Le voci dell’Università Cattolica
Non esiste spettatore innocente di Enrico Reggiani
C
hierici, cortigiani, battitori liberi: quale ruolo per gli intellettuali? Rispondo citando il poeta irlandese Seamus Heaney (1939-2013; Premio Nobel per la Letteratura 1995): “No such thing / as innocent / bystanding” (“Non esiste spettatore innocente” ndr) (1996). Per amor di chiarezza – con una qualche inevitabile approssimazione e per stimolare il confronto – dico in estrema sintesi come interpreto le figure in questione. Colloco, in primo luogo, il chierico nel territorio antico della dominanza culturale di un paradigma sovrumano che lo trascende; in secondo luogo, il cortigiano nella sfera di influenza di un essere umano che lo sovrasta gerarchicamente (sovrano) e il cui spazio vitale (corte) ambisce a coltivare; infine, il battitore libero (o, più semplicemente, libero) non nella cornice di un’esperienza individualistica e anarchica (come troppo spesso si pensa), ma – come insegna la cultura calcistica da cui questa espressione proviene – nell’esperienza olisticamente orientata di una squadra in cui egli, pur non dovendo necessariamente arginare una specifica iniziativa ostile, nondimeno vi assolve più compiti di differente e complessa natura, sia difensivi sia di impostazione della strategia operativa del gruppo. Ora, proprio perché concordo con Silvano Petrosino sul fatto che “nessuno può definirsi intellettuale e nessuno fa il mestiere dell’intellettuale”, non posso non esplicitare una mia profonda convinzione che riguarda tutti coloro ai quali la “merciful providence”, menzionata da James Joyce (1882-1941) in Ulysses, ha concesso il privilegio di un lavoro prestato intellettualmente. A tutti costoro, ovvero a tutti noi, toccano l’impegno e la responsabilità di rivestire da liberi e forti ruoli e funzioni di chierico, cortigiano, battitore libero e molti altri ancora, nonché di rivestirli senza il difetto di cui scrisse Denis Diderot (1713-1784) in una sorta di “operetta morale narrativa” dal titolo curioso di Ceci n’est pas un conte (Questo non è un racconto, 1772): “Il fatto è, che ci piaccia o no, ci adeguiamo all’atmosfera che percepiamo. Quando entriamo in un salotto, fin dalla soglia adattiamo persino la nostra espressione a quella del gruppo [...]; nessuno vuole essere diverso da chiunque [...]; piuttosto che ascoltare o almeno tacere, ognuno blatera di cose che ignora, e tutti si annoiano, per stolta vanità o per gentilezza”. Inoltre, giacché “l’orizzonte delle sfide della nostra controversa contemporaneità [...] chiede di avere uno sguardo lungo, verso l’utopia e, insieme, un’attitudine concreta a lavorare di precisione e dettaglio nella quotidianità” (Antonio Calabrò), a chi “presta opera intellettuale” (per dirla in burocratese) accade di non poter mai rivestire ruoli e funzioni di chierico, cortigiano, battitore libero, e molti altri ancora comodamente e/o “allo stato puro”. Al contrario, se costu/ei vuole essere fedele al compito che si prefigge, gli/le è sempre richiesto di non venir meno al dovere,
18