresso aspetto del genoma dell’architettura moderna. Uno dei primi edifici in cui la presenza della dis-funzionalità si rende manifesta è White U. Ito la descrive come una incisione su di un lotto che sancisce la riappropriazione dell’atto architettonico (o di un architecturing movement) ad un suo luogo primordiale. Ogni superfice ed oggetto è sbiancato, scolorito, così da staccarlo rispetto una qualsiasi funzione pratica. Quello che spazialmente accade in White U è la continuità di un luogo che deve essere vissuto come un ambiente fludio. Da qui l’atto e il movimento progettuale fondamentale, rendere lo spazio fludio, e poi, solo in un secondo momento, renderlo abitabile e riempirlo con i luoghi di ogni giorno. Il fluido si materializza come elemento compositivo con forme disparate, per dare forma alla luce, agli ambeinti, ai colori, agli odori. Questo è un morphema. Una sequenza di spazi sempre continui, sempre contigui, sempre adattativi e sempre privi di una funzione pratica e definita. Attraverso la disfunzionalità Ito è dunque arrivato alla definizione di un morphema, che di per se non è altro che una forma, ma il suo risvolto fondamentale è proprio l’accumulo di questi oggetti e la loro variazione secondo parametri ogni volta ri-attualizzati e da ri-definire. Sono dis-funzionalità variabili, in cui input e output ogni volta variano e si ri-articolano. La nuova ambizione di Ito attraverso URBOT, che successivamen-
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te diventerà ToyoIto&associati, diventa così sviluppare una nuova iconografia del contesto in se, e forse anche definire una nuova forma di vernacolarismo in una Tokyo contemporanea. All’interno di questo scenario, chi dovrà esserne l’abitante? L’ipotetico inquilino sarà un nomade urbano, un individuo fuggitivo in un mondo attuale di fenomeni fuggitivi e transitori. La lettura di Ito rispetto l’homo movens, come lo direbbe Kurokawa, rimane comunque critica ed aspra, in quanto ciò che lo perplime e ciò di cui appunto URBOT è un quieto osservatore è l’estrema virtualità di questi nomadi fluttuanti in una città immaginaria e simulata. Non è tanto l’immaterialità virtuale e tecnologica ad insuare dubbi ma, come si è già detto, l’effetto che questo ha su una società dedicata al consumo e alla performance nei luoghi più differenti. Che cos’è e cosa è diventata l’immagine in una città simulata, in una realtà simulata? Che cosa è un immagine in una società in cui la supercialità è una condizione culturale? Questa condizione di superficialità riguarda i corpi, ma anche la comunicazione, il linguaggio , le architetture, i vestiti, i media. “La crescita dei media ha distaccato le parole dalle cose, e diluito la realtà delle cose in se stesse. Vicino a parole ed immagini da sole, non accompagnate alle cose, noi stiamo aumentando la proliferazione di immagini.” scrive Ito nel saggio Architecture for the simulated city (1991). Ito afferma che il corpo deve adattarsi a questo abitat artificile ( o lo ha già fatto). Nel saggio Tarzans in the media forest (1997) introduce uno dei suoi concetti più radicali: il corpo virtuale. Un rinnovato nomade, e nobile, selvaggio che vaga per lo spazio fluido delle informazioni e degli elettoni. Lateralmente all’idea di un corpo virtuale Ito avvicina anche una contemporanea condizione epiteliale del corpo, della città, di una qualsiasi architettura, come elemento estremamente ricettivo e delicato. Lo strato più esterno di questo vestito, l’epidermide, la facciata, dovrà essere un sensore estremamente efficente e capace di individuare la fluidità di informazioni, spazi ed immagini. E così sia per un corpo reale sia per un corpo virtuale, sia per un architettura estremamente materiale sia per un architettura che voglia riflettere ed espandere immagini virtuali.
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17-18-19-20. ToyoIto&associati Studi e variazioni sulla piant raccontata nel saggio The White ring, in Tarzans in the media forest. Nakano-ku, Tokyo, 1976
V. Griglie
21. Ludwig Mies der Rohe, progetto per un grattacielo in vetro, Berlino, 1922 22. ToyoIto&associati Tower of Winds, Yokoama Yokohama, Nishi-ku, 1986 23. Quarantanni fa. Beaubourg Lezione di Francesco Dal Co presso il museo nazionale delle arti del XX secolo, MAXXI, Roma, 2017
Riprendiamo l’ultimo passaggio sulle immagini e il luogo su cui scorrono. L’epidermide dunque è lo strato più esterno di un vestito, di un architettura, di un corpo, e questo dovrà progettualmente essere ricettivo, trasparente, effimero, dovrà farsi e lasciarsi attraversare dalla condizione di fluidità superficiale e pervasiva contemporanea. Pensando allo strato epiteliale della torre del venti (1986) o della sendai mediateque (2001) quello che comprendiamo è che queste facciate sono permeabili e fluide, filtrano e proiettano, prodcucono e riflettono immagini ed informazioni che le scorrono intorno. Non esiste forse un parallelo tra questa condizione dell’immagine contemporanea, lo scorrere e il riflettersi delle immagini sulla facciata e nell’interno architettonico, ed il linguaggio che già Mies van Der Rohe aveva adottato? La facciata, lo strato più esterno dell’archtettura di Mies è un cristallo permeabile che riflette lo sviluppo della società, che restituisce la proiezione della natura e della città all’istante, del contesto in sostanza, ed allo stesso tempo si lascia attraversare amplificando lo scorrere fluido di corpi, ambienti ed immagini. Il contesto ritrova se stesso all’esterno e scorre fluido nello spazio all’ interno. Ad ogni modo, e con la Sendai Mediateque sopratutto, più Ito riesce a raggiungere l’etereo e lo “spazio cerebrale” di un architettura virtuale più avviene la collisione con la bruta e viscerale materialità della costruzione.La Sendai Mediateque lo dimostra, più leggero era in grado di galleggiare e più pesante il peso lo trascina sul fondo. Come reazione a questo Ito si apre alla quarta fase teorica del proprio lavoro, le prime tre sono state robot, città, e corpi: la natura. Sempre in The fugitive Thomas Daniell scrive che Ito smette di fuggire le limitazioni concrete e materiali dell’architettura, ed anzi, le accoglie. Non bisogna più progettare per un corpo virtuale, ma per un corpo primitivo, e l’origine della forma costruttiva è da riconoscere e rintracciare nella natura, nel mondo materiale. Ito ha usato il computer come una via di fuga per uno spazio fluido di forme emergenti che mimi lo sviluppo e la crescita di strutture naturali. La forma è un volume scavato e modellato, è la risultante delle forze che gli scorrono dentro ed attraverso; l’andamento e la
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distribuzione delle forze produce la forma, produce quindi la struttura, dice Francesco Dal Co alla lezione Beabourg - Centre Pompidou presso il Maxxi nel 2017, riferendosi al lavoro della Arup ed al gruppo sperimentale Structure 3, che nel 1971 comprendeva Peter Rice, Frei Otto e Ted Happold. Structure 3 ha ingaggiato Rogers e Piano per il concorso del Beabourg, aprendo con questo progetto un altro grande tema contemporaneo: l’assemblaggio del frammento e delle parti come forma costruttiva. La forma dunque non è più un qualcosa di pieno e pesante, ma qualcosa di scavato, una superfice di concavità e convessità da modellare e alterare ricercandone la struttura, la funzione che la descriva, e la propria condizione topologica e dis-funzionale. Nel saggio The new Real: toward reclaiming materiality in contemporary architecture (2006) Ito scrive “ Il computer e le nuove tecnologie stanno progressivamente liberando l’architettura dalla geometria euclidea. Stanno consentendo la realizzazione della variabile fluidità di un corpo in movimento e la complessità di una struttura naturale che cresce, tutto questo nello spazio architettonico”. L’architetto Toyo Ito qui si ferma, e prosegue l’ingegnere strutturale Mutsuru Sasaki “ Un processo per trovare univocamente la struttura, per tipologia e forma, ottimale che soddisfi (ed attualizzi) le variabili ed i parametri del design dello spazio desiderato è chiamato analisi del deisgn, o analisi della forma”. Il risultato dell’utilizzo della meccanica strutturale, di funzioni matematiche non-lineari prende il nome di reverse analysis, analisi al contrario, la quale consente di adottare e utilizzare morphemi, ovvero spazi topologici altamente dinamici. Si definisce analisi al contrario perchè essenzialmente si sa già cosa si vuole ottenere, solamente non si conosce il come, da qui si apre un processo di ricerca a ritroso verso la superficie e la struttura che più si adatta, interamente parametrimazzata, scomponibile e variabile. Nel 2006 Carlson Cahn curatore ed architetto della National Neuegalerie di Berlino affida a Ito lo spazio principale del museo per una installazione. L’installazione in realtà dovrà esssere un’installazione-espositore per altri artisti che dovranno allestire e posizionare le loro opere. Cerchando di dare una chiave di lettura all’installazione di Ito dobbiamo però percorrere a ritroso il processo progettuale di Mies van
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24. Tokyo-Berlin/Berlin-Tokyo ToyoIto &associati, curatore Carlson Cahn. installazione al primo piano presso la National Neuegalerie, Berlino, 2006
25. Edoado Persico e Francesco Nizzoli, Sala delle medaglie d’oro alla esposizione aereonautica, Roma, 1934 26. Edoado Persico e Francesco Nizzoli, struttura pubblicitaria, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano, 1934 27. Franco Albini Allestimento della sala dell’aereodinamica alla mostra dell’aereonautica italiana, Palazzo dell’arte, Milano, 1934 28. Luciano Baldessarri, Padiglione Breda Fiera Internazionale di Milano Milano, 1952 29. Luciano Baldessarri, atrio e scalone d’onore Lucio Fontana Cirro Luminoso IX triennale di Milano, 1951
der Rohe. E’ il 1968 e la National Neuegalerie di Mies van Der Rohe è completata, con questo Mies raggiunge il punto più alto dell’espressività della griglia uniforme e continua dell’architettura moderna, dello spazio neutro, omogeno e regolare moderno. In “All’estrema della modernità”, pubblicato nell’ottobre del 1931sulla rivista La Casa Bella, Edoardo Persico scrive riguardo alla appena terminata villa Tugendhat descrivendo il linguaggio spaziale relazionale di Mies, ma soprattutto mettendone in chiara evidenza quella che definisce la grammatica costruttrice dello spazio e dell’ambiente. Quello che Mies infatti stava cercando di creare è un sistema operativo per ogni architetto, un catalogo essenziale di elementi e relazioni architettoniche, insieme ad un catalogo tipologico e costruttivo interamente basato su questi frammenti di grammatica. Se dunque da una parte l’esigenza di un catalogo e una tipologia riproducibile chiara e logica è il contesto per cui si aggira il movimento moderno, dall’altra Mies va oltre. Dalla definizione dello spazio continuo ed aperto, all’individuazione funzionale univoca di un oggetto che flutta per ambienti fluidi, quello che Mies sta tentanto e sperimentando è un linguaggio fatto di grammatiche, modulazioni e punteggiature, che possa sempre essere ri-assemblato, ri-composto, ri-attualizzato, reso ancora più fluido, e con questo raggiungere la chiarezza universale dell’essenziale. Una grammatica, le regole per l’assemblaggio di un linguaggio, non sono mai in eccedenza, anzi evolvono nel tempo perfezionandosi e lasciandosi dietro tutto ciò che non è necessario e funzionale. L’installazione di Ito del 2006 dal titolo Tokyo-Berlin/Berlin-Tokyo si sviluppa sul piano terra della National Neuegalerie, posizionando su di questa un campo, un ambiente, una superfice ondulata di cumuli bianchi per circa 1000m2. “Perchè ho disegnato e progettato questi cumuli di superfici ondulate? Perchè ho voluto trasformare il piano libero di Mies e ammorbidire il suo rigido e quasi-perfetto sistema a griglia” scrive Ito in The new Real (2006). Ciò che rappresenta il piano e lo spazio della Neuegalerie di Berlino è il luogo sacro della geometria euclidea. L’operazione di Ito è una occupazione e ri-appropriazione di questo luogo del sacro, per rendererlo topologico e non-lineare. Aggiunge Ito “ Ho voluto dissolvere la sua regolarità modulare, trasformare il piano in una
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superfice in movimento. Queso non per distruggere od opporsi allo spazio di Mies, ma semplicemente per cercare di spostarlo su una direzione differente - un colpetto verso ciò che adesso chiamo emergent grid”. L’installazione di Ito, come d’altronde larga parte della museografia e scenografia dell’utimo secolo, si ritrova a lavorare con griglie, superfici, strutture leggere e fluttuanti, spazi temporanei sbiancati e smaterializzati, quali alcuni dei più interessanti lavori di Edoardo Persico o Franco Albini. Il modulo fondamentale di queste installazioni riguarda certamente il preciso e programmatico lavoro sulla spazialità moderna - un limpido labirinto di ripetizioni fotografiche, asettico e luminoso, l’essere e l’effimero su un piano di moderna spazialità. Con l’installazione di Ito però, avvicinabile forse di più ai padiglioni di Luciano Baldessari per l’azienda siderurgica Breda, ciò di cui si percepisce la presenza (muscolare) è la variazione, il movimento e l’emergere della griglia uniforme ed omogena moderna che diventa fluida e plastica. All’interno di questa linea diventa chiara la distinzione tra percorsi espositivi, allestimenti, installazioni spaziali-discorsive, ed altri immersive-emergenti. Una spazialità emergente ed immersiva, da recuperarsi tra morphemi, superfici, pieghe, schermi, oggetti e dermi interattivi, fa certamente riferimento alla condizione di superficialità contemporanea, che diventa dunque immersiva. Non solo perchè proietta e mostra, ma perchè immerge e si è immersi (emerge) in uno spazio attraversato da flussi immateriali ed interattivi. L’immersività fa riferimento al corpo, ad un corpo in uno spazio, in un luogo. Si potrebbe dire un corpo su di un evento istantaneo e simulato, che in parte restituisce un immagine contemporanea dis-funzionale, un immagine pervasa ed infasa dal passaggio di informazioni fluide che materializzano, piani e superfici.
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Con questo si è arrivati a definire parzialmente un contesto contemporaneo fatto di architetture e corpi in movimento, attraverso superfici topologiche, eventi e variazioni. La condizione contemporanea del piano non è più funzionale ed rigida, ma in movimento e dis-funzionale, che significa rendere allo spazio ed alla superfice la propria aperta capacità di essere localizzato, di essere evento, di essere relazione, di diventare ambiente e campo. E’ possibile allora rileggere e ripercorrere i cinque punti con i quali si è iniziata questa investigazione:
I. L’architettura non equivale al volume. E’ sul piano, la superficie e il derma, lo strato più esterno, che accade un movimento architettante, su cui si può iniziare un tentativo di linguaggio. II. L’architettura non è una costante ripetizione in cui un qualsiasi programma pubblico implica spazi aperti e un programma privato spazi chiusi. Si può invece parlare di invarianze, tali per cui cose ed oggetti possono ripeersi per similitudine, ma ad ogni modo saranno posizionate su di un piano adattativo rispetto al contesto. III. Un movimento che produce architettura è la variazione per differenze e modi di questa ripetizione, quindi è una serie infinita, una sequenza relazionale. La ripetizione e la variazione di invarianti, di morphemi, attraverso differenze e adattamenti, al loro trasporto e alla loro ri-appropriazione dis-funzionale, genera interazoni locali, sequenze di superfici e luoghi, spazialità relazionanti. Si tratta dell’emergere di ambienti in relazione.
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IV. L’architettura è un ambiente artificiale dentro cui accadono e cadono eventi. All’interno di questi eventi esiste una infinita sfumatura e gradazione di condizioni tra dentro e fuori, aperto e chiuso, pubblico e privato, piccolo e grande, programmato e non-programmato. L’architetura riguarda un catalogo artificiale di E’ quindi sui localizzatori ed ri di eventi che è possibile sviluppare che riguardi oggetti e frammenti blare e ri-assemblare, da accumulare e
eventi casuali. articolatoun discorso da assemdis-cumulare.
V. Il contesto su cui insiste l’architettura, tra ambienti naturali e paesaggi artificiali, è fluido e in costante variazione. Queste variazioni sono gruppi di possibilità adiacenti e progressivi nel tempo, che poi cristallizzano, stratificano ed accumulano. Il contesto contemporaneo riflette una condizione sostaziale di superficialità culturale immersiva, costantemente attraversta da flussi: di luoghi, informazioni, schermi, persone, densità . Ogni strato di questa superficialità è simultaneo e contiguo, simulato e immaginario, manteuto coerente solo dallo scorrere di ambienti e corpi per movimenti fludi. Autenticità, identità e relazione in un istante contemporaneo e simultaneo è la possibile ed ulteriore piega critica attraverso un nuovo reale.
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Radical Diverse - Artificial Landscape Radical diverse è un catalogo di investigazioni e possibili variazioni superficiali, contenstuali e ambientali, che accolgono questa nuova condizione del piano, della dis-funzionalità, della appropriazione-occupazione spazialiale, e dello strato più esterno, il derma inteso come lo strato ricettivo, attraversabile ed espandibile dell’architettura e del corpo contemporaneo. Questi artificial landscapes sono investigazioni e sperimentazioni di morphemi che calati in contesti differenti si producono come una reazione all’ ambiente.
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30. New York - Ground zero - Maki’s skyscraper - Net building
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31. Hong Kong
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32. Area di abitazione temporanea vicino un aereporto. Intervento tra due edificili residenziali multipiano.
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33. Londra - Gateway ed uscite della Metropolitana
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34. Napoli - Zona industrale, fotografata da Gabriele Basilico
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35. Copenaghen
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36. New York
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Bibliografia Antony Vidler: Il perturbante dell’architettura. Saggi sul disagio nell età contemporanea Gilles Deleuze : La piega. Liebniz e il Barocco Gilles Deleuze : Cosa può un corpo? Lezioni su spinoza Gilles Deleuze - Felix Guattari : Millepiani , introduzione: Rizoma Bruno Latour : Reassembling the social. An intoduction tov actor-network theory Toyo Ito : Tarzan in the media forest Toyo Ito : Change the geometry to change architecture Bernard Cache : The computation of Vitruvius Bernard Cache : Towards a contemporary ornamentation Bernard Cache : Projectile Thomas Daniell : The Fugitive Bernard Tschumi : La Case Vide: La Villette, Jacque Derrida : Point de folie-Maintenant l’architecture Jean-jacques Lecercle : The complexity of language Mark Wigley : Discursive versus Immersive: the museum is the message
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