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O V E R V I E W
FREEPRESS
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A R C H I T E C T U R E
periodico trimestrale - Anno 1 n째0 - Aprile 2010
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www.urukmag.it
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Overview on architecture
Editoriale
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Questa pubblicazione è il prototipo di una rivista progettata e redatta presso il Dipartimento di Storia e Progetto nell’Architettura dell’Università di Palermo e
rappresenta l’esito di una ricerca coordinata dal Prof. Arch. Giuseppe Guerrera a cui hanno lavorato docenti interni e collaboratori esterni alla struttura del
cross section
, TUTTO PORTO palermo CITTa Intervista a cura di Giuseppe Guerrera
DiSPA.
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Il volume è stato realizzato con i fondi di ricerca scientifica ex 60% - 2006. Al progetto hanno partecipato: Giuseppe Guerrera, Francesco Finocchiaro, Orazio La Monaca, Vincenzo Melluso e Marco Scarpinato.
focus 1. Architetture
PORTA NUOVA a marsala Progetto di Francesco Cellini e Nicola Piazza
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Edilizia sociale a milano Progetto di Marotta e Basile MAB Arquitectura centralita, urbana a roma
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Nuovo auditorium a Isernia Progetto di Pasquale Culotta
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Sulla strada per emmaus Testo di Giuseppe Guerrera
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Progetto di Herman Hertzberger e Marco Scarpinato
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focus 2. Architetture
Giardino a Bagheria Progetto di Luca Bullaro
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Persistente suggestione Testo di Marco Scarpinato
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Uruk n° 0 2010 aprile Direttore Responsabile Giuseppe Guerrera Vice direttore Marco Scarpinato Redazione Lucia Pierro, Carmelo Vitrano Art direction e impaginazione Francesco Guerrera AutonomeForme Corrispondenti AutonomeForme | Bacino del Mediterraneo Luca Bullaro | Sud America Luca Giaramidaro | Stati Uniti MAB Arquitectura | Spagna Marco Scarpinato | Nord Europa Editor dei testi Lucia Pierro Traduzioni Fanny Bouquerel | Francese Elizabeth Fraser | Inglese Produzione, innovazione edilizia, design Carmelo Vitrano
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AbstracT Eng | Fra
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ready to read a cura di Lucia Pierro e Marco Scarpinato
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Giampilieri Messina La Redazione
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Copertina Francesco Guerrera Stampa Litocon srl | Catania Stampato in Italia
Uruk | Overview on architecture Redazione Via Alloro, 43 90133 Palermo +39 091 586425 info@urukmag.it www.urukmag.it Nessuna parte di questo periodico può essere riprodotta con mezzi grafici e meccanici. Tutti i diritti riservati. In corso di registrazione presso il Tribunale di Palermo.
In quarta di copertina: I soccorsi a Giampilieri. Ottobre 2009 Foto di Orazio Esposito
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EDITO RIALE , uruk la citta La città del 2010 è possibile individuare un tema comune nel lavoro degli architetti del XXI secolo? Oppure una modalità, un insieme di azioni ricorrenti nel loro impegno professionale? La mia opinione è che si lavora in opposizione alla città contemporanea, a quel territorio sconfinato e ormai indistinto che ci ostiniamo a chiamare città ma è un’anticittà. Soprattutto i grandi architetti, le così dette “archistar”, tendono a costruire monadi, cioè edifici autoreferenziali per forma e linguaggio, tutti interni a un’idea di architettura sublime che non costruisce spazi collettivi, luoghi pubblici. Resta da chiedersi che cos’è la città o, per meglio dire, cosa è stata. Volendo dare una risposta retorica si potrebbe dire che ci sono tante città quante sono le culture, che hanno determinato il successo di questo tipo d’insediamento umano. Uruk-Roma-Los Angeles, potrebbe essere un’istantanea descrizione del processo di nascita, crescita e morte della città.
L’anticittà La città non c’è più. C’è un “non-insediamento”, una forma nuova dell’abitare o un’antiforma, cioè un caos. Su questo tema ci siamo esercitati a lungo negli anni Ottanta del novecento: informale, non luoghi, terreni vaghi, sono stati temi, mediati dall’arte degli anni sessanta e dalla sociologia, che gli architetti hanno tentato di tradurre in forma. L’espressione massima la possiamo riconoscere in Frank O. Gehry, non tanto nelle appariscenti figurazioni, quanto negli spazi introversi, nelle “monadi senza finestra” in cui confina l’abitare contemporaneo.
Il patto sociale Uruk IV-III M a.C. rappresenta la prima tappa di un percorso, la prima forma di società che decide liberamente di mettere insieme le risorse, le “forze individuali” di Jean-Jacques Rosseau, per raggiungere un obiettivo condiviso, senza rinunciare all’individualità. L’organizzazione urbana, la città, nasce dalla possibilità di razionalizzare la coltivazione della terra, raccogliere, grazie ad innovazioni tecnologiche come l’aratro a trazione animale, una quantità di cibo maggiore di
4 quello necessario a sfamare una singola persona e accumulare le eccedenze alimentari. La città nasce quindi dalla possibilità di pagare il lavoro di specialisti che, grazie a quelle eccedenze, possono svolgere attività non agricole e organizzare l’insediamento a partire dagli edifici pubblici e costruire le infrastrutture e i canali per l’irrigazione. è ancora valido questo patto sociale che ha tenuto insieme per cinque sei millenni la comunità umana? O è necessario trovare un’altra forma di “contratto sociale”, dato che le necessità si sono spostate su un altro piano, cioè quello della sopravvivenza delle specie umana? è ancora possibile pensare la città nel modo in cui da migliaia di anni l’hanno costruita le comunità umane indipendentemente dalla necessità di non consumare le risorse primarie terra, acqua, aria? Gli architetti cosa hanno da dire su questo e, soprattutto, come sta cambiando la modalità dell’azione individuale degli architetti alla luce di una nuova necessità, di un nuovo patto sociale che possa mettere insieme tutte le forze, questa volta di tutti gli abitanti della terra, per continuare ad esistere?
AVERE VOCE Non si tratta di interrogarsi sui massimi sistemi, e non lo faremo, si tratta, piuttosto, di esserne consapevoli. Di pensare al lavoro degli architetti come ad un insieme di azioni individuali che non possono ignorare le questioni ambientali. Ogni giorno, tutte le scelte che compiono gli architetti, dal più modesto professionista, al tecnico comunale, al dirigente di enti regionali e nazionali, tutte concorrono e influiscono, positivamente o negativamente, sui temi ambientali, paesaggistici, urbani. Il disastro di Giampilieri nella provincia di Messina è stato determinato dalla mancanza d’interesse da parte della comunità siciliana e dei suoi amministratori, soprattutto dal disinteresse di quei tecnici, architetti o ingegneri che siano, che avrebbero dovuto occuparsi della tutela del territorio. Se la comunità a quello li ha destinati, e loro hanno sottoscritto il patto sociale, avrebbero dovuto impegnarsi per impedire quel disastro che ha distrutto il paese. Altrimenti meglio sarebbe stato se fossero tornati alla propria azione individuale: “zappare la terra
per produrre il proprio cibo”. Ma anche nell’azione quotidiana il progetto di un piccolo edificio residenziale può rappresentare un contributo, una singola forza che si mette insieme a tante altre. Ad esempio, un piccolo edificio può essere progettato per risparmiare un po’ di energia, per la sua costruzione possiamo non usare materiali inquinanti, o, ancora, la sua costruzione può essere l’occasione per aumentare la copertura arborea: sono queste alcune tra le molte azioni individuali che rispettano le risorse primarie, cioè il nuovo patto sociale tra i terrestri. In queste pagine oltre che presentare delle architetture per avere voce e partecipare al dibattito sui temi dell’architettura, sul linguaggio, sulla forma ed altre questioni ci vorremmo occupare anche di una serie di temi più generali che investono la professione, ad esempio della mancanza di una legge urbanistica regionale; della mancanza dei piani paesistici; dell’integrazione del sistema fotovoltaico nell’architettura. Temi che si stanno discutendo tra gli architetti, negli ordini professionali, nelle associazioni culturali ma che raramente sono inseriti nell’agenda del governo regionale. Questioni che hanno una forte incidenza nelle scelte insediative delle comunità locali.
PALERMO Con il numero zero di URUK presentiamo una prima rassegna di architetture progettate in Sicilia come anteprima di un lavoro di documentazione che vorremmo sviluppare nei prossimi numeri della rivista per promuovere e valorizzare la cultura del progetto di architettura. Sono tutti progetti e realizzazioni che hanno una particolare attenzione alla costruzione della città. In evidenza abbiamo voluto mettere l’azione dell’Autorità portuale di Palermo come propulsore dell’unico progetto di trasformazione urbana della città che concretamente si sta realizzando attraverso una politica urbana ed un metodo che appare condiviso e condivisibile dai cittadini. L’intervista al Presidente dell’Autorità portuale, ingegnere Nino Bevilacqua, è la prima di una serie che vorremmo pubblicare per capire quali siano i soggetti sociali che determinano
5 le trasformazioni urbane delle città, e quali siano gli esiti. Questo in contrapposizione ad altre iniziative di carattere privato che, comunque, influiscono sulla trasformazione di Palermo e che stanno cambiando, ad esempio, la struttura commerciale della città, i flussi delle strutture ricettive e delle attività culturali. Negli ultimi anni sono stati inaugurati molti centri commerciali che fanno riferimento a catene nazionali come Ipercoop, Rinascente, H&M; alberghi a 4 e 5 stelle ospitati in palazzi storici (tra cui, il più recente in termini di realizzazione, quello realizzato nella la ex sede della Cassa di Risparmio a piazza Borsa), librerie come Feltrinelli e Mondadori che, nei fatti, sono dei veri e propri centri culturali che promuovono numerose attività. C’è un volume pubblicato alla fine del 2009 che descrive e analizza le recenti dinamiche urbane di Palermo di cui vorrei suggerire la lettura: Urban Cosmographies1. Il libro traccia un quadro comparativo tra il lavoro dell’amministrazione presieduta da Leoluca Orlando negli anni novanta del secolo scorso e l’attuale giunta presieduta da Diego Cammarata nel primo decennio del duemila. Evidenziando, in sintesi, come tutto il lavoro di Orlando fosse orientato al rinnovamento di servizi e spazi pubblici e quello di Cammarata abbia avuto come esito, non sappiamo se consapevolmente pianificato o come frutto di azioni private comunque dipendenti da politiche economiche e di mercato, molte iniziative private. Al riguardo, nella prefazione, Gianni Puglisi2 si chiede quale sia il ruolo dell’architetto: “... serve ad aumentare la capacità di attrazione di capitali da investire sui progetti facendone lievitare il valore, catalizzando l’attenzione e la pubblicità necessarie a sostenere la visibilità e l’appetibilità presso i consumatori”? Oppure, chiediamo noi, l’architetto è un attore capace di agire per la comunità? E se è così come agisce? Catalizzando le iniziative pubbliche, come sta facendo Nino Bevilacqua, oppure agendo puntualmente in ogni occasione pubblica o privata per migliorare la qualità dell’architettura come Orazio La Monaca? O che altro? A queste domande cercheremo di dare una risposta nei prossimi numeri di URUK.
1| Ola Soderstrom, Debora Fimiani, Maurizio Giambalvo, Simone Lucido, Urban cosmographies, Indagine sul cambiamento urbano a Palermo, Meltemi, 2009. 2| Gianni Puglisi è presidente della Fondazione Banco di Sicilia.
, Nell ultimo decennio le iniziative di privati hanno determinato la costruzione di spazi pubblici sostituendosi , all amministrazione comunale
A pagina 3 Tavoletta catastale del periodo tardo-Uruk In queste pagine L’aratro seminatore in due sigilli mesopotamici Veduta del centro storico di Palermo dalla terrazza della nuova Rinascente
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, Palermo Citta Tutto porto Intervista a Nino Bevilacqua a cura di Giuseppe Guerrera | Foto di Sandro Scalia
D- Quale visione ha di Palermo per il terzo millennio? R- La storia degli ultimi decenni di questa città dimostra che la pianificazione si è impegnata soprattutto a realizzare nuovi insediamenti residenziali. Non c’è stato uno studio attento dei servizi infrastrutturali, intesi come un sistema integrato di trasporto pubblico e di parcheggi. Si sono creati sopratutto dei nuclei urbani satelliti sviluppati senza promuovere una coscienza urbana e uno sviluppo socio-economico. Ci siamo così trovati con una città costituita da grandi quartieri dormitorio, insediamenti privi di quel legame forte con il mare che rappresentava, sin dalla sua fondazione, uno dei punti di forza della città. Oggi abbiamo il dovere di riprendere la naturale vocazione della città e di ritessere quindi il suo rapporto con il mare. Occorre potenziare i servizi utilizzando alcune aree che oggi hanno delle destinazioni che non sono più consone allo sviluppo del territorio; si tratta di aree come quella della Fiera del Mediterraneo, del Mercato ortofrutticolo. Questi spazi, che in tutte le città del mondo sono distribuiti lungo gli assi di scorrimento, non reggono più alle loro funzioni. Non c’è bisogno quindi di un nuovo Piano per realizzare delle nuove urbanizzazioni, ma abbiamo piuttosto bisogno di un Piano di assetto del territorio per sfruttare al meglio le potenzialità di questi spazi. D- L’Autorità Portuale di Palermo, a partire da questa sua presidenza, sta svolgendo rapidamente un’azione di rinnovamento sia delle strutture del porto sia degli spazi pubblici posti a margine della città. C’è una particolare strategia amministrativa che ha agevolato la realizzazione di queste iniziative? R- Abbiamo un cancro che è quello dell’attività politica fine a se stessa, esempio d’inefficienza nel programmare lo sviluppo del nostro territorio. Sono pochi gli esempi di buona architettura, episodi che tuttavia non reggono innanzi alle istanze della nostra società che chiede invece di ricomporre e rinnovare il territorio. è, inoltre, necessario pianificare gli interventi con una politica di sviluppo del nostro territorio che sia condivisa. Sono riuscito a redigere un Piano Regolatore del Porto che, certamente, tra i suoi punti di forza ha quello di essere stato condiviso nella fase di redazione. L’attività di pianificazione non può essere realizzata assecondando le mutevoli direzioni politiche; la programmazione e la realizzazione di un’opera non può essere ricondotta ai cinque anni del singolo governo e non può appartenere al singolo ma alla collettività. Per questa ragione non si può realizzare un’opera se non è condivisa dalla nostra società. Nell’elaborazione del Piano Regolatore del Porto, fin dal primo giorno ho voluto coinvolgere alcuni soggetti quali l’Università, la Soprintendenza, il Comune, la Camera di Commercio, i Sindacati, i rappresentanti del sistema politico che governa la città. C’è anche stato un buon rapporto con alcuni giovani architetti, però questo è stato solo un momento di analisi, successivamente si è sviluppato un ragionamento con una visione programmatica. Quindi, in un tempo molto breve, si è fatto il Piano Regolatore del Porto e si sono costruite alcune opere. D- Entrando maggiormente nello specifico vorrei parlare del concorso bandito dall’Autorità portuale per il riutilizzo delle due gru del molo trapezoidale. Da dove parte questa ipotesi di farle diventare un oggetto d’arte simbolo della città di Palermo? R- Ho accettato di fare il Presidente dell’Autorità Portuale di Palermo perché ho il desiderio di raggiungere, condividendoli con altri, degli obiettivi importanti per la nostra città; questo è quindi un momento importante della mia vita. Ricordo che da giovane, passando con il mio motorino dinnanzi al porto occorreva andare veloce e non soffermarsi perché si trattava della zona più degradata della città. Quando, nel 2004, sono entrato a far parte dell’Autorità Portuale ho iniziato subito con un intervento di eliminazione dei relitti presenti nel porto della Cala. Abbiamo rimosso più di venti relitti di grande dimensione. Inoltre, nell’area, c’erano numerose gabbie che ospitavano cani da combattimento e cavalli per le corse clandestine, abbiamo subito ripulito questi spazi ed iniziato un’attività di recupero demolendo tutte le superfetazioni presenti sul molo trapezoidale. Fatto questo, mi sono dato come obiettivo quello di lasciare un segno a partire dal nuovo P.R.P., un piano che ha l’obiettivo di ricucire le relazioni del porto con la città. Il primo obiettivo è stato quello di riqualificare tutto l’emiciclo della Cala perché rappresenta il luogo storico del forte legame della città con il mare. In questo contesto è importante lasciare un segno architettonico che possa rappresentare quello che oggi è il cambiamento, cioè la volontà comune della società palermitana di riappropriarsi del mare. Le due gru, realizzate negli anni ottanta con un grande investimento dell’Autorità
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In questa pagina Le due Gru scaricatori di rinfuse sul molo trapeziodale Vista aerea del Molo Trapezoidale e della Cala Nelle pagine seguenti Planimetria generale del Piano Regolatore del Porto Il parco del Foro Italico
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9 Portuale, non sono mai state utilizzate e, nelle intenzioni, dovevano servire per movimentare il carbone, causando un notevole inquinamento in un’area posta, peraltro, al centro della città. Esse, alte 50 metri, possono rappresentare un segno di riconoscimento della città dal mare. Ognuna delle due gru potrebbe ospitare una libreria, un ristorante, una sala espositiva, o essere un luogo d’osservazione dal mare della città o delle stelle. Un luogo dove, standoci dentro, si possa sognare. Questa è una posizione fissa da cui viaggiatori e scrittori, hanno immaginato e rappresentato Palermo. Quello che vorrei è che le gru diventassero un luogo simbolo della città, ma non che diventino simbolo di un architetto. D- Come è nata l’idea dell’Officina del Porto e quali sono stati gli esiti di questa esperienza? R- L’Officina del Porto è nata per condividere con la comunità palermitana le idee di rinnovamento del porto. Occorreva un luogo per il confronto e per la discussione. Un luogo dove dieci giovani architetti laureati a Palermo potessero riunirsi per un periodo, che è durato 2-3 anni, e lavorare insieme con l’obiettivo di analizzare le possibili scelte per la programmazione dell’area portuale. Oggi manca la forza e la capacità di lavorare insieme agli altri. Possiamo avere delle idee totalmente diverse, ma la cosa importante è ragionare e discutere insieme. Quindi riunire gli architetti per redigere il Piano Regolatore del Porto e i relativi progetti, tutti iniziati lì – nell’Officina del Porto - anche se poi sono stati sviluppati da altri, ha significato costruire un pensatoio comune e questo è stato per me l’obiettivo primario raggiunto: dare forma a un luogo che ha accompagnato questo processo di sviluppo dell’area portuale.
Estratto del bando di gara del concorso per Il Progetto artistico-architettonico di rifunzionalizzazione delle 2 Gru scaricatori di rinfuse Di recente è stato lanciato un Concorso d’idee per il Progetto artistico-architettonico di rifunzionalizzazione delle 2 gru scaricatori di rinfuse site nel porto di Palermo quale futuro luogo simbolo dell’interazione porto-città. Le due gru, site al molo trapezoidale del porto di Palermo, insistono nell’area adiacente al porto della Cala e a quella del parco archeologico del Castello a mare. Il bando richiede l’elaborazione di proposte progettuali di livello inferiore a quello preliminare ed è aperto alla partecipazione di architetti e ingegneri in possesso dei seguenti requisiti: a) fatturato globale per servizi di cui all’art. 50 del D.P.R. 554/1999, espletati negli ultimi 5 anni, non inferiore a 10.000.000 €; b) espletamento negli ultimi 10 anni di servizi per un importo globale per ogni classe e categoria non inferiore ai seguenti valori: Ie – 36.000.000 €, Ig – 12.000.000 €, IIIa – 4.000.000 €, IIIb – 4.000.000 €, IIIc – 3.200.000 €; c) svolgimento negli ultimi 10 anni di due servizi appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare per un importo totale non inferiore ai seguenti valori: Ie – 7.200.000 €, Ig – 2.400.000 €, IIIa – 800.000 €, IIIb – 800.000 €, IIIc – 640.000 €; d) numero medio annuo del personale tecnico degli ultimi 3 anni pari ad almeno 6 unità. Il bando scade il 17.5.2010 e le informazioni sono reperibili all’indirizzo www.portpalermo.it/concorsoideegru.html
Oggi manca la forza di lavorare insieme agli altri Possiamo avere delle idee ,totalmente diverse, ma la cosa importante e ragionare e discutere insieme
10 L’Officina del porto di Palermo Nel 2005 è stata istituita l’Officina del Porto, un laboratorio di progettazione, voluto dal Presidente dell’Autorità Portuale, come luogo di studio e confronto sulle dinamiche di evoluzione del nuovo porto e delle sue relazioni con la città. Contava su un comitato scientifico e su un comitato consultivo in cui sedevano esponenti di tutte le istituzioni cittadine (Comune, Sovrintendenza, Provincia, Università). L’Officina, in una prima fase, ha lavorato in sinergia con il Comune di Palermo nell’ambito del programma ministeriale “Porti e Stazioni”. Per gli spazi operativi dell’Officina fu utilizzata una vecchia officina ricambi ormai dismessa interna all’area portuale, in modo da affermare, sin dalla scelta del luogo di lavoro, come la principale intenzione perseguita fosse quella di introdurre nuova linfa all’interno delle tradizionali attività e funzioni del sistema portuale. Il lavoro riguardò soprattutto la redazione degli studi preparatori occorrenti per la redazione del Piano Regolatore portuale, una prima proposta di Master Plan e l’avvio di alcuni progetti pilota tra cui quello di riqualificazione della Cala, attualmente in corso di realizzazione e il cui progetto è stato curato - per gli aspetti architettonici - dall’architetto Giulia Argiroffi e da chi scrive. La riflessione da cui derivarono tutte le scelte di massima contenute nel Master Plan così come quelle puntualmente declinate dai progetti pilota, mirava a un obiettivo comune: l’avvio di un processo d’inversione di tendenza delle dinamiche che avevano fino a quel momento guidato lo sviluppo del porto e le sue relazioni con la città. L’idea portata avanti era quella di un porto che riuscisse, pur nel rispetto e potenziamento delle sue peculiari funzioni infrastrutturali, a mutare la propria identità, transitando dall’esclusiva condizione di “porto di mare” e di “macchina infrastrutturale” a una dimensione più complessa che lo potesse configurare come un “porto di città”, aperto alle relazioni e alle ibridazioni funzionali con il sistema urbano. [Sebastiano Provenzano
Il Piano regolatore del porto di Palermo Dopo un iter iniziato nel luglio del 2008, la commissione urbanistica il 20 novembre 2009 ha approvato l’intesa sul nuovo Piano regolatore del porto (Prp), un masterplan che, estendendosi dalla foce del fiume Oreto al porto dell’Arenella, ridisegna tutto il waterfront urbano. Sviluppato all’interno del programma ministeriale Porti&Stazioni, il Prp è stato redatto dall’Autorità portuale di Palermo e Termini Imerese attraverso il lavoro congiunto di un Comitato Scientifico, un Comitato Consultivo e dell’Officina del Porto. Nel 2006, con le mostre della trasferta siciliana della Biennale di Venezia, si era avuta un’anticipazione dei lavori dell’Officina che, come a suo tempo da più parti rilevato, si erano mostrati inferiori alle attese e avevano giustificato una serie di incarichi professionali diretti, una tendenza che oggi pare superata dal concorso per la rifunzionalizzazione delle gru come luogo di interazione porto-città. Il nuovo Prp, per la cui attuazione occorreranno oltre 120 milioni di euro, prevede lo sviluppo del traffico crocieristico e del turismo da diporto e il potenziamento del traffico merci con la delocalizzazione di gran parte del porto commerciale a Termini Imerese. Oltre alle aree «Porto operativo commerciale» (226.800 mq), «Attività industriali» (271.630 mq), «Crocieristica e passeggeri» (58.500 mq) e «Crocieristica di trasformazione - interfaccia città-porto» (86.380 mq), il Prp interessa il porto di Sant’Erasmo per il quale è prevista una destinazione turistica, il parco urbano del Foro Italico, l’antico porto della Cala, il parco archeologico di Castello a Mare e, a nord, i porti dell’Acquasanta e dell’Arenella, entrambi con destinazione turistica. Al riguardo va rilevato che le prevalenti destinazioni turistiche, crocieristiche e passeggeri limitano le prospettive di sviluppo della funzione produttiva del porto senza restituire il complesso ventaglio di attività e funzioni che ne costituiscono l’identità. I contenuti del Prp s’intrecciano con i molteplici piani di trasformazione urbana in itinere: primo tra tutti, il Piano strategico Palermo Capitale che tra i progetti pilota individua la rigenerazione del waterfront e assegna alle così dette aree bersaglio destinazioni ancora da verificare, poi ancora il P.P.E. (in attesa di essere rinnovato), il Piano strategico della mobilità sostenibile e, infine, il progetto del Parco dell’Oreto. A fronte della complessità dei programmi di trasformazione della città è, quindi, auspicabile che le tappe successive siano sviluppate attraverso una reale cooperazione tra i differenti portatori d’interesse e le molteplici espressioni della collettività delineando una regia condivisa capace di orientare il futuro sviluppo di Palermo. [Lucia Pierro
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In questa pagina Il Castello a Mare di Palermo Vista d’insieme del progetto di riqualificazione della Cala
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PORTA Nuova a marsala Francesco Cellini - nicola piazza
L’area archeologica di Capo Lilibeo costituisce per la città di Marsala un’immensa risorsa culturale e urbanistica. La scelta, ormai millenaria, di abbandonare questo sito troppo esposto alle incursioni esterne (perché caratterizzato da una costa eccessivamente bassa e disponibile all’attracco) ha generato espansioni urbane e scelte di strategia economica, verso altre direttrici sul territorio, confinando quest’area ai margini delle attività cittadine e sociali, relegandola all’abbandono e allo spoglio delle sue più pregiate e significative architetture. Il tentativo di superare lo scollamento tra la città murata cinquecentesca e l’immensa area dell’attuale parco archeologico, ha un suo primo forte disegno negli anni trenta del secolo scorso, attraverso un nuovo e inedito progetto urbano, che poco ricorda il vecchio tracciato della città romana e poca attenzione pone ai resti delle architetture storiche. L’innesto di un sistema di strade a tridente, da Porta Nuova, genera una prima riappropriazione (discutibile) dello spazio urbano, rimarcando il rapporto tra il centro storico, l’asse di via XI Maggio e l’asse del vecchio “decumano massimo” (oggi via Vittorio Veneto), attraverso il disegno di un nuovo spazio pubblico (piazza Vittoria) legato a una nuova urbanizzazione, che vede come principio generatore la costruzione di alcuni manufatti pubblici legati allo svago e all’attività culturale e teatrale (Teatro Impero). A queste attività urbanistiche e edilizie fanno da contraltare quelle legate alla produzione, sull’area di capo Boeo, e quelle crescenti e sempre più urgenti connesse alla necessità di salvaguardare il patrimonio storico culturale della vecchia città punico-romana abbandonata, attraverso la creazione (ormai non più recente) di un parco archeologico che ormai coinvolge quasi l’intera area.
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Il progetto vuol rimettere in gioco gli elementi del contesto del parco in una nuova visione del complesso paesaggio urbano
14 IL PROGETTO Il progetto per la riqualificazione di “Porta Nuova” vuol rimettere in gioco gran parte degli elementi del contesto del parco in una nuova visione del complesso paesaggio urbano, a partire da Piazza Vittoria, fulcro e baricentro dell’intero sistema di relazioni. Da questo spazio pubblico, pensato come piazza pedonale, s’innestano nuovamente le architetture esistenti, il Teatro, l’asse di via Vittorio Veneto come ingresso al parco, attraverso la sequenza di scavi del decumano massimo, villa Cavallotti e il giardino pensile posto sul bastione spagnolo. Al termine dell’asse di via Vittorio Veneto, un sistema di percorsi sulla litoranea riconnetterà le diverse attività costiere, aperte da sempre alla balneazione estiva, integrate da nuovi spazi belvedere e discese al mare. Le attività costiere lungo via Boeo, limitrofe al parco, incrementeranno le attività culturali già presenti nel museo di Baglio Anselmi, attraverso la costituzione di laboratori per il restauro archeologico e attività produttive e di ricerca legate alla tradizione enologica della città di Marsala. Alcune costruzioni, opportunamente liberate da superfetazioni di recente costruzione, ridaranno alla città nuove opportunità di aggregazione sociale e costituiranno un forte legame con il parco archeologico. Le aree di Porta Nuova e di Piazza della Vittoria accentueranno la già estesa rete di spazi pedonali del centro cittadino, che, nel nostro progetto, si estenderà per tutta la via Cesare Battisti, integrandosi con Villa Cavallotti, mentre, nel tratto di viale Isonzo, si manterrà l’accesso carrabile nei due sensi di marcia e, quindi, l’ingresso ai due parcheggi esistenti a servizio degli abitanti e dei visitatori del parco. Il tratto di Via Cesare Battisti sarà invece attraversato dai mezzi solo in casi di emergenza. Nel quadro di un disegno complessivo della mobilità, si è pensato di integrare nell’area nuovi spazi da dedicare esclusivamente alla sosta, questo sarà fatto attraverso la creazione di un nuovo parcheggio pubblico da porre sul mercato attraverso la gestione privato-pubblico (project financing) insediandolo nell’area del vecchio ospedale di via Colacasio, dopo il trasferimento della funzione ospedaliera in nuove strutture. Il parcheggio è stato pensato con tre elevazioni fuori terra sino alla quota del bastione di via C. Battisti, e si integra al sistema di verde di piazza Guglielmo Marconi. Dal tetto giardino del parcheggio si passa all’area pedonale del bastione attraverso un piccolo percorso in quota, sino a raggiungere il parco archeologico attraverso la zona alberata di Villa Cavallotti. La necessità di limitare il confine del parco archeologico e di mantenerne la permeabilità visiva, soprattutto nell’area adiacente alla città, ci ha indotto a pensare il confine-bordo del sistema di spazi pubblici, con un continuo e discreto porticato, fatto di strutture esili e leggere, a cui affidare, insieme a un filare di piccole alberature, la protezione dell’area archeologica e la costruzione dello spazio di piazza Vittoria. Le aree pubbliche saranno dotate di elementi d’informazione turistica sulla storia dell’area archeologica e sulla città, disponendo di nuovi sistemi di comunicazione visiva multimediale da porre lungo tutti i tracciati del parco oltre che all’interno delle nuove strutture per le attività produttive lungo la via Boeo.
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Alle pagine 12 e 13 Vista di Piazza Vittoria sull’asse del Decumano Massimo. Schizzo di studio. In queste pagine Il Decumano Massimo e il viale pedonale. Veduta di Piazza Vittoria e dell’asse di via Isonzo. Alle pagine 16 e 17 Schizzo di studio. Il lungomare e la sistemazione di Capo Boeo. Planimetria generale dell’intervento.
16 Riqualificazione dell’area di “Porta Nuova” di Marsala Siciliae Terrae Fines Progetto Francesco Cellini [Capogruppo], Nicola Piazza, Maria Margherita Sagarra Lagunes, Tomaso Garigliano, Giovanni Nuzzo Luogo Marsala Collaboratori Domenico Max Nuzzo, Fabio Dell’Oglio, Gaia Restivo Committente Comune di Marsala Cronologia 2009 [Concorso Internazionale di idee in due fasi, Primo Premio]
Francesco Cellini (1944) laureato alla facoltà di Architettura di Roma, è professore ordinario di Composizione Architettonica. Ha insegnato alla Sapienza, a Palermo e, dal 1994, a Roma Tre, dove è preside dal 1997. Ha pubblicato testi e saggi storico-critici (sull’opera di Ridolfi, Gabetti e Isola, ecc.) e di carattere tecnico e didattico, ha fatto parte della redazione di “Controspazio”, è direttore scientifico di collane editoriali. Ha curato, come promotore e responsabile scientifico, importanti mostre di architettura e arte, in particolare per la Biennale di Venezia. Ha una lunga attività professionale, costituita da oltre duecento progetti, prevalentemente per opere pubbliche, commissionate da istituzioni, da alcune delle più importanti società di progettazione italiane, o realizzate dopo la vittoria in concorsi internazionali e nazionali. Nominato accademico nazionale di San Luca per la sua opera di architetto, ha ricevuto, nel 1991, il premio internazionale della Biennale di Venezia e, nel 1996, il premio “Presidente della Repubblica”.
NICOLA PIAZZA (1963) si laurea a Palermo nel 1988. Dopo una breve esperienza come assistente del prof. Francesco Cellini nei corsi di progettazione architettonica nella Facoltà di Architettura di Palermo, ha maturato la sua esperienza professionale nell’ambito dei lavori pubblici. Opera nel campo della progettazione architettonica e urbana, si occupa di restauro e ristrutturazione di edifici storici e partecipa a concorsi di progettazione nazionali e internazionali. Nel 1996 vince il 1° premio al concorso internazionale Europan 4 per la riqualificazione dell’area della fornace Frazzi a Cremona. Nel 2005 è invitato per la Sicilia al 2° Festival dell’Architettura di Parma - sezione “Nuovi Laici”. Nel 2005 vince con Pasquale Culotta e altri il concorso internazionale di progettazione del nuovo Auditorium di Isernia. Nel 2009, con Francesco Cellini e altri, vince il 1° premio al concorso internazionale per la riqualificazione dell’area di Piazza Vittoria e Capo Boeo a Marsala.
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Edilizia sociale a milano Massimo basile - floriana marotta
Il progetto, che prevedeva la realizzazione di 184 appartamenti, di alcuni servizi pubblici e di un parco di tre ettari, è stato concepito a partire dallo spazio pubblico, dalle relazioni che intrattiene con l’intorno, dalle potenzialità che sviluppa all’interno del quartiere Gallaratese, nella periferia di Milano. L’area d’intervento si colloca in un lotto stretto e lungo le cui sponde si affacciano rispettivamente a sud verso il fronte costruito di via Appennini, limite del quartiere residenziale, e a nord verso via Gallarate. Nel progetto si pone l’accento sull’aspetto sociale, sulla dimensione pubblica e comunitaria del quartiere, sulla necessità di creare luoghi di nuova “urbanità” in zone marginali della città. E’ un modo di concepire l’“abitare” strettamente legato alla dimensione comunitaria del quartiere, nella convinzione che intervenire sullo spazio pubblico permette non solo di attivare processi di riqualificazione urbana, ma soprattutto di recuperare una coscienza sociale in zone periferiche della città. Si è scelto di concentrare l’edificato in quattro punti all’interno dello spazio del parco. I nuclei edificati - volumi che si articolano intorno ad una piazza o ad un passaggio - generano una convivenza dell’uso privato e pubblico, dell’abitare e dei servizi al quartiere. Il concetto di “abitare” si estende allora agli spazi comunitari (sale riunioni, lavanderie, depositi comuni), agli spazi aperti, alle zone ludiche del parco e ai servizi sociali: asilo nido, centro socio-culturale e centro diurno per anziani. Le attività commerciali e le caffetterie diventano luoghi di attrazione per l’intero quartiere. Il parco e lo spazio pubblico strutturano l’intervento architettonico mettendo in relazione gli edifici, le zone verdi e i percorsi, in un discorso continuo e omogeneo. Un percorso pedonale est-ovest organizza l’insieme, relazionando le fasce verdi a nord e sud. Il parco si propone come un’estensione della via Appennini, diventando così spazio pubblico per l’intero quartiere Gallaratese, dotato di aree attrezzate distinte per uso e qualità dei materiali. Il problema dell’inquinamento acustico e della creazione di una barriera di protezione dal rumore stradale è stato affrontato con la volontà di mantenere la permeabilità tra strada e parco. Il sistema muro-collina di altezza variabile si configura come un elemento scultoreo del nuovo paesaggio di Via Gallarate, un paesaggio
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20 che si lascia perforare e ritagliare secondo le linee di accesso pedonale e che al suo interno accoglie in spazi semi-ipogei dei piccoli padiglioni di servizio al quartiere. I nuovi volumi si collocano all’interno del lotto in corrispondenza delle pause tra gli alti edifici della via Appennini, a sud. In questo modo viene garantito il massimo soleggiamento e viene preservata la vista dagli appartamenti. Negli appartamenti, caratterizzati da una distribuzione flessibile, si riducono al minimo gli spazi distributivi, le cucine sono quindi integrate nelle zone giorno o sono separate dai soggiorni mediante pannelli mobili. Gli alloggi sono disegnati con una particolare attenzione all’esposizione solare estovest e alla ventilazione incrociata. Godono tutti di ampie vetrate ad alto taglio termico e logge schermate con gelosie d’alluminio, luoghi di transizione tra interno ed esterno.
Nelle pagine precedenti Viste generali dell’intervento Ortofoto dell’area di progetto Piante degli alloggi tipo In queste pagine Il fronte sulla via Gallarate
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22 Abitare Milano. Residenza sociale in via Gallarate Progetto MAB Arquitectura [Massimo Basile, Floriana Marotta] Progetto definitivo ed esecutivo MAB Arquitectura, BMS Progetti Luogo Milano Progetto delle strutture G. Salvatoni Progetto degli impianti BETA Progetti srl Committente Comune di Milano Dati dimensionali Superficie Complesso 33.860 mq. | Superficie costruita 20.683 mq residenze + 9.216 mq parcheggio interrato Cronologia 2005 [Concorso Internazionale di progettazione, Primo Premio 2009 [Realizzazione Foto Paolo Riolzi
FLORIANA MAROTTA (1977) e MASSIMO BASILE (1976) nel 2004 a Barcellona fondano lo studio MAB ARQUITECTURA. Floriana Marotta si laurea a Palermo, studia all’Ecole d’Architecture de Luminy a Marsiglia e frequenta il Master in Arquitectura del Paisaje della UPC a Barcellona. Collabora con Xavier Costa e, fino al 2004, con lo studio MBM arquitectes. Massimo Basile studia alla Facoltà di Architettura di Palermo e all’Ecole d’Architecture de Luminy di Marsiglia. Collabora con lo studio Ferrater e con lo studio BAAS di Jordi Badia fino al 2004. Tra i progetti realizzati da MAB: l’Enoteca Miceli a Palermo, le Cantine Vinicole Barbera a Porto Palo di Menfi e l’intervento di Social Housing e parco urbano in Via Gallarate a Milano (1º premio per il concorso Abitare a Milano, in fase di ultimazione). Finalista, con MBM arquitectes, ai concorsi per la riqualificazione dell’area Santa Chiara a Pisa e in quello della Nuova Stazione Centrale di Bologna.
In queste pagine L’accesso ad uno degli edifici Planimetria generale dell’intervento Il giardino pubblico I prospetti dei blocchi residenziali Vista tridimensionale dell’intervento
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, Centralita urbana a roma Herman hertzberger - Marco scarpinato
Nuova Centralità Urbana a Roma Circondato da un parco urbano con giardino didattico e attrezzature per lo sport e il gioco, il Complesso Integrato di Scuole Elementare e Media e Servizi a Romanina accoglie spazi per la collettività quali palestra, auditorium, mensa e laboratori che, integrati agli spazi didattici, costituiscono una nuova centralità urbana nel quartiere di recente espansione nel X° Municipio. L’intervento fa parte del Programma di Qualità Urbana del Comune di Roma. L’edificio, ribassato rispetto alla quota stradale, occupa la parte centrale del lotto ed è compreso tra le aree a giardino prospicienti le vie principali e i viali laterali alberati con doppi filari di platani. Gli ingressi contrapposti delle scuole elementare e media costituiscono il fulcro del sistema insediativo e, senza ricorrere a soluzioni monumentali, accentuano l’immagine della strada come luogo urbano. Le due piazze, a quota inferiore rispetto alla strada, sono un luogo dove incontrarsi, giocare e sostare sulle gradinate d’accesso. L’edificio è composto dall’aggregazione lungo un percorso a spina di “unità base” caratterizzate da un patio centrale. Le “unità base” presentano diverse soluzioni distributive e ospitano varie tipologie di aule e laboratori. Per esaltare il valore della continuità tra le parti, tutte le aule possono essere aperte verso l’esterno e anche il sistema di distribuzione ospita delle isole attrezzate dove sostare in uno spazio contiguo ma esterno alla classe. I patii possono essere coperti con vetro o pergole e rappresentano un’estensione dello spazio didattico in cui svolgere varie attività: allestire orti e laboratori ecologici, inserire giochi, tavoli da lavoro e attrezzature sportive. La pavimentazione si alterna alla superficie erbosa su cui saranno impiantati alberi di Prunus Cerasifera, Mandorli e Melograni, essenze ricche di colori e profumi con differenti tempi di fioritura e fruttificazione. Agli ingressi saranno impiantate delle Betulle, essenze a foglia caduca con una ricca variazione cromatica in rapporto al ritmo delle stagioni. Gli spazi comuni, l’auditorium e la sala mensa, sono al piano terra in relazione con le piazze d’ingresso e, come la palestra, sono fruibili in orario extra scolastico.
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27 Complesso Scolastico e Giardino di quartiere Romanina Progetto A.T.P. Herman Hertzberger + Marco Scarpinato Luogo Roma Collaboratori Eva de Bruijn, Martine P. Drijftholt, Patrick G.C.J. Fransen, Vincenzo Guagliardo, Laurens Jan Ten Kate, Cornelius Kruten, Lucia Pierro, Heleen C.H. Reedijk, Dickens van der Werff, Carmelo Vitrano Progetto delle strutture ABT Consult BV [Concorso, Progetto Preliminare e Definitivo] Antonello Sferruzza [Progetto Esecutivo] Progetto degli impianti e benessere ambientale Francesco Nicolicchia Consulente per lo sviluppo di progetti educativi e interculturali Ariane Vervoorn Committente Comune di Roma Dati dimensionali Superficie Complesso 4.700 mq. | Superficie Parco urbano e giardino didattico 11.000 mq Cronologia 2005 [Concorso Internazionale di progettazione in due fasi “3 nuove scuole a Roma”, Primo Premio | 2005/2008 [Progetto preliminare, definitivo ed esecutivo | 2008/2011 [Realizzazione Foto Alberto Muciaccia
HERMAN HERTZBERGER (1932) laurea alla Technical University di Delft, ha insegnato alla
MARCO SCARPINATO (1965) laurea alla Facoltà di Architettura di Palermo e specializzato
Technical University di Delft, al Berlage Institute di Amsterdam ed è stato Visiting Professor in
in architettura dei giardini e Progetto del paesaggio. Dal 2002 al 2006 è docente a contratto
molte università internazionali. E’ stato redattore di “Forum” con Aldo van Eyck, Bakema e altri.
alla Facoltà di Architettura di Palermo. Fondatore di AutonomeForme, incentra la sua attività
E’ fondatore di AHH - Architectuurstudio Herman Hertzberger, la sua attività include residenze,
sull’individuazione di nuove strategie urbane collaborando con: Gustafson-Porter, Andreas Kipar,
studi urbanistici, teatri, uffici, scuole, shopping center e parchi giochi. I suoi lavori sono stati
Philippe Coignet, PolyformArkitekter, Sla e Field Operations. Partecipa a concorsi di progettazione
pubblicati su riviste e volumi internazionali ed esposti in tutto il mondo. Ha ricevuto riconoscimenti
internazionale tra cui: Nuova Sede della Provincia di Bergamo [2009, 3° Premio e Menzione con
accademici e numerosi premi, tra cui: Richard Neutra Award - Professional Excellence, Premio
Henning Larsen Architects]; Complesso integrato della Stazione di Bologna [2008, con Cruz y
Europa Architettura, Premio Fondazione Tetraktis, Premio BNA Association of Dutch Architects,
Ortiz]; Parco urbano, Museo e Centro della Milla Digital a Zaragoza [2006, 2° Premio]; Nuovo Polo
Premio Vitruvio ’98 Trayectoria Internacional, Leone D’Oro al Miglior Padiglione Straniero all’VIII
Giudiziario di Trento [2005, 2° Premio con Mecanoo]. Pubblica articoli e testi monografici. I suoi
Biennale di Venezia. E’ autore di articoli e volumi tradotti in varie lingue.
progetti sono esposti e pubblicati in Italia e all’estero. Vive e lavora tra i Paesi Bassi e la Sicilia.
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L’edificio adotta varie soluzioni per il raggiungimento del confort ambientale (termoigrometrico, illuminotecnico, acustico, permeabilità e qualità dell’aria) contenendo i costi di gestione e i consumi energetici. Realizzato con una struttura in
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calcestruzzo a facciavista e facciate continue in alluminio con vetri fonoassorbenti e termoisolanti, il complesso è caratterizzato dal rivestimento in mattoni delle facciate maggiori. Il giardino prospiciente Via Maso Finiguerra sarà realizzato in un secondo lotto funzionale e ha una superficie di 8.000 mq. Il giardino, arricchito con l’impianto di Tigli, Pinus Pinea e di un’alta Washingtonia Filifera, è disegnato dalla pista per la corsa all’aperto che circonda il teatro all’aperto, in calcestruzzo con sedili di legno, e la modellazione di un paesaggio artificiale in cui sostare e giocare. Lo spessore compreso tra la pista per la corsa all’aperto e gli elementi scavati è disegnato dal “labirinto di bolle”, un paesaggio di dune trattate con erba, terre e gomma colorata, in cui è possibile esperire la tattilità di superfici differenti e la variazione altimetrica in lieve rilevato. Nel “labirinto di bolle” che potrà anche essere utilizzato per allestire giardini temporanei ed esposizioni all’aperto sono impiantati Aranci senza spine mentre un compatto gruppo di Albizie definisce il fronte verso la scuola. L’area sportiva su Via Biagio Petrocelli ha una superficie di 3.000 mq. e comprende la palestra coperta e il campo sportivo polivalente all’aperto, ribassato rispetto al piano stradale per garantire l’isolamento acustico e l’accesso diretto dalla scuola; una gradinata raccorda la quota del campo alla strada superiore e permette di assistere alle partite all’aperto. Tra l’area sportiva e la via strada sono impiantate Lavanda, Rosmarino, Tagetes e alberi di Hibiscus. L’alternanza e le relazioni tra l’interno e l’esterno costituiscono l’assunto che permette al Complesso Integrato di Scuole Elementare e Media e Servizi a Romanina di essere “adatto” ad accogliere la pluralità dell’esperienza educativa ponendosi in continuità con la vita del quartiere per realizzare un progetto sostenibile in termini ambientali e sociali. Calibrando e alternando spazi più raccolti per l’individualità con spazi più ampi per la socialità, il progetto offre a coloro che lo abiteranno la possibilità di scegliere, a secondo delle esigenze, la propria posizione nello spazio fisico, in un ritmo, che senza cesure, si svolge con naturalezza.
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Alle pagine 24 e 25 Vista dell’auditorium e della zona ristorante del complesso scolastico Un dettaglio del modello di studio Alle pagine 26 e 27 Vista tridimensionale dell’intervento e l’abaco delle essenze Vista della zona d’ingresso alla scuola e della facciata in mattoni Un’immagine del cantiere sul lato occidentale Dettaglio costruttivo della facciata continua I fronti principali In queste pagine Alcune immagini del cantiere Sezione longitudinale Pianta del primo livello
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nuovo Auditorium a isernia Pasquale Culotta
Il Nuovo Auditorium della città di Isernia incardina una molteplicità di aree d’interesse urbano. La loro contiguità e le specifiche qualità e potenzialità possono innescare sinergicamente, amplificandole, alcune relazioni urbane. Relazioni che si possono considerare connesse alle attività dell’Auditorium. Il volume semplice, originato da un rettangolo di base, è strutturato da una maglia geometrica ordinata secondo la direzione dell’asse nord-sud, con un ‘passo’ rapportato alla dimensione trasversale della Sala Grande (800 posti) e della Seconda Sala (200 posti) dell’Auditorium. Il polo delle funzioni parallele ha trovato organizzazione e forma in un corpo a se stante con due elevazioni, situato sul bordo sud dell’area d’intervento, in una posizione strategica rispetto gli ingressi dei vestiboli dell’Auditorium e agli ingressi nella piazza dalle diverse provenienze urbane. Il raccordo pedonale tra il marciapiede di via Giovanni XXIII (bordo del parco fluviale), il reticolo delle strade secondarie delle case a sud del campo sportivo e la piazza dell’Auditorium è risolto con una scala e un ascensore tra due lame strutturali che danno forma alla torre ‘led’. La torre, alta 43 metri, è icona e architettura della comunicazione del Polo culturaleambientale. Il sistema dei led luminosi sulle sue due facce rende visibile e riconoscibile da considerevoli distanze la torre, rendendo quindi identificabile sia la presenza dell’Auditorium e sia la comunicazione del Polo culturale e immettendo nella città un segno spaziale fisso nella posizione della torre e mutevole nella figurazione della comunicazione degli eventi d’arte e degli inserti pubblicitari. La piazza delle Muse introduce nella città l’estetica di un luogo metafisico. Un luogo da ammirare, da attraversare, da usare per incontrarsi e chiacchierare con gli amici. Il paramento del suolo, in lastre di travertino, si estende con la stessa tessitura sull’Auditorium, dal basamento sino alla linea di coronamento. Sulla continuità monomaterica e monocromatica del suolo della piazza e del prospetto della fabbrica dell’Auditorium, con l’inserimento sul pavimento e sul coronamento di due gruppi
31 Nuovo Auditorium della Città di Isernia Progetto Pasquale Culotta [Capogrupppo], Nicola Piazza, Federico Verderosa, Tania Culotta, Rocco Lettieri, Nicola Zarra, Giovanni Lopes [giovane progettista], Giuseppe De Gianni, Maurizio De Vincenzi, Emanuela Sassi Luogo Isernia Progetto delle strutture Michele Mele [MCA Advanced Engineering, Benedetto Guarino Progetto degli impianti Giovanni Pecorella Committente Comune di Isernia Dati dimensionali Superficie 24.000 mq. | Sala Grande [800 posti], Seconda Sala [200 posti] Cronologia 2005 [Concorso Internazionale di progettazione, Primo Premio Pasquale Culotta (Cefalù 1939 – Lioni 2006) si laurea a Palermo nel 1965. Nel 1963 è assessore all’Urbanistica al Comune di Cefalù dove, nel 1964, incarica Giuseppe Samonà della redazione del Piano Regolatore Generale di Cefalù. Non ancora laureato apre con Giuseppe Leone lo Studio Associato di Architettura. L’amicizia con Edoardo Caracciolo lo porta a contatto con le questioni più impellenti del rinnovamento culturale e sociale facendogli frequentare Carlo Doglio e Danilo Dolci e le loro esperienze di pianificazione “dal basso”. La rottura dell’isolamento culturale che queste e altre esperienze inducono nella Sicilia di quegli anni (per esempio quella del “Villaggio Monte degli Ulivi” a Riesi) costituiscono l’avvio della costruzione di un pensiero bilanciato tra la dimensione locale e globale. Nei primi anni ‘70 collabora ai corsi di composizione architettonica di Gino Pollini a Palermo e conosce Vittorio Gregotti, anch’egli docente in quell’università. Sono di questi anni le esperienze di didattica e progetto presso i centri minori siciliani (Gratteri, Aliminusa, Sclafani Bagni) che condurranno nel 1996 al Simposio “Architettura per il terzo Millennio” a Geraci Siculo. Dal 1986 è stato professore ordinario di Progettazione Architettonica presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo, di cui è stato preside dal 1989 al 1996. Nel 1987 è chiamato dalla Triennale di Milano per la definizione dei progetti su “L’architettura della circonvallazione di Palermo” per la XVII edizione della Mostra, che diventerà uno dei temi fondativi delle sue proposte per Palermo, insieme a quella per la sistemazione della costa e degli approdi. Nel 1996 ha ottenuto con Giuseppe Leone il Premio Nazionale “Luigi Cosenza”. Dal 1999 è Accademico di San Luca. La sua attività editoriale spazia dalla direzione di giornali d’architettura (In Architettura), all’“invenzione” di case editrici (Medina), alla collaborazione con alcune delle più grandi testate italiane (Area, D’Architettura). Tra i suoi progetti e realizzazioni, pubblicati nelle maggiori riviste di architettura: la Facoltà di Architettura di Palermo (con Laudicina, Leone, Marra) e gli interventi a Cefalù (la ristrutturazione del Municipio, l’ex Convento di S. Domenico, e, tra gli altri, i percorsi del Fronte a mare). Recentemente, dopo la separazione da Leone, con lo studio Culotta Associati aveva partecipato a numerosi concorsi di progettazione; tra quelli vinti (corso di definizione): il progetto per la valorizzazione di alcune aree e luoghi pubblici a Benevento e quello per un centro polifunzionale a Isernia.
32 scultorei in bronzo dorato (le Muse), si creano due fuochi spaziali e prospettici verso la Galleria di attraversamento per raggiungere la seconda piazza. La piazza dell’Auditorium è un luogo di animazione sociale prima e dopo gli eventi artistici. Su questo spazio urbano si aprono gli ingressi dell’Auditorium, quelli dell’“Isernia Info Point” e tutti i collegamenti verticali tra i vari piani dei servizi urbani e dell’Auditorium. La Galleria dei mosaici ha forma strombata a cannocchiale verso la parte ‘alta’ (la piazza dell’Auditorium) ed è delimitata dalle pareti vetrate dei negozi e del ristorante sul lato ovest, del foyer-bar della Sala Grande dell’Auditorium sul lato est. La luminosità diurna della Galleria, tra la luce d’ingresso e di uscita dalle piazze, è modulata dalla luce ‘alta’, che filtra attraverso lo stacco della copertura dal muro di coronamento della fabbrica dell’Auditorium. Il Giardino dei Fiori e delle Esposizioni, posto in copertura, è un Giardino murato, un rettangolo regolare, circoscritto dalle mura perimetrali, un luogo per selezionare la vista dell’eterogeneo costruito adiacente e spingere lo sguardo verso le colline di Pesche e il mutevole colore del cielo; contiene una vegetazione pavimentale di fiori colorati ed essenze profumate di Isernia.
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Giardino dei fiori e delle composizioni
Sala esposizioni
Uffici amministrativi
Sala conferenze
Uffici amministrativi Isernia info point
Sala conferenza
Seconda sala dell’auditorium
Sala grande auditorium
Negozi - Ristorante
Foyer
Isernia info point
Torre “led”
Parcheggio
Parcheggio
A pagina 30 e 31 Schizzo dell’Auditorium d’Isernia La torre LED vista da via Giovanni XXIII La piazza delle Muse vista da via Risorgimento La galleria dei mosaici In queste pagine Schizzo del profilo Sezioni dell’edificio Esploso Schema della pianta A pagina 35 Schizzi degli interni
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Sulla strada per Emmaus Giuseppe Guerrera Andare, provare a dimenticare, eppure discutere dei fatti tragici che, in un momento, hanno sconvolto la vita di molte persone. O, forse, provare a superare le difficoltà nel sanare la ferita, guardando oltre, verso “nuovi doveri”1, quindi, necessariamente, ricordare. La prima volta che mi recai in vicolo Addolorata dovetti compiere una sorta di acrobazia, poiché per entrare nella minuscola redazione di In Architettura bisognava percorrere tre gradini e, contemporaneamente, abbassare la testa per non sbattere contro l’architrave della porta. Una grande stanza, con un’unica apertura la porta, era organizzata molto semplicemente con una scrivania parallela al lato lungo del vano, uno scaffale trasversale per i materiali di redazione e, in fondo, una grande tavolo per le riunioni e il lavoro. Unico strumento che potesse rimandare a una redazione, una macchina da scrivere, ed anche un telefono. Era poco, ma era tanto. In ogni caso l’impresa, e coloro che tentavano l’impresa, si erano insediati nel cuor del centro storico di Cefalù, decisi a portare avanti un nuovo discorso sull’architettura, nella misura in cui (come si diceva in quella stagione ancora sessantottina) gli obiettivi e i mezzi per raggiungerli erano piuttosto incommensurabili. Ma qui non desidero parlare di questo, entrare nel merito del fatto e del non fatto. Altri, se vorranno, potranno elaborare una critica, dire se fummo avanguardia o continuatori di un processo. Dunque, sulla strada per Emmaus sarà meglio raccontare i fatti, piuttosto che elaborare critiche su se stessi. La stessa sensazione di stupore, credo, la ebbe qualche anno dopo Franco Zagari, presidente dell’Inarch, alto quanto me e quindi con lo stesso problema nell’accedere nello spazio della redazione di In Architettura . In occasione di un convegno su un ipotetico giardino da costruirsi sulla Rocca di Cefalù, gli avevo parlato del Giornale della progettazione (sottotitolo iniziale di In Architettura ), del lavoro notturno e domenicale in redazione, degli obiettivi che Pasquale Culotta ci proponeva. Franco Zagari, curioso, accettò l’invito a visitare la redazione, che si trovava proprio alle spalle del Municipio dove si teneva il Convegno, e subito, resosi conto della ricchezza e della novità di quella piccola impresa, ci propose di organizzare una presentazione di In Architettura a Roma, nella mitica sede di Palazzo Taverna. Era un’occasione, ne parlammo in redazione, e decidemmo di organizzare la presentazione della rivista con una mostra sui Giovani architetti in Sicilia. Pasquale Culotta non ebbe dubbi su chi presentare. Non una scuola, non un gruppo, ma un’ampia sezione di progettisti che, in quel momento, operavano in Sicilia. Era un quadro il più ampio possibile che bisognava presentare, da discutere eventualmente negli esiti2. Adesso, guardando quei semplici disegni, impaginati nel volume che decidemmo di pubblicare come catalogo della mostra, ci si commuove per l’ingenuità con cui iniziammo l’impresa. Quella prima mostra andò a Mendrisio3 (paesino sconosciuto del Ticino, non ancora assorto alle cronache nobili della formazione universitaria) con una presentazione di Alberto Sartoris (mitico autore dell’Encyclopédie de l’architecture nouvelle) e anche a Tagliacozzo (1986) dove si stava formando un altro gruppo locale guidato da Pino Scaglione, che guardava con attenzione alle iniziative di Cefalù. Ma la mossa decisiva la fece Casabella, la più importante rivista di architettura italiana di quel momento, che dedicò un ampio spazio e
35 commenti benevoli all’iniziativa di In Architettura . Un’iniziativa inattesa, eppure così chiara nelle strategie di partenza, poiché era ispirata da uno dei maggiori innovatori dell’editoria italiana, Elio Vittorini che con Il politecnico aveva rinnovato la critica letteraria e, quindi, la letteratura italiana. Solo che, mentre Vittorini operava a Milano, Pasquale Culotta non volle mai staccarsi da Cefalù, anche se negli ultimi anni stava più sull’aereo e in auto che nel suo studio, per “tessere la tela”, com’era solito dire per rappresentare la sua incessante azione tra i diversi ambiti culturali italiani, ma anche la sua attività professionale che, negli ultimi anni, lo portava in giro per l’Italia4. Inattesa perché distante dai circuiti e dai centri di elaborazione romani e milanesi, perché proponeva un’idea di critica di architettura, dunque una rivista che fosse strumento di conoscenza ed elaborazione di un pensiero sull’architettura, partendo dal modo in cui era fatta la presentazione delle opere. In Architettura non parlava di linguaggi, teorie, forme astratte. In Architettura
mostrava le
opere nella loro verità, fotografate dagli autori, pubblicando normali disegni di studio. Si trattava spesso di piccole case o di progetti pensati e descritti per la realizzazione. Mentre le grandi riviste discutevano dei massimi sistemi, In Architettura mostrava come Gino Pollini e i suoi collaboratori, tra cui Pasquale Culotta, avevano recuperato la sede della Facoltà di Architettura di via Maqueda nel centro storico di Palermo. Mentre la legislazione nazionale e regionale sfornava leggi urbanistiche senza fermare l’abusivismo, Pasquale Culotta in occasione della mostra Le città immaginate, un viaggio in Italia, organizzata dalla Triennale di Milano (1987), presentava il progetto per la rifondazione di Palermo attraverso la trasformazione della Circonvallazione in viale urbano. Mentre si esaltava il Piano per il Centro Storico di Bologna, lo studio Culotta & Leone a Cefalù aveva costruito l’EGV center (1979), un grande complesso edilizio capace di porsi in continuità con il centro storico - per la sua struttura urbana, linguaggio e monumentalità – e di costituire una cerniera spaziale tra periferia e centro. Queste e molte altre sono le azioni che la rivista In Architettura ha generato, sia in Sicilia sia altrove. Brevemente ricordiamo la seconda mostra Architetti in Sicilia (1986) presentata alla Southern California di Los Angeles e in altre università americane, la seconda edizione di Architetti in Sicilia tenuta a Caltagirone e a Palermo (1997), dove furono presentate 100 opere realizzate di 100 architetti. Il seminario di Geraci Siculo (1996) con l’Atlante dell’architettura nuova per il terzo millennio, i cui esiti sono stati esposti alla Triennale di Milano. La partecipazione dei membri della redazione ai seminari di Tagliacozzo, già citati, e alla realizzazione della rivista D’Architettura fondata e diretta da Pino Scaglione. I molti seminari, conferenze, mostre in cui siamo stati invitati. Ma, sulla strada per Emmaus5, non si può solo ricordare e disperarsi. Anche perché incontri qualcuno, forse ti guardi allo specchio, e capisci che devi tornare a Gerusalemme e da lì partire per un nuovo viaggio.
Giuseppe Guerrera (1948) laureato a Palermo, è professore ordinario di Composizione Architettonica e urbana alla Facoltà di Architettura di Palermo e direttore del master di II livello “Architettura per l’archeologia”. Ha progettato e realizzato edifici pubblici e privati, pubblicati ed esposti in Italia e all’estero. Ha partecipato alla mostra “Le città immaginate”, organizzata dalla XVII Triennale di Milano. Le sue ricerche sulle aree archeologiche svolte in collaborazione con la Soprintendenza di Trapani sono state presentate all’Università Moderna di Lisbona (PT) e ha progettato il nuovo ingresso al Parco Archeologico di Selinunte, lato Triscina Manicalunga. Ha pubblicato vari saggi e numeri monografici sulla città italiana contemporanea. E’ stato caporedattore di In Architettura e direttore editoriale dell’editrice Medina. Le ultime ricerche sulla città contemporanea sono pubblicate nei volumi Il progetto urbano per Palermo, Fondare città, la città dell’accoglienza e La Sicilia città dei tre mari.
sulla strada per Emmaus , non si puo solo ricordare e disperarsi 1| I “nuovi doveri” sono richiamati da Pasquale Culotta nell’editoriale del n° 1 di In Architettura e corrispondono agli astratti furori citati da Elio Vittorini nelle pagine introduttive di Conversazione in Sicilia. 2| Giovani architetti in Sicilia, Roma, Palazzo Taverna, 1985 3| La tappa di Mendrisio (1986) è stata organizzata da Rudy Hunziker con un nuovo catalogo e nuove presentazioni tra cui quella di Alberto Sartoris che in quel periodo frequentava Palermo, 4| Bisogna purtroppo ricordare che Pasquale Culotta è morto proprio durante uno di questi viaggi nel comune di Lioni in Irpinia 5| Il titolo di questo testo ed il suo contenuto prende le mosse da un articolo di Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, pubblicato su Il sole 24 ore di domenica 23 agosto 2009 ed è chiaramente riferito alla prematura scomparsa di Pasquale Culotta.
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giardino urbano a bagheria luca bullaro
37 Giardino Pubblico a Bagheria Progetto Luca Bullaro Luogo Bagheria Collaboratori Domenica Mistretta, Armando Grench [Modellazione 3D] Paesaggio Giulia Camerata, Maria Paula Vallejo Progetto delle strutture Santo Mineo Progetto degli impianti Paolo Rizzolo Risparmio energetico Leonardo Lo Coco Committente Comune di Bagheria Dati dimensionali 4.900 mq Cronologia 2004-2009 Progetto 2008-2009 Realizzazione Foto Luca Bullaro
Luca Bullaro (1976) laurea e dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica all’Università di Palermo, Master in “Arquitectura: Critica y Proyecto” all’ETSAB di Barcelona. Visiting Professor all’Universidad Nacional de Medellin. Ha lavorato nello studio EMBT MirallesTagliabue a Barcellona e Cannatà-Fernandes a Oporto e con Pasquale Culotta e Vincenzo Melluso a Palermo. Nel 2005 vince il “Premio Europeo di Architettura Sacra, Fondazione Frate Sole di Pavia” con il progetto del Centro Parrocchiale Santa Lucia a Gela. Nel 2007 menzione Speciale al concorso internazionale per la Riqualificazione di Mondello (con V. Melluso e W. Angonese). “Premio Quadranti - G.B. Vaccarini” e Menzione d’Onore “Spazi e infrastrutture pubbliche” alla “Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana, Triennale di Milano” nel 2009 con il progetto per il Giardino pubblico di Bagheria. I suoi progetti sono stati esposti in Italia e all’estero.
Il giardino si trova nel centro urbano di Bagheria, a pochi metri dagli accessi delle ville Palagonia, Trabia e Valguarnera. La parte completata è una piccola porzione del più ampio progetto di riconfigurazione di Corso Umberto I, arteria storica e commerciale del centro antico della città, che unisce la piazza Madrice con la piazza Garibaldi, anch’essa in fase di riqualificazione. Il progetto prevede la riconfigurazione delle strade carrabili che circondano il giardino, del sistema dei parcheggi pubblici e dei marciapiedi che sono stati notevolmente ampliati in modo da invogliare i cittadini a percorrere a piedi il cuore di Bagheria. La conformazione del giardino nasce dallo studio dei flussi pedonali e dalla volontà di creare un sistema di percorsi che si snodano attorno agli alti alberi esistenti. Alcuni ampliamenti spaziali del percorso, posti in corrispondenza dei nodi più frequentati, si configurano come dei piccoli luoghi di sosta caratterizzati dalla presenza di comode sedute e di un ampio specchio d’acqua. Le zone adiacenti al sistema dei parcheggi sono pavimentate con pietra grigia del tipo Billiemi; quelle all’interno del giardino sono in ciottoli di fiume dalla tonalità grigia, tipici della tradizione costruttiva bagherese, intervallati da filari in pietra della larghezza di venti centimetri, che seguono le diverse giaciture dei filari dei marciapiedi adiacenti. Nel progetto, si è voluto reinterpretare il sistema delle pavimentazioni tradizionali utilizzando materiali e colori del luogo, introducendo però geometrie e scansioni inedite. I muri di contenimento delle zone verdi si piegano a formare delle ampie sedute in calcestruzzo armato rivestite con lastre di travertino sotto alle quali sono posti i punti luce; in questo modo si crea un’illuminazione radente al suolo in cui gli apparecchi sono nascosti alla vista perché posti nell’intradosso delle panche a sbalzo. La fontana, dalla forma esagonale, ha il fondale rivestito con ciottoli di fiume dalla tonalità grigia. La seduta in calcestruzzo è realizzata a sbalzo sullo specchio d’acqua in modo che dall’intradosso sgorghi un piccolo rigagnolo d’acqua, ad allietare lo spazio con il suo suono.
In queste pagine Immagine dell’intervento Il dettaglio della pavimentazione Il dettaglio della panca
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In queste pagine Sezione Pianta Ortofoto e analisi del contesto urbano Vista dell’intervento A pagina 41 Vista dell’intervento
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40 Architetti dispersi Laureati nella Facoltà di Architettura di Palermo, con un rapporto di amore-odio per la loro terra e la loro Università, parecchi bravi architetti siciliani sono dispersi per l’Europa. Il viaggio è stato fin dagli anni dell’Università fonte di stimolo e apprendimento: la scoperta del colore di Le Corbusier, dei centri antichi liberati dalle automobili, dell’allegria urbana di Bilbao, del potere rilassante e formativo di una biblioteca senza barriere o di un museo aperto alla città. I piccoli hanno cominciato a crescere con i mesi trascorsi all’estero, con le occasioni offerte loro dalla borsa di studio Socrates-Erasmus e poi da quella Leonardo Da Vinci; esperienze fuori porta che, per molti, sembrano continuare con passione: tra Barcellona, Parigi, Londra, Lisbona o Rotterdam hanno acquisito una grande apertura mentale, fatta di nuove amicizie, delle lingue imparate, di libri diversi, del contatto con i nuovi architetti. Qualcuno ha scelto di ritornare o restare nell’Isola, dove comincia a trovare spazio nei piccoli centri, luoghi nei quali è più semplice cominciare a realizzare piccoli progetti. Pasquale Culotta, Marcello Panzarella e Bibi Leone sono stati importanti maestri pensatori, ri-creatori di una bella Cefalù a misura di pedone, che assieme al Monte degli Ulivi di Leonardo Ricci a Riesi sono servite da stimolo per i giovani appassionati. Si continua a dire che in Sicilia l’architettura sta attraversando un periodo di ripresa, di entusiasmo; è più corretto, credo, parlare di bravi architetti siciliani che, spesso, non operano nell’isola. La speranza è che tra qualche anno la situazione politica si svegli da questo letargo decennale e muova i dispersi a rientrare. C’è una quantità di lavoro enorme da fare: riprogettare per intero il sistema delle coste, ricreare dei luoghi a misura d’uomo, recuperare l’edilizia scadente costruita a partire dal dopoguerra, organizzare un piano strategico di parchi naturali e turistici, riconquistare la speranza di rendere più felici le nostre città, oggi piene di rumore, di sporcizia, dalle quali non si vede e non si sente il mare. Da qualche anno numerose iniziative fanno sperare in una ripresa d’interesse per i temi dell’architettura e del paesaggio in Sicilia. A Palermo si sono organizzate una serie di esposizioni nelle quali sono state presentate interessanti opere realizzate nell’isola; è appena terminata l’ultima esposizione nella quale le opere di dieci siciliani (Francesco Moncada, Marco Scarpinato, MAB, Architred solo per citarne qualcuno) erano poste accanto a quelle olandesi (Next Architects e PowerHouse Company). Ma, anche in questo caso, occorre sottolineare che gli autori di molti dei progetti presentati non vivono o non operano in Sicilia. A Catania il Premio Ance ha pubblicato nei mesi passati un inventario ben curato sulle recenti realizzazioni architettoniche siciliane. A Pedara l’instancabile Gaetano Pappalardo riesce da alcuni anni nell’organizzazione del Premio Quadranti d’Architettura intitolato a Giovan Battista Vaccarini per la valorizzazione dell’architettura contemporanea in Sicilia, un’iniziativa accompagnata da una mostra esaustiva dei progetti partecipanti al concorso. [Luca Bullaro
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persistente suggestione Marco Scarpinato
43 La presentazione presso la libreria Feltrinelli di Palermo del volume dedicato alle architetture di Orazio La Monaca edito da Edilstampa è stata l’occasione per mostrare la vitalità dell’architettura siciliana e riflettere sul ruolo dell’architetto oggi. Nel corso della presentazione, le argomentazioni sviluppate dagli ospiti invitati (Giuseppe Guerrera, Franco Porto, Luigi Prestinenza Puglisi e Michele Sbacchi) hanno riguardato la “fortuna” di Orazio La Monaca, questo perché in Sicilia accade di rado che un architetto possa realizzare molte architetture e lavorare perseguendo la qualità. Le riflessioni di Giuseppe Guerrera, inoltre, sono state imperniate sulla necessità di costituire un nuovo contratto sociale tra l’architetto e la società ed hanno suggerito il bisogno di ripensare il ruolo professionale dell’architetto considerandolo al di là delle mansioni professionali prestate (professionista, funzionario, docente), questo perché occorre dotarsi di regole condivise che pongano come principio cardine del proprio operato il fare urbanità. Queste considerazioni scaturiscono dalla necessità di progettare, nelle nostre città, architetture che non ambiscano a esprimere solo se stesse ma, anche, lo spazio della comunità. Nel passato, le città dell’isola hanno avuto l’ambizione di creare spazi civici e, all’interno di questo solco, questa qualità va recuperata e reinterpretata perché occorre credere nelle trasformazioni e lasciare un futuro urbano migliore di quello che oggi vediamo. Le architetture di Orazio La Monaca suggeriscono questa strada, poiché è come se l’architetto avesse saputo formalizzare un contratto sociale con la propria città esprimendo il valore civile del proprio operato. Il contratto sociale descritto da Jean-Jacques Rousseau è il momento nel quale il sujet, in modo consapevole e libero, costruisce la società definendo un patto che è di associazione e non di sottomissione. Facendo un parallelo, la figura dell’architetto appare oramai sottomessa a regole e ragioni sempre più estranee al fare architettura e ripiega sulla tecnologia alla moda piuttosto che sulla “tecnica del processo” capace di dare forma a un’architettura adatta al contesto e contemporanea. La necessità di un nuovo contratto sociale da istituire tra gli architetti e la società è il punto cardine sul quale riflettere. Il contratto sociale è, quindi, il momento in cui gli individui, giungendo a costituire la società attraverso un patto di associazione, cedono alla comunità la propria sovranità divenendo automaticamente sovrani di sé stessi. Rousseau pone, infine, al centro della sua riflessione il concetto di volontà generale che non è la somma delle volontà dei singoli. L’architetto, lavorando all’interno della società, deve tener conto di questo patto sociale definendo delle regole che tengano conto della volontà generale. I temi progettuali sviluppati da Orazio La Monaca sono descritti da Luigi Prestinenza Puglisi nelle pagine introduttive del libro. Tra questi, indicativo dell’attenzione al contesto e della capacità di istituire un contratto sociale con la comunità di appartenenza, emerge l’importanza dell’uso del legno che ricorre in molte architetture di La Monaca e che, egli stesso così descrive: “Amo il legno perché è un materiale caldo e flessibile. Inoltre gli artigiani locali sanno lavorarlo”. Dalla successiva conversazione avuta con Orazio La Monaca, è emersa, anche, la volontà di continuare a studiare l’architettura contemporanea e la sua letteratura come indispensabile strumento del progetto. L’interesse per il volume Complexity and Contradiction in Architecture di Robert Venturi, più volte citato durante la nostra conversazione, nasce dalla consapevolezza che lavorare in Sicilia significa operare all’interno di una realtà complessa le cui contraddizioni sono dovute allo scollamento che le riviste specializzate producono pubblicando preferibilmente progetti che sono innanzitutto frutto ed espressione di economie differenti. Restituire un frammento delle contraddizioni dell’architettura europea attraverso la pubblicazione delle proprie opere significa, comunque, essere all’interno di queste contraddizioni. In questo, Orazio La Monaca ritiene che la critica letteraria faccia fare riflessioni che l’esclusiva lettura dei testi di architettura non permette. Gli interni delle sue architetture sono vicini a quanto nella “Letteratura fantastica” di Tzvetan Todorov attribuisce al fantastico: “Colui che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote. [...] Il fantastico occupa il lasso di tempo di quest’incertezza; non appena si è scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il fantastico è l’esitazione provata da un essere, il quale conosce solo le leggi naturali, di fronte ad un avvenimento apparentemente soprannaturale”.
Architetture di Orazio La Monaca A pagina 42 In alto: Edificio per uffici e residenze a Castelvetrano In basso: Sede degli uffici del comune di Castelvetrano A pagina 45 In alto: Esperidi Park Hotel In basso: Casa Bonsignore
44 Guardando al metodo induttivo che sembra informare l’approccio di Orazio La Monaca, a quel “portar-dentro” la propria visione razionale con il potere del fantastico caro alla migliore tradizione siciliana, è emerso un architetto che progetta rispettando il “contratto sociale” stabilito con la società entro la quale lavora, ma capace di essere, al contempo, un architetto europeo. Nessuno si è ricordato di dire che si è discusso di architettura europea infrangendo quel divieto che considera “certa architettura contestualista” incapace di interpretare la contraddizione della contemporaneità. Non me ne vogliano gli ospiti invitati, faccio quest’appunto perché non credo in una Sicilia avulsa dal contesto euro-mediterraneo e relegata a un ruolo marginale ed esotico da colonizzare e ritengo che l’architettura qui prodotta, grazie alla particolare situazione geografica, possa parlare, con la stessa forza, al Nord e al Sud e senza dover necessariamente imitare in modo passivo stilemi lontani.
I progetti qui descritti sono di Orazio La Monaca e sono tratti dal libro Orazio La Monaca. Opere e Progetti. Ed. Edilstampa. ORAZIO LA MONACA (1957) laurea alla Facoltà di Architettura di Palermo. Tra i suoi lavori: Casa Lima (2005) e Casa Bonsignore (2006) a Castelvetrano. Tra i recenti progetti urbani: il nuovo edificio degli uffici comunali di Castelvetrano (Premio di Architettura Ance Catania; Premio G.B. Vaccarini “Quadranti d’Architettura” e menzione d’onore alla III edizione della Medaglia d’Oro all’Architettura italiana della Triennale di Milano) e la risistemazione dell’Aeroporto di Birgi. I suoi alberghi sono segnalati nella sezione “architettura d’interni” del Premio G. B. Vaccarini e gli fanno vincere il “Premio Internazionale Ischia di Architettura alla carriera per le strutture alberghiere”. Le sue opere sono state esposte in Sicilia, all’ultimo Congresso Mondiale degli Architetti di Torino e alla Triennale di Milano.
I singoli vedono il bene che non vogliono , la collettivita vuole il bene che non vede da Il Contratto Sociale di J. J. Rousseau
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URUK la città Uruk IV-III M a.C is the first stop of a journey, the first form of society that has decided to unite its resources, Jean-Jacques Rousseau’s “individual powers”, to reach a common goal without sacrificing its individuality. The city was born from the possibility to cultivate land and thanks to technological innovation (such as the horse-drawn plough) it accumulated surplus crops. The city therefore was born from the possibility to use these surpluses to pay for specialist workers to carry out non-agricultural roles such as organising the settlement of land, hence public offices, and the construction of water irrigation systems. Is the social pact that has united the human community for five – six thousand years, still valid? Or is it necessary to find another form of “social contract” given that necessity has now moved onto the level of human survival? Is it still possible to think of the city in the same way now, independently from the need to not consume primary resources? What do the architects have to say about this, and, above all, how is their work changing in the light of this new necessity, of a new social agreement that could unite the forces of the world’s inhabitants to guarantee the sustainable development of the cities? In number 0 of URUK we would like to present a review of a new type of architecture devised in Sicily. A preview of a documented research that we would like to develop in the coming editions of this magazine and which will promote and enhance the culture of architectural design. They are all projects that have particular focus on the construction of the city. | Uruk IV- 3000 av JC est la première étape d’un parcours, la première forme de société qui, comme l’explique Jean-Jacques Rousseau, décide librement d’unir les forces des individus afin d’atteindre un objectif partagé, sans pour autant renoncer à l’individualité. La ville naît de la possibilité de rationaliser la culture de la terre et d’accumuler des excédents alimentaires grâce aux innovations technologiques. La ville naît de la possibilité de payer le travail de spécialistes qui, grâce à ces excédents, pourront développer des activités non agricoles, réaliser des installations publiques, des infrastructures et des canaux pour l’irrigation. Le pacte social qui a régi pendant cinq à six mille ans la condition humaine est-il encore valable ? Ou bien est-il nécessaire de trouver une autre forme de « contrat social », étant donné que les nécessités se sont déplacées sur le plan de la survie de l’espèce humaine ? Est-il encore possible de penser la ville telle qu’elle a été construite il y a des milliers d’années, indépendamment de la nécessité de ne pas consommer les ressources primaires telles la terre, l’eau, l’air ? Qu’est-ce que les architectes ont à dire sur cette question, et surtout comment leur action individuelle change à la lumière d’une nouvelle nécessité, d’un nouveau pacte social qui puisse unir les forces des habitants de la terre pour continuer à exister ? Avec le numéro zéro de URUK nous présentons une première présentation d’architectures conçues en Sicile comme avant première d’un travail de documentation que nous voudrions développer dans les prochains numéros de la revue pour promouvoir et valoriser la culture du projet d’architecture. Tous ces projets sont réalisés et portent une attention particulière à la construction de la ville. Porta nuova a Marsala The “Porta Nuova” redevelopment project incorporates a large number of elements from a traditional park into a new vision for an urban walkway which starts from Piazza Vittoria, the pivotal point of the entire system. To this public space, envisioned as a pedestrian square, the existing city architecture is added, the Theatre, the axis of via Vittorio Veneto as an entrance to the park through the decumano massimo archaeological site, Villa Cavallotti and the hanging gardens on the Spanish rampart. | Le projet pour la restauration de « Porta Nuova » a l’ambition de remettre en jeu une grande partie des éléments du contexte urbain pour une nouvelle vision du complexe urbain paysager, à partir de la Piazza Vittoria, barycentre de l’ensemble du système de relations. Les différents éléments architecturaux se greffent sur cet espace public, pensé comme place piétonne : le Théâtre, l’axe de via Veneto comme entrée dans le parc, à travers la séquence des fouilles du maximum decumanus, via Cavallotti et le jardin suspendu posé sur le bastion espagnol. Edilizia sociale a Milano The project foresees the construction of 184 apartments, public services and a 12-acre park. It was developed from the idea of a public space, from its relationship with the surrounding area and from the developing potential inside the Gallaratese neighbourhood in the Milanese suburbs. The area of the project is sited on a long, thin plot and its borders face south towards via Appennini, at the edge of the residential quarter and north towards via Gallarate. This project emphasises the social aspect of redevelopment, public spaces and services, the neighbourhood community and the need to create new urban zones in the marginal areas of the city. | Le projet, qui prévoit la réalisation de 184 appartements, de services publics et d’un parc de trois hectares, a été conçu à partir de l’espace public, des potentialités qu’il offre à l’intérieur du quartier Gallaretese, à la périphérie de Milan. L’aire de l’intervention se trouve dans un lot étroit et long, dont les côtés bordent au sud le front construit de via Appenini, limite du quartier résidentiel, et au nord vers la via Gallarate. Le projet porte une attention particulière à l’aspect social, la dimension publique et communautaire du quartier, et à la nécessité de créer des lieux de nouvelle « urbanité » dans des zones marginales de la ville. Nuova Centralità a Roma Enclosed by an urban garden and by a teaching garden complete with sports equipment, the complex welcomes services for the community. A gym, auditorium, canteen and laboratories are integrated into a teaching space which constitutes a new urban centre in an area of recent expansion. The building, lower than the street level, occupies the centre of the plot, between the garden that fronts onto the main streets and the tree-lined side streets, planted with double rows of plane trees. The entrances to the elementary and middle schools are the pivots of the intersecting system, and without resorting to great flourishes, accentuate the image of the street as an urban place. The two squares, at a lower level to the street are places to meet, play and rest on the entrance steps. | Entouré d’un parc urbain avec un jardin didactique et des équipements pour le sport et les jeux, le complexe accueille des services pour la collectivité, tels une salle de sport, un auditorium, une salle de déjeuner, et des espaces pour des ateliers, qui, intégrés aux espaces didactiques, constituent une nouvelle centralité urbaine dans le quartier en expansion. Le bâtiment, situé plus bas que le niveau de la rue, occupe la partie centrale du lot et se situe entre les aires du jardin jouxtant les rues principales et les rues latérales plantées de platanes. Les entrées opposées des écoles primaires et du collège structurent le système architectural, et sans recourir à des solutions monumentales, accentuent l’image de la rue comme lieu urbain. Les deux places, situées à un niveau inférieur à celui de la rue, sont un lieu où de rencontre où on peut jouer et se reposer sur les escaliers d’accès. auditorium a isernia The New Auditorium in the city of Isernia houses many interesting urban areas. Their juxtaposition and their specific qualities and potential can set each other off, increasing their qualities and creating other urban relationships. Relationships that could be considered connected to the work of the Auditorium. The simple volume which originates from a rectangular base, is structured according to the direction of the north-south axis, following a rhythm referring to the cross-section dimension of the Sala Grande (800 seats) and Seconda Sala (200 seats). | Le Nouvel Auditorium de la ville de Isernia recueille une multiplicité d’aires d’intérêt urbain. Leur contiguité et leurs qualités spécifiques peuvent faciliter des synergies sur le plan urbain et amplifier les relations connectées aux activités de l’auditorium. Le volume simple, né d’une base rectangulaire, est structuré par un maillage géométrique ordonné selon un axe nord sud, selon un rythme rapporté à la dimension transversale de la Grande Salle (800 places) et de la Seconde Salle (200 places) de l’auditorium. Giardino a Bagheria The garden can be found in the urban centre of Bagheria, a few steps from the entrance of Villa Palagonia, Trabia and Valguarnera. The completed part is only a small portion of a bigger redevelopment project of Corso Umberto I, the historic and commercial artery of the city’s antique centre that unites Piazza Madrice with Piazza Garabaldi, also in redevelopment. The project foresees the redevelopment of the roads which encircle the garden, the public parking system and the pavements which have been notably widened to encourage the inhabitants of Bagheria to travel through the heart of Bagheria on foot. | Le jardin se trouve dans le centre urbain de Bagheria, à qualques mètres des villas Palagonia, Trabia e Valguarnera. La partie réalisée est un petit tronçon du projet de plus grande envergure de reconfiguration du Corso Umberto I, artère historique et commerciale du centre historique de la ville, qui unit la piazza Madrice avec la piazza Garibaldi, elle aussi en phase de rénovation. Le projet prévoit la reconfiguration des rues carrossables qui entourent le jardin, du système des parkings publics et des trottoirs qui ont été élargis de manière à inciter les citoyens à parcourir à pied les rues du cœur de Bagheria. Architetti dispersi For a few years now numerous initiatives have inspired hope for the resumption of interest in the areas of architecture and landscape in Sicily. A series of exhibitions have been organised in Palermo which have included projects completed on the island; the most recent exhibition in which work by ten Sicilian architects (Francesco Moncada, Marco Scarpinato, MAB, Archtred to name but a few) was displayed next to that of Dutch architects (Next Architects and Powerhouse), has just finished. Here it is also worth noting that many of the authors of projects presented neither live nor work in Sicily. In Catania, Premio Ance has published a detailed list on recently completed Sicilian architectural projects. In Pedara the Premio Quadranti d’Architettura prize was established in the memory of Giovan Battista Vaccarini and is overseen by the tireless Gaetano Pappalardo to champion contemporary architecture in Sicily. | Depuis quelques années, de nombreuses initiatives offrent un signe encourageant d’un nouvel intérêt pour les thèmes de l’architecture et du paysage en Sicile. A Palermo, une série d’expositions a présenté des œuvres réalisées sur l’île, dont la dernière, qui vient de se terminer, dans laquelle on pouvait voir les œuvres de dix Siciliens (Francesco Moncada, Marco Scarpinato, MAB, Architred pour en citer quelques-uns) à côté de réalisations néerlandaises (Next Architects et PowerHouse). Il convient de souligner qu’encore une fois, les auteurs de nombreux projets présentés ne vivent et ne travaillent pas en Sicile. A Catania, le Premio Ance a publié un inventaire de qualité sur les récentes réalisations architecturales siciliennes. A Pedara, l’infatigable Gaetano Pappalardo réussit depuis quelques années à organiser le Premio Quadranti d’Architecture, en l’honneur de Giovan Battista Vaccarini pour la valorisation de l’architecture contemporaine en Sicile. Persistente suggestione The presentation of a volume dedicated to the architecture of Orazio La Monaca, published by Edilstampa at Feltrinelli Bookshop in Palermo was the perfect occasion to demonstrate the vitality of Sicilian architecture and reflect upon the role of architecture today. During the presentation, the topics discussed by the invited guests (Giuseppe Guerrera, Franco Porto, Luigi Prestinenza Puglisi and Michele Sbacchi) concerned the “luck” of Orazio La Monaca., for an architect to complete so many architectural projects of such quality seldom happens in Sicily. | La présentation à la libraire Feltrinelli de Palermo du volume dédié à l’architecture de Orazio La Monaca, publié par Edilstampa a été l’occasion de montrer la vitalité de l’architecture sicilienne et de réfléchir au rôle de l’architecte aujourd’hui. Au cours de la présentation, les thématiques abordées par les invités (Giuseppe Guerrera, Franco Porto, Luigi Prestinenza Puglisi et Michele Sbacchi) ont fait référence à la « chance » de Orazio La Monaca, dans la mesure où il est rare en Sicile qu’un architecte puisse réaliser de nombreuses œuvres et garantir une qualité constante dans son travail.
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Il XXI secolo sarà ricordato come l’era urbana poiché, per la prima volta nella storia, più della metà della popolazione mondiale vive nelle città. Le riflessioni sulla forma, dimensione, densità e distribuzione della città ed il tema dello sviluppo sostenibile sono quindi divenute centrali. The Endless city, curato da Ricky Burdett e Deyan Sudjic, esplora le connessioni tra forma fisica e caratteristiche sociali della città documentando i risultati di Urban Age, la ricerca organizzata dalla London School of Economics e dalla Deutsche Bank’s Alfred Herrausen Society che ha raccolto un gruppo transdisciplinare in sei conferenze tenute a New York, Shanghai, Londra, Città del Messico, Johannesburg e Berlino per analizzare il futuro delle città e definire un’agenda per lo sviluppo sostenibile. Il volume mappa il DNA spaziale e sociale delle città esplorandone gli indicatori di crescita e i fattori strutturali, economici e sociali. Le sfide dell’era urbana sono descritte attraverso i contributi scientifici di alcune tra le voci più autorevoli nel campo dell’architettura, urbanistica, economia e politica, intersecandoli con mappe, diagrammi, statistiche e immagini fotografiche che catturano l’essenza della vita urbana. Richard Sennett rileva i pericoli insiti nell’eccesso di pianificazione e sostiene che le città devono rispondere dinamicamente a forze imprevedibili garantendo la partecipazione civica. I saggi di Rem Koolhaas, Alejandro ZaeraPolo, Jacques Herzog e Pierre de Meuron contengono riflessioni su come valorizzare l’ambiente costruito conciliando i molteplici fattori che s’intersecano nelle città. Saskia Sassen descrive l’impatto della globalizzazione attraverso i fenomeni di omologazione urbana che emergono a livello mondiale. Deyan Sudjic offre una panoramica dell’impatto della globalizzazione sulla forma urbana, l’economia e la politica. Le città consumano il 75% della produzione mondiale di energia e contribuiscono al 75% delle emissioni mondiali di carbonio, per questo anche un piccolo cambiamento nelle politiche ambientali urbane può avere un effetto rilevante sulla salute del pianeta. Un’importante sezione del volume è quindi dedicata alle correlazioni tra sostenibilità ambientale e sviluppo urbano e i saggi di Nicky Gavron, Guy Battle, Hermann Knoflacher, Philipp Rode e Geetam Tiwari descrivono le città come incubatori di nuove strategie sostenibili. I volumi La città di Massimo Cacciari [Pazzini 2004] e Manifesto del Terzo paesaggio di Gilles Clément [Quodlibet 2005] appaiono complementari e se ne propone la lettura come un unicum che offre delle chiavi d’interpretazione della città contemporanea. La complementarità emerge laddove Cacciari scrive: “Abbiamo dei territori la cui metrica non è più spaziale, non c’è più la possibilità di definire, come per la metropoli antica, i percorsi di diffusione o di delirio secondo assi spaziali precisi (qui il centro, lì la periferia) … queste logiche, tipiche della sistemazione urbana e metropolitana, sono tutte saltate. Le stesse funzioni si possono ritrovare dappertutto, specie se si accentua il grande problema del riuso dei vecchi spazi industriali; … lo sviluppo della città da metropoli a territorio non è dunque programmabile: questo è il dramma di tutti gli architetti e gli urbanisti”. Anche Clément assume come dato di fatto la scomparsa della metropoli laddove afferma che “il terzo paesaggio, territorio di diversità, è legato in modo diretto alla demografia” ed esalta il potenziale degli spazi residuali disseminati nelle città, “residui” che “derivano dall’abbandono di un’attività” e sono quindi caratterizzati da una “dinamica” che produce un paesaggio secondario ricco di specie pioniere. La riflessione di Cacciari sulle aree dismesse è reinterpretata da Gilles Clément come risorsa all’interno dei territori antropizzati e “il disinteresse per il terzo paesaggio da parte delle istituzioni garantisce il mantenimento e il dispiegamento della diversità”. Le così dette aree di margine, non programmate dagli urbanisti o abbandonate dall’istituzione, sono aree che innestano nuovi processi creativi all’interno delle città e, al proposito, Clément afferma “il terzo paesaggio, territorio di elezione della diversità, favorisce l’invenzione, si oppone alla accumulazione” e più avanti “uno spazio privo di terzo paesaggio sarebbe come uno spirito privo di inconscio. Una simile situazione perfetta, senza demoni, non esiste in alcuna cultura conosciuta”. Nella postfazione al Manifesto del terzo paesaggio Filippo De Pieri dice “sono molte le opere di Clément in cui la città appare sotto il segno di un giudizio negativo. E’ il luogo dell’architettura e dell’urbanistica, cioè dell’energia contraria, perché in architettura non usare energia contraria significa non esistere”. E più avanti “Se, come già osservava Gilles Deleuze, caratteristica della filosofia è la capacità di creare concetti, non vi è dubbio che Gilles Clément meriti pienamente il titolo di filosofo”, in questa lettura è interessante rilevare che il filosofo Cacciari, laddove investiga la città cogliendone le contraddizioni, esprime il pensiero del progettista: “La città contemporanea è la grande città, la metropoli (questo è infatti il tratto caratteristico della città moderna planetaria). Ogni forma urbis tradizionale è stata dissolta … Ora c’è un’unica forma urbis, o meglio un unico processo di dissoluzione di ogni identità urbana”. Il volume Uruk la prima città di Mario Liverani getta una nuova luce sulla nascita dell’urbanesimo e prende in esame quella che definisce la prima “città” (il che non implica che in precedenza non siano esistiti altri agglomerati umani): Uruk, posta sull’Eufrate nella bassa Mesopotamia e fondata intorno al 3.500 a. C. Nella “storia della questione” Liverani esamina gli studi che si sono occupati della nascita della città. Il dato di partenza è la teoria della rivoluzione urbana elaborata nei primi anni Quaranta dallo storico inglese V. Gordon Childe che, riprendendo la tradizione marxista ed evoluzionista ottocentesca, si concentrò sulla “accumulazione originaria (o primaria, o primitiva) ”: “Perché si dia luogo a un salto (quantitativo e qualitativo) tale da configurare una rivoluzione nel modo di produzione, occorre che la società sia innanzitutto in grado di produrre e accumulare una sostanziosa eccedenza, e secondariamente che essa decida di utilizzare tale eccedenza non già per maggiori consumi familiari, ma invece per costituire le infrastrutture e per mantenere gli specialisti e i dirigenti artefici della rivoluzione stessa”. Questa eccedenza sarebbe dovuta a un progresso tecnologico e all’estrema fertilità del terreno e sarebbe utilizzata per mantenere gli “specialisti” (non “produttivi”, nel senso che non creano cibo) e per realizzare le grandi opere (idrauliche e di edilizia religiosa), il tutto sotto la direzione e il coordinamento del “tempio”. Brussels: A Manifesto Towards the Capital of Europe, edito da NAI Publishers nel 2007 e curato da Pier Vittorio Aureli, Bernardina Borra, Joachim Declerck, Agata Mierzwa, Martino Tattara e Tom Weiss, è un volume che, insieme alla mostra itinerante inaugurata al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles nel marzo del 2007, documenta la ricerca “Brussels Capital of Europe”, sviluppata presso il Berlage Institute di Rotterdam a partire dal 2004 da un gruppo di architetti e urbanisti, coordinato da Pier Vittorio Aureli ed Elia Zenghelis. La capitale belga, sede di tutte le istituzioni europee, assume, tra gli altri, il ruolo rappresentativo della crisi degli spazi urbani europei, spazi incapaci di coniugare vivibilità e funzionalità. Il volume prova a rispondere ad alcune questioni: Bruxelles è davvero il luogo giusto per sviluppare la capitale d’Europa? In che modo può svolgere la sua missione europea ed esprimere coerentemente il progetto politico europeo? Come si manifesta la presenza europea nella città? Sconfessando chi interpreta Bruxelles come capitale accidentale dell’Europa, la ricerca ne rintraccia le qualità evidenti, nascoste e dimenticate, utilizzandole come componenti di un progetto urbano fondato sul rapporto tra la città, i cittadini e le istituzioni. Il volume documenta i progetti elaborati per nove aree urbane strategiche e contiene inoltre saggi teorici di Mario Tronti, Elia Zenghelis, Pier Vittorio Aureli, Géry Leloutre e Iwan Strauven. Se l’Europa è un luogo d’irriducibile diversità, allora Bruxelles, con la sua diversificazione sociale, politica e culturale, è la manifestazione dell’Europa nella forma di città capitale. Contro la retorica dell’Europa come un neutrale mosaico di differenze, il volume punta sulla varietà e la molteplicità come valore urbano e suggerisce che Bruxelles sia il miglior luogo possibile per lo sviluppo della capitale d’Europa prefigurando un superstato federale con caratteri lontani dall’Asia neo capitalista e dall’America imperialista e proponendo “un salto verso una nuova utopia politica al di là dell’egemonia del capitalismo mondiale”. La ricerca mira a ridefinire l’idea di città come istituzione culturale e politica focalizzando l’attenzione sulle relazioni tra forma architettonica, teoria politica e storia della città attraverso progetti urbani su larga scala. Partendo dalla ridefinizione del “quartiere europeo”, insediamento che è al contempo fonte di ricchezza sul profilo politico economico e causa d’indebolimento del patrimonio urbano, il progetto prevede lo spostamento del Parlamento europeo nella zona ovest della città, a Tour et Taxis, per favorire un rilancio di quest’antico centro vitale di Bruxelles e ridisegna nove siti strategici della città per formare un insieme coerente di edifici pubblici simbolici, funzioni urbane e nuove aree residenziali. Questa costellazione di artefatti urbani simbolicamente diffusi in tutta la città rappresenta l’archetipo di quella che il gruppo di ricerca interpreta come cifra della cultura urbana europea: l’arcipelago. Così facendo il progetto di architettura diventa l’elemento costitutivo di un nuovo progetto urbano capace di connettere il ruolo rappresentativo dell’architettura al futuro dell’Europa trasmettendone gli ideali culturali e politici. [a cura di Lucia Pierro e Marco Scarpinato
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Giampilieri Messina Ottobre 2009