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N.5 – Maggio 2017 convinzione di immortalità”che ne complica il rapporto con il proprio destino (Storia della morte in occidente; BUR Storia, 1982). L’idea della morte è ammessa solo in ambito medico ma lo specialista tanatologo può applicare il metodo scientifico solo ad una parte degli avvenimenti del fine vita in aiuto del paziente terminale e dei familiari che devono elaborare il lutto. Studiosi come Moody Jr. hanno affrontato la dimensione situata oltre il confine della biologia raccogliendo le testimonianze di pazienti restituiti alla vita dopo essere stati dichiarati clinicamente morti, esperienze peraltro destinate a divenire sempre più frequenti grazie anche alle tecniche di rianimazione.

Il libro tibetano del vivere e del morire di Paolo Salvatore Polizzi La consapevolezza della morte si accentua in occasione di situazioni in cui vi è un rischio significativo per la propria vita. In “ Il libro tibetano del vivere e del morire ”, scritto nel 1992 dal monaco buddista tibetano Sogyal Rinpoche, si narra di un incontro avvenuto nel 1976 a New York tra il maestro Dudjom Rinpoche ed una signora americana terrorizzata dalla prospettiva della propria morte imminente a causa di un cancro appena diagnosticato. Piangendo la signora fece presente la propria situazione al maestro ricevendone però come risposta un sorriso accompagnato da una semplice osservazione: “vede, tutti stiamo morendo. È solo questione di tempo. Semplicemente, alcuni di noi muoiono prima di altri”. Tale risposta riuscì ad indurre nella donna una visione più universale della morte attenuandone l’angoscia; successivamente le venne assegnato anche un esercizio mentale per affrontare la situazione critica. Questo libro costituisce una preziosa fonte di informazioni integrative utili alla comprensione di un testo classico della cultura buddista, “ Il libro tibetano dei morti ”. Entrambi i libri sono stati pubblicati in Italia dalla Ubaldini ma è possibile reperire su internet copie gratuite in formato pdf. Sogyal Rinpoche è giunto in Occidente a seguito della occupazione cinese del Tibet ed è rimasto profondamente turbato dallo stridente contrasto presente nelle società tecnologicamente avanzate, che ignorano le esigenze più profonde dell’animo umano e rimuovono argomenti inevitabili come la morte. Per dirla con lo storico P. Ariès, da oltre un secolo è presente nell’uomo tecnologico una “intima

Quello che il maestro Sogyal propone si spinge molto oltre: “Il libro tibetano del vivere e del morire” introduce il lettore ad una sorprendente ars moriendi orientale, arricchita ed elaborata nel corso di secoli da sofisticati pensatori, in grado di stimolare approcci personali e critici su un argomento che in Occidente si tende ad evitare. Ipotizziamo per un momento che un individuo, assuefatto all’unica realtà che conosce, quella materiale, scopra all’improvviso di essere morto e di aver abbandonato il proprio corpo pur continuando ancora ad esistere come puro pensiero ed emozioni in una nuova dimensione sconosciuta. Normalmente la mente dell’uomo affronta con fatica situazioni stressanti, isolamento e cambiamenti radicali nel corso dell’esistenza terrena, sperimentando crisi di adattamento, angoscia e reazioni psicotiche, non è difficile immaginare quindi come la stessa mente collocata in un contesto di “vuoto”, privo di riferimenti materiali e temporali, possa


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