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Considera gli ingredienti

a cura di Slow Food Italia1 www.slowfood.it

Secondo Slow Food, la qualità di un prodotto è determinata dal fitto intreccio di relazioni tra l’ambiente, il lavoro umano e le tecniche (tradizionali o innovative) che servono per produrlo. Le specificità dell’area geografica di produzione, le caratteristiche del suolo e il clima rendono infatti uniche le produzioni alimentari.

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Nel Manifesto della qualità secondo Slow Food del 2006, si individuano tre elementi a cui riferirsi per costruire il concetto di qualità alimentare: ha dichiarato nel 2005 il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini. Mangiare è, infatti, un atto agricolo (come sosteneva Wendell Berry) e se il consumatore privilegia cibi buoni, puliti e giusti, favorisce un’agricoltura sostenibile capace di conservare e mantenere paesaggi rurali e saperi tradizionali.

• Buono. La bontà organolettica, il piacere, al gusto inteso anche in termini culturali.

• Pulito. L’ambiente deve essere rispettato prendendo in considerazione le pratiche agricole, zootecniche, di trasformazione, di commercializzazione e di consumo sostenibili.

• Giusto. Vuol dire senza sfruttamenti, diretti o indiretti, di chi lavora nelle campagne, retribuzioni gratificanti e sufficienti ma, al contempo, rispetto per le tasche di chi compra valorizzando equità, solidarietà, dono e condivisione.

Questo però vuol dire non solo saper scegliere gli ingredienti riducendo gli sprechi ma anche saperli valorizzare al meglio in una ricetta. In poche parole: non è necessario usare elenchi infiniti di Presìdi Slow Food per essere ritenuto un cuoco o un pizzaiolo attento al cibo di qualità ma basta saper scegliere con cura quelle produzioni, privilegiando per lo più quelle locali, riuscendo a valorizzare uno ad uno gli ingredienti che andiamo a inserire nel nostro piatto o sulla nostra pizza. L’attore napoletano Massimo Troisi, scomparso troppo presto, nel celebre film Ricomincio da tre, diceva a un “complessato” Robertino che la dose giusta (per fare l’amore, in quel caso) era “Mai più di cinque” e - se sei laureato - “mai più di quattro”. Rifacendoci a quella gag, potremmo dire che se le nostre ricette conterranno non più di 5 ingredienti (escluso l’olio e il sale, magari) ciascuno di questi sarà valorizzato nel miglior modo possibile. E, se siamo davvero bravi, potremmo addirittura spingerci nell’usarne “non più di quattro”. Spesso, sfogliando i menù, sembra di avere in mano un ricettario di qualche cuoco cortigiano del periodo barocco. Oggi i tempi sono diversi: proporre ingredienti “in purezza” è la nuova frontiera della qualità, non solo per il gusto ma anche perché in questo modo riusciamo a utilizzare con parsimonia le risorse messe a disposizione dal territorio. narrante: una forma di etichettatura più completa che non sostituisce l’etichetta legale ma, posta a fianco ad essa, la completa e la integra mediante ulteriori informazioni e approfondimenti applicati sulle confezioni dei prodotti e si propone di raccontare in maniera esaustiva la filiera produttiva. Il tutto con la garanzia di Slow Food rispetto alla veridicità e alla completezza delle informazioni stesse.

Se invece vogliamo aggiungere ai nostri piatti “un ingrediente in più”, meglio puntare sulla narrazione. Secondo Slow Food soltanto la narrazione può restituire al prodotto di eccellenza il suo valore reale. Dobbiamo pretendere una narrazione sistematica e critica del prodotto, della sua storia, delle caratteristiche dell’ambiente e del territorio dove è nato, della tecnica di trasformazione (oppure di coltivazione o allevamento se si tratta di una specie vegetale o di una razza animale). La maggiore conoscenza della materia aumenta, infatti, la consapevolezza della potenzialità che il cibo di qualità ha nella conservazione della biodiversità e spinge le persone a interrogarsi sui propri consumi e a convincersi della necessità di intervenire attivamente valorizzando il lavoro dei piccoli produttori.

La grande scommessa di Slow Food per il tempo di oggi è cambiare le abitudini alimentari quotidiane grazie a un approccio più responsabile, che legga la complessità del sistema cibo e ricerchi un piacere lento e durevole. Dobbiamo tornare a dare valore a ciò che si ha nel territorio, affondare le radici nella cultura gastronomica locale, mantenendo viva la curiosità di conoscere quella di altri luoghi, per avere uno sguardo attento sul cibo e comprenderne relazioni e origini.

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