Weakcity

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Elisa C. Cattaneo

WEAKCITY

notes on Landscape Urbanism


“Quando saremo lontani da questo piccolo paese in cui siamo nati e viviamo, quando finalmente ci sentiremo nascere dentro amore e nostalgia per le cose che oggi ci circondano e mortalmente ci annoiano - di queste povere case ammucchiate, di queste persone che ogni giorno incontriamo, il nostro ricordo riuscira’ forse a comporre una di quelle infantili e amorevoli costruzioni in cui cubetti di legno e figurine di coccio fanno affettuosa armonia; una povera e incantata armonia. Come uno di quei presepi a cui intorno al Natale si affaccendano grandi e piccini e che, dal re all’acquaiolo, raccolgono tutte le umane attivita’ e significazioni. Quello sara’ veramente il nostro paese: perche’ la lontananza dara’ dolci cadenze alla noia di oggi e all’angustia; e diventera’ un po’ amore quel che ora e’ insofferenza e reazione. Intanto, poiche’ ancora in nessun modo lo amiamo, una pausa della nostra insofferenza ci permette di immaginare come sara’ nel ricordo di noi lontani, come nascera’ quell’insieme nitido, minuscolo come un Presepe”. L. Sciascia, Paese con figure, 1949

Cambridge, agosto 2011


“Guarda a tutt’occhi, guarda” J. Verne, Michele Strogoff, 1876


contents AKNOWLEDGMENT

0. WEAKCITY

Un testo, una parola, un tema 0.1. WEAKCITY. Manifesto 0.2. INIZIARE. Parentesi e Pretesti IL CORTOCIRCUITO Parentesi scientifica: nel crinale del rapporto Spazio/Luogo/Contesto/Landscape

IL PRETESTO I. de Sola’ Morales, Weak Architecture

I. WEAK COME PAROLA: PROIEZIONI Nelle derive dei significati I.1 Prendere (la) parola Etimologia proiettiva I.2 Debole-Weak. Etimologia di un termine ossimorico Etimologia proiettiva

II. WEAK COME METODO TEORICO: JE EST UN AUTRE Regole del gioco.

II.1 Cosa cantano le Sirene Su Mallarme’, Calvino e l’opera aperta II.2 Su Gödel, sui sistemi non lineari e sulle previsioni meteo Complessita’ ed esclusione dei paradigmi II.3 Perdere (il) tempo Sulle cose trasparenti, su Fellini, Nabokov, ipermnesie, criptomnesie, allomnesie, distrazioni Cortocircuito del tempo e della storia II.4 Sul Barocco Architettura retorica e decorativa II.5 Sulla diversione barocca Diritto all’opacita’ e divenire minoritario

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III. WEAK COME STRUMENTO. MANGIARE O PARLARE?

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Strutture paradossali

III.1 Gioco e paradosso Cortocircuiti nel saputo III.2 Language to be looked, things to be read Affinità transdisciplinari e non divisibilità del sapere III.3 Éclats e parole esoteriche Strumenti di ricongizione provvisoria III.4 Salome’. E la Gaia Scienza La mappa come progetto paradossale e transdisciplinare

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IV. WEAK COME VERBO: LA DENSITA’ DEL VUOTO

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Strategie urbane

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IV.0 Weakcity o la citta’ policroma Dialogie IV.1 Relazionare: lo spazio fisiologico/non formale Contro lo spazio in posa IV.2 Glossare/Molecolare. Scrivere a latere (note a margine) Nuove disgiunzioni. La fine della sintesi IV.3 Capovolgere/Consumare/Frugare nel resto La negativita’ desiderata IV.4 Obliterare Entropie/Ephemeralizzazioni

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V. WEAK COME AGGETTIVO: TERRITORI IN BRAILLE E TECNONATURALI Strutture-Dispositivi

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V.0 Etimologia degli spazi neutri e potenziali V.1 Field performativi. Territori non figurativi Braille e superfici potenziali V.2 Territori ecologici/infrafree/evolutivi Tecnonatura


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Aknowledgment Elisa C. Cattaneo Cambridge, Harvard University, Graduate School of Design, agosto 2011

Italo Calvino, nell’appendice alle Lezioni Americane, introduce la chiave per costruire una ricerca, un progetto e, di conseguenza, un modo di vedere la realta’ e dell’avere vita in essa. Cio’ che trovo interessante di Calvino e’ lo sguardo sul reale, l’interpretazione della realta’ come universo infi nito di possibilita’, universo trasformabile, manipolabile, alterabile. Universo esatto ed ambiguo allo stesso tempo. Questa sua interpretazione mi ha sempre condotta a considerare il rapporto con la realta’ tanto piu’ interessante quanto piu’ “non reale” e inesatto. Non corrispondente. La vita quindi come luogo delle infi nite possiblita’ o di differenti “livelli di realta’”. Che implica la scelta di una lettura ma, soprattutto, di una trasformazione infi nitamente immaginaria ma possibile. E’ quindi la possibilita’ dell’assente, della non presenza di divenire generativa ed effettiva. Questo poter selezionare un reale tra gli infi niti possibili - o immaginarne uno mi pare che, in quest’epoca incerta, sia tanto piu’ utile quanto necessario, non solo individualmente, ma anche per l’architettura. O meglio, per la “scienza dello spazio”. Infatti cio’ implica non solo un’idea di speranza, attualmente tanto piu’ utile della memoria, ma anche la possibilita’ di esercitare uno sguardo creativo, astratto a volte, ma salvifi co. Credo infatti che in questo momento accada la necessita’ di mandare le cose in cortocircuito, abbandonando il senso comune che ad esse viene attribuito in modo che, paradossalmente, “everything is in a place for our self-distruction, but everything is also in place for positive change, just as there has been at other great turning points in history”1. Il testo della weak city possiede una predilezione acuta per questa posizione potenziale, ambigua e positiva. Ho tentato di costruire il testo abbandonando o, meglio, non descrivendo in modo netto le legittimazioni e le fi liazioni che ogni argomento porterebbe nel campo dell’architettura. Esse sono state relegate in mappe di ricerca che fanno appartenere il tema al proprio ambito preciso, esatto e circoscritto. Mi sono sforzata, piuttosto, di lavorare sulla seconda linea. Quella dell’evenienza e della relazione, direbbe Glissant2. Nei luoghi dove credevo essere piu’ intensa e feconda la possibilita’ di trovare nuovi itinerari per i dibattiti in corso. E dove il potere di contagio tra le parole mi sembrava piu’ forte della loro legittimazione documentaria. Credo infatti che un buon progetto non possa piu’ sussistere attraverso la fi liazione dei propri caratteri rispetto ad un tema specifico. Troppo spesso infatti la cosiddetta coerenza ‘scientifica’ restringe l’indagine progettuale in un fi lone sistemico, tentando di validarne il valore. Ma non e’ sufficiente. Proprio come Deleuze indica nel pensiero sulla regressione infinita del presupposto: “il senso e’ invece il sorriso senza gatto di Carroll, o la fiamma senza candela”3. Il designato di un’altra designazione. Studiare quindi l’indeterminatezza come stato di sospensione di un preciso significato di uno spazio e di un oggetto, riportandolo ai propri limiti e ad uno stato di limite. Investigare questi momenti in cui si mettono in discussione le soglie disciplinari, la loro costruzione e il loro significato. Il termine debole, quindi, sembrava quello di maggiore sintesi rispetto sia a questa posizione personale, che a quella piu’ scientifica, ormai lontana da teorie esatte, da


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sistemi in equilibrio, e piu’ vicina al concetto di oligopticon4, ossia di uno spazio attraverso il quale il mondo ed il pensiero passino senza stabilizzarsi. Un processo dissipativo quindi, sia teoricamente che nell’uso del materiale del reale, in cui i continui livelli di instabilita’ rimandano a Prigogyne, e alla neutralizzazione di ogni pretesa di fissazione, ideologica e formale. Cosi’, la “non-classificazione” o meglio la notazione proposta si insinua nell’intero spazio vuoto ove i contenuti possano continuare a brancolare senza che scatenino processi consequenziali o strettamente logici, ma piuttosto infinitamente regressivi, o secondo la “semiosi illimitata” di Peirce, ove non sovviene l’elemento primo od iniziale della catena. In questa direzione, il termine Èclat, come citato dallo stesso Glissant, mi pareva potesse meglio rispondere alla molteplicita’ delle relazioni e dei significati che un vocabolo o un concetto potessero suggerire. I nomi propri e le classificazioni utilizzate quindi, non sono che artifici, per poter passare dallo spazio in cui si pensa allo spazio della forma, mantenendo sempre il rapporto non sigillato o “per far passare dallo spazio in cui si parla allo spazio in cui si guarda...ma volendo mantenere aperto il rapporto tra il linguaggio e il visibile”5. Mi sono orientata, allora, verso la possibilita’ di far divenire e di far coincidere il progetto con una mappa analogica transdisciplinare. Considerandolo un ipertesto o un rizoma nel quale ogni parola, ogni lemma, ogni declinazione possa aprirsi ad infinite, nebulose ma esatte, diramazioni. In questo modo, mi pareva non solo che il processo del progetto si dilatasse a ventaglio in infinite condizioni, da indagare e da esplorare, ma che anche l’architettura potesse finalmente screditarsi nella definizione di esclusiva disciplina dello spazio, perdendo il proprio valore designativo per acquisirne uno conoscitivo piu’ ampio, tanto da perdere quasi i connotati settoriali, arrivando ad identificarsi quasi esclusivamente come pensiero sul possibile. E poi come dispositivo. Da un lemma una parola, un senso, una frase, un testo, uno spazio, una tecnica. E le loro possibili permutazioni, diramazioni, contaminazioni. Che finiscono in una deriva del pensiero “altra” rispetto a quella del visibile e del comune (anche disciplinare). Un alio modo. In questo senso, posso quasi dire che l’architettura in se’, o nel suo essere esclusivamente composizione e scienza, nel suo farsi ricaduta costruttiva, non mi e’ piu’ interessante nei termini appurati. Che la dinamica del suo poter essere disciplina e costruzione con le altre discipline, con le quali lavora in termini di relazioni, di rimandi, di analogie ma anche di tecniche innovative nel suo essere pensata, sia piu’ appassionante perche’ interagisce esattamente come e con la velocita’ progressiva del pensiero, prima che come forma. In un certo senso, essa ancora e’ il pretesto per costruire, ma costruisce mappe cognitive, nuovi mondi. Del resto mi sembra anche che questo approccio sia piu’ vicino al vero momento del progetto. Nella struttura interna del libro, i capitoli sono quindi mille piani, momenti scorporabili senza volonta’ sistemica, ove prevalgono scenari di probabilita’ o palinsesti del possibile, nei quali il progetto finalmente si libera dalla necessita’ di controllo universale che la scienza ha sempre posto al centro, abbandonando il nolo contendere che lo rende soggetto resistente alle modificazioni. Ogni fascicolo si predispone come opera aperta, ampliabile, fruitiva, dinamica, combinatoria, indipendente. Poiche’ “decade la logica del principio, della successione


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logica, della concatenazione, della causalita’: al suo posto, una logica frantumata, aleatoria, che consente delle aperture sempre possibili, libere di svilupparsi, oppure no”. Ancora Deleuze. Fascicoli intensificabili da nuove ricerche, nuovi processi. Modificabili. Ove i titoli sono indizi spesso, che a volte non vengono neppure sviluppati nel corso del testo. Questa posizione, non solo la sento liberatoria, seppur necessità di precisione nel suo farsi (in particolare nel problema, sempre presente, della compatibilita’ e incompatibilita’ di circolazione e contaminazione dei linguaggi e delle discipline), ma appartiene ormai a questo modo che ho scelto di conoscere e che, appunto, procede per rimandi, per continue riverberazioni di una parola in mille specchi. In questa direzione, le parole utilizzate corrispondono a questi riverberi, ritornando potenziali, infi nitamente declinabili, oblique, incerte, seppur chiare nella sensazione o nel senso che esse vogliono designare momentaneamente. Momentaneamente. Quest’apertura delle cose al mondo, tanto da renderle trasparenti, direbbe Nabokov, porta certo un grande margine di rischio, di labilita’, alla quale ho tentato di porre rimedio con riferimenti, progetti, ricerche effettuate, intersecate secondo una visione non lineare della storia, ma piuttosto ricercando dei risvegli formali rispetto ai contenuti. Come una nebulosa. Ma del resto, poco importa se le posizioni proposte “siano frammentarie, appena indicative di un metodo, al massimo di un progetto. Molto importa, invece, che sembrino triviali e futili: e’ precisamente questo che le rende altrettanto, se non addirittura piu’ essenziali, di tante altre attraverso le quali abbiamo tentato di afferrare la nostra verita’”, direbbe Perec. A vantaggio di una visione debole in molteplici sensi. Lontana dal desiderio designativo contemporaneo, dalla magnificenza, dalla perfezione, e piuttosto come paesaggio mentale, prima che fi sico, da logorare, da deformare, e poi da far appartenere ad altri, e non a noi. La struttura del testo tenta di riprendere questo tipo di pensiero “in bozza”. Come note a margine di un racconto principale che non si puo’ piu’ scrivere. Brevi testi per ogni lemma sono sufficienti, non volendo fare un saggio sui temi e abbandonando il desiderio di dipanarli eccessivamente. Essi rimangono, anche se criptici e irrisolti, a disposizione. Questa mescolanza di scenari, correlati da una posizione individuale, e’ il centro della ricerca, attraverso relazioni presentate anche nella mappa. Non esauriente, essa esplica un modo sintetico per fare comprendere un processo, che rimane piu’ ampio, fortunatamente e inesorabilmente. Posizioni effi mere e veloci. Leggere nel loro pensarsi e incrociarsi. Le parole di questo pensiero che sempre oscilla, tentano quindi di aprirsi a nuove possibilita’ di lettura, spostando lo sguardo del ricercatore da una all’altra, ad uso di chi legge. La weak city, tentativo liberatorio dell’architettura dal suo voler essere sempre al centro, sempre risolutrice, sempre iper, nasce esercizio, non modello. Per questo motivo, vengono introdotte alcune sue declinazioni, da considerarsi come ipotesi da svolgere: 1. come metodo teorico: aperto, molteplice, rizomatico, complesso; 2. come parola: per le multiple declinazioni che riesce a far scaturire da una sua paradossale etimologia;


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3. come verbo: processo attivo nel progetto, nel proprio essere parola performativa, attiva; 4. come aggettivo: declinandosi nelle condizioni del linguaggio architettonico; 5. come territorio: in senso concettuale prima che formale, andandosi ad innestare nei luoghi marginali o negli scarti urbani. Ma anche in quelli in attesa. Il tentativo e’ comunque quello di educarsi ad una relazione tra i nessi della conoscenza attraverso epifanie costruite, senza delegarsi subito nel cuore della disciplina, che arriva in un secondo passaggio e con la stessa modalita’. Il titolo della ricerca parafrasa il Pensiero Debole di Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, in cui si rifiutano le legittimazioni ultime e onnicomprensive in una cornice post-metafisica e post-moderna. Il contenuto della Weakcity intercetta, oltre a quella posizione, anche altre speculazioni filosofiche (in particolare l’opera di Deleuze e del Relazionismo). La ricerca e’ nata nel 2009, e ora mi sento spinta a definirla dai ragazzi che lavorano con me. Ringrazio in particolare Charles Waldheim, che ha promosso il mio ingresso alla Graduate School of Design, divenendo lo sponsor della mia ricerca, per avermi dato la liberta’ e il confronto privilegiato per elaborare questo testo, e Michael Heys per i preziosi suggerimenti di sovversione rispetto alle posizioni dominanti della ricerca europea. Andrea Branzi, che e’ il centro del mio interesse disciplinare e che accende con meravigliose intuizioni la ricerca contemporanea sulla citta’. E che per me rappresenta l’unica modalità possibile di esprimere una ricerca. Questo lavoro è impostato attorno ad una sola parola del suo glossario teorico. Ringrazio i ragazzi che lavorano e hanno lavorato con me. In particolare Mirko Andolina, Giacomo Ardesio, Andrea Benzi, Michele Biffi, Claudia Mainardi, Elena Maria Soriero, e gli altri che si stanno aggiungendo al gruppo di lavoro, perche’ la necessita’ del loro comprendere mi ha condotta a scrivere.

B. Nicolescu, Manifesto of Transdisciplinarity, 2001; E. Glissant, Poétique de la Relation (Poétique III), 1990; 3 G. Deleuze, La logique du sense, 1969; 4 B. Latour, Reassembling the Social. An Introduction to Actor-Network-Theory, 2005; 5 M. Foucault, Les Mots et les Choses (Une archéologie des sciences humaines), 1966; 1 2


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WEAKCITY

Un testo, una parola, un tema


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MANIFESTO

“Questa la ragione della scelta del temine architettura debole, esso infatti permette un taglio in diagonale, obliquo, non esattamente cronologico né, tantomeno, rigorosamente generazionale, il cui proposito, in situazioni apparentemente molto diverse, è quello di rivelare la costante che, a mio avviso, illumina in modo particolare la situazione attuale”6 I. De Solà-Morales “L’essenza dell’architettura è la sua scomparsa” M. Blanchot

La ricerca weakcity parte dall’analisi della parola weak (debole) e, attraverso la sua fattorizzazione e trasposizione, intende delineare un approccio teorico-pratico per un rinnovato progetto urbano. L’obiettivo è quello di sperimentare come, nella ‘costruzione’ del paesaggio contemporaneo, un approccio debole possa essere in grado di opporsi all’oggetto/evento architettonico e alle metodologie ‘appurate’ degli studi urbani, andando oltre il valore designativo dell’oggetto architettonico e dello spazio costruito. Inoltre, con un linguaggio debole, in contesti deboli, con materiali deboli e provvisori, il tema identifica un atteggiamento‘decorativo’ come abile a trasformare gli scenari urbani, a vantaggio di spazi relazionali ed aperti, piuttosto che costruiti. In questa direzione, le nozioni di ecologia e dei sistemi ecologici, intesi come nella ricerca del Landscape Urbanism, diventano l’infrastruttura del progetto. Ove l’ecologia si declina in tecnonatura, ossia un’evoluzione della natura in termini artificiali, focalizzando il metodo sul valore della transdisciplinarietà come possibile momento di trasformazione dei codici e degli strumenti del progetto. Operativamente e trasversalmente, il termine weak subisce variazioni secondo i seguenti passaggi: - come metodo teorico: relazionale, complesso, rizomatico, transdisciplinare, barocco; - come parola: per le multiple declinazioni che riesce a far scaturire da una sua paradossale etimologia; - come verbo (strategia urbana): divenendo processo attivo nel progetto, nel proprio essere parola performativa, attiva; - come aggettivo (strumento operativo): declinandosi nelle condizioni specifiche di dispositivo progettuale; - come territorio: in senso concettuale prima che formale, andandosi ad innestare nei luoghi marginali o negli scarti urbani, in attesa.


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1. NUCLEO PROBLEMATICO In merito alle dinamiche progettuali, l’ipotesi di supporto alla ricerca identifica la problematica del progetto contemporaneo nell’esaltazione del ruolo dell’oggetto-progetto architettonico e della sua ‘fi ssità’, intesa come sintesi di un processo di designazione che ne assolutizza i metodi concettuali e le forme. Tale presupposto non risulta essere indicativo solo di un’argomentazione compositiva, ma trascina con sé considerazioni più ampie relative al rapporto tra metodo e progetto, ed è riferibile ad un sistema culturale che, bipolarmente, da un lato è sempre più orientato all’esaltazione del magnificente, dello straordinario, del soggettivo, delle forme autoreferenziate, atopiche o ‘fantasmologiche’: forme, quindi, che rendono il meraviglioso “come suprema istanza legittimante il tutto”7; dall’altro, ad una resistenza nello sperimentare altri processi del progetto lontani dal metodo ‘verticale’ ed esatto della, ormai superata, Scienza dello spazio. Attitudine che appartiene alla cultura generale dell’epoca presente, relativamente all’esplorazione delle problematiche del progetto, ne vengono evidenziati tre principali nuclei, che divengono i presupposti della citta’ debole: 1. La necessità di un approccio che si sleghi dal valore della designazione, sintetizzata dall’oggetto architettonico e dal disegno urbano, ritenuti inefficaci per le problematiche della città contemporanea8. Si rompe quindi l’indagine e l’identificazione progetto=oggetto (che implica anche progetto=sintesi metodologica, progetto=disegno, progetto=tipo). Viene eliminata quindi la riflessione del progetto come monade autereferenziale, come ‘essenza’, a vantaggio della possibilità di generare scenari trasformativi in grado di procedere sull’instabilità come metodo e come forma. Si proporrà quindi uno ‘spazio’ non designativo, potenziale e genetico che acquisirà le caratteristiche ‘relative’ e ‘retoriche’ della decorazione, di effemeralizzazione, di secondarietà. In senso prima metodologico, poi formale. 2. Il secondo nucleo problematico, consequenziale, è definibile come ipertelia dell’architettura. Se infatti “al principio c’era il segreto, ed era la regola del gioco delle apparenze, poi ci fu il rimosso, e fu la regola del gioco della profondità, infine ci fu l’osceno, e fu la regola del gioco di un universo senza apparenze e senza profondità - di un universo della trasparenza”9, l’annullamento del segreto, ha disposto il progetto verso una iper-realtà che lo rende simulacro del reale. Tale corrispondenza al reale, ne produce forme simulative piuttosto che nuovamente interpretative/immaginative. La scelta di eliminare dal reale l’”altro invisibile”, dal progetto la categoria della possibilità, il poter lavorare su differenti livelli di realtà, compromette non solo la capacità trasformativa del pensiero sullo spazio, ma una nuova ‘sostanza’ attraverso ordini altri rispetto a quelli del rispecchiamento della contingenza nella sua logica e nelle sue forme10. Assecondando una ‘trasparenza’ che ripropone processi metodologici lineari/positivisti. Eternizzando/ problematizzando esclusivamente il presente, si eliminano infatti le categorie della possibilità, della virtualità, dell’allusione, del rapporto con un invisibile/possibile che si rende diversamente fisico nella costruzione della storia della città. 3. Il terzo nucleo problematico, che ricade dai precedenti, è definibile come atonia, ossia l’espressione di una linea monotona che non è in grado di rilevare le differenze, le sospensioni, l’alternanza degli spazi che si concatenano nella diverse città e nei diversi territori, a rispecchiamento di un continuo tentativo di ricerca verso paradigmi


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comuni e condivisi. L’architettura è quindi luogo incapace di intravedere la possibilità di configurarsi come sequenza di vuoti densi, instabili, ricettivi, differenziati. In questo senso, l’atonia è riferibile a due condizioni particolari: la prima è quella dell’omologazione linguistica dell’architettura contemporanea, che si rivela polarmente sia nell’uguaglianza lessicale che metodologica (rivisitazione delle correnti globalizzanti). La seconda, consequenziale, è la perdita della specificità dei luoghi. In questo senso, l’atonia si avvicina al concetto di atopia. Le tre indicazioni riassunte rappresentano quindi tre accezioni di ‘riduzione’ differente e consequenziale, che specificano l’ipervalutazione della designazione come principio progettuale, ove la prima esemplifica la necessità di una nuova condizione metodologica che si sleghi finalmente da parametri di esatta sintesti; la seconda l’inabilita’ dell’oggetto architettonico di considerarsi spazio e di rinunciare a se stesso; la terza, l’incapacità di essere pensato come momento differenziale e dinamico in un nuovo processo instabile.

2. ETIMOLOGIA SCIENTIFICA DEI TERRITORI NON FIGURATIVI E NON DESIGNATIVI

La ricerca condotta s’introduce nel filone metodologico legato alla genesi e allo sviluppo di territori/spazi non designativi e non figurativi, intesi come “codice inverso” rispetto al pensiero sulla città, e riallacciabili alla Critica del Moderno e dei suoi parametri logico-sintetici. Essi sono: - La ricerca Situazionista, dalla quale acquisisce il valore di temporaneità/impermanenza; - La ricerca Radical degli anni Sessanta (in particolare Archizoom e Superstudio), dalla quale recepisce la dissoluzione dell’oggetto architettonico e il valore delle superfici performative, potenziali e genetiche; - La ricerca sulla LandArt, dalla quale assimila sia le tecniche di efemeralizzazione, sia il glossario legato al concetto di entropia; - Il dibattito e la cornice teorica del Landscape Urbanism. In particolare nelle posizioni di Charles Waldheim, James Corner, Sten Allen, delle quali accoglie la sostituzione concettuale del Landscape all’architettura e alla pianificazione. - il saggio di De Solà Morales Weak Architecture, per il ruolo di cortocircuito nei cambiamenti di senso dell’architettura. In particolare per la critica al moderno, per il ruolo della decorazione e per la distanza rispetto alle metodologie “verticali” ed esatte. In relazione al Landscape Urbanism come parentesi scientifica di ultimo innesto, in particolare la Weakcity ne amplifica il valore di cortocircuito rispetto ai precedenti passaggi ermeneutici relativi al rapporto teoria-progetto. Leggendo tale relazione nel corso del secolo scorso secondo la sequenza spazio-luogo-contesto, esso si dispone come nuova sperimentazione attraverso un rinnovato approccio: 1. Teorico: - attraverso la critica al Moderno ed ai processi teorici ad esso legati (sintetici-esatti); - nell’utilizzo della transdisciplinarietà come svolgimento scientifico di continuo rinnovamento, a sostituzione della “scienza dello spazio”;


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- nello sforzo della ricerca verso un’urbanistica adattiva, flessibile e rigenerativa senza l’implicazione della sua fi nitezza (nello spazio e nel tempo). 2. METODOLOGICO: - nella sostituzione/ibridazione delle logiche ecologiche con quelle urbane (piani, programmi, progetto urbano); - nel superamento dei concetti duali/dialettici a vantaggio di quelli dialogici, in particolare nel rapporto tra cultura/natura, natura/città e tra sfondo/figura; - nella riduzione di centralità del valore della scala architettonica e dell’architettura in generale come tematica d’interesse per la trasformazione urbana. 3. OPERATIVO/STRATEGICO: - privilegiando le superfici orizzontali su quelle verticali e sullo skyline, riattivando il concetto di campo come luogo delle relazioni; - nell’accentramento del valore delle superfici performative.

3. WEAK COME METODO Operando in linea con le posizioni precedenti, consideriamo i seguenti passaggi concettuali come fondativi per il progetto della weakcity, defi nibili come declinazioni del progetto come opera aperta: - PENSIERO ORIZZONTALE. L’abbandono di un pensiero paradigmatico sulla città, sostituito da un pensiero orizzontale come generato da Deleuze11. In questa direzione, la transdisciplinarietà diventa la possibilità di riconcettualizzazare costantemente gli statuti progettuali, e il progetto diviene opera aperta in grado di: lavorare tra differenti livelli di realtà; di defi nirsi come relazionale, ipertesutale e rizomatica. - PENSIERO COMPLESSO, inteso come processo dialogico, non lineare, cristallizzato dal postulato di ambiguità deliberata. - SCHIVARE IL TEMPO. Lavora sul congiuntivo come possibilità di schivare il presente, sul futuro anteriore per schivare il passato, sul condizionale per schivare il futuro. In questa accezione temporale, il progetto sulla città si caratterizza come sempre risignificante, temporaneo, dinamico, istantaneo, transitorio. - BAROCCO. Come pensiero in generale sul progetto, ne permette una relativizzazione (anti enfasi), deformandolo in decorativo e retorico. Il Barocco anche per il valore della molteplicità che esso comporta, il lavoro tra le pieghe, tra le discontinuità concettuali e formali che esso implica; infi ne, in senso più strettamente disciplinare, nel fare in modo che l’architettura si ponga realmente come decorativa, come ‘non essenziale’ o non fi ssativa rispetto ad un’idea di spazio urbano. -DIVERSIONE BAROCCA. Che accentua il ruolo del pensiero minoritario e minore, enfatizzando: il concetto di meticciato, il diritto all’opacità, il divenire minore, il passaggio consequenziale da territorio a terra12.


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4.

WEAK COME STRUMENTO. (as Smithson said: “Language to be looked, things to be read”) A sintesi dei fogli precedenti, in cui sono stati individuati i caratteri dei cortocircuiti - o dei cambiamenti di senso - che sono il terreno della ricerca, si individua l’apparato degli strumenti in grado di rendere attive le condizioni teoriche citate, ed aprire a quelle metodologico/operative. Concetti di intermezzo tra la metodologia e l’operatività, essi sono: - Il gioco e il paradosso - èclat, o parole esoteriche - la mappa cognitivo-progettuale E posseggono le seguenti funzioni: da un lato, rivendicano la possibilità di ridare senso e di trovare nuove forme di “legittimazione provvisoria” alle condizioni progettuali; dall’altro, e a presupposto dell’affermazione precedente, rimettono in discussione i principi di autorità considerati come lungamente validi. Il paradosso e il gioco diventano in particolare strumenti per aprire a molteplicità di senso, per ri-orientare il progetto verso strade non ancora battute, verso le infinite possibilità epistemologiche e formali che il progetto possiede e prevede. È nuovamente “una storia ingarbugliata”13, ove il senso lavora con il non senso14, in grado di definire nuovi gradi di libertà del progetto e del suo ripensamento radicale, ove una forma è una delle possibili manifestazioni del senso che il ripensamento prevede. Le parole “esoteriche” di matrice deleuziana, le éclats15, strumenti/nominazioni concettuali del metodo progettuale, diventano quindi non esercizi o slogan nominali, ma piuttosto un farsi operativo di un metodo nel suo rinominarsi continuo, ogni volta instabilmente, rispondendo ad una metodologia flessibile, nomadica, complessa. Esse permettono, come virgolette nel discorso, di perimetrare e di rendere specifico il soggetto temporaneo del progetto, che inizia ad entrare in un ambito più disciplinare, ma comunque aperto. Le parole/categorie vengono quindi “chiamate” non perché sono, ma perché “siano”, perché diventino operative in un farsi mai fissativo esplorando e rintracciando nuovi possibili percorsi di rottura con il precedente. Esattamente come il progetto, evitano una costruzione sillogistica e deduttiva, prediligendo un ‘campo di possibilità’ ove la parola (e la forma) sottende una “ri-territorializzazione”16 di contenuti possibili senza eliminare i connotati di instabilità fondamentali. Esse quindi permettono di introdurre un processo: - Rizomatico e non strutturale. Il rizoma infatti, permette una variabilità di contenuti e di forma in ogni direzione; - Eterogeneo. Esse evitano ogni determinazione, a vantaggio di “risvegli formali”, costellazioni di elementi ‘affini’ ma disciplinarmente differenti, che si possono prestare a relazioni reciproche e variabili. Evitando una presunta “struttura di continuità” del mondo; - Non assiologico. Con l’amplificazione dell’interpretazione di ogni passaggio progettuale. - Immaginifico. La scelta delle relazioni/nominazioni non comporta la loro esistenza. La realtà diviene promiscua ad un pensiero di ‘visioni’, in grado di amplificare il potere trasformativo del progetto non solo in ambito formale-disciplinare-extradisciplinare, ma anche nella contaminazione tra il possibile e il reale.


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Ad esse, si associa la mappa cognitivo progettuale, ossia la costruzione transdisciplinare del processo del progetto. Lontana da una relazione consequenziale-causale analisi-progetto, la mappa permette sia di sistematizzare temporaneamente il tema del progetto, sia la sua continua trasmigrazione in differenti ambiti di senso. La mappa coincide con il progetto quindi, inteso come strumento cognitivo ancora sospeso tra la sua concettualizzazione e la forma.

5. WEAK COME VERBO. Il pensiero sulla città Nella ricaduta progettuale (urbana), le condizioni precedenti comportano una visione della città come: - RELAZIONALE E SOVRADIACENTE IN SENSO FISIOLOGICO E NON FORMALE. Attraverso la costruzione di ‘situazioni’ e ‘ambienti’ differenziati. La capacita’ relazionale del nuovo, del non frammento, in una storia minore tra la storia maggiore in grado di ritessere nuove configurazioni. E i luoghi diventano i Rumori di Serres. Complesse intersezioni in mutamento della forma e in un’immaginazione che si rinnova, sempre diseguale, defi nendo non prestabilite relazioni. - NOTAZIONALE. MOLECOLARE. SCRITTURA A LATERE. I molteplici racconti del progetto diventano note a latere delle grandi narrazioni. Racconti autonomi o racconti nel Racconto. Indipendenti, minori, slegati. Accenti tra lo spazio disegnato. Intuizioni a margine. Il piccolo modifica il grande. La successione di elementi minori determina una città nella città, influenzandone le caratteristiche, inglobandola nelle proprie dinamiche. - REVERSIBILE, PROVVISORIA e NON RESISTENTE. - Niente di fi ssativo. Apertura al futuro, alla dinamica, all’ecologia intesa come processo mai determinato, sempre in evoluzione. - Reversibile. Ove il tempo possa ‘tornare indietro’ senza proiettarsi nella Storia. - NON FIGURATIVA. POTENZIALE. TERRITORI IN BRAILLE E IL FIELD. Con una prevalenza dello spazio senza figure pre-costituite, metaforiche o simboliche. Non inversa, ma potenziale e formata da rilievi inconsistenti come constatazioni impercettibili, in grado di accogliere e di porsi come luoghi per le trasformazioni future. Il progetto come spazio in potenza quindi. - PERFORMATIVA. ENERGETICA ed EVOLUTIVA. Suoli performativi come batterie regolatrici di energia, in grado di collaborare con l’esistente come le pile o la dinamo di una bicicletta.


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6. WEAK COME AGGETTIVO. La tecnonatura come strategia

operativa. L’ecologia come grado zero del progetto

Viene accolta la definizione di Pessoa come centrale: “Può darsi che non succeda soltanto a me, ma anche a tutti coloro che la civiltà ha fatto nascere per la seconda volta. Eppure ho l’impressione che per me, o per coloro che sentono come me, l’artificialità sia diventata una cosa naturale, ed è il naturale che sembra strano. Mi correggo: l’artificialità non è diventata naturale: il naturale è diventato diverso”17. Il tema si specifica, tra i molteplici modi possibili, nell’interpretazione della parola Tecnonatura quindi, per individuarne le potenzialità teorico-metodologiche (come nuova modalità ecologica di pensare il progetto urbano e territoriale), operative (come strategia specifica di spazi performativi), linguistiche (come ibridazione transdisciplinare di rinnovo), allestendosi come possibile risposta alla crisi del progetto (e dei suoi strumenti) all’avanzare delle nuove necessità ecologiche e formali della città contemporanea. Tale posizione non si risolve nell’ossimoro “architettura verde” e promuove quindi una condizione che supera quella della di eco-compatibilità e bio-sostenibilità. In particolare, l’ecologia e la parentesi di ricerca della Landscape Ecology (R.TT. Formann), diventa disciplina privilegiata del progetto urbano, sostituendone i metodi, le forme, gli strumenti. Un nuovo grado zero abile sia nei processi di recovering (azzeramento delle condizioni precedenti) sia in quelli strettamente progettuali (genesi di suoli performativi in grado di predisporre nuove piattaforme per futuri progetti). Unitamente ai dispositivi infrafree, essa è il tentativo di far divenire lo spazio urbano una cybernatura, con lo scopo di definirne una nuova ecologica, verso una rinnovata espressione dell’estetica della città.

I.De Solà Morales, Weak architecture, 1996; T. Maldonado, Reale e Virtuale, 1994; 8 D. Harvey, ne The Condition of Postmodernity (1989), evidenzia la riduzione teorica e la consequenziale riduzione dei paradigmi di riferimento gia’ nel passaggio dalla Modernità alla Postmodernità; 9 J. Baudrillard, Strategiile fatale, 1996; 10 Baudrillard: “la presenza non cede di fronte al vuoto, cede di fronte ad un raddoppiamento di presenza che cancella l’opposizione della presenza e dell’assenza”. J. Baudrillard, Op. cit.; 11 G. Deleuze, F. Guattari, Mille Plateau, 1980; 12 É. Glissant, Poétique de la Relation, 1990; 13 L. Carroll, A Tangled Tale, 1880; 14 G. Deleuze, Logique du sens, 1969; 15 Così le definisce Glissant: “Il termine éclat reca in sé una polisemia che, lungi dal poter essere univocamente tradotta, andrebbe quanto meno apertamente discussa con il lettore. Propriamente, éclat sta per scheggia, ma indica anche la luminosità e il boato di un’esplosione che mandi in pezzi qualcosa, scagliandone i frammenti in ogni direzione. Tuttavia intorno a questa parola si 6 7

intrecciano in realtà molte linee semantiche: la frattura materiale (lo spezzarsi di qualcosa in schegge); la frattura metaforica (lo scandalo); la seminalità dei frammenti (materiali e metaforici); la luce vitale che emana dall’evento genetico (dall’esplosione); il clamore ‘trasmittente’, ed altrettanto seminale, contestuale a tale luce. È dunque con questo plesso di senso che dovrà cimentarsi il lettore nel decifrare un’espressione che costituisce una sorta di sigillo all’indomabile complessità della materia affrontata. Da parte nostra si è scommesso sul termine deflagrazione, poiché sembra coprire nello stesso tempo l’area materiale (il frangersi illuminante) e quella metaforica (la fertilità scandalosa della discontinuità, che si propaga insieme all’eco moltiplicata dell’esplosione), nonché la fondamentale area comunicativa (la manipolazione del messaggio, dovuta al contagioso diffrangersi dello strumento, da medium a media, da mezzo a sistema”. E. Glissant, Op. cit.; 16 G. Deleuze, Logique..., Op. cit.; 17 F. Pessoa, Livro do Desassossego: Composto por Bernardo Soares, ajudante de guarda-livros na cidade de Lisboa, 1982;


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elisa c. cattaneo | weakcity

INIZIARE

Parentesi e Pretesti

“Bisogna che ci sia un travaglio nel concetto e nel pensiero, perche’ il pensiero lotta sempre contro un materiale resistente. Il reale e’ cio’ che resiste al pensiero, e’ cio’ che resiste alla logica. La bellezza del pensiero e’ in questa lotta infi nita, che e’ una lotta amorosa: lotta a morte e copulazione, con cio’ che il mondo comporta di mistero e irrazionalita’. Si puo’ sognare di conquistare nuovi campi alla razionalita’, e ci si arrivera’, ma bisogna pensare che il mondo nella sua totalita’, il mondo nella sua essenza, non sara’ mai razionalizzato, poiche’ la razionalita’ comporta, per principio, la sua problematizzazione”. E. Morin, Intervista rilasciata il 2 aprile 1991 nella sede Vivrium, Napoli

IL CORTOCIRCUITO Parentesi scientifica: nel crinale del rapporto Spazio/Luogo/Contesto/Landscape “Landscape Urbanism describes a disciplinary realignment currently underway in which Landscape replaces Architecture as the basic building block of contemporary urbanism. For many, across a range of disciplines, Landscape has became both the lens through which the contemporary city is represented and the medium through which it is constructed”18 C. Waldheim Modificando radicalmente la “geografi a” dell’architettura, il circolo ermeneutico instauratosi tra Europa e Stati Uniti dal secondo dopoguerra si dispone come cruciale nella ricerca architettonica determinando, direttamente o indirettamente, la costruzione della teoria urbana a partire dalla crisi del Movimento Moderno. Le tappe defi nite, sintetiche di un processo piu’ ampio e complesso, in rapporto alle teorie e alle tecniche del progetto architettonico e urbano, sono segnate da tre modalita’ di importazione-esportazione dei contenuti: - la prima e’ di trasmigrazione dei protagonisti che, oltre a diffondere le ricerche effettuate nei convegni, esportano i propri linguaggi progettuali, declinandoli con le ragioni d’oltreoceano e viceversa; - la seconda di traduzione, che individua nei canali di diffusione e di interpretazione il proprio centro semantico. Le universita’, le riviste, la circolazione dei testi fonda-



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