Socrate ha perso? Riflessioni sul ruolo degli intellettuali - inserto del Magazine Presenza 1-2-3 20

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Le voci dell’Università Cattolica

Né apocalittici né integrati di Antonio Calabrò

N

é apocalittici né integrati. Critici, semmai, con conoscenza dei problemi e con competenza nelle scelte. Per coloro che fanno un lavoro intellettuale come professione sono queste, oggi, le condizioni che ne connotano impegno e responsabilità. L’orizzonte delle sfide della nostra controversa contemporaneità, infatti, chiede di avere uno sguardo lungo, verso l’utopia e, insieme, un’attitudine concreta a lavorare di precisione e dettaglio nella quotidianità. Utopia e riformismo, per dirla in sintesi. Ricordando, tra le tante possibili, la lezione filosofica di Ernst Cassirer (“La grande missione dell’utopia è di dare adito al possibile, in opposizione alla passiva acquiescenza all’attuale stato di cose. È il pensiero simbolico che trionfa della naturale inerzia dell’uomo e lo dota di una nuova facoltà, la facoltà di riformare continuamente il suo universo”), ma anche l’ambizione coraggiosa verso la “società aperta” di Karl Popper e la spregiudicata capacità di rinnovare radicalmente il pensiero economico della tradizione liberale di John Maynard Keynes, in nome d’un lungimirante intervento anti-crisi degli investimenti pubblici produttivi e d’una rideterminazione di poteri: un liberalismo democratico con forte valenza sociale. Intellettuali chierici o cortigiani o battitori liberi? Ci sono altre indicazioni di ruolo possibili. Intellettuali come persone capaci di sintesi originali tra pensiero umanistico e saperi scientifici, nella costruzione di una “cultura politecnica” in grado di provare a dare risposte alle inedite questioni di senso poste dalle nuove tecnologie, dagli incroci conflittuali tra dinamiche della globalizzazione e ripresa delle identità locali, dalle crisi che lacerano politica, mercati, equilibri sociali. Gli intellettuali italiani hanno mostrato, soprattutto dalla seconda metà del Novecento a oggi, un difficile rapporto con la modernità, rimpiangendo civiltà contadine tramontate (e trascurandone le dimensioni di povertà estrema, degrado, violenza, appannamento dei diritti fondamentali di uomini e soprattutto donne) o progettando palingenesi, divagando, dunque, tra conservazione e giacobinismo. Oggi, invece, vale la pena provare a cambiare paradigma e ragionare, come coscienza critica, sulla scrittura di nuove mappe della conoscenza, tra scienza e filosofia, memoria e futuro, diritti e responsabilità. Rileggere Max Weber. Usare come metodo la severità analitica dell’illuminismo di Leonardo Sciascia (tornato finalmente all’attenzione dei lettori, a trent’anni dalla morte). Ma anche dare attualità di scelte concrete alle domande di sostenibilità, ambientale e sociale, per uno sviluppo equilibrato, stando ben attenti a che proprio questa parola, sostenibilità, così carica di valori, non finisca mortificata nella banalizzazione dei discorsi pubblici e nei mascheramenti del green washing delle cattive abitudini.

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