Pizza e Pasta Italiana - Febbraio 2025

Page 1


Fa NUOVE le ri ne

per i professionisti della panificazione

Una gamma completa e rinnovata per Pinsa e Pizza Romana, con nuove confezioni e la qualità di sempre!

IL DELIVERY

È UNA COSA SERIA

con questa novità puoi renderlo unico

Cerutti p. 7

Conserve Italia p. 29

Cuppone p. 63

Demetra p. 41

Di Marco Corrado Srl p. 2

Dr. Zanolli p. 67

Fiera Di Milano - Host p. 98

Fiera Di Rimini - Beer & Food (Ieg Expo) p. 82

Fiera Torino Lingotto - Expoforum p. 16

Galbani p. 100

Gi Metal p. 3

Kuma Forni Snc p. 75

Latteria Montanari p. 47

La Torrente p. 39

Le 5 Stagioni p. 23

Lilly Codroipo p. 77

Scuola Italiana Pizzaioli p. 83

Millberg p. 97

Molino Bruno p. 27

Molino Dalla Giovanna p. 93

Molino Naldoni p. 45

Molino Pasini p. 51

Molino Scopettuolo p. 99

Rinaldi Superforni p. 21

Sacar Srl p. 15

Sanfelici Franco p. 11

Sitta p. 9

Industria Alimentare Tanagrina Srl p. 53

Velma p. 17

— Sommario —

Artigiano

e robot

Chi sarà il pizzaiolo del futuro? di Antonio Puzzi

in pizzeria Quale scenario nel breve e medio termine? di Domenico Maria Jacobone

di Giusy Ferraina

ristorazione domani

Giampiero Rorato

storie di pizza

Noemi Caracciolo

COLOPHON

Editoriale

Per raccontarvi il numero di febbraio di Pizza e Pasta Italiana, non posso essere io a scrivere l’editoriale.

Input: Devo scrivere un editoriale di 2200 battute su come l’intelligenza artificiale può cambiare la ristorazione.

Risposta: “L'intelligenza artificiale (IA) sta trasformando il mondo della ristorazione in modi che solo pochi anni fa sembravano fantascienza. Dalla gestione delle prenotazioni alla personalizzazione delle esperienze culinarie, l'IA sta diventando un alleato indispensabile per ristoratori e clienti.

Uno degli ambiti in cui l'IA sta avendo un impatto significativo è la gestione delle prenotazioni. Sistemi avanzati possono prevedere i picchi di affluenza, ottimizzare la disposizione dei tavoli e ridurre i tempi di attesa. In cucina, l'IA sta rivoluzionando la preparazione dei piatti: robot e macchine intelligenti sono in grado di eseguire compiti ripetitivi con precisione, liberando il personale umano per attività più creative e complesse. Inoltre, l'analisi dei dati permette di monitorare la qualità degli ingredienti e di prevedere le tendenze culinarie, aiutando i ristoratori a rimanere competitivi e innovativi. Un altro aspetto fondamentale è la personalizzazione dell'esperienza culinaria: grazie all'IA, i ristoranti possono raccogliere e analizzare dati sui gusti e le preferenze dei clienti, offrendo menu su misura e raccomandazioni personalizzate. Infine, l'IA sta contribuendo a rendere la ristorazione più sostenibile: algoritmi avanzati possono ottimizzare l'uso delle risorse, ridurre gli sprechi alimentari e migliorare la gestione dell'inventario. Questo non solo ha un impatto positivo sull'ambiente, ma può anche tradursi in significativi risparmi economici per i ristoratori. L'intelligenza artificiale sta aprendo nuove frontiere nel mondo della ristorazione, offrendo opportunità senza precedenti per migliorare l'efficienza, la creatività e la sostenibilità. I ristoratori che sapranno abbracciare queste tecnologie saranno in grado di offrire esperienze culinarie sempre più innovative e soddisfacenti”.

(Testo elaborato da Microsoft Copilot il 22 gennaio 2025)

Di questo trattiamo nel numero che state per leggere. Fateci sapere cosa ne pensate. nio

PIZZA E PASTA ITALIANA

Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

Edito da PIZZA NEW S.p.A.

Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990

Anno XXXVI - n.2 febbraio 2025 - Repertorio ROC n. 5768

DIRETTORE EDITORIALE DIRETTORE ONORARIO

Massimo Puggina Giampiero Rorato

DIRETTORE RESPONSABILE

Antonio Puzzi

PUBBLICITÀ

Caterina Orlandi

REDAZIONE

Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

PROGETTO GRAFICO

Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi

— Mediagraf lab

IN COPERTINA illustrazione di Basak Saral

STAMPA MEDIAGRAF S.p.A.

Noventa Padovana (Pd)

COMITATO TECNICO E REDAZIONALE

Marisa Cammarano, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon.

AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI

Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.).

PER INFORMAZIONI, SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO O RICHIEDERE UN ARRETRATO:

TELEFONARE AL NUMERO 0421 212348 dal lun. al ven.: 10:00 – 12:00 / 15:00 – 17:00

INVIARE UN FAX A 0421 83178

Servizio abbonamenti Pizza e Pasta Italiana

INVIARE UNA MAIL A: abbonamenti@pizzaepastaitaliana.it L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno e dà diritto a ricevere 11 numeri della rivista. L’abbonamento andrà in corso dal primo numero raggiungibile.

PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE:

ITALIA Pizza e Pasta Italiana; U.S.A. Pizza Today, P.M.Q.

TEL 0421.83148 — FAX 0421.81007

a cura della redazione

AL VIA LA SECONDA EDIZIONE DI HORECA EXPOFORUM

DAL 16 AL 18 MARZO AL LINGOTTO

FIERE DI TORINO TORNA L’APPUNTAMENTO DEDICATO

AL SETTORE DELL’HO.RE.CA. CON

OLTRE 200 AZIENDE PROVENIENTI DA TUTTA ITALIA, MA ANCHE DALL’ESTERO

Dopo aver conquistato il pubblico con una prima edizione di grande successo, Horeca Expoforum torna al Lingotto Fiere di Torino dal 16 al 18 marzo. Organizzato da GL events Italia, il Salone dedicato ai professionisti dell’Hotellerie, della Ristorazione e del Catering ripropone il suo format vincente, ma con molte novità che arricchiranno l’esperienza rispetto al 2024: un’ampia area fieristica animata da oltre 200 aziende, tra start up, imprese artigiane, cooperative sociali e grandi brand di riferimento nel settore, cui farà da cornice un ricco palinsesto di eventi le cui finalità formative e di aggiornamento professionale si incontreranno con quelle ludiche e spettacolari. L’ingresso è gratuito.

Tra le numerose aziende presenti all’appuntamento torinese non mancheranno, naturalmente, i brand di spicco della pasta, così come i produttori di lieviti e i mulini, i forni e le pasticcerie, categorie da sempre punto di riferimento nell’offerta ristorativa italiana.

Variegato il programma di appuntamenti. Tra gli eventi da segnare in calendario, spicca martedì 18 marzo la selezione italiana Bocuse d’Or 2025, organizzata in collaborazione con FIC – Federazione Italiana Cuochi, che vedrà i team sfidarsi per concorrere al Bocuse d’Or Europe 2027. Un’occasione di spettacolo, ma anche vetrina ideale per valorizzare i talenti italiani. Non mancheranno incontri B2B, convegni tematici, masterclass e show-cooking dimostrativi.

“Con la seconda edizione di Horeca Expoforum vogliamo tornare a celebrare un settore strategico per l’economia e la vita sociale, un universo rappresentato in Italia da quasi 460 mila imprese, oltre 386 mila delle quali operano nella ristorazione, come riportano i dati della Camera di Commercio di Torino. La manifestazione vuole aggiornare gli addetti ai lavori sulle nuove tendenze, vuole formare e informare, facilitare il networking e favorire la nascita di nuove collaborazioni che faranno bene al futuro dell’intero settore” .

Dichiara Gàbor Ganczer, amministratore delegato di GL events Italia.

Mantenimento ad alto

Gli eventi del mese

3–6

febbraio

HOSPITALITY

Riva del Garda, Fiera

Hospitality – Il Salone dell’Accoglienza è la manifestazione internazionale di riferimento per il mondo Ho.Re.Ca.: un hub dove gli operatori di ospitalità e ristorazione entrano in contatto con fornitori e partner e scoprono le novità per far crescere il proprio business.

La più completa fiera B2B in Italia si tiene in uno dei principali distretti turistici italiani - quello del Lago di Garda - e racchiude in un unico evento un’ampia platea di aziende e professionisti che trovano spazio nelle aree Contract & Wellness, Renovation & Tech, Food & Equipment e Beverage e nelle aree speciali Solobirra, RPM-Riva Pianeta Mixology e Winescape dedicate alla valorizzazione della birra artigianale, del bere miscelato e del turismo del vino.

Un percorso unico con espositori selezionati tra le eccellenze di tutti i segmenti dell’HoReCa e una piattaforma di business fondamentale per ampliare le opportunità di networking tra operatori del settore e buyer nazionali ed internazionali.

Alle numerose occasioni di formazione e aggiornamento di Hospitality Academy, si aggiungono laboratori, masterclass, degustazioni e cooking show che completano il programma eventi e favoriscono la nascita di nuove collaborazioni tra hotel, bar, ristoranti e strutture ricettive.

hospitalityriva.it/it

3–5

febbraio

HORECA BALEARES

Palma de Mallorca (Spagna)

Itinerante in tre tappe nelle Baleari tra febbraio e marzo, il primo appuntamento con il settore HORECA è nella suggestiva Palma de Mallorca.

horecabaleares.com

10–12

febbraio

LISBON FOOD AFFAIR

Lisbona (Portogallo)

Un grande salone del gusto per conoscere la gastronomia e i trend della penisola iberica.

lisbonfoodaffair.fil.pt

16–18 febbraio

BEER & FOOD ATTRACTION

Rimini, Fiera

L'evento che riunisce in un solo appuntamento la più completa offerta nazionale e internazionale di birre, bevande, food e tendenze per l’Out of Home.

beerandfoodattraction.it

17–21 febbraio

GULFOOD

Dubai (Emirati Arabi Uniti)

Appuntamento con la trentesima edizione della fiera dedicata al cibo degli Emirati Arabi. Evento imperdibile per un mercato in costante crescita.

gulfood.com

23–25 febbraio

SANA SLOW WINE FAIR

Bologna, Fiera

Due appuntamenti a cura di Federbio e Slow Food riuniti a BolognaFiere per conoscere il mondo del vino buono, pulito, giusto e sano. E il cibo da abbinare.

slowinefair.slowfood.it

Per segnalare fiere ed eventi, scrivi a redazione@pizzaepastaitaliana.it

Artigiano e robot

Chi sarà il pizzaiolo del futuro?

di Antonio Puzzi

Nel 2017, mentre l’Italia si batteva per il riconoscimento

Unesco dell’arte del pizzaiuolo napoletano, proprio a Napoli, l’Università “Federico II”, con un team capitanato dal prof. Bruno Siciliano, portava avanti la sua ricerca sul perfezionamento di un prototipo di robot pizzaiolo.

In un videoarticolo di Fanpage, la presentazione di Rodyman

Certo, l’idea della sostituzione con degli automi non entusiasma nessuno ed è al centro di molteplici riflessioni che, a partire dagli anni ’50, hanno popolato le fantasie popolari e le scrivanie colte. Basti pensare che perfino Totò fu protagonista, in un film del 1958 (Totò nella luna) insieme a Ugo Tognazzi sotto la direzione di Steno, di una simpatica rilettura della questione degli “ultracorpi”.

Francamente, però, ho ritenuto sin da subito “tafazziana” (se non conoscete il Tafazzi di Aldo, Giovanni e Giacomo, ne consiglio vivamente la visione) la velleità tutta ingegneristica di volere automatizzare i mestieri, prima e le professioni, poi. Nel 2017, l’intelligenza artificiale esisteva già ma non era a portata di smartphone,

eppure la direzione intrapresa era chiara: riuscire a ridurre il carico di lavoro umano, affidando alle macchine la parte più pesante. In questo mondo, in cui l’euforia tecnologica si combina con le perplessità ispirate dall’etica, l’esperienza di “Pazzi Pizzas” a Parigi è stata altamente significativa. Nata all’incirca nello stesso periodo degli studi napoletani su Rodyman, quella di “Pazzi” è una storia che ha dell’incredibile, perché nasce a pochi passi dai ristoranti più amati del mondo e si professa come un “fast good food” ossia un cibo veloce e buono. Il suo claim era: “Come for the show, stay for the pizza”, ovvero “Vieni per lo spettacolo, resta per la pizza”. Nel 2022, l’esperienza è stata dichiarata conclusa ma non per gli interrogativi che ha suscitato.

È evidente: quello che noi ipotizzavamo fosse il futuro è già arrivato e non ha certo bussato alla porta per farsi aprire ma si sta con fermezza imponendo sulla scena della ristorazione.

Per scoprire

tutto su “Pazzi Pizzas”, inquadra qui

Se le mani sono sostituibili, lo è anche il pensiero? Un processo fortemente standardizzato, come quello assegnato a un robot, riuscirà mai a dotarsi di problem solving “non matematico”? Faccio qualche esempio: quante volte abbiamo visto pizzaioli spostare le cassette d’impasto da una parte all’altra del locale o posizionare la pizza in spazi diversi del forno? Quante volte abbiamo visto un pizzaiolo aggiustare la pizza sulla pala dopo averla stesa, con l’obiettivo di non sprecare il condimento già adagiato sul disco di pasta ma, nel contempo, rimediare a qualche imperfezione?

Come spesso accade, è partito dai piani più “bassi” di questo settore: il fast food, prima; la pizzeria, poi. Ma è già arrivato anche al ristorante. Basti pensare che a Salerno, nel centralissimo corso Garibaldi, è attivo da qualche mese il ristorante “Syncronia” (ristorantesyncronia.it) nel quale scompare la figura del cameriere e chi condivide il tavolo mangia insieme, senza attese, con lo chef orchestratore indiscusso, per organizzazione e qualità. Ma come funziona? Su ogni tavolo è presente un disco “volante” sullo stile di quelli ipotizzati da “Ritorno al Futuro 2”. Lo chef, dalla cucina, predispone su questo tavolo i piatti che saranno poi calati dall’alto, direttamente al posto della persona che li ha ordinati. Ogni piatto è curato direttamente dallo chef che impiatta e, grazie alla tecnologia appena descritta, serve direttamente al tavolo, garantendo così la massima igiene e il totale comfort per gli ospiti.

Per ora, dunque, il robot si fa pizzaiolo, cameriere (come abbiamo anche già visto in numerose fiere di settore) ma non è detto che un giorno diventi chef (magari premiato), ingegnere e, forse, anche moglie o marito.

Come in “Her”, il bellissimo film del 2013 scritto e diretto da Spike Jonze, in cui il protagonista Theodore Twombly (interpretato da Joaquin Phoenix) s’innamora della voce del sistema operativo del suo smartphone. Peccato che le macchine abbiano (per ora) un’unica visione dell’amore, non basata sull’esclusività ma sulla densità delle emozioni. E questo è un altro capitolo che forse meriterebbe un approfondimento… ma non ora e non qui.

Forno con alimentazione elettrica, dalle dimensioni contenute, concepito per la cottura di 1 o 2 pizze da 33 cm

p p pinse.

p p pinse.

Forni a tunnel con tappeto di cottura in refrattario. Montato su ruote e configurabile per ogni esigenza. Disponibile anche con tecnologia Industria 4 0

Forni a tunnel con di cottura in refra Montato su ruote configurabile per esigenza. Disponi anche con tecnolo Industria 4.0.

P
P U
V U L K A N
P U
P
V U L K A N
P U L C I N E L L A B A B Y

AI in Pizzeria

Quale scenario nel breve e medio termine?

Ilcambiamento, costante e sottile, può essere paragonato all’inafferrabile brezza che si leva in una tranquilla alba napoletana, dove il profumo del lievito madre si intreccia con l’aria umida e un maestro pizzaiolo avvia il suo rituale quotidiano nella preparazione dell’impasto. Le sue mani, forgiate da anni di esperienza, si muovono con la precisione di un artista e la saggezza di un artigiano.

Oggi, accanto a questa scena tradizionale, emerge un nuovo protagonista silenzioso: l’intelligenza artificiale (AI)

Siamo in un’epoca di trasformazione economica, tecnologica e culturale. L’interazione tra uomo e macchina non è più limitata a semplici automazioni o comandi vocali: stiamo assistendo all’avvento delle AI interagenti, capaci

di apprendere e addestrarsi autonomamente, diventando partner attivi nella creazione di prodotti e concetti. Anche la pizza – simbolo di tradizione e artigianalità – si trova al centro di questa rivoluzione. Il mestiere del pizzaiolo, patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’UNESCO, vive un momento epocale. Oggi non si insegnano più solo i gesti ma anche la filosofia alla base di ogni pizza, trasmettendola non solo agli apprendisti umani ma, con le più moderne interazioni, anche alle macchine. Le moderne tecnologie non si limitano a monitorare temperatura e umidità: con il grado di accuratezza raggiunto oggi, gli strumenti “comprenderanno” il processo di lievitazione, “sentiranno” la maturazione dell’impasto e “intuiranno” i momenti perfetti di ogni fase della preparazione, correggendo le dosi, l’umidità o le temperature ove necessario.

Il dialogo silenzioso tra uomo e macchina non è una minaccia ma un’opportunità.

Come evidenziato dai professori Massimo Chiriatti (Lenovo) e Giuseppe Riva (Università Cattolica di Milano), nella loro ricerca “System Zero” pubblicata su Nature, la tecnologia non sostituisce l’umano ma lo potenzia, esternalizzando alcune funzioni cognitive per favorire la creatività.

Questo approccio si riflette nella pizza, dove esempi come “Dodo Pizza” a Dubai dimostrano come l’AI generativa

possa supportare la creazione di nuove ricette, anticipare esigenze e suggerire adattamenti, senza perdere il rispetto per l’arte pizzaiola. La pizzeria contemporanea sta diventando un ecosistema dove il pizzaiolo non delega il proprio mestiere ma lo arricchisce. L’AI si potrebbe porre come custode silenzioso della tradizione, creando archivi digitalizzati delle conoscenze dei maestri pizzaioli, preser-

vandole per il futuro. Questo patrimonio digitale rappresenta un ponte tra passato e futuro, aiutando i giovani apprendisti a comprendere le basi dell’arte pizzaiola attraverso un linguaggio moderno e multiculturale. Per meglio comprendere le possibili innovazioni, ho immaginato i cambiamenti nei prossimi tre decenni.

2035:

L’Alba della “Pizzeria Aumentata”

Nei vicoli di Napoli, dove il profumo del basilico si mescola ancora all’aria salmastra del mare, le pizzerie del 2035 diventeranno riferimenti gastronomico-culturali, dove tradizione e futuro convivono in perfetta armonia. L’AI avrà evoluto la sua presenza, trasformandosi in guardiano discreto di un’arte millenaria. Le pareti delle pizzerie, un tempo mute testimoni del lavoro artigiano, ora potranno raccontare storie e disvelare luoghi come quelli di provenienza dei prodotti.

Superfici interattive mostreranno ai clienti il viaggio di ogni ingrediente: dal pomodoro San Marzano colto all’alba nei campi vesuviani, alla farina macinata a pietra nei mulini storici della Campania. Non è semplice tracciabilità: è un racconto emotivo che connette il commensale con l’anima profonda di ogni pizza. I forni, cuore pulsante di ogni pizzeria, diventeranno collaboratori senzienti attraverso gli inter-agenti termici che interpretano l’umidità dell’aria, la densità dell’impasto, persino il tipo di legna che arde, creando microclimi perfetti per ogni tipologia di pizza. Il maestro pizzaiolo andrà ad orchestrare questa

sinfonia termica con gesti che sembrano appartenere tanto alla tradizione, quanto al futuro.

2045: La “Simbiosi Perfetta”

Nel mezzo secolo della nostra “odissea gastronomica”, la pizzeria si è trasformata in un ecosistema dove umano e macchina hanno raggiunto una simbiosi quasi perfetta. AI ed Automazione non sono più strumenti: sono diventati estensioni stesse della consapevolezza del pizzaiolo.

L’impasto, elemento primordiale dell’arte bianca, viene ora creato in camere di lievitazione biodigitali, dove la tecnologia quantistica monitora ogni microscopica trasformazione della pasta.

Ma non è la macchina a decidere:

è un dialogo continuo tra l’intuizione del maestro e la precisione della macchina, che insieme creano sinfonie di sapori impossibili da replicare. Il banco di lavoro è diventato un palcoscenico interattivo dove ogni movimento del pizzaiolo viene amplificato da assistenti olografici che suggeriscono variazioni sottili basate su secoli di tradizione digitalizzata. Non è più solo preparazione: è una performance artistica dove ogni gesto racconta una storia millenaria e diventa immortale.

Conosciamo la tua arte.

amiamo. La viviamo, ogni giorno. Dal 1946.

Forni elettrici dal 1946.

2055: L’epoca dell’eredità reinventata

All’orizzonte del 2055, la pizzeria ha completato la sua metamorfosi in un tempio gastronomico dove passato e futuro si fondono in un presente senza tempo. Gli ultimi Agenti AI si sono evoluti in presenze quasi filosofiche, custodi non solo della tecnica ma dell’essenza stessa della pizza napoletana. Le sale si sono trasformate in spazi multisensoriali dove ogni pizza racconta la sua storia attraverso esperienze immersive. I clienti non solo assaggiano: vengono trasportati nei vicoli di Napoli, nelle botteghe storiche, nei campi dove crescono gli ingredienti. È una degustazione che coinvolge tutti i sensi, orchestrata da inter-agenti che hanno imparato a comprendere non solo il cibo ma quello che rende unico questo prodotto: l’anima della cultura napoletana.

I maestri pizzaioli del 2055 sono diventati artisti, sperimentatori e innovatori del sapore ma restano i custodi di una tradizione che hanno saputo reinventare senza tradimenti. La loro arte si è arricchita di nuovi strumenti ma mantiene intatto quel nucleo di sapienza che rende ogni pizza un piccolo miracolo di equilibrio e gusto.

La pizza, però, è un’essenza Immutabile. In questo racconto fantastico dei prossimi tre decenni emerge una verità fondamentale: la tecnologia può cambiare il modo in cui

prepariamo e serviamo la pizza ma non può e non deve alterarne l’essenza. L’AI e le macchine del futuro non sostituiranno il pizzaiolo ma saranno amplificatori della sua arte, oltre che custodi digitali di una tradizione che continua a vivere e rinnovarsi come il lievito madre che si rinnova ogni giorno pur mantenendo viva la sua essenza.

In un futuro molto, molto lontano, mentre il sole tramonta sul golfo di Napoli, il profumo di una Margherita appena sfornata continuerà a raccontare la stessa storia millenaria, certo arricchita da nuovi capitoli ma fedele alla sua anima più profonda. Perché la vera magia della pizza non risiede nella tecnologia che la produce ma nell’amore e nella dedizione di chi la crea, in quel dialogo eterno tra mani sapienti e ingredienti semplici che continua a incantare il mondo.

E questo ultimo aspetto non riesco ancora a predire se

le

macchine potranno mai comprenderlo…

NATURA AD ALTA PRESTAZIONE

IL GUSTO AUTENTICO DEL GRANO. le5stagioni.it

Farine rustiche, di tipo 1 e integrali da macinazione gentile e a bassa temperatura per garantire l’estrazione di farina dai profumi e sapori più intensi. Gusto e performance per pizze dal carattere unico.

IL Futuro È GIÀ QUI

Come la tecnologia sta cambiando la pizzeria

di Giusy Ferraina

Basta chiedersi come evolverà il settore della pizza nei prossimi anni e quale sarà la pizzeria del futuro. Il futuro è già qui e, se vogliamo essere preparati ad affrontarlo e viverlo con successo, dobbiamo essere per prima cosa consapevoli che i cambiamenti sono già in atto. Quello che dobbiamo fare è saperli cogliere, studiare e plasmare sulle nostre realtà: solo così la nostra pizzeria sarà la pizzeria del domani.

Nel corso di questi ultimi anni, la pizzeria è diventata un vero e proprio luogo di esperienza gastronomica e ristorativa in tutti i sensi. La semplice pizza non esiste più: dagli impasti ai topping, dai pairing al servizio, abbiamo assistito ad una rivoluzione che ha spostato il concetto pizza verso il gourmet e, ancora di più in questi ultimissimi anni, si è

intrapresa la direzione della sostenibilità. In questo articolato sistema di gusto, si sono imposti anche il digitale e le innovazioni tecnologiche che ci aiutano a fare e a comunicare, arricchendo l’essere artigiano. In questo avanzare di cambiamenti, la costante resta la tradizione, punto fermo e stabile. Si rivisita, si reinterpreta, si migliora ma, a modo suo, è misura di tutte le cose. Inutile parlare di tendenze e di moda: quelle solitamente

arrivano e passano, come lo sono stati certi ingredienti sulla pizza o le tovagliette di carta. In questo secondo decennio del nuovo secolo, stiamo vivendo la fase hightech e difficilmente torneremo indietro: la tecnologia è entrata a pieno titolo nel management delle cucine e delle aziende ristorative; creatività gastronomica e business vanno di pari passo.

Ilparadigma dell’industria 4.0 si compone di precisione, ripetibilità, tracciabilità ed efficienza della manodopera, tutti elementi che le aziende del settore alimentare cercano per realizzare i loro prodotti e che sono proprie anche del lavoro in pizzeria. Ecco, dunque, a portata di clic, macchine sempre più sofisticate che supportano la produzione dell’impasto e il suo monitoraggio e con cui è possibile effettuare una misurazione perfetta degli ingredienti e delle temperature, la gestione de prefermenti e dei lieviti con un controllo puntuale del ph, ovviamente con l’applicazione di una gestione controllata e a distanza. C’è già abbastanza per poter avere un impasto ideale, una mescola sempre esatta e uguale, di elevata qualità e pronta per far fronte a un numero elevato di coperti.

Aiutanti che potranno diventare indispensabili, se ben settati in un rapporto reciproco di fiducia con l’uomo, che dovrà essere lungimirante non tanto nel saperli usare, quanto nel prevedere come questa tecnologia potrà migliorare il lavoro finora fatto, perseguendo la sperimentazione continua e l’aumento della qualità del prodotto (con una evidente e logica conseguenza sulla creatività).

Stesso discorso va fatto sul versante cottura e già qui abbiamo fatto numerosi passi in avanti: abbiamo superato il diktat del “solo forno a legna” per avvicinarci a forni di nuova generazione rotanti, elettrici e a gas, che permettono di gestire in maniera facile ed efficace la temperatura e il grado di umidità. Ci sono, poi, i forni integrati con tecnologie avanzate, come il controllo della temperatura e della circolazione dell’aria, che permettono di ottenere pizze con croccante e dal cuore soffice e ci sono i “forni smart” di ultima generazione, studiati per replicare il calore generato in un forno a legna, consentendo

di ottenere risultati simili con una cottura estremamente precisa in tempi ridotti. E questo si traduce anche in una riduzione dei consumi in termini energetici ed economici. Il futuro della pizza contemporanea si concretizza anche nel concetto della cucina, inteso come tecniche di cottura e competenza nella loro applicazione. E, da questo punto di vista, si fanno avanti anche alcuni metodi alternativi che accrescono l’esperienza di gusto e la rinnovano, spostando a volte la centralità del forno e improntando la cottura su un mix di metodologie. Prima del passaggio in forno, si stanno infatti sperimentando il sous vide, la cottura in padella o padella e grill, la cbt e così via, alla ricerca di consistenze e sapori inediti.

Tutte le nuove tecnologie sono pensate per aiutare le pizzerie a ridurre gli sprechi, ottimizzare le risorse e tracciare gli ingredienti per garantire la provenienza e la sostenibilità delle materie prime. Da questo punto di vista, la tecnologia sta diventando un alleato

prezioso per promuovere pratiche più eco-friendly nel mondo pizza. Passiamo ora al servizio, altro lato della pizzeria che merita grande attenzione e su cui la tecnologia digitale si sta sbizzarrendo letteralmente. Assistiamo ad un’integrazione sempre più evidente del digitale nella pizzeria, creando ambienti interattivi con touch screen per ordinare, realtà aumentata per visualizzare le pizze e robot di supporto al servizio.

Èinnegabile che il mondo digitale ha contribuito a una maggiore accessibilità della pizza: grazie alle app di consegna ha, infatti, trasformato il modo in cui ordiniamo cibo, consentendo ai clienti di avere la propria pizza preferita consegnata comodamente a casa propria con pochi clic sullo smartphone. Stessa modalità di approccio si può applicare al menu digitale in pizzeria: al cliente basterà un tocco sul proprio smartphone per scegliere la propria pizza, ordinare e persino pagare, accelerando in questo modo il servizio.

A ogni creazione il suo momento.

Scopri la nuov a L inea Pizzeria Molino Bruno

Cinque farine, cinque tempi di lievitazione, un’unica missione: trasformare ogni impasto in un capolavoro di gusto.

Siprevede anche un aumento della personalizzazione del prodotto, per esempio con la futuristica stampa 3D, ancora in fase di sperimentazione o con interfacce digitali con cui comporre la propria pizza, senza dimenticare la possibilità di costruire su misura l’intera esperienza con l’implementazione della realtà aumentata e virtuale, capace di coinvolgere il commensale e di portarlo direttamente in cucina.

Lasciamo alla fine la questione food trend dove si fa largo la ricerca di nuovi tipi di farine, ad alta digeribilità e con maggiori apporti proteici, arricchite anche da superfood. Si parla sempre più di pizze salutari quanto gustose che mettono al centro dell’attenzione nuovi cereali, alghe, spezie, legumi e vegetali, che si prefigurano principi dei topping per i prossimi anni. A questi si aggiungono i condimenti plant based, che possono sostituire le classiche materie prime per

interessanti alternative vegane. Salute e sostenibilità sono le direttrici della nostra epoca e, quanto più saranno traslate nella cucina e nella pizzeria, tanto più aumenteranno le chance di successo ma attenzione alle richieste della clientela che sul tema provenienza e materie prime è molto più preparata ed esigente. Questo breve excursus evidenzia come l’integrazione della tecnologia nella preparazione della pizza possa portare numerosi vantaggi, tra cui una maggiore efficienza, una personalizzazione più ampia e una qualità superiore. Tuttavia, emergono anche alcune sfide, come il rischio di smarrire l’aspetto umano e la necessità di bilanciare con tutta questa innovazione la giusta dose di tradizione.

L’industria della pizza si trova quindi a confrontarsi con queste problematiche, impegnandosi a preservare il fascino della tradizione pur cogliendo le opportunità offerte dall’avan-

zamento tecnologico. Unico aspetto fondamentale che non potrà essere sostituito dalla tecnologia è la competenza, prima ancora della passione. Un’ottima pizza sarà sempre figlia di un bravo pizzaiolo, competente e adeguatamente formato su ogni singolo aspetto che regola la produzione, macchine comprese.

Slow Wine Fair:

dal 23 al 25 febbraio torna a Bologna

l’appuntamento dedicato al vino buono, pulito e giusto

Organizzata da BolognaFiere da un’idea di Slow Food, Slow Wine Fair è l’evento internazionale dedicato al vino buono, pulito e giusto. In esposizione, vini che sono frutto di una viticoltura sostenibile, rispettosa della biodiversità e del paesaggio, tesa allo sviluppo delle comunità contadine e a rendere i consumatori più consapevoli del valore culturale del vino.

a cura di Slow Food Italia

La manifestazione ospita l’incontro internazionale della Slow Wine Coalition, la rete internazionale, inclusiva e collaborativa che unisce i protagonisti del mondo del vino. Nei tre giorni di Slow Wine Fair, centinaia di viticoltori e vignerons provenienti da tutte le regioni d’Italia e da tutto il mondo si riuniscono a BolognaFiere per confrontarsi sul futuro del vino e della viticoltura.

Ma Slow Wine Fair non è solo per i vignaioli e i vigneron. L’evento è dedicato anche ai wine lovers e agli operatori del settore, che possono fruire di un ricco programma di incontri e degustazioni e scegliere al banco d’assaggio tra migliaia di etichette provenienti da tutto il mondo e selezionate da una commissione di esperti.

La parte espositiva dell’evento è inoltre impreziosita dalla partecipazione di Federbio, la Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica.

Conferme e novità

Ogni edizione di Slow Wine Fair si focalizza su un tema, collegato a quello delle edizioni precedenti e sviluppato in conferenze e incontri specifici.

Dopo aver posto attenzione alla crisi climatica (edizione 2023) e al tema della fertilità del suolo (edizione 2024), nel 2025 si puntano i riflettori sul tema della sostenibilità lungo tutta la filiera. Non ci si limita a raccontare la sostenibilità in vigna, ma si prendono in esame anche altri elementi fondamentali per la produzione del vino: in primis il packaging e la distribuzione.

Circa 1.000 sono le cantine espositrici dall’Italia e dall’estero, distribuite in isole espositive in base al Paese e alla regione italiana di appartenenza.

I vignaioli e i vignerons presenti alla Slow Wine Fair sono accomunati dal fatto di aver sottoscritto e di mettere in pratica il decalogo del "Manifesto per il vino buono, pulito e giusto". Di impegnarsi a preservare l’ambiente e le sue risorse, a rispettare il paesaggio e il terroir di provenienza del vino, a valorizzare la comunità agricola di cui è espressione e a sostenere la biodiversità.

L’area dedicata agli spirits è pensata per coinvolgere il mondo della mixology e sarà suddivisa in sezioni tematiche, tra cui quella dedicata agli amari, che ruota intorno alla quinta edizione della Fiera dell’Amaro d’Italia, organizzata in collaborazione con Amaroteca e con ANADI – Associazione Nazionale Amaro d’Italia.

Un’area espositiva della Slow Wine Fair è riservata alle imprese della filiera vitivinicola che, attraverso macchinari, attrezzature e tecnologie innovative, contribuiscono a rinnovare il sistema agricolo e permettono ai vignaioli di adottare metodi di produzione sostenibili e rispettosi dell’ambiente.

Il Premio Carta Vini Terroir e Spirito Slow – attribuito dal pubblico e da una giuria di esperti – valorizza le migliori carte dei vini italiane e internazionali e torna nel 2025 con nuove categorie territoriali e una nuova sezione dedicata al mondo degli amari. Tornano inoltre Masterclass, Conferenze ed Eventi Off.

Per la prima volta, approda a Slow Wine Fair uno spazio dedicato alla Slow Food Coffee Coalition e al mondo del caffè. A presidiarlo e a introdurvi in questo mondo sono caficoltori, torrefattori ed esperti che forniscono informazioni preziose sugli strumenti principali per approcciarsi all’assaggio in modo consapevole, per riconoscere, apprezzare e imparare a scegliere un caffè di qualità.

Altra novità nell’edizione 2025 è la sezione riservata ai sidri. Il sidro, ottenuto dalla fermentazione del succo di mele pressate, ha una storia antica e affascinante e radici profonde nelle culture europee, dove è stato a lungo popolare. Slow Wine Fair è il contesto in cui interrogarsi su quale sia il ruolo che attualmente il sidro sta guadagnando in Italia e nel panorama mondiale, e per assaggiare numerosi prodotti.

Last but not least, la novità assoluta del 2025: Slow Wine Fair è in contemporanea con SANA Food, il nuovo concept dedicato alla sana alimentazione, con i suoi 10.000 visitatori del settore Food&Beverage. Operatori e visitatori possono così godere di un’esperienza di visita ancora più ricca e altamente qualitativa.

L'appuntamento con SANA è nel Padiglione 18 al quale potete accedere con lo stesso titolo di ingresso acquistato per Slow Wine Fair!

REGOLAMENTI ED ISCRIZIONI

www.campionatomondialedellapizza.it

info@campionatomondialedellapizza.it

Ristorazione

LE SCUOLE ALBERGHIERE

RISORSE PREZIOSE NELL'ITALIA DI DOMANI

di Giampiero Rorato

Stiamo vivendo un periodo di transizione repentina nel mondo del lavoro. In un mondo sempre più globalizzato, l’economia del nostro Paese e dell’Europa è condizionata da fattori raramente controllabili. Pensiamo, ad esempio, alla crisi dell’industria dell’auto, oggi al bivio della scelta - epocale - tra motori tradizionali ed elettrici. Mentre numerosi stabilimenti sono in crisi e stanno abbassando le serrande, sta crescendo il movimento turistico in tutta Europa, Italia compresa. Il turismo è spinto dalla ricerca di spiagge incantevoli, di montagne mozzafiato, di città d’arte. Ma anche, forse soprattutto, di servizi. Fra questi, basti pensare ad aeroporti e ferrovie. O autostrade che toccano in Italia anche il mare: Reggio Calabria, Siracusa, Palermo. L’attenzione è massima anche ai servizi dell’ospitalità: alberghi, ristoranti, agriturismi, pizzerie e via di questo passo.

I protagonisti

Mentre le montagne sono già belle di per sé, così le città d’arte, ciò che più conta è il personale dedicato e formato, senza il quale il turismo non esisterebbe. Ma quale personale? Pensiamo ai servizi di sicurezza (Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia Locale, Guardia di Finanza), a quanti lavorano nelle città d’arte, nei musei, nei parchi archeologici, nelle particolari aree caratterizzate da bellezze naturalistiche e ambientali. Parliamo dunque degli operatori del mondo ristorativo-alberghiero.

Chi fa funzionare il turismo non sono entità non meglio definite: sono uomini e donne preparati, capaci di svolgere il proprio lavoro spesso con professionalità di alto livello. In questi settori il surplus è il rapporto tra professionista e cliente, non con macchine.

Ristorazione domani

Le sfide di domani

Oggi più di ieri chi lavora deve avere le necessarie capacità e competenze. Ma, se si lavora a contatto del pubblico (i visitatori dei musei, i clienti degli alberghi e dei ristoranti), il professionista di turno deve garantire una competenza specifica simile ai docenti nelle scuole, ai medici e agli infermieri negli ospedali, alle guide alpine, ai bagnini; l’elenco potrebbe continuare.

Ma ora analizziamo il personale che lavora negli alberghi, nei ristoranti, nelle pizzerie, negli agriturismi e simili. Cuochi, pizzaioli, maître,

camerieri, sommelier, receptionist... Da più di un anno il nostro Paese, come abbiamo già accennato, vive una nuova crisi. Molte fabbriche chiudono, molti lavoratori sono in cassa integrazione anche per la mancanza - affermano gli esperti - di una seria politica industriale italiana nel quadro europeo. Ciò che invece va a gonfie vele sono due settori fondamentali dell’economia italiana: l’agroalimentare e il turismo. Due realtà con molti punti in comune: la ristorazione italiana si avvale spesso dei prodotti della nostra agricoltura.

È vero che non basta un’agricoltura con prodotti di eccellenza richiesti dal mondo, così come non basta un turismo in crescita, per salvare la nostra economia. Tuttavia l’agricoltura e il turismo sono due colonne fondamentali dell’economia italiana. Pertanto, meritano la massima attenzione e il necessario sostegno perché sono e restano due settori economici di cui l’Italia non può fare a meno.

Per quanto riguarda il turismo, in questi ultimi tempi, specie dopo la pandemia, è notevolmente cambiato. Non più solo mare, laghi, montagne, anzi.

Protagonisti

in

questo senso sono le città d’arte, i musei, i parchi archeologici, le chiese, i grandi monasteri.

E il mare - il trend è ormai stabile - non si vive solo d’estate. Ma c’è un’offerta anche invernale, al pari delle zone turistiche montane.

il buon pomodoro italiano

“Gli tisti della pizza”.

Ogni mese, ci deliziamo con dodici straordinarie creazioni dei nostri 'Artisti della Pizza'. Per il mese di febbraio, abbiamo la magnifica pizza “Incanto Lucy” ideata dal talentuoso pizzaiolo Enrico Ambrogio. Questa prelibatezza è realizzata con la nostra esclusiva “Pacchetella di pomodorino giallo”, pensato appositamente per una pizza gourmet e di tendenza. Un'autentica opera d'arte culinaria, che unisce sapori tradizionali ad un tocco moderno, rendendola perfetta come un pasto completo. Un piatto che celebra la Calabria, perfetto da gustare con un’ottima birra fredda per esaltarne tutti i sapori.

scopri di più

Ristorazione domani

L’evoluzione

Ergo, l’evoluzione del turismo esige anche un adeguamento del settore ristorativo e alberghiero. Proprio per questo, gli operatori della ristorazione – cuochi, pizzaioli, maître, camerieri, sommelier, sono sempre più importanti e richiesti per un necessario servizio d’eccellenza. Le Scuole Alberghiere di Stato come i Centri di Formazione Professionale (CFP) ad indirizzo ristorativo-alberghiero sono già oggi - lo saranno ancor più domani - piste di lancio verso un lavoro sicuro che molto difficilmente conoscerà momenti di crisi.

Ci sono in Italia ottime scuole alberghiere, molte circondate dalla stima e dal sostegno anche delle istituzioni territoriali, proprio per la loro capacità di preparare professionisti di livello nel settore turistico-alberghieroristorativo del nostro Paese.

Ci sono inoltre ulteriori Scuole di alta specializzazione come l’ALMA di Colorno e le Facoltà Universitarie dedicate al Turismo e alla ristorazione di cui possiamo essere fieri. Di queste scriveremo in futuro. Tutto bene dunque? Non proprio. Se un problema esiste, è quello delle buste-paga già in linea con i tempi nuovi ma in troppi casi inadeguate.

Ecco dunque il problema della fuga verso l’estero. Un’emorragia che stenta ad arrestarsi.

Chi apre nuove strade

è destinato

ad essere copiato

Chi apre nuove strade è destinato ad essere copiato

La condivisione delle idee, la conoscenza del mondo HORECA, l’interazione tra rete commerciale, distributori e professionisti della ristorazione rappresentano l’essenza di Demetra.

La condivisione delle idee, la conoscenza del mondo HORECA, l’interazione tra rete commerciale, distributori e professionisti della ristorazione rappresentano l’essenza di Demetra.

Questa visione ci guida verso il futuro e il miglioramento continuo. Essere innovativi è un’attitudine naturale, alimentata da passione, autenticità e coraggio.

Questa visione ci guida verso il futuro e il miglioramento continuo. Essere innovativi è un’attitudine naturale, alimentata da passione, autenticità e coraggio.

Questa è Demetra.

Questa è Demetra.

“SII IL CAMBIAMENTO CHE VUOI VEDERE NEL MONDO”

CICCIO VITIELLO, CAMBIA-MENTI

di Noemi Caracciolo

È proprio con la frase di Gandhi che dà il titolo a questo articolo che Ciccio Vitiello ha fatto il suo mantra, un’idea alla quale si ispira ogni giorno, basandovi ogni aspetto del suo percorso personale e lavorativo. Francesco, detto Ciccio – oggi proprietario della pizzeria Cambia-Menti a San Leucio, nel casertano –ha iniziato il suo percorso in tenera età.

Coltivando una passione che cresce giorno dopo giorno e che va a finire direttamente sulle sue pizze, questo “pizzaiolo sostenibile” predilige materie prime locali, coltiva il proprio orto e sceglie metodi rispettosi dell’ambiente, rendendo la sua pizza non solo gustosa, ma anche etica. La pizzeria, come suggerisce il nome, è un luogo di cambiamenti nel quale innovazione e tradizione si incontrano e si rispettano, partendo dall’ingrediente più importante: le persone, nelle quali Ciccio crede tanto e alle quali offre un prodotto che rispecchia appieno i valori che ispirano lui e dovrebbero ispirare tutti.

Provengo da una famiglia di sarti e non ho dunque “ereditato il mestiere” ma ho comunque iniziato molto presto. Quando avevo nove anni, vivevo in un quartiere popolare e la mia mamma, volendo evitare che intraprendessi strade sbagliate, durante i weekend estivi e invernali mi portava in una pizzeria appartenente ad amici di famiglia, nei pressi della stazione di Caserta, dove iniziai a lavorare. L’anno in cui avrei dovuto iniziare le scuole superiori, purtroppo, persi mio padre e, nel frattempo – aiutandomi nel seguire il mio sogno – mia madre mi fece iscrivere all’istituto alberghiero. Ho imparato a fare la pizza da autodidatta e a diciotto anni ho aperto il mio primo locale, una piccola pizzeria d’asporto. Dopo varie evoluzioni, c’è stata Casa Vitiello a Tuoro, per circa sei anni e – dopo la pandemia – ho deciso di cambiare radicalmente la mia vita personale e professionale, così ho aperto la mia attuale pizzeria, Cambia-Menti, nel 2022 a San Leucio, nei pressi del Belvedere.

Ricordi la prima pizza che hai preparato e quale sensazione hai provato mettendo le mani in pasta per la prima volta?

Ho preparato la mia prima pizza a soli dieci anni, tutto da solo ma fu un po’ angosciante in realtà. Non riuscivo a stenderla, in forno la bruciai e addirittura la bucai, diciamo che fu un po’ un disastro. Era una Diavola, che oggi è la mia pizza preferita.

Il tuo locale si chiama “CambiaMenti”: cosa vuol dire per te e perché il trattino? Quanto c’entra

con la filosofia che ti guida e l’attenzione che poni alla sostenibilità?

Il nome proviene dal periodo che citavo prima, ricco di cambiamenti professionali e personali. La scelta del trattino sottolinea un cambiamento di visione e mentalità nel concepire la pizza e il modo di fare pizzeria. Inoltre, è strettamente legato al progetto di sostenibilità che porto avanti ormai da anni. Sono convinto necessiti un cambio di visione radicale da parte delle persone; stiamo vivendo una crisi climatica importante e non possiamo più girarci dall’altra parte. Credo molto nella frase: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Il mio progetto parte dalla sostenibilità umana, per passare poi a quella ambientale. Mi spiego meglio: i ragazzi che lavorano per me non hanno turni massacranti – come solitamente accade in pizzeria - e hanno una retribuzione più alta della media.

Inoltre, da anni siamo “plastic free”, anche nelle preparazioni e conservazioni, usiamo solo vetro. Questa estate ho inaugurato il mio orto, nel terreno che un tempo era il vivaio di Re Ferdinando IV di Borbone. Non dimentichiamo che a San Leucio, Re Ferdinando pensava di realizzare la sua “Ferdinandopoli”, una comunità circolare, “utopica” ed è proprio qui che nacque la prima vera industria fondata sull’umana sostenibilità e uguaglianza. Gli ortaggi e gli agrumi che coltivo vengono poi messi sulle mie pizze o i dolci; ci sono, ovviamente, solo prodotti stagionali, rispettando al 100% ciò che la natura ci dona. Un’altra scelta che ci consente di definirci “sostenibili” ed evitare totalmente gli sprechi è quella di lavorare su prenotazione.

Proponimi delle pizze che mi faresti assaggiare, raccontamele dall’impasto ai topping.

Innanzitutto, ti farei assaggiare sicuramente la Margherita, perché in una pizzeria deve essere la pizza migliore: è il prodotto democratico per eccellenza, accessibile a tutti e quindi deve essere ben fatto e soprattutto avere un prezzo modesto. In secondo luogo, una “Recensione negativa”: una pizza che simula una bruciatura, che in realtà è una polvere di olive nere spalmata su uno spicchio di pizza solamente, piegato, con mozzarella di Bufala, pomodorino semi-dry caramellato, pesto di basilico, pepe di Sichuan e olio aromatizzato al limone.

Italiche si nasce.

Progetti di filiera con aziende del territorio, selezione accuratissima dei migliori grani italiani.

Così nasce la linea di farine Molino Naldoni alla quale abbiamo dedicato il marchio Italica 100% grani italiani. Lo trovate ormai su quasi tutte le nostre farine perchè oltre l’80% del grano che maciniamo è italiano e più del 25% romagnolo. Una scelta che nasce dalla volontà di o rire farine organoletticamente superiori e garantite dal punto di vista salutistico.

Buone per le persone, buone per il pianeta, italiane fin dal primo chicco.

BIOFACH – Norimberga 11/14 febbraio 2025 hall 4 stand 411

GULFOOD - Dubai 17/21 febbraio 2025 hall 4 stand Z4-G29

EXPOCOOK - Roma 23/26 marzo 2025 hall 6 stand 52-57

Ancora, ti farei assaggiare “La nostra scarola” con una scarola riccia coltivata da noi, baccalà cotto a bassa temperatura e una crema di mandarino fermentato, sempre coltivato da noi.

O anche quella con la bietola multicolore, sempre di nostra produzione, con un carpaccio di chianina marinato all’orientale, con soia, miele, pepe in grani e zenzero, con una polvere di capperi e olive nere disidratata e una maionese alle mandorle. E, ancora, di sicuro una “Manzo e friarielli” con i nostri friarielli, salsiccia di manzo fatta da noi, tagliata e messa sottovuoto, in uscita maionese piccante e una salsa ponzu.

Innovazione e tradizione: dove inizia una e finisce l’altra?

La mia filosofia sull’innovazione è strettamente legata alla tradizione. Per poter guardare al futuro, bisogna necessariamente osservare il passato e cercare di migliorarlo con le nuove tecnologie.

Cosa pensi del fatto che l’innovazione tecnologica sta entrando sempre più anche nel mondo della pizzeria?

La tecnologia nel “mondo pizzeria” è un mezzo utile a trasformare sempre più le attività in processi sostenibili. Se la nostra mentalità cambierà, facendo comprendere ai giovani che questo non è un lavoro “sacrificato” ma un lavoro come tutti gli altri, nel quale bisogna essere appassionati, allora l’artigianalità resisterà.

Se ne avessi la possibilità in futuro, sostituiresti mai il tuo lavoro manuale con uno artificiale?

Ci si potrebbe pensare ma in realtà bisognerebbe trovare un mezzo o un metodo per migliorare il lavoro umano e non per sostituirlo.

storie di pizza

PIZZA PAZZA

GIULIO CIOFFI, UN NAPOLETANO A BUDAPEST

di Giusy Ferraina

Giulio Cioffi da Napoli arriva casualmente a Budapest e qui decide di rimanere con una chiara missione: far conoscere la pizza napoletana e il buon cibo italiano, quello vero, come lui stesso ci tiene a sottolineare.

Nasce così 8 anni fa “Pizza Pazza”, un luogo dove la tradizione della pizza diventa intoccabile: nessun adattamento locale, nessuna facilitazione sul mercato. La filosofia di Cioffi è chiara: da Pizza Pazza si mangia italiano e ogni ingrediente utilizzato è del sud. In questi anni il percorso non è sempre stato in discesa; di richieste strane ne ha sentite tante, come per esempio la pizza con l’ananas o con il pollo a cui gli Ungheresi sono affezionati; poi, complice anche il boom della pizza napoletana e contemporanea all’estero e il gran parlare che se ne fa, anche gli abitanti di Budapest sono stati conquistati. E i numeri parlano chiaro: oggi le sedi di “Pizza Pazza” sono 4, quasi tutte in centro città e, nell’arco di questo 2025, se ne aggiungeranno altre due per poi puntare a 10 punti vendita entro il 2026. L’entusiasmo e la soddisfazione trapelano dalla voce di Giulio Cioffi, che al telefono ci ha raccontato gli inizi e i suoi progetti.

Come nasce l’idea di “Pizza Pazza”?

Sono arrivato a Budapest come distributore alimentare, mi sono sempre occupato di questo nella vita e, nei miei viaggi all’estero, mi sono reso conto di quanto le per-

Come viene percepita la pizza italiana?

sone siano affascinate dall’Italia e dal cibo italiano ma senza avere de riferimenti giusti, considerando i fake che si trovano in giro. Ecco perché ho voluto portare la pizza e una parte delle bontà d’Italia qui in Ungheria. Quello che ho sempre voluto proporre è la tradizione, attraverso un format ben preciso che mette insieme prodotto, qualità degli ingredienti originali e garantiti e la formazione del personale.

Negli ultimi 5 anni abbiamo assistito a un vero e proprio boom della pizza italiana qui a Budapest, c’è voglia di scoprirla e, una volta assaggiata, è facile anche innamorarsene. Sono orgoglioso di ciò. In un certo senso, mi sento pioniere in questa città dove ho portato la pizza napoletana per la prima volta. E, da allora, abbiamo vissuto un crescendo tra pizza gourmet e contemporanea.

Toglimi una curiosità: ma com’è la pizza che fanno “dalle tue parti”?

La pizza a cui sono abituati generalmente gli Ungheresi è una pizza sottile che utilizza molto formaggio, completamente differente rispetto alla nostra. La difficoltà, infatti, che abbiamo avuto all’inizio è stata proprio nel far capire che la vera pizza, al di là della tipologia di impasto, era quella che usava la mozzarella e non il formaggio sciolto; far comprendere anche un utilizzo di ingredienti diversi e nuovi, soprattutto nei sapori, rispetto a quelli a cui erano abituati. Insomma, abbiamo lavorato molto sulla formazione e l’educazione del cliente verso il nostro prodotto e oggi chi viene da noi è perché vuole quel tipo di pizza e quel sapore.

A questo punto siamo curiosi di conoscere la tua pizza…

In tutti i nostri punti di “Pizza Pazza” serviamo pizza alla pala con impasto ad alta idratazione, lavorata con un prefermento, 72 ore di lievitazione e 48 ore di maturazione per garantire leggerezza e digeribilità e conferire al trancio una bella consistenza esterna e la classica scioglievolezza interna. Usiamo mix di farine tra tipo doppio zero, zero e integrale e, per quanto riguarda i condimenti, tutti i prodotti utilizzati arrivano dal sud Italia e sono tutti prodotti di tradizione, come il pomodoro pelato San Marzano, i tradizio-

nali campani dell’agro nocerino sarnese o ancora il Piennolo del Vesuvio; stessa cosa per il fiordilatte e la Mozzarella di bufala Dop o la stracciatella e ancora per i salumi. Tra l’altro, tutti gli ingredienti sono freschi e sono lavorati direttamente da noi. In menù da noi, si trovano la pizza napoletana classica, 9 topping tradizionali per la pala fatti con prodotti campani e come da tradizione italiana.

storie di pizza

E qual è la pizza che maggiormente identifica “Pizza Pazza” e quella più richiesta?

Sicuramente la nostra focaccia, che proponiamo come alternativa alla pizza. Si tratta dello stesso impasto, soffice e fragrante, cotto sia al forno che fritto e poi farcito con una varietà di ingredienti che il cliente può combinare e comporre anche a suo piacimento. Gli Ungheresi

sono amanti in particolare dei sapori piccanti e dei salumi; quindi, al primo posto c’è la Diavola, poi la pizza con la ‘nduja, la prosciutto e funghi e quelle con i salumi in generale. Tra il pubblico femminile, le pizza più gettonate sono quelle con stracciatella, crema di basilico, mortadella e pistacchio e la pizza al tartufo. Ovviamente, la Margherita vince su tutto.

Oltre alla pizza ho visto anche qualche piatto tradizionale: fate anche cucina italiana?

Non siamo un ristorante, mi ritengo più una sorta di street food, per un consumo veloce o un take away. Qualche piatto italiano lo abbiamo inserito, sempre nella filosofia del servizio e del marchio: solo piatti di tradizione, dunque, come la lasagna, la carbonara o la cacio e pepe, che cambiano in base alla stagione e alla disponibilità dei prodotti. Presenti in carta anche i dolci come quelli della tradizione napoletana; qui impazziscono per le sfogliatelle (ci riforniamo dalla Pasticceria Bellavia), ci sono il cannolo siciliano, il tiramisù e il gelato artigianale ma questo solo nel punto vendita con servizio dedicato.

Cosa piace secondo te ai vostri clienti dell’Italia e del cibo italiano?

Ci riconoscono la qualità, il gusto e genuinità dei prodotti che utilizziamo e che promuoviamo da sempre. Da noi c’è solo il vero “Made in Italy” o, meglio, il “made in sud” e il sapore è vero. E sono sicuro poi

che con il nostro lavoro abbiamo portato l’estro, le tradizioni e la solarità del meridione che da noi è protagonista.

Qualcuno in una recensione ha scritto: “la pizza è più buona qui che in molte pizzeria di Napoli”; quindi, se vi trovate a Budapest, ora sapete dove andare a mangiare un buon pezzo di pizza.

storie di pasta

ETHOS,

IL RISTORANTE CHE NON ESISTE

“Hai

mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero?

E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?”

Il 31 marzo 1999 Keanu Reeves, già affermatissimo interprete della cinematografia americana, sarebbe diventato per tutti Neo. “Matrix” di Lana e Lilly Wachowski è stato, un quarto di secolo fa, il primo film ad affrontare sul crepuscolo del XX secolo il tema dell’intelligenza artificiale. La domanda che Morpheus (Laurence Fishburn) pone a Neo è decisamente emblematica: “Che vuol dire reale? Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che tu conosci. Il mondo com'era alla fine del Ventesimo secolo”.

E com’è il mondo di oggi? Basta fare un giro sui social network per rendercene conto: abbiamo affidato la nostra realtà a “ciò che vediamo”, assumendo su di noi lo spirito dell’incredulo evangelico per eccellenza, San Tommaso. La differenza tra noi e lui sta però, nel fatto che – ai suoi tempi – per alterare la percezione del reale l’unico modo possibile era quello di affidarsi alle sostanze psicotrope e stupefacenti. Ai nostri tempi, invece, la difficoltà principale sta nel distinguere le immagini prese “dal vivo” da quelle generate dall’intelligenza artificiale.

A volte, infatti, esse sono così costruite con una tale attenzione ai dettagli da ingannare anche gli occhi più attenti. Ed è quello che è accaduto ad Austin, in Texas e che ha fatto velocemente il giro del mondo. È il caso di “Ethos”. Visitando il sito ethosatx.net, potrete rendervi presto conto di quanto vi scrivo. Il General Manager Giuseppe Fusilli è pronto a rispondere alle domande degli utenti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 e lo fa in maniera decisamente poco accogliente. Prenotare un tavolo non è impresa da poco: lo si può fare solo il primo lunedì del mese alle 4 del mattino. Eppure, secondo i maggiori media, “Ethos “è “sold out”… e vorrei ben vedere, visto che non ha neppure un posto a sedere. E neppure una sede! “Ethos”, semplicemente non esiste. O, almeno, non esiste per come immaginiamo noi, ormai gastronomi attempati, la ristorazione. “Ethos” è un insieme di immagini belle, nitide, che spaziano dal croissant ai panini, alla pizza, ai cocktail, al prosciutto in crosta, al salmone. Niente di questo è mai, però, stato cucinato.

Vi invito, però, a fare molta attenzione a questo: ho volutamente scritto “cucinato” e non “mangiato”, perché in realtà di ristoranti e pizzerie delle quali ciò che si vede in foto nulla è stato mangiato ne esistono, eccome. La stragrande maggioranza delle foto e dei reel di Instagram sono ritoccati, aggiustati, editati. E quel cibo che vediamo in foto, di fatto, non è reale.

Cos’è allora “Ethos”? Una sfida, una provocazione? O solo una presa in giro? Fatevi voi stessi un’idea. Prendo, ad esempio, la descrizione del Pepperoni Pizza Donut che ha letteralmente spopolato: “Perché accontentarsi di comuni donuts quando potete avere un donut unico? Il Pepperoni Pizza Donut reca un classico salame “pepperoni” sul top con formaggio e sugo di pizza. Esso rivoluzionerà la tua voglia di pizza!”

storie di pasta

“Ethos”, indipendentemente dal suo obiettivo (un discutibile merchandise di maglie, tele e oggetti vari), ci sta insegnando molto di più di quanto immaginiamo. Si legge, infatti, nella home del sito: “Ethos si ispira ai valori e alle convinzioni fondamentali che guidano un individuo, un gruppo o un'organizzazione, plasmandone le azioni e stabilendone la credibilità. Comprende integrità, etica e reputazione, svolgendo un ruolo cruciale nell'influenzare la percezione e nel promuovere la fiducia”.

E, ancora, facendo leva sull’immaginario cultural-gastronomico più diffuso: “I nostri menu attentamente curati sono una testimonianza del nostro impegno per la sostenibilità, che mette in mostra i sapori vivaci degli ingredienti di provenienza locale provenienti da aziende e produttori locali.

Dalle nostre insalate fresche, ricche di verdure di stagione alle nostre succulente carni allevate al pascolo abbinate a verdure tradizionali, ogni piatto racconta una storia di approvvigionamento etico e di ristorazione consapevole. Siamo orgogliosi di supportare le comunità locali e celebrare l'abbondanza della generosità della natura, creando un'esperienza culinaria che armonizza gusto, coscienza e la vera essenza della cucina dalla terra alla tavola”.

Parole come “sostenibilità”, “comunità locali”, “dalla terra alla tavola” - che ritroviamo identiche a ogni angolo del mondo – ci fanno capire quanta l’unicità e l’identità che spesso professiamo siano oggi a rischio.

Io una soluzione non ce l’ho ma intanto dal 14 gennaio Instagram ha deciso di abolire dalla sua offerta i cosiddetti “filtri bellezza”, forse per non lasciare a Morpheus le ultime parole di questa storia:

“Sei vissuto in un mondo fittizio, Neo. Questo è il mondo che esiste oggi. Benvenuto nella tua desertica nuova realtà”.

Le immagini del presente articolo dalla pagina Instagram di Ethos.

WHISKEY O WHISKY? O MEGLIO UN GIN?

abbinamenti felicemente insoliti

Grano, mais, orzo, malto d’orzo e segale: gli ingredienti alla base della maggior parte delle ricette nazionali ed internazionali di panificazione e pizzeria ci sono tutti, i processi di fermentazione anche, ma in questo articolo vi chiederò di spostarvi dal banco della pizzeria al bancone del bar.

Tutti questi cereali (ed il malto d’orzo come derivato) li considereremo come base per la produzione di due capisaldi che non possono mancare in pizzeria: Gin e Whisky o Whiskey.

Nel caso del Whisky e del Whiskey non parliamo soltanto di ortografia ma di una diatriba tra Scozia (Whisky) ed Irlanda (Whiskey) che ne rivendicano entrambi la paternità: gli irlandesi mettono in campo il mito legato a San Patrizio (che avrebbe introdotto in Irlanda l’alambicco) e gli scozzesi rivendicano di essere in possesso del primo documento scritto (nel XV secolo) in cui un

frate scozzese descrive il procedimento e le caratteristiche del Whisky. Ovviamente, le esportazioni hanno creato correnti produttive che seguono l’uno piuttosto che l’altro stile ed infatti troviamo una grande produzione di Whiskey o Bourbon (disciplinare esclusivo degli USA in cui almeno il 51% dei cereali utilizzati deve essere mais, come previsto dall’American Bourbon Association) ed una limitata (per quanto interessante) produzione di Whisky giapponesi che proprio a novembre 2024 festeggeranno il centenario dalla produzione della prima bottiglia.

Passando alle caratteristiche tecniche, la prima differenza sta proprio nel modo in cui il pregiato distillato viene lavorato: l’irlandese passa per ben tre distillazioni e usa sia malto che orzo non maltato, dando un gusto più dolce e delicato. Lo scozzese, invece, fa solo due passaggi e usa solo malto d’orzo ma la caratteristica distintiva dello scozzese è l’inconfondibile sentore di affumicato dovuto alla lavorazione del malto che viene essiccato in forni a torba e quindi assorbe l’aroma del fumo. L’irlandese, invece, viene essiccato in forni chiusi, senza fumo e quindi ha un gusto più morbido.

SKEY

A livello “disciplinare”, l’età minima di maturazione è di almeno tre anni in botti di legno per entrambi ma il pregio di un distillato di questa tipologia è proprio nel tempo di affinamento ed invecchiamento che ne ammorbidisce le caratteristiche ed esalta le note aromatiche rendendo più pregiato il distillato man mano che si traguardano i 5, 10, 15, 20 o più anni, con un riflesso solitamente esponenziale anche sul costo delle bottiglie.

Infine, anche il tipo di botte utilizzato per l’invecchiamento influisce notevolmente sul sapore finale: le botti ex-bourbon sono le più comuni; conferiscono note di vaniglia, caramello, cocco e spezie dolci. Le botti ex-sherry donano sentori di frutta secca, uvetta, spezie e talvolta note di cioccolato. Le botti nuove di rovere contribuiscono a rendere il whisky più tannico e legnoso, con note di spezie e vaniglia.

Gli irlandesi vengono spesso invecchiati in botti di bourbon, che ne esaltano la dolcezza e la morbidezza. Gli scozzesi, invece, offrono una maggiore varietà di profili aromatici grazie all’utilizzo di diverse tipologie di botte. Possiamo convenire, dunque, che il Whiskey irlandese si presenta come un distillato più morbido, dolce e fruttato, mentre il Whisky scozzese è caratterizzato da note affumicate, speziate e talvolta più robuste. La scelta tra i due dipende dai gusti personali ma consiglio di provare entrambe le tipologie perché offrono un’esperienza di degustazione unica e affascinante. Per quanto concerne gli abbinamenti, in Italia, con un pubblico non sempre abituato ai distillati esteri, consiglierei di iniziare un percorso con degli assaggi mirati ad abituare il palato al connubio pizza e whisky / whiskey, come ad esempio un assaggio di pizza con salsiccia e cipolle caramella-

SKY

te, abbinata alle note affumicate e torbate del Whisky Talisker 10 che si adattano alla dolcezza della cipolla caramellata e alla sapidità della salsiccia. Altra soluzione potrebbe essere quella di studiare una serie di cocktail per sfruttare al meglio il connubio con la pizza come, ad esempio, una pizza fritta con salumi, abbinata ad un “Sicilian Sour”, una ricetta del barman Daniel Burns, sviluppata per il Pizza Party featuring 4 Sonoma Distilling whiskey cocktails, per il Bar “Nonnina” di St. Francisco (USA): bourbon giovane, limone fresco, sciroppo di zucchero e lambrusco. Altro consiglio: provare un abbinamento tra Whiskey morbidi e vanigliati con pizze a base di formaggi intensi, come potrebbe essere una classica gorgonzola e pere. Ho personalmente sperimentato con successo un abbinamento tra Whisky con un sentore torbato particolarmente intenso con una pizza dai sentori affumicati che richiama la terra come speck, provola affumicata e funghi. Con la stessa pizza, è possibile procedere anche con un abbinamento meno strong: il classico “whisky&soda”.

Infine, vi consiglio di seguire

#pizzaandwhisky sui social per fare un giro del mondo di questo abbinamento non convenzionale.

Passando ad abbinamenti decisamente più semplici e conosciuti, negli ultimi anni ristoranti e pizzerie di tutto il mondo hanno cominciato a proporre accostamenti creativi tra gin e pizza grazie alla possibilità di accompagnare il sapore degli ingredienti con una vasta versatilità aromatica. La storia del Gin ha radici nel Medioevo, quando i monaci europei iniziarono a distillare alcolici a scopo medicinale, utilizzando erbe e spezie per trattare varie malattie. Il ginepro, con le sue proprietà antisettiche, era uno degli ingredienti chiave e potremmo riconoscere in questo senso anche una radice del distillato di ginepro in Italia grazie agli infusi preparati dai monaci della Scuola Medica Salernitana di cui ci sono testimonianze scritte. In qualità di distillato inteso come bevanda, sicuramente la paternità è riconosciuta all’Olanda con l’invenzione del jenever nel XVII secolo, un liquore a base di ginepro e altre erbe, usato inizialmente come rimedio per la salute. Dall’Olanda all’Inghilterra il Gin arrivò grazie al passaparola dei soldati che lo riportarono in patria, dove divenne subito popolare con il nome di gin. All’inizio era prodotto in grandi quantità e di scarsa qualità, tanto da causare problemi sociali durante il periodo del “Gin Craze”

nel XVIII secolo. Con il tempo, la distillazione migliorò e nacque il London Dry Gin (che è uno stile, infatti si può produrre in tutto il mondo), un tipo di gin più raffinato e pulito, perfetto per i cocktail. Il gin tonic è diventato molto popolare tra i soldati britannici in India perché grazie al Gin mescolato con la tonica, si ammorbidiva il gusto amaro del chinino che serviva a combattere la malaria. Da qualche anno, il gin è tornato sulla cresta dell’onda, arricchito da tante varietà di botaniche, come limone, rosmarino o pepe, che lo rendono molto interessante per abbinamenti con la pizza.

Sperimentare con il gin, scegliendo sapori che si bilanciano con gli ingredienti della pizza, può creare combinazioni sorprendenti e gustose. Gin e pizza hanno una storia consolidata da locali ed eventi che ci permettono di gustare con continuità questo piacevole abbinamento in Italia (abbiamo scritto molte pagine di questa rivista a tal proposito) ed in tutto il mondo che abbracceremo facendo un giro dal “Jim&Tonic @ The Print House” di Londra al “Carbone” a New York. La bellezza di questo abbinamento è che si possono gustare le proprie pizze preferite, abbinandole con stili e prodotti differenti

per trovare la ricetta perfetta per il nostro gusto. Parlando di abbinamenti, il Gin può essere un accompagnamento fresco e aromatico che si abbina bene a diverse pizze, perché ha una vasta gamma di profili aromatici grazie alle botaniche utilizzate, come ginepro, agrumi, spezie e fiori. Questa complessità lo rende interessante per abbinamenti con pizze che hanno ingredienti specifici, come pizze con formaggi forti o erbe aromatiche. Non da meno sono i cocktail a base di gin, come Gin Tonic, Negroni o Martini, che possono offrire abbinamenti più strutturati e complessi con pizze dai sapori più intensi, come quelle con carne affumicata o salsiccia. Alcune idee per gli abbinamenti possono essere: Pizza Mar-

PIZZA

gherita & Gin Tonic, dove la freschezza del gin tonic con il suo sapore agrumato si abbina bene con la semplicità della Margherita; Pizza Bufala e Prosciutto Crudo & Negroni: in questo caso l’amaro del Negroni bilancia il gusto del prosciutto e della mozzarella; Pizza ai Frutti di Mare & Gin con cetriolo e basilico: in questo caso il gin aromatizzato con cetriolo o basilico si abbina bene con pizze a base di pesce o frutti di mare, offrendo freschezza e leggerezza; Pizza alla Diavola & Gin speziato: un gin con note di spezie, magari esaltato da una tonica allo zenzero, può stemperare il piccante del salame e del peperoncino.

Concluderei questo excursus alcolico, suggerendo di studiare gli abbinamenti per concordanza e non per contrasto e basarsi sulla tecnica come base per creare il giusto mix di sapori e consistenze. Si potrebbe

pensare di introdurre in pianta stabile il servizio cocktail in pizzeria, con la presenza di un “carrello bar” con un barman professionista che sia in grado di interpretare le richieste della clientela. Solo mixando la conoscenza degli ingredienti e delle pizze, si potrà suggerire un cocktail che si adatti al palato ed alle richieste della clientela ma che non vada in contrasto con la pizza ordinata (cosa che potrebbe avere effetti catastrofici sul gusto).

Alla ricerca di “ispirazione”, mi sono imbattuto nella carta cocktail del “Double Chicken Please” di New York, un bar che da anni è nella top 3 dei bar newyorkesi. Vi invito a dare una lettura alla carta, perché nel tempo il barman ha sviluppato l’unicità della sua proposta realizzando una serie di proposte “liquide, ma non troppo” con dei cocktail che richiamano i piatti maggiormente amati della Grande Mela tra cui il famoso Cold Pizza (richiama la pizza e si ispira al celebre Margarida), Grey Goose French Toast, “NY Beet Salad” e molti altri:

→ doublechickenplease.com/pages/the-coop

UNA POSTILLA

Il primo forno elettrico a platea rotante.

The first electric oven with rotating cooking plate. Der erste Elektro-Ofen mit rotierender Platte.

Alpha Alpha

IL PIZZAIOLO, L’ARTIGIANO A CAVALLO TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE

Il mondo della ristorazione esige professionisti che realizzino ogni portata partendo da zero: vale per il ristorante, ma vale anche per la pizzeria. Si tratta di professionisti e “artigiani”, perché eseguono personalmente ogni passaggio dalla materia prima al piatto ed alla pizza pronti per la tavola. In questo lavoro artigianale vi sono delle importanti differenze. Nella maggioranza delle trattorie e degli alberghi turistici, specie dove si lavora con menù fissi, l’attività è spesso caratterizzata da ripetizione. Portate cioè realizzate

con gli stessi ingredienti e completate quasi in modo automatico. Si tratta anche qui di artigianato: in questo caso qui non serve creatività ma capacità realizzativa in tempi brevi. Lo stesso può dirsi delle pizze standard come Margherita, Quattro Stagioni, Marinara.... Quanto precede caratterizza la maggioranza di trattorie, ristoranti e pizzerie in Italia e all’ estero.

La situazione

In Italia, grazie a prodotti di alta qualità, anche la ristorazione popolare è di buona qualità. Pensiamo alle osterie con cucina, alle trattorie di paese, a quelle specializzate per i lavoratori del trasporto, ai ristoranti degli alberghi turistici per comitive e simili. Pensiamo alle tante pizzerie tradizionali sparse nelle Penisola. Qui lavorano cuochi e pizzaioli generalmente in possesso di una sufficiente cultura professionale: perché l’hanno appresa lavorando a fianco di cuochi e bravi pizzaioli. O perché si è cominciati in maniera autonoma. Questo personale conosce la materia prima e le tecniche di lavorazione e si caratterizza per la ripetitività, come impone il mercato.

Le eccellenze

Le guide gastronomiche e la stampa specializzata hanno fatto conoscere i ristoranti più importanti e qualificati attivi in tutta la Penisola, così come da qualche tempo anche le pizzerie innovative. Non serve qui citare i ristoranti stellati, in particolare le “tre stelle” indicate dalla guida Michelin. Ma è proprio a questi ristoranti e ad altri di pari valore che ci riferiamo quando si parla di eccellenze ristorative. I cuochi stellati appaiono spesso (ma non tutti) in trasmissioni televisive; sono giudici di concorsi più o meno seri, comunque in grado di garantire grande notorietà. I cuochi possono diventare vere e proprie star. Al di là delle critiche spesso mosse dagli esperti, resta vero che essi si distinguono dalla media per un’affascinante capacità creativa: le loro idee riescono a suscitare emozioni. Non sono cuochi ripetitivi, ma in evoluzione, in ricerca. Riflettono, creano di continuo nuove soluzioni, regalando nuovi gusti e

nuovi sapori ai loro commensali. Una dimensione mai statica: il dinamismo è cioè ciò che li contraddistingue. Questi cuochi e i loro ristoranti sono famosi nel mondo e attirano in Italia buongustai da ogni dove. Possono essere definiti artigiani creativi e, all’ interno della buona cucina italiana, rappresentano le punte di diamante cui guardano anche tanti giovani cuochi, magari gli chef stellati di domani.

L’avanguardia

Le definisco così, d’avanguardia, quelle pizzerie che non si limitano a servire le pur eccellenti pizze tradizionali. Ma sono gli innovatori. Quelli che emozionano i clienti con nuovi gusti e nuovi sapori. Senza tuttavia allontanarsi dalla tradizione codificata a Napoli e in Campania già nell’Ottocento.

In Italia ci sono dei veri e propri speri-

mentatori in questo campo, questa rivista li racconta da sempre. Sperimentatori che provano diverse farine o anche le miscelano, studiano nuovi impasti, realizzano lievitazioni adatte alle farine. Magari curano con particolare attenzione le farciture, attingendo il più possibile ai prodotti del territorio, rendendo particolari le loro pizze che diventano così “pizze d’ autore”. Oserei dire quasi “firmate”. Di tali figure professionali, questa rivista continua a raccontarne, da sempre. In Italia di pizzaioli creativi e innovativi ce ne sono molti, basta dar loro l’attenzione necessaria. Sono artigiani di gran classe. Artigiani perché partono da zero per realizzare le loro pizze; sono creativi perché non imitano, mai. Ma studiano e quindi progettano le loro proposte, obbligatoriamente originali. Spesso sono di assoluta eccellenza, meritano il titolo di “Maestri artigiani della pizza”.

E che la pizza sia diventata un alimento primario e molto popolare, gradito a tutte le categorie, sembra palese. Un numero crescente di scuole alberghiere, per dire, sempre più spesso chiede la collaborazione di maestri pizzaioli nell’insegnamento.

Il futuro

Questa rivista segue da oltre tre decenni questo mondo, caratterizzato sia da tradizione che da innovazione. Collega pizzaioli in Italia e nel mondo e collabora a importanti occasioni di incontro e confronto, come il Campionato Mondiale Della Pizza.

E dopo trent’anni, quale sarà il futuro di questi artigiani? Il pizzaiolo di domani dovrà essere ricco di cultura non solo professionale, attento conoscitore delle materie prime impiegate in pizzeria.

E capace di crescere, sempre, evolvendo la sua arte. Non è facile, sia chiaro. Ma questa è la strada.

PLATEA ROTANTE ORAANCHECON

FATTO IN ITALIA, AMATO NEL MONDO.

LA BIRRA

della

Illustrazioni di Giulia Serafin

Le birre

senza glutine:

qualità e diversità per tutti

Negli ultimi anni, le birre senza glutine hanno subito un radicale cambiamento. Se in passato erano considerate prodotti di nicchia destinati esclusivamente ai celiaci, oggi rappresentano una scelta consapevole anche per chi desidera adot tare uno stile di vita più salutare. In Italia, il numero di persone che segue una dieta senza glutine, sia per motivi medici che per preferenze personali, ha raggiunto circa il 21% della popolazione (Rapporto Italia Eurispes). Questa crescente doman da ha spinto numerosi birrifici artigianali a sviluppare birre senza glutine di alta qualità, capaci di soddisfare i palati più esigenti. Le innovazioni tecnologiche hanno permesso di ampliare l’offerta di stili birrai, passando dalle classiche Helles alle Imperial Stout complesse e aromatiche. I produttori impiegano tecniche di produzione che permettono di utilizzare malto d’orzo come materia prima principale, pur garantendo livelli di glutine inferiori a 20 ppm, conformemente al Regolamento (CE) 828/2014. Questo ap-

il gusto senza compromessi

Il segmento delle birre analcoliche ha registrato una crescita esponenziale, rispondendo alla domanda di prodotti salutari e responsabili. Le previsioni indi cano un tasso di crescita annuo composto (CAGR) superiore al 5,5% nel periodo 20232032. Questa espansione è trainata da una maggiore consapevolezza dei rischi legati al consumo di alcol, da stili di vita più sani e da normative sempre più stringenti sul consumo di bevande alcoliche. Le in novazioni tecnologiche nella produzione hanno permesso di ottenere birre anal coliche con profili sensoriali sempre più complessi e simili alle birre tradizionali. Tecniche avanzate come la fermentazione controllata e la distillazione a bassa tem peratura garantiscono prodotti di qualità, capaci di soddisfare il gusto senza com promessi. Questo settore si rivolge non solo a chi desidera ridurre o eliminare il consumo di alcol, ma anche a coloro che, per motivi religiosi, culturali o di salute, scelgono alternative analcoliche.

Le birre biologiche: sostenibilità e gusto autentico

Le birre biologiche rappresentano una delle tendenze più forti nel panorama brassicolo, grazie all’attenzione crescente verso la sostenibilità ambientale e la qua lità delle materie prime. La produzione biologica richiede l’uso esclusivo di in gredienti certificati e processi produttivi privi di contaminazioni con prodotti non biologici. Questo implica un maggiore impegno nella gestione della filiera, ma garantisce un prodotto autentico e rispet toso dell’ambiente.

I birrifici agricoli sono protagonisti di questa evoluzione, controllando diretta mente la coltivazione di orzo, luppolo e altri ingredienti. Questa gestione integra ta permette di valorizzare il territorio e di offrire birre che esprimono al meglio le peculiarità locali. Nonostante i costi di produzione più elevati, i consumatori riconoscono e apprezzano il valore aggiunto delle birre biologiche, sostenendo così

Un’altra tendenza emergente riguarda le birre realizzate da birrifici agricoli che utilizzano cereali autoctoni. Questa scelta produttiva non solo valorizza le risorse locali, ma contribuisce anche alla diffusione del concetto di birra territoriale, sempre più ricercato dal mercato. L'uso di ingredienti autoctoni permette di creare birre uniche, capaci di raccontare la storia e la cultura di un territorio attraverso il gusto.

Questa attenzione alla filiera corta e alla biodiversità cerealicola risponde al desiderio dei consumatori di scoprire prodotti autentici e sostenibili. I birrifici agricoli si distinguono per la capacità di innovare restando fedeli alle tradizioni, offrendo così esperienze di degustazione sempre più coinvolgenti.

Il futuro delle birre innovative

Guardando al futuro, è evidente che la direzione intrapresa dal mercato brassicolo punta verso la diversificazione e l’innovazione. I consumatori sono sempre più attenti alla qualità, alla salute e alla sostenibilità, e le birre del 2025 riflettono questa evoluzione. L'integrazione di tecnologie avanzate nella produzione, la ricerca di materie prime alternative e l'attenzione al benessere del consumatore stanno plasmando un panorama brassicolo più inclusivo, responsabile e ricco di sapori.

Le birre senza glutine, analcoliche, biologiche e agricole non sono più solo alternative, ma protagoniste di un cambiamento culturale e di mercato. Questa tendenza rappresenta un'opportunità per i birrifici di innovare e distinguersi, offrendo prodotti che non solo soddisfano il gusto, ma rispecchiano anche i valori e le esigenze dei consumatori moderni. In questo scenario, la birra non è più solo una bevanda, ma un simbolo di evoluzione, inclusività e consapevolezza.

Le nuove frontiere di un classico: la quattro formaggi

Se esempi illustri di riletture riguardano più frequentemente primi piatti o dessert, anche in pizzeria le possibilità di confronto sono ampie. Una delle pizze che meglio di altre riesce a raccontare il passaggio dal passato alla nuova frontiera è anche una delle più insidiose, proprio perché considerata semplice e mera somma di ingredienti. Stiamo parlando della pizza ai quattro formaggi, sia nella versione bianca (senza pomodoro) che rossa (con pomodoro).

Se le ipotesi sulle sue origini possono essere spiegate con la necessità di recuperare pezzi di formaggio avanzato, questo in realtà ci porta poco lontano. Più interessante – tanto più che oggi abbiamo fatto propri i concetti di bilanciamento dei sapori, masticabilità e consistenze - è guardare alla scelta dei formaggi, vero punto di partenza della nostra riflessione e base per la rilettura della pizza.

Sarebbe infatti sbagliato ritenere casuale la scelta delle diverse tipologie: ci sono fondati motivi di carattere gustativo ma prima ancora “strutturali”, per così dire, che rappresentano i criteri guida. Nella pizza ai quattro formaggi, infatti, la caratteristica principale che risalta al palato è la capacità di fusione dei formaggi: ecco, allora, che non solo le tipologie dei singoli protagonisti caseari ma anche le loro qualità possono cambiare drasticamente il risultato finale, così come l’attenzione nel gestire i differenti tipi di formaggio in rapporto al calore della cottura. Distribuendo sull’impasto tutti i formaggi alla rinfusa e passando la pizza in forno, la probabilità di ottenere un unico ammasso di formaggio filante, con un effetto poco piacevole, è altissima.

Così come quella di non riuscire a individuare il bilanciamento perfetto, dando vita a una specie di fonduta appiattita e senza personalità.

Scegliere, dosare e distribuire sono quindi le parole chiave. Il primo formaggio a cui si pensa – e il primo ad essere utilizzato – è la mozzarella, cui è affidato un ruolo fondamentale: una pasta filata consente infatti, con una significativa funzione protettiva, di mantenere la giusta umidità per difendere gli altri formaggi dalle alte temperature dei forni. In seconda battuta, la scelta su cui si punta spesso riguarda un erborinato: e quale se non il Gorgonzola? Capace di apportare un guizzo di sapore, si fa sentire non solo al palato ma anche al naso, tanto che non è gradito da tutti. È il turno poi di un formaggio a pasta molle, in genere (Fontina, Emmental o Groviera) e di uno a pasta dura (Parmigiano o Pecorino a pasta dura), che conferiscono rispettivamente note cremose e sapide.

Se questa è la tradizione, ampi sono i margini di miglioramento, soprattutto vista la ricchezza del patrimonio caseario italiano. Ecco allora che, rispettando i principi di bilanciamento dei sapori, consistenze e resa in cottura, si può scegliere di variare, utilizzando altri formaggi appartenenti alle “classi” di riferimento ricordate sopra, o si può giocare con varianti regionali e locali, o dare spazio a eccellenze straniere o ancora giocare con i livelli di cottura, magari aggiungendo un formaggio in uscita dal forno che possa donare freschezza ed eventuale acidità al gusto della pizza.

Tra i formaggi a pasta filata, l’universo oltre la mozzarella (e il fiordilatte, ovviamente) è ampio e permette di spaziare, giocando anche con livelli di sapidità e perfino affumicature. Via libera allora a scamorza, caciocavallo e provola. Da non escludere anche l’uso, in alternativa, di formaggi a pasta molle: stracchino, crescenza e squacquerone, tutti formaggi freschi a pasta cremosa ed omogenea, dal sapore leggermente acidulo ma delicato, che possono rivelare sorprese inattese al palato. Sostituire il Gorgonzola, dalla presenza “ingombrante”, non è semplice. Esplorare il mondo degli erborinati può regalare però emozioni in grado di tener testa al più illustre formaggio della famiglia: i blu di bufala, di pecora, di capra, ma anche lo Strachítunt sono degli autentici fuoriclasse e di grande raffinatezza. Usarli significa apporre una “firma” al proprio lavoro, dichiarando competenza e cultura.

Tra le paste molli, le regioni d’Italia consentono di spaziare molto. Taleggio, toma paglierina, Puzzone di Moena, schiena d’asino, per esempio: la bellezza sta nelle caratteristiche aromatiche, che consentono di conferire al risultato finale una marcia in più.

La categoria delle paste dure è ancora più ampia: qui i diversi gradi di stagionatura fanno salire vertiginosamente il livello di sapidità. Largo, allora, al Pecorino di Pienza semistagionato, alla Vastedda della Valle del Belìce, al Piacentinu Ennese, al Canestrato Pugliese, al Vezzena, all’Asiago stravecchio, al Ragusano, al Castelmagno. La ricotta merita un capitolo a parte, così come i formaggi aromatizzati. Per quanto riguarda la prima, l’accortezza è quella di sfruttarne bene le potenzialità: delicatissima in spuma, a freddo o in cottura, inserita nel cornicione, grattugiata sopra – nel caso di stagionature importanti – fuori dal forno, la ricotta è solo apparentemente un formaggio semplice.

Mano leggera, infine, sugli aromatizzati: pepe, peperoncino, vinacce e fieno sono affinamenti che richiedono grande abilità; il rischio è quello di sbilanciare i sapori, di trasformarli con il calore e la cottura, in sintesi di vanificare il lavoro dell’affinatore. Cimentarsi con consistenze diverse, infine, paga sempre: via libera alla croccantezza delle chips di Parmigiano, alle scaglie aggiunte in uscita dal forno accostate a spume e creme montate. Magari proponendo una verticale su un solo formaggio, mostrandone quindi la versatilità.

Uno sguardo all’estero, infine, fa conoscere realtà assai interessanti che aprono ad una degustazione “di nicchia”: da provare il Brie de Meaux, il Brie de Montereau tra le croste fiorite; mentre tra le croste lavate meritano il Morbier, il Reblochon e il Munster; tra le paste cotte, il Grand Cru de le Bathie e il Comtè; tra gli erborinati, sicuramente, la Fourme d’Ambert, il Cashel Blue e l’Azul de Cueva. La pizza a quattro formaggi, insomma, si dimostra un vero banco di prova, una sorta di “carrello dei formaggi” (e chiudiamo con il consiglio che vale la pena pensare anche a qualche abbinamento goloso con mieli, composte e marmellate) che dice molto, nella scelta, della mano e dell’intelligenza di chi l’ha composto.

I dolci di Carnevale

Golosi, fritti, croccanti o soffici, ripieni, fragranti, con tanto zucchero e profumi di agrumi e liquori: i dolci di Carnevale attraversano l’Italia tra nomi e ricette che raccontano territori, regioni, città e l’innumerevole patrimonio di tradizioni gastronomiche del nostro paese. Ecco, allora, un viaggio in Italia, alla scoperta di tipicità, dialetti e curiosità.

Chiacchiere

Ma anche cenci in Toscana, sfrappole in Emilia, bugie in Liguria e in una parte del Piemonte, crostoli in Friuli, Trentino e in alcune zone del Veneto, frappe a Roma e galani a Venezia e Verona. E, ancora, nastri e bugie. Se il nome cambia, la sostanza per fortuna resta sempre la stessa per uno dei simboli del Carnevale più apprezzati e trasversali alle tradizioni regionali: si tratta di fatto di sfoglie di pasta, fritte in olio bollente e ricoperte di zucchero. L’origine è antichissima e affonda le radici all’epoca dei Romani,

Castagnole

Piccole e golosissime sfere fritte, le castagnole devono il nome al frutto del castagno. Presenti, tra gli altri, nei ricettari dei Farnese dei primi del '700 (se ne contano ben 4 ricette), le castagnole erano servite a corte e non erano solo fritte ma anche cotte al forno e consumate durante le feste natalizie fino al Mercoledì delle Ceneri. Gli ingredienti sono semplici: uova, zucchero, burro, farina, un po' di lievito. Il segreto sta però nella scorza di agrumi, nella vaniglia e nella grappa, che conferiscono un aroma ed un gusto inconfondibile.

Graffe napoletane

Rielaborazione dei krapfen austriaci, le graffe arrivano nel territorio napoletano nel periodo della dominazione austriaca, in seguito al Trattato di Utrecht, nel corso del 1700. Se la leggenda vuole che prendano il nome dalla pasticcera che li creò per sbaglio, Cacilie Krapf, è invece più realistico far risalire l’etimologia appunto alla parola krapfen, che significa uncino, legato appunto alla forma originaria che ricordava quella di un uncino. Rispetto ai krapfen, però, a Napoli la differenza sta negli ingredienti: oltre alla presenza dello strutto, poi sostituito dal burro, le graffe devono la loro morbidezza all’uso delle patate nell’impasto.

Cicerchiata

Una composizione di palline di pasta fritte e coperte di miele, disposte a corona: la cicerchiata è un dolce comune a diverse regioni del centro e sud Italia (Abruzzo, Molise, Umbria e Marche). Simboleggia la rigenerazione e la ciclicità, cioè la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera ma anche il ritorno di un nuovo ordine. Forse legato al mito di Demetra e Persefone o ad altri riti legati ai corvi, uccelli del dio Apollo, simbolo dell’ordine e del Sole, sarebbe una riproduzione della cicerchia in forma di dolce. Anche se assomiglia agli struffoli natalizi, se ne differenzia perché nella ricetta al posto dei canditi, delle codette e degli zuccherini colorati si usa la scorzetta di arancia.

Schiacciata fiorentina

Nulla a che vedere con la versione salata, questo dolce tipico è una torta soffice fatta con burro, uova, scorze d’arancia, vaniglia e cannella. Viene tradizionalmente decorata con il giglio bottonato, lo stemma della città.

Berlingozzo toscano

Rimaniamo in Toscana con il berlingozzo, un ciambellone morbido – a metà strada con un biscotto - dalle origini molto antiche. Trae il nome da berlingaccio, termine con cui nel Quattrocento ci si riferiva al Giovedì Grasso, e derivato a sua volta dal verbo berlingare, cioè gozzovigliare, divertirsi. Ha aroma di vaniglia e arancia.

Arancini

marchigiani

Da non confondere con i celebri arancini di riso siciliani, questi dolci tipici delle Marche sono fatti con pasta all’uovo e prendono il nome dal succo e dalle bucce di arancia usati per aromatizzarli. Una volta tirata, la sfoglia viene arrotolata e successivamente tagliata a fette, in modo da ottenere delle girelle, che vengono poi fritte e passate nel miele.

Cattas sarde

Sono delle frittelle di grano duro dalla tipica forma a spirale, che si preparano facendo colare l’impasto un imbuto tipico, presente solo in Sardegna. Si può usare tuttavia anche una sac à poche. La bontà è data, oltre che dalla frittura, anche dalla scorza di arancio grattugiata per aromatizzare l’impasto.

Orilletas sarde

Altro dolce tipico sardo sono le orilletas, meravigliose sfoglie di semola di grano duro intrecciate. L’impasto di farina e uova, aromatizzato all’arancia, è tagliato a listarelle e intrecciato a formare motivi floreali. Una volta fritte, vengono cosparse di miele.

Làciàditt milanesi

In Lombardia, ecco i làciàditt, deliziose frittelline di mele, il cui nome ne anticipa la bontà: in dialetto significa infatti “leccadito”. Quasi dimenticate, hanno forma tondeggiante. Per le mele, preferibile usare le renette.

Crescionda spoletina

A Spoleto si mangia la crescionda, una torta al cioccolato e amaretti dalla consistenza simile a quella di un budino. Il nome deriverebbe da “crescia unta”, la focaccia tipica regionale. Nella versione originale erano previsti anche brodo di gallina, pangrattato e pecorino. Meglio quella più moderna, al cioccolato e aromatizzata al mistrà!

Fritole veneziane

A Venezia imprescindibili sono le frittelle, o meglio le fritole: due le versioni, classiche “veneziane” con impasto spesso, lievitato, uvetta e pinoli, oppure con impasto simile ad una pasta choux, pronte ad accogliere il ripieno (crema o zabaione).

Pignolata messinese

Risale ai tempi della dominazione spagnola – quando, su commissione di famiglie nobili, si rielaborò una precedente ricetta povera sostituendo la copertura con una glassa aromatizzata al limone e al cacao - la pignolata messinese. È un dolce a base di palline di pasta fritte la cui forma ricorda quella di una pigna. La glassa è appunto bicolore, al cioccolato e limone.

Krapfen altoatesino

Anche se siamo abituati a vederli presenti durante tutto l’anno, i krapfen, anzi i Faschingskrapfen, letteralmente “krapfen del Carnevale”, direttamente dall’Alto Adige, sarebbero legati proprio al periodo carnevalesco. È un dolce che ha origini incerte: da quella ebraica a quella rumenopersiana, a quella romana.

Scorpelle molisane

PAT del Molise, sono delle piccole ciambelle di impasto lievitato, che vengono fritte e poi ricoperte di zucchero. L’impasto è a base di farina, uova, zucchero, olio (o burro), latte e lievito ma le varianti della ricetta sono tante, in base ai paesi e alle famiglie. Varia l’impasto ma anche la forma che da ciambella può diventare allungata, o una sorta di 8.

Cecamarini ciociari

Nel basso Lazio, ecco i cecamarini, delle frittelline ricoperte di zucchero. Simili nell’aspetto alle castagnole, se ne differenziano per le dimensioni più ridotte e per un impasto più morbido, dovuto alla presenza di latte.

Risulèn mantovani

Preparati con farina di mais macinata molto sottile (fioretto), sono dei biscotti. Devono il loro sapore caratteristico anche al Sassolino, un liquore tipico della zona a base di spezie ed anice.

Farciò piemontesi

In Piemonte, in occasione del Carnevale alessandrino ecco i farciò, diversi dalle castagnole perché gonfi e vuoti all’interno – l’impasto è quello della pasta choux – e di dimensioni più grandi. Possono essere farciti anche crema pasticcera.

Zeppole di Carnevale

Se le associamo in genere alla Festa del Papà e a San Giuseppe, in varie regioni d’Italia le zeppole si mangiano anche a Carnevale, più semplici e senza crema pasticciera.

Che cosa sono le patologie cardiovascolari?

a cura della Dott.ssa

Marisa Cammarano, biologa nutrizionista

La

La malattia cardiovascolare è un processo patologico che interessa più comunemente il sistema arterioso e comporta il restringimento progressivo delle arterie, fino alla loro parziale o completa ostruzione, a causa generalmente della formazione di placche all’interno delle arterie, chiamate ateroma o placche aterosclerotiche. Alla malattia cardiovascolare sono connesse diverse manifestazioni cliniche, che si differenziano a seconda del distretto arterioso interessato.

Fra le patologie cardiovascolari rientrano anche i difetti congeniti del cuore, le malattie reumatiche ad interessamento miocardico, le varie forme di aritmia, le patologie che interessano le valvole cardiache e l'insufficienza cardiaca.

Le patologie cardiovascolari sono tra le principali cause di malattia, invalidità e mortalità in Italia.

Le malattie cardiovascolari sono patologie, dunque, a carico del cuore e dei vasi sanguigni. Includono, quindi sia le malattie ischemiche cardiache, come l'infarto del miocardio e l'angina pectoris sia le malattie cerebrovascolari, come l'ictus ischemico ed emorragico.

Fra le malattie cardiovascolari più

diffuse rientrano:

• aterosclerosi

• coronaropatia

• cardiopatia ischemica

• ictus

• angina pectoris

• aneurisma aortico

• insufficienza cardiaca

• cardiopatia ischemica cronica

• cardiopatia ischemica ipertensiva

Le malattie cardiovascolari colpiscono circa 471 milioni di persone nel mondo, rappresentando la principale causa di morte al mondo, con circa 17,6 milioni di decessi all’anno. Inoltre, la tendenza dei decessi è di aumentare progressivamente: si stima che possano raggiungere i 24 milioni entro il 2030. Non è un caso che nei paesi sviluppati le malattie aterosclerotiche siano così diffuse: sedentarietà e alimentazione scorretta predispongono a sindrome metabolica ed al diabete, strettamente connesso alle patologie cardiovascolari più gravi. Anche in Italia, le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte.

Secondo i dati del Ministero della Salute, queste patologie sono infatti responsabili del 34,8% di tutti i decessi, con il 31,7% negli uomini e il 37,7% nelle donne.

Nello specifico, secondo i dati Istat 2018, la cardiopatia ischemica è responsabile del 9,9% di tutte le morti (10,8% negli uomini e 9% nelle donne), mentre gli eventi cerebrovascolari dell'8,8% (7,3% negli uomini e 10,1% nelle donne). Patologie come ischemie, infarto acuto del miocardio e malattie cerebrovascolari come l'ictus ischemico ed emorragico sono, però, in gran parte prevenibili, in quanto legate anche a fattori di rischio modificabili.

Alla base di molte di queste condizioni ci

sono spesso:

l'aterosclerosi , condizione vascolare cronica e progressiva, si manifesta con placche di grasso nelle arterie che, negli anni, aumentano di dimensioni e subiscono un processo di calcificazione;

l’ipercolesterolemia è correlata principalmente a una concentrazione di grassi nel sangue che supera livelli di guardia e che, insieme a uno stile di vita e alimentare scorretto, favorisce lo sviluppo delle malattie cardiovascolari. La dislipidemia è correlata principalmente a valori di colesterolo fuori controllo, ovvero un'alta concentrazione di colesterolo LDL (cosiddetto "cattivo") e di colesterolo HDL ("buono"); di colesterolo HDL ("buono");

il fumo di sigaretta: il rischio di malattie cardiovascolari è direttamente proporzionale al numero di sigarette fumate ogni giorno. Più nello specifico, il rischio di attacco cardiaco è tre volte superiore negli uomini e sei volte superiore nelle donne che fumano venti o più sigarette al giorno, rispetto ai non fumatori;

l’ipertensione ha un peso notevole: dati di letteratura spiegano che quando la pressione arteriosa supera i 120/80 mm Hg il rischio cresce del 60%;

il diabete: i pazienti diabetici hanno un maggiore rischio di contrarre malattie cardiovascolari, soprattutto legate alla presenza di danno d’organo o di polivasculopatia;

l’obesità, specie a livello addominale, accresce il rischio di coronaropatie e aumenta la prevalenza degli altri fattori di rischio, come l'ipertensione e il diabete.

Questo significa che il peso in eccesso causa danni diretti sulle arterie ma anche indiretti, mediati da altre condizioni che a loro volta favoriscono le malattie cardiovascolari.

I

fattori di rischio non modificabili sono quelli sui cui non è possibile intervenire in maniera diretta, ma le cui conseguenze possono comunque essere attenuate grazie all’adozione di un corretto stile di vita e a misure di prevenzione.

Fanno parte di questa categoria:

• l’età (superiore ai 50 anni);

• sesso: infarto e aterosclerosi sono generalmente più diffuse negli uomini rispetto alle donne, ma con la menopausa il rischio tra uomini e donne tende a equipararsi;

• familiarità

Spesso non è la sintomatologia a spingere i pazienti dal medico: generalmente, infatti, le malattie cardiovascolari restano silenti a lungo. Il paziente si allerta solo in presenza di sintomi evidenti, come quando un’arteria si ostruisce a tal punto da dare luogo a dolore al torace.

POSSIBILI ALTRI SINTOMI SONO:

• difficoltà di respirazione

• affaticamento

• palpitazioni

• vertigini

• svenimenti

• gonfiore delle gambe, delle caviglie e dei piedi.

Per ottenere una diagnosi bisogna effettuare una visita cardiologica, con anamnesi medica ed esame obiettivo. Spesso vengono richiesti esami specifici per confermare la diagnosi e determinare la gravità della malattia.

GLI APPROFONDIMENTI POSSONO

INCLUDERE:

• elettrocardiogramma

• test da sforzo

• radiografie ed ecografia, tra cui un ecocardiogramma

• risonanza magnetica per immagini

• tomografia computerizzata

• profilo lipidico a digiuno

• livelli di glicemia e di emoglobina glicosilata.

La prevenzione primaria è un elemento essenziale per contrastare le malattie cardiovascolari, perché ha come obiettivo evitare, appunto, l’insorgenza. Per essere più efficace, deve cominciare fin dall’infanzia e proseguire per tutta la vita. L’attenzione deve essere posta nell’adottare un corretto stile di vita, che tenga conto dei fattori di rischio, oltre al ricorso a eventuali terapie volte a modificare condizioni cliniche patologie.

I comportamenti raccomandati sono:

alimentazione sana, che favorisca il consumo di cereali integrali, di pesce, di verdura e di frutta, limitando sale, zuccheri e grassi saturi;

• attività fisica regolare

• controllo del peso

• evitare il fumo

• limitare il consumo di alcol.

La prevenzione secondaria è, invece, indirizzata a tutti coloro che sono già stati affetti da infarto o altri eventi cardiaci e ha l’obiettivo di raggiungere i livelli target di pressione e colesterolo LDL, attraverso l’attenzione al corretto stile di vita, insieme a eventuali terapie farmacologiche ed al monitoraggio dei valori.

Le nuove frontiere del gluten free

Qualità e artigianalità verso il futuro

Negli ultimi anni, il mondo del senza glutine ha vissuto un’evoluzione straordinaria, spostando il baricentro dalla semplice necessità dietetica alla ricerca di prodotti di alta qualità, in grado di soddisfare anche i palati più esigenti.

Questo cambiamento ha portato a un’attenzione sempre maggiore verso la qualità organolettica dei prodotti gluten free, con un focus particolare sul gusto, la consistenza e l’esperienza complessiva di consumo.

Un fattore determinante di questa crescita è l’espansione del mercato gluten free, che non è più esclusivamente rivolto ai celiaci. In Italia, infatti, i celiaci sono poco più di 250.000, ma il vero mercato è rappresentato da oltre 12 milioni di consumatori che scelgono prodotti senza glutine per motivi di salute, benessere o semplice curiosità gastronomica (fonte: Rapporto Italia Eurispes 2024). Questo pubblico ampio e diversificato ha spinto il settore a innovare e migliorare continuamente, alzando gli standard qualitativi e ampliando l’offerta.

Se un tempo i prodotti senza glutine erano considerati una soluzione di compromesso, oggi rappresentano una scelta consapevole che punta a eguagliare, se non superare, la qualità delle controparti tradizionali. Questo progresso è stato possibile grazie all’impegno di piccoli artigiani e imprenditori che hanno saputo innovare, sperimentare nuove farine e tecniche di lavorazione, ponendo al centro la cura per il dettaglio e la selezione delle materie prime.

Un esempio emblematico di questa evoluzione è la pizza senza glutine, che nel 2025 si trova a un vero e proprio bivio. Superata la fase iniziale, in cui si cercava di imitare la pizza tradizionale, oggi la pizza gluten free si emancipa e si arricchisce di varietà, esplorando nuove forme e consistenze. Non più solo la classica pizza tonda, ma anche proposte in teglia, al padellino, in pala: ogni formato diventa un’opportunità per valorizzare impasti differenti, texture inedite e sapori autentici. L’utilizzo di mix di farine naturalmente prive di glutine, come quelle di riso, mais, grano saraceno, teff e sorgo, consente di creare prodotti con caratteristiche uniche, capaci di offrire un’esperienza gustativa ricca e appagante.

TRADIZIONE VS TECNOLOGIA:

il ruolo cruciale della formazione per salvare il mestiere del pizzaiolo

di Enrico Bonardo Direttore commerciale e marketing di Scuola Italiana Pizzaioli

Il mondo della pizza è in continua trasformazione, spinto dall’avanzare delle tecnologie e dall’automazione dei processi produttivi. Se da un lato l’innovazione ha introdotto attrezzature sempre più sofisticate ed automatizzate per migliorare la qualità del lavoro in pizzeria, dall’altro il rischio è quello di sacrificare il valore unico e irripetibile della manualità del pizzaiolo. La diffusione di pizze precotte e l’utilizzo di attrezzature che automatizzano fasi cruciali della produzione stanno trasformando il settore. Sempre più imprenditori preferiscono affidarsi a queste soluzioni per mancanza di personale qualificato oppure per una standardizzazione dei processi, come avviene nelle catene o nei franchising. Questo scenario solleva una domanda cruciale: quale futuro attende il pizzaiolo?

Una delle risposte a questa domanda deve arrivare dalle scuole professionali, ultimo baluardo della tradizione e dell’eccellenza nel mondo della pizza. Solo un costante investimento nella formazione permette di elevare il livello professionale dei pizzaioli e preservare le tecniche artigianali che rendono unica la pizza italiana. Attraverso corsi strutturati e un corpo docente altamente qualificato è possibile formare professionisti capaci di coniugare tradizione e innovazione, senza mai perdere di vista l’essenza del mestiere. Altresì uno degli aspetti centrali dell’attività della scuola è il contrasto all’improvvisazione. Oggi, molte realtà si affidano a personale non qualificato, preferendo risparmiare sui costi piuttosto che investire in competenze. Questo approccio non solo mina la qualità del prodotto finale, ma alimenta una dipendenza crescente dalle macchine. In un mondo sempre più orientato verso l’automatizzazione, il ruolo del pizzaiolo diventa quindi cruciale per preservare l’identità di un mestiere che rappresenta una delle eccellenze del Made in Italy. Solo investendo nella formazione e valorizzando il talento umano si può garantire un futuro sostenibile per il settore, dove la tecnologia sia un supporto e non un sostituto del nostro savoir faire

Questo approccio innovativo non riguarda solo la tecnica, ma coinvolge anche la filosofia produttiva. La vera sfida del futuro sarà quella di dare maggiore spazio ai piccoli artigiani del gluten free, autentici custodi della qualità e della tradizione, a discapito dell’industria alimentare che, pur garantendo prodotti sicuri e standardizzati, spesso non riesce a raggiungere i livelli di eccellenza propri dell’artigianato. I laboratori artigianali possono infatti permettersi di dedicare più tempo alla ricerca e alla sperimentazione, selezionando ingredienti di qualità superiore e puntando su lavorazioni lente e naturali, che esaltano il gusto e la digeribilità dei prodotti.

L’industria, sebbene abbia avuto un ruolo fondamentale nel rendere accessibili i prodotti senza glutine su larga scala, fatica a mantenere gli standard qualitativi richiesti da un pubblico sempre più attento ed esigente. Le produzioni industriali, per ragioni di scala e di costi, si affidano spesso a miscele standardizzate e a processi rapidi, sacrificando quella complessità di sapori e consistenze che solo un approccio artigianale può garantire.

Il futuro del gluten free, quindi, sembra orientarsi verso un ritorno alle origini, dove il valore aggiunto è rappresentato dall’artigianalità, dalla personalizzazione dei prodotti e dalla capacità di raccontare una storia attraverso ogni assaggio.

Un percorso che non significa rinunciare all’innovazione, ma piuttosto integrarla con la tradizione, creando prodotti che siano al tempo stesso moderni e autentici.

In questo scenario, sarà fondamentale supportare e valorizzare le piccole realtà artigiane, incentivando la formazione, la ricerca e la diffusione di una cultura del senza glutine che vada oltre la semplice risposta a un’esigenza dietetica. Sarà necessario promuovere reti di collaborazione tra artigiani, ristoratori e consumatori, creando spazi di confronto e di crescita che possano stimolare la creatività e l’innovazione.

Le nuove frontiere del gluten free si delineano quindi come un equilibrio tra innovazione tecnologica e tradizione artigianale, tra ricerca della qualità organolettica e valorizzazione delle diversità territoriali. Un percorso che punta a superare i limiti imposti dalle vecchie concezioni del senza glutine, offrendo a tutti, celiaci e non, la possibilità di vivere esperienze gastronomiche autentiche, coinvolgenti e memorabili.

La sfida è lanciata: il futuro del gluten free sarà scritto da chi saprà unire passione, competenza e creatività, dando vita a un nuovo modo di intendere il cibo, dove la qualità non è più un’opzione, ma un requisito imprescindibile.

NELL’ANNO DI HOSTMILANO, PIZZA E PASTA

SONO SEMPRE PIÙ DI TENDENZA

Dai grani antichi ai formati instagrammabili, alle macchine multifunzione iperconnesse: è un 2025 all’insegna dell’innovazione quello che delinea l’Osservatorio di Host 2025

Secondo Unione Italiana Food, per l’82% dei ristoratori mondiali il consumo di pasta è in aumento e per il 67% è determinante per il successo del locale. Ogni giorno nel mondo si consumano 75 milioni di porzioni di pasta italiana, pari a 2,2 milioni di tonnellate. Nel nostro Paese, The Fork calcola che il consumo di pasta nei ristoranti generi un valore superiore ai 3 miliardi di euro l’anno.

In tema pizza, secondo AIBI-Assitol in Italia se ne consumano oltre 2,7 miliardi l’anno, prodotte da più di 36 mila maestri. “La pizza è sempre più social”, racconta il Maestro Francesco Arena, Ambasciatore del Gusto e Ambassadeur du Pain, “anche grazie a prodotti instagrammabili come la pizza in pala o in teglia. E le focacce rappresentano il punto d’incontro fra tradizione e innovazione, dalla cura nell’impasto e dall’impiego delle nuove tecnologie”.

Ma quali le tendenze per il 2025? Nella pasta dominano i formati lunghi e lisci (spaghetti, linguine, bucatini) che, secondo UIF, rappresentano il 50% dei consumi fuoricasa. Nelle pizze e focacce continua il fenomeno gourmet, sospinto da menù inclusivi (free-from, bio, veg) proposti in format sempre più esperienziali. In primo piano le tecnologie che supportano la creatività, a cominciare dai forni e macchine multifunzione iperconnessi e sostenibili.

A Host 2025, a fieramilano - Rho dal 17 al 21 ottobre, il mondo pizza e pasta sarà protagonista del rinnovato MIPPP –Milano Pane Pizza Pasta, che presenterà le eccellenze italiane e internazionali anche grazie alla partnership con il Consorzio SIPAN. Arte Bianca sotto i riflettori anche nel ricco palinsesto di eventi, in particolare con il Panettone World Championship 2025 e con gli show-cooking di A.P.Pa.Fre. - Associazione Produttori Pasta Fresca della Piccola e Media Impresa.

HOST 2025 SI TERRÀ A FIERAMILANO – RHO

DAL 17 AL 21 OTTOBRE.

Per informazioni aggiornate: host. fieramilano.it; @HostMilano.

La recensione del mese

Per segnalazioni, potete scrivere all’indirizzo redazione@pizzaepastaitaliana.it

La recensione

“Esperienza tutto sommato negativa. Concordo (con altre recensioni, ndr) per il rapporto qualità-prezzo non soddisfacente, per l'approccio con i clienti poco professionale.

La qualità della picana e della tartare non all'altezza di un buon ristorante.

La costata è stata invece apprezzata da chi l'ha ordinata. Direi che l'esperienza è stata più che sufficiente... per non tornarci”.

Recensione lasciata su Tripadvisor per un locale di Pordenone nel mese di novembre 2024

Il commento

Negli ultimi anni, i clienti, sempre più esigenti, vogliono vivere esperienze memorabili e complete, dando peso a un insieme di cose che giustifichino il costo sostenuto. Uno degli elementi principe, ormai centrale, nella scelta di un ristorante è diventato il rapporto qualità-prezzo. Ma su quali parametri un cliente può davvero valutare se il prezzo pagato per un pranzo o una cena sia adeguato? L’esperienza non si limita esclusivamente alla qualità del cibo e del piatto in sé, ma è influenzata da tante cose.

La maggior parte delle persone è assolutamente inconsapevole delle sfide che ogni ristoratore deve affrontare per offrire un servizio dignitoso. Non parliamo di ristoranti stellati, il cui servizio generale è (o dovrebbe essere) scontato – basti pensare ai costi elevati dovuti alla presenza di un sommelier o un pastry chef – ma di locali per così dire “normali”, alla portata di tutti.

Il tutto si basa su un delicato equilibrio che si sviluppa lungo due prospettive: del cliente e del ristoratore, chi usufruisce del e chi eroga il servizio. Da un lato, dunque, ci sono i primi, attenti ai dettagli, alla trasparenza e desiderosi che l’esperienza sia all’altezza delle aspettative; dall’altra i secondi, che hanno il compito di offrire un servizio valido, mantenendo la sostenibilità economica. Sfida non semplice, considerando i costi in costante aumento. Il food cost non è l’unico elemento da considerare. Questo parametro rappresenta la percentuale del costo di un piatto rispetto al prezzo di vendita (esistono dei costi ideali sui quali non ci soffermeremo) e, se gestito bene, permette anche di contenere le spese e aumentare i profitti: basti pensare a piccoli accorgimenti, quali la scelta di materie prime stagionali o il perseguimento di politiche antispreco ma le spese da tenere in considerazione non si limitano a questo. L’acquisto di materie prime sostenibili o un menu gluten free, per esempio, comporta inevitabilmente costi più elevati.

Inoltre, c’è da considerare tutto il “dietro le quinte”, come l’adeguata formazione dello staff, l’imprescindibile pulizia del locale, l’attenzione ai dettagli inerente all’ambiente che deve presentarsi ben studiato e confortevole, curato dalla mise en place ai quadri alle pareti o la giusta illuminazione; le spese di affitto, le utenze, lo stipendio dei dipendenti e così via. Tuttavia, queste spese non sono immediatamente visibili ai clienti, che spesso non comprendono il lavoro necessario per garantire il servizio complessivo che si aspettano. Anzi, il cliente tende a giudicare da un punto di vista soggettivo che si riduce spesso al “20 € per un piccolo piatto di pasta è esagerato” e non sempre coincide con la realtà. C’è chi predilige la quantità, chi la qualità,

alcuni mettono al primo posto la cortesia dei camerieri, altri la celerità, insomma, non è mai un giudizio unanime e oggettivo. Per i ristoratori, interpretare e soddisfare queste aspettative è una sfida complessa. Ciò non toglie che il cliente possa realmente vivere un’esperienza negativa, ma è corretto giudicare un locale complessivamente basandosi su un singolo errore? Anche i ristoratori e il personale sono esseri umani, soggetti a sbagli.

I ristoratori inoltre devono far fronte a una competizione sempre più agguerrita, che li obbliga continuamente a innovare e differenziarsi facendo attenzione a non minare la qualità dell’offerta.

Un ristorante non è solo un luogo in cui si mangia ma uno spazio conviviale nel quale tutto deve funzionare in armonia. Per questo motivo, è essenziale garantire costantemente una coerenza tra tutte le componenti dell’esperienza proposta. Anche un solo elemento dissonante può pregiudicare l’intera percezione del cliente.

Il rapporto qualità-prezzo rappresenta in effetti una sintesi di aspettative, sensazioni soggettive e realtà economiche. Per i ristoratori, è fondamentale che i consumatori comprendano il valore del loro lavoro, pur essendo disposti ad ammettere un errore e fare ammenda. Allo stesso tempo, i clienti devono essere disposti a valutare con maggiore consapevolezza ciò che ricevono in cambio del prezzo pagato. Probabilmente, bisognerebbe incentivare la comunicazione.

Il recensore di questo mese ha detto: “qualità della picana e della tartare non all'altezza di un buon ristorante”, probabilmente è un esperto gastronomo, oppure no; semplicemente, potrebbe non avere gradito e si è lasciato guidare dalla delusione di non aver ricevuto il servizio che si aspettava rispetto al prezzo pagato ( “l'approccio con i clienti poco professionale” ), trasformando l’intera esperienza in qualcosa di non soddisfacente. Il rapporto qualità-prezzo è un tema centrale che definisce l’esperienza di un cliente e il successo di un locale. La domanda, dunque, resta: quali e quanti sono i parametri utili a giudicare negativamente o positivamente un’esperienza gastronomica completa e capire appieno se il rapporto qualitàprezzo sia soddisfacente, considerato il valore soggettivo del giudizio?

a cura della redazione

Il manuale del birraio.

Teoria e pratica della birrificazione

"Se la birra fosse un’invenzione dei giorni nostri, probabilmente tutti i complessi processi descritti in questo libro risulterebbero totalmente inadeguati. Quasi certamente, con l’aggiunta di enzimi saremmo in grado di produrre la birra direttamente dall’orzo e da altri cereali, e non ci dovremmo preoccupare di aumentare e abbassare la temperatura o inumidire ed essiccare come siamo abituati a fare oggi. Inoltre, immagino che i tempi di fermentazione e di maturazione sarebbero più brevi, e che il mosto non verrebbe diluito prima di procedere a confezionare la birra all’interno di piccoli e talvolta pesanti contenitori per la distribuzione! Il procedimento sarebbe molto più razionale. Come ben sappiamo, però, la birra non è un’invenzione dei giorni nostri. Molte delle tecniche e dei processi che oggi utilizziamo ci sono stati tramandati nei secoli e nei millenni di storia della birrificazione dalle generazioni di birrai che ci hanno preceduto. Quelli che conosciamo sono procedimenti che ci arrivano dalla tradizione (l’arte del birraio) e che oggi l’approccio scientifico e razionale aiuta a mettere in luce”.

Inizia così Il manuale del birraio, ventunesimo libro a opera di LSWR-MoBI, propone un nuovo e più elevato livello di approfondimento della materia, offrendo ai birrai, presenti e futuri, una trattazione tecnica e scientifica di altissimo livello. Il volume affronta in modo rigoroso le basi teoriche di chimica e biochimica legate alla trasformazione dei cereali in birra, partendo dalla maltazione e affrontando tutti le fasi produttive fino al confezionamento.

Particolare attenzione è dedicata anche agli aspetti ingegneristici e tecnologici, con l’analisi dei singoli processi che si sviluppano in birrificio per offrire soluzioni teoriche e pratiche all’azienda birraria di grandi e piccole dimensioni.

Gli autori, inoltre, includono nel testo trattazioni indispensabili al raggiungimento e al mantenimento di qualità e costanza del prodotto, quali metodi analitici di controllo statistico, descrizione dei potenziali contaminanti e analisi sensoriale. Non mancano, infine, le descrizioni dei potenziali interventi disponibili per il birraio al fine di migliorare i processi di affinamento della birra, come chiarificazione e stabilizzazione.

Editore: LSWR

Anno: 2020 (seconda edizione)

Prezzo di copertina: 59,90 euro

Con questa seconda edizione gli autori, oltre a intervenire sul testo, hanno aggiunto due capitoli che, per qualche ragione, erano stati tralasciati nella prima edizione: un capitolo sull’acqua e uno dedicato ai metodi analitici e al controllo statistico di processo.

Per scelta, le informazioni aggiunte in materia ingegneristica non sono certo quelle di un classico volume di tecnologia e ingegneria della birrificazione, in quanto l’obiettivo degli autori è quello di demistificare il più possibile l’argomento, cercando di chiarire cosa fa un ingegnere (e come lo fa), nonché di spiegare alcuni principi di ingegneria sperimentabili all’interno di ogni birrificio.

® BORN TO BURN

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.