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Paladino, il sant’Ambrogio entra di diritto nella storia

di Emanuela Gazzotti

Una scultura dedicata a Sant’Ambrogio realizzata appositamente per l’Università Cattolica da Mimmo Paladino. È stata installata e inaugurata nel Cortile d’Onore del campus milanese lo scorso 11 ottobre. L’opera «è pensata per le lunghe distanze, per gli spettatori da qui a cent’anni e più, forse» ha affermato il noto artista contemporaneo. «È un omaggio al patrono di Milano, eroe della conoscenza. Non ci sono riferimenti iconografici al Santo così come vengono tradizionalmente rappresentati. Ho preferito andare oltre, immaginare qualcosa di più, come don Chisciotte che vedeva guerrieri nei mulini a vento». La scultura, realizzata in bronzo patinato, ha una dimensione di base di 220x180cm e una altezza di 370cm per un peso di 1.680Kg e ripercorre i tratti salienti della vita di Ambrogio. Il ramo simboleggia il bastone pastorale, ma richiama anche lo staffile che rappresenta la profondità delle omelie che il Santo predicava al popolo. Il libro ricorda i suoi scritti: l’epistolario, i trattati e gli inni ed è il simbolo della dottrina cristiana. La colomba dello Spirito Santo evoca Sant’Ambrogio a cavallo che scaccia gli Ariani. La sfera rappresenta la completezza della Dottrina. La colonna, invece, rimanda alla leggenda della lotta tra il Santo e il diavolo che, cercando di colpire il vescovo con le corna, finì per conficcarle nella pietra della colonna che si trova sull’altro lato della piazza, creando due buchi. La tradizione popolare vuole che i due fori odorino di zolfo e che appoggiando l’orecchio alla colonna si possano sentire i suoni dell’inferno. L’elmo, per finire, ricorda come in epoca altomedioevale la basilica divenne la sede tradizionale dove avveniva l’incoronazione a re d’Italia degli imperatori del Sacro Romano Impero e dove si effettuava l’investitura dei nuovi cavalieri, detti per questo motivo “militi di Sant’Ambrogio”.

Per quanto si possano attribuire significati ai singoli simboli, dice Francesco Tedeschi, docente di Storia dell’arte contemporanea in Università Cattolica, «ogni tentativo di raccontare l’opera deve lasciare spazio alla liberà dell’artista e della stessa scultura. Essa non può essere chiusa in una descrizione: è come se le singole figure vivessero una dimensione autonoma nel dialogo che c’è tra loro, come nei quadri di de Chirico. Certamente il Santo e il cavallo sono i protagonisti, ma il loro rapporto non definisce un’iconografia rigida». Inoltre, in questo caso è da considerare anche il contesto allargato. «Se pensiamo al basamento come base della scultura ci troviamo di fronte all’invasione dello spazio, ma l’intenzione è piuttosto quella di creare un’area vissuta dagli studenti e da chi frequenta l’Ateneo. Non per ultimo, l’elemento architettonico va tenuto in considerazione anche in funzione della futura eventuale collocazione nel nuovo edificio della Caserma Garibaldi». Nell’idea dello scultore l’opera è nata non solo in rapporto agli interni dell’università ma anche al contesto esterno di tutta la piazza: «A cominciare dal Sant’Ambrogio in bronzo di Adolfo Wildt nel Tempio della Vittoria dedicato ai caduti della Prima Guerra Mondiale, realizzato da Muzio, a pochi metri dalla sede dell’Ateneo», affer- ma Tedeschi. Da artista della Transavanguardia, Paladino riscopre una dimensione simbolico-segnica che si apre al versante poetico e magico dell’arte. Dal punto di vista linguistico l’opera realizzata per l’Università Cattolica affianca uomo e cavallo, ovvero uomo e natura. E l’assetto architettonico della soglia che il cavallo e il Santo attraversano rimanda a qualcosa di metafisico. Paladino ha voluto così trovare un collegamento con alcuni caratteri dell’arte italiana degli anni Venti e Trenta, come si possono cogliere in questa zona della città. L’opera di Paladino è parte di una storia in cui, oltre a riconoscere la levatura internazionale del suo autore, si inserisce in una continuità dei linguaggi che danno l’immagine del luogo. «L’immagine dell’Ateneo risale a una tradizione secolare dal punto di vista architettonico, ma si può valorizzare la sua storia attraverso i segni visibili dell’arte del Novecento che hanno qualificato l’edificio di largo Gemelli, nel rapporto che si sviluppò tra Manzù, Muzio e Gemelli e quindi con Giannino Castiglioni, artista a cui il fondatore della Cattolica si rivolse per la statua del Cristo Re» prosegue il professore. «L’opera di Paladino è un ulteriore segno di prestigio, ma non vanno dimenticate le opere di altri autori contemporanei acquisite grazie alle mostre nei chiostri promosse dal Centro pastorale, di cui una bella testimonianza è l’opera di Gabriella Benedini recentemente donata alla sede di Cremona».

Nella scultura di Paladino le figure simboliche (maschera, soglia, cavallo, elmi) non sono pensate in maniera filologica, ma sono suggestioni che si inseriscono in un processo pittorico, scultoreo e ambientale. «Un suo dipinto d’esordio si intitola proprio “Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro”» spiega Tedeschi, facendo notare che «l’artista ha recuperato poi l’uso del bronzo e della tridimensionalità sia per invadere la parete (come nel caso dell’installazione alla Biennale di Venezia del 1988), sia per rapportarsi all’ambiente, come nel caso della mostra personale al Forte del Belvedere di Firenze, fino a creare un percorso originale nell’Hortus Conclusus creato a Benevento, una sorta di giardino metafisico, forse la sua opera maggiore. Ne sono testimonianza anche altre realizzazioni in contesti monumentali, come l’omaggio al Guerriero di Capestano nel museo di Chieti o La Montagna di Sale, allestita una prima volta a Gibellina in occasione delle Orestiadi del 1990, un cumulo in cemento, vetroresina e pietrisco, in cui sono inseriti trenta cavalli disposti in posizioni diverse».

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