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N.5 – Maggio 2017

per ogni ora. Nei paesi dove non esiste un’industria del trasporto, la gente riesce ad ottenere lo stesso risultato andando a piedi dovunque voglia, e il traffico assorbe dal 3 all’8 per cento del tempo sociale, anziché il 28 per cento.”

Elogio della bicicletta di Maria Luisa Polizzi

“L’americano tipo dedica ogni anno alla propria auto più di 1600 ore: ci sta seduto, in marcia e in sosta; la parcheggia e va a prenderla; si guadagna i soldi occorrenti per l’anticipo sul prezzo d’acquisto e per le rate mensili; lavora per pagare la benzina, i pedaggi dell’autostrada, l’assicurazione, il bollo, le multe. Ogni giorno passa quattro delle sue sedici ore di veglia o per la strada o occupato a mettere insieme i mezzi che l’auto richiede. E questa cifra non comprende il tempo speso in altre occupazioni imposte dal trasporto: quello che si trascorre in ospedale, in tribunale e in garage; quello che si passa guardando alla televisione gli spot pubblicitari sulle automobili, scorrendo pubblicazioni specializzate, partecipando a riunioni per l’educazione del consumatore in modo da saper fare un acquisto migliore alla prossima occasione”. È il 1973 quando Ivan Illich scrive le sue riflessioni su quanto e come l’industria del trasporto, in nome di una velocità superiore ai 25 chilometri orari della bicicletta, ha condizionato le nostre vite. Una maggiore velocità che in realtà non abbiamo mai raggiunto, perché la diffusione dell’automobile ha allargato il nostro raggio d’azione ed aumentato i tempi di percorrenza dei nostri tragitti quotidiani. Ha creato distanze non più percorribili a piedi o in bicicletta tra il luogo del lavoro e l’abitazione ed ha determinato scelte urbanistiche sempre più a portata di automobile, allontanando dal centro della città i luoghi che erano prima raggiungibili a piedi, come ospedali, negozi, campi da coltivare, etc... Di conseguenza, “l’americano tipo investe 1600 ore per fare 12000 chilometri: cioè appena sette chilometri e mezzo

Il titolo originale del libro, “Energie, vitesse et justice sociale”, ne anticipa con più efficacia il reale contenuto, che va oltre l’elogio della bicicletta, quale mezzo di trasporto contemporaneo dell’automobile e dagli innumerevoli effetti positivi sulla salute, sull’ambiente e sul benessere sociale. L’autore invita a riflettere su come la dipendenza dal trasporto “per gli spostamenti quotidiani”, abbia determinato palesi “contraddizioni tra la giustizia sociale e la potenza motorizzata.” Già quarant’anni fa, intuiva il rischio di una crescente divisione tra i pochi ricchi che possono godere di una vita di viaggi “fra punti remoti che la loro effimera presenza fa apparire rari e insieme allettanti” e tutti gli altri, la maggioranza, che non viaggiano ma si “spostano” in quello che definisce “il giro dell’oca che li riporta a casa”. Costretti a spostarsi sempre di più per lavorare, e a lavorare sempre di più per


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