n.10
novembre '14
p. 4
nov. 2014
pizza e pasta italiana
AZIENDE Ambrogi Forni
p. 39
Avanzini Bruciatori
p. 49 p. 3
Bigolin Cad
p. 45, 78
Caseificio Sabelli
p. 53,79 p. 45
Castelli forni
p. 2
Ceky Forni Edeb Blu
p. 57
ETC Group SRL
p. 65
Eurochef
p. 19
Famila
p. 76
Fiera di Bari
p. 56
Fiera di Milano - HOST
p. 34
Fiera di Padova - Tecno & Food
p. 82
Fiera di Parma - Pizza World Show p. 88 Fiera di Rimini - Gluten free expo
p. 66
Fiera Di Rimini - Sigep
p. 48
Fiera Di Riva del Garda - Exporiva Hotel p. 40 Lidia
p. 64
Lilly Codroipo
p. 71
Margot
p. 15
Matteo Basta Forni
p. 63
Milliberg
p. 37
Molino Agugiaro e Figna
p. 21, 89
SOMMARIO 6 EDITORIALE
di Giampiero Rorato
8 BACHECA
10 PIZZA NEWS
a cura di Patrizio Carrer
12
VERSO L'EXPO DI MILANO 2015
— In atto
una rivoluzione alimentare
di Giampiero Rorato
p. 31
Molino Pasini
p. 11
Molino Polselli
p. 99
Molino Vigevano 1936 srl
p. 43
16
Novaltec
p. 77
L'INTERVISTA
Pavesi Luciano
p. 51
Prontofresco Greci
p. 61
Refrattari Pavesi Modena
p. 27
Rispo
p. 59
— Conosciamo il Chianti Classico
p. 100
Sitta
p. 67
Smoki elettromeccanica
p. 35
Stilcasa
p. 79
Techfood
p. 7, 9
Ventidue
p. 25
Vito
p. 30
DEL MESE Il Ristorante Belvedere
a cura di Patrizio Carrer
Molino Dalla Giovanna
Sanfelici Franco
22 RISTORANTE
Incontro con Giuseppe Liberatore Direttore Generale del Consorzio del celebre Gallo Nero
di Virgilio Pronzati
di Giampiero Rorato
28 LE CUCINE DEGLI ALTRI
— Israele
a tavola
Il gusto della diaspora di Caterina Vianello
32 OSSERVATORIO HOST
—I forni a legna di Patrizio Carrer
p. 5
36 LA STRAORDINARIA
50 IL DOLCE
72 QUESTIONE DI GUSTO
STORIA DEL PANE
- Le pere di Domenico Longo
— Il turismo è fondamentale per il riscatto del sud italia
di Giovanna Allegra
di Nives Piva
54 L'ANGOLO DEL VINO
74 SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE
— L'esaltazione delle tradizioni locali di Giampiero Rorato
41 LE FARINE
– Barbera del Monferrato DOCg Superiore Pico Gonzaga 2011 - Friuli colli orientali DOC Pinot Nero Ronco del palazzo 2009 - Cinque terre DOP Magioa 2011 di Virgilio Pronzati
— Le farine in commercio Dott.ssa Alessia Pagotto Tecnologa alimentare
58 LA BIRRA
LE ACQUE
— La scelta corretta dell'acqua minerale ci aiuta a star bene e a vivere meglio di Laura Nascinben
di Dott.ssa Marisa Cammarano biologa Nutrizionista
78 DALLE AZIENDE - Cad - Caseificio Sabelli - Stil Casa
– Dalla Boemia al mondo
80 IL PRIMO GERMAN PIZZA TROPHY
di Laura Nascimben
di Caterina Orlandi
62 IL BAR
84 IL GIROPIZZA D'EUROPA
— Lo Cherry Brandy
46
- Impariamo a conservare
di Gianandrea Rorato
68
— Il mercato ittico di Laura Nascinben
90 UN SALUTO AD UN AMICO
92 –98 SCUOLA ITALIANA PIZZAIOLI — Tutti i corsi per neo pizzaioli in Italia e all’estero
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pizza e pasta italiana
EDITORIALE
C
i avviciniamo a grandi passi all’Expo di Milano 2015, che sarà una grande vetrina dove il mondo vedrà e giudicherà l’Italia, la sua civiltà, la sua cultura, il suo impegno per combattere la fame e la cattiva alimentazione nel mondo. L’Expo 2015 è un evento epocale e di grande impatto mediatico a livello mondiale e deve avere il pieno sostegno non solo delle istituzioni, ma di tutti gli italiani, memori della loro storia che ha dato al mondo contributi fondamentali per lo sviluppo della civiltà. Nel contempo l’Italia, nelle sue espressioni politiche e sociali, a tutti i livelli, deve compiere una profonda riflessione. Ci sono ancora troppi poteri invecchiati, anchilosati, sclerotici che frenano l’azione rinnovatrice ormai indispensabile. C’è troppa paura del rinnovamento
PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n. 1019 del 02/04/1990 Anno XXV - n.10 Novembre 2014 Repertorio ROC n. 5768 DIRETTORE EDITORIALE Massimo Puggina DIRETTORE RESPONSABILE Giampiero Rorato SEGRETARIA DI REDAZIONE Manuela Pelosin PUBBLICITÀ Manuela Pelosin, Patrizio Carrer, Caterina Orlandi, RESPONSABILE PROGETTO David Mandolin REDAZIONE 30021 CAORLE (VE) via Sansonessa, 49 Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it
delle istituzioni, della semplificazione legislativa e dell’ammodernamento di leggi datate, mentre negli ultimissimi decenni il mondo è radicalmente cambiato. C’è anche la paura, da parte di certe istituzioni, di perdere peso politico, di contare meno, a volte anche di essere considerate inutili e costose. Questo è il momento del coraggio: è giunto infatti il tempo delle grandi riforme, senza le quali l’Italia – basta guardarci attorno - impigrisce, perde energia, diventa un satellite trascurabile sulla scena internazionale. E a pagare sarebbero gli italiani, l’industria, il commercio, i servizi, con gravissimo danno per tutti. Rinnovando, ammodernando, alleggerendo si renderebbe meno faticosa e più veloce la rinascita dopo la lunghissima crisi, si rilancerebbe il mondo del lavoro e l’immagine dell’Italia sarebbe sempre più apprezzata nel mondo. Riformandosi e rinnovandosi con intelligente coraggio l’Italia potrà presentarsi all’Expo nella consapevolezza di essere, come potenzialmente lo è, un grande Paese, moderno, attivo, efficiente, dove gli abitanti si trovano bene, dove i giovani non faticano a trovare lavoro, dove non serve più emigrare. E vorremmo che questo non fosse solo un bel sogno.
www.giampierororato.blogspot.com
Progetto Grafico Manuel Rigo e Paola Dus — Mediagraf lab Digital Publishing Maura Trolese — Mediagraf lab In copertina illustrazione di Pierluigi Longo Stampa MEDIAGRAF spa Noventa (Pd) Comitato tecnico e redazionale Giovanna Allegra, Marisa Cammarano, Patrizio Carrer, Elsa Emanuela Cugola, Giuseppe Dell’Aquila, Tony Gemignani (U.S.A.), David Mandolin, Gianandrea Rorato, Gianluca Rorato, Federica Zanata, Caterina Vianello, Laura Nascimben, Fabio Iacozzilli Affiliazioni internazionali Jim Winship (Pizza & Pasta Association, Inghilterra) Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.) Abbie Jarman (Pizza, U.S.A.) Hidenao Takahashi (Pan World Inc., Giappone)
di Giampiero Rorato
Kazuko Nagamoto (ICT, Giappone) Takeshi Tanaka (Quattro Stagioni, Giappone) Drew McCarthy (Canadian Pizza Magazine, Canada) Roberto Bresciani (Pizza y Restauration, Spagna), Valeria Vairo (Buongiorno Italia). ASSOCIATO ALL’UNIONE ITALIANA STAMPA PERIODICA PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE ITALIA Pizza e Pasta Italiana SPAGNA RRR Revista de Restauración Rapida, Pizza y Restauración U.S.A. Pizza Today, Pizza, P.M.Q. Steve Green INGHILTERRA Pizza, Pasta & Italian Food GERMANIA Buongiorno Italia – TEL 0421.83148 - FAX 0421.81007
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pizza e pasta italiana
LA NOSTRA BACHECA
di Patrizio Carrer
Burger King acquisisce la catena
Tim Horton
Pecorino e Fiore Sardo – aumentano le esportazioni Nel corso del 2014 i formaggi ovini hanno registrato un grande successo all’estero. Secondo Coldiretti , dall’analisi fornita dall’Istat, da gennaio a maggio 2014, il Pecorino Romano ha avuto all’estero una quotazione al kg di 8,2 euro, raddoppiando quindi di valore negli ultimi 3 anni. Il Pecorino Romano DOP, segna una produzione di 24700 tonnellate nel 2013, di cui circa 10mila esportate negli USA e circa 5200 nell’UE.
Burger King, il colosso americano del fast food acquista la catena di caffetterie Tim Horton. Una scalata da 11,4 miliardi di dollari che per ragioni fiscali sposta il quartier generale in Canada, paese con un regime fiscale più morbido rispetto agli USA. Le due società insieme hanno ricavi per 23 miliardi di dollari e possono contare su 18.000 punti vendita in 100 paesi. Secondo indiscrezioni, dietro l’acquisizione ci sarebbe lo zampino del magnate Warren Buffett, terzo in classifica tra gli uomini più ricchi al mondo.
Vendemmia 2014, annata in calo Meno 15% rispetto all’anno scorso: questo è il dato più sconfortante della produzione vinicola del 2014, mai così bassa dagli anni 50. Maltempo e basse temperature hanno confermato quello che i viticoltori temevano, cioè una scarsa produzione e qualità mediocre. Un dato che si associa anche alle altre produzioni stagionali, come il basilico, che ha registrato perdite considerevoli, e in generale la frutta e la verdura estiva.
Treviso, capitale della
spesa conveniente
Verso SIGEP 2015
Marana Forni sbarca nel
Regno Unito Marana forni, marchio leader nella produzione dei forni a legna per pizzeria, arriva in Gran Bretagna. L’azienda veronese conosciuta in tutto il mondo per aver rivoluzionato il modo di cuocere la pizza, avrà come distributore esclusivo la White’s Foodservice Equipment, ampliando ancora di più la propria rete vendita ed esportando l’eccellenza del Made in Italy all’estero.
Secondo una ricerca effettuata dal magazine Altroconsumo, il capoluogo veneto è la città più conveniente per riempire il carrello della spesa. L’inchiesta fatta su super, iper e hard discount offre un quadro dettagliato sui consumi nella cittadina veneta: molta concorrenza tra i punti vendita, prezzi convenienti e grandi offerte per le famiglie, che possono così risparmiare notevolmente senza rinunciare a beni di prima necessità.
Conto alla rovescia per l’edizione 2015 del Salone Internazionale di Rimini dedicato al gelato e all’arte bianca, che il prossimo anno si terrà in contemporanea con Rhex – dedicato alla ristorazione e all’accoglienza – e Ab Tech Expo – tecnologie per l’arte bianca. Dal 17 al 21 gennaio 2015 sono attesi migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo, con aspettative superiori rispetto dell’edizione precedente (74mila visitatori).
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pizza
NEWS 2014 raccolti record per cereali e latte
Cifre da record per i raccolti di latte e dei cereali in Europa nel 2014. E' quanto si legge nelle prospettive agricole a breve termine pubblicate dalla Commissione europea. Per le consegne di latte, l'Ue prevede di raggiungere nel 2014 il record di 146,4 milioni di tonnellate. Per i cereali invece, Bruxelles prevede un raccolto record di 317 milioni di tonnellate, che fa seguito alla buona produzione realizzata nel 2013. Questo permetterà - sostiene la Commissione europea - di ricostituire le scorte di prodotto in quanto il settore cerealicolo ha anche beneficiato, nella campagna di commercializzazione 2013/2014, del migliore livello in assoluto per le esportazioni. Sul fronte delle carni poi - sottolineano le previsioni Ue - "dopo 3 anni di continuo declino, l'aumento delle vacche da latte consentirà di incrementare la produzione di carne bovina nel 2014. Bene anche la produzione Ue di pollame che registra una continua crescita.
Pastai a Rimini dal 1950: Una giornata con l’eccellenza Canuti oggi anche Prontofrescobiologica con fari- greci ne speciali per gli Chef di oltre 30 Paesi Avviato da Mario Canuti per servire alberghi e ristoranti della Rimini che ospitava i turisti negli anni della “ripresa”, il laboratorio artigianale di pasta fresca entra nell’era dell’ alimentazione ad alto valore nutrizionale presentando, ad EATALY Smeraldo di Milano, la nuova gamma di paste biologiche con farine speciali: Integrale, al Grano Saraceno, al Farro e al Khorasan Kamut©. “Il più grande laboratorio artigianale in Italia per la produzione di pasta all’uovo fresca surgelata ad adottare la trafilatura lenta al bronzo, come nel 1950, in grado di interpretare i gusti di una clientela molto eterogenea nei 5 continenti” afferma orgoglioso l’Amministratore Unico e Direttore Commerciale Denis Cecchetti. “Siamo all’appuntamento della nostra impresa con il proprio ruolo sociale, che va oltre l’interpretazione di nuove culture e gusti, attraverso un sapiente connubio di tradizione e innovazione, e che la porta a promuovere valori e uno stile alimentare tali da contribuire al benessere delle persone a tavola e nella vita quotidiana”, completa Cecchetti nell’illustrazione del percorso compiuto nell’ultimo anno di attività fino alla nascita della gamma delle paste “BioSpeciali di Canuti”. Un laboratorio artigianale certificato per il rigore, ma anche una industria che trafila lentamente come un laboratorio artigianale, e l’esperienza di chi fa pasta dal 1950. Un passo avanti per il Made in Italy d’eccellenza nel mondo.
Lunedi 29 settembre presso Villa Momis, bellissima location a Cavarzere (VE) è stata organizzata una giornata che l’azienda di Parma ha voluto dedicare a vecchi e nuovi clienti, con la preziosa collaborazione di altre aziende per completare l’offerta al cliente finale: Dersut caffè, Carlsberg, Latteria Soligo e Tiziana Industria Noleggio Tessile. Il marchio storico Prontofresco che firma la gamma dedicata esclusivamente alla ristorazione professionale. Ciascun prodotto è studiato per rispondere alle esigenze del “fuori casa” dal ristorante tradizionale ai più moderni locali di tendenza. Sapori ricchi e genuini per portare in tavola la migliore cucina italiana, dall’antipasto al dessert. La rivista ha presenziato all’importante evento e si augura ce ne possano essere molti altri di simili
Nessuna come lei
Sai, la gente forse è troppo insoddisfatta. Si perde in congetture, in paure. Crede non esistano più farine che sappiano davvero di farine. Ma poi accade: si accorge di Lei. Sente quel profumo e sente quella materia. Sente che è Lei e che è diversa dalle altre. “Non cambierai e sempre sarai sincera”, i più grandi maestri pizzaioli ne sono certi.
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IN ATTO UNA RIVOLUZIONE ALIMENTARE PER
LA
NUOVA
QUALE
SERVE
UNA
CULTURA
DEL
CIBO
di Giampiero Rorato
speciale expo 2015
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VERSO L’EXPO
DI MILANO
In
questi ultimi decenni, da quando la Francia, all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, ha lanciato la Nouvelle Cousine, portata in Italia subito dopo da Gualtiero Marchesi, la “grande cucina” è stata elevata al rango di produzione artistica, occupando grandissimo spazio nei media – giornali e televisione – dando vita anche a trasmissioni TV, spesso fintamente dedicate alla cucina, perché pensate prevalentemente come spettacolo (quindi capaci di attirare spettatori e, conseguentemente, pubblicità), spesso lontane mille miglia dalla cultura del cibo. A certi livelli poi, fatte salve lodevoli eccezioni, c’è una gara per produrre piatti capaci di sbalordire e una corsa, a volte spasmodica, verso le alte votazioni delle Guide – che
preludono a ben remunerati ingaggi televisivi ed editoriali - come se la cucina fosse più estetica che nutrimento, più apparenza che sostanza, più fantasia che concretezza, anche se un piatto bello e ben fatto è chiaramente da preferire ad uno senz’anima. Non c’è dubbio che da qualche tempo la stessa pratica quotidiana del cibo ha subito dei forti cambiamenti: il classico menu – antipasti, primi, secondi, dessert – è stato rivoluzionato, a cominciare dalla Spagna che ha privilegiato le tapas, che sono una serie di assaggi che hanno preso il posto dei piatti come prima li conoscevamo. Poi è aumentato il mangiare fuori casa, si è diffuso nella ristorazione il “menu fisso” (e, nell’alta ristorazione, il “menu degustazione”) o il “monopiatto”, anche perché si è capito che, in genere, a mezzogiorno, soprattutto fuori casa, si mangia meno sia per risparmiare che per essere più leggeri e quindi più attivi il pomeriggio. È poi aumentata la scelta del crudo rispetto al cotto, si preferiscono i sandwichs e le insalate rispetto ai piatti tradizionali. In sostanza l’alimentazione è velocemente cambiata in questi ultimi tre decenni e serve prenderne atto.
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pizza e pasta italiana
SPECIALE EXPO 2015
LA CULTURA DEL CIBO Se fino a ieri - qualche decennio fa, cioè fino alla fine della civiltà contadina - la cucina ripeteva dei riti collaudati, con piatti e menu che, nel corso degli anni, cambiavano molto lentamente, in questi ultimi tempi c’è stata una vera e propria rivoluzione alimentare, accompagnata anche dalla crescente consapevolezza che i prodotti agroalimentari ed agroindustriali finalizzati all’alimentazione devono poter soddisfare le esigenze dell’intera umanità. Ecco degli argomenti ancora non sufficientemente studiati ed ecco perché un evento come EXPO 2015 arriva quanto mai opportuno per fare il punto sullo stato in cui si trova oggi l’alimentazione, per poter poi indicare le strade da percorrere per garantire a tutta l’umanità – anche a quei molti milioni di persone che vergognosamente sono lasciati morire di fame – un cibo sano e sufficiente. Ripeto “vergognosamente” dal momento che gli abitanti dei Paesi ricchi gettano nelle immondizie gran
LE NUOVE TENDENZE CULINARIE parte del proprio cibo o pensano di asservire impunemente le popolazioni del cosiddetto Terzo Mondo al dominio di certe potentissime aziende multinazionali. Dovranno poi essere affrontati tanti altri grossi problemi, meglio se in appositi e ben organizzati convegni internazionali preparatori alla grande manifestazione milanese, in particolare per quanto riguarda la disponibilità di acqua potabile; le regole per definire la composizione di molti alimenti (oggi, ad esempio, per mettere in commercio prodotti denominati “succo di frutta” basta che il liquido colorato ne contenga il 15 per cento, e già questo è assurdo); gli alimenti senza zucchero o senza glutine; l’indicazione dei luoghi di provenienza dei prodotti agroalimentari e agroindustriali e i loro esatti componenti; l’uso alimentare di oli pericolosi (come l’olio di palma); il rapporto cibo-salute e cibomalattie; e altri argomenti consimili.
Il
21 e 22 di questo mese l’Università François-Rabelais di Tours in Francia, organizza due giorni di studio su “Alimentazione e Cultura”, chiamando a discuterne i maggiori studiosi ed esperti francesi, uomini di cultura, agricoltori, gastronomi, chef e pasticceri. Ci piace l’idea che l’EXPO di Milano abbia suscitato, magari indirettamente, anche all’estero un fiorire di iniziative culturali a cura delle Università e delle Istituzioni governative, segno che il tema dell’evento milanese è considerato della massima importanza per l’intera umanità. In Italia si è già mossa, fra gli altri, l’Accademia Italiana della Cucina sollecitando incontri e approfondimenti nelle sue delegazioni in Italia e all’estero, sensibilizzando in questo modo gli operatori e quanti si interessano di alimentazione su argomenti fondamentali per il futuro dell’umanità, in particolare sulla difesa, conservazione e valorizzazione delle risorse disponibili, sulla cultura (quantità e qualità) del cibo necessario e sul valore della tradizione, correttamente e intelligentemente intesa. Ora aspettiamo che in Italia si muovano altre realtà, in particolare le Università dove ci si interessa di alimentazione, le grandi industrie alimentari, le organizzazioni che fanno dell’alimentazione e del cibo il proprio scopo statutario, le grandi reti televisive e la stampa specializzata, con l’augurio che nasca un grande movimento capace di coinvolgere il maggior numero di persone per renderle finalmente sensibili sulla serietà e l’importanza dei problemi alimentari e sulla qualità, non sempre accettabile, dei prodotti alimentari offerti dal mercato.
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— Conosciamo il Chianti Classico —
Incontro con Giuseppe Liberatore Direttore Generale del Consorzio del celebre Gallo Nero
di Virgilio Pronzati
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Giuseppe Liberatore
L’INTERVISTA
Chiedo allora al dott. Liberatore se un taglio del 20% - se consentito - con un vino dell’annata precedente potrebbe migliorare complessivamente il Chianti Classico?
Se nel Chianti Classico il Sangiovese deve essere almeno l’80%, un restante 20% di Cabernet Sauvignon o Merlot non potrebbe, dottor Liberatore, cambiare sensibilmente il quadro delle caratteristiche del vino (tipicità) e confondere il consumatore?
L’intervista al dottor Liberatore, ci permette di conoscere in modo approfondito uno dei grandi vini italiani, lo stato dell’arte, i problemi e le prospettive di un prodotto che da secoli onora ed esalta l’enologia italiana nel mondo. Iniziamo allora ricordando che la zona di produzione del Chianti Classico Docg si estende per 10.000 ettari, con altimetrie e sottosuoli diversi per cui i vini avranno caratteristiche diverse tra loro, accentuate dalle condizioni climatiche che, se avverse, fanno ricorrere all’arricchimento con mosto concentrato (da uve della zona), rettificato o zucchero d’uva.
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In realtà la zona di produzione del vino Chianti Classico DOCG riguarda circa 7.000 ettari che sono iscritti all’Albo. Altri 2.000 sono gli ettari, sempre all’interno della zona di produzione del Chianti Classico, piantati a vigna ma non iscritti all’Albo del Chianti Classico: in questi vigneti si producono altre tipologie di vino, compresi alcuni IGT. La zona di produzione del Chianti Classico è morfologicamente e pedologicamente molto varia, con suoli e altitudini diverse, fattori che contribuiscono a dare alla produzione vinicola dell’area, caratteristiche particolari, anche se sempre sotto il minimo comune denominatore dato dall’uva Sangiovese. Questo è il nostro valore aggiunto, perché in ogni annata, grazie a microclimi e terroir diversi all’interno dell’area di produzione, anche in condizioni meteorologiche non ottimali si riescono sempre a produrre eccellenze qualitative. Per quel che riguarda il taglio con le annate precedenti, nel Chianti Classico è ammesso solo fino al 15%.
Il Sangiovese è un’uva con un grande carattere ma, come tutti i grandi interpreti dell’enologia mondiale, non sempre trova le condizioni ottimali per esprimersi in tutta la sua potenzialità. E’ un vitigno non facile, che ha una maturazione tardiva, il che presuppone un grande lavoro in vigna. La possibilità di utilizzare vitigni alternativi nel blend del Chianti Classico, siano essi vitigni internazionali come Merlot e Cabernet Sauvignon, che autoctoni, come Colorino, Canaiolo, Malvasia Nera, ecc. dà l’opportunità ai viticoltori di produrre vini con caratteristiche stilistiche diverse e raggiungere sempre un altissimo livello qualitativo in qualsiasi annata. Inoltre anche vitigni come Merlot e Cabernet Sauvignon, quando coltivati nel territorio del Chianti Classico, di fatto ne assumono l’impronta, dando ai vini caratteristiche che sono strettamente legate al territorio di produzione.
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pizza e pasta italiana
L’INTERVISTA Secondo le annate ci saranno allora Chianti Classico con caratteristiche diverse che spesso sono accentuate nella tannicità e il boisé per l’uso eccessivo di barriques e tonneaux che ne limitano l’armonia e l’espressione del terroir. Cosa ne pensa al riguardo?
Tra i produttori di Chianti Classico ci sono quelli cosiddetti storici, di media e grande produzione e i piccoli artigiani. Naturali differenti tipologie ma anche in contrasto tra loro. Il Consorzio aiuta i piccoli produttori sotto il profilo tecnico?
Nelle note ed importanti zone vinicole, la maggior parte del vino, in questo caso il Chianti Classico, è venduto all’estero. Un fatto positivo che però lascia spazio ad alcune considerazioni: sperare che il trend tenga e, se ci possono essere più spazi, nel commercio interno. Qual è la strategia commerciale del Consorzio per consolidare il mercato estero già acquisito e per incrementare quello nazionale?
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L’epoca dei vini “castoro”, come per un periodo erano battezzate quelle bottiglie che presentavano al palato un uso eccessivo del legno, è ormai tramontata. Anche in mercati come gli Stati Uniti, dove il gusto è sempre stato orientato verso vini più strutturati e con tannini ben presenti, il trend è quello di ricercare di nuovo il frutto, l’eleganza, l’armonia. Ritengo che la parola armonia sia la parola chiave per i Chianti Classico di oggi: un uso consapevole del legno, soprattutto nei vini destinati ad un medio e lungo invecchiamento, è necessario e aiuta a valorizzare le caratteristiche organolettiche derivanti dal frutto.
La diversità dimensionale delle nostre aziende è anche la nostra forza. Le aziende più strutturate sono state le “apripista” in tanti mercati che per le aziende più piccole non era possibile raggiungere. Il Consorzio da sempre supporta tutte le categorie di produttori, con la realizzazione di attività promozionali diversificate. Sotto il profilo tecnico, un grande contributo lo ha dato il Progetto Chianti Classico 2000, un progetto di ricerca che il nostro Consorzio ha portato avanti per oltre 15 anni, con la collaborazione delle Università di Firenze e di Pisa, che ha previsto lo studio di oltre 200 tesi in 10 appezzamenti viticoli appositamente realizzati in zone diverse all’interno del territorio chiantigiano. Questo progetto ha dato importantissime informazioni tecniche ai viticoltori chiantigiani, sia dal punto di vista della selezione dei cloni migliori per il rimpianto dei vigneti che di tante altre nozioni inerenti: densità di piantagione, tecniche di coltivazione, portainnesti etc.
Il nostro Consorzio da anni investe energie e risorse nei principali mercati europei e d’oltre-oceano. Negli ultimi anni la quota export è certo cresciuta, tanto che oggi sta superando l’80% delle vendite totali. Non credo che questo trend non sia destinato a durare, anche perché il Chianti Classico è distribuito in oltre 50 paesi del mondo e abbiamo vari mercati consolidati, a partire da Stati Uniti e Germania, ed altri ancora con ampi margini di crescita, vedi Canada e molti paesi asiatici (Cina). Non vogliamo tuttavia trascurare il mercato domestico, e qui in Italia stiamo attuando operazioni di marketing innovative, volte ad ottenere una crescita di notorietà del nostro prodotto e del marchio del Gallo Nero. Fra queste posso citare l’apertura di flagship-stores, negozi monomarca, che propongono oltre ai vini Chianti Classico un’ampia gamma di oggettistica con il logo del Gallo Nero.
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pizza e pasta italiana
L’INTERVISTA Le chiedo infine, ringraziandola della sua disponibilità, quali modifiche il Consorzio di tutela del Chianti Classico ha proposto e attuato per il disciplinare di produzione.
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Un’importante novità riguarda l’introduzione di una nuova tipologia nella piramide qualitativa del Chianti Classico: la Gran Selezione. Nella nuova tipologia rientrano solo vini integralmente prodotti con uve provenienti da singola vigna o uve selezionate tra i vigneti più vocati dell’azienda. Oltre a prevedere caratteristiche chimiche e organolettiche più restrittive, la Gran Selezione può essere immessa sul mercato solo dopo un invecchiamento minimo di trenta mesi di cui tre d’ affinamento in bottiglia. Con la Gran Selezione il Chianti Classico è la prima denominazione in Italia a puntare verso l’alto, a decidere di valorizzare il suo territorio partendo dalle sue eccellenze qualitative. Un’altra importante novità è rappresentata dal fatto che il produttore adesso deve dichiarare sempre, al momento della richiesta di idoneità del prodotto, la sua destinazione d’uso, ovvero se il prodotto per cui si richiede la certificazione è destinato a Chianti Classico Annata, Riserva o Gran Selezione. In questo modo il produttore attua una scelta più consapevole, selezionando a priori le uve e i vini destinati alle diverse tipologie Infine il marchio del Gallo Nero, che dal 2005 rappresenta l’intera denominazione Chianti Classico, è stato oggetto di una rivisitazione grafica tesa a renderlo ancora più protagonista sulla bottiglia: un Gallo Nero ridisegnato con forme più efficaci e tratti più moderni esce dalla fascetta di stato per essere presente in maniera più visibile sulla bottiglia, posto sul collo o in retroetichetta.
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IL RISTORANTE DEL MESE
Il Ristorante Belvedere di Giampiero Rorato
dell’Hotel Villa del Parco a Santa Margherita di Pula, Cagliari
il ristorante del mese
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ell’estremo Sud della Sardegna, lontano dai luoghi invaghiti del turismo modaiolo che alimenta a piene mani il gossip internazionale, c’è il prestigioso Forte Village all’interno del quale si trova l’Hotel Villa del Parco che la critica internazionale considera uno dei gioielli della più bella, riservata e sontuosa ospitalità italiana. L’hotel è una stupenda oasi di relax, dove l’ospite è al vertice di tutto, dimostrando che la Sardegna, oltre a luoghi di inimmaginabile prestigio che merita conoscere e godere, regala in molti di questi un’ospitalità che è davvero una cosa sacra. Lo scriviamo volentieri perché ci piacerebbe che in tutta l’Italia ci fossero simili realtà, capaci di attrarre il turismo elitario internazionale che è alla base della grande economia turistica che può non solo salvare ma rilanciare l’economia stessa del paese.
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La terrazza panoramica del ristorante Belvedere a destra
La veduta della spiaggia del Resort
Il Ristorante All’interno dell’Hotel Villa del Parco, che appartiene al prestigioso circuito della Leading Hotels of the World, c’è il Ristorante Belvedere al quale un anno fa è stata attribuita la stella Michelin, qualificando ancor più la ristorazione sarda che dallo scorso anno vanta ben tre ristoranti stellati. Lo chef del Belvedere, qualificato con il prestigioso riconoscimento, è Antonello Arrus, nato a Teulada nel 1961. Dopo la scuola ha perfezionato la sua professione in prestigiose scuole italiane e internazionali come l’Accademia “Lenotre” di Parigi e l’Istituto Superiore di Arte Culinaria Etoile di Venezia. Il primo felice incontro con il Forte Village è avvenuto nel 1980 quando arrivò al villag-
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IL RISTORANTE DEL MESE
La cucina
gio per uno stage in cucina. Dopo di allora ha affrontato numerose sfide che lo hanno poi portato a lavorare in importanti strutture alberghiere in Italia e all’estero (Excelsior Gallia a Milano, Sandy Lane a Barbados, Grand Hotel Palazzo della Fonte a Fiuggi, Queen Elisabeth a Montreal). Nel 2003 c’è stato il grande ritorno al Forte Village come chef responsabile di uno dei più rinomati ristoranti gourmet, il Belvedere, una bellissima terrazza all’ultimo piano di Villa del Parco, aperta tra il cielo e un mare di verde. Affacciato in un magnifico giardino tropicale, il Belvedere interpreta in chiave moderna i piatti della cucina tradizionale italiana e sarda. “La stella Michelin che è stata data lo scorso anno al ristorante che dirigo – afferma Antonello Arrus - rappresenta chiaramente l’apice nella carriera di ogni chef e ha costituito un premio alle mie preparazioni culinarie, realizzate in parte con ingredienti coltivati nell’orto bio del resort e che, accomunate dalla leggerezza e da un accordo di profumi, attentamente ricercato, esaltano i sapori e i colori della mia terra.”
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Lo chef Antonello Arrus a destra
Lo chef e alcuni dei suoi collaboratori
La cucina del Belvedere è tipicamente sarda ma rivisitata in chiave moderna, tenendo conto della clientela internazionale che lo frequenta. I piatti sono presentati con sobria ma vera eleganza, con grande attenzione al cromatismo, ai tagli, alla porzionatura e alla decorazione finale. “Amo cotture leggere – precisa Antonello Arrus – privilegio per quanto possibile la stagionalità per avere ingredienti sempre freschi, ricchi dei loro profumi naturali, quindi esigo pomodori appena colti, olio extravergine di oliva, aromi e spezie mediterranee. Ci sono comunque sempre in cucina, per piatti che si richiamano alla grande cucina internazionale, il foie gras d’oca, l’aragosta, il caviale. E, naturalmente, la cantina propone una vasta gamma di prestigiosi vini sia locali che internazionali, capaci di soddisfare pienamente i commensali.”
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RISTORANTE DEL MESE Ricetta per 2 persone
Ingredienti 450 g di astice, 110 g di fregola sarda, verdurine miste, 1 cucchiaino di bottarga in polvere.
Verdure miste in bronoise peperoni rossi, carote, zucchine, aromi freschi
Composta d’astice nappato in emulsione dei suoi coralli su insalata di fregola fredda Preparazione
Emulsione Coralli e fegatini d’astice olio extravergine d’oliva sale pepe aceto bianco pomodori maturi basilico
Porta a ebollizione in circa lt 3 di acqua salata con court bouillon gli ortaggi misti con limone. Immergi l’astice per 8/10 minuti, poi fallo raffreddare e taglialo a metà nel verso della lunghezza senza il carapace. Fa bollire la fregola in abbondante acqua
salata per circa 15 minuti, scola e falla raffreddare. Con un coppapasta prepara un tortino di fregola fredda, con le sue verdurine scottate in padella. Adagia l’astice senza guscio, nappa con l’emulsione di coralli e fegatini d’astice.
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LA CUCINA DEGLI ALTRI
Israele a tavola: il gusto della diaspora
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rendete una matassa di decine e decine di fili colorati e provate a districarla, per distinguere i singoli filamenti. A meno di non avere dita sottili e occhi allenati, l’impresa è ardua. Si può riassumere così l’essenza della cucina israeliana, autentico intrico di sapori che intreccia gusti mediorientali, prescrizioni religiose, influenze geografiche e contaminazioni legate alla diaspora del popolo ebraico. E’ bene subito precisare che non si può confondere la cucina israeliana con quella ebraica. Se quest’ultima infatti, di tradizione millenaria, affonda le sue radici nella Torah (la Bibbia ebraica) e trova sintesi nella kashrut, il complesso di norme e prescrizioni che regolano il regime alimentare e che definiscono l’elenco dei cibi che possono essere consumati (perché puri) e quelli che invece devono essere esclusi (perché impuri), la cucina dello stato di Israele, pur prevedendo il rispetto delle norme religiose, è il risultato di un vero e proprio melting pot gastronomico che mescola tradizioni arabe con influenze europee. Una nazione relativamente giovane – l’anno di nascita dello stato israeliano è il 1948 - si ritrova così, paradossalmente,
IN QUeste paGINe
Il muro del pianto e, sopra, la Moschea della Roccia, dalla cupola dorata
di Caterina Vianello
israele
a portare a tavola una eredità culinaria antichissima e estremamente variegata, in cui la cucina di tradizione autoctona, condivisa dagli ebrei e dagli arabi mediorientali, si è arricchita nel tempo delle culture arrivate insieme agli immigrati. Due sono le grandi linee gastronomiche che disegnano l’universo culinario israeliano: quella sefardita (di origine mediterranea, in particolare spagnola e portoghese, e mediorientale) e quella askenazita (prevalentemente di origine tedesca ed est europea). La prossimità geografica con il mondo arabo e la comune radice culturale tracciano una condivisione di ricette tra ebrei israeliani e arabi palestinesi, nonostante la volontà di distinzione, opposizione ed un conflitto sanguinoso segnino da tempo la storia e i rapporti tra i due popoli. È quindi molto frequente trovare sulla tavola israeliana piatti e accostamenti che abbiamo già incontrato nei viaggi compiuti in Giordania e Siria. L’afflusso degli immigrati ebrei provenienti dalle varie parti del mondo ha contribuito ad arricchire la tavolozza di sapori: alla tradizione askenazita, particolarmente amante dei gusti zuccherati, si devono per esempio blinis e blintzes, una sorta di
crepes di farina ripiene di formaggio o farciture dolci (portate da tedeschi, polacchi e russi), mentre l’apporto sefardita si riconosce dai sapori più aromatici, agrumati e speziati. Si aggiungono poi le zuppe, di apporto yemenita, così come il kubaneh, il morbido pane dello Shabbat (il giorno del riposo, che coincide con il sabato) e le salse piccanti, di derivazione nordafricana. Per non rendere il viaggio troppo complicato, allora, è meglio sedersi a tavola e lasciare che siano i piatti e le ricette a farvi assaggiare il gusto delle contaminazioni geografiche. L’apertura del pasto è, al solito, affidata ai mezzeh: ritroviamo allora, tra gli altri l’hummus, la saporita crema di ceci preparata con aglio, limone e la tahina, la pasta di sesamo, quindi le insalate con verdure, melanzane e olive e prezzemolo. Se amate gli stuzzichini più “consistenti”, d’obbligo è assaggiare i felafel, crocchette a base di purea di ceci, erbe e spezie servite nella pita, il pane comune a tutto il medio oriente, e accompagnate da verdure e tahina. Provate anche lo shawarma (di origine turca, analogo al kebab), un panino ripieno di carni di manzo o agnello ammorbidite dal grasso di cottura e affettate da
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Felafel e un piatto di Cholent
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LA CUCINA DEGLI ALTRI uno spiedo verticale, e il shakshuka piatto di origine marocchina con uova, cipolle fritte e salsa di pomodoro. La tradizione europea dei primi piatti si ritrova nel cholent, lo stufato di carne, patate, fagioli e orzo o riso, tipico dello Shabat e la cui cottura di 12-15 ore inizia la mattina del venerdì, in modo da rispettare il divieto del lavoro previsto per il sabato. Europee sono anche le burekas (portate dagli ebrei dei Balcani), torte salate di pasta sfoglia sottilissima ripiene di spinaci e formaggio o carne macinata. Se la carne – rigorosamente di manzo o agnello, mai di maiale considerato impuro - arrostita o allo spiedo è comune a tutta l’area mediorientale, di derivazione askenazita è il gefilte fish, una preparazione in cui il pesce viene trasformato in polpette. Tra i dolci, l’halva, in cui protagonista assoluta è la pasta di sesamo, rimanda
alla tradizione turca, mentre il kugel, una sorta di sformato-timballo arricchito da uvette, spezie e caramello riporta all’Europa centrale, così come le orecchie di Amman, triangoli di pasta cotta in forno e completati da marmellata, i sufganiot, una sorta di bomboloni simili ai krapfen e i latkes, frittelle di patate e formaggio dal gusto a metà tra il dolce e il salato. Tè e caffè, entrambi aromatizzati (il primo in genere alla menta o alla salvia, il secondo al cardamomo) e piuttosto intensi sono serviti ovunque e costituiscono un piccolo rito, secondo la tradizione mediorientale. Se la varietà della cucina israeliana è determinata dalla componente geografica e dall’apporto dei popoli confluiti nel corso del tempo, è sempre bene non dimenticare il rispetto delle festività religiose e delle norme della Torah, che oltre a un indiscusso valore identitario e culturale, scandiscono un gustoso calendario gastronomico. Tra divieti, imposizioni, accostamenti leciti e contaminazioni geografiche e storiche, la cucina israeliana, più ancora di quella ebraica, si conferma così come una delle più interessanti tra quelle degli “altri”.
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Il Muro del Pianto (muro perimetrale del Tempio di Salomone)
Una cucina ai bordi della strada
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OSSERVATORIO HOST 2015
I Forni T a legna
radizionali, statici, rotanti. I forni a legna sono il connubio tra tradizione e modernità, sono spesso e volentieri il valore aggiunto di una pizzeria e l’Italia si colloca tra i migliori produttori di queste attrezzature. In occasione di Host 2015 le più importanti realtà del settore saranno presenti per far conoscere al pubblico degli operatori le novità e le eccellenze del Made In Italy. L’evoluzione tecnologica e dei materiali ha portato i produttori di forni a legna a studiare soluzioni innovative in termini di costi, design e resa: tutto questo per far fronte alle esigenze di una clientela che sempre di più ricerca di distinguersi dal resto della concorrenza.
Le linee accattivanti del forno Gea di Marana, presentato all’ultima edizione della vetrina milanese, hanno mosso l’interesse di buyer stranieri ed italiani, portando l’accento su un forno in grado di cuocere agevolmente tante pizze contemporaneamente (grazie al sistema di platea rotante Su&giù) e allo stesso tempo di porre il forno come vero e proprio oggetto di design in grado di comporre attivamente l’arredo di una moderna pizzeria.
osservatorio host
La ricerca, il design e la tradizione sono parole chiave anche per Ceky, marchio storico della produzione di forni a legna e a gas che ha unito l’esperienza artigianale con dettagli estetici curati ed inconfondibili: le camere di cottura sono realizzate in mattoni refrattari, per garantire una corretta diffusione del calore e gli innovativi rivestimenti in mattonelle, danno la possibilità al cliente di personalizzare il proprio forno. I mattoni refrattari che costituiscono i rivestimenti dei forni, sono composti da un mix di argilla con una percentuale di allumina e silice: questi materiali permettono una migliore resistenza agli shock termici e sono in grado di sopportare altissime temperature senza compromettere la struttura, condizioni indispensabili per chiunque voglia lavorare con temperature di oltre 400°C. Per la preparazione della pizza napoletana STG, è necessaria per esempio una temperatura della platea di 485°C e della volta di 430°C (fonte: Disciplinare di Produzione della Specialità Tradizionale Garantita “Pizza Napoletana” MIPAAF), di conseguenza, il forno in questo caso diventa uno strumento indispensabile per permettere al bravo pizzaiolo di lavorare in condizioni ideali. Valoriani ha puntato sulla tradizione campana, proponendo il forno “verace” dedicato proprio alla produzione della Pizza Napoletana Stg. Non solo, attraverso il sistema di controllo RHS Reciclyng Heating System – sistema recupero calore) la temperatura del suolo è costante ed uniforme anche nelle zone lontane dalla fonte di calore, la combustione è regolabile ed i consumi sono ridotti.
Se l’Italia è all’avanguardia nella produzione dei forni a legna e nei materiali che lo compongono, altrettanto importante è il valore aggiunto dato dalla capacità di cuocere un numero adeguato di pizze all’ora. Se si considera che mediamente una pizzeria con 130 posti a sedere, può avere in una giornata di punta come il sabato, più di 400 pizze da servire, la resa del forno diventa fondamentale. Pavesi Srl, azienda modenese specializzata nella produzione di forni a legna e a gas, ha tenuto conto di questi fattori: il best seller Pavesi “Rpm 140/160” è in grado di toccare punte di produzione di 140 pizze all’ora, grazie anche all’ottima coibentazione che permette al forno di arrivare in temperatura desiderata in pochi minuti. La praticità è il marchio di fabbrica dell’azienda modenese, che è in grado di coniugare risparmio di calore, operatività del pizzaiolo e accuratezza estetica del forno.
Un buon forno a legna quindi agevola il lavoro, ma il pizzaiolo stesso deve curare e gestire nel migliore dei modi quello che a tutti gli effetti è uno strumento di lavoro indispensabile. Una corretta e regolare pulizia della platea migliora la prestazione del forno stesso, oltre che la preparazione della pizza, un’adeguata manutenzione ed assistenza, fornita da tecnici specializzati e l’utilizzo di combustibili “puliti” cioè privi di sostanze che potrebbero danneggiare il forno stesso, come anche la pizza in cottura, possono allungare la vita del forno e mantenere la produttività su elevati standard sia quantitativi che qualitativi.
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LA STRAORDINARIA STORIA DEL PANE
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L’ESALTAZIONE DELLE TRADIZIONI LOCALI Il pane tra Sette e Ottocento di Giampiero Rorato
ILLUstraZIoNI dI Tommaso Vidus Rosin
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uando nel Settecento soffiano anche sull’Italia i venti dell’Illuminismo provenienti dalla Francia nasce, soprattutto nella gioventù più istruita della borghesia e della nobiltà, la consapevolezza di una comune identità degli italiani, fino ad allora legati ai tanti piccoli stati spesso in lotta tra loro, egoisticamente chiusi in se stessi, impediti a vedere quello che succedeva al di là dei confini e, soprattutto, al di là delle Alpi. Poi succederà, nel 1797, la Rivoluzione Francese che sconquasserà l’intera Europa, con Napoleone che, a cavallo fra Sette e Ottocento, percorrerà in lungo e in largo il Vecchio Continente, scendendo in Italia e arrivando poi, oltre che in Egitto, anche fino a Mosca. In questo quadro storico, in contrasto con le guerre che stavano allora insanguinando l’intera Europa, s’impongono con più forza le tradizioni locali, punti
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di riferimento fondamentali, capaci di offrire sicurezza, in attesa di capire quel che stava succedendo e dove si sarebbe arrivati. La cucina e il pane erano gli emblemi principali della tradizione, come i canti popolari, i riti religiosi locali, le feste paesane e tutto ciò andava assumendo un ruolo in precedenza poco valutato perché consuetudinario. Alcuni tipi di pane, fino ad allora prodotti e mangiati senza pensarci tanto, acquistano un nuovo significato simbolico, espressione di una identità da conservare e, nel contempo, di un patrimonio da portare in dote a un’Italia che stava nascendo dalle guerre del Risorgimento, dalle visioni di Giuseppe Mazzini, Camillo Cavour, Giuseppe Garibaldi, Massimo D’Azeglio e dagli scritti di Nicolò Tommaseo, Alessandro Manzoni, Silvio Pellico, Giosuè Carducci, Ippolito Nievo, Francesco De Sanctis, Giovanni Verga e tanti altri.
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LA STRAORDINARIA STORIA DEL PANE
Un viaggio lungo la penisola
I pani regionali
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pani che emergono in quei decenni per le loro caratteristiche e il loro valore simbolico sono, limitandoci soltanto a qualche esempio, in Sicilia il pane nero di Castelvetrano, in Puglia il pane di Altamura, il pane Cafone in Campania; la Ciriola romana; il pane di Strettura in Umbria, quello Sciocco in Toscana, ma anche nell’intera Etruria; il Filone nelle Marche; i Cornetti a Ferra-
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ra Sette e Ottocento i viaggi lungo la Penisola dei giovani della nobiltà e dell’alta borghesia inglese, francese e germanica - pittori, scrittori, poeti, musicisti o anche cercatori d’avventure - fermandosi nelle locande delle città attraversate, hanno certamente scoperto, nella varietà delle cucine, la diversità dei pani. In genere si trattava di grossi pani cotti nei forni di casa, poche volte di farina bianca, spesso di farina integrale o anche arricchita da cruschello e, nei tempi magri, anche da farina di ceci e altri legumi, come era avvenuto più volte nei secoli precedenti. Ma avranno anche potuto trovare pani particolari, la mica a Torino, le mantovane in Lombardia, il pan di segala in Trentino, la rosetta a Venezia e così via, scoprendo l’enorme diversità delle tradizioni locali anche all’interno dei territori degli stessi stati d’allora: il regno di Sardegna, Milano dapprima spagnolo e poi austriaco, la repubblica di Venezia, la Mantova dei Gonzaga, lo Stato Pontificio, il regno delle Due Sicilie. In quei due secoli escono dunque allo scoperto i più interessanti pani regionali – e sono molte decine – che caratterizzeranno la civiltà alimentare e gastronomica degli italiani fino agli anni della globalizzazione, continuando comunque ad essere prodotti anche attualmente, anche se in molti casi non più a mano, perché molto buoni e graditi da tutti.
continua nel prossimo numero
ra; il Bovolo a Venezia e nel Veneto; la Michetta nel milanese; i Gofri in Piemonte. Solo alcune citazioni sufficienti per capire come nel Settecento vecchi pani locali, importanti ma trascurati come valore simbolico, iniziano ad assumere presso le classi colte, un ruolo identitario d’una terra o d’una regione, rimanendo inalterati nei secoli successivi o evolvendosi per l’impiego di migliori materie prime.
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Le farine in commercio Informazioni utili agli operatori dell’arte bianca per scegliere le farine piÚ adatte ai prodotti da realizzare
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LE FARINE
La preparazione dell’impasto è una fase molto delicata, perché dalle sue caratteristiche dipenderà la buona riuscita del prodotto finito. Per realizzare un impasto “a regola d’arte” è necessario considerare molteplici fattori: la scelta del metodo (diretto, indiretto o semidiretto), il controllo delle temperature di lavoro, la tecnica di impastamento, il tipo di cottura, il rispetto dei tempi di riposo/maturazione/ lievitazione della pasta, e, fondamentale, la selezione delle materie prime. La qualità e la lavorabilità degli impasti sono influenzate principalmente dalla farina impiegata, un ingrediente, questo, che deve essere scelto con la giusta consapevolezza che la sua forza e il suo contenuto glutinico condizioneranno il risultato finale.
Le farine in commercio si possono classificare in quattro grandi categorie: le farine molto deboli, le farine deboli, le farine medie e le farine forti. Questa distinzione viene operata sulla base del W, valore che indica la forza dello sfarinato.
La forza della farina, come ben sanno gli operatori dell’arte bianca, viene misurata con l’alveografo di Chopin, uno strumento in cui tecnicamente viene insufflata dell’aria in un dischetto di impasto, fino a produrre una bolla che simula ciò che avviene durante la fase di lievitazione.
In questa maniera si misura la capacità dell’impasto di espandersi senza rompersi. Al momento della rottura della bolla, la macchina crea un grafico chiamato alveogramma, dove la resistenza (P) è in funzione dell’estensione (L). Dalla curva alveografica si ottengono due parametri fondamentali che sono il P/L che esprime il bilancio tra le proprietà elastiche e quelle viscose e il W che esprime la forza della farina e che viene calcolato come area sottesa alla curva del grafico ottenuto.
Le farine si possono differenziare in questo modo FARINE MOLTO DEBOLI
FARINE DEBOLI
FARINE FORTI
FARINE MOLTO FORTI
con W inferiore a 180, indicate per biscotti, pasta frolla, cialde, grissini, crackers, gallette.
con un W da 180 a 250, indicate per dolci soffici, pan di spagna, impasti per pane con metodo diretto (es. baguettes, pane comune, ciabatte) e impasti per pizza con metodo diretto.
con un W da 250 e 350, indicate per la preparazione di bignè, brioches, sfoglie, impasti per pane e pizza con metodo semidiretto e indiretto (biga o poolish).
con un W da 350 a 400, indicate per le paste lievitate e quindi pandoro, colomba, panettone, impasti per pane con metodo indiretto (biga o poolish) (es. rosetta) e impasti per pizza con metodo indiretto (biga o poolish).
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LE FARINE Negli ultimi anni c’è stata la riscoperta di farine più “rustiche” macinate a pietra, dove il ruolo chiave non è più esercitato dal W, ma l’attenzione si è incentrata sulle caratteristiche sensoriali sprigionate da queste farine che conferiscono quel quid in più al prodotto finito.
Ciò che contraddistingue le farine macinate a pietra dalle farine convenzionali è la presenza del germe. Durante la macinazione convenzionale infatti il germe viene normalmente eliminato per due motivi principali: il primo è per una questione organolettica (la farina avrebbe un odore eccessivamente penetrante), il secondo è per i tempi di conservazione (problemi di irrancidimento). Il germe, ovvero la parte embrionale, è la frazione del chicco costituita da circa il 38% (±2) di proteine, aminoacidi e vitamine idrosolubili, il 22% (±2) di fibre, cellulose, emicellulose e pentosani, il 20% (±1,5) di amido e zuccheri liberi, il 15% (±2) di lipidi, acidi grassi e vitamine liposolubili (vitamina E) (responsabili della connotazione aromatica nel prodotto finito) e infine il 5% (±1) di sali minerali (rame, calcio, manganese, fosforo, e magnesio). Gli strati più periferici del germe inoltre contengono alfa e beta amilasi che sono gli enzimi specifici responsabili della scissione dei legami glicosilici delle molecole di amido con conseguente liberazione di zuccheri semplici. La presenza di zuccheri liberi porta a una più rapida lievitazione dell’impasto (lo zucchero infatti funge da substrato che i lieviti utilizzano durante il processo fermentativo) e a un’intensa colorazione del prodotto finito per reazione di Maillard (zuccheri e aminoacidi reagiscono insieme ad alta temperatura). L’esperienza e la passione per il proprio lavoro devono quindi essere coniugate con la conoscenza di questi aspetti più tecnici che sono assolutamente fondamentali per arrivare all’eccellenza e alla costanza del risultato.
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
La scelta corretta dell’acqua minerale ci aiuta a star bene e a vivere meglio Gli italiani sono i massimi consumatori al mondo di acqua minerale – 120 litri l’anno per persona – attualmente il doppio rispetto agli scorsi anni ’80, nonostante le campagne di numerose istituzioni locali che invitano a bere l’acqua dell’acquedotto e in numerosi comuni siano state installate delle casette che erogano acqua dell’acquedotto filtrata e anche con l’aggiunta di anidride carbonica per renderla frizzante. Ci sono inoltre dei locali di ristorazione che danno ai propri clienti acqua di rubinetto filtrata da loro e la fanno anche pagare (ma non tutti, in verità). Eppure, pur essendo gli italiani gran consumatori d’acqua – sia minerale che di acquedotto – dell’acqua si conosce molto poco, oltre al fatto che fa bene berne molta. Prima di approfondire, come avevamo preannunciato lo scorso mese, le caratteristiche delle varie acque minerali, diamo ora alcune indicazioni generali, anche sulla scorta del buon senso e dei consigli che i medici di famiglia sono sempre pronti ad offrire ai propri assistiti.
di Laura Nascinben
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Leggere l'etichetta
Le caratteristiche salutari
Mi sembra doveroso ribadire un concetto cui ho fatto cenno nei mesi precedenti. Sia che si compri l’acqua minerale al supermercato, sia che venga portata in tavola nei locali di ristorazione il primo interesse del consumatore dovrebbe essere quello di conoscere ciò che si prepara a bere, quindi dovrebbe controllare l’etichetta che è la “carta di identità” dell’acqua stessa, dal momento che, è bene sottolinearlo, non tutte le acque minerali sono uguali. L’acqua dell’acquedotto è per sua natura certamente potabile, ma di essa non si conoscono le caratteristiche, cioè i sali minerali contenuti, qualcuno dei quali a volte da evitare potendo essere nocivo per il nostro corpo. La prima cosa che ciascuno dovrebbe verificare – chi è affezionato a determinate acque minerali basta che l’operazione che consigliamo la compia almeno una volta – è l’etichetta nella quale deve essere chiara l’indicazione che si tratta di acqua minerale, perché ogni altra indicazione, come “acqua di sorgente”, “acqua eccellente”, “acqua da bere”, “acqua limpidissima”, “acqua di alta montagna” e simili ci fanno capire che non si tratta di acqua minerale per cui è possibile che non abbia le caratteristiche anche salutistiche possedute dalle acque minerali, come è riconosciuto dal Ministero della Salute.
Come abbiamo sopra accennato e come approfondiremo più dettagliatamente più avanti, l’acqua minerale contiene dei sali minerali – chiamati “ioni” - molto importanti per il corretto funzionamento del corpo, quindi preziosi per la nostra salute. Tali sali non si trovano già nel nostro corpo ma devono essere assunti mediante l’alimentazione e le acque minerali possono dare un notevole apporto di questi sali. Come spiegano bene i medici, le ossa del nostro corpo hanno bisogno di calcio così come ne hanno bisogno i nostri muscoli e ci sono acque minerali ricche di calcio, quindi importanti per le nostre ossa e per i nostri muscoli. Il potassio, a sua volta regola la conduzione degli impulsi nervosi e muscolari ed è consigliato dai medici per chi soffre di crampi; il magnesio aiuta a regolare l’intestino; lo zolfo è utile per il benessere dei capelli e delle unghie e si potrebbe continuare, ma quanto precede ci sembra per ora sufficiente per comprendere come le acque minerali siano utili per la nostra salute ed è quindi bene conoscere, attraverso il rapporto con il proprio medico di fiducia ed a seguito delle analisi di routine cui in genere tutti ci sottoponiamo, i minerali di cui abbiamo più bisogno e scegliere l’acqua che li contiene.
Altre cose importanti da vedere in etichetta sono il nome e il luogo della sorgente, la composizione analitica, cioè l’elenco dei minerali presenti nell’acqua e la loro quantità, il nome del laboratorio dove sono state effettuate le analisi e la data dell’ultima analisi effettuata, il nome del titolare dell’azienda che ha imbottigliato e immesso sul mercato l’acqua stessa e il numero di identificazione del lotto. Tutti questi dati sono obbligatori per legge e l’assenza di qualcuno farebbe sospettare qualcosa di molto poco chiaro. Leggere l’etichetta non è dunque una perdita di tempo, perché significa aver compreso il valore dell’acqua minerale, anche perché dietro ogni bottiglia c’è un complesso lavoro di persone che ne seguono il percorso dalla sorgente al momento dell’uscita dalla sede di imbottigliamento, attuando tutti i controlli previsti dalla severa legge italiana, a totale garanzia dei consumatori.
In tal modo aiutiamo il nostro corpo a stare bene e questo è interesse di tutti, specie in un mondo non solo molto inquinato, ma davvero stressante come quello in cui ci troviamo a vivere. Perché l’acqua minerale non serve solo a soddisfare la sete, dal momento che ci aiuta a garantire al nostro corpo quell’equilibrio in contenuti salini di cui il corpo stesso ha bisogno per star bene.
002/2013 BTCH13E
Approved Event
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
Le pere di Domenico Longo Vice campione del mondo di pasticceria di Giovanna Allegra
A
volte, come abbiamo visto lo scorso mese, è molto facile preparare un dolce capace di incontrare il favore dei clienti d’una pizzeria, ma se si vuole non solo soddisfare i commensali desiderando anche emozionarli allora occorre una grande preparazione professionale, specie nelle scuole dove si apprende ad alto livello l’arte di realizzare dolci importanti. Per il dolce di questo mese mi sono rivolta a uno chef-pasticcere originario della Calabria, il quale, dopo il diploma alla Scuola Alberghiera, ha seguito dei corsi sulla decorazione artistica con le sculture vegetali e con il ghiaccio entrando nelle squadre sia dei cuochi che dei pasticceri italiani che hanno partecipato ai rispettivi Campionati del Mondo ed è stato Medaglie d'argento e d'oro ai Campionati Mondiali di Pasticceria e ha avuto altri riconoscimenti di prestigio, con applaudite performances con la Nazionale Italiana
il dolce
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lug —PIZZA ago E PASTA 2012 ITALIANA
pizza e pasta italiana STORIA Cuochi in Lussemburgo e negli Stati Uniti.
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Il dolce di Domenico Longo
alle foci del Nilo, fecero conoscere all’EuDEL PANE ropa, iniziando dalla Sicilia e dalla SpaOra lavora come executive-chef in un pregna all’inizio dell’800. Ecco allora i chiodi stigioso ristorante del Gruppo Benetton, VIAGGIO di garofano, la cannella, lo zenzero segno il Relais Monaco situato in una stupenda di una apertura verso quanto di buono e villa veneta a Ponzano, nella Marca Tredi utile c’è nel mondo, come anche la vavigiana, e compie spesso viaggi all’estero niglia arrivata dal Messico, dopo i viaggi dove è riconosciuto ambasciatore dell’al- C’è un aspetto nel dolce che qui presendi Cristoforo Colombo. ta cucina italiana. Recentemente è stato tiamo che rivela anche la personalitĂ del Domenico chiamato nella cittĂ re di al Colombo, capitale suo autore. anni egli Nord e salumi degliopera ottiminel formaggi localiLongo e car- con questo suo dolce visitatore di assaporare i suoi Da piatti non dĂ solo un dessert d’alta classe, ma dello Sri Lanka per inaugurare con i suoi ma conserva nel suoADna ni alla brace. Pitigliano c’ècil’eccellente e prodotti tipici, come ilItalia, ciaffagnone ed il appieno ci dice anche assurdo restare chiusi piatti il Resortmancava di proprietĂ deltoscano Governo la cultura mediterranea rivelata dalla e quando si suppliva con chicchi diil buglione frumento Michea (5,1) e come confermano di Matteo cucina di Alessandro e Chiara nel loroche ri-ièVangeli pecorino di eManciano, in ristretti ambiti locali, siamo ormai vi èabbrustoliti rimasto dueesettimane per insegnare firma apposta nel dolce, quei “filetti di d’agnello e lo sfratto di Pitigliano, Fagiointinti nell’aceto e l’ebreo, seppuril di umili storante (2,6) eIldiCeccottino Giovanni(www.ceccottino. (7,42), GesĂš, il figlio di Maria ecittadini del mondo perchĂŠ usufruiamo di alla brigata di 12 cuochi la cucina italiana arancia canditaâ€? checom), sono ile suo legame l’itinerario terminare lo cannellino di Sorano, tutti piatti da accondizioni, se aveva un servo e possedeva del pane, ave- Giuseppe, discendente di reall’Ottava Davide, nacque in una citquanto il mondo ci mette a disposizione. lĂŹ molto apprezzata. compagnare con i vini tipici con locali. la terra dove è nato. E alaSorano mediterraRima (www.cantinaottavarima. diritto al massimo rispetto. tadina che si trova circa dieci echilometri sud di Ge- – ciselezione tiene molto alle aradici italiane Perva i nostri lettori haL’alta preparato un dessert neitĂ emerge it)quella dove preferenza Nicola con laaLui sua di Maremma, con i suoi tanti tesorianche sto- da lui, nato all’estremo Sud e residente oggi ancora una volta diefacilissima fattura, un per la natura, i frutti di bosco e la menta, Ăˆ interessante curioso allo stesso tempo notare che fra rusalemme e che si chiama Betlemme. Il fatto sorprenrici, urbanistici, architettonici e gastrono- prodotti tipici accoglie gli ospiti nella suo nel Nord – e sa di essere cittadino europeo dolce essenziale, frutto di attento studio emblema d’una cultura che sa esaltare caratteristico ambiente ricavato nel tufo, mici è da visitare senza fretta, godendo gli Ebrei era abitudine molto diffusa chiedere pane in dente è che il nome Betlemme, in lingua ebraica Beth con l’occhio attento a quanto succede ane di seria ricerca sugli accostamenti, al quanto bello e di magari buono servendo ci offre con un bicchiere assenzio. appieno anche panorami mozzafi Per prestito, che la donna sposata aveva diritto aldiato. pane coLehem, significa casa deldipane, legandoi dolci, questocome fondache piĂš in lĂ ,L’perchĂŠ la cufine di giungere a un capace di ottimi tantaagriturismi generositĂ e la natura, senza bisoInsomma buona esplorazione a tutti! Alla risultato sosta ci sono molti niugale e solo in tempo di estrema miseria essa si impementale alimento umano a un evento straordinario e cina, sono espressioni di una cultura che regalare emozioni. Credo che questo dolgno di sconvolgerla o depauperarla. E c’è ne segnaliamo uno che sappiamo interes- ta Maremma è uno scrigno di tesori che a vivere con il pane proprio, sapeva cheFattoera suo che misterioso, nascitanon delpuò figlio di Dio. Vi è dunque nel essere autarchica, perchĂŠ sarebce gnava possa essere giustamente poi un altro legame, Venezia ha la avumerita scoprire e godere! sante perconsiderato piĂš motivi:ma l’Agriturismo be una non-cultura, mentre l’Italia, con unadovere bella espressione quella to per ildiversi ancordel prima, le natale sorvegliare ladell’Orsa casa e raffinata “non mangiare pane secoli, della ma, nome luogo di GesĂš quasi un preannuncio riadi Maggiore (www.ursamaior. la sua ricchezza di cose belle, è il grande cultura dolciaria italiana che non hadove regioni del Sud: il legame con il Levante, a Manciano, nel loro Ristoro “Il l’obFipigriziaâ€? e che ilit)castigo divinopausi manifestava con del suo messaggio: ÂŤIo sono il pane della vita; chi viene Paese che vuole continuare a regalare al ra di confrontarsi a livello internazionale, il mondo fantastico e misterioso delle schiottoâ€? sono disponibili i vini aziendali difame... Fabio Iacozzilli bligo, per le donne, di vendere il pane cotto da loro. da me non avrĂ piĂš il panediche io darò èdilainteresmia mondo equando stupendo, proprio perchĂŠ completa e appagante nelspezie che fin dall’antichitĂ marinai coda accompagnare con un’ampia selezione Non si può concludere questo sguardo fugace alla storia carne per la vita del mondoÂť. sante e di buono ci hanno lasciato le prela sua essenzialitĂ , libera da sovrastruttu- raggiosi portavano dalla Cina, dall’India, generazioni, colilpreciso re del appariscenti come piacesenza ai nordamedalle Molucche attraverso l’Oceano Inpane in Palestina menzionare quello che può Ma vedremo meglio,cedenti nel prossimo mese, valore,dovere reale di conservarlo, valorizzarlo e trasmetterlo ricani che badano piĂš all’apparenza che diano e il mar Rosso fino in Egitto e che essere considerato il fatto centrale della storia umana, la e simbolico, del pane per il popolo ebraico, un valore alle generazioni che verranno. alla sostanza. poi gli Arabi, con base ad Alessandria,
nascita di GesĂš Cristo. Ebbene, come aveva profetizzato
che appartiene tutt’oggi a questo popolo.
38Ă“ (66(5( 3(5621$/,==$7$ 6,$ ,1 (67(7,&$ &+( ,1 &21%,1$=,21( &21 *,5$552672 2 9$5, $&(6625,
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
IL DOLCE
Ingredienti
Pere affogate al tè e spezie con mostarda ai frutti di bosco e zenzero
4 pere William, 1 chiodo di garofano, cannella in polvere, bacca di vaniglia, 5 g di tè, 500 g di acqua, 200 g di zucchero, 100 g di mostarda di frutti di bosco Lazzaris, 100 g di lamponi, 5 g di zenzero grattugiato, menta fresca, filetti di arancia candita.
Prepara uno sciroppo aromatizzato con acqua, zucchero, cannella, chiodo di garofano, vaniglia e lo zenzero. Togli lo sciroppo dal fuoco e aggiungi il tè lasciando in infusione. Filtra lo sciroppo e rimetti sul fuoco facendo bollire dolcemente le pere sbucciate, tagliata la calotta superiore e svuotate. A cottura ultimata abbatti di temperatura e fa marinare per 4 ore. Servi in una coppetta con la mostarda ai frutti di bosco, i lamponi freschi, menta e filetti di arancia candita.
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
Barbera del Monferrato Docg Superiore Pico Gonzaga 2011
L’ Angolo del Vino
Società Agricola Castello d’Uviglie S.r.l. Località Castello di Uviglie 73 - 15030 Rosignano Monferrato (AL) - Tel0142/488132 - Fax 0142/489459 www.castellodiuviglie.com - info@castellodiuviglie.com
CATEGORIA Rosso secco. Vitigno: Barbe-
ASPETTO Limpidezza 4 Colore 5 PROFUMO Intensità 5 Persistenza 5 Finezza 5 Armonia 5 SAPORE Persistenza 5 Pienezza 5 Sapidità 4 Acidità /morbidezza 4 Armonia 4 GRADIMENTO Ottimo 4 PUNTI TOTALI
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di Virgilio Pronzati
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ra. Bottiglia: 75 cl. Alcol: 14,5%. Lotto: 144-13. Fascetta Docg AAB 00478004. Bottiglie prodotte: 5.000. Prezzo medio in enoteca: € 22,80. Conservazione: nella cantina, in posizione coricata su ripiani adibiti ai vini rossi di medio-lungo affinamento, a una temperatura compresa tra i 12 e i 14°C. Evoluzione: giovane. Tempo di consumo: ancora 3-4 anni. Servizio: mescere a 18°C in grandi e panciuti calici con stelo medio. Abbinamento: agnolotti con sugo d’arrosto, stracotto al Barbera del Monferrato, costine d’agnello alla griglia e toma di Murazzano di 2-3 mesi.
ESAME ORGANOLETTICO Limpidezza: limpido. Colore: rubino molto carico con orlo violaceo. Profumo: molto intenso, persistente, fine, con netti sentori fruttati, vegetalebalsamici e speziati di confettura di mora e prugna nera, erbe secche balsamiche, e lieve di pepe nero e cannella macinati e boisé. Sapore: secco ma morbido, sufficientemente fresco e sapido, molto caldo, giustamente tannico, pieno ma snello, molto persistente, con gradevole fondo astringente-amarognolo. Retrogusto: vena tannica e note fruttate, vegetale-balsamiche e speziate.
CONSIDERAZIONI Molto buono. Ottenuto da scelte uve Barbera del Vigneto Bricco del 1974, pigiadiraspate e fatte fermentare per due settimane in botti d’acciaio inox a 28-30°C, con frequenti delestage. Svinatura dopo macerazione post fermentazione, e fermentazione malolattica svolta in botti di rovere. Maturazione del vino per circa 16 mesi in botti di rovere. Segue un affinamento in bottiglia di circa 6 mesi.
l’angolo del vino
Friuli Colli Orientali Doc Pinot Nero Ronco del Palazzo 2009
Cinque Terre DOP Magioa 2011
Torre Rosazza
Società Agraria Buranco
Località Poggiobello 12 - 33055 Oleis (UD)
Via Buranco 72 - 19016 Monterosso al Mare (SP)
Tel 0422/864511 - Fax 0422/864131
Tel. 0187/817677 - Fax 0187/802084
www.torrerosazza.com - info@torrerosazza.com
www.burancocinqueterre.it - info@buranco.it
ASPETTO Limpidezza 5 Colore 5 PROFUMO Intensità 4 Persistenza 5 Finezza 5 Armonia 4 SAPORE Persistenza 5 Pienezza 4 Sapidità 4 Acidità /morbidezza 4 Armonia 4 GRADIMENTO Ottimo 4 PUNTI TOTALI
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CATEGORIA Rosso secco. Vitigno: Pinot Nero. Bottiglia: 75 cl. Alcol: 14%. Prezzo medio in enoteca: € 15,40. Conservazione: nella cantina, in posizione coricata su ripiani adibiti ai vini rossi di medio-lungo affinamento, a una temperatura compresa tra i 12 e i 14°C. Evoluzione: quasi pronto. Tempo di consumo: ancora 2-3 anni. Servizio: mescere a 17-18°C in grandi calici con stelo medio. Abbinamento: vitella con funghi, quaglie in casseruola con uva nera, coniglio al Pinot Nero Friuli Colli Orientali, Montasio stagionato.
ESAME ORGANOLETTICO Limpidezza: limpido. Colore: rubino con orlo tendente al granato. Profumo: intenso, persistente e fine, con netti sentori varietali, floreali, fruttati e speziati d’iris appassito, ciliegia giustamente matura, mora, prugna nera, mandorla secca, e lieve di tabacco, liquirizia, pepe nero macinato e boisè. Sapore: secco, sufficientemente fresco, sapido, piacevolmente astringente, caldo, pieno ma snello, persistente, con gradevole fondo amarognolo. Retrogusto: vena tannica e note floreali, fruttate e speziate.
CONSIDERAZIONI Buono. Ottenuto con scelte uve omonime dei propri vigneti a Oleis di Manzano con resa di 50 quintali per ettaro. Vinificazione: le uve diraspate poste in particolari vinificatori d’acciaio inox restano a macerare a contatto col mosto per 5 giorni a temperatura controllata. Dopo aver tolto le bucce, il mosto completa la fermentazione alcolica in botti d’acciaio inox. Seguono la fermentazione malolattica, e la maturazione del vino per circa due anni in botti di rovere da 300 litri.
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ASPETTO Limpidezza 5 Colore 4 PROFUMO Intensità 5 Persistenza 5 Finezza 4 Armonia 5 SAPORE Persistenza 5 Pienezza 5 Sapidità 5 Acidità /morbidezza 4 Armonia 4 GRADIMENTO Ottimo 4 PUNTI TOTALI
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CATEGORIA Bianco secco. Vitigni: Bosco, Vermentino e Albarola. Bottiglia: 75 cl. Alcol: 13%. Lotto: 04/12. Bottiglie prodotte: 2.600. Prezzo medio in enoteca: € 25,40. Conservazione: nella cantina, in posizione coricata su ripiani adibiti ai vini bianchi secchi, a una temperatura compresa tra i 12 e i 14°C. Evoluzione: pronto. Tempo di consumo: ancora 1 anno. Servizio: mescere a 1112°C in calici con stelo alto. Abbinamento: zuppa di pesce e crostacei, tian, muscoli ripieni, orata in crosta di sale al forno e moscardini alla piastra.
ESAME ORGANOLETTICO Limpidezza: cristallino. Colore: paglierino intenso con lievi riflessi dorati. Profumo: intenso, persistente, fine, con netti sentori floreali, iodati, fruttati e vegetali-balsamici di fiori d’acacia essiccati, nota iodata, umori vegetali boschivi e balsamici, radice verde di liquirizia, e lieve di limone verde. Sapore: secco, sufficientemente fresco, molto sapido, caldo, con lieve vena tannica, di buona struttura e persistenza, con fondo sapido-amarognolo. Retrogusto: vena sapida e iodata, e tannica, e note floreali, fruttate e vegetale-balsamiche.
CONSIDERAZIONI Molto buono. Ottenuto da scelte uve Bosco (60%), Vermentino (20%) e Albarola (20%) di vitigni di circa 17 anni con resa di 50 quintali per ettaro. Vinificazione: le uve diraspate e senza l’aggiunta di anidride solforosa, hanno fermentato e macerato per cinque giorni in tini d’acciaio inox a temperatura controllata. Seguono la svinatura, la pressatura soffice e il proseguimento della fermentazione. Maturazione: 10 mesi in botte d’acciaio inox su fecce fini, poi l’assemblaggio. Il vino non subisce collaggio, chiarifica e stabilizzazione tartarica, ma solo una filtrazione preimbottigliamento con cartucce a membrana da 0,8 micron. Seguono alcuni mesi d’affinamento in bottiglia.
LEVANTE PROF
Fiera Internazionale International Exhibition
IV Edizione PANIFICAZIONE PASTICCERIA GELATERIA RISTORAZIONE ALIMENTAZIONE CATERING PIZZERIA CONFEZIONAMENTO BOMBONIERA PUBBLICI ESERCIZI PASTA FRESCA HOTEL BIRRA VINI BAR
BARI 1 - 4 MARZO 2015
Fiera del Levante INFO: D.M.P. SRL
Via del Fontanile Arenato 144 - 00163 Roma - Tel./Fax 06-6634333 r.a. www.dmpsrl.eu - email: info@dmpsrl.eu
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
DALLA BOEMIA AL MONDO
La Pilsner Urquell,
la birra più amata
NATA NEL 1842 NELLA CITTÀ BOEMA DI PLZEN È ATTUALMENTE DIFFUSA IN 50 PAESI
C’
è una data importante nella storia della birra, il 5 ottobre 1842. Siamo in Boemia, nella città di Pilsen (in tedesco, ora Plzeň perché la Boemia fa parte della Repubblica Ceca) ed il giovane birraio bavarese Josef Groll (1813-87), non ancora trentenne, ricevette dalle autorità cittadine l’incarico di produrre una birra con le nuove tecniche produttive appena
introdotte nei birrifici della Baviera e impiegando i malti chiari lì disponibili. Lavorando con impegno e intelligenza, il 5 ottobre 1842 fece assaggiare la prima birra da lui prodotta che fu subito apprezzatissima. Aveva sì usato le tecniche dello stile lager bavarese, ma di nuovo c’erano i malti chiari, un luppolo molto rinomato, prodotto a Žatec e l’acqua dolce delle sorgenti locali.
di Laura Nascinben
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
LA BIRRA
IL LUPPOLO DI ŽATEC
P
osta in un’area agricola particolarmente fertile e vicina alla celebre città termale di Karlovy Vary, dove si produce anche un amaro ben noto anche fuori dei confini della Repubblica Ceca, la Becherovka, la città di Žatec è da sempre collegata con la coltivazione di luppolo e la fabbricazione di birra, cui deve la sua fama internazionale. E proprio a Žatec è collocato il più grande magazzino di luppolo al mondo, dal momento che i dintorni della città sono la zona di coltivazione del luppolo più grande della Repubblica Ceca. In questa città ci sono il “Tempio del luppolo e della birra” e il “Museo della coltivazione del luppolo” nel quale è mostrata la coltivazione del luppolo dall’alto Medioevo ai giorni nostri.
LA PILSEN
L
a birra prodotta da Josef Groll è dunque risultata subito molto piacevole essendo molto leggera, con una gradazione alcolica in volume di appena 4,4% e fortemente luppolata. I responsabili del birrificio della città non vollero modificare la ricetta del birraio bavarese e diedero quindi origine alla tipologia birraria delle pils, cioè lager molto chiare dal gusto decisamente amaro e dissetante e, probabilmente, questa è la più antica birra chiara attualmente in commercio. Inizialmente denominata Pilsner Urquell, era commercializzata per il mercato interno con il nome Plzenský Prazdroj, poi, pian piano, ha conquistato i palati di quanti amano la birra, tanto è vero che la sua tecnica di produzione ha trovato molti imitatori, anche perché il nome e la tecnica di produzione non sono mai stati brevettati. Si può, infatti, affermare che tutte le lager prodotte attualmente nel mondo sembrano ispirarsi a questa birra e a imitarne le caratteristiche. Va aggiunto che anche se ci sono dei birrifici che producono le loro birre chiamandole
pils(ner), le imitazioni risultano spesso meno corpose e luppolate dell'originale birra boema. Ben poche birre, infatti, rispondono alle caratteristiche della Pilsner Urquell originale. I grandi amanti della birra affermano tuttavia che negli ultimi tempi la “regina delle bionde” ha perso un po’ dello smalto originale, che la rendeva di gran lunga superiore a tutte le sue simili, tuttavia resta comunque una delle migliori: si presenta di un colore gloriosamente dorato, perlage che assomiglia allo champagne Dom Perignon, con una bella schiuma fresca, compatta e discreta. Prodotta a Plzeň, in Boemia (Repubblica Ceca) dal birrificio PPAS Plzeňský prazdroj, che era all’inizio di proprietà della città, oggi appartiene al gruppo SABMiller, il secondo produttore di birra al mondo del quale è uno dei prodotti più prestigiosi. La Pilsner Urquell viene esportata in circa 50 Paesi esteri e il suo mercato è in continuo aumento. Recentemente ha vinto il prestigioso trofeo di Chicago e nominata World Champion Beer, ovvero "birra campione del mondo".
iLLUstraZioni di Tommaso Vidus Rosin
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
IL BAR
lo cherry l di Gianandrea Rorato
iquore molto interessante ottenuto dalla macerazione nel brandy di ciliegie Morello ridotte in poltiglia. Il risultato migliore lo si ottiene operando a freddo e prolungando la macerazione per almeno un anno, in modo che la polpa delle ciliegie rilasci al brandy la ricchezza dei suoi zuccheri, dei suoi aromi e delle altre sostanze contenute. Trascorso l’anno l’infuso viene filtrato e messo in bottiglia senza nulla aggiungere (semmai dello zucchero viene aggiunto inizialmente alla polpa delle ciliegie). Fra i Cherry Brandy sono molto conosciuti quelli prodotti dalla Stock e dalla Heering, oltre al Maraschino Luxardo, che è diverso dagli cherry, originariamente elaborato nei monasteri esistenti nella città allora veneziana di Zara, già nel XVI secolo. In questo mese ci soffermiamo sulle distillerie Stock e Heering, importanti punti di riferimento, come del resto Luxardo, nella storia della liquoristica internazionale.
La Distilleria Stock è stata fondata a Trieste nel 1882 da Lionello Stock e dal suo socio Carlo Camis, nel rione di Barcola, per trasferirsi nel 1927 a Roiano, altro rione di Trieste e tra il 1930 e il 1935 ha prodotto quel brandy che trent’anni dopo sarà chiamato Stock 84 (conosciutissimo un tempo dagli sportivi, sponsor di “Tutto il calcio minuto per minuto”) ed anche lo Cherry Brandy Stock. Tra gli anni 70-80 del secolo scorso la Stock ha realizzato un nuovo stabilimento a Zaule (TS), ma soprattutto ha aperto nuove filiali in Austria e nella Repubblica Ceca. Nel 1995 la proprietà della Stock – la cui famiglia s’era ormai estinta - e delle filiali estere passano a Eckes AG, con sede in Germania, che nel maggio 2007 le rivende al fondo di investimento USA Oaktree. Il 1 gennaio 2008 nasce Stock Spirit Group con sede a Londra e l'11 aprile 2012 esce un comunicato nel quale si legge che dopo 128 anni di attività la storica azienda triestina sarà chiusa per trasferire la produzione nella Repubblica Ceca, dove è attualmente.
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brandy s
e lo Cherry Brandy Stock è nato in Italia (per poi prendere la strada dell’estero), il più famoso capostipite estero di questo liquore è quello prodotto dalla Heering, azienda danese che si è fatta conoscere nel mondo grazie alla fornitura dei suoi prodotti alle case reali di Danimarca e Inghilterra. Dall’Inghilterra, lo Cherry della Heering è poi arrivato in tutte le colonie inglesi conoscendo una diffusione che ha toccato quasi l’intero pianeta.
Un interessante liquore al sapore di ciliegia nato nei monasteri di Zara nella Dalmazia veneziana e lanciato nel mondo dall’olandese Peter Heering
Cherry Heering
Peter Heering, proprietario della distilleria di Stoccolma, produsse lo Cherry nel 1819 e l’anno successivo lo Cherry Herring arrivò a Singapore. Qui un commerciante danese, Thomas Raffles, acquistato un terreno vicino alla città, vi aprì una stazione di posta che ebbe un buon successo tanto che mister Raffles la trasformò in albergo, l’Hotel Raffles, con un elegante bar. All’inizio del ‘900 a dirigere il bar fu chiamato Ngiian Tong Boom, il quale, utilizzando lo Cherry Heering, nel 1915 lanciò un cocktail che in breve tempo divenne famoso in tutto il mondo, il Singapore Slong, del quale diamo la ricetta: 3 cl di gin, 1,5 cl di Heering Cherry Liqueur, 0,75 cl di triple sec, 0,75 cl di DOM Benedictine, 1 cl di granatina, 12 cl di succo d' ananas, 1,5 cl di succo di lime fresco, 1 spruzzo di angostura.
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
IL BAR
i
l brandy, come si sa, è un distillato di vino invecchiato. Per ottenere lo cherry, le ciliegie vanno private del picciolo, lavate, asciugate e pestate, quindi si utilizza la polpa senza il nocciolo, ma c’è chi utilizza anche con il nocciolo pestato, mettendo il tutto in infusione nel brandy. Si aggiunge dello zucchero (c’è anche chi non ne fa uso) e si pone in vasi ben chiusi, lontano dalla luce e meglio se al freddo e si lascia che l’infuso lavori pian piano arricchendo il brandy degli aromi delle ciliegie. L’infuso deve restare fermo assolutamente non meno di due mesi (se realizzato artigianalmente in casa), ma molto di più, anche un anno, se prodotto in grandi contenitori, quindi con metodo industriale.
Cherry Brandy Oltre ai due Cherry prima ricordati, ci sembra corretto non dimenticare un altro ottimo prodotto il francese Cherry Marnier, oltre, naturalmente, all’italiano Luxardo, di cui abbiamo presentato lo scorso aprile il suo celebre Maraschino.
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IL MERCATO
ITTICO
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di Caterina Vianello
A
lle 4 del mattino il cielo ha il colore del nero di seppia. Nell’aria umida, il naso riconosce odore di Laguna e di pesce. Camion in manovra e uomini impegnati in operazioni di scarico ci danno qualche indizio, ma è un’insegna gialla sopra la nostra testa a sciogliere qualsiasi dubbio: siamo al Mercato Ittico di Venezia (MIT), all’isola del Tronchetto, nella stessa area dove sorge il Porto della città lagunare.
DI
Con un fatturato di 60 milioni di euro (anno 2013) che ne fa il secondo mercato in Italia – per gestione e volume di vendite – dopo quello di Roma, il MIT di Venezia gestisce il commercio all'ingrosso del pesce. Se più precisamente il regolamento parla di “prodotti ittici che comprendono i pesci, i crostacei, i molluschi lamellibranchi, gasteropodi e cefalopodi, sia freschi che conservati o trasformati, nonché ogni altro prodotto dell’attività di acquacoltura o della pesca destinato normalmente all’alimentazione umana”, e di “molluschi terrestri e rane”, l’incredibile varietà che si presenta agli occhi del visitatore trasforma il freddo elenco appena riportato in un’affascinante caleidoscopio di forme, colori, consistenze e odori. Centro nevralgico dell’intera struttura
VENEZIA
è la sala vendita: una successione ordinata di 28 posteggi, ognuno dei quali rappresenta una ditta, porta immediatamente a correggere la visione tradizionale del “mercato”. Dimenticate le cronache della Venezia del ‘600-‘700, abbandonate l’immagine caotica, colorita e fatta di contrattazione selvaggia e bellicosità incrociate. Posti contrassegnati da targhette con nome e numero, bilance, casse e muletti, oltre a una rigida normativa riguardante igiene, sicurezza e orari di apertura e vendita sono gli elementi che regolano il mercato veneziano, mercato “misto”, secondo quanto ci viene spiegato: a differenza di quello di Chioggia, esclusivamente “di produzione”, quello del Tronchetto infatti combina vendita e produzione. 5 dei 28 operatori presenti rappresentano
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ISOLA DEL altrettante cooperative di pescatori dell’isola di Burano, le uniche autorizzate a vendere direttamente il pescato. L’apertura del mercato è fissata per le 2 del mattino: fino alle 4.30 circa vengono effettuate le operazioni di ricezione della merce e di scarico. Dalle 5.15 e fino alle 7 si apre la fase di vendita, rivolta a grossisti, ristoratori e pescherie. Se - come è capitato a noi – vi viene concessa la possibilità di poter assistere ad entrambe le fasi, capirete ben presto come quello che permette la vita del mercato è un meccanismo perfetto, che combina sapientemente norme rigide e rapporti fiduciari costruiti nel tempo, spesso regolati da semplici scambi di occhiate o gesti silenziosi. Al centro, impossibile dimenticarlo, c’è il prodotto, che parla di varietà infinite e di una “geografia ittica” incredibilmente vasta. Dall’Adriatico e dal Tirreno (Chioggia, Caorle, Manfredonia, Sicilia e Sardegna) arriva la merce locale, mentre Francia, Danimarca, Olanda, Norvegia, Spagna, Croazia, Grecia, Canada e Stati Uniti forniscono il prodotto estero, che giunge entro 24 ore dalla pesca. L’offerta è amplissima e l’occhio non può far altro che arrendersi di fronte a una
TRONCHETTO
successione di squame luccicanti, chele in movimento, code e pinne con addosso l’ultimo guizzo di vita. Ed ecco allora code di rospo, sogliole, sgombri, sampietri, orate, salmoni, sarde, sardoni, scorfani, razze, pescispada, aragoste, scampi, astici, gamberi, gamberetti, granchi, capesante, branzini, seppie, cefali e triglie, lista che si colora di sfumature argento-celesti, biancastre, nerissime, rosacee fino ad arrivare all’arancione e al rosso acceso. Un elenco gastronomico incredibile, in cui il mare si fa dispensa e mette alla prova abilità, esperienza e creatività di chef e ristoratori. L’andamento del mercato rispecchia non solo la stagionalità del prodotto, ma riflette anche il corso dei flussi turistici e il calendario delle festività tradizionali della città: così se gennaio è un mese piuttosto calmo, a partire dal Carnevale il movimento si fa più evidente, per arrivare ad essere frenetico in coincidenza con la Pasqua, e quindi con l’inizio della stagione turistica estiva, l’apertura della Biennale, il Redentore e la Regata storica, fino ad arrivare a Dicembre, mese in cui il fatturato viene triplicato. Nonostante goda di una collocazione strategica, il mercato soffre di una
inadeguatezza rispetto alle esigenze logistiche e strutturali; il personale complessivamente impiegato comprende circa 700-800 persone (200 sono commissionari ed interni) e attorno all’area destinata alla vendita sorgono anche una cassa di mercato, i magazzini con celle frigorifere destinati alla conservazione dell’eventuale invenduto, una sala di lavorazione, gli uffici amministrativi, la banchina e i pontili di approdo: semplici dati che tuttavia permettono di capire come un mercato come quello di Venezia dovrebbe avere a disposizione uno spazio più ampio e meno sacrificato. Prima di abbandonare il Tronchetto, infine, e come ringraziamento a Venezia, permetteteci un omaggio alla ricchezza ittica della Laguna. Dopo aver “messo il naso” dappertutto, dopo essersi fatti rivelare qualche piccolo segreto dai proprietari delle ditte e dopo aver osservato le facce di chi inizia la propria giornata in piena notte, è opportuno fermarsi dare un’ultima occhiata alle casse piene di gamberetti, moeche, canocie, sarde, sardoni, capelonghe, seppie e schie: nessun altro infatti, meglio di loro, può raccontarvi il sapore di Venezia.
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QUESTIONE DI GUSTO
il
URISMO è FONDAMENTALE per il riscatto del
di Nives Piva
I
SUD ITALIA
l turismo in Italia è molto importante e i dati ufficiali ci informano che nel nostro Paese la spesa totale per il turismo è stata lo scorso anno di 96 miliardi di euro, 33 dei quali lasciati in Italia dagli stranieri, soprattutto tedeschi, statunitensi e francesi. È stato poi calcolato che 1000 euro spesi in alberghi e ristoranti generano 727 euro di ricchezza nazionale, per cui lo scorso anno il turismo ha contribuito alla ricchezza nazionale italiana con ben 70 miliardi di euro. Se approfondiamo l’analisi, vediamo che quattro regioni italiane – Veneto, Lazio, Toscana e Lombardia – ricevono il 60 per cento di quanto spendono in Italia i turisti esteri, mentre le altre regioni si accontentano delle briciole e il Sud, nel suo complesso, porta a casa solo il 13 per cento di quanto spendono i turisti stranieri in Italia. La cosa che più colpisce è proprio il quasi deserto turistico delle regioni meridionali, nonostante il fascino di Napoli e dell’intera Campania, lo splendore del mare e i tesori della Puglia, compresa la sua straor-
dinaria cucina; le spiagge della Calabria e le sue cittadine interne, ciascuna capace di regalare imperdibili sorprese; la storia di millenni di civiltà raccontata dalla Basilicata, con le vestigia antiche, i monumenti medioevali, i vini di inimmaginabile bontà come i suoi prodotti agroalimentari. Perché al Sud latita il turismo? Chi ama il mare lì lo trova stupendo, come del resto la sua cucina, le sue bellezze paesistiche, i tanti musei presenti ovunque. E ci sono mete molto frequentate dal turismo religioso, come San Giovanni Rotondo (seconda meta italiana dopo la Basilica di San Pietro a Roma), Pompei (Santuario della Madonna del Rosario), Siracusa (Santuario della Madonna delle Lacrime), mentre il turismo normale resta un desiderio abbastanza insoddisfatto. “Una cosa assurda”, ha commentato di recente il Ministro Franceschini, perché è davvero incredibile che le spiagge del Sud Italia abbiano meno di 8000 presenze per chilometro, mentre nelle spiagge del centro-nord la media delle presenze per chilometro è di 67.000, più di otto volte tanto.
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Una situazione che richiede interventi seri e veloci
M
Città di Positano
Veduta di Paestum
sotto a sinistra
sotto a destra
Città di Vieste
Veduta di Paestum
Città di Vieste
olti e da molto tempo ripetono che il Sud Italia è la nostra Florida, che il petrolio italiano si chiama turismo, ma mentre Venezia, Firenze, Roma sono invase da turisti e i musei e le aree museali più visitate sono il Colosseo (5.625.219 visitatori nel 2013); Pompei (2.457.051); la Galleria degli Uffizi a Firenze (1.875.785); la Galleria dell’Accademia, sempre a Firenze (1.257.261); Castel Sant’Angelo a Roma (918.591), fatta salva la straordinaria area archeologica di Pompei pare che al Sud la cultura e l’arte non interessino a nessuno. Ma non è assolutamente vero. Gli stranieri che arrivano in Italia – e potrebbero essere in un numero molto maggiore – hanno più volte denunciato anche negli ultimi anni le difficoltà anche psicologiche di avventurarsi al Sud, fuori di aree ben precise e sicure. La Campania, per fermarci ad una regione, – nonostante Pompei, Ercolano, il Vesuvio, via Caracciolo, Ischia, Capri, i Campi Flegrei e tante altre bellezze uniche al mondo – incassa col turismo solo un terzo del Veneto e della Lombardia e quasi la metà della Toscana. Cosa c’è allora che non va? C’è la paura della criminalità? Anche questo è vero, ma anche la politica ha le sue grosse colpe, avendo per troppo tempo e in troppi casi snobbato il turismo, quasi fosse un disturbo o solo un’occasione per distribuire o ricevere poltrone e prebende. Anche l’imprenditoria ha le sue colpe, accontentandosi spesso – salvo lodevolissime eccezioni - di offrire servizi di bassa qualità e di mettere al governo delle strutture turistiche – non sempre limpide – una managerialità spesso non all’altezza. Con la riforma della Costituzione il settore turistico tornerà allo Stato – al Ministro dei Beni Culturali e del Turismo – salvo che nelle regioni virtuose (come ha proposto un saggio emendamento), per cui riteniamo sia importante che il Ministero compia fin da subito un’attenta ricognizione dello stato dell’opera, comprendendo anche nell’indagine, oltre alle strutture alberghiere e alla realtà delle spiagge, gli Istituti e le Scuole Alberghiere e la Fondazione di studi universitari e di perfezionamento sul turismo, esistente presso l’Università Federico II di Napoli (dal Corriere della Sera del 9 agosto scorso). Ma che la ricognizione sia veloce, perché una delle risorse principali per rilanciare l’Italia e offrire occupazione a tanti giovani è proprio il turismo.
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T E RZA PARTE
IMPARIAMO A
CONSERVARE
Dott.ssa Marisa Cammarano biologa nutrizionista
È
importante promuovere
I MICRORGANISMI
l’educazione alla
E GLI ALIMENTI
sicurezza dei cittadini, mantenendo alta l’attenzione sui pericoli e fornendo al contempo gli strumenti per minimizzarli o eliminarli. Anche nelle fasce meno informate della popolazione vi è la consapevolezza che certi alimenti, preparati in condizioni non appropriate, possono essere causa di malattia. Accanto a questa generica cognizione, però, esistono forti carenze conoscitive tra i consumatori sulle reali cause di malattia e sulle misure di prevenzione del rischio di intossicazione.
Ogni alimento possiede una comunità microbica autoctona, naturalmente presenti, (microrganismi come batteri, virus, lieviti, muffe) che è strettamente dipendente dalla natura delle materie prime, dall’ambiente in cui esse vengono prodotte (coltivazione, allevamento) e dalle condizioni in cui esse vengono trasformate, conservate e consumate. I microrganismi presenti sugli alimenti possono essere utili (es. lattobacilli e lieviti responsabili della fermentazione del vino o della birra), oppure indesiderati, come gli alterativi che causano modificazioni tali da rendere gli alimenti stessi inaccettabili per il consumo e patogeni ovvero che provocano malattie. La qualità di un alimento dipende non
solo dalle sue proprietà organolettiche e nutrizionali, ma anche dalla sua salubrità che può essere garantita attuando una serie di strategie di produzione e di conservazione che lo rendano sicuro dal punto di vista sanitario. I microrganismi utili possono essere distinti in due categorie: quelli che favoriscono i processi di trasformazione e quelli che aiutano la costituzione o ricostituzione delle popolazioni batteriche intestinali. Alla prima categoria appartengono i microrganismi detti “starter” utilizzati per innescare quei processi tecnologici come la lievitazione, la fermentazione alcolica, lattica o acetica ed i processi di maturazione dei formaggi e dei salumi. Alla seconda categoria appartengono i microrganismi
la scienza dell'alimentazione
probiotici, ovvero quelli che sono in grado di apportate benefici alla salute, come i lattobacilli ed i Bifidobatteri. I microrganismi putrefattivi o alterativi, invece, sono responsabili dei processi di deterioramento delle qualità organolettiche degli alimenti. Sono microrganismi appartenenti a diversi gruppi (batteri gram-negativi, batteri gram-positivi sporigeni e non, batteri lattici, lieviti e muffe), che in un alimento causano modificazioni tali da renderlo inaccettabile per il consumo umano. Con poche eccezioni, tutti gli alimenti, dopo la raccolta o la macellazione o nel corso di ogni fase della loro trasformazione e consumo, vanno incontro ad alterazioni di varia natura che comportano una perdita della loro qualità, con una velocità che è strettamente dipendente dal tipo e dalla composizione dell’alimento, dalle tecnologie di trasformazione e dalle modalità di conservazione, distribuzione e consumo. Tra i batteri patogeni, i più noti ed importanti sono: Clostridium botulinum, Salmonella spp., Listeria monocytogenes, Campylobacter spp., Escherichia coli patogeni, Yersinia enterocolitica, Staphylococcus aureus, Bacillus cereus, Clostridium perfringens, Shigella spp., Vibrio spp. Oltre i batteri patogeni, sono annoverati tra i patogeni alimentari anche alcune specie di muffe ed alcuni virus. Il Clostridium botulinum e gli altri clostridi produttori di tossine botuliniche sono i microrganismi maggiormente implicati nelle malattie trasmesse da conserve alimentari.
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LIEVITI E MUFFE I microrganismi più comunemente responsabili delle alterazioni delle conserve sono le muffe ed i lieviti (miceti). Questi microrganismi, largamente diffusi nell’ambiente, si differenziano dai batteri sia per la loro struttura cellulare più complessa sia per le maggiori dimensioni. La quasi totalità delle specie sopravvive agevolmente nell’ambiente naturale e nel suolo o nell’acqua senza causare danni all’uomo o agli animali. I lieviti sono organismi unicellulari. Le cellule dei lieviti sono troppo pesanti per essere trasportate dall’aria: la loro diffusione è affidata, quindi, ad altri veicoli come superfici (utensili, salamoia, ecc.) e vettori (insetti, mani, abiti, ecc.). Molte specie sono responsabili del deterioramento degli alimenti (soprattutto vino e prodotti lattiero-caseari), altre, come i saccaromiceti, sono impiegate nei processi fermentativi necessari per la preparazione di alimenti a larga diffusione quali vino, birra, pane, ecc. Le muffe, invece, presentano una struttura filamentosa, ideale per la crescita sulle superfici e sui substrati solidi. Esse sono costituite da un corpo unicellulare o pluricellulare chiamato
tallo, che a sua volta, nella maggior parte delle specie fungine, risulta costituito da filamenti tubulari, dette ife. Queste, sviluppandosi mediante accrescimento apicale, si presentano semplici o ramificate a seconda dei gruppi fungini di appartenenza. In particolari situazioni, alcune muffe sono in grado di elaborare micotossine come prodotti secondari che possono provocare negli esseri viventi manifestazioni cliniche croniche (raramente acute). Altre muffe, invece, non sono pericolose e sono utilizzate volontariamente per conferire agli alimenti alcune caratteristiche specifiche. Basti pensare alla produzione dei formaggi erborinati tipo il gorgonzola. La presenza di cariche micetiche elevate nei prodotti alimentari, soprattutto vegetali, può determinare la comparsa di fenomeni di deterioramento, che vanno dalla produzione di composti solforati ed amine maleodoranti, alla comparsa di pellicole viscide dovute ad ammassi di lieviti, fino all’accumulo di anidride carbonica ed etanolo nei contenitori che si gonfiano per elevata presenza di lieviti.
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LA SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE I miceti, grazie alla notevole flessibilità dei loro meccanismi metabolici, sono in grado di adattarsi a situazioni estreme che risultano invece ostili alla maggior parte dei batteri, quali le basse temperature, l’elevata acidità, la bassa attività dell’acqua, ovvero la scarsa disponibilità di acqua per presenza di sale o zucchero. Lieviti e muffe tollerano processi di stabilizzazione non termica come l’acidificazione o la salagione. Anche nel caso di trattamento con il calore è possibile che l’effetto risulti insufficiente a garantire la completa distruzione della popolazione micetica, a causa della particolare composizione dell’alimento (elevato tenore zuccherino o salino, massiccia presenza di fibre vegetali, ecc). In caso di fioritura di muffe sulle conserve, generalmente si tende a rimuovere la contaminazione superficiale visibile e poi, a consumare il prodotto. Questo approccio non è però corretto in quanto la comparsa di muffe nella conserva, anche se potrebbe non comportare implicazioni di carattere sanitario, sicuramente è indice di preparazione o conservazione non idonea. Inoltre in letteratura sono stati descritti dei casi di botulismo in conserve che, per le loro caratteristiche chimico-fisiche sarebbero dovute essere sicure, ma la fioritura di muffe aveva modificato il pH del prodotto consentendo così lo sviluppo e la conseguente produzione di tossine da parte dei clostridi (produttori di tossine botuliniche).
I clostridi produttori di tossine botuliniche sono microrganismi sporigeni (che producono spore), anaerobi (vivono in assenza di ossigeno) , molto diversi tra loro, accomunati dalla capacità di produrre la sostanza più tossica per l’uomo ad oggi conosciuta: la tossina botulinica. Al momento sono stati caratterizzati come clostridi produttori di tossine botuliniche, oltre al noto Clostridium botulinum, capace di produrre 8 tipi di tossine (denominate con le lettere dell’alfabeto dalla A alla H), anche altri microrganismi che solitamente non sono pericolosi e che si trovano naturalmente nell’ambiente, nel suolo e nei sedimenti. Si tratta dei ceppi di Clostridium butyricum produttore di tossina tipo E, e dei ceppi di Clostridium baratii produttore di tossina tipo F. I clostridi produttori di tossine botuliniche si trovano naturalmente nella polvere, nel suolo, nei sedimenti, nell’acqua, nei vegetali e negli animali, sotto forma di spore. Possono facilmente venire a contatto con gli alimenti e contaminarli.
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Le spore sono forme di resistenza che i microrganismi utilizzano per sopravvivere in condizioni ambientali sfavorevoli. Quando i clostridi produttori di tossine botuliniche sono in forma di spora non sono pericolosi, ma possono diventarlo se si trasformano in cellule vegetative. Infatti, sotto forma di cellule vegetative producono e rilasciano la tossina. Bloccando la germinazione delle spore sarà quindi possibile rendere sicure quelle conserve alimentari che altrimenti sarebbero pericolose. Le modalità di controllo del rischio botulismo sono molteplici, ma non tutte possono essere adottate a livello domestico. A livello domestico è possibile bloccare la germinazione delle spore mediante acidificazione o aggiunta di sale o zucchero, oppure mediante congelamento. Tutte le conserve che non possono essere trattate come indicato sopra, devono essere sterilizzate e quindi non possono essere prodotte in modo sicuro a livello domestico. Basti pensare che le spore di Clostridium botulinum di tipo A possono resistere a trattamenti di bollitura a 100 °C anche per 5-6 ore ...continua CARBON-TAX conforme
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Pizza e Pasta Italiana ha organizzato a Bochum il German Pizza Trophy, la prima competizione di pizza in Germania
A LATO La città di Bochum
German Pizza Trophy DI CATERINA ORLANDI
Lo scorso 15 settembre si è svolto in Germania, nella Renania Settentrionale, a Bochum, il primo trofeo di pizza, riservato a pizzaioli che operano in Germania. La manifestazione ha avuto luogo all’interno dei locali della famiglia Niggeman, affermati rivenditori di generi alimentari in Germania. La città di Bochum si distende lungo il cosiddetto “Bochum Landruecken” (crinale di Bochum), una porzione delle alture presenti tra i fiumi Ruhr ed Emscher. Bochum è conosciuta per essere stata una città mineraria, e la sua ascesa ebbe inizio nel 1840, con l’apertura della prima miniera. A Bochum si trova la RuhrUniversitaet, una delle più grandi università tedesche. I concorrenti sono arrivati da tutta la Germania, con un unico comune denominatore: la voglia di presentare la propria
pizza e, anche, di confrontarsi e mettersi in discussione. A guidare i concorrenti nel lavoro ai forni è stato Graziano Bertuzzo, responsabile dell’area tecnica della Scuola Italiana Pizzaioli e i partecipanti presenti hanno avuto l’occasione di chiedere ragguagli tecnici a uno dei massimi esperti della pizza e dall’incontro hanno ricavato nuove e molto utili informazioni professionali. In un momento nel quale emergono nel mondo della pizza – accanto a bravissimi pizzaioli e a ottime preparazioni a base di prodotti di alta qualità - anche scorrette cotture, impasti approssimativi, cattiva gestione dei forni, tutte realtà da condannarsi, un evento come quello di Bochum rappresenta un significativo e utilissimo momento di incontro, di confronto e di seria crescita professionale. Il piatto italiano, che è una delle espres-
german pizza trophy
La classifica: 1° posto: NICOLA DIANA Il Ristorante Diana Bad Scwartersee 2° posto FRANCESCO LAURENZANO Gastronomis – Dortmund 3° posto DOMENICO TEDESCO Pizzavola – Weil im Schonbuch
sioni della dieta mediterranea e che crea un giro d’affari notevole per chi produce le materie prime e le attrezzature che gravitano attorno alla pizza, ha diritto di essere presentato al meglio sia in Italia che all’estero, come per l’appunto è avvenuto a Bochum. La gara che stiamo raccontando è stata combattuta ad alto livello con prestazioni davvero eccellenti e sul podio del German pizza Trophy è salito Nicola Diana, che opera nel ristorante di famiglia, il Diana, situato a Bad Schwartsee, vincendo con “Pizza Nico” realizzata con salame piccante, mozzarella fior di latte, funghi champignon e Parmigiano Reggiano. Al secondo posto s’è classificato Francesco Laurenzano del ristorante Gastronomic a Dortmund, con la sua creazione fantasiosa con filetto di manzo saltato con porcini. Sul terzo gradino è salito Domenico Tedesco, arrivato da Weil im Schonbuch, cittadina del sud della Germania, a più di 500 chilometri di distanza da Bochum, che ha presentato la pizza “Primavera”, farcita con pomodoro fresco, bresaola, rucola, Parmigiano Reggiano e una spruzzata di aceto balsamico di Modena IGP.
I giudici sono stati Herwig Niggemann, titolare dell’azienda Niggemann, Riccardo Conforti, export manager di Molino Agugiaro & Figna, Michele Mondin della Novarredo, azienda che rivende i forni Cuppone in Germania ed il veterano della pizza Sergio Naclerio, proprietario della pizzeria Amalfi, che è stata la prima vera pizzeria italiana a Bochum. La manifestazione ha avuto la collaborazione dell’azienda leader del mercato delle farine per la pizza, Agugiaro&Figna, che porta alta la bandiera italiana all’estero e del padrone di casa Niggemann, che aiuta i ristoratori tedeschi a trovare i migliori prodotti italiani, dall’olio extravergine di oliva, alle farciture e ad altro ancora. La presenza della rivista “Pizza e Pasta Italiana” in Germania non si ferma a questo evento e la prossima primavera sarà presente all’Internorga di Amburgo, una delle più grandi fiere tedesche per gli operatori di settore, nel corso della quale ci sarà la finalissima dell’undicesima edizione del Giropizza d’Europa.
Gli altri partecipanti in ordine alfabetico STEFAN ASCHEMANN Niggemann GENEROSO CAMASSA Pizzeria da Gennaro Bielefeld GIUSEPPE CAMASSA Pizzeria da Gennaro Bielefeld GIUSEPPE DI SERGIO Da Pepe – Rechlinghansen SALVATORE MAZZAMAURO Dante – Bonn ULISSE MURGIA Castello Rodenberg Dortmund RENATO POLIGNONE Sodexo VINCENZO SCALICI Arte Italiana – Wattenscheid Bochum FRANCESCA SCARANO Pizzavola - Weil im Schonbuch BRUNO SCROCCU Trattoria Sardegna – Dorster
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I concorrenti sono arrivati da tutta la Germania, con un unico comune denominatore: la voglia di presentare la propria pizza e anche, di confrontarsi e mettersi in discussione.
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
Le prossime Tappe ROMA DA GUSTARE Roma
10
NOVEMBRE
L’
undicesima edizione della competizione più ambita, il Giropizza d’Europa, è cominciata! La prima tappa si è svolta a Bolzano il mese scorso, si proseguirà ora con Roma, il 10, le altre tappe sono già state stabilite e ci si potrà iscrivere da subito, la formula è la solita, basta compilare il modulo che trovate nella pagina a fianco, spedirlo via fax o mail e telefonare per confermare la partecipazione. La gara si svolge preparando la migliore pizza che fate al lavoro portando tutti gli ingredienti da casa, la giuria valuterà gusto e cottura del vostro piatto e vi assegnerà un punteggio che andrà a compilare la classifica. Se sarete tra i primi
dieci classificati andrete di diritto alla finalissima ad Amburgo dove dovrete riproporre la stessa pizza per la sfida finale, se non passate la selezione però non disperate, potete sempre iscrivervi di nuovo ad un’altra tappa. Tutte le foto dei concorrenti di ogni tappa verranno pubblicate sull’applicazione digitale di Pizza e Pasta Italiana disponibile per tablet e smartphone, per avere sempre in tasca le emozioni della gara. Potrete mostrare ai vostri amici e clienti la vostra esibizione in ogni momento, la presentazione della vostra pizza e forse … la vittoria finale! Vi aspettiamo come sempre numerosi!
SIGEP Rimini
19 GENNAIO
EXPORIVAHOTEL Riva del Garda
26 GENNAIO
INTERNORGA Amburgo
ima
finaliss
15
MARZO 2015
giropizza d'europa 2014-2015
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Regolamento L’iscrizione al Giropizza d’Europa 2014/2015 sarà a pagamento. Si dovranno versare in loco € 40,00. L’iscrizione al Giropizza d’Europa 2014/2015 sarà accettata solo se effettuata in modo corretto tramite: compilazione tagliando virtuale in internet (www.pizzaepastaitaliana.it) e successiva telefonata in redazione; compilazione del tagliando che trovate su Pizza e Pasta Italiana, invio via fax e successiva telefonata in redazione; telefonata in redazione con richiesta d’iscrizione.
Il tagliando d’iscrizione dovrà essere compilato in ogni sua parte, se cartaceo in stampatello maiuscolo, comprensiva di dati del pizzaiolo, tappa in cui si vuole gareggiare, nome e ingredienti della pizza in gara, in caso contrario la domanda non verrà presa in considerazione. Sarà la redazione di Pizza e Pasta Italiana a stabilire l’ordine di partecipazione dei concorrenti, non verranno ammessi cambi numero o scambi di posto per nessuna ragione. Ci si dovrà presentare allo stand di Pizza e Pasta Italiana all’orario di apertura al
pubblico della fiera in corso per ritirare il proprio numero di gara ed espletare le ultime formalità dell’iscrizione, pena l’eliminazione dalla competizione a chi si presenterà a gara già cominciata in stand. I primi dieci classificati di ogni tappa accederanno di diritto alla finalissima dove dovranno presentare obbligatoriamente la stessa pizza realizzata alla prima gara, pena l’esclusione dalla finale. Solo nel caso non si riuscisse ad accedere alla finalissima dopo aver partecipato alla tappa prescelta ci si potrà iscrivere ad una delle tappe successive.
SCHEDA DI PARTECIPAZIONE 2014-2015 COMPETITION FORM /FICHE DE PARTECIPATION
Da inviare almeno 20 giorni prima della data della tappa scelta e telefonare al numero 0421.83.148 per avere conferma dell'iscrizione avvenuta. Nome /Name /Nom .................................................................. Cognome /Surname /Prénom........................................................................... Tel. - Cell. /Phone number /Numero de telephone........................................................ E-mail.......................................................................... — Pizzeria /Name of the Pizzeria /Nom de Pizzeria............................................................................................................................................... Indirizzo /Address /Adresse................................................................................................................................................................................... Località /Town /Lieu............................................................................................................................................................................................... Cap /Post-code /Code Postal.......................................................................................... Provincia /District /Province.................................... Tel. /Phone number /Numero de telephone................................................................. E-mail...........................................................................
desidero partecipare alla tappa di /competition in / competition de ...................................................................................................................................................................................................................................
ricetta della pizza della casa /pizza recipe / pizza du chef Nome della pizza /Pizza name /Nom de Pizza .................................................................................................................................................... Ingredienti /Ingredients /Ingrédients ................................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................................
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nov. 2014
pizza e pasta italiana
Renato Margarit ci ha lasciato Il mondo della pizza e dei pizzaioli è in lutto per l’immatura perdita di Renato Margarit, un personaggio straordinario che all’inizio degli anni 80 del secolo scorso aveva capito che il mondo della pizza si stava velocemente evolvendo e aveva perciò bisogno di moderni e adeguati supporti operativi al posto dei pochi e ormai inefficienti strumenti offerti allora dal mercato. Ancora in quegli anni, infatti, i pizzaioli si rivolgevano al fabbro del paese, a un falegname o a un qualche artigiano locale per avere ciò che serviva e Renato, da esperto e bravo artigiano, dapprima studiò il mondo della pizza e poi dedicò molto tempo a guardare il lavoro dei pizzaioli e grazie a questo suo intelligente impegno nacque la sua nuova attività. Aveva visto che con la pala di legno un pizzaiolo riusciva a produrre non più di un centinaio di pizze a serata, mentre con una pala di alluminio, più leggera e maneggevole, riusciva a cuocerne lo stesso numero in un’ora. Renato era partito da questa considerazione e aveva capito cosa davvero serviva ai pizzaioli. Decise allora di mettersi a fabbricare nel suo laboratorio di Codroipo (Udine) strumenti di qualità garantita e standard per infornare con precisione e minore fatica le pizze, toglierle dal forno, pulire il forno. Dalla pala in acciaio è passato poi a quella in titanio per arrivare alla pala forata, in modo da impedire che sulla piastra del forno si depositi la farina che, bruciando, annerisce il fondo della pizza. Abbiamo voluto ricordare, pur sinteticamente, il percorso professionale di Renato Margarit, fondatore della “Lilly Codroipo”, che non è stato solo – e la sua azienda continua ad esserlo – fornitore privilegiato dei pizzaioli di tutto il mondo, ma un amico vero e discreto, come sanno essere i friulani, della nostra Rivista e di tantissimi pizzaioli che hanno saputo apprezzare e far tesoro del suo lavoro. Lo scorso anno, al nostro Campionato Mondiale della Pizza, aveva organizzato con noi a Parma una mostra intitolata “Tranci di storia”, nella quale aveva esposto uno straordinario repertorio di pezzi unici relativi al mondo della pizza. Renato li aveva raccolti in Italia e all’estero, visitando vecchie pizzerie e c’erano prototipi di pale da pizza, dalle prime realizzate in ferro, pesantissime ma efficaci, a quelle in legno, per proseguire con i primissimi registratori di cassa meccanici utilizzati dalle prime pizzerie e i porta pizza che venivano tenuti sui banconi delle pizzerie d’asporto e utilizzati per tenere calde le pizze. Renato se ne è andato in silenzio a servire, lo speriamo, altri operatori e altre mense lassù, oltre le nuvole e da lassù continuerà a guardare sul nostro mondo, suggerendo novità, perché, come diceva spesso, la pizza è il piatto più buono al mondo e in assoluto il più richiesto, per cui merita di avere una attrezzatura adeguata.
Alla sua famiglia va il nostro cordoglio, convinti che il figlio Matteo saprà continuare a percorrere con successo la strada tracciata con sapienza ed onestà dal grande Renato.
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pizza e pasta italiana
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SPONSOR TECNICI
SCUOLA ITALIANA
PIZZAIOLI Scuola Italiana Pizzaioli ha iniziato la sua attività di insegnamento nei primi anni 90, e sin dagli esordi, si è posta l’obiettivo di divulgare agli allievi la comprensione dell’importanza dell’applicazione di un corretto metodo di lavoro necessario per ottenere un prodotto finale di qualità e costante nel tempo. Le nostre lezioni metteranno gli allievi nelle condizioni, non solo di realizzare gli impasti sulla base di ricette divulgate durante i corsi, ma anche e soprattutto di raggiungere una consapevolezza dei diversi risultati che potrà ottenere a seconda di variazioni volute, quali ad esempio la scelta delle materie prime, od impreviste, quali ad esempio diverse situazioni climatiche, e con le quali si dovrà confrontare nel corso della sua futura esperienza di pizzaiolo.
La certificazione garantisce che lo svolgimento complessivo del corso è sottoposto a procedure di controllo da parte di un ente terzo, che verifica la corretta applicazione della tenuta dei corsi stessi, con l’obiettivo di rispondere alle aspettative del corsista. È quindi indice di qualità e serietà!
I CORSI DELLA SCUOLA ITALIANA PIZZAIOLI
CERTIFICATE N° IT 11/0050
SONO CERTIFICATI DA SGS – ACCREDIA
Lo Staff della Scuola RESPONSABILE DIDATTICA E COORDINAMENTO ATTIVITÀ
RESPONSABILE AREA TECNICA
COORDINAMENTO E SEGRETERIA
David Mandolin
Graziano Bertuzzo
Patrizio Carrer Manuela Pelosin
Caterina Orlandi Donatella Dorigo
info@scuolaitalianapizzaioli.it
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per pizzaioli Sono riservati a coloro che intendono imparare il mestiere di pizzaiolo, professionisti del settore e/o titolari di attività di ristorazione, che intendono apprendere od approfondire concetti teorici ed esperienza pratica necessari per poter operare con successo nel settore della pizza.
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Il corso si svolge nell’arco di 5 giorni, dal lunedì al venerdì, per 40 ore complessive, delle quali, 10 ore dedicate alla teoria e 30 ore alla attività pratica: un percorso che ci porterà a conoscere i diversi cereali, le farine, la scelta delle stesse a seconda dei prodotti che intendiamo produrre, i lieviti, la lievitazione, gli ingredienti, la preparazione degli impasti , la stesura, la farcitura e la cottura.
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Anche conosciuta come Spianata o Pizza alla Romana, in quanto tipica dei panifici a Roma. Si tratta di un impasto molto idratato, semplice in termini di ricettazione ma con una serie di possibili varianti nella fase realizzativa che ne condizionano la qualità, l’estetica e personalità del prodotto finale.
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Il segreto di una buona pizza in teglia sta nell’ottenere uno sviluppo in altezza mantenendo, però, la leggerezza della pizza. La perfetta combinazione di questi aspetti differenzia la qualità del prodotto finale.
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Nel rispetto della tradizione, il corso guida l’allievo alla scelta delle farine idonee, al metodo di impastamento, di stesura, di infornamento e di cottura ottimali per ottenere la classica pizza napoletana conosciuta per il bel”cornicione” che la contraddistingue.
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SEDE NAZIONALE - Caorle - 21 nov / 16 dic. Come ottenere un impasto croccante e digeribile utilizzando la farina di soia e farcirlo con le delizie dolci, un tipo di pizza da proporre come dessert per conquistare i palati più golosi.
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SEDE NAZIONALE - Caorle - 17 nov / 9 dic. Come ottenere un pane leggero e gustoso utilizzando gli impasti per pizza? Nel corso della giornata verrano spiegate delle tecniche da adottare per migliorare il prodotto proposto ai clienti.
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