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LA GRANDE VICENZA

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STORIE di Giulia Cicchinè

LA GRANDE VICENZA

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DAI 14 ANNI AL LIDO DI VENEZIA, FINO ALLA COPPA DEI CAMPIONI. UN VIAGGIO CHE PASSA PER VICENZA, CHIETI E ROMA E HA UN SOLO ACCOMPAGNATORE: ANTONIO CONCATO. LO STORICO DIRIGENTE DI VICENZA È RECENTEMENTE SCOMPARSO E MARA FULLIN, SUA GIOCATRICE PER BEN 9 ANNI, CI RACCONTA QUEL BELLISSIMO PERIODO

Laetitia è stata la sua prima società. Laetitia è un modo di vivere che è diventato parte di lei, e lei è Mara Fullin. Mara, classe ‘65 è team manager della nazionale italiana femminile e “in passato, è stata un’ apprezzata cestista”, così recita Wikipedia. Apprezzata? Solo? Quando Mara Fullin ha ricevuto la chiamata da Vicenza, a 14 anni, era già molto più di apprezzata. Un talento cristallino che ha scritto la storia del basket azzurro, del basket vicentino e del basket moderno perché Mara Fullin è sempre lì. È quella ragazza mora, alta, che si vede dietro le panchine, a esultare come sempre per le sue ragazze.

La storia di Mara Fullin si intreccia con quella di Vicenza creando un filo narrativo particolare, stretto, attorcigliato, complesso ma non complicato, perché le grandi storie d’amore non sono mai difficili. “È successo tutto per puro caso, un’estate c’era una squadra allestita al Lido di Venezia per fare un’amichevole contro Vicenza che veniva col suo settore giovanile. Io al Lido andavo al mare e appena saputo di questa amichevole, mi hanno chiesto se volevo partecipare, e ho risposto - Certo! - Con una squadra messa su al mare, mi sono presentata a giocare la sera stessa contro Vicenza. Lì, la dirigenza di Vicenza deve avermi notata e mi sono subito arrivate delle richieste ma avevo solo 14 anni! Quell’estate ho iniziato anche a fare i primi raduni regionali con il Settore Squadre Nazionali e conscia di una preparazione, di una testa diversa e di un’età diversa, l’anno dopo mi sono trasferita a Vicenza”.

Ecco, non tutte le favole, o le belle storie iniziano con il classico “C’era una volta”, ma è pur vero che spesso, la realtà attraversa i confini del sogno, si intreccia anche questa, come la storia di Mara Fullin a Vicenza, come si intrecciano i km tra Venezia, Vicenza, Chieti e Roma. E se vi steste chiedendo cosa c’entra questo viaggio centro-nord con tutta la storia, la risposta è solo una e porta il nome di Antonio Concato.

“Facevo le Finali Nazionali dei Giochi della Gioventù a Roma, con la mia scuola di Venezia. Da Roma quindi, dovevo raggiungere per la prima volta Vicenza in treno, da sola. Tutto questo passando per Chieti. Io sapevo di dover scendere a Chieti, c’era un torneo pre campionato, ero certa e consapevole delle mie certezze. Ma in treno, in viaggio si sa com’è. La gente mi ha visto con la borsa sportiva e ha iniziato a chiedermi perché dovessi scendere a Chieti e non a Pescara che all’epoca aveva la squadra, a differenza della stessa Chieti. Ero convinta di non avere sbagliato la città abruzzese ma avevo comunque 15 anni, figurarsi i 15 anni degli anni ‘80! Mi era venuto il panico, ero andata in confusione. Poi la voce! - La signorina Mara Fullin è pregata di scendere - Come ho sentito il mio nome mi sono fatta forza, sono scesa a Chieti e ho visto ad attendermi Antonio Concato e Roberto Pellizzari. Ho visto la salvezza. Da quel momento, davvero, ho visto in Concato un’ancora cui aggrapparmi”.

Da quel momento, dai 15 a 24 anni passati a Vicenza, Mara Fullin ha trovato la salvezza, la sicurezza di un mare calmo, come quello del Lido di Venezia dell’estate dei 14 anni, che faceva da sfondo al suo futuro sul parquet.

MARA FULLIN IN MAGLIA FIORELLA VICENZA, IN UNA GARA DI COPPA CAMPIONI1984 CONTRO AGON DÜSSELDORF. MARA È LA CESTISTA ITALIANA PIÙ VINCENTE DIOGNI EPOCA, UOMINI COMPRESI: IL SUO PALMARES CONTA 15 SCUDETTI E 7COPPE DEI CAMPIONI.

“Concato era semplice, gentile nei modi, io avevo 15 anni e mezzo e lui con me era tutto un - Signorina, ben arrivata - lui ti dava sempre del lei e adesso che ci penso, noi eravamo le scapestrate che non giocavano su quel “lei” di Concato. Lui ha sempre portato molto rispetto per le sue ragazze”. Così Mara Fullin lo ricorda parlando al telefono, con le macchine che sento sfrecciare al di là del nostro mondo e di quel piccolo universo che ci siamo create con la rete. Quel piccolo mondo racchiuso in uno smartphone che ci permette di comunicare e di ricordare. Mara, il giorno della scomparsa di Concato, aveva scritto un bel pensiero sui suoi profili social. "Mi hai accolto a Vicenza che ero appena quindicenne. In nove anni non ti sei mai arrabbiato, eri buono, gentile, paziente. Ci hai cresciute tu, ci hai fatto diventare le donne forti che siamo oggi. Non eri un presidente, eri una figura paterna. Riposa in pace Antonio."

Perché così era, è, e sarà sempre. “Mi piace dire che Concato ci abbia cresciute perché lui era di quelle figure che gravitano all’interno di una società, che guarda ma che parla poco. Le sue parole però erano pesate, e quando Concato parlava, ti colpiva. Era così. Ci è capitato di fare delle bravate, con la scusa che la società non ci avrebbe mai beccate. E poi, puntualmente ci beccava. Allora arrivava Concato, con i suoi modi sempre gentili, senza rabbia e ci faceva capire. Lui c’era sempre, cestisticamente e umanamente. Gli allenatori e le compagne potevano cambiare e passare, Antonio Concato non andava mai, e non passerà mai”. Dalle bravate dei 15 anni, alla Coppa dei Campioni il passo non è così tanto corto e nemmeno breve, se si considera chi faceva quel passo. Era la grande Vicenza, quella che era squadra in campo e fuori.

“In trasferta, noi volevamo dormire e Concato, le mattine, ci portava in giro per le grandi capitali europee. Ci ha stimolato per non farci diventare quelle giocatrici che se ne stanno a letto quando non giocano. Anche questa la reputo una crescita”. E per crescere a volte, servono i confronti. Serve parlare a viso aperto e a muso duro e non è scontato che nelle società sportive ci siano figure del genere, che possano parlare e che sappiano ascoltare. Concato, manco a farlo apposta, c’era ed era una di quelle. “Nel 1984, a 20 anni, ero sul mercato e stavo per accasarmi a Viterbo, mi voleva Aldo Corno ma a me spiaceva lasciare Vicenza. Così ne parlai con la società e con Concato - ma perché mi volete dar via? - Quelle, però, erano le scelte. La mia fortuna fu proprio Aldo Corno, che venne ad allenare Vicenza, così quell’anno restai. Ma non fu semplice, la società era ferma sulle sue ed è per questo che non è sempre stato tutto un - Sì, Concato. Sì, Concato - ma con i modi garbati, il colloquio con lui era sempre aperto”. Mara Fullin, 9 anni a Vicenza non è solo parte di quella storia, lei è stata artefice di tutto quello che Vicenza ha fatto e di tutto quello che rende possibile attribuire a quella squadra l’aggettivo di GRANDE.

“Vicenza aveva qualcosa di speciale. Le giocatrici erano pazzesche, per non parlare dei rapporti umani. Io adesso sono in una società dilettantistica e mi rendo conto che rispetto a quel periodo sono proprio questi ad essere cambiati, i rapporti, che sono diversi. A livello di squadra, mi ricordo, all’inizio, io ero una bambina e sono stata subito accettata dalle più grandi e quelle ragazze erano fior fior di giocatrici, già plurititolate e non è scontato. Devo dire che però loro erano ben disposte ad accettarci nel gruppo perché eravamo noi più giovani quelle propositive, sempre pronte ad ascoltare i consigli delle veterane, sempre pronte anche a quell’occhiataccia che ci avrebbe fatte migliorare. Credo che sia diverso dal mondo e dallo sport moderno, non si tratta solo di basket. Adesso le ragazzine sono cambiate, sono diverse dalla me 15enne e mi rendo conto che parlare con loro è sempre più difficile. Quando sei sul campo, è complicato riuscire a trasmettere dei concetti di gioco, positivi e negativi, perché spesso le ragazze lo interpretano male e si irrigidiscono. Le ragazze oggi hanno meno fiducia in sé stesse, ed è per questo che anche sul campo, hanno reazioni strane quando un coach tenta di riprenderle per farle crescere. Cosa c’entra questo con la forza di Vicenza? A

Vicenza c’erano giocatrici che sono durate negli anni, erano quelle ragazze a rendere grande Vicenza perché la squadra e la fortuna, si costruisce così: col lavoro, giorno per giorno, di un gruppo che crede fortemente in sé stesso e in quello che fa”. Perché parlare di ragazzine? Perché tornare ai primi anni da professionista di Mara Fullin? Perché facciamo un salto all’indietro, al punto dove inizia tutto quanto: Antonio Concato.

SALONICCO 1987 CONCATO E FULLIN FESTEGGIANO IN SPOGLIATOIO LA CONQUISTADELLA COPPA CAMPIONI, SIRICONOSCONO FRA GLI ALTRI GORLIN, POLLINI,PASSARO, ALDO CORNO E RENATONANI.

“Fin da ragazzine, lui ci guardava con quegli occhietti come a volerci dire - non ne fanno più di giocatrici così - e voleva dire che lavoratrici, determinate, forti come noi, era difficile trovarne, tutte insieme, in una stessa squadra. Le difficoltà le abbiamo sempre affrontate come una squadra: i viaggi lunghi e scomodi, le sconfitte, i problemi. Quello ci rendeva squadra e Concato lo sapeva, per questo lodava sempre la nostra attitudine al lavoro. Lui c’era, lui era lì. Anche quando le cose andavano male. Aveva l’abitudine di andare in una pasticceria e spesso per questo arrivava tardi, me lo ricordo col suo thè con il ghiaccio o una Cola-Cola in mano. Era un buongustaio, con lui si poteva arrivare a mangiare perfino il caviale… Ma sempre accompagnato dalla Coca-Cola. Ecco, Concato era il suo bicchiere di Coca-Cola, era la sua tazza di té col ghiaccio dentro”. Concato era uno di quelli che non passa mai e che grazie ai suoi gesti, piccoli e quotidiani, sarà uno per sempre presente, in campo e nella vita perché da oggi in poi, con la nostra Coca-Cola in mano, potremmo sorridere pensando al commento gentile che ci avrebbe fatto Antonio Concato.

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