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Gi Metal

Ad ognuno la sua pala Gi.Metal propone una lista di consigli per individuare la pala perfetta!

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TROVA LA TUA COMBINAZIONE DI PALA PERFETTA!

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La pala per pizza è il simbolo per

eccellenza per i pizzaioli di tutto

il mondo. Gi.Metal intende aiutarvi con dei consigli, nella selezione della prossima pala da acquistare, consapevole che il pizzaiolo prepara senza sosta centinaia di pizze ogni giorno e, per mantenere uno standard elevato, non deve perdere tempo, né affaticarsi troppo.

Le pale devono essere quindi pratiche, ergonomiche e capaci di far scivolare la pizza in forno con naturalezza.

• IL MATERIALE Le teste in alluminio anodizzato di Gi.Metal, sono leggere e flessibili consentendo un effetto spatola, che facilita la presa della pizza. La robustezza e la durabilità sono assicurati dalla struttura stessa della pala e il peso è ridotto rispetto alle alternative in acciaio e in legno, materiali, sempre meno utilizzati.

• FORATA O PIENA? La pala forata, innovazione che Gi.Metal ha introdotto ad inizi anni 90, ha il vantaggio di permettere una maggiore scorrevolezza della pasta sulla superficie, ma soprattutto permette di far cadere la farina in eccesso.

• LA FORMA La pala per pizza rettangolare, ha una maggiore superficie di contatto con la pasta, rendendo semplice il caricamento. Diversamente, la pala rotonda permette di accostare perfettamente le pizze a quelle già in forno e grazie alla mancanza degli spigoli facilita le manovre quando il forno è “affollato”.

• LE DIMENSIONI Le dimensioni della testa della pala per pizza e le misure del manico scelte, comportano praticità e ergonomicità nel lavoro. La prima generalmente si sceglie in base alla grandezza della pizza che si realizza; la misura del manico è determinata dalla profondità del forno con cui si lavora e lo spazio di manovra a disposizione. Gi.Metal vanta una vasta gamma di misure, per tutte le esigenze.

Gi.Metal ti aspetta al Campionato Mondiale della Pizza (Parma) dal 5 al 7 aprile.

di A.P. Formazione vuol dire, secondo il dizionario, acquisire una determinata Formazione. consistenza materiale o fisionomia spirituale. La formazione è dunque ciò che agisce in noi per darci una forma. E questo vale per tutti, anche per i professionisti della ristorazione.

per tutti

Sono sempre meno quei S pizzaioli che richiedono “sacco rosso” e “sacco blu” senza preoccuparsi di cosa ci sia dentro. Se è vero infatti che per molti anni quello di andare alla ricerca della

“miscela perfetta” è stato un trend che ha contraddistinto solo quei pochi professionisti che volevano emergere dalla massa, oggi è ormai ben chiaro alla maggior parte degli operatori del settore che è fondamentale formarsi.

E non solo perché il pubblico è sempre più attento ma anche perché fare un lavoro come quello del pizzaiolo, che richiede costanza e dedizione per molte ore al giorno, è necessario avere qualche motivo in più.

E quel qualcosa è tirare fuori la propria identità per non sentirsi alienati da quanto si sta mettendo in atto.

Per capire quanto sia attuale e sentita questa necessità, faccio un esempio per tutti: pochi mesi fa Phaidon ha dedicato alla pizza un lavoro enciclopedico in 3 volumi dal titolo Modernist Pizza, scritto dagli autori di Modernist Bread: Nathan Myhrvold, gastronomo appassionato ed ex dirigente Microsoft e lo chef Francisco Migoya.

identità

Modernist pizza

L’opera è attualmente disponibile solo in lingua inglese ma da giugno lo sarà anche in lingua italiana. Per realizzare questo volume, i due autori, accompagnati da esperti gastronomi, hanno girato tutto il mondo e intervistato centinaia di professionisti, hanno raccolto informazioni su stili e tecniche, senza ovviamente trascurare gli ingredienti con uno sguardo laico e panoramico. Il tutto senza celebrare alcun volto del “pizza star system”. È la risposta americana al bisogno di cultura, che va oltre i nomi.

cultura che va oltre i nomi

una buona pizza cultura tecnica per realizzare

Cultura intesa come cultura tecnica per realizzare una buona pizza, un obiettivo che qualche decennio fa sembrava essere un divertissement per populisti imborghesiti, visti quasi in malo modo da chi esercitava la professione seguendo la “secolare tradizione familiare”. Oggi invece si tratta di un obiettivo di cui si fa richiesta a tutte le latitudini.

Ecco perché, a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, si sono moltiplicate le scuole di pizza e, di lì in poi, sono partiti due percorsi diversi e complementari ossia i corsi di formazione “one shot” e le associazioni dei professionisti.

corsi di formazione "one shot"

I corsi di formazione “one shot”, nati per volontà di singoli professionisti, camere di commercio o associazioni di categoria, intendevano formare professionalmente quanti intendevano intraprendere un mestiere che garantisse la possibilità di aprire un’attività e posizionarsi sul mercato del lavoro con garanzie di trovare un impiego in tempi rapidi. Per questo motivo, essi erano dedicati a trasferire tecniche e ricette per la realizzazione e la gestione dell’impasto, la stesura del panetto, la cottura. Tutto il resto – che oggi si sa essere di pari importanza – era invece lasciato alla volontà di approfondimento del pizzaiolo e/o dell’imprenditore.

Il ruolo delle associazioni di professionisti ha invece iniziato a invertire la tendenza all’inizio del nuovo millennio:

si è chiesto ai pizzaioli e ai titolari di pizzerie di condividere un “manifesto d’intenti”, talvolta un “disciplinare” (come nel caso dell’Associazione Verace Pizza Napoletana) e riconoscersi così come “comunità operosa”

che porta in varie regioni del mondo una cultura della pizza quanto più aderente a dei canoni ideali (tecnici ed estetici) largamente condivisi. Intraprendendo questa strada, le associazioni hanno dato vita a vere e proprie scuole che hanno inteso formare i pizzaioli con continuità, partendo dalle basi per giungere poi a offrire un importante pacchetto di corsi di approfondimento: dalla gestione del locale al food cost, alla comunicazione, a tutto ciò che è complementare all’offerta gastronomica di una pizzeria. È in questo panorama che hanno trovato terreno fertile le scuole e le associazioni costituite dai mulini, le quali hanno rivolto nel tempo ai propri clienti (e a quanti avrebbero potuto diventarlo) una allettante offerta formativa per gestire al meglio i processi tecnici legati al mondo della pizza. Oggi è sempre più presente la figura del tecnico che affianca il venditore commerciale dei mulini, protagonista già presente negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso ma che attualmente riveste un compito ancora più importante nel mondo sempre in evoluzione della panificazione.

Si tratta dunque di un mondo costantemente “work in progress” nel quale sono entrati da poco più di una decina d’anni anche i consulenti, ovvero dei professionisti dell’arte bianca (spesso, ma non sempre e non solo) che vivono come freelance per elaborare un impasto “cucito su misura” per il locale con il quale intraprendono una collaborazione e un menù che rispecchi l’identità del territorio.

di professionistiassociazioni consulenti per migliorare

Oggi le pizzerie cercano consulenti per migliorare il proprio impasto, per rendere il prodotto esteticamente più accettabile o anche solo per realizzare un menù che vada “oltre i classici” ma senza strafare.

Di tutto questo e molto altro parleremo nelle prossime pagine. Tenendo però ben a mente una cosa: ogni corso e ogni consulenza rappresenta solo l’inizio del percorso che guida alla scoperta e all’affermazione della propria identità e alla costruzione di quello che i guru del marketing statunitense definivano il “personal branding”, ossia il marchio costruito su se stessi.

Buon lavoro!

PARTNER UFFICIALE

CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA

faremo pane” della terra “Del mare e

“Del mare e della terra faremo pane / coltiveremo a grano la terra e i pianeti”, scriveva Pablo Neruda, il poeta cileno esiliato da Videla per le sue lotte al fianco dei minatori.

Al momento dell’esilio, si era da poco conclusa la seconda guerra mondiale, quella che di lì a breve si sarebbe trasformata in guerra fredda. Ed è in quegli anni che Neruda matura le sue “odi elementari”, ossia canti per gli elementi della natura, a partire dalla vite e dal grano. Il pane rappresenta dunque il simbolo della condivisione e della fraternità, una fraternità recuperata e auspicata per “la terra e i pianeti” perché l’agricoltura – è noto – nasce quando l’uomo diventa stanziale e ciò accade quando un luogo è favorevole per l’umanità sia dal punto di vista climatico sia da quello “sociale”. È bene iniziare la nostra riflessione con questo incipit perché quanti, nelle prime ore di questa guerra, non desistono dall’inneggiare alle risposte armate in questo conflitto scoppiato tra Russia e Ucraina, ne tengano in debito conto.

di Antonio Puzzi

Pane simbolo di condivisione e fraternità

Lunedì 14 marzo, mentre questo numero sta per essere chiuso in redazione, gli autotrasportatori italiani sono entrati in sciopero contro il “caro carburanti”. Areté – The Agri-food Intelligence Company ha condotto un’analisi particolarmente interessante proprio su questo tema:

Chiedendo a un autotrasportatore il costo di un viaggio dal porto di Napoli al centro intermodale di Milano, mi è stato riferito che questo è di circa 2500 euro a fronte dei 1500 spesi solo quindici giorni prima. il 24 febbraio, primo giorno del conflitto, il prezzo del gas ha aperto le contrattazioni registrando un +30% e l’Europa importa il 41% dei suoi consumi di gas naturale dai gasdotti russi.

Facile comprendere dunque come questa situazione crei il rischio di pesanti ripercussioni negli spostamenti delle merci, sia verso il pubblico finale sia verso le industrie della trasformazione agroalimentare. La motivazione è presto detta: è da quell’area che oggi è divenuta teatro bellico che giungono nel nostro Paese (e Pane simbolo di condivisione in buona parte dell’Oc cidente) risorse energetiche come gas e petrolio. -

Il petrolio WTI è andato immediatamente a ridosso dei 100 dollari / barile, ovvero la cifra più alta dal 2014. Immediati i rialzi marcati anche sui cereali (frumento, mais e soia) e degli oli vegetali. È infatti da Russia e Ucraina che arriva buona parte del grano Petroli tenero che viene poi trasformato in farina in Italia. Basti pensare che, tra i 10 principali Paesi produttori di grano nel mondo, l’unico europeo è la Germania (al 7° posto) con 28 milioni di tonnellate, di cui 9 esportate. o WTI: 100 d oll a r i / b a r ile

Di contro, gli USA che, insieme al Canada, occupano ben due posti nella “top 10” hanno tantissime e disparate tipologie di farina in commercio, eppure i professionisti della pizza (e non solo) si rivolgono spesso al mercato italiano per l’acquisto delle farine. Questo è uno straordinario merito per la nostra nazione, perché indica la nostra grande capacità tecnica nell’arte molitoria, è l’indice che abbiamo raggiunto livelli altissimi di specializzazione e dunque chi intende preparare un prodotto che è “tradizione italiana” non può che partire dall’acquisto di farina italiana. A questa bellissima storia va però affiancata il rovescio della medaglia:

siamo infatti dei bravissimi mugnai ma l’Italia non è autosufficiente nella produzione di grano,

soprattutto di grano tenero che è quello con cui nella stragrande maggioranza dei casi si prepara la pizza. Riconvertire superfici attualmente destinate ad altri usi avrebbe un forte impatto ambientale, senza contare che le nostre condizioni climatiche (più adatte al grano duro, ottimo per la pasta) non garantirebbero i risultati sperati. Già il 9 marzo Italmopa, l’associazione industriale dei mugnai d’Italia di Federalimentare e Confindustria aveva lanciato l’allarme attraverso la voce del Presidente Emilio Ferrari:

“Le aziende molitorie risultano ormai allo stremo e il fermo produttivo di impianti, già attualmente verificatosi, potrebbe allargarsi molto rapidamente per via della difficoltà a trasferire, seppur solo parzialmente, gli aumenti dei costi energetici sul prezzo delle farine e delle semole. Tali costi si sono quintuplicati rispetto a pochi mesi fa ed un ulteriore pesante aggravio è previsto fin dalle prossime settimane a causa del conflitto ucraino. Una situazione insostenibile, acuita anche dalla corsa senza fine delle quotazioni della materia prima frumento, dei costi della logistica e dei trasporti”.

E di qui l’invito:

“La situazione non appare più sostenibile ed impone di mettere in atto tutte le misure opportune, ivi compresa la fissazione di tetti ai prezzi dell’energia, per consentire la continuità produttiva del comparto molitorio, essenzialmente costituito da piccole e medie aziende familiari”.

Ho chiesto a Riccardo Agugiaro, Ceo di Agugiaro & Figna Molini, quali effetti avrà il protrarsi del conflitto nell’Est Europa. La sua risposta è stata quantomai esaustiva:

“La guerra ha creato molti problemi sull’approvvigionamento del grano di cui Ucraina e Russia sono grandi esportatori ; l’Italia, ne importa una quantità minima, ma sta affrontando l’aumento dei prezzi generato proprio dalla mancanza delle esportazioni di questi due Paesi verso gli altri mercati esteri. Il rischio vero oggi non è solo il rincaro dei prezzi, ma anche la mancanza di forniture. Il conflitto ha bloccato il traffico delle navi nei porti del Mar Nero creando notevoli problemi logistici, perché questi erano utilizzati sia dalle navi provenienti dal Kazakistan sia per il trasporto del grano da altri Paesi. Quindi, la quantità di grano mancante non è soltanto quella proveniente dai due Paesi in conflitto, ma comprende un bacino molto più ampio. Inoltre, a causa dell’aumento dei prezzi e dell’elevata richiesta da parte degli stati, anche altri Paesi, come ad esempio Ungheria, Bulgaria, Slovacchia, Slovenia, Cecoslovacchia e Austria, stanno bloccando le esportazioni di grano verso l’Italia, fra i più importanti acquirenti. Ciò potrebbe determinare, nel breve periodo, oltre all’aumento dei prezzi anche la scarsità di materia. Si tratta di un problema molto serio”.

Non si discosta di molto la riflessione di Antimo Caputo, Ad di Mulino Caputo, intervenuto lo scorso venerdì 11 marzo a L’Italia con voi su Rai Italia insieme al sottoscritto:

“La guerra ha sovvertito tutti gli equilibri mondiali in materia di trasporto di cereali e di equilibrio dei prezzi. Siamo arrivati a dei prezzi veramente folli, ingestibili per un prodotto semplice come quello della farina. Allo stesso modo, i trasporti sono diventati insostenibili per tutti quei prodotti che vengono da Kazakhistan, Russia e Ucraina, senza contare che si è bloccato un terzo della produzione mondiale di cereali, mais, mangimi, semi oleosi catapultandoci di fatto in una gestione veramente complicata”.

Diversa è invece la situazione della semola per la pasta. In una recente intervista rilasciata al sito lucianopignataro.it, Giuseppe Di Martino, patron dell’omonimo pastificio gragnanese (ma anche di Pastificio dei Campi e Antonio Amato) ha dichiarato:

“le paste da grano italiano non avranno alcun problema produttivo. La campagna è finita da tempo e si è prodotto ai costi di un anno fa. Certo, alcuni aumenti possono essere giustificati dall’aumento dei costi energetici e della logistica [comunque contenuti, se si valuta la redistribuzione di tali rincari, ndr…] ed è vero che anche il Canada, altro paese di produzione del grano duro, ha avuto problemi di siccità, ma la stagione promette bene, sia da noi che in quel Paese e la materia prima non dovrebbe scarseggiare”.

In merito al grano tenero invece sottolinea:

“Senza grano estero arriveremmo al massimo a luglio. Al momento le scorte ci sono […] il venir meno del grano ucraino potrebbe creare problemi, ma credo che siamo in tempo a ragionare su altri territori di produzione, primi fra tutti gli Usa e ancora il Canada”.

A proposito però del grano proveniente dal continente americano, oltre che da quello australiano, anche Riccardo Agugiaro sembra essere fiducioso, seppure con maggiore prudenza: “

Possiamo affermare con certezza che ci sono produzioni negli Stati Uniti, in Argentina, in Australia e in altri Stati e non dovrebbero esserci reali problemi di scarsità di grano tenero, ma c’è il rischio di un aumento esponenziale dei prezzi e sarà difficile calmierarli”. Stessa opinione ha Antimo Caputo che, in un’intervista rilasciata al sito lucianopignataro.it dichiara ancora:

“L’Ucraina e la Russia insieme producono il 30 per cento del grano tenero del mondo e venendo di colpo a mancare è ovvio che i prezzi del grano tenero, una vera e propria commodity che ha un suo mercato finanziario, schizzino alle stelle. Un po’ come succede con il petrolio: la materia prima non manca, si alza di prezzo per questo motivo, per la siccità in Canada dello scorso anno e per le evidenti manovre speculative dei mercati finanziari che giocano sul sentimento piuttosto che sul mercato reale”.

E aggiunge:

“Siamo passati da 300 a 500 euro per tonnellata di grano tenero. Il motivo è antico come l’uomo: il grano è uno strumento politico e di guerra da sempre, dall’antichità. Con la guerra, il venir meno del grano ucraino, l’aumento dei costi dell’energia e le speculazioni finanziarie si è realizzata la tempesta perfetta su questa commodity. Un po’ come per il gas, che aumenta sulla paura che possa aumentare”.

A questo punto, come possiamo metterci al riparo? Secondo Agugiaro

“la siccità in Europa e in Italia fa prevedere un raccolto scarso. In Ucraina non riusciranno a fare il nuovo raccolto e non riusciremo quindi a ricompletare le scorte. Questo quadro rappresenta una situazione molto difficile che non si era mai verificata prima”. E aggiunge:

“Né mio nonno, né mio padre hanno mai vissuto un momento così cupo. In Italia si può fare poco per l’aumento della produzione del grano. Il nostro territorio non lo permette e le culture non possono essere aumentate in maniera elevata. Già nella prima e nella seconda guerra mondiale le cosiddette Guerre del Grano non hanno permesso all’Italia di essere autosufficiente nella produzione. Per il futuro il nostro Paese continuerà ad essere dipendente per quanto riguarda l’approvvigionamento del grano da altre nazioni estere. Anche perché, non si deve dimenticare che coltivazioni di grano avrebbero un impatto sul consumo del suolo”.

L’unica riflessione con cui sento di chiosare questo articolo è dunque quella della necessità di trovare soluzioni alternative, non alla pizza ma alla guerra perché, per dirla con Neruda:

“la terra, la bellezza, l’amore, tutto questo ha sapore di pane”.

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