Chiesa della Beata Vergine Annunciata di Serle

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in collaborazione con Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici Diocesi di Brescia

PROMUOVERE DIAGNOSTICA E CONSERVAZIONE PROGRAMMATA PER IL PATRIMONIO ARCHITETTONICO ECCLESIASTICO DIFFUSO Chiesa della Beata Vergine Annunciata di Serle (BS)

con il contributo di


Il presente volume è stato realizzato con il contributo di Fondazione Cariplo nell’ambito del progetto “Promuovere diagnostica e conservazione programmata per il patrimonio diffuso ecclesiastico. Il caso della B.V. Annunciata di Serle”, cofinanziato attraverso il bando “Diffondere metodologie innovative per la conservazione programmata del patrimonio storico-architettonico - anno 2009”

Capofila del progetto: Parrocchia di Serle (BS) - Don Italo Gorni In collaborazione con l’Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Brescia - Mons. Federico Pellegrini Consulenti/fornitori di servizi: Fondazione Enaip Lombardia - Scuola regionale per la valorizzazione dei beni culturali, Botticino (BS) GRUPPO DI LAVORO: Maria Teresa Previdi, Roberto Bonomi, Elisabetta Arrighetti, Emanuela Bonicalzi, Monica Abeni e gli allievi dei corsi per Tecnico del restauro di beni culturali Università degli Studi di Pavia - Centro Interdipartimentale di Studi e Ricerche per la Conservazione dei Beni culturali (CISRiC) GRUPPO DI LAVORO: Marco Morandotti, Maria Pia Riccardi, Daniela Besana, Valentina Cinieri, Marco Malagodi Università degli Studi di Milano - Dipartimento di Fisica - Laboratorio di Archeometria GRUPPO DI LAVORO: Nicola Ludwig, Marco Gargano, Marco Gondola, Annalisa Moneta CNR - Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali - Consiglio Nazionale delle ricerche - U.O.S. di Milano “Gino Bozza” GRUPPO DI LAVORO: Marco Realini, Valentina Brunello, Marco Gondola, Annalisa Moneta, Elena Possenti, Irene Aliatis, Danilo Biondelli Factory - azienda specializzata nel rilievo architettonico GRUPPO DI LAVORO: Domenico Baldini, Elisabetta Chierici, Matteo Pasquali

La pubblicazione è il risultato di un lavoro collettivo che ha coinvolto, in un costante confronto e scambio, tutti i consulenti/fornitori di servizi e la committenza. Le attività sono state coordinate, per gli aspetti organizzativi e tecnici, da Enaip Lombardia - Scuola di Botticino in collaborazione con l’Università di Pavia - CISRiC. La relazione finale del report è stata curata dall’Università di Pavia - CISRiC in collaborazione con Enaip Lombardia - Scuola di Botticino. Dicembre 2012 In copertina: fotografie del Santuario della B. V. Annunciata di Serle (BS) Stampa: CLU - Pavia


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Indice Premessa .................................................................................................................................. 5 Mons. Federico Pellegrini

1. La conservazione programmata del patrimonio architettonico diffuso ....................................... Marco Morandotti, Daniela Besana, Valentina Cinieri

1.1 La conservazione del patrimonio architettonico diffuso ..................................................... 7 1.2 Caratteri generali della conservazione programmata ......................................................... 9 1.3 Brevi note di comparazione in ambito italiano ed europeo ............................................. 12 2. Un caso di studio: la chiesa della Beata Vergine Annunziata di Serle (BS) 2.1 Brevi note descrittive del santuario ................................................................................. 17 Elisabetta Arrighetti, Monica Abeni

2.2 AttivitĂ analitico-diagnostiche

................................................................ 27

a. Le indagini visive sulle superfici interne: la correlazione tra tecniche esecutive, stato di conservazione e precedenti interventi di restauro ............. 29 Elisabetta Arrighetti, Monica Abeni

b. Rilievo fotogrammetrico degli alzati e dei soffitti interni con indagine sugli stati di conservazione dei materiali . ..... ................................................................................41 Domenico Baldini, Elisabetta Chierici, Matteo Pasquali

c. Analisi dello stato di conservazione................................ .................................. ........ .77 Marco Morandotti, Daniela Besana, Valentina Cinieri

d. Indagini termografiche

....................................................................... 99

Nicola Ludwig, Marco Gargano, Marco Gondola, Annalisa Moneta

e. Indagini in infrarosso falso colore e indagini riflettografiche...................................... 115 Nicola Ludwig, Marco Gargano, Marco Gondola, Annalisa Moneta

f. Caratterizzazione delle superfici policrome mediante analisi non invasive ................ 145 Marco Realini, Valentina Brunello, Marco Gondola, Annalisa Moneta, Elena Possenti

g. Indagini microinvasive su alcuni microprelievi da campiture blu e verdi ................... 191 Maria Pia Riccardi, Roberto Bonomi, Elena Basso, Marco Malagodi

h. Indagini microclimatiche

..................................................................... 203

Roberto Bonomi, Marco Malagodi

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Premessa Mons. Federico Pellegrini “CON LE MIE OPERE TI MOSTRERÒ LA MIA FEDE” (Gc 2,18)

Non vi sembri cosa strana iniziare con una citazione biblica, che riguarda la fede e la teologia, la presentazione di un volume contenente «un primo nucleo di linee guida per la conservazione programmata del patrimonio storico-architettonico ecclesiastico diffuso». Si deve constatare, con soddisfazione, come negli ultimi tempi si sia inserita positivamente, nell’ambito della tutela del patrimonio artistico, quella mentalità che auspica un superamento della sola fase di restauro, sia facendolo precedere da un’accurata analisi delle cause, anche ambientali, che procurano il progressivo degrado del bene, sia facendolo seguire da tutte quelle attenzioni di manutenzione ordinaria che ne rallentano il suo graduale deterioramento. Questa “nuova” mentalità è un principio che si presenta come fondamento imprescindibile al fine di una corretta azione a tutela del patrimonio artistico - culturale in genere, e ciò soprattutto nel nostro paese che ha ereditato dal passato un non indifferente capitale, si può dire unico al mondo, di beni culturali. In particolare, poi, i beni culturali ecclesiastici ne costituiscono a loro volta parte rilevante e altamente significativa anche dal punto di vista di testimonianza dei principi basilari della nostra attuale civiltà occidentale. Come la fede è alla base delle scelte di vita dei singoli credenti e della Chiesa nel suo insieme, così ritengo che la prevenzione stia alla base e sia espressione di un profondo attaccamento anche affettivo al complesso del nostro patrimonio artistico. Ma come la fede non può esprimersi in pienezza senza quelle opere che ne rivelano la sua intrinseca ricchezza, così non è sufficiente ribadire la necessità della prevenzione, senza farne seguire azioni e interventi concreti che la realizzino. Il presente volume ha voluto vedere la luce dall’esperienza vissuta in quell’intervento che ha riguardato il Santuario della B.V. Annunciata di Serle, in provincia di Brescia. Non è una mera presentazione di quanto si sia fatto tecnicamente, ma il sussidio ne utilizza metodi e strumenti per offrirsi modello e paradigma per quanti vogliano iniziare in modo sempre più qualificato una tutela ben articolata e rispettosa di un bene artistico – architettonico. Nel presente volume è facilmente ricostruibile «il processo diagnostico inteso come premessa indispensabile alla formulazione di qualsiasi strategia di intervento» sul bene; sono inoltre esplicitate le regole per la cura preventiva di ben definiti settori strutturali (coperture, murature, intonaci, soffitti, volte, serramenti e pavimentazioni), come anche esempi di schede per il monitoraggio e la sua frequenza. In altre parole la pubblicazione si inserisce in quell’alveo di iniziative dove quel principio espresso nel famoso detto “prevenire è meglio che curare” è sempre più nutrito e qualificato, e,

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cosa non indifferente, diventa anche aiuto a gestire con saggezza il relativo costo economico, non sempre così indifferente, e la sua gestione. Non posso che augurarmi che tale strumento giunga a quante più persone possibili affinché in questi interventi pratici possa manifestarsi l’amore sincero per quell’eredità artistica, architettonica e culturale che fonda la nostra identità sociale, personale ed ecclesiale e stimola tutti noi a consegnare al futuro tesori che identificano l’umanità come il bene più prezioso presente nella storia.

Mons. Federico Pellegrini Direttore Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici Diocesi di Brescia

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1. La conservazione programmata del patrimonio architettonico diffuso Marco Morandotti, Daniela Besana, Valentina Cinieri 1.1 La conservazione del patrimonio architettonico diffuso: problematiche e criticità È noto come i Beni Culturali costituiscano una risorsa, non solo per lo sviluppo economico di un paese, ma anche per il miglioramento della qualità della vita, in quanto la conservazione del patrimonio può essere vista come “un'opportunità per accrescere il capitale intellettuale” 1. In questo ambito è di fondamentale importanza la diffusione delle pratiche manutentive e conservative, nonché l'importanza di mantenere in vita le tracce della nostra storia, dato che, spesso, anche la mancanza di conoscenza e di coscienza del valore storico-architettonico ha indotto a gravi danni e perdite, soprattutto nell’ambito del patrimonio culturale informale. D’altro canto, la convinzione che la prevenzione sia una modalità indispensabile per massimizzare la permanenza dell'autenticità dell'oggetto architettonico e dei suoi valori culturali e che, per questo, una metodologia elaborata nell'ottica della conservazione programmata sia “il segno di una cultura innovativa della tutela”2 è ormai condivisa a livello europeo e, con alcune specificità di carattere teorico e metodologico, anche Italiano (si veda ad esempio il caso della Regione Lombardia)3. Il lavoro qui raccolto ha come obiettivo la stesura di un primo nucleo di linee guida per la conservazione del patrimonio storico-architettonico ecclesiastico diffuso e costituisce uno dei prodotti della ricerca "Promuovere diagnostica e conservazione programmata per il Patrimonio Architettonico diffuso ecclesiastico" che ha visto nel santuario della Beata Vergine Annunciata di Serle, in provincia di Brescia, il contesto sperimentale di ricerca. Si intende quindi verificare la possibilità di definire un approccio operativo per la conservazione programmata del patrimonio costruito cosiddetto “minore”, che sovente risulta anche essere per molteplici ragioni quello più fragile e più esposto ai maggiori rischi in termini di conservazione. La maggiore vulnerabilità del patrimonio minore è connessa a differenti fattori, tra i quali certamente le limitate risorse finanziarie disponibili per gli interventi conservativi e la difficoltà ad attrarre risorse integrative ed aggiuntive, proprio per la limitata visibilità e risonanza del patrimonio stesso. Ciò, unito alla capillare diffusione sul territorio di questa categoria di risorse culturali, e quindi alla cronica difficoltà di un monitoraggio adeguato che segnali con tempestività l’insorgenza di fenomeni di degrado, conduce sovente a situazioni critiche, tali a

1 Della Torre S., Conservazione programmata: i risvolti economici di un cambio di paradigma, in Il Capitale Culturale, Studies on the Value of Cultural Heritage, vol. 1, Macerata, Dicembre 2010, p. 47 2 Aiello S., Ceccatelli M., Massa Picta: linee guida per la conservazione programmata delle facciate decorate, tesi di Specializzazione in Restauro dei Monumenti, Università degli Studi di Genova, 2007 3 Della Torre S., L'innovazione del processo nella conservazione del patrimonio architettonico: sperimentazioni su Palazzo Te in Mantova e altri casi studio, in Beni Culturali e Politecnico di Milano, a cura di Servizio e Attività Culturali, Milano, Aprile 2004, p. 8-9

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loro volta da implicare operazioni di recupero e restauro ben più onerose rispetto alla semplice manutenzione. La necessità di interventi radicali sul bene costruito, sovente innescata dalle condizioni di effettivo degrado dell’opera, si collega spesso a quello che è stato definito un “approccio figurativo all'architettura”4, che associa all’intervento di restauro integrale l'illusione della permanenza dei suoi effetti, e della conseguente irrilevanza di manutenzione futura, senza, così, comprendere da un lato il rischio provocato dalle azioni drastiche di un “restauro completo” in termini di autenticità del bene, e dall’altro l’ineluttabilità del decadimento temporale di quelle stesse azioni, che in ogni caso richiedono, anche a valle di interventi radicali, un piano di interventi di monitoraggio e controllo, oltre che di vera e propria conservazione programmata. È necessario sgombrare il campo preliminarmente dall’equivoco che le operazioni di conservazione programmata, in quanto interventi di piccola entità e frequenti nel tempo, debbano essere considerati quali una variante semplicistica rispetto a interventi di maggiore dignità, in quanto più onerosi. Si tratta invece di sviluppare un diverso approccio culturale all’intervento di conservazione, fondato su approccio life cycle oriented, che vede proprio nella rilevanza data alla continuità della cura (e in particolar modo alla cura preventiva) la chiave di volta sui cui impostare una visione globalmente più sostenibile della conservazione del patrimonio culturale e architettonico. La maggiore sostenibilità di questo approccio risiede non solo nel minore impatto dei singoli interventi sulla fabbrica, ma anche nella minore rilevanza economica di lungo periodo degli interventi stessi, che – sulla base di un monitoraggio proceduralizzato e costante – consentono interventi tempestivi, prima che si rendano necessarie opere edili di grande impatto sia tecnologico che economico.

4 Della Torre S., op. cit., p. 50

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1.2 Caratteri generali della conservazione programmata La conservazione del patrimonio storico e artistico è invocata da una pluralità di soggetti, ma con una molteplicità di posizioni e fini. Essa viene da molti opposta al restauro ma, rispetto a questo, “non è riconoscibile (o riconosciuta) come «disciplina»”5. C'è poi chi parla di conservazione come il fine che si intende perseguire attraverso il restauro 6, che risulta perciò essere un mezzo e, in quanto tale, il restauro “integrale” di un'opera potrebbe non costituire l'unico percorso possibile per raggiungere l'obiettivo preposto, ammesso che “conservazione” e “restauro” siano due concetti distinti. La conservazione può essere intesa come il rallentamento dei processi di degrado fisiologico in atto, ossia del mantenimento dello stato raggiunto dal patrimonio architettonico, ma con l'eliminazione delle cause intrinseche ed estrinseche di aggressione7. English Heritage definisce il termine “conservare” come “processo di gestione del cambiamento di un edificio nel suo ambiente, in modo da mantenere al meglio i suoi valori storici, riconoscendo l'opportunità di mostrare o rafforzare quei valori per le generazioni presenti e future”, e “preservare” come “keep safe from harm” (tenere al sicuro dai danni)8, dove “harm” indica il cambiamento in peggio, relativo soprattutto ad interventi inappropriati rispetto ai valori storico-culturali di un luogo. Il tema della conservazione del costruito sta assumendo un ruolo sempre più importante, assieme al criterio di valutazione degli interventi in base alla loro maggiore urgenza. Gli edifici divengono oggetti di cura, nel senso di controllo continuo, ponendo attenzione anche ai minimi segnali di un possibile decadimento9. Il mutamento è una condizione continua dell'esistenza di ogni cosa, pertanto “il cambiamento è l'unica certezza del nostro esistere”10 e conservare non può che essere “la ricerca di una regolamentazione della trasformazione che […] massimizza la permanenza, aggiunge il proprio segno, reinterpreta senza distruggere”. Riguardo tali tematiche, è interessante ricordare anche quanto sostiene Urbani a proposito del fatto che, anche con le migliori tecniche, il restauro risulta sempre un “intervento post factum”, cioè capace di riparare un danno, ma non di impedire che si produca, né di 5 Torsello B. P., Che cos’è il restauro, in Che cos'è il restauro? Nove studiosi a confronto , Marsilio Editori, Venezia, 2005, p. 9-17 6 Casiello S. in Che cos'è il restauro? Nove studiosi a confronto, da un'idea di B. Paolo Torsello, Marsilio Editori, Venezia, 2005, p. 29-32 7 Torsello B. P., La materia del restauro: tecniche e teorie analitiche, Marsilio Editori, Venezia, 1988 8 English Heritage, Conservation Principles. Policecies and Guidance for susteinable management of the historic environment, English Heritage, 2008, p. 71 9 Besana D., Progettare il Costruito tra Conoscenza e Interpretazione, Alinea Editrice, Città di Castello (PG), 2008 10 Bellini A., A proposito di alcuni equivoci sulla conservazione, in “TeMa”, 1/1996, p. 2-3, citazione in Aa.Vv., La mura di Lucca dal restauro alla manutenzione programmata, Alinea Editrice, Città di Castello, 2005, p. 21

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prevenirlo11. Per questo, occorre effettuare un passaggio dal “restauro tradizionale” al “restauro preventivo”, peraltro già teorizzato da Brandi (1906-1988). Ampiamente condivisa, almeno sul piano delle enunciazioni di principio, è la posizione culturale secondo cui una frequente manutenzione sia in grado di contenere l'avanzare dei fenomeni di degrado, in virtù del quasi abusato motto “prevenire è meglio che curare”12. Nel settore dei Beni Culturali, è sempre stata affermata la necessità di fare manutenzione, recepita dalle carte del restauro come azione regolare di cura del patrimonio architettonico, basata sul concetto di “assiduità e costante attenzione”13, così come il vigente Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (2004), che la riporta come il “complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del Bene Culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'identità del Bene e delle sue parti”. La manutenzione, definita come “il complesso delle operazioni necessarie a conservare la conveniente funzionalità ed efficienza di qualcosa”14, implica l'esistenza di uno “stato di efficienza” da conservare; per tale motivo sembrerebbe che essa possa essere attuata su manufatti “funzionanti”, ossia su oggetti le cui componenti soddisfino ancora, almeno in parte, le esigenze per le quali sono stati progettati, oppure, nel caso di edifici storici, su contenitori edilizi che abbiano già subito un intervento di recupero. Su questi presupposti le operazioni di manutenzione risultano utili a rallentare e tenere sotto controllo i processi di usura e ad impedire che i manufatti raggiungano una condizione di degrado tale da imporre un intervento di riparazione o, addirittura, una sostituzione. Tuttavia, nell’ambito del funzionamento delle macchine, si parla di raggiungere la “perfetta efficienza”, un concetto che non si può adeguare all’edilizia storica15, di cui occorre, piuttosto, discutere la gestione per il futuro della conservazione delle preesistenze16. Il confine tra conservazione e manutenzione diviene più sfumato e si attribuisce ad ogni atto manutentivo “la pregnanza e la consapevolezza che sono proprie del progetto di conservazione”. Uno dei concetti chiave su cui fondare una corretta strategia di conservazione programmata è quello di “controllo e monitoraggio”, poiché l'obiettivo della permanenza, in un sistema che 11 Urbani G., Piano pilota per la conservazione programmata dei beni culturali dell'Umbria, in Urbani G., Intorno al restauro, Skira Editore, Milano, 2000, p. 103-112 12 Luijendijk G. J., Prevention is better than cure (and less expensive), TeMa, 3, 2001 13 Besana D., op. cit., p. 126 14 Arcolao C., Manutenzione, in Musso S., B. P. Torsello, Tecniche di restauro, UTET, Torino, 2003 15 Cecchi R., Gasparoli P., Prevenzione e manutenzione per i beni culturali edificati, Alinea Editrice, Città di Castello (PG), 2010, p. 17-18 16 Della Torre S., La conservazione programmata: dalla riflessione teorica alla realtà del processo edilizio, in Aa.Vv., Le mura di Lucca dal restauro alla manutenzione programmata, Alinea Editrice, Città di Castello, 2005, p. 21

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risulta in continua trasformazione, richiede “strategie in coevoluzione, con continui aggiustamenti”17. La possibilità di avviare un effettivo processo di “terapia preventiva” sul bene è strettamente collegato, infatti, alla possibilità di riconoscere con precisione e tempestività i segnali indicatori di situazioni specifiche di degrado, congiuntamente ad un chiaro riferimento alle cause scatenanti in modo a avviare procedure mirate di intervento di piccola scala. Ciò implica inoltre che le attività di manutenzione cessino di essere considerate operazioni marginali, da affidarsi a operatori dequalificati, per trasformarsi invece in attività fondate in esperienze e competenze specializzate18. Le opere manutentive dovranno essere ricostruite sulla base della conoscenza ottenuta in fase preliminare al progetto19. Con i dati acquisiti tramite opportuno monitoraggio, si possono, inoltre, ottenere previsioni circa il comportamento in esercizio dell'edificio e di eventuali terapie adottate. In questo modo sarà possibile avviare quel processo di “conservazione attiva” in cui la gestione sostenibile del manufatto architettonico, si traduce in un'attenzione assidua che si protrae nel tempo e la cui efficienza specifica progressivamente aumenta, in quanto sempre più si adatta alle caratteristiche intrinseche dello specifico bene oggetto di intervento, del suo contesto ambientale e delle sue condizioni di sollecitazione e d’uso. Una strategia di “conservazione programmata”, si configura quindi come una procedura gestionale del bene, che unisce l'attenuazione dei rischi di grande scala all'organizzazione precisa delle attività quotidiane, andando oltre la semplice manutenzione ed il monitoraggio, e che può essere concepita come passaggio dal “restauro”, inteso come evento episodico ed eccezionale, alla “conservazione”, intesa appunto come processo continuo e di lungo periodo20.

17 Della Torre S., op. cit., p. 21-22 18 Cecchi R., Gasparoli P., Prevenzione e manutenzione per i beni culturali edificati, Alinea Editrice, Città di Castello (PG), 2010, p. 18-19 19 Besana D., op. cit. , p. 124-125 20 Della Torre S., Conservazione programmata: i risvolti economici di un cambio di paradigma, in Il Capitale Culturale, Studies on the Value of Cultural Heritage, vol. 1, Macerata, 2010, p. 47

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1.3 Brevi note di comparazione in ambito italiano ed europeo Negli ultimi decenni si sono avviate diverse sperimentazioni orientate verso i principi della conservazione preventiva e programmata del patrimonio storico-architettonico. In ambito europeo, in particolare, sono state avviate esperienze a livello operativo che hanno fornito un interessante apporto di sperimentazione21. Già negli anni Settanta, in Olanda è nata l’organizzazione MonumentenWatch (“Sentinelle dei monumenti”), che si è estesa, successivamente, con differenti strategie e declinazioni, in altri Paesi europei (Belgio, Danimarca, Germania, Ungheria). Queste esperienze hanno permesso di mettere a punto delle metodologie innovative per la conservazione del patrimonio architettonico ed, in particolare, la procedura ispettiva. L’approccio è, pertanto, quello della cura continua, in base al concetto secondo cui la manutenzione costituisce la chiave di volta di ogni processo di conservazione. L’olandese MonumentenWatch è nato dall’iniziativa di un gruppo di privati con il supporto del Ministero della Cultura e tramite il finanziamento delle autorità locali. L’obiettivo era quello di offrire ai proprietari di Beni un servizio di ispezioni annuali, in modo da facilitare la conservazione del patrimonio architettonico. Il movimento era nato, inizialmente, per il patrimonio ecclesiastico, ma è ora esteso a tutto il patrimonio edilizio delle province olandesi. L’associazione si compone di oltre cinquanta squadre di specialisti, ciascuna delle quali è costituita da due ispettori ed è dotata di un furgone contenente l’equipaggiamento necessario per effettuare le ispezioni. I tecnici si occupano della stesura di una relazione, basata sull’ispezione svolta, in cui sono contenuti: la lista dei controlli eseguiti sugli elementi costruttivi, le valutazioni sullo stato complessivo di conservazione dell’edificio e le linee guida per la sua manutenzione. A ciascun elemento costruttivo viene dato un giudizio relativo allo stato di conservazione: G (good), se lo stato di conservazione è buono e non sono necessari interventi immediati; R (resonable), se i danni presenti non sono gravi, né patologici e l’esecuzione di controlli ed interventi deve essere tempestiva; M (moderate), se vengono rilevati difetti consistenti da riparare nell’immediato futuro; B (bad) se è necessaria una riparazione urgente; N (not detected) se non è stato possibile ispezionare l’elemento per problemi, ad esempio, di sicurezza. La cadenza annuale delle ispezioni garantisce il servizio, poiché è condizione necessaria e sufficiente per accedere ai sussidi finanziari ed alle agevolazioni fiscali. D’altra parte, proprio la periodicità costante del lavoro ispettivo è ciò che garantisce l’affidabilità del risultato di monitoraggio. Il MonumentenWatch agisce anche a lungo termine, dato che mira a determinare un cambio di mentalità nell’approccio alla conservazione. Importanti risultano anche il “manuale utente” e il “manuale tecnico”, l’uno consegnato ad ogni associato per una corretta informazione in merito alle operazioni di 21 Bossi S., Il panorama europeo della prevenzione nell’ambito dei Beni Culturali, in Cecchi R., Gasparoli P., Prevenzione e manutenzione per i beni culturali edificati, Alinea Editrice, Città di Castello (PG), 2010, p. 309-316

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ispezione e piccola manutenzione, l’altro indirizzato all’impresa contiene tutte le informazioni necessarie per intervenire sul Bene, attraverso corrette scelte tecnologiche ed esecuzioni ad opera d’arte. L’associazione belga MonumentenWatch Vlaanderen è degli anni novanta ed è stata fondata ad opera di diversi enti e con il sostegno economico dello Stato. Essa agisce con un organismo centrale di coordinamento e cinque strutture provinciali operative, distribuite nell’area fiamminga. Le regioni di Bruxelles e della Vallonia, invece, vedono affidata la conservazione dei monumenti all’autorità regionale. Anche in questo caso vi sono degli specialisti del settore che si occupano di ispezionare gli edifici di interesse storico. Al termine di ogni visita, si elabora un report in cui si descrive la condizione generale di conservazione, si definiscono le principali cause di degrado e vengono fornite raccomandazioni per manutenzioni e restauri. Gli interventi raccomandati sono classificati in base a differenti gradi di urgenza. Interessante notare come questo servizio sia rivolto anche agli edifici non tutelati. Nel caso in cui l’edificio sia patrimonio protetto dallo Stato, il report serve come base su cui realizzare la manutenzione finanziata dalle autorità fiamminghe. Sempre a partire dagli anni novanta, anche in Germania si è diffuso il concetto di conservazione preventiva e sono state create numerose associazioni (Altbau und Denkmalservice,Servizio per i Monumenti e gli Edifici Storici, BAUDID, Gruppo di Lavoro Federale dei Servizi di Ispezione Indipendenti per i Monumenti e gli Edifici Storici, Monumentendienst, Sevizio dei Monumenti...) con l’obiettivo di sostenere e promuovere la prassi della conservazione preventiva. In Danimarca esistono due organizzazioni che offrono servizi simili, ma con una struttura organizzativa differente, dato che si tratta di enti di iniziativa privata e senza supporti statali (il Bygningskultur Danmark, Patrimonio Costruito Danese, e il Center for Bygningsbevaring, Centro per la conservazione del patrimonio storico). Anche nel caso danese, il proprietario riceve un report contenente le valutazioni dello stato di conservazione dell’edificio, in cui vengono anche definiti i tempi consigliati per l’attuazione degli interventi. Tutti i dati vengono gestiti con l’uso di un software chiamato Building Care Programme (BCP), basato su una struttura predefinita di voci, capace di archiviare elaborati grafici, immagini, disegni. La maggior parte dei sussidi, in Danimarca, proviene da attività commerciali. È interessante citare anche l'esperienza inglese della Church of England, introdotta nel 1955, che prevede di far ispezionare le chiese ogni 5 anni. Nel caso del Regno Unito non esiste, al contrario di quanto visto a proposito del MonumentenWacht, un unico ente preposto alla conservazione dei Beni Culturali ed essa viene affidata a diverse organizzazioni pubbliche o private. Tra queste vi è Mantein our Heritage (MoH), un’organizzazione no profit costituita nel 1999 per iniziativa di un gruppo di esperti inglesi nel settore della conservazione. L’intento è quello di promuovere, anche in questo caso, una strategia manutentiva. MoH partecipa, inoltre, a programmi di ricerca sulla valutazione economica delle tecniche manutentive e

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sull’aggiornamento delle tecniche esistenti e sulla formazione del personale qualificato. L’organizzazione ha, inoltre, avviato un servizio di riparazione periodica e pulitura dei canali di gronda e dei pluviali degli edifici di culto, con lo scopo di garantire un corretto smaltimento delle acque piovane e prevenire patologie e danni alle strutture. Il contesto edilizio italiano è stato per parte sua in passato caratterizzato da una limitata e sporadica attenzione nei confronti delle problematiche connesse alla manutenzione e alla gestione dei beni immobiliari22. Negli ultimi quindici anni si sono verificati cambiamenti significativi nel modo di rapportarsi alle problematiche gestionali e manutentive in relazione a diversi fattori, quali la necessità di confrontarsi con situazioni pregresse di degrado su cui non si hanno informazioni storiche idonee alla definizione di interventi di restauro, l'allargamento del mercato immobiliare in un ambito internazionale, la necessità di recepire le normative europee riguardanti anche la manutenzione e la gestione, una maggiore attenzione verso il mantenimento del valore dell'immobile. Sotto il profilo normativo, per quanto riguarda la manutenzione edilizia, nel 1995 è stata istituita la Sottocommissione 3 “manutenzione di patrimoni immobiliari”. Tra il 1997 e il 2000 sono state emanate raccomandazioni UNI in questo ambito, in particolare, a tal proposito, la norma UNI 10874 fornisce indicazioni riguardo ai documenti da predisporre (manuale di conduzione tecnica, manuale di manutenzione e manuale d'uso). La legge n. 109 del 1994 (Legge Merloni) e il relativo piano di attuazione del 1999 definiscono i contenuti del piano di manutenzione, fornendo indicazioni di massima, senza entrare nello specifico dei differenti contenuti. I tre documenti che costituiscono il piano di manutenzione, strutturato in tre documenti: manuale d'uso, manuale di manutenzione, programma di manutenzione. In particolare il manuale d'uso è una raccolta di istruzioni e procedure rivolti all'utente finale del bene e riguarda quelle operazioni che non richiedono una specifica capacità tecnica. Non è questa la sede opportuna per affrontare una disanima del rapporto tra il tema della “conservazione“ e quello del “restauro”. Come noto storicamente i due termini hanno assunto valenze e significati anche assai differenti a seconda dei contesti scientifici e degli ambiti disciplinari di riferimento23. Il riconoscimento della manutenzione come attività conservativa è attribuibile al Codice dei Beni Culturali24 (D.Lgs. n.42 del 2004), in cui si prevede che “la conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro”, definendo la 22 Dejaco M., Gestione dei beni immobiliari e manutenzione, in Aa.Vv., Imparare dagli errori. Un archivio aperto di casi di guasto a supporto di progetto e gestione di sistemi tecnologici edilizi, Regione Lombardia, 2004, p. 27-35 23 D'Ascola S., Conservazione e manutenzione, in Aa.Vv., Imparare dagli errori. Un archivio aperto di casi di guasto a supporto di progetto e gestione di sistemi tecnologici edilizi, Regione Lombardia, 2004, p. 47-54 24 Bossi S., Il panorama europeo della prevenzione nell’ambito dei Beni Culturali, in Cecchi R., Gasparoli P., Prevenzione e manutenzione per i beni culturali edificati, Alinea Editrice, Città di Castello (PG), 2010, p. 309-316

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prevenzione come “il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto” e la manutenzione come “il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'identità del bene e delle sue parti”25. Gli studi e le ricerche relative alla conservazione programmata sono state, tuttavia, avviate in ambito accademico, già dagli anni ottanta. Infatti, fu a Giovanni Urbani, direttore dell'Istituto Centrale di Restauro dal 1974 al 1983, che si deve l'introduzione di tale concetto26. Urbani sosteneva la necessità di un'azione preventiva ad alto raggio fondata sulla profonda conoscenza del bene e del suo contesto. Egli applicò sperimentalmente le sue idee in Umbria, per cui predispose il Piano pilota per la Conservazione programmata, poi evolutasi nella Carta del Rischio del Patrimonio Culturale. Dopo circa venticinque anni, la Regione Lombardia riprende e sviluppa questa idea, definendo fattibilità e strumenti. Il Programma Regionale di Sviluppo 2000-2005 (PRS) ha previsto, tra gli obiettivi strategici, oltre agli interventi di restauro e valorizzazione, la realizzazione di azioni diverse, concorrenti alla “tutela attiva”, privilegiando la programmazione negoziata. Nel 2003 vengono pubblicate le Linee guida per il piano di manutenzione e consuntivo scientifico27, le quali contengono una serie di contributi che si offrono quali suggerimenti, spunti e presupposti teorici per la realizzazione del servizio auspicato. La volontà è quella di promuovere politiche di valorizzazione capaci di conciliare sviluppo economico e conservazione e creare strumenti definitivi in accordo con i potenziali utilizzatori dei beni, in modo da poter passare dalla sperimentazione alla diffusione del nuovo processo28. Accanto alle ricerche svolte nel contesto regionale lombardo, è opportuno citare la ricerca svolta tra il 2009 ed il 2010 relativa alla stesura di una metodologia operativa per realizzare attività preventive finalizzate alla manutenzione programmata delle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica29.

25 Art. 29, commi 1-3, D. Lgs. 42/2004 e successive modifiche 26 Albertoni E.A., Introduzione, In Aa.Vv., La conservazione programmata del patrimonio storico architettonico. Linee guida per il piano di manutenzione e consuntivo scientifico, Guerini e associati, Milano, 2003, p. 9-13 27 Aa.Vv., La conservazione programmata del patrimonio storico architettonico. Linee guida per il piano di manutenzione e consuntivo scientifico, Guerini e associati, Milano, 2003 28 Albertoni E. A., Op. Cit.,p. 9-13 29 I risultati della ricerca hanno dato origine a due pubblicazioni di Roberto Cecchi e Paolo Gasparoli e riportano la descrizione di un metodo operativo che vuole essere esportabile anche ad altri casi di intervento sul costruito

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2. Un caso di studio: la chiesa della Beata Vergine Annunziata di Serle (BS) 2.1. Brevi note descrittive del santuario Elisabetta Arrighetti, Monica Abeni Il santuario della Beata Vergine Annunziata, costruito tra il XV ed il XVI secolo sul sito di una antica chiesa di cui non sono rimasti resti, a parte il basamento del campanile romanico, si trova a Serle, in provincia di Brescia, accanto al cimitero (Figura 1), in posizione elevata rispetto all’abitato (Figura 2), ad un’altitudine di circa 500 m da cui si gode di uno splendido panorama. L’esistenza della chiesa è già attestata nell’anno 113830, ma l’assetto attuale risale al rifacimento cinquecentesco, che la vede terminata nel 1566. La facciata mostra il timpano, un occhio centrale ed il piccolo portale. Sul fianco nord si ergono il campanile ed un portichetto quadrato con pilastri di pietra, che protegge l’ingresso laterale ed ospita, al piano superiore, il vano annesso all’organo. La chiesa, a pianta rettangolare e ad aula unica, è suddivisa in tre campate, di cui, quella prospiciente il presbiterio, è caratterizzata dalla presenza di due cappelle laterali di limitata profondità. Due finestre a lunettone poste alla sommità della campata d’ingresso e di quella centrale, sul lato sud, illuminano l’aula, mentre il presbiterio prende luce dalle due aperture rettangolari poste sulle pareti nord e sud. Quest’ultimo è caratterizzato da pianta rettangolare e da una copertura con volta ad ombrello.

Figura 1. La visione da sud del santuario della Beata Vergine Annunziata di Serle e la parrocchiale, a sinistra, in una vecchia cartolina.

Figura 2. Il santuario con l’attiguo cimitero in una presa da nord. Si nota l’alto muro in terrapieno che corre attorno alla recente pavimentazione in lastre di marmo.

30 Per quanto concerne le informazioni sulla storia del santuario, così come di Serle, si faccia riferimento al testo di don Giovanni Vezzoli “Serle e la sua gente” pubblicato nel 1979, ed. Vannini, Brescia.

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Figura 3. Aula dall’ingresso principale, con l’impostazione barocca degli elementi plastici in stucco e, nell’Arco Santo, le sculture a tutto tondo dell’Annunciazione, d’autore per ora ancora ignoto.

Figura 4. Controfacciata. Un’immagine degli anni ’50 (?) con il grande dipinto su tela “Giudizio Universale” dei fratelli Bosconet che evidenzia il pessimo stato conservativo sia del supporto per numerosi tagli e fori, che delle pellicole.

L’impianto barocco, che caratterizza l’interno della chiesa (Figura 3), è costituito da sobrie linee architettoniche e da complesse ed articolate decorazioni in stucco, che si sviluppano a partire dai capitelli delle paraste e dal cornicione per arricchirsi poi nelle volte dell’aula e nel presbiterio, sia sulle pareti che sulla volta, nonché nelle due cappelle laterali. Sull’Arco Santo che collega la navata al presbiterio, un’Annunciazione in stucco richiama la titolazione della chiesa. I modellati a tutto tondo sono di ottima fattura e dimostrano piena padronanza tecnica nell’esecuzione delle figure e degli elementi di maggior aggetto. Si ritiene che le decorazioni in stucco di maggiore qualità siano da collocare in gran parte intorno alla metà del ‘600. L’autore ci risulta per ora, purtroppo, ignoto. Da documenti d’archivio è possibile risalire ai distinti pagamenti avvenuti nell’anno 1752, dapprima quelli per il restauro e l’aggiunta di alcuni nuovi stucchi a Nicola Zambonini, quindi ai pittori detti “sbianchesini”, “... per aver dato il Bianco alla chiesa, colori e altre fatture...”. In controfacciata è collocato il grande dipinto centinato (Figura 4) che occupa l’intera superficie al di sopra della porta d’ingresso. La tela, realizzata probabilmente dai fratelli Bosconet, raffigura il Giudizio Universale. Da documenti d’archivio risulta che precise indicazioni da parte del Cardinale Querini, agli inizi del ‘700, vennero prescritte per “coprir le nudità” ivi raffigurate31. Altri due dipinti secenteschi su tela di grandi dimensioni (Figura 5) trovano collocazione all’interno di grandi cornici in stucco nella prima campata della parete nord e raffigurano: “L’ingresso di Gesù in Gerusalemme” e la “Cacciata dei mercanti dal Tempio” (Figura 6) del sec. XVII32. 31 Il dipinto è in pessimo stato conservativo a causa di cedimenti del supporto tessile, ma anche per numerosi fori e tagli. 32 Il dipinto “Cacciata dei mercanti dal Tempio” fu restaurato presso i laboratori della Scuola di Restauro tra il 2000 e il 2001 dagli allievi seguiti dalle restauratrici Giovanna Scicolone e Laura Rivali e diretti da Laura Paola

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Figura 5 (a sinistra). Parete nord: i due dipinti su tela secenteschi inseriti nelle corniciature in stucco, raffiguranti rispettivamente “L’ingresso di Gesù in Gerusalemme” (in alto) e la “Cacciata dei mercanti dal Tempio” (in basso). Figura 6 (in basso). La forma in origine centinata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio” è ancora evidente dopo il restauro del 2001. Ciò testimonia che l’attuale sagoma rettangolare e la relativa cornice in stucco sono frutto di un intervento successivo.

Sulla volta dell’aula, all’interno delle tre articolate cornici in stucco che si collocano al centro delle tre campate, si trovano i dipinti: “L’Adorazione dei Magi” (dipinto su tela, Figura 7) nella campata d’ingresso del sec. XVII; “L’Assunta” (dipinto murale) nella campata centrale, della prima metà del ‘700, attribuibile ad Angelo Paglia (Figura 9 e 10) e “La Presentazione al tempio” (dipinto su tela) nella terza campata, anch’esso del sec. XVII. La parete nord ospita inoltre un fronte d’organo ligneo dorato e policromo ed una cantoria lignea in forma di balconata33. Il fronte d’organo è privo dei gattoni laterali, forse oggetto di furto. Si presume abbiano subito la stessa sorte anche le cariatidi intagliate che intervallavano le specchiature del fronte della balconata lignea, dipinte con scene della vita della Vergine (Figura 11). L’autore è Bernardino Piana Rosa (Figura 12), mediocre pittore a cavallo tra Seicento e Settecento (dall’archivio parrocchiale si evince che il pittore riceve il pagamento il 14 settembre 1711 “compresi colori e cibo”). Al di sotto della balconata dell’organo si trova la porta laterale. Gnaccolini e Rita Dugoni della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Brescia, Cremona e Mantova. Di forma originariamente centinata, il dipinto fu solo successivamente inserito nella cornice in stucco a rilievo come testimoniano le aggiunte di supporto tessile per modificarne forma e dimensioni e realizzare la sagoma rettangolare. 33 Durante il restauro effettuato nel 2002 dagli allievi del Settore Opere lignee, seguiti dal restauratore Ivano Tomasoni e dalla D.L. Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Brescia, Cremona e Mantova, dott. L. Paola Gnaccolini, si sono individuate oltre a alcune situazioni di degrado del legno particolarmente accentuato, riprese di colore condotte per celare la mancanza delle cariatidi, oggetto di furto, come testimonia una vecchia fotografia.

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Figura 7 (a sinistra). Volta dell’aula, prima campata; il dipinto con l’“Adorazione dei Magi” (dipinto su tela del sec. XVII) si caratterizza per il degrado accentuato di alcune campiture di colore, alcune delle quali appaiono ridipinte. Figura 8 (a destra). Parete nord. Cappella Tonolini, lo stato conservativo generale con gravi infiltrazioni di umidità, cadute di colore, perdita di elementi plastici, ridipinture.

Figura 9-10. Volta dell’aula, prima campata. Il dipinto murale con l’ “Assunta”, attribuito ad Angelo Paglia e realizzato nei primi decenni del sec. XVIII. Se si confronta il dipinto su tela dell’ “Adorazione dei Magi”, inserito nella volta della prima campata, si nota come alcune campiture parrebbero della medesima intensità cromatica e con molta probabilità interessati da intervento di ridipintura nello stesso momento. Il dipinto evidenzia numerose cadute di colore soprattutto in corrispondenza dello sfondo grigio-azzurro.

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Figura 11-12. Parete nord. Fronte d’organo e cantoria lignea dipinta da Bernardino Piana Rosa intorno al 1711 con scene della Vita della Vergine, prima del restauro del 2002. La ripresa degli anni ’80 (a destra), nel confronto con l’immagine più recente (a sinistra) mostra come il fronte d’organo era ancora provvisto dei gattoni laterali, magistralmente intagliati, e la cantoria, delle piccole sculture di cariatidi che intervallavano le specchiature.

Figura 13. Arco santo, nicchia di destra. Scultura in stucco dipinto di S. Carlo Borromeo pesantemente ridipinta nel secolo scorso.

Figura 14. Cappella Tonolini, parete nord. Lapide marmorea che riporta la data 1648. E’ evidente il degrado delle superfici circostanti.

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Figura 16. Pareti laterali del presbiterio, particolare del dipinto “Giuditta e Oloferne” eseguito nel 1694 da Jacopo Ferabosco; il dipinto su tela, come nel caso di “Ester davanti al re Assuero” (Figura 19), copriva in parte la teoria di dodici apostoli cinquecentesca.

Figura 15. Parete nord. Cappella Tonolini. La pala “Madonna con Bambino tra santi” di A. Gandino, prima del restauro condotto tra il 2000 e il 2001. Il degrado era particolarmente accentuato soprattutto a causa del contatto con la parete di fondo fortemente umida.

Figura 17-18. Presbiterio. Volta ad ombrello con al centro la specchiatura quadrilobata dell’Incoronazione della Vergine, le lunette dipinte raffiguranti i quattro evangelisti e scene della vita di Maria. A destra, visione generale della voltina con la collocazione delle piccole specchiature del sott’arco con scene della Passione di Cristo.

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Nella cappella ricavata nella medesima parete nord (Figura 8), nella campata antistante il presbiterio, arricchita nel 1648 da decorazioni in stucco per volere del mercante bresciano Girolamo Tonolini (Figura 14), trova collocazione sull’altare marmoreo la pala della “Madonna con Bambino tra santi” (Figura 15), del pittore Antonio Gandino34. La cappella di fronte, sulla parete sud, è impreziosita da decorazioni in stucco sulla volta ed ospita sull’altare il dipinto su tela di S. Giovanni Nepomuceno e S. Giuseppe. Nelle nicchie poste nel registro inferiore dell’Arco Santo, ai lati del presbiterio, si trovano due sculture in stucco dipinto a grandezza pressoché naturale, raffiguranti S. Antonio da Padova e S. Carlo Borromeo (Figura 13; sotto le massicce ridipinture è rilevabile la presenza di policromie in buono stato conservativo). Nelle lunette presenti all’imposta della volta ad ombrello del presbiterio (Figura 17-18) sono raffigurati i quattro Evangelisti, con i consueti attributi iconografici, e scene della Vita di Maria: il sogno di Giuseppe; la Fuga in Egitto, la Madonna con Bambino, S. Giuseppe e una figura femminile, la Sacra Famiglia con Giuseppe falegname intento nel suo lavoro. Al centro della volta del presbiterio in una specchiatura quadrilobata, trova collocazione la “Incoronazione della Vergine” con Gesù Cristo e il Padre Eterno in un tripudio di putti. Ulteriori dipinti murali si trovano nelle piccole specchiature del sott’arco: si tratta di scene della Passione di Cristo: l’Orazione nell’orto degli ulivi, la Flagellazione, la Salita al Calvario, la Crocifissione. Per quanto ci è dato di evincere dall’osservazione dello stato di fatto, vi è quindi, all’interno della chiesa, un palinsesto di dipinti murali coevi al rifacimento barocco dell’edificio, collocabili tra la metà del Seicento e la metà del Settecento che interessa porzioni abbastanza limitate e che si innesta nell’apparato decorativo degli stucchi. Due dipinti su tela, raffiguranti “Ester davanti al re Assuero” (Figura 19) e “Giuditta e Oloferne” (firmato e datato in basso a sinistra Giovanni Jacopo Ferrabosco, 1694; Figura 16) sono inseriti entro cornici in stucco, rispettivamente sulle pareti sud e nord del presbiterio. Ai lati dei dipinti su tela, entro due cornici in stucco, si trovano dipinti murali raffiguranti le figure di S. Pietro (Figura 21) e S. Paolo (Figura 22). Questi dipinti sono stati portati alla luce con un’operazione di rimozione dello strato di calce soprammesso in un precedente intervento ed appartengono ad un ciclo pittorico cinquecentesco, che ricopriva le pareti del presbiterio con la raffigurazione dei Dodici Apostoli (Figura 20; le tracce di questo ciclo pittorico compaiono al di sotto delle scrostature e delle cadute d’intonaco sulla parete nord). Con ogni probabilità entro le suddette cornici in stucco trovavano collocazione dipinti su tela andati poi perduti.

34 Anche il dipinto citato è stato restaurato tra il 2000 e il 2001 presso la Scuola di Restauro.

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Figura 19. Parete laterale del presbiterio. Particolare del dipinto su tela “Ester davanti al re Assuero”, inserito verso la fine del sec. XVII, quando si provvide ad un ammodernamento del santuario con il palinsesto barocco.

Figura 20. Lato destro del presbiterio. Particolare di un apostolo realizzato nel secolo XVI, che emerge al di sotto di strati di intonaci sovrammessi.

Figura 21 (a sinistra). Lato sinistro del presbiterio. In alto sopra il cornicione la lunetta con una scena della vita di Maria e Gesù. Più in basso la raffigurazione di S.Pietro dei primi decenni del cinquecento, portato alla luce in un vecchio restauro poco attento. Figura 22 (a destra). Lato destro del presbiterio. Sopra il cornicione la lunetta con “Il sogno di Giuseppe” e in basso “S.Paolo” inserito nella corniciatura in stucco successivamente realizzata. La raffigurazione del santo prosegue al di sotto della cornice a testimonianza della continuità della teoria di apostoli che correva lungo tutto il presbiterio.

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Sul fondo del presbiterio è collocato un altare in marmo e commessi lapidei nella cui nicchia centrale è alloggiata la scultura lignea di una Madonna con Bambino del sec. XVI, vistosamente ridipinta (Figura 23). Da una vecchia immagine risalente agli anni Settanta del secolo scorso si evince la presenza di un S. Rocco e un S. Sebastiano che arricchivano e caratterizzavano il presbiterio. Le due sculture, oggi scomparse, erano collocate in due nicchie aperte simmetricamente nella parete di fondo, successivamente tamponate (Figura 24). L’edificio ha sempre mantenuto la stessa destinazione d’uso, ma patì di un periodo di abbandono, tra il 1980 ed il 1987, che permise l’aggravarsi delle condizioni di degrado per mancanza di utilizzo e di manutenzione. Il livello rialzato del terreno a ridosso della chiesa, l’assenza di un sistema di smaltimento delle acque meteoriche, che è stato realizzato solo qualche anno or sono (intorno agli anni Settanta e Ottanta) ha incrementato la risalita d’acqua nella parete nord, che include la cappella di sinistra e il presbiterio, e nella parete ovest (facciata e controfacciata). Gli intonaci in dette zone si presentano gravemente deteriorati. Nel 1987 si effettuarono interventi sulla copertura e sull’ampliamento delle fondazioni (Figure 25-26). Si posò una nuova pavimentazione in marmo che ha, nel tempo, influito negativamente sull’interazione tra esterno ed interno dell’edificio. All’interno alcuni interventi manutentivi sulle malte ammalorate con uso di tecnologie moderne, inserendo cemento, non compatibile con i materiali esistenti, hanno provocato l’aggravarsi del degrado a carico degli intonaci in seguito all’umidità. Anche la presenza delle cave di marmo di Botticino, che si trovano a pochi chilometri di distanza dal santuario, ha influito sulla stabilità degli elementi strutturali a causa delle periodiche vibrazioni derivanti dalle esplosioni; inoltre la scossa sismica che ha colpito il territorio bresciano nel novembre 2004 ha provocato la caduta di molti particolari degli elementi decorativi (cornici, festoni vegetali e ali dei putti), che erano applicati alla superficie sottostante tramite semplice pressione e privi di perni di ancoraggio. La caduta di molti di questi elementi e di porzioni delle cornici in stucco che racchiudono i dipinti hanno messo in luce la superficie policroma sottostante.

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Figura 23-24. Parete di fondo del presbiterio con l’altare maggiore marmoreo barocco che contiene la scultura lignea cinquecentesca della “Madonna con Bambino”, pesantemente ridipinta. Nell’immagine degli anni ’80 (a destra) si notano ai lati dell’altare le due nicchie che contenevano le sculture di S. Rocco e S. Sebastiano.

Figura 25-26. Santuario. Visione da sud. Gli interventi negli anni ‘50 per la creazione del nuovo oratorio.

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2.2. Attività analitico-diagnostiche Ai fini della determinazione dello stato di conservazione e di consistenza architettonica di un bene, e in particolare sulla Chiesa di Serle, è risultato necessario procedere con una preliminare fase di conoscenza della fabbrica e di investigazione diagnostica. Il processo diagnostico viene dunque inteso come premessa indispensabile e imprescindibile per l’acquisizione di dati, il più possibili oggettivi e misurabili, ai fini della formulazione di strategie di intervento. In questa fase del processo è dunque necessario acquisire dati conoscitivi sulla fabbrica, ossia relativamente ad una sua ricostruzione storica e morfologica, delle tecniche costruttive, dei materiali impiegati, in modo da ottenere strumenti utili al progettista per poter valutare esaustivamente lo stato di salute del bene attraverso la comprensione delle sue patologie e dello stato di conservazione sia strutturale sia materica della fabbrica. L’assoluta importanza per il progettista di lavorare attentamente a questa fase discende sostanzialmente da due questioni specifiche. Il degrado si esplicita come specificità propria del ciclo biologico della fabbrica e dunque come elemento ineludibile nel ciclo di vita di un manufatto storico, attraverso un processo di deterioramento ineludibile e inesorabile. Obiettivo di questo lavoro, soprattutto su un campo di applicazione legato ai beni minori, è proprio quello di dimostrare come il degrado possa essere quantomeno previsto e prevenuto mediante interventi atti a contenerne lo sviluppo, preservando la fisicità della fabbrica. In letteratura è possibile trovare un elenco molto vario e diversificato di prove e indagini diagnostiche possibili. Se da un lato la possibilità di potersi avvalere di un’ampia rosa di indagini diagnostiche, spesso fortemente specialistiche, è un aspetto di assoluta positività, dall’altro l’effettuazione di innumerevoli prove senza un’attenta progettazione e interpretazione incrociata dei dati può risultare fuorviante oltre che fortemente onerosa. Risiede dunque, in queste considerazioni preliminari, la scelta della formazione di un gruppo interdisciplinare che potesse colmare aspetti di natura conoscitiva preliminare, come ad esempio la realizzazione di rilievi morfologici, di mappatura del degrado e di comprensione, attraverso indagini spiccatamente specialistiche, dei materiali di cui è costituito. La conoscenza dei materiali in opera e l’acquisizione dei dati sullo stato di conservazione dell’edificio, nonché sui processi di degrado attivi sull’edificio stesso, costituiscono la base indispensabile per una corretta progettazione dell’intervento di conservazione e gettano le fondamenta per la pianificazione di mirati protocolli di manutenzione programmata. Il piano di diagnostica ha preso l’avvio già nelle fasi di indagine preliminare all’intervento di conservazione; controlli e verifiche analitiche, in cantiere e in laboratorio, sono inoltre stati eseguiti in corrispondenza di differenti fasi operative dell’intervento.

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Il programma di diagnostica proposto in questo studio ha previsto una strategia di indagine multi-analitica, privilegiando l’approccio “non invasivo” e limitando i microprelievi a momenti di verifica o integrazione dei dati materici già acquisiti. Il gruppo di lavoro si è dunque concentrato sia sulla comprensione dello stato di salute dei fronti esterni sia all’interno della chiesa in particolare mediante la caratterizzazione materica delle superfici policrome, previa realizzazione di un rilievo su base fotogrammetrica del bene, sul quale predisporre la mappatura del degrado. In particolare è stata svolta la seguente campagna diagnostica: - indagini non invasive mediante riprese termografiche sia nei fronti esterni sia all’interno della chiesa; - indagini in infrarosso falso colore e rifletto grafiche; - analisi non invasive ai fini della caratterizzazione delle superfici policrome; - indagini microinvasive su alcuni microprelievi da campiture blu e verdi; - indagini microclimatiche. L’avvio delle azioni di diagnostica ha previsto un primo sopralluogo al cantiere della Chiesa, durante il quale sono state programmate le successive campagne di raccolta dei dati attraverso tecniche di indagine non invasive, svoltesi in differenti giornate tra marzo e novembre 2010. L’indagine termografica ha interessato tutte le componenti strutturali dell’edificio, mentre la diagnostica sui materiali è stata focalizzata principalmente sulle superfici policrome collocate nell’ultimo ordine decorativo e sulla volta del catino absidale. Gli obiettivi della campagna di raccolta dati possono essere riassunti nei seguenti punti: -

individuazione di strutture ed elementi architettonici nascosti (discontinuità non a vista della muratura, presenza di camini, pluviali, cornici, chiavi, catene, ecc.), localizzazione e mappatura di distacchi dell’apparato decorativo, presenza di umidità o fattori di degrado che interessano porzioni della struttura dell’edificio (indagine termografica);

-

caratterizzazione delle tecniche artistiche utilizzate per la realizzazione dell’apparato pittorico e individuazione della tavolozza pittorica (pigmenti e leganti), nonché dello stato di conservazione dei materiali in opera (microscopia ottica portatile, XRF portatile, FORS, SEM-EDS)

-

individuazione di particolari della decorazione nascosti sotto lo strato visibile, quale il disegno preparatorio o la presenza di pentimenti stilistici e variazioni in corso d’opera, integrazioni dovute a restauri nonché la distribuzione areale delle tecniche e dei materiali utilizzati per la decorazione (riflettografia in infrarosso e falso colore - IRFC).

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2.2 AttivitĂ analitico-diagnostiche

a. Le indagini visive sulle superfici interne: la correlazione tra tecniche esecutive, stato di conservazione e precedenti interventi di restauro A cura di Elisabetta Arrighetti, Monica Abeni

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L’approccio didattico interdisciplinare Lo studio del Santuario, nell’ampia casistica delle sue decorazioni e della polimatericità di queste, ha coinvolto gli allievi del corso triennale di Tecnico di Restauro di Beni Culturali della Scuola per la Valorizzazione dei Beni Culturali di Botticino, guidati dai restauratori, al fine di acquisire e/o approfondire quelle competenze tecniche che consentono il corretto approccio all’opera. Le caratteristiche del Santuario hanno offerto infatti un valido esempio per l’interdisciplinarità didattica, poiché gli aspetti tecnico-professionali si sono continuamente interfacciati con le diverse aree disciplinari: tecnico-scientifica, storico-artistica, e di documentazione tecnica, volte ad un’indagine preliminare ad ampio raggio. Dal punto di vista didattico, la tipologia formativa ha rappresentato un caso di formazione deduttiva, ma anche induttiva, poiché se molti tra gli aspetti e contenuti formativi riferibili ad esempio agli effetti del degrado e alla loro manifestazione, potevano essere in parte “dedotti” dall’allievo stesso attraverso l’analisi diretta dell’opera, altri necessitavano di un accompagnamento e di una rielaborazione, seguita e curata dai docenti35. Gli elementi più utili per tale indagine tecnica visiva preliminare, e qui di seguito elencati, esaminano di norma ogni singolo manufatto (sia esso elemento scultoreo che superficie piana); anche nel caso del Santuario di Serle si è investigato su tali indizi: - i materiali costitutivi impiegati nella realizzazione/costruzione del manufatto - le eventuali tecniche di giunzione/assemblaggio di elementi - la sequenza degli strati dal supporto alla finitura più esterna - le tecniche di esecuzione e realizzazione di ogni singolo strato costituente la sequenza stratigrafica - le modalità di lavorazione e prassi esecutiva dal supporto alla superficie - l’applicazione/stesura/utilizzo dei materiali costitutivi - i materiali costitutivi impiegati per ogni singolo strato (cariche; pigmenti; leganti) - le modalità e livello/stadio di alterazione chimico-fisica dei materiali costitutivi con particolare riferimento ai pigmenti - la fenomenologia del degrado e le cause.

35 Dei risultati delle osservazioni e delle indagini veniva volta per volta informata per la proprietà, Mons. Italo Gorni e per la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Brescia, Cremona e Mantova, il Direttore arch. Marco Fasser

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Gli stucchi e i dipinti murali L'osservazione ravvicinata delle superfici, analizzando gli indizi tecnici che in molti casi caratterizzano le diverse epoche, ci dà la possibilità di individuare, mettere in relazione, datare le differenti fasi esecutive e di intervento/manutenzione. Le lacune e le cadute di materiale costituente la stratificazione, più o meno superficiale, rappresentano generalmente un ottimo punto di osservazione, una finestra attraverso la quale “leggere” la storia dell’opera. In primo luogo quindi, prima di ulteriori indagini distruttive di cui eventualmente ci si avvale per un ampliamento delle informazioni e per confermare ipotesi, si approfitta dell'esistenza di lesioni, spaccature nei materiali costitutivi, scrostature superficiali per rintracciare dati sulle stratigrafie storiche, sulle tecniche artistiche ed i materiali impiegati, su tutti gli interventi di manutenzione e restauro occorsi prima dell’arrivo della Scuola. Nel caso in analisi, le superfici sono state indagate sia in luce diretta che radente, avvalendosi di lente d’ingrandimento, del microscopio portatile e della lampada di Wood, per individuare qualsiasi traccia utile alla maggior conoscenza tecnica dell’opera, quali ad esempio giunti tra gli intonaci, tamponamenti di aperture, segni di incisioni, rappezzi di malta che possono occultare spesso lacune, lesioni o rifacimenti. L’elaborazione dei dati per la realizzazione di un quadro storico-artistico pertinente, trova conferme e riscontri nelle continue comparazioni tra documenti storici e analisi visive di materiali, elementi stilistici, tracce e indizi, tipologie di degrado, trasformazioni, rifacimenti. Le indagini scientifiche volte a riconoscere i materiali costitutivi, le tipologie e le cause di degrado, andranno integrate con i dati riferibili alle modalità tecniche di esecuzione dei diversi momenti, così come alla cronologia degli interventi succedutisi. I risultati delle indagini Vengono descritti qui di seguito i risultati ottenuti attraverso la comparazione tra indizi tecnici e dati storico-artistici. Le osservazioni riportate seguono il più possibile un ordine cronologico, a partire dal periodo più antico di cui rimanga traccia visiva, sino ai giorni nostri, anche se la complessità e l’articolazione delle informazioni da inserire nel palinsesto della storia dell'edificio non sempre sono di semplice ed immediata lettura. Del periodo quattrocentesco sono visibili tracce di intonaci della zona presbiteriale, sulla parete nord, su quella est, a sinistra dell'altare, e alla base del pilastro sinistro dell'Arco Santo, laddove la perdita degli strati sovrammessi li ha riportati in luce. Si tratta di un sistema di rivestimento murario costituito da un arriccio di intonazione rosata steso su di una muratura prevalentemente in pietra, rivestito da un intonachino dello spessore di circa 5-7 mm costituito da calce, polvere di marmo locale e inerte colorato a granulometria non particolarmente fine.

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Figura 1 (a sinistra). Parete di fondo del presbiterio. Lunetta con S. Marco, sopra il cornicione, presso la volta. L’immagine in radenza permette di cogliere oltre allo stato di conservazione anche la stratificazione degli intonaci: è evidente, al di sotto dell’attuale figura tardo-manierista, un precedente dipinto murale. Figura 2 (in alto). Lato sinistro del presbiterio, presso la finestra, parete nord. Il panneggio visibile a sinistra appartiene alla veste di S. Pietro , la cui parte superiore è all’interno della cornice in stucco (par. 2.1, foto 21). La quadratura di cornici monocrome sottolinea lo spazio attorno alla finestra.

La lavorazione di finitura con levigatura tramite lamatura a ferro ha previsto poi uno strato di scialbo di calce. Lo stesso strato d'intonaco, appartenente al medesimo momento storico, è riscontrabile anche in alcune lacune sui dipinti delle lunette nella volta absidale ad ombrello (Figura 1). Nei primi decenni del XVI secolo gli intonaci quattrocenteschi furono martellinati allo scopo di creare una superficie atta all'aggrappo dei nuovi intonaci di rivestimento (si individuano le tracce di tale operazione sulla parete nord del presbiterio). Per quanto riguarda le superfici delle pareti del presbiterio, sullo scialbo esistente fu condotta con nero carbone una traccia di massima, un disegno preparatorio, delle figure previste, da eseguirsi sullo strato d' intonaco sovrammesso. L'intonaco cinquecentesco, dello spessore di circa 5 mm, è costituito da una malta di calce e inerte per granulometria e colorazione mista molto simile a quella impiegata nella malta quattrocentesca, forse quindi di provenienza locale. La colorazione di questo intonaco è tuttavia di intonazione più tendente al bruno, forse per l'assenza di polvere di marmo nell'impasto. Anche per questo intonaco la finitura superficiale è stata condotta a ferro per ottenere un effetto levigato. Il ciclo si sviluppa in modo quasi simmetrico sulle pareti nord e sud del presbiterio, ma una porzione anche nella parete est di fondo, a sinistra dell'altare, mostra la traccia di uno degli Apostoli che evidentemente trovava qui collocazione. Osservando i punti di giunzione dell’altare alla muratura è possibile infatti rilevare come l'intonaco dipinto, di fatto preesistente all'altare marmoreo barocco, continui al di sotto di esso lasciando supporre

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l'esistenza in detta zona di una porzione, dipinta o semplicemente tinteggiata ed atta ad ospitare una pala d'altare. L'incorniciatura delle figure degli Apostoli, è affidata a specchiature e cornici modanate che contornano anche le finestre laterali, attestando l'esistenza delle stesse in epoca cinquecentesca (Figura 2). I dipinti, eseguiti ad affresco con finiture a calce, furono quindi condotti previa stesura di un nuovo intonaco sul preesistente preventivamente martellinato e impostato con il delineo in nero delle figure da dipingere (Figura 3). Incisioni, corde impresse nell’intonaco fresco, disegni preparatori sono alcuni dei dati rinvenuti che concorrono alla visualizzazione della tecnica impiegata per la loro esecuzione. Nelle pontate superiori delle pareti, attraverso lacune e tasselli stratigrafici, è stato possibile rilevare l'esistenza dello strato d'intonaco cinquecentesco che era caratterizzato da un fregio a mascherina di colore rosso ossido posto al di sotto del cornicione, quest'ultimo oggi occultato dal nuovo cornicione barocco in stucco. Detto cornicione presentava semplici decori eseguiti con lo stesso rosso. Dell’impianto decorativo cinquecentesco, di cui gli Apostoli fanno parte, sono visibili tracce di fregi dipinti in rosso. In corrispondenza inoltre delle lunette dipinte che trovano collocazione nella volta del presbiterio, è possibile osservare, da alcune cadute d’intonaco, lo strato dipinto coevo a quanto più sotto rinvenuto (Figura 4).

Figura 3 (a sinistra). Parete di fondo del presbiterio, a sinistra dell’altare maggiore. L’intonaco martellinato più antico mostra le tracce del delineo a carbone del panneggio della veste del S. Giovanni, ora perduto. Figura 4 (in alto). Parete di fondo del presbiterio. Lunetta con S. Marco, sopra il cornicione, presso la volta. Il frammento d’intonaco dipinto, venuto alla luce nella zona centrale, a causa della perdita dello strato soprammesso, è coevo ai dipinti sottostanti dei Dodici Apostoli.

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Sulla volta del presbiterio trovava con molta probabilità collocazione un grande dipinto raffigurante presumibilmente “La Vergine Maria tra gli angeli”, soggetto cui è dedicata la chiesa. Ciò è facilmente desumibile dalle superfici a vista per la mancanza di elementi in stucco oggi perduti. Sull'Arco Santo grazie alle cadute di elementi in stucco e ad alcuni tasselli stratigrafici è attestata la presenza di un dipinto murale raffigurante l'“Annunciazione” con l'Angelo Annunziante posto a destra e la Madonna a sinistra, quindi l’esatto contrario di quanto rappresentato con gli elementi plastici sovrammessi, dove la scultura della Vergine Annunciata, inginocchiata appare a destra e l’Angelo Annunciante a sinistra. L’impianto barocco della chiesa attualmente visibile si deve ad un rinnovamento della stessa, a partire dalla prima metà del XVII secolo, e avvenuto in tre momenti distinti. Tale trasformazione interna fu dovuta sia a cambiamenti di gusto, che, con molta probabilità, alla necessità di intervenire sul degrado dovuto all’umidità, sia di risalita dal suolo sulla parete nord, che per infiltrazione dal tetto. Da alcuni particolari rilevati nei rappezzi d'intonaco delle porzioni a piano terra, è attestato il carattere di restauro manutentivo di questo ammodernamento, che aveva previsto il massiccio impiego di cocciopesto negli impasti degli arricci sia per le stuccature ed i rinzaffi delle zone ammalorate, che per gli arricci degli stucchi. Inoltre poiché lo scialbo di calce di completamento riveste i lembi dei lacerti pittorici cinquecenteschi inferiori, esso testimonia l'esistenza delle lacune al tempo del rifacimento. Non si esclude tuttavia che molte rotture a carico degli stucchi, specialmente quelli più aggettanti siano da imputare ad eventi sismici e ad incidenti non infrequenti durante le movimentazioni di apparati liturgici. Analizzando in dettaglio i tre momenti della nuova decorazione interna barocca, identificati attraverso la correlazione di tracce e dati documentati, che ne confermano la veridicità, possiamo così descriverli cronologicamente. Inizialmente una prima maestranza di stuccatori ridefinì le linee architettoniche essenziali dell’aula che vennero esaltate e scandite da paraste con capitelli corinzi su cui corre il cornicione costituito da diversi ordini di modanature, fusarole e grani di rosario e da un festone d'alloro. Sottarchi con putti e cartigli scandirono le tre campate della volta e fregi impreziosirono gli archi dei lunettoni (Figura 5). Vennero eseguiti: gli stucchi nel presbiterio (Figura 8), sia in parete che sulla volta, il gruppo scultoreo dell’Annunciazione (Figura 7) e degli angeli musicanti tra nuvole sull’ Arco Santo, i fregi con girali vegetali e festoni di frutta che incorniciano l'arco Santo ed i due archi d'accesso alle cappelle laterali. La suddetta trasformazione avvenne dapprima con la conduzione del disegno a nero carbone direttamente sui dipinti cinquecenteschi (visibile nella volta del presbiterio; Figura 9), delle decorazioni a rilievo in stucco, che vennero poi eseguite ancorando con ferri alla muratura le parti più aggettanti, ricoprendo in ultimo gli intonaci e i dipinti preesistenti con uno strato di calce.

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Le tecniche di lavorazione, nonché i materiali impiegati e i solchi lasciati dagli attrezzi fanno ricondurre alla stessa manovalanza di quanto sin qui descritto in merito al primo impianto decorativo barocco.

Figure 5-6. Arco Santo. Figura 5 (a sinistra): particolare del fregio in stucco del primo Seicento. Figura 6 (a destra): particolare del fregio in stucco del primo Seicento. Il fondo dei girali è realizzato in azzurro smaltino.

Figure 7-8. Figura 7 (a sinistra): Arco Santo, visione della pozione di destra con la scultura “Vergine Annunciata” del primo Seicento. Figura 8 (a destra): volta del presbiterio, particolare degli stucchi del primo Seicento.

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Un’ulteriore modifica venne apportata aprendo due nicchie ai lati dell'altare maggiore, di cui resta documentazione fotografica degli anni settanta, prima che venissero occultate con un tamponamento murario36, ed altre due simmetriche alla base dell'Arco Santo. Sondaggi puntuali hanno dimostrato l'appartenenza di queste quattro nicchie al rifacimento barocco in base al fatto che gli intonaci delle stesse si innestano su quelli cinquecenteschi e sono finiti con la stessa velatura di calce che completa gli stucchi. Tutto ciò che di dipinto si trovava sulle pareti e sulla volta della chiesa, ormai non più attinente alla nuova decorazione, venne coperto da una campitura di bianco di calce. Ultimati detti lavori vennero date le tinte di finitura alle pareti ed alle volte, al di sopra delle campiture bianche utilizzate sia per nascondere le vecchie superfici dipinte che per preparazione al tinteggio finale. Le tinte, impiegate a calce, furono: per le pareti il giallo (presumibilmente ocra gialla, ipotizzando anche una minima presenza di ocra rossa; il bianco di calce dato a velatura per gli stucchi, sia dei soggetti figurativi che degli elementi architettonici, paraste comprese, e l'azzurro smaltino quale fondo dei fregi dei tre archi, base per gli stucchi dei sottarchi e probabilmente quale campitura della volta dell'aula. Tracce di questa coloritura a smaltino sono visibili in ogni area sopra menzionata37 (Figura 6). Altri piccoli tocchi d'azzurro vennero impiegati per l'iride degli occhi dei putti appartenenti alla prima campagna decorativa, ovvero a quelli dell'abside e dell'Arco Santo. Contemporaneamente o subito dopo tale decorazione, anche la cappella sul lato nord venne risanata e accordata stilisticamente con la trasformazione della chiesa. Ne conosciamo il committente Girolamo Tonolini mercante in Brescia, cui la cappella è dedicata, e la data 1648. Dalle numerose lacune e cadute degli stucchi per il degrado degli stessi ad opera di cristallizzazioni saline è possibile osservare il sistema operativo ed i materiali impiegati per l'esecuzione dei decori. Sugli intonaci sono stati tracciati con nero carbone i piani delle cornici ed i delinei delle volute. Conseguentemente una localizzata minuta martellinatura dell'intonaco è stata effettuata laddove si andavano ad eseguire gli stucchi, costituiti da cornici, moresche con elementi fitomorfi e cherubini. Anche queste decorazioni sono costituite matericamente da impasti preparatori con alta percentuale di cocciopesto, volutamente impiegato per la costante presenza di umidità in questa zona.

36 Un documento fotografico della metà del secolo scorso attesta, come già citato precedentemente, la presenza delle due nicchie ai lati dell'altare maggiore, arricchite da elementi lignei e completate da due sculture lignee coeve alla scultura ancora presente della Madonna con Bambino, raffiguranti rispettivamente S. Rocco a sinistra e S. Sebastiano a destra. 37 Per farsi un’idea della campitura di smaltino è sufficiente osservare la zona al di sopra del timpano spezzato dell'organo dell'aula, laddove il ritinteggio con bianco di calce non fu effettuato.

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Figure 9-10. Figura 9 (a sinistra): volta del presbiterio, particolare degli stucchi del primo Seicento completati dal dipinto murale dell’“Annunciazione”, eseguito sullo scialbo che coprì le preesistenti decorazioni; la caduta di parte dei motivi fitomorfi in stucco permette di osservare sia la presenza del dipinto più antico, sia i segni a carbone per la traccia delle decorazioni in stucco. Figura 10 (a destra): aula, parete nord, parasta a destra dell’organo; sono visibili, nella zona superiore, i finti marmi eseguiti a metà del secolo XVIII dagli “sbianchesini”, dopo l’intervento sugli stucchi degli Zambonini, i finti marmi della zona inferiore appartengono ad un intervento di molto successivo.

Osservando lo stile degli elementi decorativi, le caratterizzazioni dei cherubini e l'uso degli attrezzi del modellatore che lasciano tracce precise e caratteristiche di un modus operandi, è possibile distinguere una maestranza differente da quella impegnata sulla volta e sulle pareti del presbiterio e sui decori precedentemente descritti nell'aula. E' altresì riconducibile alla mano di detta maestranza l'esecuzione delle due cornici collocate nella campata d'ingresso dell'aula, sulle due pareti laterali (Figura 11). Osservando da vicino lo stile del modellato della frutta e dei girali vegetali, che scandiscono alternandosi il ritmo delle cornici, ed i volti dei puttini posti alla base ed al culmine di esse (Figura 12), è pressoché certa l'identificazione degli stessi autori della cappella Tonolini (Figura 13). Si riconosce lo stile più sprezzante nell'esecuzione delle volute vegetali, nell'esecuzione decisa e diversificata dei frutti, nonché nei lineamenti dei cherubini, molto simili tra loro. Si tratta di un sapiente utilizzo degli strumenti, in uno sfoggio consapevole di destrezza e capacità nelle porzioni della chiesa che prima e più da vicino si offrono allo sguardo dei fedeli. Si ritiene con un buon margine di sicurezza che anche la datazione di dette cornici coincida con quella della cappella Tonolini. Anche da alcune tracce rinvenute sia nella cappella, che nell'aula, è possibile riscontrare che la tinta prevista sulle pareti di dette zone fosse affidata alla velatura a calce con ocra gialla. Solo più tardi, nel 1752-53, gli stuccatori Zambonini intervennero per restaurare gli stucchi preesistenti arricchendo inoltre di elementi nuovi le composizioni decorative. In questa occasione vennero rappezzati anche gli intonaci delle pareti, in modo più massiccio su tutto il lato nord, specie nella cappella Zambonini, tramite applicazioni di rappezzi e vere e proprie rasature di malta a sostituzione di quelle ammalorate dall’umidità (Figura 14).

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Figure 11-12. Aula, parete sud, campata d’ingresso. Figura 11 (a sinistra): cornice in stucco facente parte della seconda maestranza operante nella chiesa successivamente alla prima. Figura 12 (a destra): particolare della cornice in stucco.

Ad ultimazione di questo restauro degli Zambonini, altri tinteggiatori modificarono successivamente le tinte delle superfici delle pareti e delle paraste, creando finti marmi su queste ultime ad imitazione di quelli dell’altare maggiore ( si tratta dei suddetti “sbianchesini” di cui resta traccia negli archivi per il pagamento avvenuto nel 1752). Essi ridipinsero con uno strato di calce gli stucchi ornati ammalorati (Figura 10), per nascondere le craterizzazioni e le piccole mancanze, ed in nero tutti gli occhi degli angeli e delle figure, nonché sottolinearono con grafite le pieghe degli intagli, soprattutto nei capelli, per ovviare, laddove più necessario, all’appiattimento degli intagli causato dalla stesura dello scialbo di calce in spesso strato. I tre momenti delle decorazioni in stucco, storicamente e stilisticamente differenti, sono riconoscibili sia per differenze materiche e stilistiche sia per le loro precipue prassi esecutive. Ulteriori interventi a carattere manutentivo si sono succeduti soprattutto sulle superfici delle pareti: vennero ridipinte le paraste con finti marmi dalle tinte più accese, previo scrostatura delle vecchie tinte ove distaccate, e rinfrescate le pareti per ovviare il continuo ripresentarsi di macchie d'umidità. Le paraste del presbiterio presentano, in stratigrafia, una ridipintura in più, collocata temporalmente prima della più recente, probabilmente dovuta ad una maggiore manutenzione e riordino avvenuto in questa zona rispetto all’aula. Si tratta di un finto marmo verde ad imitazione di quello presente in alcune specchiature marmoree dell’altare maggiore.

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Figure 13-14. Aula. Figura 13 (a sinistra): parete nord; cappella Tonolini; particolare della decorazione in stucco riconducibile alla stessa maestranza che eseguì le due grandi cornici nella campata d’ingresso dell’aula. Figura 14 (a destra): parete sud, cappella di San Giovanni Nepomuceno, particolare della decorazione che riveste la volta della cappella; le cornici in stucco appartegono alla prima maestranza del primo Seicento, mentre i putti sono degli Zambonini che intervennero nel 1752.

Conclusione Le informazioni tecnico-artistiche raccolte, supportate da adeguata documentazione fotografica, saranno ora di supporto per realizzare mappature ed elaborazioni grafiche riferite non solo allo stato conservativo, ma anche ad una cronologia degli interventi succedutisi sull’opera. Le indagini scientifiche, dopo tali osservazioni e deduzioni del restauratore, potranno esser così più mirate e funzionali nel predisporre quel bagaglio di dati indispensabili ad un corretto progetto sia esso di manutenzione, che di conservazione e restauro.

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2.2 AttivitĂ analitico-diagnostiche

b. Rilievo fotogrammetrico degli alzati e dei soffitti interni con indagine sugli stati di conservazione dei materiali A cura di Domenico Baldini, Elisabetta Chierici, Matteo Pasquali

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Relazione tecnica In riferimento a quanto richiesto dalla committenza è stato eseguito un rilievo fotogrammetrico degli alzati e dei soffitti interni del santuario (scala 1:50) atto a stabilire i rapporti di superficie tra le parti sulle quali intervenire e quelle sane; inoltre tramite una indagine visiva si è riusciti ad identificare grazie ad una mappatura i vari tipi di degradi e di lesioni. Il lavoro eseguito è stato svolto in sito con l’utilizzo di strumentazioni quali stazione totale laser e macchine fotografiche professionali per la parte di rilievo; si è passati poi alla fase di rielaborazione in studio di quanto appena descritto tramite l’utilizzo di software specifici per la stesura dei rilievi e per la realizzazione dei fotopiani e delle tavole di mappatura. Planimetria generale della chiesa della B. V. Annunciata di Serle

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2.2 AttivitĂ analitico-diagnostiche

c. Analisi dello stato di conservazione A cura di Marco Morandotti, Daniela Besana, Valentina Cinieri

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Analisi dello stato di conservazione La fase di rilievo dell’esistente costituisce un momento imprescindibile nell’acquisizione complessiva della conoscenza della fabbrica ed in particolare il rilievo dei fenomeni di degrado in atto risulta essere di fondamentale importanza per la comprensione delle criticità e dei rischi in cui vertono gli elementi della fabbrica edilizia, portando alla definizione di una base conoscitiva utile su cui poter impostare un piano di conservazione dell’edificio. I dati raccolti, infatti, non sono soltanto accumulazione del sapere o raggiungimento degli obiettivi da cui è partita la ricerca, ma anche, e soprattutto, “materiale sempre utile per nuove indagini e interpretazioni, a condizione che non vadano distrutti e alterati, e che siano anzi conservati nell'interezza del loro contenuto”38. I materiali che compongono i manufatti architettonici subiscono trasformazioni per effetto di interazioni con l'ambiente che li circonda e le loro caratteristiche variano con l'andare del tempo e molti di questi cambiamenti sono visibili sulla superficie dei materiali39. La prima fase di indagine relativa allo stato di conservazione può avvenire, perciò, con metodo empirico, ovvero mediante analisi “a vista” dei fenomeni macroscopici. Questo tipo di analisi può essere implementata mediante tecniche analitiche più sofisticate che possono supportare o confutare le ipotesi effettuate riguardo la tipologia e la natura dei fenomeni di degrado rilevati. Poiché le tecniche diagnostiche non invasive o microinvasive su campioni prevedono strumentazioni sofisticate, occorre scegliere opportunamente le situazioni in cui risulta essere necessario procedere in tal senso. Nel caso del Santuario della Beata Vergine Annunciata di Serle, si è proceduti ad effettuare delle indagini specifiche sugli affreschi che caratterizzano le pareti interne, ed in particolare le lunette ed altri elementi presenti sui soffitti, in cui è risultato importante studiare la natura dei materiali utilizzati al fine di progettare degli interventi corretti e compatibili sull'esistente. Lo studio dei fenomeni di degrado ha previsto l'individuazione delle alterazioni dei materiali che costituiscono gli elementi tecnologici dell'edificio. In particolare sono state effettuate opportune mappature dei fenomeni riscontrati sui prospetti esterni ovest e nord e su un prospetto interno della chiesa (parete sud). In particolare, il prospetto esterno settentrionale rappresenta l'elemento su cui sono state riscontrate le maggiori criticità. Qui, infatti, una concomitanza di fattori negativi ha contribuito alla maggiore estensione dei fenomeni di degrado presenti anche sugli altri prospetti. Innanzitutto l'esposizione a nord rende più difficoltosa l'eliminazione dell'umidità presente nei materiali, essendo meno esposta all'azione delle radiazioni solari. La presenza di acqua, a sua

38 Torsello B. P., La materia del restauro. Tecniche e teorie analitiche, Marsilio Editori, Venezia, 1988, p. 157 39 Arcolao C., La diagnosi del restauro. Tecniche, procedure, protocolli, Marsilio Editori, Venezia, 2008, p. 25

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volta, facilita la formazione di fenomeni di degrado quali patina biologica (muschi, alghe, licheni, microrganismi), macchie e distacco degli strati superficiali dell'intonaco che riveste la parete. I danni dovuti alle caratteristiche fisiologiche del manufatto sono stati, però, aggravati da difetti di costruzione, come l'errata pendenza del marciapiede costruito in adiacenza all'edificio, con il risultato di un errato smaltimento delle acque piovane, che, invece di essere allontanate dalla muratura, ristagnano alla base di essa e vengono, così, assorbite dai materiali porosi di cui è costituita. L'azienda Factory ha realizzato rilievi e fotopiani dell'edificio e dei suoi prospetti, dando anche informazioni riguardo lo stato di conservazione delle superfici interne (cfr. "Rilievo fotogrammetrico degli alzati e dei soffitti interni con indagine sugli stati conservativi dei materiali", pp. 19-53) ed il presente studio è stato realizzato tenendo in considerazione il materiale fornito in precedenza dagli altri gruppi di lavoro. In particolare, per quanto riguarda la schedatura dei fenomeni di degrado riscontrati sui prospetti interni, si è notato che gli stessi fenomeni di degrado, in relazione ai relativi materiali di cui sono costituite murature e apparati decorativi, sono presenti in maniera più o meno diffusa su ciascuno dei prospetti interni. Si è scelto, pertanto, di riportare a titolo esemplificativo la mappatura del degrado su una sola sezione, ovvero quella che era stata già elaborata tramite software specifici per il disegno tecnico dalla stessa Factory. Schedatura dello stato di conservazione Per ciascun fenomeno di degrado individuato è stata elaborata una scheda di descrizione e analisi. Le schede risultano essere strumenti semplici e di rapida catalogazione, utilizzabili per qualunque caso studio. Ogni scheda riporta: nome e definizione del fenomeno, descrizione della superficie interessata, cause preliminari individuate. Eventuali prove diagnostiche, in situ o in laboratorio, su campioni prelevati dai materiali oggetto di studio, possono verificare i risultati preliminari ottenuti o confutarli. Per l'individuazione e la catalogazione del degrado, si è fatto riferimento alla norma UNI 11182: 2006 (Descrizione della forma di alterazione - Termini e definizioni). Sulla base di quanto riscontrato durante la fase di analisi del degrado possono essere definite le azioni d’intervento idonee. Ogni intervento deve essere calibrato sul livello di degrado e tenendo conto delle caratteristiche del materiale interessato. Gli interventi sono suddivisi in tre fasi principali: pulitura, consolidamento e protezione; la pulitura può essere preceduta da un'operazione di preconsolidamento, se necessario ai fini della conservazione di materiale lapideo che presenta fessurazioni diffuse. Anche in questo caso le informazioni sono sintetizzate in schede.

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Il degrado in cui vertono i materiali dei manufatti edilizi può essere fisiologico, ossia dovuto all'invecchiamento naturale, che avviene in modo progressivo, secondo modi e tempi prevedibili, in relazione al tipo di materiale e alla configurazione dell'elemento40, oppure si tratta di degrado dovuto alla presenza di una patologia causata da un decadimento anomalo, ovvero avvenuto in seguito all'uso di materiali non idonei o ad errori di costruzione o di progettazione41. In alcuni casi è consigliabile effettuare delle indagini tecniche più approfondite, che possano chiarire meglio il problema, sostenendo o confutando quanto stabilito mediante l'analisi visiva. È opportuno, perciò, che in questa fase siano presenti tecnici specializzati in grado di riconoscere e schedare eventuali segni di degrado e patologie, comprendendone anche le possibili cause. Con il rilievo del manufatto e la descrizione delle sue caratteristiche materiche e conservative, si fornisce la strumentazione di base su cui fondare il programma di conservazione, nonché le corrette informazioni da fornire ai gestori dell'opera, affinché essi stessi possano, in futuro, riconoscere segni di alterazione e danni subiti dai materiali.

40 Gasparoli P., Talamo C., Manutenzione e recupero. Criteri, metodi e strategie per l'intervento sul costruito, Alinea Editrice, Firenze, 2006, p. 282-284 41Gasparoli P., Talamo C., op. cit, p. 332 (si veda la definizione di patologia della commissione W86CIB)

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Fenomeni di degrado - prospetto ovest

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Fenomeni di degrado - prospetto ovest

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Fenomeni di degrado - prospetto ovest

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Fenomeni di degrado - prospetto ovest

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Fenomeni di degrado - prospetto nord

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Fenomeni di degrado - prospetto nord

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Fenomeni di degrado - prospetto nord

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Fenomeni di degrado - prospetto nord

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Fenomeni di degrado - prospetto nord

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Fenomeni di degrado - sezione longitudinale

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Fenomeni di degrado - sezione longitudinale

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Fenomeni di degrado - sezione longitudinale

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Fenomeni di degrado - sezione longitudinale

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Fenomeni di degrado - sezione longitudinale

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Fenomeni di degrado - sezione longitudinale

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Fenomeni di degrado - sezione longitudinale

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2.2 Attività analitico-diagnostiche

Indagini termografiche A cura di Nicola Ludwig, Marco Gargano, Marco Gondola, Annalisa Moneta

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Nel corso di tre ispezioni in data 19 marzo, 22 settembre e 8 novembre 2010 sono state effettuate le analisi termografiche per la localizzazione di aree soggette a fessurazioni, danni strutturali e individuazione di aree soggette a umidità per infiltrazione o risalita capillare. Note sulla tecnica termografica in infrarosso La termografia è un sistema di rilevamento a distanza che consente di ottenere informazioni sulle discontinuità non a vista della muratura in tempi brevi e su vaste superfici. La mappa delle temperature rilevate, con precisione di pochi centesimi di grado è indicativa dello strato più superficiale della muratura indagata e dipende dalle caratteristiche ottiche e termiche dei materiali di finitura dell’intonaco a vista. Essa viene ampiamente impiegata per la localizzazione e la mappatura di distacchi in intonaci, anche a fresco o mosaico, per l’individuazione di umidità e infine per l’individuazione di strutture murarie (camini, pluviali ecc.) ed elementi architettonici (chiavi, catene, cornici ecc.) nascosti nella muratura. L’uso della termografia per la lettura in profondità di antiche strutture murarie sia a fini di studio che di diagnostica non è frequente per la quantità di fattori che inficiano la corretta interpretazione delle termografie. Per le indagini su murature antiche è spesso di aiuto l’impiego di mezzi di riscaldamento artificiale. Con l’ausilio di modelli matematici di diffusione del calore è possibile calcolare l’opportuna sollecitazione termica necessaria ad ottenere le immagini termiche rappresentative degli strati più interni della struttura. Questo tipo di procedura è in genere indicato col termine di “termografia attiva” e non comporta comunque un riscaldamento del manufatto superiore a qualche grado centigrado. La temperatura superficiale di un oggetto è sempre indice dei processi di propagazione del calore al suo interno. Applicando quindi una sollecitazione termica a una muratura, la lettura termografica della sua superficie può fornire informazioni sulla struttura non a vista. Il calore procede più rapidamente nei materiali dotati di maggior diffusività termica (un coefficiente caratteristico di ogni materiale che tiene conto di densità, calore specifico e conducibilità termica). Questo effetto noto come “ponte termico” viene visualizzato in una termografia come un’area più fredda (o più calda se si osserva la parete in trasmissione cioè dalla parte opposta del riscaldamento). La differenza di materiali quali legno, mattoni pietra e addirittura fra conci e malta di allettamento può quindi facilmente essere visualizzata mediante l’impronta che essi proiettano sullo strato di intonaco che ne impedisce la vista. Tale lettura è significativa solo nel caso l’intonaco sia sufficientemente uniforme nel ricevere il riscaldamento e aderisca perfettamente alla struttura coperta. Qualsiasi pur lieve distacco del ricoprimento esterno inficia, infatti, la possibilità di trasmissione del calore verso gli stati più interni della muratura e quindi la possibilità di una loro lettura. Strumentazione impiegata Le riprese termografiche sono state effettuate con una termocamera microbolometrica long wave AVIO TVS 700 con una risoluzione termica di 0,06 K.

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Esterno nord: loggia 19 marzo ore 11-12

Osservazioni: il lato è esposto all’irraggiamento solare diretto a partire dal pomeriggio e solo in alcune stagioni. Durante le ore di ispezione il riscaldamento è quindi dovuto al normale ciclo di riscaldamento notte/giorno dell’aria. L’elemento più significativo è costituito da un’area più fredda a lato e attorno alla finestra che potrebbe testimoniare la presenza di materiali diversi in corrispondenza dell’apertura, non si nota una significativa differenza termica tra i due tipi di intonaci facilmente identificabili nell’esame a vista. La parte coperta della loggia non appare interessata da significative anomalie termiche.

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Esterno nord 19 marzo ore 11-12

Osservazioni: il lato non è esposto al l’irraggiamento solare diretto, tuttavia riceve luce riflessa dal muro di cinta prospiciente del cimitero. Il riscaldamento è quindi dovuto a questo fenomeno e al normale ciclo di riscaldamento notte/giorno dell’aria. Su questa porzione di muratura è apparsa evidente, sotto l’intonaco, la presenza di un’apertura tamponata alla sinistra della finestra attuale e la diversa tessitura muraria (in mattoni) del corpo aggiunto alla sagrestia in una fase successiva alla costruzione originaria.

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Esterno nord 19 marzo ore 11-12

Osservazioni: nonostante l’esposizione ad est di alcune pareti, la zona non è stata esposta all’irraggiamento solare diretto ma tuttavia riceve luce riflessa dal muro di cinta prospiciente il cimitero. Il riscaldamento è dovuto a questo fenomeno e al normale ciclo di riscaldamento notte/giorno dell’aria. In questa zona sono ben evidenti zone degradate simili a quelle individuate alla base della parete descritte nella prima scheda. In questo caso però il degrado appare come più freddo a testimonianza del prevalere dell’effetto di evaporazione dell’acqua, che in questa zona probabilmente ristagna. Nel dettaglio riportato nella seconda immagine si nota all’interno delle aree umide in viola la presenza di macchie blu relative a probabili distacchi dell’intonaco.

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Esterno nord 8 novembre ore 14-15

Osservazioni: il lato non è esposto all’irraggiamento solare diretto, tuttavia riceve luce riflessa dal muro di cinta prospiciente il cimitero. Il riscaldamento è quindi dovuto a questo fenomeno e al normale ciclo di riscaldamento notte/giorno dell’aria. Sulla parte più vicina all’ingresso si notano maggiori anomalie termiche. Anche in questa stagione, come a marzo, la parte più bassa della muratura risulta più calda.

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Portale lato sud esterno 22 settembre ore 14-15

Osservazioni: il lato è esposto all’irraggiamento solare diretto. Nonostante il riscaldamento sufficiente non si sono rilevate anomalie termiche imputabili a patologie dell’intonaco. Si notano ai bordi della porta discontinuità termiche legate alla presenza di conci di materiale diverso dal resto della muratura. Non sono presenti zone raffreddate da acqua in fase d’evaporazione.

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Esterno sud 8 novembre ore 15-16

Osservazioni: il lato è esposto all’irraggiamento solare diretto, ma al momento delle misure la parate era già andata in ombra. La termografia risulta quindi effettuata in fase di rilascio termico che rappresenta la condizione ideale per l’individuazione di eventuali distacchi e di anomalie nella tessitura muraria. La fascia bassa significativamente più calda può essere sede di un limitato degrado dell’intonaco. Non sono presenti zone raffreddate da acqua in fase d’evaporazione.

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Facciata principale 22 settembre ore 10-11

Osservazioni: la ripresa effettuata in settembre è in condizioni di nessun irraggiamento diretto. A prescindere dal timpano aggettante, la parete mostra una notevole uniformità termica. La porta appare più calda poiché caratterizzata da una capacità termica minore e quindi più sensibile ai cicli di riscaldamento giorno/notte dell’aria. Le immagini di novembre sono riprese in condizioni di parziale irraggiamento. Anche in questo caso non si notano significative anomalie termiche ad eccezione dei distacchi dell’intonaco nella parte bassa che appaiono come macchie calde dalla forma irregolare.

8 novembre ore 15-16

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Facciata principale 8 novembre ore 15-16

Osservazioni: le immagini di novembre sono riprese in condizioni di parziale irraggiamento. Anche in questo caso non si notano significative anomalie termiche ad eccezione dei distacchi dell’intonaco nella parte bassa che appaiono come macchie calde dalla forma irregolare.

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Portale lato sud interno 22 settembre

Osservazioni: lo spessore della murature permette un perfetto isolamento dal riscaldamento sulle pareti esterne. Tutta la superficie indagata all’interno della Chiesa si mantiene in un range di pochi decimi di grado di temperatura. Non sono evidenti infiltrazioni di acqua.

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Interno parete ovest 8 novembre

Osservazioni: lo spessore della murature permette un perfetto isolamento dal riscaldamento sulle pareti esterne. Tutta la superficie indagata all’interno della Chiesa si mantiene in un range di pochi decimi di grado di temperatura. Non sono evidenti infiltrazioni di acqua. Attraverso la tela del dipinto è possibile osservarne l’intelaiatura in legno caratterizzato da una diversa capacità termica rispetto a quella dell’aria.

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Portale lato sud interno 8 novembre

Osservazioni: lo spessore della murature permette un perfetto isolamento dal riscaldamento sulle pareti esterne. Tutta la superficie indagata all’interno della Chiesa si mantiene in un range di pochi decimi di grado di temperatura. Non sono evidenti infiltrazioni di acqua.

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2.2 AttivitĂ analitico-diagnostiche

Indagini in infrarosso falso colore e indagini riflettografiche A cura di Nicola Ludwig, Marco Gargano, Marco Gondola, Annalisa Moneta

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Indagini in infrarosso falso colore Descrizione generale Nel corso di tre ispezioni in data 19 marzo, 22 settembre e 8 novembre 2010 sono state effettuate le seguenti analisi in infrarosso falso colore digitale per la mappatura dei pigmenti pittorici e degli interventi di restauro. I dipinti sottoposti ad analisi nell’abside vengono indicati nello schema riprodotto in figura.

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Descrizione della tecnica dell’infrarosso falso colore digitale (IRFC) L’immagine in infrarosso falso colore (IRFC ) evidenzia le aree realizzate con pigmenti simili e ne consente una rapida individuazione se associata ad analisi puntuali di tipo elementare e ottico. Le immagini in infrarosso falso colore sono state ottenute dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso: l’immagine dell’infrarosso è stata sostituita al canale del rosso nell’immagine visibile mentre i canali rosso e verde vengono sostituiti rispettivamente al canale verde e al canale blu. Strumentazione impiegata - fotocamera IR SHORT WAVE (short-wave) con rivelatore a stato solido CCD composto di 2560 x 1920 elementi fotorivelatori al silicio, sensibile nel visibile e nel vicino infrarosso tra 400 e 1000 nm, dotata di obbiettivo a lunghezza focale variabile. Tutti i singoli riflettogrammi sono presi con una focale di 80 mm a una distanza di circa un 50 cm e con un filtro infrarosso passa-alto da 850 nm. Le immagini sono registrate a 8 bit in formato raw e jpeg. - fotocamera SONY DSC f828 (short-wave) con rivelatore a stato solido CCD composto di 3264 x 2448 elementi fotorivelatori al silicio, sensibile nel visibile e nel vicino infrarosso tra 400 e 1000 nm, dotata di obbiettivo a lunghezza focale variabile; le immagini sono registrate in formato raw e jpeg.

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Risultati

Figura 1: Immagine visibile digitale della volta (C1) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 2: Immagine in infrarosso falso colore digitale della volta (C1) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 3. Immagine visibile digitale della prima lunetta a destra (L1D) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 4. Immagine in infrarosso falso colore digitale della prima lunetta a destra (L1D) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 5. Immagine visibile digitale della seconda lunetta a destra (L2D) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 6. Immagine in infrarosso falso colore digitale della seconda lunetta a destra (L2D) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 7. Immagine visibile digitale della terza lunetta a destra eseguita (L3D) con fotocamera IR Short Wave

Figura 8. Immagine in infrarosso falso colore digitale della terza lunetta a destra (L3D) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 9. Immagine visibile digitale della quarta lunetta a destra eseguita (L4D) con fotocamera IR Short Wave

Figura 10. Immagine in infrarosso falso colore digitale della terza lunetta a destra (L4D) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 11. Immagine visibile digitale della prima lunetta a sinistra (L1S) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 12. Immagine in infrarosso falso colore digitale della prima lunetta a sinistra (L1S) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 13: Immagine visibile digitale della seconda lunetta a sinistra (L2S) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 14. Immagine in infrarosso falso colore digitale della seconda lunetta a sinistra (L2S) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 15. Immagine visibile digitale della terza lunetta a sinistra (L3S) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 16. Immagine in infrarosso falso colore digitale della terza lunetta a sinistra (L3S) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 17. Immagine visibile digitale della quarta lunetta a sinistra (L4S) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 18. Immagine in infrarosso falso colore digitale della quarta lunetta a sinistra (L4S) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 19. Immagine visibile digitale del primo arco (A1) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 20. Immagine in infrarosso falso colore digitale del primo arco (A1) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 23. Immagine visibile digitale del terzo arco (A3) eseguita con fotocamera IR Short Wave

Figura 24. Immagine in infrarosso falso colore digitale del terzo arco (A3) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 25. Immagine visibile digitale del quarto arco eseguita (A4) con fotocamera IR Short Wave

Figura 26. Immagine in infrarosso falso colore digitale del quarto arco (A4) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Figura 27. Immagine visibile digitale del quinto arco eseguita (A5) con fotocamera IR Short Wave

Figura 28. Immagine in infrarosso falso colore digitale del quinto arco (A5) ottenuta dall’elaborazione digitale delle immagini nel visibile e vicino infrarosso

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Conclusioni L’immagine in infrarosso falso colore, evidenzia le aree realizzate con pigmenti simili e ne consente una rapida individuazione soprattutto se coadiuvata dai risultati delle analisi puntuali eseguite contestualmente dal gruppo dell’ICVBC. In generale le campiture sono uniformi e non vi è la presenza di integrazioni mimetiche ad eccezione del dipinto A3 nell’arco (Figura 24). In questo caso, infatti, è evidente la presenza di un restauro sulla veste del discepolo Giovanni.

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Indagini riflettografiche sui dipinti Descrizione generale Nel corso di tre ispezioni in data 19 marzo, 22 settembre e 8 novembre 2010 sono state effettuate le seguenti analisi in riflettografia infrarossa short-wave e long-wave per l’identificazione del disegno preparatorio, di pentimenti stilistici e la mappatura degli interventi di restauro. I dipinti sottoposti ad analisi nell’abside vengono indicati nello schema riprodotto in figura.

Sono stati analizzati anche i due dipinti su tela presenti sul soffitto della navata centrale e indicati come N1 raffigurante la SS. Natività e N2 raffigurante la Beata Annunciazione.

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Descrizione dell’analisi riflettografica La tecnica della riflettografia in infrarosso applicata a dipinti consente, in opportune condizioni, di conoscere particolari celati sotto lo strato visibile della pittura. Può quindi permettere di individuare la presenza del disegno preparatorio o di eventuali rifacimenti rivelando così la presenza di pentimenti stilistici e variazioni in corso d’opera, oltre che individuare tracce di integrazioni dovute a restauri e comprendere la tecnica adoperata dall’artista. Le condizioni che consentono un uso ottimale della riflettografia consistono nella trasparenza alla radiazione infrarossa degli strati pittorici e nella presenza di un supporto (preparazione della tela o della tavola) sufficientemente chiara da consentire la riflessione della componente infrarossa della radiazione incidente sul dipinto verso l’obbiettivo della telecamera adoperata per le riprese. In particolare la trasparenza infrarossa degli strati pittorici di un dipinto è determinata da alcuni fattori, quali: la trasparenza dei leganti adoperati e dei pigmenti in essi mescolati, le concentrazioni dei pigmenti nei diversi strati pittorici oltre allo spessore complessivo della pellicola pittorica. La strumentazione adoperata per effettuare riflettografie consiste generalmente in telecamere con rivelatori a stato solido sensibili nel vicino infrarosso (lunghezze d’onda comprese tra 0,7 e 2,5 micrometri) collegate a personal computer per visualizzare e registrare le immagini in via digitale. In funzione della lunghezza d’onda impiegata le analisi possono essere schematicamente rappresentate come più o meno “profonde”. Strumentazione impiegata - fotocamera IR SHORT WAVE (short-wave) con rivelatore a stato solido CCD composto di 2560 x 1920 elementi fotorivelatori al silicio, sensibile nel visibile e nel vicino infrarosso tra 400 e 1000 nm, dotata di obbiettivo a lunghezza focale variabile. Tutti i singoli riflettogrammi sono presi con una focale di 80 mm a una distanza di circa un 50 cm e con un filtro infrarosso passa-alto da 850 nm. Le immagini sono registrate a 8 bit in formato raw e jpeg. - fotocamera SONY DSC f828 (short-wave) con rivelatore a stato solido CCD composto di 3264 x 2448 elementi fotorivelatori al silicio, sensibile nel visibile e nel vicino infrarosso tra 400 e 1000 nm, dotata di obbiettivo a lunghezza focale variabile, le immagini sono registrate in formato raw e jpeg. - telecamera XenICs (long-wave) con rivelatore a stato solido composto da 320 x 256 elementi fotorivelatori InGaAs (Arseniuro di Gallio Indio) sensibile nel vicino infrarosso fino alla lunghezza d’onda di 1700 nm, dotata di obbiettivo a focale fissa (50mm).

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Figura 29. Riflettografia della volta (c1) eseguita con fotocamera IR Short Wave

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Figura 30. Riflettografia della prima lunetta a destra (L1D) eseguito con fotocamera IR Short Wave

Figura 31. Riflettografia della seconda lunetta a destra (L2D) eseguito con fotocamera IR Short Wave

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Figura 32. Riflettografia della terza lunetta a destra (L3D) eseguito con fotocamera IR Short Wave

Figura 33. Riflettografia della quarta lunetta a destra (L4D) eseguito con fotocamera IR Short Wave

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Figura 34. Riflettografia della prima lunetta a sinistra (L1S) eseguito con fotocamera IR Short Wave

Figura 35. Riflettografia della seconda lunetta a sinistra (L2S) eseguito con fotocamera IR Short Wave

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Figura36. Riflettografia della terza lunetta a sinistra (L3S) eseguito con fotocamera IR Short Wave

Figura 37. Riflettografia della quarta lunetta a sinistra (L4S) eseguito con fotocamera IR Short Wave

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Figura 38. Riflettografia del primo arco (A1) eseguito con fotocamera IR Short Wave

Figura 39. Riflettografia del secondo arco (A2) eseguito con fotocamera IR Short Wave

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Figura 40. Riflettografia del terzo arco (A3) eseguito con fotocamera IR Short Wave

Figura 41. Riflettografia del quarto arco (A4) eseguito con fotocamera IR Short Wave

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Figura 42. Riflettografia del quinto arco (A5) eseguito con fotocamera IR Short Wave

Figura 43. Riflettografia del dipinto centrale (N1) sul soffitto con camera IR Long Wave

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Figura 44. Riflettografia del dipinto posto sul soffitto (N2), lato entrata, con camera IR Long Wave

Conclusioni Per quanto riguarda i dipinti murali nessuno dei pigmenti presenti è trasparente all’infrarosso né mostra la presenza di un disegno soggiacente le aree restaurate sono chiaramente evidenti a causa della maggiore trasparenza dei pigmenti. Per i dipinti posti sul soffitto, realizzati su tela, non vi è evidenza di pentimenti o restauri. I risultati presentati, in bassa risoluzione, non permettono l’identificazione di un disegno preparatorio. Non si sono riscontrati restauri realizzati con pigmenti diversi da quelli originali.

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2.2 AttivitĂ analitico-diagnostiche

Caratterizzazione delle superfici policrome mediante analisi non invasive A cura di Marco Realini, Valentina Brunello, Marco Gondola, Annalisa Moneta, Elena Possenti

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Introduzione L’Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali ha svolto una campagna diagnostica finalizzata alla caratterizzazione delle superfici dipinte interne alla Chiesa. La campagna diagnostica è stata mirata alla caratterizzazione non invasiva delle superfici policrome collocate nell’ultimo ordine decorativo e sulla volta del catino absidale. Le analisi si sono in particolar modo focalizzate sulla caratterizzazione della tavolozza pittorica e sullo studio delle morfologie superficiali delle policromie, funzionale all’individuazione dello stato di conservazione (localizzazione di eventuali dinamiche degradative). L’intero progetto è stato elaborato con l’obbiettivo di ottenere un output da integrare ai risultati forniti dagli altri attori del gruppo di lavoro del progetto. Il protocollo analitico è stato definito sulla base delle osservazioni effettuate durante un sopralluogo all’edificio il 22 novembre 2010. Successivamente, in data 8 novembre 2010, sono state eseguite le indagini non invasive sulle superfici. Stato di conservazione La chiesa si caratterizza per un apparato decorativo policromo che segue le forme e gli andamenti dell’architettura; di frequente, una partitura decorativa a stucco definisce e contorna le aree al cui interno sono inserite decorazioni pittoriche. Oggetto di particolari attenzioni sono state le decorazioni murali della zona absidale, e più precisamente dell’ultimo ordine in alto. Tale porzione architettonica, innestata su una struttura di forma quadrata, è costituita da un ordine di lunette sormontate dalla calotta emisferica della volta absidale e separata dagli spazi della navata dall’ingombro volumetrico dell’arco trionfale. Tali elementi architettonici riprendono la logica decorativa osservata nella navata della chiesa, ossia la presenza di superfici murali dipinte inscritte in strutture decorative tridimensionali (stucchi a motivo geometrico-architettonico, fitomorfo-vegetale, antropomorfico) che fungono da cornice. Le porzioni architettoniche esterne a tali cornici presentano come rivestimento una neutra finitura bianca. La tavolozza cromatica delle pitture murali è relativamente semplice e sostanzialmente ripresa nelle campiture delle specchiature dell’intradosso dell’arco trionfale, delle lunette e del catino absidale. In seguito ad una attenta osservazione delle superfici è stato possibile individuare porzioni delle policromie con rifacimenti e reintegrazioni delle campiture di natura probabilmente moderna (integrazioni con la tecnica del rigatino). Localmente, sebbene con una limitata casistica, si assiste alla perdita della pellicola pittorica, con il conseguente affioramento del disegno preparatorio all’interno della lacuna42 (ad esempio nell’oculo A5, 42

Raccomandazione UNI 11182:2006 - Beni culturali - Materiali lapidei naturali ed artificiali - Descrizione della forma di alterazione - Termini e definizioni

Lacuna: perdita di continuità di superfici (parte di un intonaco, di un dipinto, […]

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Figura 1). In altre porzioni delle superfici si sono individuate alterazioni cromatiche, legate probabilmente a condizioni di conservazione non ottimali oppure all’utilizzo di tecniche esecutive non idonee per il pigmento impiegato. Le cornici a stucco presentano in più punti mancanze di elementi (forma di degrado da ricondurre probabilmente alle recenti vicende sismiche). Sulle superfici dipinte si sono inoltre osservate fessurazioni: esse appaiono tuttavia abbastanza superficiali e non sembrano interessare il corpo preparatorio dell’intonaco. In corrispondenza di alcune mancanze dell’intonaco e della superficie pittorica (soprattutto delle lunette) è stato possibile individuare un secondo livello di intonaco dipinto, che costituisce una specie di substrato, un piano sottostante, alle decorazioni attualmente leggibili (ad esempio lunetta L4S, Figura 2Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.).

Figura 1. Oculo A5, la veste di colore verde del personaggio presenta una lacuna al di sotto della quale si individua il disegno preparatorio.

Figura 2. Lunetta L4S, la mancanza di una consistente porzione di intonaco dipinto consente di individuare al di sotto un secondo livello policromo.

Alterazione cromatica: variazione naturale, a carico di componenti del materiale, dei parametri che definiscono il colore. È generalmente estesa a tutto il materiale interessato; nel caso l’alterazione si manifesti in modo localizzato è preferibile usare il termine macchia. Mancanza: perdita di elementi tridimensionali Fessurazione o fatturazione: soluzione di continuità nel materiale che implica lo spostamento reciproco delle parti, […]

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Piano Analitico Per la scelta dei punti di misura ci si è avvalsi delle indicazioni fornite dalla committenza e dalle osservazioni emerse in seguito ai sopralluoghi. Le campiture oggetto di analisi sono state individuate al fine di isolare le aree più significative per la caratterizzazione completa ed esaustiva della tavolozza pittorica. Per ciascuna tinta sono stati scelti un numero significativo di punti, ponendo attenzione affinché i punti di ciascun colore fossero distribuiti su superfici differenti (intradosso, lunette lato destro, lunette lato sinistro e volta), al fine di ottenere informazioni rappresentative dell’insieme e confrontabili fra loro. Le misure non sono state effettuate in corrispondenza di evidenti ridipinture e/o rifacimenti pittorici. Non sono stati oggetto di analisi le partiture decorative tridimensionali (stucchi), per la cui caratterizzazione sarebbe necessario un campionamento. Le superfici selezionate sono in tutto 14: - 4 lunette posizionate sul lato sinistro dell’abside - 4 lunette posizionate sul lato destro dell’abside - 5 oculi posizionati nell’intradosso dell’arco trionfale - incoronazione della Vergine, raffigurazione con perimetro quadrilobato, posizionata sulla volta dell’abside, per un totale di 83 punti di misura. L’ubicazione dei punti di misura, una breve descrizione degli stessi ed i corrispondenti piani analitici sono indicati in Tabella 1 (lunette lato sinistro), Tabella 2 (oculi dell’intradosso dell’arco trionfale), Tabella 3 (lunette lato destro) e Tabella 4 (volta absidale). La dislocazione delle pitture murali analizzate rispetto alla volumetria absidale è riportata schematicamente in Figura 2.

Figura 2. Schema grafico non in scala della dislocazione delle pitture murali negli spazi absidali e loro nomenclatura.

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Tabella 1. Piano Analitico dei punti di misura analizzati sulle lunette del lato sinistro dell’abside come individuato in Figura 2.

PUNTO DI MISURA

UBICAZIONE e DESCRIZIONE

PIANO ANALITICO

L1S-1

Lunetta L1 sinistra, bianco della veste del personaggio centrale, ginocchio destro

XRF, FORS, OM

L1S-2

Lunetta L1 sinistra, incarnato del personaggio centrale , incavo del collo

XRF, FORS, OM

L1S-3

Lunetta L1 sinistra, verde della foglia della mela che il personaggio centrale sta passando all'Angelo

XRF, FORS, OM

L1S-4

Lunetta L1 sinistra, blu del manto del personaggio centrale, al centro delle gambe di Gesù Bambino

XRF, FORS, OM

L1S-5

Lunetta L1 sinistra, viola della veste di S.Giuseppe, zona natica, all'altezza dell'occhio dell'asino

XRF, FORS

L2S-1

Lunetta L2 sinistra, verde delle fronde sotto l’asino

FORS

L2S-2

Lunetta L2 sinistra, verde delle fronde

FORS

L2S-3

Lunetta L2 sinistra, verde delle fronde del castello

FORS

L2S-4

Lunetta L2 sinistra, rosso della gamba sinistra di S. Giuseppe

FORS

L2S-5

Lunetta L2 sinistra, blu della veste della Madonna

FORS

L3S-1

Lunetta L3 sinistra, blu del cielo a lato dell'ala destra dell'angelo

L3S-2

Lunetta L3 sinistra, giallo della veste del protagonista, misurato in basso dove il colore è molto intenso

XRF, FORS

L3S-3

Lunetta L3 sinistra, verde del sottogola del santo che regge il libro

FORS, OM

L3S-4

Lunetta L3 sinistra, rosso della lettera P, capoverso del libro

L3S-5

Lunetta L3 sinistra, viola delle ali dell’angelo

L3S-6

Lunetta L3 sinistra, incarnato della fronte dell’angelo

FORS

L3S-7

Lunetta L3 sinistra, giallo della veste del protagonista, misurato più in alto dove il colore è più tenue

FORS

L4S-1

Lunetta L4 sinistra, viola sbiadito della veste di un personaggio. Emerge da una lacuna.

XRF, FORS

L4S-2

Lunetta L4 sinistra, viola più intenso della veste del personaggio, misurato vicino alla lacuna

XRF, FORS

150

XRF, FORS, OM

FORS FORS, OM


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Tabella 2. Piano Analitico dei punti di misura analizzati sull’intradosso dell’arco trionfale come individuato in Figura 2.

PUNTO DI MISURA A1-1

UBICAZIONE e DESCRIZIONE Oculo A1, bianco delle braghette del fustigatore di destra

PIANO ANALITICO XRF, FORS, OM

A1-2

Oculo A1, blu della braghetta, gluteo sinistro del fustigatore di destra

XRF, OM

A1-3

Oculo A1, rosso dell’incarnato del polpaccio del personaggio di destra

FORS

A1-4

Oculo A1, giallo del calzare della gamba sinistra del fustigatore di destra

FORS

A1-5

Oculo A1, blu del calzare della gamba sinistra del fustigatore di sinistra.

FORS

A1-6

Oculo A1, rosso del pavimento fra le gambe del fustigatore di sinistra

FORS

A1-7

Oculo A1, incarnato del personaggio di Cristo

FORS

A2-1

Oculo A2, rosso del sangue di Cristo

FORS

A2-2

Oculo A2, blu della veste del personaggio di sinistra

FORS

A2-3

Oculo A2, bianco della veste di Cristo

FORS

A2-4

Oculo A2, blu del calzare della gamba sinistra del personaggio di destra.

A3-1

Oculo A3, grigio del cielo alla destra della testa di Cristo

XRF, FORS

A3-2

Oculo A3, verde della veste di San Giovanni, dove non presenta il rigatino

XRF, FORS

A3-3

Oculo A3, verde della veste di San Giovanni, dove è presente il rigatino

FORS

A3-4

Oculo A3, blu del manto della Madonna

FORS

A3-5

Oculo A3, marrone dei capelli di San Giovanni

FORS

A3-6

Oculo A3, incarnato di Cristo

FORS

A4-1

Oculo A4, bianco della veste, spalla destra di Cristo

XRF, FORS

A4-2

Oculo A4, rosso del gomito destro del fustigatore.

XRF, FORS, OM

A4-3

Oculo A4, marrone della base della croce

XRF, FORS

A4-4

Oculo A4, arancio della veste all'altezza del ginocchio della persona posta dietro Cristo

XRF, FORS

A4-5

Oculo A4, blu del calzare del personaggio a destra

A5-1

Oculo A5, blu della manica destra dell'uomo dormiente

XRF, FORS

A5-2

Oculo A5, verde della veste del personaggio, altezza petto

XRF, FORS

151

OM

FORS


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Tabella 3. Piano Analitico dei punti di misura analizzati sulle lunette del lato destro dell’abside come individuato in Figura 2.

PUNTO DI MISURA

UBICAZIONE e DESCRIZIONE

PIANO ANALITICO

L1D-1 L1D-2 L1D-3

Lunetta L1 destra, blu della veste dell'angelo, nella parte inferiore Lunetta L1 destra, incarnato della guancia dell'angelo Lunetta L1 destra, incarnato del ginocchio destro dell'angelo Lunetta L1 destra, verde delle frasche alla sinistra delle ali dell'angelo Lunetta L1 destra, viola delle ali dell’angelo Lunetta L1 destra, rosso chiaro del cielo, sulla sinistra della lunetta Lunetta L1 destra, blu del cielo sopra la testa dell’angelo Lunetta L1 destra, blu del cielo fra le ali dell’angelo Lunetta L1 destra, grigio delle frasche sulla sinistra della lunetta Lunetta L1 destra, verde delle frasche sulla sinistra della lunetta Lunetta L2 destra, rosso della veste della Madonna, sotto il ginocchio Lunetta L2 destra, rosso della veste della Madonna, altezza seno sinistro, dove non è presente il rigatino Lunetta L2 destra, blu della veste della Madonna, spalla sinistra, all'altezza della borsa verde Lunetta L2 destra, verde scuro della borsa tenuta in grembo dalla Madonna, lato sinistro della borsa Lunetta L2 destra, verde delle fronde vicino alla testa della Madonna Lunetta L2 destra, marrone chiaro delle assi del tavolo vicino alla mano di S. Giuseppe Lunetta L2 destra, viola della gamba destra di S. Giuseppe Lunetta L2 destra, blu del cielo Lunetta L3 destra, incarnato collo-gola del personaggio Lunetta L3 destra, rosso della veste del personaggio, altezza ombelico. Il colore di questo punto è molto simile al colore del punto L3D-3 baffi uomo Lunetta L3 destra, rosso dei baffi dell’uomo Lunetta L3 destra, verde della veste del personaggio Lunetta L3 destra verde scuro della veste del personaggio Lunetta L3 destra, blu del cielo Lunetta L4 destra, marrone blu-violaceo del collo dell'aquila Lunetta L4 destra, verde chiaro delle fronde a lato dell'aquila, stessa altezza del punto L4D-1 Lunetta L4 destra, verde della veste del personaggio Lunetta L4 destra, blu del cielo Lunetta L4 destra, incarnato della fronte del personaggio Lunetta L4 destra, rosso dei capelli del personaggio

XFR, FORS XRF, FORS XRF, FORS

L1D-4 L1D-5 L1D-6 L1D-7 L1D-8 L1D-9 L1D-10 L2D-1 L2D-2 L2D-3 L2D-4 L2D-5 L2D-6 L2D-7 L2D-8 L3D-1 L3D-2 L3D-3 L3D-4 L3D-5 L3D-6 L4D-1 L4D-2 L4D-3 L4D-4 L4D-5 L4D-6

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XRF, FORS FORS FORS FORS FORS FORS FORS XRF, FORS XRF, FORS, OM XRF, FORS, OM XRF, FORS, OM XRF, FORS, OM XRF, FORS, OM XRF, FORS, OM FORS XRF, FORS, OM XRF, FORS, OM FORS FORS FORS FORS XRF, FORS, OM XRF, FORS, OM FORS FORS FORS FORS


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Tabella 4. Piano Analitico dei punti di misura analizzati sulla volta absidale come individuato in Figura 2.

PUNTO DI MISURA

UBICAZIONE

PIANO ANALITICO

C1-1

C1 Volta grande dipinta, blu della veste della Madonna

XRF, FORS

C1-2

C1 Volta grande dipinta, rosso della veste della Madonna sotto il suo polso destro

XRF, FORS

C1-3

C1 Volta grande dipinta, rosso della veste del putto all'altezza del gluteo

XRF, FORS

C1-4

C1 Volta grande dipinta, verde dell'aluccia laterale del putto alla destra della Madonna

XRF, FORS

C1-5

C1 Volta grande dipinta, giallo dell'aureola triangolare del Santo

XRF, FORS

C1-6

C1 Volta grande dipinta, viola scuro di bordatura del'ala sinistra dell'angelo sotto la Madonna, dove non esiste il rigatino

XRF, FORS

C1-7

C1 Volta grande dipinta, verde delle ali dell’angelo posto sotto la Madonna

FORS

C1-8

C1 Volta grande dipinta, rosso della corona sopra la Madonna

FORS

C1-9

C1 Volta grande dipinta, giallo della veste dell’angelo alla destra della Madonna

FORS

C1-10

C1 Volta grande dipinta, grigio della veste di Cristo

FORS

Legenda: XRF Fluorescenza a raggi X portatile FORS Spettrofotometria in riflettanza mediante fibre ottiche nell’intervallo spettrale VIS-NIR OM Microscopia ottica portatile

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Metodologie Analitiche Le superfici policrome sono state studiate con le seguenti tecniche: Microscopia ottica portatile

Le osservazioni sono state condotte direttamente sulle superfici mediante un microscopio digitale portatile Scalar DG2A dotato di zoom ottico 25-200x. Le immagini sono state acquisite a 25x (area indagata 13x8 mm), a 50x (area indagata 6,5x4 mm) e a 100x (area indagata 3,2x2 mm) su numerose aree con differente colorazione superficiale, e sulle porzioni caratterizzate da lacune o da evidenti fenomeni di alterazione della superficie policroma. Spettrofotometria in riflettanza VIS-NIR con fibre ottiche

Le osservazioni delle curve spettrali per il riconoscimento del pigmento sono state effettuate con uno spettrofotometro Ocean Optics con reticolo piano operante alle lunghezze d’onda comprese fra 360 e 1050 nanometri. L’apparecchio è stato impiegato nella modalità in riflessione con l’impiego di un sistema costituito da una fibra ottica e da un supporto in plexiglas che offre la possibilità di effettuare misure direttamente a contatto della superficie pittorica garantendo l’incolumità della superficie stessa. L’ area di misura è circolare, di circa 2 mm di diametro. Fluorescenza a raggi X portatile

E’ stato utilizzato uno spettrometro XRF portatile (serie ALPHA 4000, Innov-X) con micro tubo a raggi X avente anodo al tantalio. L’analisi viene eseguita in due step con due energie diverse: 40keV - 6,5 μA – filtro 2mm di Alluminio per la determinazione degli elementi pesanti e 15keV – 7 μA – filtro 0,1 mm di Alluminio per la determinazione degli elementi leggeri. L’area irraggiata è di circa 155 mm2. Lo spettrometro è equipaggiato con un rivelatore Si-PIN (FWHM < 230 eV a 5.95 keV linea Kα del Mn) raffreddato con una cella Peltier. Lo strumento viene appoggiato alla superficie da analizzare mantenendo costante la distanza del tubo e del rilevatore, posizionati ad un’angolazione fissa all’interno della testa dello strumento e protetti da una finestra di Kapton. La costanza delle condizioni geometriche è garanzia della riproducibilità delle misure e quindi della confrontabilità dei dati. Gli spettri XRF sono stati registrati in via digitale, tramite un palmare integrato e software dedicato. I Pigmenti La caratterizzazione dei pigmenti verrà di seguito sviluppata trattando separatamente ciascun colore. Per ciascun colore verrà dunque formulata un ipotesi sui pigmenti impiegati in base alle informazioni ottenute dalle curve spettrali, dalla microscopia ottica portatile e dalle misure XRF. La mappatura dei punti di misura esaminati in corrispondenza delle varie lunette è riportata da Figura 3 a Figura 16.

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Figura 3. Lunetta L1S. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

Figura 4. Lunetta L2S. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

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Figura 5. Lunetta L3S. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione .

Figura 6. Lunetta L4S. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

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Figura 7. Oculo A1. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

Figura 8. Oculo A2. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

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Figura 9. Oculo A3. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

Figura 10. Oculo A1. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

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Figura 11. Oculo A1. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

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Figura 12. Lunetta L1D. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

Figura 13. Lunetta L2D. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

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Figura 14. Lunetta L3D. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

Figura 15. Lunetta L4D. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione.

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Figura 16. Volta principale. Nell’immagine sono i riportati i punti di misura e la loro localizzazione

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Pigmenti blu Tabella riassuntiva dei punti di misura di colore blu, con gli elementi individuati con l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza della superficie e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura L1S-4

Elementi visibili con analisi XRF Ca, Fe, As, Ni, Bi, Co

L2S-5 L3S-1

Ca, Fe, As, Ni, Bi, Co

A1-2

Ca, Fe, As, Ni, Bi, Co, Mn

Caratteristiche spettro di riflettanza

Ipotesi pigmento

max 458 e 562 nm, risale da 654 a 740 nm ca, poi decresce

Blu di smalto

max 465 nm e 564 nm, risale da 657 a 730 nm ca, poi costante

Blu di smalto

max 461 nm e 562 nm, risale da 660 a 730 nm ca, poi costante

Blu di smalto Blu di smalto+ terra a base di manganese

A1-5

max 463 e 563 nm, risale da 660 a a 740 nm ca, poi decresce

Blu di smalto

A2-2

max 454 e 563 nm, risale da 660 a 730 nm ca, poi costante

Blu di smalto

A2-4

non presente

Blu di smalto

A3-4

max 445 e 563 nm, risale da 660 a 740 nm ca, poi decresce

Blu di smalto

A4-5

max 457 e 564 nm, risale da 650 a 730 nm ca, poi decresce

Blu di smalto

A5-1

Ca, Fe, As, Ni, Bi, Co, Mn, K, Zn

max 452 e 563 nm, risale da 660 a 740 nm ca, poi decresce

L1D-1

Ca, Fe, As, Ni, Bi, Co, Pb , Mn

max 454 e 563 nm, risale da 655 a 740 nm ca, poi decresce

Blu di smalto + terra a base di manganese + bianco di zinco Blu di smalto + biacca + terra a base di manganese

L1D-7

max 456 e 563 nm, risale da 655 a 730 nm ca, poi decresce

Blu di smalto

L1D-8

max 465 e 563 nm, risale da 655 a 730 nm ca, poi decresce

Blu di smalto

max 463 e 565 nm, risale da 660 a 730 nm ca, poi costante

Blu di smalto

L2D-8

max 467 e 567 nm, risale da 660 a 730 nm ca, poi costante

Blu di smalto

L3D-6

max 457 e 566 nm, risale da 660 a 730 nm ca, poi costante

Blu di smalto

L2D-3

Ca, Fe, As, Ni, Bi, Co

L4D-4 C1-1

Ca, Fe, As, Ni, Bi, Co

max 456 e 564 nm, risale da 660 a 730 nm ca, poi costante max 438 e 563 nm, risale da 660 a 740 nm ca, poi decresce

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Blu di smalto Blu di smalto


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Figura 17. Spettro di riflettanza del punto di misura L1S-4

Figura 18. Spettro XRF del punto di misura L1S-4

500 m

2 mm Figura 19. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-4

Figura 20. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-4

500 m Figura 21. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L3S-1. L’immagine evidenzia la scarsa capacità coprenti del pigmento.

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L’andamento delle curve spettrali di riflettanza (di cui si riporta l’esempio del punto di misura L1S-4, Figura 17) è caratterizzato da un pattern comune a tutte le campiture azzurre. Le similitudini fra i pigmenti azzurri sono state inoltre confermate delle analisi di fluorescenza a raggi X (Figura 18) ove l’individuazione di alcuni elementi (cobalto, arsenico, nichel, bismuto, potassio) ha permesso di identificare la presenza di blu di smalto. Il pigmento, chiamato anche smaltino, è un pigmento inorganico di origine artificiale, costituito da un silicato doppio di potassio e cobalto, SiO2.K2O.Al2O3.CoO. Lo smaltino è identificato grazie al cobalto ed all’individuazione di alcuni elementi presenti in tracce, quali nichel, arsenico, bismuto, ecc. Tali elementi, spesso presenti in forma di ossidi metallici, sono peculiari del pigmento poiché aggiunti in fase di produzione oppure perché presenti in qualità di impurezze nelle materie prime utilizzate. In uso sin dall’antichità e soprattutto dal rinascimento come pigmento azzurro per la pittura murale, l’affresco e la tempera, si contraddistingue per la caratteristica trasparenza vitrea (basso potere coprente, ben leggibile nelle immagini di microscopia portatile, Figura 19, Figura 20 e Figura 21) e per l’ottima stabilità al pH della calce e ai fattori ambientali. L’individuazione, in tutti i punti XRF, dell’elemento calcio è ricondotta sia alla composizione del legante (calce) che al probabile uso di fondenti (ossidi di calcio) nelle fasi di produzione del pigmento. L’individuazione di manganese (in tracce) nei punti L1D-1, A1-2, A5-1 può essere attribuita alla presenza di impurezze, oppure all’utilizzo di terra contenente manganese, (es. terra d’ombra - ossido di manganese, terra di Siena, terra rossa); inoltre, l’individuazione di zinco nel punto A5-1, può far ipotizzare per questa campitura l’utilizzo di una miscela di smaltino e bianco di zinco (ossido di zinco, ZnO, noto sin dall’antichità ma in uso come pigmento dalla fine del XVIII secolo43). La presenza di zinco potrebbe oppure essere ricondotta all’utilizzo di cobaltiti arseniose44 (minerali di cobalto che spesso contengono zinco) come coloranti della massa vetrosa. Ad eccezione del punto L1D-1, tutte le campiture blu sono prive dell’elemento piombo, il che potrebbe suggerire l’utilizzo di un pigmento bianco a base piombo (biacca) solo localmente. In tutti i punti di misura si individua molto calcio. Pigmenti grigi Tabella riassuntiva di tutti i punti di misura di colore grigio, con gli elementi individuati mediante l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza del pigmento e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura

Elementi visibili con analisi XRF

Caratteristiche spettro

43

Ipotesi pigmento

Artist’s Pigments. A handbook of their history and characteristics, Volume 1, AA.VV., Robert L. Feller Editor, National Gallery of Art, Washington D.C, 1986. 44 I Colori del Vetro antico. Il vetro musivo bizantino, C.Fiori, M.Vandini, V.Mazzotti, il Prato, Saonara (PD), 2004

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di riflettanza A3-1

Ca, Pb, Co, As, Bi

costante

C1-10

costante

L1D-9

cresce in modo costante

Figura 22. Spettro di riflettanza del punto A3-1

Calcite + blu di smalto + nero carbone + biacca

Figura 23. Spettro XRF del punto A3-1

Le tonalità grigie sono probabilmente eseguite con un pigmento ottenuto dalla calcinazione di sostanze organiche naturali (nero carbone), in miscela a carbonato di calcio, utilizzato sia come legante che come possibile pigmento bianco. Per la determinazione della natura del pigmento, né l’analisi XRF né la spettrofotometria in riflettanza (Figura 22) hanno fornito indicazioni più specifiche (limiti strumentali). È interessante sottolineare una particolarità degli elementi che contraddistinguono il punto di misura A3-1, ossia la presenza, sebbene in tracce, di cobalto, arsenico e bismuto (Figura 23). Tali elementi sono distintivi del pigmento smaltino e la loro individuazione potrebbe suggerire la presenza di una stratigrafia, che consisterebbe in un substrato blu (smaltino, eventuale biacca e calcite) ed uno strato più superficiale, una “velatura grigia” composta da polvere di carbone dispersa in uno strato di calcio (calcite). Tale ipotesi troverebbe conferma nell’osservazione macroscopica dell’area di misura, che si struttura in un sistema di nuvole su sfondo azzurro (Figura 24 e Figura 25).

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Figura 24. Oculo A3. Il rettangolo bianco individua l’area di Figura 25.

Figura 25. Particolare dell’oculo A3. Si individua la piccola area del punto A3-1 ed il disegno di uno “sfondo nuvoloso”.

Pigmenti rossi Tabella riassuntiva di tutti i punti di misura di colore rosso, con gli elementi individuati con l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza del pigmento e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura

Elementi visibili con analisi XRF

L2S-4 L3S-4 A1-3 A1-6 A2-1 A4-2

Pb, Ca, Fe, Ti

L1D-6 L2D-1

Pb, Ca, Fe, Ti

L2D-2 L3D-2

Pb, Ca, Fe, Ti Pb, Ca, Fe, Ti

L3D-3 L4D-6

Caratteristiche spettro di riflettanza cresce da 564 nm ca, spalla 612 nm ca, max 747 nm, min 861 nm. cresce da 509 nm, spalla 612 nm ca, max 765 nm ca, min 872 nm cresce da 530 nm ca, spalla 612 nm ca, max 749, min 867 ca cresce da 490 nm ca, spalla 585 nm, crsce fini a 795 nm ca poi con pendenza minore cresce da 540 nm ca, spalla 620 nm ca, max 746 nm, min 862 nm ca cresce da 530 nm ca, spalla 600 nm, max 757 nm, decresce fino a 880 nm ca cresce da 550 nm ca, spalla 610 nm, max 748 nm, min 873 nm cresce da 530 nm ca, spalla 612 nm ca, max 752 nm, min 852 cresce da 530 nm, spalla 600 nm ca, max 758 nm cresce da 530 nm ca, max 747 nm, min 880 nm ca cresce da 520 nm ca, spalla a 610 nm ca, max 754, min 874 cresce da 540 ca, max 754, min 864

C1-2

Pb, Ca, Fe, Hg

cresce da 550 nm ca, spalla 628 nm ca

C1-3

Pb, Ca, Fe, Hg

cresce da 550 nm ca, spalla 628 nm ca

167

Ipotesi pigmento Ocra rossa Ocra rossa Ocra rossa Ocra rossa Ocra rossa Biacca + Ocra rossa Ocra rossa Biacca + Ocra rossa Biacca + Ocra rossa Biacca + Ocra rossa Ocra rossa Ocra rossa Biacca + Ocra rossa + Vermiglione Biacca + Ocra rossa + Vermiglione


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C1-8

cresce da 540 nm, max 745 mn, min 870 nm ca

Ocra rossa

500 m

2 mm Figura 26. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura A4-2

Figura 27. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura A4-2

500 m

1 mm Figura 28. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L3D-2

Figura 29. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L3D-2

Figura 30. Spettro di riflettanza del punto di misura A4-2

Figura 31. Spettro XRF del punto di misura A4-2

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La presenza di ocra, come pigmento per la realizzazione delle campiture rosse (da Figura 26 a Figura 29) è stata definita sia dalle analisi XRF che dagli spettri di riflettanza nel visibile (Figura 30 e Figura 31). Le curve spettrali ottenute dai punti di misura rossi delle lunette e del sott’arco hanno infatti mostrato un andamento estremamente peculiare e ottima sovrapponibilità ai riferimenti spettrali delle ocre rosse (di cui si riporta un esempio in Figura 30, punto di misura A4-2). L’ocra rossa o terra rossa (nella variante meno pura, contenente impurità silicatiche e argillose), è un ossido di ferro anidro (Fe 2O3) di origine naturale e natura inorganica. In uso sin dalla preistoria per la pittura murale, la pittura a tempera e ad olio, è un pigmento con elevato potere coprente, buona stabilità alla luce, all’umidità e alla calce. In tutte le campiture rosse misurate con la tecnica XRF è stato inoltre individuato l’elemento piombo. Per tale individuazione si può ipotizzare la presenza, in miscela all’ocra, di un pigmento a base di piombo, quale la biacca (carbonato basico di piombo 2Pb(CO 3) . Pb(OH)2, pigmento inorganico di sintesi utilizzato sin dall’antichità per la pittura a tempera, olio ed encausto, in virtù dell’elevato potere coprente) o, in alternativa, di un ulteriore strato sottostante contenente un pigmento rosso a base di piombo (minio, Pb 2O3). La presenza di biacca è però più verosimile poiché, come si vedrà nei paragrafi successivi, è stato individuato piombo anche in campiture di altri colori, ed in alcune aree si individuano forme di alterazione peculiari della biacca. Sebbene non si possa escludere la presenza di piombo negli eventuali strati preparatori o sottostanti livelli pittorici, è opportuno evidenziare che nel punto di misura A4-2 la presenza di piombo risulta particolarmente elevata. Nei punti A4-2 (Figura 31), L2D-1, L2D-2 e L3D-2 si registra la presenza di titanio, riconducibile a impurezze minerali spesso presenti nel pigmento naturale. Le campiture rosse della volta (Figura 32 e Figura 33) si caratterizzano per una composizione sensibilmente differente: in miscela ad ocra rossa è infatti presente anche il pigmento vermiglione (Figura 34 e Figura 35) costituito da solfuro di mercurio (HgS). Chiamato anche cinabro, il pigmento può avere origine naturale (minerale) oppure di sintesi (noto dal XV secolo); di colore molto variabile (rosso, arancio, porpora, bruno scuro) ha ottimo potere coprente ed è utilizzato per la pittura murale e l’affresco. In queste campiture, in corrispondenza delle aree in cui è stata rilevata la presenza concomitante di mercurio e piombo (punti C1-2 e C1-3), sono evidenti locali annerimenti (presenza di pigmenti neri a composizione carboniosa oppure prodotti di alterazione quali plattnerite, PbO2, o galena, PbS, Figura 32 e Figura 33). Il fenomeno può essere attribuito ad una alterazione cromatica della biacca, che è un pigmento sensibile alla basicità della calce e si altera (annerendo) sia se applicata erroneamente (ad affresco), sia se utilizzata in miscela a solfuri (come il vermiglione).

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Figura 32. Foto macro della campitura rossa del punto di misura C1-2. Si individuano piccole aree in cui il pigmento rosso è virato al nero. Inoltre, anche il pigmento bianco della veste (in alto alla foto) sembra virato al bruno.

Figura 33. Foto macro della campitura rossa del punto di misura C1-3. Si individuano annerimenti diffusi.

Figura 34. Spettro di riflettanza del punto di misura C1-3

Figura 35. Spettro XRF del punto di misura C1-3

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Pigmenti arancio e gialli Tabella riassuntiva di tutti i punti di misura di colore giallo e arancio, con gli elementi individuati con l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza del pigmento e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura L3S-2

Elementi visibili con analisi XRF Pb, Ca, Fe

L3S-7 A1-4 A4-4

Pb, Ca, Fe, Ti

C1-5

Pb, Ca, Fe

C1-9

Caratteristiche spettro di riflettanza cresce da 490 nm ca, spalla 590 nm ca, max 781 nm, min 885 nm cresce da 480 nm ca, spalla 610 nm ca, max 763 nm, min 876 nm cresce da 490 ca, spalla 590 nm ca, max 760 nm, min 920 nm cresce da 490 nm ca, spalla 586 nm ca, max 771 nm cresce da 486 nm, spalla 590 nm, max 678 nm ca cresce da 490 nm ca, spalla 586 nm ca, max 763 nm

Ipotesi pigmento Biacca + Ocra gialla Ocra gialla Ocra gialla Biacca + Ocra gialla + Ocra rossa Biacca + Ocra gialla Ocra gialla

Figura 36. Spettro di riflettanza del punto di misura A4-4

Figura 37. Spettro XRF del punto di misura A4-4

Figura 38. Spettro di riflettanza del punto di misura C1-5

Figura 39. Spettro XRF del punto di misura C1-5

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Le campiture di colore giallo e/o arancio si caratterizzano per l’utilizzo di ocra gialla, un pigmento di origine naturale, talvolta miscelata ad ocra rossa (probabilmente per ottenere una tinta più aranciata o più satura). Analogamente alle campiture rosse, l’individuazione del pigmento è stata possibile grazie alla presenza ubiquitaria di ferro (registrata in tutti i punti misurati con XRF, Figura 37 e Figura 39), e soprattutto grazie al peculiare andamento spettrale (Figura 36 e Figura 38), che inequivocabilmente identifica il pigmento. L’ocra gialla (chiamata anche terra gialla, nella variante contenente silicati e/o impurezze naturali) è costituita da ossidi di ferro idrati (FeO(OH) ) ed è un pigmento di origine naturale utilizzato sin dall’antichità per le tecniche pittoriche a tempera, olio, affresco e pittura murale; il pigmento presenta grande stabilità ai fattori ambientali e alla calce. È prassi utilizzare miscele di ocra gialla ed ocra rossa (come probabilmente nel punto A4-4, in cui, la misura XRF registra la presenza di titanio analogamente alle campiture rosse) per la realizzazione di campiture più scure e/o con toni aranciati. In tutti i punti di misura XRF si è evidenziata la presenza di piombo (probabilmente biacca); in corrispondenza di queste campiture, non si osservano fenomeni di annerimento o alterazione cromatica riconducibili al degrado dei pigmenti (Figure 41-41).

Figura 40. Macro della campitura gialla del punto di misura C1-5. Si percepisce l’omogeneità ed il buono stato di conservazione della campitura

Figura 41. Macro della campitura giallo e arancio del punto di misura L3S-2. Non si individuano annerimenti o alterazioni cromatiche

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Pigmenti viola Tabella riassuntiva di tutti i punti di misura di colore viola, con gli elementi individuati con l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza del pigmento e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura L1S-5

Elementi visibili con analisi XRF Ca, Fe, Pb

L3S-5 L4S-1

Fe, Ca

L4S-2

Ca, Fe, Pb

L1D-5 L2D-7 C1-6

Ca, Fe, Pb Ca, Fe, Pb

Caratteristiche spettro di riflettanza cresce da 540 nm ca., spalla 610 nm ca., max 747 nm, min 858 nm cresce da 550 nm ca., spalla 610 nm ca., max 748 nm, min 865 nm ca. cresce da 565 nm ca., spalla 610 nm ca., max 750 nm, min 867 nm cresce da 560 nm ca., spalla 610 nm ca., max 750 nm, min 863 nm cresce da 530 nm ca., spalla 610 nm ca., max 745 nm, min 862 nm cresce da 550 mn ca., spalla 610 nm ca., max 749 nm, min 860 Cresce da 560 nm ca., spalla 610 nm ca., poi costante

Figura 42. Spettro di riflettanza del punto di misura L1S-5

Figura 44. Andamento spettrale del punto di misura C1-6

Ipotesi pigmento Violetto di Marte Violetto di Marte Violetto di Marte Violetto di Marte Violetto di Marte Violetto di Marte Violetto di Marte + Lacca rossa

Figura 43. Spettro XRF del punto di misura L1S-5

Figura 45. Spettro XRF del punto di misura C1-6

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500 m

2 mm Figura 46. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L2D-7

Figura 47. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L2D-7

Tutte le campiture viola analizzate mostrano fra loro analogie in merito agli elementi costitutivi (ferro, Figura 43 e Figura 45), all’andamento spettrale delle curve di riflettanza sovrapponibili (Figura 42) ed all’aspetto morfologico delle superfici (Figura 46 e Figura 47). Il pigmento impiegato risulta essere violetto di Marte, un pigmento inorganico di sintesi (dal XIX secolo in poi), costituito da ossido di ferro anidro (Fe 2O3) ottenuto per calcinazione a elevate temperature di solfati ed ossidi di ferro. Ideale per la tecnica ad affresco e/o le pitture murali, il pigmento si caratterizza per una spiccata resistenza alla calce ed ai fattori ambientali. In quasi tutti i punti è stato inoltre identificato l’elemento piombo. In corrispondenza del punto di misura C1-6 (le ali di uno degli angeli della volta) il pigmento potrebbe essere stato utilizzato in miscela ad una lacca rossa oppure essere presente una velatura (curva FORS di Figura 44); per tale area non è da escludere la presenza di un rifacimento pittorico (caratteristiche morfologiche stilistiche del soggetto diverse, il punto di misura presenta molto piombo e tracce di rame, la riflettanza spettrale è differente, ecc.). Lo studio delle caratteristiche composizionali e morfologiche delle campiture di colore viola ha permesso di sviluppare una riflessione sulle possibili origini della fluorescenza del piombo. Tali riflessioni attribuirebbero l’origine della fluorescenza (o perlomeno un contributo) al substrato, ossia ai livelli sottostanti la pellicola pittorica. Il piombo è stato infatti individuato in tutti i punti di misura con alcune peculiarità: l’intensità del picco principale di emissione del piombo segue una logica di proporzionalità inversa rispetto al picco del ferro. Dove il picco del ferro è molto intenso, il picco del piombo è poco intenso (talvolta neanche presente). Ove invece il ferro ha intensità medio-bassa si osserva la risalita dell’intensità del picco del piombo. Ne conseguirebbe che ove la stesura di pigmento (a base di ferro o di altri elementi “pesanti”) ha maggiore spessore, la radiazione X viene arrestata allo strato pittorico, e non giunge a leggere (o la legge in minima parte) il contributo di piombo del substrato. Ove invece la campitura ha più le caratteristiche di una velatura superficiale i raggi X riuscirebbero ad attraversare lo strato pittorico superficiale alzando i conteggi di fluorescenza del piombo.

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Un’ultima riflessione: come detto nel capitolo dedicato allo “Stato di conservazione”, le pitture murali si caratterizzano per la presenza di lacune (localmente anche importanti) che lasciano riaffiorare una seconda superficie dipinta, più antica. Un esempio interessante è presente proprio nella lunetta 4 posizionata sul lato sinistro dell’abside (L4S, Figura 48 e Figura 49) in corrispondenza di alcune campiture viola. In tale lunetta infatti, una vistosa lacuna permette di osservare chiaramente la presenza di un primo livello dipinto (di colore viola), su cui è applicato uno strato di intonaco (dello spessore di circa un centimetro) a sua volta dipinto in viola. I due viola sono stati analizzati entrambi con la tecnica XRF. Nel punto di misura più superficiale, L4S-2, si registra la presenza di piombo (sebbene poco, data l’alta presenza di ferro); nello strato sottostante, “primigenio”, non si individuano tracce di piombo (punto L4S1). Il confronto fra questi due punti di misura consentirebbe di affermare che, per alcune campiture, il contributo di piombo può essere riconducibile ad una dispersione dell’elemento nello strato (o negli strati) di intonaco più superficiali (decorazione più recente) e dunque al “rifacimento” della decorazione attualmente leggibile.

Figura 48. Lunetta L4S. Nella foto, eseguita in luce radente, si individua nettamente il gap fra lo strato di intonaco dipinto superficiale e il substrato anch’esso dipinto. Il rettangolo bianco individua l’area di Figura 49

Figura 49. Macro della campitura viola L4S-1, appartenente allo strato di intonaco più antico. Sulla destra si nota l’ombra dello strato più superficiale.

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Incarnati Tabella riassuntiva di tutti i punti di misura degli incarnati, con gli elementi individuati con l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza del pigmento e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura

Elementi visibili con analisi XRF

Caratteristiche spettro di riflettanza

Ipotesi pigmento

cresce da 440 nm ca., spalla 600 nm ca., poi cresce con pendenza minore

Ocra rossa + biacca

L3S-6

cresce con pendenza bassa fino a 580 nm ca. poi costante

Ocra rossa + biacca

A1-7

cresce fino a 610 nm ca., poi cresce con pendenza minore

Terra

A3-6

cresce fino a 620 nm ca., poi cresce con pendenza minore

Ocra rossa + biacca

L1S-2

Pb, Ca, Fe

L1D-2

Pb, Ca, Fe

cresce, spalla 600 nm ca., poi cresce con pendenza minore con aumento intorno a 780 nm

Ocra rossa + biacca

L1D-3

Pb, Ca, Fe

cresce, spalla 590 nm ca., poi costante

Ocra rossa + biacca

L3D-1

Pb, Ca, Fe, Ti

cresce, spalla 590 nm ca., poi cresce con pendenza minore con aumento intorno a 780 nm

Ocra rossa + biacca

L4D-5

costante, cresce da 560 nm ca.

Figura 50. Spettro di riflettanza del punto di misura L1S-2

Figura 51. Spettro XRF del punto di misura L1S-2

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2 mm

1 mm

Figura 52. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-2

Figura 53. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-2

500 ď ­m

2 mm

Figura 54. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L3D-1

Figura 55. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L3D-1

Le campiture degli incarnati (da Figura 52 a Figura 55) risultano composte da un pigmento a base di ferro e calcio, probabilmente una terra dispersa in una matrice calcitica. La presenza di ocra ha trovato conferma nell’andamento delle curve spettrali (Figura 50). Anche in queste campiture si registra, in tutti i punti, la presenza di piombo. La colorazione degli incarnati sarebbe dunque il risultato di una miscela di terre (ocra rossa e poca ocra gialla) con carbonati (legante e forse pigmento, Figura 51) e forse biacca. Non si individuano alterazioni cromatiche riconducibili al degrado di pigmenti bianchi a base di piombo.

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Pigmenti bianchi Tabella riassuntiva di tutti i punti di misura di colore bianco, con gli elementi individuati mediante l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza del pigmento e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura

Elementi visibili con analisi XRF

Caratteristiche spettro di riflettanza

Ipotesi pigmento

L1S-1

Pb, Ca, Fe

cresce, spalla 560 nm ca., poi cresce con pendenza minore fino a 770 nm ca., poi costante

Calcite + biacca + poca ocra

A1-1

Ca, Fe, Pb

cresce fino a 770 nm ca. poi costante

Calcite + poca ocra

cresce, spalla 560 nm ca., poi cresce con pendenza minore fino a 770 nm ca., poi costante

A2-3

A4-1

Ca, Fe, Pb

cresce, spalla 570 nm ca., poi cresce con pendenza minore fino a 770 nm ca., poi costante

Figura 56. Spettro di riflettanza del punto di misura L1S-1

Calcite + poca ocra

Figura 57. Spettro XRF del punto di misura L1S-1

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2 mm

1 mm

Figura 58. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura A1-1

Figura 59. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura A1-1

1 mm

2 mm Figura 60. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-1

Figura 61. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-1

Gli spettri XRF delle campiture di colore bianco mostrano la presenza degli elementi calcio, ferro e piombo (Figura 57). Le differenze di intensità dei picchi di calcio e piombo, sono legate alla differente composizione delle campiture bianche: in particolare si individua in maniera preponderante il calcio negli oculi del sottarco, mentre si registra molto piombo nelle campiture appartenenti alle lunette. Tale reciprocità rispecchia la tendenza già osservata per gli altri pigmenti della zona del sottarco (oculi A1-A5) ove il piombo è assente o presente in minime tracce. Si dedurrebbe dunque una diversità di tecnica pittorica, fra la zona del sottarco (Figura 58 e Figura 59) e quella delle lunette (Figura 60 e Figura 61). L’individuazione di ocra in tracce nello strato pittorico è stato confermato dall’andamento delle curve FORS (Figura 56): il pigmento, ocra rossa, sarebbe dunque stato aggiunto in piccole quantità ai pigmenti bianchi per ottenere una tonalità più “calda”. Parte della fluorescenza X del ferro è anche attribuibile all’aggregato dei substrati (aggregato che peraltro spesso riaffiora in piccole lacune dello strato pittorico). La tavolozza dei pigmenti così definita vedrebbe dunque l’utilizzo di bianco di calce (o bianco di San Giovanni, carbonato di calcio, CaCO3), ocra e forse poca biacca per gli oculi, mentre sarebbe costituita da molta più biacca, ocra e forse bianco di calce per le lunette.

179


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L’utilizzo del bianco di piombo nelle lunette è quasi certo, sia per l’intensità del picco di fluorescenza in tali zone, che per il vistoso fenomeno di alterazione cromatica (caratteristico della biacca) che interessa alcune campiture bianche. Si assiste infatti, e in particolare in corrispondenza dell’abito del personaggio femminile della lunetta L1S, ad un’alterazione del pigmento da bianco (carbonato basico di piombo) a bruno-nero (probabilmente in plattnerite, PbO2, Figura 62, Figura 63 e Figura 64). Per il punto di misura L1S-1 si può dunque dedurre l’uso di biacca come pigmento bianco principale e l’applicazione della stessa con una tecnica non idonea per le caratteristiche chimico-fisico del pigmento (ad esempio la stesura ad affresco che espone il pigmento alla basicità della calce).

Figura 62. Lunetta L1S. Si osserva l’alterazione cromatica dell’abito del personaggio femminile.

2 mm

1 mm

Figura 63. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-1 in un area in cui il colore bianco è virato al nero

Figura 64. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-1 in un area in cui il colore bianco è virato al nero

180


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Come già anticipato, l’elemento piombo è presente anche negli oculi. La presenza di pigmento bianco a base di piombo, nonostante la debole leggibilità dell’elemento (legata all’uso di piccole quantità) sarebbe confermata dalle alterazioni cromatiche virate al nero presenti in tali campiture (Figura 65 e Figura 66).

Figura 65. Particolare dell’Oculo A5. Si osservano il bianco della veste e l’incarnato del volto (personaggio in basso a destra) virato a nero.

Figura 66. Particolare dell’Oculo A4. Si osserva il bianco della veste vistosamente annerito

Pigmenti marroni Tabella riassuntiva di tutti i punti di misura di colore marrone, con gli elementi individuati mediante l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza del pigmento e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura

Elementi visibili con analisi XRF

Caratteristiche spettro di riflettanza

Ipotesi pigmento

cresce da 488 nm ca., max 761 nm, min 860 nm ca., poi cresce

A3-5 A4-3

Fe, Pb, Ca, Mn

cresce da 510 nm ca.

Ocra + terra d’ombra + poca biacca

L2D-6

Pb, Ca, Fe

cresce da 480 nm ca., spalla 590 nm ca., poi cresce con pendenza minore, decresce poco da 795 nm

Ocra + biacca

L4D-1

Ca, Pb, Fe, Ni, Cu

costante, riflettanza molto bassa (10%)

Terra con impurezze + nero carbone

Le campiture marroni hanno mostrato una certa eterogeneità composizionale fra di loro e saranno trattate separatamente.

181


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100

A4-3

90 80

riflettanza %

70 60 50 40 30 20 10 0 360

410

460 510

560

610

660 710

760

810

860 910

960 1010

lunghezza d'onda (nm)

Figura 67. Spettro di riflettanza del punto di misura A4-3

Figura 68. Spettro XRF del punto di misura A4-3

Il punto di misura A4-3 presenta un andamento spettrale che ricorda le ocre (ocra gialla, rossa, bruna, ecc., Figura 67) la cui presenza troverebbe conferma dall’intensità del picco del ferro osservato nello spettro XRF di Figura 68. L’individuazione di piombo e manganese definirebbe inoltre la seguente miscela di pigmenti: ocre e terre, terra d’ombra e poca biacca. 100

L2D-6

90 80

riflettanza %

70 60 50 40 30 20 10 0 360

410 460

510

560 610

660

710 760

810

860 910

960 1010

lunghezza d'onda (nm)

Figura 69. Spettro di riflettanza del punto di misura L2D-6

Figura 70. Spettro XRF del punto di misura L2D-6

2 mm

1 mm

Figura 71. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L2D-6

Figura 72. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L2D-6

182


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Il punto di misura L2D-6 (Figura 71 e Figura 72) si distingue dal precedente per l’elevato contenuto di piombo e la presenza di ferro e calcio (Figura 70). Anche in questo caso, il colore è dato da un pigmento a composizione ferrosa (ocra, Figura 69), disperso in calcite, sebbene applicato in miscela ad una quantità importante di pigmenti a base di piombo (con buona probabilità biacca).

100

L4D-1

90 80

riflettanza %

70 60 50 40 30 20 10 0 360

410 460

510 560

610

660 710

760 810

860

910 960 1010

lunghezza d'onda (nm)

Figura 73. Spettro di riflettanza del punto di misura L4D-1

Figura 74. Spettro XRF del punto di misura L4D-1

2 mm Figura 75. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L4D-1

1 mm Figura 76. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L4D-1

La campitura del punto di misura L4D-1 si caratterizza per l’elevata fluorescenza a raggi X dell’elemento calcio, cui si aggiungono, con minori intensità, gli elementi ferro, piombo, nichel e rame (Figura 74). La colorazione (Figura 75 e Figura 76) di tale punto di misura sarebbe dunque fornita da una miscela di ocre (Figura 73) e terre (e le conseguenti impurezze) disperse in abbondante calcite. Non si esclude il contributo, dato il tono abbastanza scuro della campitura, di pigmenti neri a composizione organica (neri di carboni vegetali).

183


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Pigmenti verdi Tabella riassuntiva di tutti i punti di misura di colore verde, con gli elementi individuati mediante l’analisi XRF, le caratteristiche della curva spettrale di riflettanza del pigmento e l’ipotesi conseguentemente elaborata. Punti di misura L1S-3

Elementi visibili con analisi XRF Pb, Ca, Fe, Cu, K

Ipotesi pigmento

max 543 nm, lieve aumento fino a 850 nm ca., poi decresce

Terra verde + pigmento a base di rame (forse malachite) + biacca

max 560 nm, lieve aumento fino a ca., poi decresce max 568 nm, lieve aumento fino a ca., poi decresce max 586, lieve aumento fino a 845 decresce max 552 nm, lieve aumento fino a ca., poi decresce

L2S-1 L2S-2 L2S-3 L3S-3 A3-2

Caratteristiche spettro di riflettanza

Ca, Cu, Fe, As, Zn

A3-3

850 nm 845 nm nm, poi 850 nm

max 530 nm, poi costante max 519 nm, poi risale poco da 840 nm ca.

A5-2

Ca, Cu, Fe, As, Zn

max 519 nm, lieve aumento fino a 840 nm ca., poi decresce

L1D-4

Pb, Fe, Ca, As, Cu, K

max 540 nm, lieve aumento fino a 850 nm ca. , poi decresce max 548 nm, lieve aumento fino a 850 nm ca., poi decresce

L1D-10 L2D-4

Pb, Fe, Ca, Cu, K

max 570 nm, lieve aumento fino a 850 nm ca., poi decresce

L2D-5

Pb, Fe, Ca, As, Cu, K

max 559 nm, lieve aumento fino a 850 nm ca., poi decresce max 539 nm, lieve aumento fino a 850 nm ca., poi decresce max 577 nm

L3D-4 L3D-5 L4D-2

Pb, Fe, Ca, As, Mn, Ni, K

L4D-3

C1-4

C1-7

Pb, Ca, Fe, As, Cu, Zn

cresce fino a 590 nm ca., poi costante

Terra verde Terra verde Terra verde Terra verde Malachite + pigmento a base di arsenico + bianco di zinco Malachite Malachite + pigmento a base di arsenico + bianco di zinco Terra verde + pigmento a base di rame e arsenico e forse malachite + biacca Terra verde Terra verde + pigmento a base di rame (forse malachite) + biacca Terra verde + pigmento a base di rame e arsenico + biacca Terra verde Terra verde Terra verde + terra d’ombra + biacca

max 460 nm, lieve aumento fino a 860 nm ca., poi decresce

Terra verde

max 526 nm, poi risale poco da 830 nm ca.

Malachite + pigmento a base di arsenico + terra verde + bianco di zinco + biacca

max 521 nm, poi risale poco da 850 nm ca.

Malachite

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100 90

L1S-3

80 70

riflettanza %

60 50 40 30 20 10 0 360 410 460

510 560 610 660

710 760 810 860

910 960 1010

lunghezza d'onda (nm)

Figura 77. Spettro di riflettanza del punto di misura L1S-3

Figura 78. Spettro XRF del punto di misura L1S-3

100 90

L4D-2

80

riflettanza %

70 60 50 40 30 20 10 0 360 410 460 510 560

610 660 710 760 810 860 910 960 1010 lunghezza d'onda (nm)

Figura 79. Spettro di riflettanza del punto di misura L4D-2

Figura 80. Spettro XRF del punto di misura L4D-2

500 ď ­m

2 mm Figura 81. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L4D-2

Figura 82. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L4D-2

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L’analisi delle campiture di colore verde ha messo in luce alcune differenze di tavolozza fra le lunette e l’intradosso-volta. Le campiture delle lunette sono realizzate con terra verde (Figura 77), un pigmento di origine naturale, inorganico, ottenuto per macinazione di minerali quali glauconite e celadonite ed utilizzato per varie tecniche pittoriche fra i quali la pittura murale e l’affresco. Composto da silico-alluminati di ferro, magnesio e potassio, è un pigmento caratterizzato da una tinta “spenta” (Figura 81 e Figura 82), buon potere coprente ed ottima stabilità ai fattori ambientali. In corrispondenza dei punti analizzati con XRF, le campiture verdi delle lunette inoltre hanno mostrato la presenza di piombo, rame (Figura 78) e talvolta anche arsenico (lunette di destra). Si dedurrebbe una colorazione verde data da terra verde a cui sono stati aggiunti in minori quantità pigmenti verde a base di rame (probabilmente malachite) e di arsenico (arseniati di rame, come verde di Sheele, verde Veronese, verde di Schweinfurt, ecc.). È inoltre probabile l’uso di biacca. In qualche caso, ad esempio nel punto L4D-2 è stato individuato anche manganese, che potrebbe essere indice dell’uso di piccole quantità di terra d’ombra, e nichel (Figura 80). La particolare composizione del punto L4D-2 trova conferma anche nell’andamento spettrale riportato in Figura 79. In corrispondenza del punto di misura L1S-3 lo spettro XRF individua un’elevata presenza di ferro: parte della fluorescenza dell’elemento è però da attribuire all’ocra che costituisce il substrato rosso su cui è dipinta la piccola campitura verde (foglia della mela, Figura 83, Figura 84 e Figura 85).

Figura 83. Foto macro del punto di misura L1S-3.

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500 m

2 mm Figura 84. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-3

Figura 85. Osservazione al microscopio portatile del punto di misura L1S-3

Una breve nota sui pigmenti a base di rame sopra menzionati: La malachite, un pigmento naturale inorganico, ottenuto per macinazione dell’omonimo minerale (carbonato basico di rame, CuCO3 . Cu(OH)2), è un pigmento dalle tonalità fredde, verdi-bluastre, ben leggibili in Figura 84 e Figura 85. Caratterizzato da buon potere coprente e buona stabilità chimico-fisica, è utilizzato sin dall’antichità per la pittura murale e l’affresco. Differente è invece l’origine e la natura dei verdi a composizione arseniosa: pigmenti inorganici di origine sintetica e moderna (XVIII - XIX sec), sono caratterizzati da formula chimica differente ed incompatibilità con la tecnica ad affresco. La loro individuazione dunque, consentirebbe di “datare” parte delle campiture e fornirebbe indicazioni in merito alla tecnica esecutiva della decorazione, che, almeno, per tali campiture, sarebbe necessariamente a secco (tempera o tecnica mista).

100

A3-2

90 80

riflettanza %

70 60 50 40 30 20 10 0 360 410

460 510

560 610 660

710 760

810 860 910

960 1010

lunghezza d'onda (nm)

Figura 86. Spettro di riflettanza del punto di misura A3-2

Figura 87. Spettro XRF del punto di misura A3-2

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Le campiture degli oculi del sottarco (es. punto A3-2) e della volta si differenziano rispetto alle lunette in merito alla predominante presenza di rame, all’assenza (o quasi) di piombo ed alla comparsa dello zinco. È inoltre presente ferro, arsenico e calcio. La tavolozza così ricostruita sarebbe composta primariamente da un verde a base di rame (l’andamento delle curve FORS suggerisce la presenza di malachite, Figura 86), cui si aggiungerebbe un pigmento a composizione arseniosa (analogamente a quanto individuato per le lunette, Figura 87), bianco di zinco, terra verde (cui appartiene parte del ferro) e calcite (utilizzata come legante e forse come pigmento). La miscela non conterrebbe, se non localmente e in piccole tracce, biacca. Conclusioni Le analisi delle superfici, eseguite in maniera completamente non distruttiva, hanno permesso di definire i pigmenti utilizzati per la decorazione pittorica. In alcuni casi la perdita della superficie pittorica ha permesso di individuare il disegno preparatorio sottostante, eseguito probabilmente con sinopia. Si sono inoltre individuate alterazioni cromatiche (pigmenti a base di piombo virati da bianco a nero) su tutte le superfici, ma con una particolare rilevanza e diffusione in corrispondenza delle lunette prospicienti la navata e gli oculi dell’arco trionfante; non di rado si sono individuati tracce di rifacimenti e di interventi di restauro (presenza di integrazioni pittoriche eseguite con la tecnica a rigatino). In ogni caso, la tavolozza dei colori, delle superfici orizzontali e verticali, si contraddistingue per una certa similitudine. Una interessante eccezione sono le campiture verdi, marroni e rosse, la cui tavolozza varia a seconda dell’ubicazione nello spazio absidale. Riassumendo, si è definita la seguente tavolozza pittorica: - le campiture blu sono tutte confrontabili fra loro e sono eseguite utilizzando sostanzialmente blu di smalto, talvolta impiegato in miscela, a seconda delle campiture, con terra d’ombra, bianco di zinco o biacca. - le campiture grigie, poco caratterizzabili con le tecniche impiegate (limiti strumentali), sono probabilmente composte da polveri di carboni vegetali (nero carbone, nero vite) applicato con biacca (sebbene poca) e calcite. In corrispondenza di un punto di misura si è inoltre individuato il pigmento blu di smalto, che apparterrebbe ad uno strato sottostante la stesura grigia. - le campiture gialle e arancio sono eseguite con pigmenti naturali quali ocre gialle e rosse, talvolta miscelate a biacca. - le campiture rosse delle lunette e degli oculi del sott’arco sono composte da una miscela di ocra rossa e pigmenti a base di piombo; le campiture della volta, introducono oltre ad ocra e biacca, anche l’elemento mercurio, riconducibile alla presenza di vermiglione.

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le campiture verdi mostrano, analogamente alle campiture rosse, composizioni differenti a seconda dell’ubicazione. Le lunette si contraddistinguono per una tavolozza composta sostanzialmente da terra verde, cui si aggiungono minori quantità di verdi di rame e arsenico (malachite e, forse, verde di Sheele, verde Veronese, verde di Schweinfurt), terra ombra, calcite e biacca. La campiture della volta e degli oculi dell’arco sono invece composte principalmente da verdi di rame (malachite) ed in minori quantità da verdi di rame e arsenico, bianco di zinco e terra verde. Su queste ultime superfici non si individua, se non in minima traccia, biacca. - le campiture violette sono composte da pigmenti di sintesi noti come violetto di Marte (ossidi di ferro); per queste campiture, la fluorescenza del piombo è probabilmente da attribuire al substrato. Una sola campitura, sulla volta, presenta una lacca rossa in miscela al violetto (quest’area potrebbe tuttavia essere oggetto di rifacimento). - -le tonalità brune sono anch’esse realizzate da una miscela di ossidi di ferro, ocre e terre di differenti tonalità, variamente miscelate a pigmenti a base di piombo (biacca), polvere di carbone, terra d’ombra e calcite. La presenza ubiquitaria di piombo in quasi tutte le campiture fa presumere l’uso di bianco di piombo (carbonato basico di piombo, biacca) in miscela ad altri pigmenti. La presenza di biacca nelle campiture sarebbe confermata dall’individuazione di locali alterazioni cromatiche di campiture da bianche a brune. nere (degrado peculiare del pigmento, se applicato con tecniche non idonee). In molti punti, l’andamento inversamente proporzionale del picco XRF del piombo rispetto ad altri metalli potrebbe suggerire la provenienza dai substrati di parte della fluorescenza dell’elemento (intonachino, strati preparatori, ecc.). -

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2.2 AttivitĂ analitico-diagnostiche

Indagini microinvasive su alcuni microprelievi da campiture blu e verdi A cura di Maria Pia Riccardi, Roberto Bonomi, Elena Basso, Marco Malagodi

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Le indagini microinvasive sono state limitate a 6 microprelievi, scelti in modo mirato, e finalizzati alla verifica della tipologia dei pigmenti blu e verdi. La campiture interessate dalla campionatura corrispondono ad aree appartenenti alle lunette L3D e L2D (Figura 1). Tali decori presentano stili e tratti decorativi e toni di colore differenti tra loro e rappresentano momenti differenti della realizzazione dell’apparato pittorico della Chiesa. La decorazione della lunetta L3D è infatti datata alla metà del 1500, mentre la lunetta L2D è da attribuire alla fine del 1600. Le due situazioni considerate permettono di investigare tavolozze pittoriche di età differente.

Figura 1. La campionatura. A: lunetta L3D; B: lunetta L2D. I punti in rosso indicano i microrelievi indagati in questa fase di indagine.

Ciascun microprelievo è stato inglobato in resina epossidica, tagliato trasversalmente, così da mostrare la successione degli strati tecnici, lucidato con paste diamantate a granulometria via via più fine, fino ad una granulometria di 0.25 micron.

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Le sezioni stratigrafiche così ottenute sono state osservate in microscopia ottica, poi metallizzate a grafite per l’osservazione in Microscopia Elettronica a Scansione (SEM) e per le misure microchimiche (EDS). L’osservazione al SEM (Scanning Electron Microscope) è stata condotta mediante un microscopio TESCAN della serie Mira 3XMU, equipaggiato con emettitore Schottky Field Emission, dotato di sistema di microanalisi EDAX - EDS (spettrometro a dispersione di energia). Le condizioni operative hanno previsto l’uso di una corrente mantenuta a 20 kV. Lo studio tessiturale è stato condotto su osservazioni in elettroni retrodiffusi (BSE). Le misure microanalitiche sono state processate mediante il software EDAX Genesis. I campioni studiati sono indicati in Tabella 1. Tabella 1. La campionatura

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Le osservazioni in microscopia ottica Le sezioni trasversali del campione 1 e del campione 6 permettono di osservare la successione degli strati tecnici riferiti rispettivamente alla lunetta L3D (Figg. 2A, 3A) e lunetta L2D (Figg. 2E, 3B). La lunetta L3D presenta una successione di 3 strati tecnici: lo strato più profondo (intonachino) è di colore biancastro, a grana fine, molto omogeneo (1 in Figura 2A). Non è possibile valutare lo spessore di tale strato poiché il microprelievo ne comprende solo la porzione più superficiale. A questo segue uno strato preparatorio (2 in Figura 2A), di spessore ridotto (50. 60 micron), anch’esso a grana fine e omogeneo. Sullo strato preparatorio e presente lo strato di colore (3 in Figura 2A). Nel campione 1, il colore azzurro è dovuto all’utilizzo di un pigmento, molto abbondante entro lo strato, costituito da frammenti aventi una forma molto angolosa. Figura 2. Immagini in microscopia ottica. A: campione 1, campitura azzurra (cielo) – il microprelievo permette di osservare la microstratigrafia della decorazione pittorica della lunetta L3D; B: campione 2, campitura verde (veste); C: campione 3, campitura verde scuro (veste); D: campitura azzurra (cielo); E: campitura verde (fronde degli alberi) - il microprelievo permette di osservare la microstratigrafia della decorazione pittorica della lunetta L2D; F: campitura azzurra (manto)

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La lunetta L2D presenta una stratigrafia composta da 3 strati tecnici. Lo strato più interno (intonachino), è una malta a grana media (1 in Figura 2E). L’aggregato mostra una vasto assortimento granulometrico (poco cernito), con granuli di forma angolosa-sub angolosa, di composizione mineralogica varia. L’aggregato rappresenta circa il 30% vol. Poiché il microprelievo comprende la sola porzione superficiale dello strato tecnico a grana media, non è possibile valutarne lo spessore. Lo strato preparatorio (2 in Figura 2E) ha uno spessore medio di 40 - 50 micron e presenta una fine puntinatura di colore rosso-aranciato. Lo strato di colore verde (3 in Figura 2E) è estremamente sottile in spessore (20-30 micron) e risulta costituito da un abbondante pigmento, con granuli di forma arrotondata.

Figura 3. Schemi interpretativi delle microstratigrafie. A: campione1, lunetta L3D; B: campione 7, lunetta L2D

I campioni 2 e campione 3 mostrano il solo strato di colore (Figg. 2B, 2C). Nel campione 3, il pigmento verde è miscelato a frammenti angolosi di colore nero, di taglia granulometrica finissima. La miscelazione dei due pigmenti permette di ottenere una tonalità di verde più scuro. I microprelievi 4 (Figura 2D) e 7 (Figura 2F) sono molto simili tra loro. Il pigmento blu ha forme molto angolose, ed è sempre presente un percentuali elevate entro lo strato di finitura.

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Le osservazioni in microscopia elettronica a scansione e le microanalisi La Figura 4 mostra gli strati più superficiali del campione 1 (lunetta L3D). L’immagine in BSE mette in evidenza i granuli del pigmento (bianchi nell’immagine). La loro dimensione media è compresa tra 10 - 20 micron, la loro forma è spigolosa. Le misure EDS indicano che il pigmento è prevalentemente costituito da rame. Tale composizione, associata al colore dei granuli, individua l’azzurrite (Cu3(CO3)2(OH)2) come pigmento utilizzato per le campiture azzurre. Le microanalisi condotte sul legante mostrano una variazione del rapporto tra Magnesio (MgO) e Calcio (CaO). Il legante dello strato tecnico a grana fine (1 in Figura 2A) è una calce magnesiaca e presenta un contenuto di MgO pari a 33 wt%, mentre CaO mostra valori di 67 wt%. (CaO/MgO = 2); il legnate dello strato preparatorio è una calce calcica ed ha contenuti di MgO pari a 15 wt% e CaO di 85 wt% (CaO/MgO = 5.6). Valori simili a quanto rilevato nello strato preparatorio sono stati rilevati per lo strato di colore: MgO pari a 12 wt% e CaO di 88 wt% (CaO/MgO = 7). La materia prima per la produzione del legante dello strato tecnico a grana fine è una dolomia calcarea, mentre la composizione della calce utilizzata per lo strato preparatorio e lo strato di colore, è un calcare. Piccole percentuali di Al2O3 e di SiO2 sono da attribuire ad una aggiunta involontaria durante la fase di confezionamento del legante durante le operazioni di cantiere: utilizzo di una sabbia non lavata oppure un’acqua torbida.

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Figura 4. Campione 1: immagine in elettroni retrodiffusi della successione microstratigrafica degli strati tecnici; spettri EDS rilevati in corrispondenza dei punti indicate dalle frecce rosse. Il pigmento verde del campione 2 è costituito da aggregati fibrosi di dimensioni variabili tra i 20 ed i 50 micron (Figura 5). La composizione chimica di questi aggregati individuano una 2+ 3+ terra verde di buona qualità (celadonite: K(Mg,Fe )(Fe ,Al)[Si4O10](OH)2). Il legante è una calce calcica (CaO = 90 wt%; MgO = 10 wt%), del tutto simile a quanto riscontrato nella finitura di colore azzurro del campione 1

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Figura 5. Campione 2: immagine in elettroni retrodiffusi dello strato di colore verde; lo spettro EDS è stato rilevato in corrispondenza del punto indicato dalla freccia rossa

Figura 6. Campione 3: immagine in elettroni retrodiffusi dello strato di colore verde. Il colore più scuro rispetto al campione 2 è stato ottenuto miscelando la terra verde con il nero di carbone

Il campione 3 presenta forti analogie tessiturali e composizionali con il campione 2. Il pigmento è la terra verde, messa in opera con un legante calcico (Figura 6). Miscelati alla terra verde, frammenti di nero di carbone rendono il colore verde più scuro.

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Figura 7. A: Campione 4. immagine in elettroni retrodiffusi dello strato di colore azzurro; gli spettri EDS sono stati rilevati in corrispondenza dei punti indicate dalle frecce rosse. B: campione 6. immagine in elettroni retrodiffusi dello strato di colore azzurro

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Gli strati di finitura di colore azzurro campionati nella lunetta L2D, sono stati realizzati con un pigmento ben diverso rispetto a quello utilizzato nella lunetta L3D. I frammenti del pigmento sono molto spigolosi, di granulometria molto varia. La composizione chimica dei singoli frammenti è estremamente omogenea. Si tratta di un vetro silicatico a fondente sodico, con elevati contenuti di stabilizzante (Ca). Il colore è da correlare con la presenza di cobalto, associato a ferro e nichel. Piccole percentuali di piombo sono pure presenti (Figura 7A). Il legante dello strato preparatorio e dello strato di colore è una calce calcica (strato preparatorio: CaO = 96 wt%; MgO = 4 wt%; strato di colore: CaO = 95 wt%; MgO = 5 wt%).

Figura 8. A: campione 7. immagine in elettroni retrodiffusi della successione microstratigrafica degli strati tecnici; spettri EDS rilevati in corrispondenza dei punti indicate dalle frecce rosse; B: campione 7 dettaglio dello strato di colore verde

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Il microprelievo effettuato sulla campitura verde della lunetta L2D (campione 6) mostra la successione degli strati tecnici che costituiscono la decorazione pittorica (Figura 8A). Lo strato tecnico grossolano, già descritto in microscopia ottica per gli aspetti riguardanti l’aggregato, è costituito da un legnate calcico. I valori molto bassi di Al 2O3 e di SiO2 non sembrano sostenere l’ipotesi del confezionamento di un legante seppur debolmente idraulico. Lo strato preparatorio è anch’esso costituito da una calce calcica, ma sono predenti elementi di colore rosso-aranciato (se visti in microscopia ottica) molto chiari nelle immagini in BSE. Tali granuli sono piombo, più o meno ossidato (Figura 8A). Il colore verde è stato realizzato con terra verde (Figura 8B) e calce calcica. Il confronto dei dati materici riferibili alle due lunette L3D e L2D mette in evidenze sostanziali differenze delle tavolozze pittoriche dei due contesti e come i leganti siano anch’essi ben diversi in termine di composizione chimica. Le finiture di colore blu della lunetta L3D sono state realizzate utilizzando l’azzurrite come pigmento, mentre le campiture blu della rappresentazione della Sacra Famiglia sono realizzate con lo smaltino. E’ invece la terra verde il pigmento utilizzato in entrambi i contesti per le campiture verdi. Tali informazioni risultano estremamente utili per la progettazione degli interventi di conservazione dell’apparato pittorico. Il decoro raffigurante San Luca (L3D) è stato realizzato con calci contenenti magnesio, seppure in proporzioni differenti. Nell’intonachino, a grana fine e omogeneo, il rapporto CaO/MgO indica la dolomia calcarea come materia prima per la produzione della calce (Figura 9). Il legante dello strato preparatorio e quello della finitura di colore hanno contenuti di MgO meno elevati, ma ancora diversi dalle composizione, per altro molto omogenee, dei leganti utilizzati per la realizzazione del decoro della lunetta L2D (Figura 9). E’ probabile che tale omogeneità composizionale possa indicare una continuità temporale nella realizzazione della lunetta.

Figura 9. Diagramma classificativo per i materiali carbonatici, materie prime per la produzione delle calci aeree. La composizione chimica dei leganti misurata degli strati tecnici del campione 1 (L3D) e del campione 7 (L2D)

Ancora una differenza importante, ad indicare una diversa storia dei due contesti decorativi, è quella riscontrata per gli strati tecnici (intonachino) delle due lunette. Nella lunetta L3D, l’intonachino ha una grana fine, ma soprattutto è assente l’aggregato; nella lunetta L2D, l’intonachino è una malta a grana media, dove l’aggregato costituisce il 30% vol.

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2.2 Attività analitico-diagnostiche

Indagini microclimatiche a cura di Roberto Bonomi, Marco Malagodi

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Rilievi microclimatici per lo studio preliminare Il microclima degli ambienti confinati è determinato principalmente da alcuni fattori quali le caratteristiche architettoniche, l’orientamento degli edifici, i materiali e le tecniche costruttive e soprattutto l’influenza dell’ambiente esterno che interagisce con il microclima interno. Quest’ultimo a sua volta può subire variazioni legate alla presenza umana (visitatori, fedeli, personale di servizio, ecc.) oppure all’uso di impianti di riscaldamento e di condizionamento. L’insorgenza e lo sviluppo di processi di degrado dei materiali sono favoriti da alcuni meccanismi legati alle caratteristiche microclimatiche degli ambienti ed in particolare alla presenza delle seguenti condizioni: - formazione di condensa e processi di evaporazione del vapore acqueo sulle superfici, - trasporto di sali all’interno delle superfici murali e conseguenti fenomeni di liquescenza, - deposizione di particellato aereo diffuso, - alterazione delle proprietà chimico-fisiche dei materiali. Inoltre, la caratterizzazione microclimatica degli ambienti si basa principalmente sull’analisi dei seguenti parametri: - temperature dell’aria e delle superfici, - umidità relativa dell’aria, - depositi di particellato, - presenza di gas inquinanti in quanto l’ambiente non è un sistema isolato, - presenza di Sali solubili o parzialmente solubili. La programmazione delle misure da effettuare, l’identificazione del luogo e delle modalità di rilevazione del microclima sono contenute nella norma UNI 10829:199945 che riassume esperienze riportate in lavori scientifici alla sezione 5 “Procedimento per la misurazione delle grandezze ambientali” che indica le procedure per eseguire le misure strumentali di temperatura ed umidità relativa. La norma identifica inoltre i criteri secondo cui posizionare i sensori per il monitoraggio, ovvero: - il punto di misura deve essere significativo per un ampio spazio circostante, - il sensore deve essere posto ad altezza media - è necessario posizionare il sensore in zone lontane da porte e finestre, - è necessario posizionare il sensore lontano da sorgenti di calore (quali lampade, caloriferi ecc.), 45

UNI 10829:1999 - “Beni di interesse storico-artistico . Condizioni ambientali di conservazione - Misurazione ed analisi.” In generale, la norma illustra la metodologia per la misurazione dei parametri termo igrometrici e di illuminazione. Indica poi le modalità di elaborazione e sintesi dei dati rilevati allo scopo di contenere i processi di degrado.

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-

per monitorare come le eventuali variazioni microclimatiche dell’ambiente esterno influiscano su quello interno è importante posizionare un rilevatore di temperatura e umidità relativa in una parete esterna rivolta a nord. Una volta individuate le posizioni dei sensori, è indispensabile indicare la frequenza delle misure.

Nel caso della Chiesa della Beata Vergine Annunciata di Serle le rilevazioni sono state effettuate, per un periodo di un anno,da febbraio 2011 a febbraio 2012, tenendo conto dell’evolversi delle stagioni, e ogni 15 minuti. Elaborazione dei dati Partendo dalle indicazioni della norma UNI 10829:1999, sono state misurate le escursioni di temperatura e di umidità relativa, ovvero le differenze tra i valori minimo e massimo riscontrati nel periodo di riferimento (nel caso in esame 1 mese). I valori soglia dell’umidità relativa e della temperatura sono riportati nella stessa norma (cfr. tabella 1). Tabella 1. Variazioni di Temperatura e Umidità relativa nei diversi periodi stagionali (Il delta è calcolato tra il valore più basso e quello più alto registrato)

Escursione di temperatura periodo primaverile

ΔT = 7,8°C

Escursione di Umidità relativa periodo primaverile

ΔUR = 45,5%

Escursione di temperatura periodo estivo

ΔT = 3,4°C

Escursione di Umidità relativa periodo estivo

ΔUR = 40,9%

Escursione di temperatura periodo autunnale

ΔT = 5,6 °C

Escursione di Umidità relativa periodo autunnale

ΔUR = 41,5%

Escursione di temperatura periodo invernale

ΔT = 7,7 °C

Escursione di Umidità relativa periodo invernale

ΔUR = 21,0%

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Simbologia utilizzata per la variazione di Temperatura e Umidità relati ve Escursione di Temperatura sul mese ∆T mese °C Escursione di Umidità relativa sul mese ∆URmese % I dati raccolti e la lori rielaborazione ha consentito di valutare il rischio di degrado dei materiali che costituiscono il manufatto ed in particolare: - il rischio di danni strutturali quali distacchi, perdita di materiale ecc., - le eventuali crescite di colonie fungine su intonaci, - il rischio di corrosione per la presenza di oggetti metallici.

Sensore esterno parete nord

Figura 1. Posizionamento del sensore esterno sul fotopiano del prospetto nord.

Sensori interni Figura 2. Posizionamento dei sensori interni.

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Elaborazione dei dati Partendo dalle indicazioni della norma UNI10829, sono state misurate le escursioni di temperatura e di umidità relativa, ovvero le differenze tra i valori minimo e massimo riscontrati nel periodo di riferimento (nel caso in esame un mese). I valori di riferimento di umidità relativa e di temperatura sono riportati nella stessa norma. Simbologia utilizzata per la variazione di Temperatura e Umidità relative

Escursione di temperatura sul mese Escursione di Umidità relativa sul mese

ΔTmese ΔURmese

°C %

I dati raccolti e la loro elaborazione sono orientati alla formulazione di rischio di vari tipi di danno per i materiali presenti nel manufatto ed in particolare: -

Valutazione di rischio danni strutturali quali distacchi, perdita di materiale ecc. Valutazione di eventuali crescite di colonie fungine su intonaci. Valutazione di rischio di corrosione per la presenza di oggetti metallici

Discussione degli andamenti termo igrometrici stagionali Lo studio dei risultati ottenuti dalla campagna di indagine microclimatica condotta all’interno della chiesa della B. Annunciata di Serle nell’anno 2011 consente di trarre alcune considerazioni generali riguardo le escursioni termo-igrometriche relative ai differenti periodi stagionali. Infatti, dall’enorme quantità dei dati grezzi ottenuti, sono stati estrapolati gli andamenti più significativi relativi al periodo primaverile, estivo, autunnale ed invernale, nell’ottica di valutare le variazioni di Temperatura e Umidità relativa più indicative e di correlare i dati con le fasi di alterazione e degrado registrate all’interno della chiesa. I dati relativi agli andamenti della Temperatura (Tabella 1) indicano una ΔT che per tutti i periodi stagionali analizzati appare piuttosto contenuto, con variazioni che vanno da poco più di 7 gradi del periodo invernale a quello estivo con un ΔT di poco superiore ai 3 gradi centigradi. I risultati sembrerebbero quindi indicare, in termini assoluti, un buon comportamento della struttura nell’isolamento termico degli ambienti interni rispetto a quelli esterni, con un microclima piuttosto costante e senza significative alterazioni nei confronti dei periodi stagionali. In considerazione delle norme UNI 10829 ed UNI 10969, dove, dal punto di vista conservativo, vengono considerate tollerabili escursioni giornaliere di T ed UR % solo se ricadono in determinati intervalli che nel caso della norma UNI 10829 sono 0-1,5 °C per la temperatura e 0-4 % per l’umidità, mentre per la UNI 10969 vi è una tolleranza di 0-3,2 °C e 07 %, è possibile affermare che nonostante le variazioni registrate siano basse non corrispondono però agli standard di una corretta conservazione dei manufatti, tranne forse per il periodo estivo. Inoltre, lo studio degli andamenti della temperatura nei diversi periodi stagionali, analizzato secondo le medie dei valori registrati (Figura 3), evidenzia come le

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variazioni siano significative sia nell’arco delle singole giornate che nell’intero periodo in esame, con un trend non uniforme che sembrerebbe risentire delle variazioni esterne macroclimatiche. Questo comportamento è particolarmente evidente nel periodo estivo (Figura 3B) dove, nonostante le variazioni tra il valore minimo e quello massimo siano piuttosto ridotte (circa 3 gradi centigradi), gli andamenti medi analizzati nei cicli giornalieri evidenziano un comportamento termico non propriamente uniforme. In considerazione del fatto che le porte di accesso alla chiesa sono chiuse per la maggior parte del tempo, è probabile che questo comportamento possa essere determinato da alcune forzanti in grado di provocare “perturbazioni” al normale equilibrio termo igrometrico, come l’incidenza diretta della radiazione solare, che penetrando attraverso le vetrate, potrebbe generare un aumento termico interno con un conseguente incremento dei gradienti tra i cicli termici diurni e notturni. L’analisi dei gradienti assoluti nei periodi stagionali per quanto riguarda l’Umidità relativa indica un comportamento evidentemente più anomalo se rapportato a quello termico. Infatti, le ΔUR riferite ai periodi in esame mostrano gradienti estremamente elevati, con valori che superano anche il 40%, quindi ben al di sopra dei parametri indicati dalle norme UNI (Tabella 1). Questi risultati, in particolare registrati nel periodo primaverile, se associati con i valori termici sicuramente più stabili, indicherebbero un ambiente indoor fortemente caratterizzato da alti contenuti di vapor acqueo con variazioni percentuali elevate, anche relative ai cicli giornalieri. L’assenza di correlazione con i valori della Temperatura, soprattutto nel periodo invernale (Figura 3D), farebbero ipotizzare all’interno della chiesa un apporto di acqua non direttamente correlabile ai normali cicli Temperatura-Umidità. Infatti, gli andamenti dei valori percentuali dell’UR sembrerebbero indipendenti dai valori termici registrati. È probabile che l’apporto di acqua possa essere imputato ad infiltrazioni dirette localizzabili nelle pareti a nord della chiesa, dove sono state riscontrate le peggiori condizioni conservative, con evidenti risalite capillari ed il conseguente degrado delle stesure pittoriche. Le escursioni termo igrometriche registrate rappresentano un potenziale fattore di degrado in quanto possono dare origine a cicli di adsorbimento e desorbimento sulle superfici interne, con conseguenze disastrose sui livelli pittorici più esterni. L’elevato livello di percentuale di UR registrato costituisce probabilmente una delle maggiori condizioni di alterazione dei materiali presenti all’interno della chiesa ed è un chiaro indice di una cattiva manutenzione del sito in esame. In base ai risultati ottenuti dalla campagna di indagine microclimatica emerge chiaramente la necessità di un intervento strutturale per bloccare le infiltrazioni di acqua e ristabilire parametri igrometrici accettabili all’interno della chiesa.

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Figura 3. Andamenti termo igrometrici relativi ai periodi più stagionali più significativi (anno 2011): A) primavera; B) estate; C) autunno; D) inverno

LEGENDA

Temperatura °C Umidità relativa (RH) % Host Collegato Stopped End Of File

 o x

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LEGENDA

Temperatura °C Umidità relativa (RH) % Host Collegato Stopped End Of File

 o x

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2.3 Sintesi ed integrazione degli esiti diagnostici Maria Pia Riccardi, Roberto Bonomi I rilevi termografici hanno mostrato con estrema chiarezza che il lato esterno nord rappresenta la porzione più problematica dell’edificio. Alla base della parete, infatti, proprio in corrispondenza di alterazioni cromatiche già osservabili ad occhio nudo, è in atto un processo di degrado che interessa l’intonaco e il rapporto tra esso e la muratura. Dalla lettura delle mappe si può però evincere che tale processo non sembra collegato a perdite di acqua dagli impianti o dal tetto. Il processo in atto evolve in alcuni punti in distacchi dell’intonaco dalla muratura, come testimoniamo i colori più scuri (viola e blu) di alcune immagini della campagna di rilevo termografico. Un altro punto critico sottolineato da anomalie termiche localizzate è presente sulla facciata principale, dove peraltro, sempre nella fascia bassa della muratura, sono presenti distacchi di intonaco, segnalati da macchie calde di forma irregolare. Nel corpo di fabbrica aggiunto alla sacrestia è da stata messa in evidenza la presenza di un’apertura tamponata alla sinistra della finestra attuale. Lo studio dell’apparato decorativo interno della Chiesa ha restituito un interessante contesto, ottenuto dalla integrazione delle mappature all’infrarosso e falso colore, dalle misure “in situ” e dalle indagini microinvasive. Se indagine all’infrarosso sui dipinti murali non ha messo in evidenza la presenza di un disegno preparatorio poiché nessuno dei pigmenti utilizzati è trasparente all’infrarosso, le osservazioni di dettaglio condotte con il microscopio ottico portatile hanno messo in luce, nei punti dove cadute e/o distacchi della superficie pittorica hanno esposto gli strati più interni della stratigrafia della decorazione, il disegno preparatorio sottostante, eseguito probabilmente con sinopia. L’osservazione in microscopia ottica ha anche evidenziato alterazioni cromatiche (pigmenti a base di piombo virati da bianco a nero) su tutte le superfici, ma con una particolare rilevanza e diffusione in corrispondenza delle lunette prospicienti la navata e gli oculi dell’arco trionfante; non di rado si sono individuate tracce di rifacimenti e di interventi di restauro (presenza di integrazioni pittoriche eseguite con la tecnica a rigatino). Le immagini all’infrarosso e falso colore mostrano chiaramente le aree già interessate, in passato, da interventi di restauro poiché queste ultime presentano maggiore trasparenza dei pigmenti. I rilievi indicano inoltre una uniforme distribuzione areale dei pigmenti e dei materiali utilizzati per l’impianto decorativo: le campiture sono uniformi e non vi è la presenza di integrazioni mimetiche ad eccezione del dipinto A3 (cfr. p. 97) dove si può facilmente individuare la presenza di un restauro sulla veste del discepolo Giovanni.

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La lettura dei dipinti posti sul soffitto, realizzati su tela, non indica pentimenti o restauri. I risultati presentati, in bassa risoluzione, non permettono l’identificazione di un disegno preparatorio. Le evidenze indicate con i rilievi all’infrarosso e falso colore trovano sostegno e piena integrazione con i risultati emersi dalla campagna di misure in XRF portatile e con quello ottenuti in laboratorio sui microprelievi. Almeno due sono i contesti che si possono riscontrare all’interno dell’apparato pittorico, riferite a momenti differenti della storia decorativa della Chiesa, rappresentate rispettivamente dalla lunetta L3D (databile a metà 1500) e alla lunetta L2D (databile alla fine del 1600). I due contesti si distinguono per la tessitura e la composizione chimico-mineralogica dell’intonachino, a grana fine ed omogeneo per la lunetta L3D mentre per la lunetta L2D è una malta a grana media costituita da un aggregato sabbioso e da calce, nonché per la composizione chimica del legante: una calce magnesiaca fino a calcio-magnesiaca per il decoro in L3D, calcica per la lunetta L2D. Pure la tavolozza dei colori varia in funzione dell’ubicazione entro lo spazio absidale e tali variazioni sono sottolineate soprattutto dai pigmenti blu, verdi, marroni e rosse. Le campiture blu sono state realizzate utilizzando principalmente blu di smalto (smaltino), talvolta impiegato in miscela, a seconda delle campiture, con terra d’ombra, bianco di zinco, poca biacca; nei contesti più antichi prevale l’uso dell’azzurrite. Le campiture verdi delle lunette sono sostanzialmente realizzate con terra verde di buona qualità (celadonite), cui si aggiungono minori quantità di verdi di rame e arsenico (malachite e, forse, verde di Sheele, verde Veronese, verde di Schweinfurt); le campiture della volta e degli oculi dell’arco sono invece composte principalmente da verdi di rame (malachite) ed in minori quantità da verdi di rame e arsenico, bianco di zinco e terra verde. Su queste ultime superfici non si individua, se non in minima traccia, biacca. I colori rossi, bruni, gialli ed aranciati sono stati ottenuti con l’uso di terre, ocre ed ossidi, miscelate a biacca e/o pigmenti a base di piombo; i rossi della volta sono invece una miscela di ocra, biacca e probabilmente vermiglione, quest’ultimo diagnosticabile dalla presenza del picco del mercurio. Le campiture violette sono state realizzate con pigmenti di sintesi, quale ad esempio il violetto di Marte. Miscele di pigmento violetto e di lacca rossa sono da attribuire a fasi di rifacimento e/o integrazione dell’apparato decorativo.

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3. Proposta metodologica per la conservazione del patrimonio ecclesiastico diffuso Marco Morandotti, Daniela Besana, Valentina Cinieri 3.1 Valutazione del rischio e programmazione del controllo Il lavoro raccolto si è delineato a partire dal caso studio, il santuario della Beata Vergine Annunciata di Serle, su cui sono state svolte indagini conoscitive e considerazioni per il progetto della sua conservazione programmata nel tempo. Tuttavia, lo scopo principale che ha spinto questa ricerca è l’elaborazione di raccomandazioni per la conservazione programmata del patrimonio ecclesiastico diffuso, ovvero un approccio di intervento esportabile ed applicabile su qualunque edificio storico, pur nel rispetto delle peculiarità di ciascun caso. L’ultima fase del progetto è stata, pertanto, incentrata sull’elaborazione di una proposta metodologica finalizzata a questo. Anche in questo caso, così come in molti campi della ricerca scientifica e della produzione tecnica, viene utilizzata la parola metodo, in quanto termine capace di conferire oggettività ai risultati, conferendo alle conclusioni tratte l'impressione di maggior sicurezza. Il metodo è un’attività cognitiva (dal latino mèthodus: “l'andare indietro per ricercare, investigare” e dal greco methòdos: “la via o il modo dell'investigazione”), i cui obiettivi sono ricercare ed investigare46. Generalmente, però, non si utilizza il termine metodo nel caso di un progetto architettonico, soprattutto nel campo dell’intervento sull’esistente, dato il carattere di unicità di ogni caso considerato e poiché gli esiti prodotti dai diversi soggetti incaricati non sono mai gli stessi. Solamente per le indagini preliminari e le fasi esecutive è, di solito, considerato lecito che esistano metodi per il loro svolgimento. Un metodo per progettare il restauro è impensabile, dato che “ogni problema progettuale ammette infinite soluzioni”, imponendo un procedere tramite scelte e decisioni che, per loro natura, producono un rischio. Tuttavia, questa ricerca ambisce a proporre un “metodo esportabile”, pur nella consapevolezza che sussiste la difficoltà di comprendere la possibilità di applicazione di questo termine ad un tipo di operazioni creative, quali quelle progettuali. Il procedimento che si propone vuole ammettere le possibilità di variazione delle scelte strategiche, creando dunque, per lo più, una procedura-guida per un corretto approccio conservativo da parte di gestori e fruitori di un bene. I presupposti necessari, non sufficienti, per lo svolgimento di un'azione progettuale sono competenza, responsabilità e rigore47. Il progetto di intervento sull’esistente si articola su tre

46 Torsello B. P., Metodo, procedure, protocolli, in Arcolao C., La diagnosi nel restauro architettonico. Marsilio Editori, Venezia, 2008, p. 8-12 47 Torsello B. P., op. cit., p. 8-12

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livelli principali48: una prima fase analitica che comprende tutte le indagini volte a far conoscere l'oggetto; un secondo livello operativo che riguarda il lavoro creativo e progettuale, in cui le attività sono legati ad un “atto di volontà” del progettista; la realizzazione del progetto, momento tecnico condizionato dall'abilità e dalla sensibilità dell'operatore. Questo discorso può adattarsi anche al progetto della “sola” conservazione di un edificio storico. Sebbene restauro e conservazione facciano riferimento a due matrici concettuali distinte49, la maggior parte dei teorici e dei ricercatori descrive un legame tra i due aspetti, arrivando anche ad affermare che il primo è un mezzo e la seconda il suo fine50. La Carta di Cracovia (2000) riporta che “La conservazione può essere attuata attraverso differenti modalità di intervento” e che “si attua attraverso il progetto di restauro, che comprende le strategie nella sua conservazione nel tempo”, legando così la conservazione al termine “progetto”, inteso anche come “consequenzialità di scelte conservative”. La conservazione programmata si attua attraverso alcune specifiche strategie di carattere preventivo, volte a ridurre la probabilità di degrado e di decadimento del funzionamento di un'entità51. Essa associa al concetto di conservazione il fattore tempo e le azioni conservative non sono eccezionali, ma si tratta di un processo continuo di prevenzione pensato sul lungo periodo. L’approccio proposto dalla ricerca realizzata sul santuario di Serle mira alla promozione del concetto di conservazione programmata, con lo scopo di coinvolgere i gestori dei beni diffusi, nonostante, generalmente, non siano tecnici esperti in materia di intervento sugli edifici storici. Le fasi iniziali del processo ammettono l’importanza dell'intervento di tecnici e ricercatori esperti nel settore, il cui compito è quello di occuparsi, non solo della fase conoscitiva iniziale di base, ma anche quello di fornire la componente creativa che porta alla scelta e alla proposta di interventi possibili ed alternativi nei casi in cui fosse presente, o si presentasse in futuro, un determinato problema, atteso sulla base delle criticità rilevate durante le fasi iniziali di indagine. È compito dei progettisti anche lo studio dei legami di tali azioni con il fattore tempo, sia per quanto concerne l'aspetto dell'urgenza degli interventi, sia riguardo al monitoraggio dello stato di conservazione e alla frequenza con cui sarebbe opportuno ripetere azioni

48 Torsello B. P., op. cit., p. 8-12 49 Besana D., Progettare il Costruito tra Conoscenza e Interpretazione, Alinea Editrice, Città di Castello (PG), 2008, p. 27 50 Casiello S., in Aa.Vv., Che cos'è il restauro? Nove studiosi a confronto, Marsilio Editori, Venezia, 2005, p. 30-31; Si vedano anche i “Principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio costruito” della Carta di Cracovia 2000 51 Gasparoli P., Talamo C., Manutenzione e recupero. Criteri, metodi e strategie per l'intervento sul costruito, Alinea Editrice, Firenze, 2006, p. 282-284

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ispettive e manutentive, tralasciare considerando anche le logiche della gestione economica dei beni. La conservazione programmata si applica ad edifici ritenuti essere in uno stato di conservazione accettabile, quindi su cui si può ritenere superfluo un intervento di restauro o di “manutenzione straordinaria”. La programmazione della conservazione dell'edificio può, quindi, avvenire per opere che risultano aver subito un intervento di restauro o su opere che non sono state interessate da restauri in tempi recenti. È importante procedere comprendendo un opportuno modo di agire “caso per caso”. Nel caso in cui l'edificio oggetto di studio risulti aver subito un recente restauro, sarà opportuno tenere in considerazione le azioni effettuate ed i materiali impiegati, nonché mantenere memoria delle situazioni che possono rappresentare un rischio per la conservazione dei materiali attualmente restaurati. Un edificio che non ha subito recenti restauri permette, sotto un certo punto di vista, di comprendere più facilmente il degrado in atto dei materiali, dato che le sue manifestazioni non sono state eliminate con opportuni interventi. I tecnici specializzati forniscono aiuto nella comprensione delle cause del degrado, in modo tale da poter definire una serie di operazioni atte ad eliminarle o ad attenuarne gli effetti dannosi. Questo lavoro prova a creare una sorta di modello logico e chiaro, in cui sono definite le fase in cui si organizzano le azioni da seguire. Il metodo può essere schematizzato in tre fasi correlate tra loro: a. Assessment dello stato di conservazione dell'edificio b. Valutazione del rischio atteso c. Attività ispettive e programmazione degli interventi. a. Assessment dello stato di conservazione dell'edificio La prima fase è quella della conoscenza, strumento preliminare indispensabile per qualsiasi scelta progettuale, poiché chiarisce lo stato di consistenza del manufatto, le prestazioni, i materiali di cui è composto, la sua struttura, permettendo così di programmare le azioni di intervento. Conservare significa rallentare l’avanzare del degrado e per fare ciò risulta essere necessario conoscere l’intera storia del processo di deterioramento strutturale e materico e delle trasformazioni subite nel tempo. Si avverte, perciò, la necessità di compilare una “cartella clinica” dell’attuale status di conservazione e dei “sintomi in fieri”, attraverso i risultati di un accertamento rigoroso delle condizioni del manufatto52.

52 Dezzi Bardeschi M. , Restauro punto e da capo, Frammenti per una (impossibile) teoria, a cura di Locatelli V., Ex Fabbrica Franco Angeli, Milano, 1991, p. 130

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In questo primo momento del processo vengono, pertanto, svolte le indagini che permettono di ottenere una valutazione pressoché completa e sintetica dello stato di conservazione del Bene (cfr. cap. 3). Durante la fase di assessment dello stato di fatto dell’edificio, è importante che intervengano tecnici esperti nell’ambito della conservazione di edifici storici, perché risulta essere importante chiarire, attraverso la loro consulenza, le cause dei fenomeni di degrado che affliggono i materiali e delineare, perciò, correttamente le azioni d’intervento adeguate all’edificio su cui si sta operando. I tecnici specializzati sono infatti in grado di riconoscere e schedare eventuali segni di degrado e patologie, comprendendone anche le possibili cause. Tramite il rilievo del manufatto e la descrizione delle sue caratteristiche materiche e conservative, gli addetti ai lavori possono fornire la strumentazione di base su cui fondare il programma di conservazione, nonché le informazioni necessarie ai gestori dell'opera per poter, in futuro, riconoscere i segni di alterazione e i danni subiti dai materiali. Nella fase di assessment rientrano tutte le operazioni di rilievo dello stato di fatto (rilievo geometrico, morfologico, materico, rilievo dei fenomeni di degrado). Le tecniche tradizionali di rilievo, per lo più basate sul metodo delle trilaterazioni, sono oggi comunemente affiancate da rilievi fotogrammetrici mediante campagne fotografiche estensive, finalizzate a realizzare un rilievo morfologico mediante costruzione di fotopiani delle chiusure e delle partizioni verticali, delle pavimentazioni e delle superfici all'intradosso, nonché degli orizzontamenti. Sono oggi sempre più spesso realizzati rilievi con modalità innovative di acquisizione ed in particolare mediante l’uso di laser a scansione; lo strumento genera nuvole di punti, collocate univocamente nello spazio, con una densità media di alcune centinaia di punti per metro quadrato. Proprio la densità dei punti per la sua fittezza, può essere scambiata con una superficie. Tale superficie è, in seguito, prodotta da opportuni software di modellazione, che interpolano con una superficie la nuvola di punti generata dall'apparecchio. In base al tipo di manufatto, alle caratteristiche delle superfici e al budget a disposizione per effettuare le campagne di rilievo, sarà opportuno comprendere la tecnica più adeguata per il rilievo. Le modalità tradizionali di restituzione geometrica contemplano la realizzazione di disegni bidimensionali, che costituiscono la base per le successive operazioni di mappatura dei materiali e di lettura dello stato di conservazione. I rilievi materico e del degrado vengono dapprima condotti mediante analisi a vista, i cui risultati sono rappresentati con le mappature di cui si è già parlato. Se si riscontrano criticità o si ritiene in dubbio il risultato dell’analisi macroscopica, si può procedere con indagini tecniche più approfondite, che possono sostenere o confutare quanto stabilito inizialmente. Le indagini diagnostiche specifiche sono, tuttavia, operazioni che richiedono competenze tecniche particolari, nonché strumentazioni specifiche, perciò non è sempre possibile metterle in atto e

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sarebbe opportuno progettare adeguatamente la fase di assessment dello stato di fatto, in modo da ottimizzare le operazioni ed i fondi disponibili. A questa prima fase di lavoro appartengono, inoltre, le indagini storiche e l’analisi delle tecnologie costruttive utilizzate, nonché lo studio dell’edificio nella sua scomposizione in elementi tecnologici (Tabella 1. Classificazione degli elementi tecnologici). L'assesment dello stato di conservazione è uno strumento di lavoro “in progress”. Si evolve, si trasforma e si arricchisce nel tempo di esperienze, in sintonia con gli accadimenti che caratterizzano il “vissuto” dello specifico organismo architettonico 53. I dati, acquisiti mediante le attività informative e analitiche condotte in questa fase del lavoro, forniscono una base di conoscenza necessaria per la programmazione degli interventi di conservazione e manutenzione. Le informazioni sono aggiornate e arricchite attraverso ogni intervento e approfondimento.

53 Croce S., Introduzione generale alle linee guida per i documenti del Piano di Conservazione, in Aa.Vv., La conservazione programmata del patrimonio storico architettonico, Guerini e Associati, Milano, 2003 p. 34-37

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Tabella 1. Classificazione degli elementi tecnologici

Per pianificare la conservazione di un manufatto architettonico, è opportuno analizzarne i componenti, comprendendone materiali, tecnologie costruttive e criticità. Per poter far questo, è utile scomporre l’edificio in unità tecnologiche. Si fornisce un esempio di scomposizione dell’organismo edilizio in elementi tecnologi e relativi elementi costruttivi*, utile al gestore per identificare univocamente l’elemento interessato da una situazione di degrado e poterla facilmente segnalare agli esperti in materia. Gli elementi tecnologici sono classificabili anche in base alla propria ubicazione. Nel caso dell’elemento tecnologico “Rivestimenti e decorazioni”, la collocazione degli elementi costruttivi non è univoca: ad esempio, un intonaco può trovarsi all’intradosso di un solaio (struttura orizzontale) o su una parete portante (struttura verticale).

ELEMENTO TECNOLOGICO

ELEMENTO COSTRUTTIVO

Coperture

Manto di copertura Struttura della copertura Gronda

Strutture verticali

Muratura portante Muro divisorio Pilastro Colonna Parasta Muro di tamponamento Altro

Strutture orizzontali

Solaio Volta Cupola Balcone Ballatoio Terrazzo Orizzontamenti

Collegamenti (verticali)

Scala Rampa

Fondazioni

Muratura continua Plinto Trave rovescia Altro

Pavimenti

Pavimento

Serramenti

Finestra Grata Inferriata Oscuramento Porta

Rivestimenti e decorazioni

Affresco Altare Camino Cornice Davanzale Intonaco Edicola Lesena Modanatura Mosaico Nicchia Portale Statua Stucco Zoccolatura Altro

Ubicazione elementi:

Strutture/Chiusure verticali opache Chiusure verticali trasparenti/Serramenti Strutture orizzontali Strutture contro terra/Fondazioni Coperture * Fonte bibliografica Aa.Vv., La conservazione programmata del patrimonio storico architettonico. Linee guida per il piano di manutenzione e consuntivo scientifico, Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia (IReR), Guerini e Associati, Milano, 2003, p. 221

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b. Valutazione del rischio atteso Sulla base di quanto emerge dall’analisi dello stato di fatto, si ottiene un quadro della situazione dell’edificio. Questo permette di formulare una valutazione del rischio per la conservazione dell’edificio. L’analisi dell’attuale stato di conservazione restituisce, infatti, informazioni sul manufatto (materiali, tecnologie costruttive, morfologia, ecc.) e dati relativi alle fenomenologie già avvenute o in evoluzione, che costituiscono i cosiddetti danni in atto al momento del rilievo. In base a quanto già rilevato per i materiali, è possibile verificare per ogni componente tecnico il rischio in atto, considerandone i fattori di gravità e diffusione, in modo da poter stabilire il grado di urgenza per un’adeguata programmazione della conservazione. I fenomeni in atto vengono rilevati e schedati mediante metodi opportuni in base al tipo di fenomeno (Tabella 2), ma anche considerando l’elemento tecnologico su cui influiscono. Nella valutazione dei danni in atto, si valutano, per ogni componente tecnica dell'edificio, i fenomeni di degrado e di alterazione rilevati. Per ciascun fenomeno vengono considerati i fattori che si ritiene influenzino il rischio per la conservazione. In particolare, vengono considerati i seguenti parametri: -

gravità instabilità diffusione interazione con altri elementi grado di urgenza.

La gravità deriva da un giudizio qualitativo del tipo di fenomeno di degrado, legato al tipo di “danno” che provoca in relazione all'importanza dell'elemento su cui influisce o sugli elementi ad esso correlati. L'instabilità dipende dalla dinamica del tipo di degrado o alterazione in atto. Su un intonaco dipinto, ad esempio, la mancanza rappresenta un danno che può essere molto grave, ma che risulta stabile, dato che non può peggiorare, un distacco, invece, è instabile e l'intervento, in questo caso, ha un grado di urgenza che può essere superiore. La diffusione indica la percentuale di superficie su cui si rileva il fenomeno di degrado. L'interazione è un parametro importante poiché il degrado di un elemento può influenzare quello di un altro. In base ai valori attribuiti a ciascuno dei parametri descritti, si definisce infine il grado di urgenza, che permette di iniziare a comprendere con quale gerarchia dovrebbero essere previsti eventuali azioni d’intervento o di manutenzione. A questo si accompagna una ricognizione dei danni attesi, ossia del degrado in avanzamento, o che si crede possa avvenire sulla base di determinate criticità rilevate. In questa fase vengono identificati quei segnali che si possono verificare con un semplice controllo visivo. In questo modo è possibile rendersi conto della presenza di un problema che, sebbene marginale al momento del rilevamento, potrebbe compromettere anche severamente la conservazione del manufatto, in un periodo futuro, andando a definire, pertanto, la situazione di rischio atteso.

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Tabella 2. Scheda di classificazione del “danno in atto”

N° scheda. DANNO IN ATTO ELEMENTO interessato Inserimento di una o più immagini dell'elemento tecnico in cui sono segnalate le aree con forme di degrado in atto o altre criticità (fotografie, disegni, schemi...)

Elemento tecnologico Elemento costruttivo Materiali e Tecniche

Classe di elementi tecnologici a cui appartiene l’elemento Simbolo costruttivo interessato dalla criticità (cfr. Tabella 1) ubicazione (p. 226) classificazione dell’elemento costruttivo (cfr. Tabella 1)

Legenda: Inserimento della spiegazione di eventuali simboli utilizzati e/o scala del disegno

tipo di materiale su cui si è rilevata la criticità e tecniche costruttive con cui è stato realizzato l’elemento

DESCRIZIONE DEGRADO Tipologia di danno in questa e nelle celle sottostanti si inseriscono, una alla volta, le forme di degrado (o di alterazione) rilevate sull'elemento tecnico

Instabilità dinamica di evoluzione del fenomeno

Diffusione (%) Interazione con altri elementi diffusione del altri elementi il cui degrado è "danno" sulla in relazione al danno rilevato superficie dell'elemento

Grado di urgenza Punteggio di valutazione che permette di creare una sorta di gerarchia degli interventi da proporre  

Instabilità: stabile / in evoluzione. Diffusione: percentuale di diffusione del danno sula superficie del manufatto. Grado di urgenza (qualitativo): basso, medio, elevato, molto elevato. La valutazione dell’urgenza tiene conto soprattutto dell’instabilità di un degrado in atto e dell’influenza che questo ha sul degrado di altri elementi, soprattutto se si tratta di manufatti decorati e di pregio (es. un intonaco dipinto o affrescato) o strutturali (es. una trave lignea che risente dell’umidità dovuta alla mancanza di elementi della copertura). Per la classificazione degli elementi costruttivi si fa riferimento alla Tabella 1 e alla relativa spiegazione (p. 226).

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Tabella 2.b. Esempio di scheda di “danno in atto”, caso del Santuario dell’Annunciata di Serle (BS)

01. DANNO IN ATTO Santuario della Beata Vergine Annunciata di Serle (BS) - PROSPETTO NORD

Aree colpite da degrado

Elemento tecnologico Elemento costruttivo Materiale e tecniche

Immagine fotografica

Strutture verticali, Rivestimenti e decorazioni

Legenda:

Intonaco, muro portante

distacco mancanza patina biologica

Muratura portante in pietra intonacata

macchia di umidità

DESCRIZIONE DEGRADO Tipologia di danno

Instabilità

Diffusione (%)

Distacco dell’intonaco

in evoluzione

Mancanza di intonaco

stabile

Patina biologica

in evoluzione

60 circa

Presenza di umidità

in evoluzione

80 circa

10 circa <5

Interazione con altri elementi Paramento murario sottostante Paramento murario sottostante Paramento murario sottostante Intonaco esterno ed interno (dipinto)

Grado di urgenza Medio Basso Elevato Molto elevato

Nel caso analizzato risulta esserci una situazione critica dovuta ad un’errata pendenza della pavimentazione esterna, che non permette di smaltire correttamente l’acqua meteorica; a questo si aggiunge l’orientamento a nord, sfavorevole all’asciugatura dell’acqua contenuta nella muratura per fenomeni di risalita capillare. In futuro, la mancata manutenzione delle coperture, potrebbe portare ad infiltrazioni d’acqua anche nelle aree superiori della parete esterna.

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Tabella 3. Scheda di classificazione del “danno atteso”

N° scheda. DANNO ATTESO ELEMENTO interessato Inserimento di un'immagine dell'elemento tecnico in cui sono segnalate le aree in cui si attende si verifichi un degrado, in relazione a determinate cause riscontrate (fotografie, disegni, schemi...)

Elemento tecnologico Elemento costruttivo Materiali e tecniche

classe di elementi tecnologici a cui appartiene l’elemento costruttivo interessato dalla criticità (cfr. Tabella 1)

classificazione dell’elemento costruttivo (cfr. Tabella 1)

Legenda: Inserimento della spiegazione di eventuali simboli utilizzati e scala del disegno

tipo di materiale e tecniche costruttive

DESCRIZIONE DEGRADO Tipologia di Danno forme di degrado/criticità che si ritiene possano verificarsi sull'elemento considerato

Simbolo ubicazione (p. 226)

Interazione con altri elementi Altri elementi il cui degrado è in relazione al danno previsto

Controllo visivo Segnali d’allarme

Provvedimenti Metodi di verifica

descrizione delle caratteristiche che con un controllo visivo e/o tattile rappresentano i segnali del degrado in avanzamento

azioni preventive per impedire o rallentare il degrado

modalità di controllo dello stato di avanzamento del danno

Instabilità: stabile / in evoluzione. Diffusione: percentuale di diffusione del danno sula superficie del manufatto. Grado di urgenza (qualitativo): basso, medio, elevato, molto elevato. La valutazione dell’urgenza tiene conto soprattutto dell’instabilità di un degrado in atto e dell’influenza che questo ha sul degrado di altri elementi, soprattutto se si tratta di manufatti decorati e di pregio (es. un intonaco dipinto o affrescato) o strutturali (es. una trave lignea che risente dell’umidità dovuta alla mancanza di elementi della copertura). Per la classificazione degli elementi costruttivi si fa riferimento alla Tabella 1 e alla relativa spiegazione (p. 226).

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Tabella 3.b. Esempio di scheda del “danno atteso”, caso del Santuario dell’Annunciata di Serle (BS)

01. DANNO ATTESO Santuario della Beata Vergine Annunciata di Serle (BS) - PROSPETTO NORD

Legenda:

Elemento tecnologico

Strutture verticali, Rivestimenti e decorazioni

Elemento costruttivo

Intonaco, muratura portante

Materiali e tecniche

Muratura portante in pietra intonacata

presenza umidità

Tipologia di Danno Presenza di umidità

Interazione con altri elementi Intonaco esterno e interno (dipinto)

Patina biologica

Muratura sottostante Muratura sottostante

Disgregazione dei giunti di malta

disgregazione intonaco disgregazione malta

DESCRIZIONE DEGRADO

Disgregazione del materiale di rivestimento

patina biologica

Intonaco (distaccato)

Controllo visivo Segnali d’allarme

Provvedimenti

Metodi di verifica

macchie di umidità infiltrazioni risalita capillare macchie di umidità macchie scure macchie di umidità distacco dell’intonaco - patina biologica - distacco intonaco - mancanza intonaco

- risanamento delle coperture e pulizia dei canali di gronda - pulitura superficie e trattamento con biocida - se possibile, riprogettare la pendenza della pavimentazione esterna (l’acqua ristagna presso l’attacco a terra)

- controllo visivo e tattile - verifica stato di conservazione del manto di copertura - controllo sistema di smaltimento delle acque meteoriche a terra - verifica pulizia dei canali di gronda

-

In questo specifico caso, i provvedimenti e le modalità di verifica coincidono per ciascun danno atteso segnalato, poiché le cause coincidono.

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c. Attività ispettive e programmazione degli interventi Alla fase di catalogazione dei danni in atto e attesi ed alla conseguente presa di coscienza del rischio, segue la programmazione degli interventi preventivi specifici. Si tratta delle vere e proprie azioni “di conservazione preventiva”, gerarchizzate in base all’urgenza del danno rilevato; in particolare, per ogni danno atteso si definisce un metodo di verifica associato ad un tempo di monitoraggio. Si delinea, così, il programma di conservazione, ovvero lo strumento che indica le verifiche da eseguire in relazione sia alla prestazione sia alla conservazione degli elementi tecnologici, esaminando le problematiche attraverso la considerazione delle “azioni di disturbo”, che sollecitano l'elemento, e dei “difetti di prestazione”54. Il programma di conservazione è uno strumento in continuo aggiornamento, poiché ogni controllo produce sua una nuova taratura. In caso di degrado fisiologico, ossia legato alla natura del materiale, è opportuno programmare opportune azioni volte a rallentare il processo di evoluzione di un danno che non è possibile arrestare definitivamente. Se, invece, incorrono patologie legate a difetti costruttivi o a cause estrinseche alla natura le manufatto sarebbe opportuno eliminare tali cause; in caso contrario, occorre intervenire con azioni di manutenzione periodica. Il monitoraggio, effettuato tramite opportune ispezioni speditive, è fondamentale in un approccio preventivo. Le ispezioni possono essere, in molti casi, condotte dall’utente-gestore su indicazione dei tecnici che hanno svolto le indagini preliminari (studio del degrado e del danno e analisi del rischio). Alcune ispezioni necessitano, però, di competenze e strumenti specifici ed occorre quindi interpellare personale esperto; per questo motivo, in una logica di ottimizzazione della gestione, è utile programmare la cadenza di queste ispezioni, in modo che coincidano. Nel semplice caso, ad esempio, in cui è necessario l’uso di impalcature o piattaforme elevatrici per ispezionare aree a quote non raggiungibili, sarebbe opportuno prevedere l’organizzazione di ispezioni contemporanee in modo da razionalizzare, non solo i tempi di svolgimento delle operazioni, ma anche i costi (il noleggio dei mezzi viene generalmente conteggiato in ore e incide considerevolmente sui costi delle operazioni). In alcune circostanze può essere adottata una modalità di monitoraggio remoto attraverso l’impiego, ad esempio, di sensori di umidità, temperatura e CO2, che possano indicare l’insorgere di condizioni microclimatiche sfavorevoli alla conservazione dei materiali. La Tabella 4 propone una serie di azioni ispettive legate alle più frequenti situazioni di danno riscontrabili in edifici ecclesiastici minori, quale il caso studio del santuario di Serle. Per i controlli speditivi, si ritiene utile l’uso di uno strumento fruibile anche da parte di persone non esperte in materia di restauro, ovvero schede di ispezione (Tabella 5) in grado di guidare l’autore del controllo nell’analisi visiva. Qualora l’utente riscontri anomalie e situazioni di 54 Della Torre S., Sessa V. M., La conservazione programmata come servizio integrato, In Aa.Vv., La conservazione programmata del patrimonio storico architettonico, Linee guida per il piano di manutenzione e consuntivo scientifico, Guerini e Associati, Azzate (VA), 2003, p. 147-153

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degrado in avanzamento, non risolvibili da lui direttamente, occorre consultare un esperto, il quale avrà il compito di stabilirne le effettive cause, nonché di proporre un idoneo intervento. In tal modo vengono proposti interventi ad hoc al sopraggiungere di un segnale d’allarme, scongiurando eventuali operazioni di restauro post factum molto più onerose. Figura 1. Schema del percorso strategico

Tabella 4. Azioni di controllo e la frequenza consigliata relativa ad ognuna di esse

Legenda:

Operazioni contemporanee

Influenza dell’azione di controllo sulla cura di: C M I O S Pi Pe

Coperture Murature Intonaci Strutture orizzontali (soffitti, volte, orizzontamenti) Serramenti Pavimentazioni interne Pavimentazioni interne

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AZIONI DI CONTROLLO

CADENZA

C

Verificare la pulizia dei canali di gronda

12 mesi

C M I

Efficienza lattoneria del sistema di smaltimento delle acque meteoriche

12 mesi

C M I C M O M I O I Pi

Stato del manto di copertura (in particolare, verificare che non vi sia scivolamento di elementi) Controllo sistema di raccolte e smaltimento acque a terra

12 mesi 12 mesi

Presenza di condensa superficiale sulle superfici verticali

3 mesi e in seguito ad ogni evento meteorico straordinario Nel periodo invernale, quando l’ambiente viene utilizzato

Presenza di condensa superficiale sulle superfici orizzontali

Nel periodo in cui l’ambiente viene utilizzato

M I O Pi

Condizioni termo-igrometriche

3 mesi In casi di rilevanza e gravità, si consiglia un monitoraggio sulla base di rilevamenti quotidiani e orari, da effettuare per almeno un anno

S

Verifica condizioni dei serramenti lignei

6 mesi

S M I

Controllo delle parti vetrate

6 mesi

S

Controllo condizioni (alluminio, pvc..)

S M I

Verifica tenuta dei serramenti e della loro movimentazione

M I I M

Controllo presenza di infiltrazioni nel sottotetto

serramenti

non

lignei

Controllo a vista delle murature intonacate, verifica di formazione di macchie e presenza di biodeteriogeni (muschi, licheni...) Verifica stato di conservazione dell’intonaco (fessure, distacchi...) Controllo a vista dello stato delle murature “faccia a vista”

12 mesi 12 mesi

6 mesi 6 mesi 24 mesi

M O

Controllo statico (soprattutto per le volte)

12 mesi

M

Stato dei rivestimenti ceramici

12 mesi

O C

Controllo a vista delle strutture lignee (presenza di fori causati da insetti xilofagi, zone marcescenti...)

6 mesi

Pi

Verifica a vista dell’usura della pavimentazione

6 mesi

Pe

Verifica a vista dell’usura delle pavimentazioni esterne

12 mesi

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Tabella 5. Scheda per le attività di controllo

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3.2 Elementi di valutazione economica La dimensione economica del progetto di conservazione programmata, rispetto a più convenzionali interventi di restauro, è di difficile quantificazione comparativa, in ragione delle molteplici variabili che ne condizionano lo sviluppo e la determinazione. In linea generale è possibile affermare che un’attenta gestione dei livelli di conservazione del bene, perseguita attraverso un accorto monitoraggio dello stesso ed una campagna correttamente pianificata ed eseguita di interventi programmati, consenta una migliore tutela a fronte di una onerosità di intervento più contenuta. La valutazione degli oneri economici relativi alla gestione rientra nel piano di conservazione. La stima dei costi avviene in modo differente in relazione al fatto che il piano venga stilato prima o dopo aver effettuato un intervento di conservazione, caso in cui la previsione dei costi avviene sulla base di elenco prezzi, computo metrico e piano della sicurezza, il quale comprende il fascicolo per i lavori successivi e la contabilità di cantiere55. Le categorie di interventi che è necessario prevedere, e che comportano una pianificazione di tipo finanziario sono: - riparazioni - monitoraggio e controllo dello stato di conservazione - interventi di manutenzione (conservazione preventiva). Le spese per le “riparazioni” non sono facilmente stimabili, poiché si tratta di operazioni di manutenzione straordinaria, necessarie in seguito ad eventi imprevisti. In tal caso, perciò, è necessario fare una previsione che tenga conto dello stato di degrado e dell’uso. La seconda categoria di interventi è finalizzata alla verifica periodica delle stato di conservazione di singoli elementi (coperture, superfici pittoriche o decorate, strutture lignee, ecc.; cfr. Tabella 4). Le attività di monitoraggio possono essere effettuate direttamente dall’utente-gestore, senza oneri aggiuntivi, o attraverso operatori tecnici, dotati di specifiche check-list di controllo da impiegare sia per la verifica ordinata delle singole unità tecnologiche oggetto d’analisi, sia per poter valutare in modo speditivo l’insorgenza o la propagazione di tipologie di danno, derivanti dall’innesco di nuovi fenomeni di degrado o dall’aggravarsi di fenomeni in essere; i tecnici richiedono una spesa per lo svolgimento delle attività. Appare di tutta evidenza che, al variare delle strategie di monitoraggio e di controllo diretto, possono aversi anche significative differenze di costo, derivanti essenzialmente dal tempo necessario per l’effettuazione delle operazioni e da strumenti e competenze necessari (diagnostica strumentale, uso di piattaforme elevatrici, ecc.).

55 Il prospetto degli oneri economici, In Aa.Vv., La conservazione programmata del patrimonio storico architettonico, Linee guida per il piano di manutenzione e consuntivo scientifico, Guerini e Associati, Azzate (VA), 2003, p. 223-225

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La terza categoria di interventi è costituita dalle azioni di manutenzione programmata, ad opera di squadre di restauratori abilitati, o di operai specializzati per le categorie d’intervento che non incidano direttamente su superfici pittoriche o di rilievo, come nel caso di operazioni edili di ricorsa puntuale delle coperture. La frequenza e la rilevanza economica dell’intervento dipendono essenzialmente dal grado di vulnerabilità dei materiali che caratterizzano le superfici decorate oggetto di manutenzione, al pari delle più o meno severe condizioni microclimatiche di progetto, con riferimento essenzialmente a temperatura, umidità relativa e presenza di inquinanti legati alla presenza di fruitori. A titolo esemplificativo, si può ricordare che per superfici ad elevata vulnerabilità, come ad esempio finiture superficiali a tempera o stucchi, in presenza di condizioni microclimatiche avverse (riscaldamento di locali e formazione di condensa superficiale, presenza di persone con contestuale concentrazione di CO2 nell’aria, ecc.) è possibile ipotizzare un intervento di consolidamento/ripristino locale delle superfici policrome ogni due mesi, con una squadra di due persone per una settimana (nel caso di superfici decorate ingenti). In caso di superfici di finitura maggiormente resistenti o di condizioni microclimatiche meno severe, legate a minori temperature d’esercizio, è possibile immaginare un diradamento della frequenza di intervento (quadrimestrale/semestrale). Ai costi delle azioni e del monitoraggio si sommano, infine, quelli di adeguamento del programma di conservazione da calcolare in funzione delle azioni ispettive. In linea generale si propone la previsione di un aggiornamento quinquennale. È opportuno realizzare una tabella analitica in cui si predispongano, per ciascuna voce di intervento o controllo diagnostico, la frequenza e i costi unitari (prezziari e preventivi), definendo gli esborsi presunti. In questo modo è possibile ottenere una previsione di spesa programmata nel tempo, attualizzati e corretti in itinere, in relazione all’andamento del mercato56. In particolare, si consiglia di effettuare piani di spesa decennali. Per razionalizzare la previsione delle azioni da svolgere e, perciò, i relativi costi, come già visto in precedenza si fa riferimento ad una scomposizione dell’edificio in elementi tecnologici, per ciascuno si compilano schede descrittive e di analisi. Di seguito si riporta una scheda tipo per il calcolo delle spese di azioni di controllo e preventive (Tabella 6) da svolgersi su un elemento tecnologico (cfr. Tabella 1), in relazione dal danno rilevato durante gli studi preliminari (cfr. Tabelle 2 e 3). Ad ogni azione vengono associati i tempi di frequenza, la tipologia di operatore richiesta e il costo da definirsi in relazione ai prezziari.

56 Il prospetto degli oneri economici, In Aa.Vv., La conservazione programmata del patrimonio storico architettonico, Linee guida per il piano di manutenzione e consuntivo scientifico, Guerini e Associati, Azzate (VA), 2003, p. 223-225

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Tabella 6. Scheda per la previsione della spesa per un elemento tecnologico

N° scheda. VALUTAZIONE ECONOMICA PRELIMINARE ELEMENTO interessato Inserimento di un'immagine dell'elemento tecnico (riferirsi Elemento classe di elementi tecnologici a cui alle schede di analisi del danno in atto e atteso, cfr. Tabelle tecnologico appartiene l’elemento costruttivo 2-3) interessato dalla criticità (cfr. Tabella 1) Elemento costruttivo

classificazione dell’elemento costruttivo (cfr. Tabella 1)

INTERVENTI PREVENTIVI Azione

Frequenza

Operatore

Costo unitario

elenco delle azioni di controllo o di conservazione programmata

tempi di frequenza, specificando anche la data di inizio e fine (es. trimestrale per i primi cinque anni)

tipologia di operatore (tecnico specializzato, utente-gestore)

si considerano i costi unitari delle operazioni per unità di misura (a elemento, per unità di superficie, ecc.)

A seguito delle analisi svolte sul santuario di Serle, è possibile trarre alcune ipotesi di interventi preventivi, in relazione al “danno atteso” (cfr. par. 3.1 b. e Tabella 3). Si propone, inoltre, un esempio di scheda relativo al caso del santuario di Serle (prospetto esterno nord). In questo caso, la situazione di degrado dipende fortemente da un difetto di progettazione della pavimentazione esterna e da uno scorretto smaltimento dell’acqua piovana; in caso di intervento e di eliminazione delle cause le frequenze dei controlli diminuirebbero, perché l’aumento del degrado avverrebbe più lentamente o, in alcuni casi, verrebbe quasi del tutto a scomparire (umidità per risalita capillare).

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Tabella 6.b. Scheda per la previsione della spesa per il prospetto nord del Santuario dell’Annunciata di Serle (BS)

N° scheda. VALUTAZIONE ECONOMICA PRELIMINARE ELEMENTO interessato Elemento tecnologico

Strutture verticali, Rivestimenti e decorazioni

Elemento costruttivo

Intonaco, muratura portante

Materiali e tecniche

Muratura portante lapidea intonacata

INTERVENTI PREVENTIVI Azione

Frequenza

Operatore

controllo visivo e tattile dello stato di conservazione dell’intonaco

6 mesi

Utente/gestore

verifica stato di conservazione del manto di copertura e dell’efficienza della lattoneria

12 mesi

Operatore tecnico

5,20 € / m + costo noleggio attrezzature

verifica pulizia dei canali di gronda

12 mesi

Operatore tecnico

5,20 € / m + costo noleggio attrezzature

quinquennale

Operatore tecnico

46, 14 € / m

biennale

Operatore tecnico

30,16 / m

pulitura superficie e trattamento 2 2 con biocida (m sui m ) (esclusi oneri relativi al fissaggio e alla velinatura di parti in caduta, dato che non si tratta di intonaco antico 57 o con apparato decorativo) Trattamento preventivo contro la crescita di colonie di microorganismi mediante biocida 2 2 58 a pennello (m sui m )

57 Aa.Vv., Prezzario dei beni artistici, DEI, Roma, 2010 58 Aa.Vv., Prezzario dei beni artistici, DEI, Roma, 2010

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Costo unitario –

2


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3.3 Normative di riferimento La guida riporta le principali norme vigenti in materia di Beni Culturali, d’ausilio e di riferimento per i gestori di edifici ecclesiastici storici. In particolare viene fatto riferimento al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs n. 42 del 22 gennaio 2004 e successive modifiche) e alle norme riguardanti il patrimonio ecclesiastico scaturite dagli accordi stipulati tra Ministero dei Beni Culturali e Conferenza Episcopale Italiana. Vengono, inoltre, citate le norme che introducono e trattano la manutenzione degli edifici, nonché le raccomandazioni in materia. Costituzione della Repubblica italiana Art. 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. D. Lgs n. 42/2004 - Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e modifiche dal D.lgd n. 62/2008 Art. 1 - Principi

2. La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura. Art. 6 - Valorizzazione del patrimonio culturale

1. La valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati. 2. La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. 3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale. Art. 9 - Beni Culturali di interesse religioso

1. Per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d'accordo con le rispettive autorità. 2. Si osservano, altresì, le disposizioni stabilite dalle intese concluse ai sensi dell'articolo 12 dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense firmato il 18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, ovvero dalle leggi emanate sulla

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base delle intese sottoscritte con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della Costituzione. Art. 10 - Beni Culturali

1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Art. 11 - Cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela

1. Sono assoggettate alle disposizioni espressamente richiamate le seguenti tipologie di cose: Gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista (...). Art. 20 - Interventi vietati

1. I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione. Art. 21 - Interventi soggetti ad autorizzazione

1. Sono subordinati ad autorizzazione del Ministero: la rimozione o la demolizione, anche con successiva ricostituzione, dei beni culturali; lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali mobili, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3; (...) 2. Lo spostamento di beni culturali, dipendente dal mutamento di dimora o di sede del detentore, è preventivamente denunciato al soprintendente, che, entro trenta giorni dal ricevimento della denuncia, può prescrivere le misure necessarie perché i beni non subiscano danno dal trasporto. 4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d'uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente per le finalità di cui all'articolo 20, comma 1. 5. L'autorizzazione è resa su progetto o, qualora sufficiente, su descrizione tecnica dell'intervento, presentati dal richiedente, e può contenere prescrizioni. Se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell'autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione. Art. 28 - Misure cautelari e preventive

1. Il soprintendente può ordinare la sospensione di interventi iniziati contro il disposto degli articoli 20, 21, 25, 26 e 27 ovvero condotti in difformità dall'autorizzazione. 2. Al soprintendente spetta altresì la facoltà di ordinare l'inibizione o la sospensione di interventi relativi alle cose indicate nell'articolo 10 (...).

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Art. 29 - Conservazione

1. La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro. 2. Per prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto. 3. Per manutenzione si intende il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'identità del bene e delle sue parti. 4. Per restauro si intende l'intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali. Nel caso di beni immobili situati nelle zone dichiarate a rischio sismico in base alla normativa vigente, il restauro comprende l'intervento di miglioramento strutturale. 5. Il Ministero definisce, anche con il concorso delle regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti, linee di indirizzo, norme tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali. 6. Fermo quanto disposto dalla normativa in materia di progettazione ed esecuzione di opere su beni architettonici, gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia. Art. 30 - Obblighi conservativi

1. Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l'obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza. 2. I soggetti indicati al comma 1 e le persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, fissano i beni culturali di loro appartenenza, ad eccezione degli archivi correnti, nel luogo di loro destinazione nel modo indicato dal soprintendente. 3. I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione. Art. 50 - Distacco di beni culturali

1. È vietato, senza l'autorizzazione del soprintendente, disporre ed eseguire il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista.

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Art. 111 - Attività di valorizzazione

1. Le attività di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità indicate all'articolo 6. A tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati. 2. La valorizzazione è ad iniziativa pubblica o privata. 4. La valorizzazione ad iniziativa privata è attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità di solidarietà sociale. Art. 113 - Valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata

1. Le attività e le strutture di valorizzazione, ad iniziativa privata, di beni culturali di proprietà privata possono beneficiare del sostegno pubblico da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali. 2. Le misure di sostegno sono adottate tenendo conto della rilevanza dei beni culturali ai quali si riferiscono. 3. Le modalità della valorizzazione sono stabilite con accordo da stipularsi con il proprietario, possessore o detentore del bene in sede di adozione della misura di sostegno. Art. 169 - Opere illecite

1. È punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 775 a euro 38.734,50: a) chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell'articolo 10; b) chiunque, senza l'autorizzazione del soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista (...); c) chiunque esegue, in casi di assoluta urgenza, lavori provvisori indispensabili per evitare danni notevoli ai beni indicati nell'articolo 10, senza darne immediata comunicazione alla soprintendenza ovvero senza inviare, nel più breve tempo, i progetti dei lavori definitivi per l'autorizzazione. 2. La stessa pena prevista dal comma 1 si applica in caso di inosservanza dell'ordine di sospensione dei lavori impartito dal soprintendente ai sensi dell'articolo 28. D.M. 25 gennaio 2005 - Criteri e modalità per la verifica dell’interesse culturale Art. - 1 Ambito di applicazione

1.Il ministero verifica la sussistenza dell'interesse culturale delle cose immobili appartenenti alle persone giuridiche private senza fine di lucro di cui all'art. 10, comma 1, del Codice, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni.

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2. La verifica è effettuata ai sensi dell'art. 12 del Codice, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono. Art. 2 - Verifica dell’interesse culturale

1. Il ministero verifica la sussistenza dell'interesse culturale delle cose immobili appartenenti alle persone giuridiche private senza fine di lucro di cui all'art. 10, comma 1, del Codice, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni. 2. La verifica è effettuata ai sensi dell'art. 12 del Codice, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono. Intesa tra il Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche (26 gennaio 2005) Art. 1

1. Ai fini della presente Intesa debbono intendersi con: a) Ministro e Ministero: il Ministro e il Ministero per i beni e le attività culturali; b) CEI: la Conferenza Episcopale Italiana. 2. Sono competenti per l’attuazione delle forme di collaborazione previste dalle presenti disposizioni: a) a livello centrale, il Ministro e, secondo le rispettive competenze, i capi dei dipartimenti o i direttori generali del Ministero; il Presidente della CEI e le persone da lui eventualmente delegate; b) a livello regionale, i direttori regionali e i Presidenti delle Conferenze episcopali regionali o le persone eventualmente delegate dai Presidenti stessi; c) a livello locale, i soprintendenti competenti per territorio e materia e i vescovi diocesani o le persone delegate dai vescovi stessi. 3. Per quanto concerne i beni culturali di interesse religioso, gli archivi e le biblioteche ad essi appartenenti, gli istituti di vita consacrata, le società di vita apostolica e le loro articolazioni, che siano civilmente riconosciuti, concorrono, a livello non inferiore alla provincia religiosa, con i soggetti ecclesiastici indicati nel comma 2, secondo le disposizioni emanate dalla Santa Sede, nella collaborazione con gli organi statali di cui al medesimo comma. 4. Ai fini della più efficace collaborazione tra le parti per la tutela del patrimonio storico e artistico, i competenti organi centrali e periferici del Ministero, allo scopo della definizione dei programmi o delle proposte di programmi pluriennali e annuali di interventi per il patrimonio storico e artistico e dei relativi piani di spesa, invitano ad apposite riunioni i corrispondenti organi ecclesiastici. 5. In tali riunioni gli organi del Ministero informano gli organi ecclesiastici degli interventi che intendono intraprendere per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti e

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istituzioni ecclesiastiche e acquisiscono da loro le eventuali proposte di interventi, nonché le valutazioni in ordine alle esigenze di carattere religioso. 6. Nelle medesime riunioni gli organi ecclesiastici informano gli organi ministeriali circa gli interventi che a loro volta intendono intraprendere. Art. 2

1. Le disposizioni della presente Intesa si applicano ai beni culturali mobili e immobili di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche, fermo restando quanto disposto in materia di conservazione e consultazione degli archivi d’interesse storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni ecclesiastiche dall’Intesa del 18 aprile 2000 fra il Ministro e il Presidente della CEI. 3. L’inventariazione e la catalogazione dei beni culturali mobili e immobili di cui al comma 1 costituiscono il fondamento conoscitivo di ogni successivo intervento. A tal fine, la CEI collabora all’attività di catalogazione di tali beni curata dal Ministero; a sua volta il Ministero assicura, ove possibile, il sostegno all’attività di inventariazione promossa dalla CEI e le parti garantiscono il reciproco accesso alle relative banche dati. Per l’attuazione delle forme di collaborazione previste dal presente comma, il Ministero e la CEI possono stipulare appositi accordi. 5. Gli interventi di conservazione dei beni culturali di cui al comma 1 sono eseguiti da personale qualificato. A tal fine la CEI collabora con il Ministero per assicurare il rispetto della legislazione statale vigente in materia di requisiti professionali dei soggetti esecutori, con particolare riferimento agli interventi sui beni culturali mobili e le superfici architettoniche decorate. Gli interventi di conservazione da effettuarsi in edifici aperti al culto rientranti fra i beni culturali di cui al comma 1 sono programmati ed eseguiti, nel rispetto della normativa statale vigente, previo accordo, relativamente alle esigenze di culto, tra gli organi ministeriali e quelli ecclesiastici territorialmente competenti. Qualora l’accordo non sia raggiunto a livello locale o regionale e in presenza di rilevanti questioni di principio, il capo del dipartimento competente per materia, d’intesa con il Presidente della CEI o con un suo delegato, impartisce le direttive idonee a consentire una soluzione adeguata e condivisa. Art. 3

1. Gli organi del Ministero e gli organi ecclesiastici competenti possono accordarsi per realizzare interventi ed iniziative che prevedono, in base alla normativa statale vigente, la partecipazione organizzativa e finanziaria rispettivamente dello Stato e di enti e istituzioni ecclesiastiche, oltre che eventualmente di altri soggetti. Art. 5

1. Il vescovo diocesano presenta ai soprintendenti, valutandone congruità e priorità, le proposte per la programmazione di interventi di conservazione e le richieste di rilascio delle autorizzazioni, concernenti beni culturali di cui all’art. 2, comma 1, di proprietà di enti soggetti alla sua giurisdizione (...).

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2. Proposte e richieste di cui al comma 1, presentate dagli enti ecclesiastici indicati all’art. 1, comma 3, sono inoltrate ai soprintendenti per il tramite del vescovo diocesano territorialmente competente. Art. 6

6. Il Ministero si impegna a rendere omogenee le procedure di propria pertinenza per l’accesso alle agevolazioni fiscali previste dalla normativa statale vigente in materia di erogazioni liberali destinate alla conservazione dei beni culturali di cui all’art. 2, comma 1. Accordo tra il dipartimento per i beni culturali e paesaggistici del ministero per i beni e le attività culturali e l’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana relativo alle procedure informatizzate utilizzate dagli enti ecclesiastici per la richiesta di verifica dell’interesse culturale dei beni immobili, 8/03/2005

1. I Direttori regionali del Ministero per i beni e le attività culturali (di seguito denominato “Ministero”) sottoscrivono con i Presidenti delle Conferenze episcopali regionali – previa loro intesa con i Vescovi diocesani della Regione ecclesiastica, i Superiori Maggiori degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica di diritto pontificio maschili e femminili della propria Regione ecclesiastica o delle loro articolazioni site nel territorio della medesima Regione – accordi relativi alla quantità, ai criteri di priorità e alla periodicità dell’invio delle richieste per la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili degli enti ecclesiastici siti nel territorio di propria competenza. 2. Le Curie diocesane, nel predisporre le richieste per la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili degli enti ecclesiastici siti nel proprio territorio, utilizzano il software appositamente preparato dalla Conferenza Episcopale Italiana (di seguito denominata “CEI”), nel quale inseriscono i dati identificativi e descrittivi dei beni oggetto di verifica (...). 3. Le Curie diocesane, stampate le schede descrittive dei beni tramite il software della CEI, inviano la documentazione in formato cartaceo ed elettronico, unitamente alla richiesta di verifica, all’incaricato per i beni culturali della conferenza episcopale regionale. L’incaricato regionale, entro la prima settimana del mese, provvede ad inviare al Ministero – dipartimento per i beni culturali e paesaggistici la documentazione in formato elettronico; provvede inoltre nel medesimo tempo ad inviare la documentazione cartacea alle direzioni regionali e contestualmente, per conoscenza, alle competenti soprintendenze con modalità che prevedano l’avviso di ricevimento.

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Legge 109/1994 - “Legge Merloni” Art. 16

5. (...) Il progetto esecutivo deve essere altresì corredato da apposito piano di manutenzione dell’opera e delle sue parti (...). D. Lgs n. 81/2008, Allegato XVI (Fascicolo con le caratteristiche dell’opera) I. Introduzione Il fascicolo predisposto la prima volta a cura del coordinatore per la progettazione, è eventualmente modificato nella fase esecutiva in funzione dell’evoluzione dei lavori ed è aggiornato a cura del committente a seguito delle modifiche intervenute in un’opera nel corso della sua esistenza. Per interventi su opere esistenti già dotate di fascicolo e che richiedono la designazione dei coordinatori, l’aggiornamento del fascicolo è predisposto a cura del coordinatore per la progettazione. Per le opere di cui al D.Lgs. n. 163 del 12 aprile 2006 e successive modifiche, il fascicolo tiene conto del piano di manutenzione dell’opera e delle sue parti, di cui all’articolo 40 del Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. Il fascicolo accompagna l’opera per tutta la sua durata di vita. DPR 554/1999 Art. 40 - Piano di manutenzione dell'opera e delle sue parti

1. Il piano di manutenzione è il documento complementare al progetto esecutivo che prevede, pianifica e programma, tenendo conto degli elaborati progettuali esecutivi effettivamente realizzati, l’attività di manutenzione dell’intervento al fine di mantenerne nel tempo la funzionalità, le caratteristiche di qualità, l’efficienza ed il valore economico. 2. d Il piano di manutenzione assume contenuto differenziato in relazione all'importanza e alla specificità dell'intervento, ed è costituito dai seguenti documenti operativi: a) il manuale d’uso b) il manuale di manutenzione c) il programma di manutenzione; 3. Il manuale d'uso si riferisce all'uso delle parti più importanti del bene, ed in particolare degli impianti tecnologici. Il manuale contiene l’insieme delle informazioni atte a permettere all’utente di conoscere le modalità di fruizione del bene, nonché tutti gli elementi necessari per limitare quanto più possibile i danni derivanti da un’utilizzazione impropria, per consentire di eseguire tutte le operazioni atte alla sua conservazione che non richiedono conoscenze specialistiche e per riconoscere tempestivamente fenomeni di deterioramento anomalo al fine di sollecitare interventi specialistici. 4. Il manuale d'uso contiene le seguenti informazioni:

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a) la collocazione dell’intervento delle parti menzionate; b) la rappresentazione grafica; c) la descrizione; d) la modalità d’uso corretto. 5. Il manuale di manutenzione si riferisce alla manutenzione delle parti più importanti del bene ed in particolare degli impianti tecnologici. Esso fornisce, in relazione alle diverse unità tecnologiche, alle caratteristiche dei materiali o dei componenti interessati, le indicazioni necessarie per la corretta manutenzione nonché per il ricorso ai centri di assistenza o di servizio. 6. Il manuale di manutenzione contiene le seguenti informazioni: a) la collocazione nell’intervento delle parti menzionate; b) la rappresentazione grafica; c) la descrizione delle risorse necessarie per l'intervento manutentivo; d) il livello minimo delle prestazioni; e) le anomalie riscontrabili; f) le manutenzioni eseguibili direttamente dall'utente; g) le manutenzioni da eseguire a cura di personale specializzato. 7. Il programma di manutenzione prevede un sistema di controlli e di interventi da eseguire, a cadenze temporalmente o altrimenti prefissate, al fine di una corretta gestione del bene e delle sue parti nel corso degli anni. Esso si articola secondo tre sottoprogrammi: a) il sottoprogramma delle prestazioni, che prende in considerazione, per classe di requisito, le prestazioni fornite dal bene e dalle sue parti nel corso del suo ciclo di vita; b) il sottoprogramma dei controlli, che definisce il programma delle verifiche e dei controlli al fine di rilevare il livello prestazionale (qualitativo e quantitativo) nei successivi momenti della vita del bene, individuando la dinamica della caduta delle prestazioni aventi come estremi il valore di collaudo e quello minimo di norma; c) il sottoprogramma degli interventi di manutenzione, che riporta in ordine temporale i differenti interventi di manutenzione, al fine di fornire le informazioni per una corretta conservazione del bene. UNI 10874/2000 - Manutenzione dei patrimoni immobiliari - Criteri di stesura e struttura dei manuali d’uso e di manutenzione Manuale (libretto) d’uso e di manutenzione

Raccolta delle istruzioni e delle procedure di conduzione “tecnica” e manutenzione necessarie all’utente finale del bene immobile, limitate alle operazioni per le quali non sia richiesta alcuna specifica capacità tecnica.

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Manuale di manutenzione

Raccolta organica e sistematica di documenti attinenti l’insieme delle modalità di manutenzione, ispezione e controllo di componenti, elementi tecnici e “unità funzionali” del bene immobile, destinato ai tecnici della manutenzione. Piano di manutenzione

Procedura avente lo scopo di controllare e ristabilire un rapporto soddisfacente tra lo stato di funzionamento di un sistema o di sue unità funzionali e lo standard qualitativo per esso/e assunto come riferimento. Consiste nella previsione del complesso di attività inerenti la manutenzione di cui si presumono la frequenza, gli indici di costo orientativi e le strategie di attuazione nel medio e nel lungo periodo. Usa gli strumenti tipici della previsione. Il termine “piano di manutenzione” usato nella presente norma fa esclusivo riferimento ai piani di manutenzione redatti, durante il ciclo di vita utile dell’immobile, dai responsabili della gestione immobiliare o dal soggetto che riceve in appalto il servizio di manutenzione. Programma di manutenzione

Complesso di attività, cronologicamente definite, finalizzate alla esecuzione degli interventi di manutenzione previsti dal piano e inseriti nel bilancio annuale di spesa. Usa gli strumenti tipici della programmazione operativa e definisce le risorse (manodopera, materiali e mezzi), le modalità tecnico-organizzative, la logistica e il preventivo di costo per l’esecuzione degli interventi, in stretta connessione con le risorse economiche assegnate dal bilancio annuale. Carte del restauro Carte del restauro di Atene (1931) La carta italiana del restauro (1932) Carta di Venezia (1964) Carta del restauro - Ministero della Pubblica Istruzione (1972) Carta internazionale del restauro di Cracovia (2000)

Organi Competenti in materia di Beni Culturali Sopraintendenze

Organi periferici del Ministero per i beni e le attività culturali e dipendono dalle Direzioni Regionali per i Beni Culturali e del Paesaggio. Sopraintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio Sopraintendenza per i Beni per i beni storici, artistici ed etnoantropologici Sopraintendenza per i beni archeologici Sopraintendenza archivistica Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)

Organi periferici del Ministero per i beni e le attività culturali e dipendono dalle Direzioni Regionali per i Beni Culturali e del Paesaggio.

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3.4 Glossario dei principali fenomeni di degrado e anomalie Questo studio è stato mosso dalla volontà di elaborare un approccio alla conservazione programmata per i gestori dei beni ecclesiastici “minori”, che, nella maggior parte dei casi, sono gli stessi parroci e, ad ogni modo, persone non competenti in materia di restauro architettonico e conservazione di edifici storici. Si è, perciò, pensato di proporre un breve glossario di riferimento con la terminologia specifica in relazione ai più frequenti fenomeni di degrado, che si possono riscontrare sugli elementi costruttivi. I termini adottati si riferiscono, in particolare, al lessico riportato nella norma UNI 11182:2006 (Ente Nazionale Italiano di Unificazione, Beni culturali, Materiali lapidei naturali e artificiali, Descrizione della forma di alterazione - Termini e definizioni). Vengono, inoltre, riportate definizioni di patologie relative al degrado di elementi e materiali differenti da quelli lapidei, quali i materiali metallici ed il legno. In aggiunta, al fine di rendere più completo il quadro dei fenomeni di degrado riscontrabili e degli elementi interessati, si descrivono alcune situazioni anomale riscontrabili, più in generale, sugli elementi costruttivi e su tutti i materiali che li costituiscono. Fenomeni di degrado di materiali lapidei e ad essi assimilati (UNI 11182:2006) Alveolizzazione

Fenomeno di degrado tipico dei materiali lapidei e dei laterizi. Presenza di cavità di forma e dimensioni variabili, dette alveoli, spesso interconnesse e con distribuzione non uniforme. Colonizzazione biologica

Presenza riscontrabile macroscopicamente di micro e/o macro organismi (alghe, funghi, licheni, muschi, piante superiori). Colatura

Traccia ad andamento verticale. Frequentemente se ne riscontrano numerose, ad andamento parallelo. Crosta

Modificazione dello strato superficiale del materiale lapideo. Ha spessore variabile ed è generalmente dura; la crosta è distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e spesso per il colore. Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, si presenta disgregato e/o polverulento. Deformazione

Variazione della sagoma o della forma che interessa l'intero spessore del materiale. Deposito superficiale

Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio, guano, ecc. Ha spessore variabile, generalmente scarsa coerenza e scarsa aderenza al materiale sottostante.

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Disgregazione

Decoesione con caduta del materiale sotto forma di polvere o minutissimi frammenti. Talvolta viene utilizzato il termine polverizzazione. Distacco

Per gli intonaci, si parla di distacco come di soluzione di continuità tra gli strati che lo compongono, sia tra loro che rispetto al substrato. Questo stato di degrado prelude, in genere, alla caduta degli strati stessi. Nel caso di laterizi, invece, si parla di soluzione di continuità tra rivestimento ed impasto o tra due rivestimenti. Efflorescenza

Formazione superficiale di aspetto cristallino o polverulento o filamentoso, generalmente di colore biancastro. Erosione

Asportazione di materiale dalla superficie che nella maggior parte dei casi si presenta compatta. Esfoliazione

Formazione di una o più porzioni laminari, di spessore molto ridotto e subparallele tra loro, dette sfoglie. Fratturazione o fessurazione

Soluzione di continuità nel materiale che implica lo spostamento reciproco delle parti. Graffito vandalico

Apposizione indesiderata sulla superficie di vernici colorate. Incrostazione

Deposito stratiforme compatto e generalmente aderente al substrato. Si definisce concrezione quando il deposito è sviluppato preferenzialmente in una sola direzione non coincidente con la superficie lapidea e assume forma stalattitica o stalagmitica. Macchia

Variazione cromatica localizzata della superficie, correlata sia alla presenza di determinati componenti naturali del materiale (concentrazione di pirite nei marmi) sia alla presenza di materiali estranei (acqua, prodotti di ossidazione di materiali metallici, sostanze organiche, vernici, microrganismi per esempio). Mancanza

Perdita di elementi tridimensionali (braccio di una statua, ansa di un'anfora, brano di una decorazione a rilievo, ecc.). Patina biologica

Strato sottile ed omogeneo, costituito prevalentemente da microrganismi, variabile per consistenza, colore e adesione al substrato.

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Pellicola

Strato superficiale trasparente o semitrasparente di sostanze coerenti fra loro ed estranee al materiale lapideo (pellicola protettiva, pellicola con funzioni estetiche, pellicola ad ossalati). Presenza di vegetazione

Presenza di individui erbacei, arbustivi o arborei. Rigonfiamento

Sollevamento superficiale localizzato del materiale di forma e consistenza variabili. Scagliatura

Presenza di parti di forma irregolare, spessore consistente e non uniforme, dette scaglie, generalmente in corrispondenza di soluzioni di continuità del materiale originario. Fenomeni di degrado di altri materiali Ruggine

Processo di ossidazione dei materiali ferrosi, con conseguente formazione di ruggine, ovvero formazione di una patina polverulenta o di una crosta di ossido di ferro di colore rossomarrone. Il fenomeno è favorito dalla presenza di acqua e ossigeno. Carie

Degradazione del legno dovuta alla presenza di funghi, che si nutrono di legno, degradando con i propri enzimi le membrane cellulari del legno. Uno dei segnali della presenza di carie è l’alterazione del colore, diversa a seconda della componente cellulare interessata dal fenomeno di degradazione. Il legno colpito da carie bianca si presenta di colore biancastro e, con il tempo, diventa spugnoso e friabile, con formazione di cavità. Nel caso di carie bruna, il legno, invece, perde la resistenza, imbrunisce e si rompe, poiché il materiale diventa rigido e friabile. Corrosione

Degrado chimico tipico dei metalli. Si tratta processo di consumazione lenta e continua di un materiale, con conseguente peggioramento delle sue caratteristiche o delle sue proprietà fisiche. Il fenomeno dà origine ad erosione per cause chimiche (aggressione chimica da parte di sostanze, come, per esempio, i cloruri per i materiali contenenti ferro). Foro di sfarfallamento

Perforazione prodotta sulla superficie di elementi lignei da insetti xilofagi (tarli del legno). Altre situazioni di degrado Condensa superficiale

Presenza di acqua liquida su superfici aventi temperatura inferiore al punto di rugiada, ossia la temperatura a cui, a pressione costante, l'aria è satura di vapore acqueo. Le superfici assorbono l’acqua presente, e si creano macchie di umidità.

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Ruscellamento

Scorrimento concentrato o diffuso di un flusso d’acqua piovana su una superficie verticale o inclinata, spesso associato a colature. Spostamento

Allontanamento di parti di un elemento architettonico, causato da fenomeni di varia natura, quali deformazioni e cedimenti, scivolamento, disconnessioni. Può verificarsi, ad esempio, per gli elementi che compongono i manti di copertura (coppi, tegole). Stillicidio

Presenza di gocce d’acqua in fase di distacco da una superficie orizzontale, per effetto della forza di gravità.

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4. BIBLIOGRAFIA Pubblicazioni Aa.Vv.

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