Una nuova parità di genere per l'Italia - Programma per l'Italia

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Premessa In Italia, il tasso di partecipazione femminile al mondo del lavoro è il più basso in Europa. I dati sul lavoro femminile del Paese riflettono una sistematica violazione della parità di genere: donne schiacciate ai margini del mondo del lavoro e spesso costrette ad accettare contratti precari e part time. Una donna su cinque lascia il lavoro entro due anni dalla maternità e sul banco degli imputati, da un lato, c’è l’inadeguatezza dei servizi alle famiglie, dall’altro, il disinteresse della politica a raccogliere i bisogni di un segmento di elettorato sempre più ridotto, i genitori di bambini piccoli. Nel 2020 oltre 300.000 donne in Italia hanno perso il lavoro, in misura tre volte superiore rispetto agli uomini. L’edizione 2021 del Global Gender Gap Report del World Economic Forum stima che occorreranno 136 anni per colmare il divario tra generi: era 100 solo un anno fa, ma il COVID-19 ha peggiorato il quadro. Cresce così il divario di genere rispetto al 2019: + 37%, facendo apparire il punto 5 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, sul raggiungimento dell’uguaglianza di genere e il diritto all’autodeterminazione femminile, un traguardo sempre più lontano. Un’occupazione stabile e ben retribuita è la premessa perché le donne acquisiscano emancipazione economica ed autonomia decisionale. Per le donne non basta avere un’occupazione, ha infatti sottolineato l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, questa deve essere anche “dignitosa” (e cioè retribuita alla pari degli uomini), tutelata nelle forme contrattuali, di qualità e non stereotipata. 1) Posizioni apicali A fronte di un aumento della presenza delle donne nei Consigli di Amministrazione, le Amministratrici Delegate sono appena al 2% (in 15 società). Erano poco più del 3% del totale nel 2013 e, dunque, il dato risulta addirittura peggiorato. Risulta invece in leggero aumento il dato relativo alla posizione delle donne in ruolo di Presidente, che rimane comunque al di sotto del 4% del totale. L'obiettivo della parità di genere nelle figure apicali, insomma, non sembra ancora acquisito. Una ricerca sulla leadership femminile in Europa, realizzata dall’Associazione European Women on Board, mostra che il nostro Paese si distingue positivamente per il numero di donne nei CdA grazie all’impianto legislativo favorevole, ma negativamente per la leadership femminile nelle posizioni direttive apicali: il 17% contro il 33% della Norvegia e il 25% del Regno Unito.

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➢ Proposta Proponiamo di sollecitare il Comitato per la Corporate Governance di Borsa Italiana affinchè emani una raccomandazione rivolta al Comitato Nomine (comitato dove la presenza femminile è garantita ed assicurata dalla normativa vigente) che supporta il Consiglio di Amministrazione nel processo di nomina dei Consiglieri e degli organi delegati, affinché - nella formulazione del parere sulla selezione delle figure apicali – inserisca un’assurance che rappresenti quanto fatto per garantire un’eguaglianza di opportunità nella scelta degli amministratori delegati. Anche lo stato della gender parity negli organi istituzionali è tuttora deficitario. In Corte Costituzionale, ad esempio, siedono ancora 4 donne su 15 membri. Nel corso della recente crisi pandemica, si è reso necessario un moto di riprovazione dell’opinione pubblica per poter ottenere un riequilibrio della composizione di genere delle unità operative tecniche ai quali erano stati affidati compiti di natura consultiva da parte del Governo. ➢ Proposta Sarebbe necessario che il Ministero della Famiglia e delle Pari Opportunità facessero un’ampia ricognizione delle istituzioni, degli enti e degli organi di diritto pubblico, governati da organismi collegiali, al fine di mappare e poi monitorarne le presenze femminili in detti organismi. *** 1) Le opportunità offerte dal PNRR e le certificazioni Raggiungere la parità di genere, oltre che essere un diritto costituzionale, sarebbe un investimento per il Paese. La Strategia Nazionale per la parità di genere 2021-2026 contenuta nel Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) italiano contempla cinque priorità: lavoro, reddito, competenze, tempo, potere. Il suo obiettivo è la risalita di cinque punti - entro il 2026 - nella classifica del Gender Equality Index, da 63,5 a 68,5 (sopra l’attuale media UE di 67,9). Il PNRR prevede uno stanziamento di quasi 20 miliardi per la missione “Inclusione e coesione” e introduce il tema del gender mainstreaming, la possibilità da parte dei decisori politici di interpretare il genere come elemento trasversale di tutte le politiche pubbliche. “La tutela e la promozione della concorrenza sono fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia. Possono anche contribuire a una maggiore giustizia sociale” (Piano Nazionale di ripresa e resilienza “PNRR”, pag. 75). Nell’immediato futuro gli appalti pubblici svolgeranno un ruolo chiave nella fornitura di beni e servizi vitali ai cittadini e nella creazione di opportunità per le piccole e grandi imprese.

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In assenza di un quadro regolamentare di più ampio respiro, l’introduzione di criteri premiali rispetto alla parità di genere non potrà essere di per sè sufficiente a cambiare in modo strutturale il mercato del lavoro, ma, come le misure fiscali, i principi del gender procurement possono essere uno strumento in grado di svolgere una funzione di regolazione e incentivo alla riduzione delle disparità di genere nel mercato del lavoro. Il PNRR ha espressamente previsto come misura l’introduzione di un sistema di certificazione della parità di genere (con un investimento di 10 milioni di euro) e l’articolo 47 del decreto-legge 31 maggio 2021 n. 77 prevede che le stazioni appaltanti inseriscano come ulteriori requisiti premiali dell'offerta nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, specifiche clausole dirette all'inserimento di criteri orientati a promuovere la parità di genere e l’inclusione, mediante l’assunzione di donne e giovani con età inferiore a 36 anni oltre che persone con disabilità. Inoltre, nell’ottobre del 2021, con decreto del Dipartimento per le Pari Opportunità, è stato istituito un tavolo tecnico interministeriale, e l'Ente italiano di normazione UNI sta definendo gli standard tecnici del sistema di certificazione da adottare entro il primo trimestre del 2022. Così, il 16 Marzo 2022, e’ entrata in vigore la nuova norma UNI/Pdr 125:2002 inerente l’adozione delle “Linee guida sul processo di adozione di specifici KPI inerenti le Politiche di Parità di genere nelle organizzazioni (Certificazione di genere delle Organizzazioni) . In merito a quanto sopra, riteniamo necessario che, laddove si faccia riferimento a requisiti di ammissione legati alla verifica di affidabilità socio economica delle aziende, in relazione a progetti presentati (con particolare riferimento anche alla solidità patrimoniale ed alla loro affidabilità), si faccia riferimento come prerequisiti di ammissione, oltre che alle certificazioni ISO 9001, SA8000,ISO14001, ISO45001, anche alla ISO 30415:2021 e alla UNI/Pdr 125:2022. Cosicché, laddove vi siano premialità inerenti a contesti di uguaglianza di genere (come indicato nei Goal 5 e 10 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite), i relativi criteri siano coerenti e simili, e nel contempo non vi siano aggravi di costi le imprese che hanno scelto ed adeguato per vocazione internazionale o settoriale relativi processi interni a certificazioni già in loro possesso. Inoltre, è necessario considerare anche la ISO 30415:2021 come riferimento per la parità di genere, oltre alla nuova norma UNI/Pdr 125:2022, poichè, in assenza di tale riferimento, si potrebbe giungere ad una discriminazione per le aziende estere presenti ed operative sul territorio italiano, che vedrebbero applicati solo criteri nazionali. Infine, le linee guida che si propongono su una prassi di gender budgeting diffuso potranno essere rafforzative e complementari a quanto contenuto nella UNI/Pdr 125:2022, permettendo un approccio graduale e informato delle imprese che si presentino in gara. ***

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2) Gender Budgeting amministrazione

nel

settore

privato

e

nella

pubblica

Per garantire più uguaglianza di genere all’interno delle aziende, proponiamo di inserire all’interno del già esistente Bilancio Sostenibile (Dichiarazione Non Finanziaria, DNF) un capitolo riservato alla pratica del Bilancio di Genere e l’analisi di impatto di genere. La Riforma del Terzo Settore già prevede tale evoluzione del bilancio sociale con i criteri di genere. L’estensione del Bilancio di Genere anche alle imprese e attività professionali (comune in altri paesi, come si vedrà in seguito in merito agli esempi internazionali) deve avvenire secondo una modalità sintetica e con KPI precisi e puntuali, verificabili e raffrontabili anno per anno. Includere il Bilancio di Genere all’interno della già esistente DNF permetterà di avere un resoconto più completo senza aumentare sostanzialmente i costi amministrativi per le aziende. Ad oggi, in Italia le aziende che sono tenute a presentare la DNF sono gli “enti di interesse pubblico” con più di 500 dipendenti e che abbiano superato certi limiti dimensionali (20 mln di euro per lo stato patrimoniale e 40 mln di euro di ricavi netti delle vendite e delle prestazioni). Tuttavia, secondo le direttive europee, è prevista l’introduzione della DNF, e secondo la nostra proposta anche del bilancio di genere, per le PMI quotate su mercati regolamentati Europei e per le società di grandi dimensioni (quelle con una media di almeno 250 dipendenti), anche se non quotate. ➢ Proposta Aggiungere l’obbligo di trasparenza su retribuzioni, organici e promozioni per genere nella già esistente Dichiarazione Non Finanziaria. In particolare, tutte le aziende, che rientrano nei criteri fissati dalla direttiva europea, e tutti gli organi della Pubblica Amministrazione (indipendentemente dalla loro dimensione, anche in attuazione della Circolare del MEF n.12 del 13.4.2021), attraverso la compilazione di un format predisposto appositamente, dovranno rendere pubblico e comunicare internamente ogni anno: o il numero di donne in azienda, il numero di donne assunte per livello e la ripartizione dell’organico; o le retribuzioni medie di uomini e donne, e la loro differenza, su base annua e ripartita per ruolo; o le promozioni assegnate a lavoratrici donne in rapporto a quelle degli uomini e, laddove vi fossero differenze significative, queste dovrebbero essere spiegate; o l’accesso a strumenti di flessibilità lavorativa. ➢ Esempi internazionali di Gender Budgeting Il modello UK Nel 2010, il Regno Unito ha stabilito che ogni azienda con oltre 250 dipendenti deve pubblicare i dati riguardo gli stipendi pagati agli occupati uomini e alle occupate donne (salario orario medio e mediano, bonus medio e mediano, quota di uomini che

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ricevono il bonus e quota di donne, quota di uomini e quota di donne per ogni quartile di stipendio). Viene poi elaborata una stima del gender pay gap. Le aziende sono, infine, invitate a spiegare le cause del gender wage gap e stilare la lista di azioni che saranno prese per risolvere il problema. Il modello Canada Nella legge di bilancio del 2018, il Governo canadese ha introdotto il requisito di trasparenza dei salari tra le misure per la riduzione delle differenze salariali tra uomini e donne. Questa misura prevede che siano a tutti accessibili informazioni paragonabili su gli stipendi pagati dalle aziende ai dipendenti di entrambi i sessi. Il modello Australia Dal 2012, in base al Workplace Gender Equality Act, tutte le aziende private con più di 100 impiegati devono fornire i numeri riguardo i profili salariali dei manager e dei quadri categorizzati per genere e ruolo all’interno dell’azienda. Tra le altre informazioni da comunicare sono incluse le misure e le strategie salariali che guidano l’azienda (inclusi eventuali obiettivi di parità di genere) e se sono già state effettuate analisi del divario salariale. Inoltre, dal 2015 è richiesto di esplicitare quante promozioni sono state assegnate per sesso, per stato occupazionale e se a manager o non manager. In complemento al Workplace Gender Equality Act è stato creato un sito dove sono elencati tutti i requisiti e un calcolatore del divario salariale, per aiutare le aziende ad analizzare le cause delle disuguaglianze di genere. Il modello Danimarca In Danimarca con l’Act on Gender Specific Pay Statistics del 2006 è stata introdotta la legge che richiede alle aziende con più di 35 dipendenti di pubblicare rapporti sul divario salariale di genere. Prima della legge i lavoratori uomini erano pagati il 18,9% in più rispetto alle lavoratrici donne e la percentuale è diminuita al 7% dopo la legge. Inoltre, la legge ha permesso anche di aumentare le assunzioni e le promozioni femminili. *** 3) Genitorialità - Riforma dei congedi parentali e di maternità e paternità Per accompagnare il percorso di crescita lavorativa, occorre una riforma dei congedi cocncessi per la nascita di figli, con una distribuzione più equa delle responsabilità genitoriali, per minimizzare l'impatto della maternità sul progresso della carriera, smontando gli stereotipi culturali radicati sui ruoli degli uomini e delle donne. ➢ Proposta: Congedo parentale iniziale per entrambi i genitori Proponiamo un “congedo parentale iniziale”, composto da un congedo riservato alla madre e un congedo riservato al padre, fruibile entro il primo anno di vita del figlio, congiuntamente o separatamente. Il congedo è diviso come segue:

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○ 20 settimane di congedo obbligatorio riservate alla madre riprendendo la stessa struttura dell'attuale congedo di maternità; ○ 20 settimane di congedo riservate al padre di cui 4 obbligatorie e 16 facoltative. Le settimane di congedo riservate alla madre e quelle riservate al padre possono essere usate in contemporanea. Il congedo parentale iniziale è retribuito all’100% del reddito preparto. Rispetto alla situazione attuale, questa proposta mantiene il congedo di maternità per quanto riguarda la durata per congedo, ma aumenta la quota di retribuzione. La proposta, inoltre, modifica il congedo di paternità, diminuendo la quota di retribuzione del congedo, allungando il periodo messo a disposizione e rendendolo in parte obbligatorio e in parte facoltativo. ➢ Congedo parentale facoltativo e complementare Al congedo iniziale, si aggiungerebbe un ulteriore periodo di congedo parentale facoltativo, fruibile fino ai 12 anni di vita del figlio. Questo congedo parentale complementare è composto di 3 parti: ○ 8 settimane per la madre ○ 8 settimane per il padre ○ ulteriori 8 settimane ottenibili solo se sia la madre sia il padre abbiano esaurito interamente i loro periodi di congedo facoltativo. Queste ulteriori 8 settimane possono essere divise tra madre e padre a scelta dei genitori e possono essere prese congiuntamente. Il congedo parentale complementare è retribuito al 60% per entrambi i genitori. Sommando i due congedi: o Per la madre sono disponibili 9 mesi di congedo circa, di cui 5 obbligatori all’100% e fino a 4 facoltativi al 60%. o Per il padre sono disponibili 9 mesi di congedo, di cui 1 obbligatorio all’100%, 4 facoltativi sempre all’100% e fino a 4 facoltativi al 60%. o Rispetto al sistema vigente, quello proposto aumenta la retribuzione di entrambi i congedi, aumenta per il padre il congedo obbligatorio portandolo a un mese, e incentiva la condivisione con congedo di maternità, distribuendo più equamente il congedo dei due genitori. Costi: Portando la quota di retribuzione per coprire i congedi obbligatori dal’80% al 100%, i finanziamenti necessari ammonterebbero a 1,23 mld. Stimando poi un aumento dei padri che usufruiscono del congedo paternità, i finanziamenti necessari per coprire i costi del congedo iniziale sarebbero di 2,4 mld, ovvero 1,4 mld aggiuntivi rispetto all’attuale spesa per i congedi obbligatori. Ad uguale numero di richieste di congedi parentali complementari, i finanziamenti di tale strumento rimarrebbero simili, perché l’aumento della quota di retribuzione sarebbe compensata dalla riduzione del periodo di congedo. La domanda per le settimane di congedo complementare potrebbe però aumentare. Ipotizziamo un aumento del 50%, il costo totale del congedo complementare potrebbe

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ammontare a 700 milioni, 300 milioni in più di quanto attualmente previsto per i congedi facoltativi. Il costo totale aggiuntivo della riforma sarebbe di 1,7 miliardi l’anno. *** 4) Rimodulazione Bonus Asilo Nido Nell’ambito degli interventi a sostegno della genitorialità, di fondamentale importanza appare la rimodulazione dei Bonus Asili Nido, nell’ottica di ridurre le differenze di costo nelle diverse Regioni, basando l’importo del bonus sui costi medi regionali pubblicati ogni anno. Per incrementare la domanda di bonus, oggi molto esigua, viene proposto quanto segue: o sotto i 25.000 euro annui di ISEE, l’asilo nido è gratuito, indipendentemente dal costo regionale; o tra i 25.000 e 40.000 euro annui, il sussidio sarebbe una quota decrescente (in modo lineare) del costo medio regionale fino all’azzeramento al di sopra dei 40.000 euro. Attualmente, molte famiglie anche sotto i 25.000 euro devono pagare parte della spesa, dato che il costo medio annuale di un asilo è superiore a 3.000 euro, ovvero la soglia sopra la quale scatta il contributo in 16 Regioni (dato tratto dal Report Nidi e Servizi educativi per l’infanzia, Istat, 2020). Per facilitare l’accesso alla misura, occorre far sì che le famiglie non debbano anticipare la retta, come avviene attualmente, ma predisporne la decurtazione immediata. Questo eviterebbe anche passaggi amministrativi dispendiosi, legati alla modalità di rimborso (già in Emilia-Romagna, ad esempio, i Comuni ricevono finanziamenti dalla Regione dedicati interamente all'abbassamento delle rette). Inoltre, si dovrebbe introdurre la deducibilità dei costi sostenuti dalle famiglie per le rette degli asili privati e parificati, fino ad un massimo di risparmio fiscale per famiglia di 3.000 euro. Se la misura portasse ad un aumento delle iscrizioni negli asili privati di soli 50.000 bambini la misura sarebbe fiscalmente neutra grazie al risparmio medio di 7.000 euro per ogni bambino in meno negli asili pubblici (anche se, prudenzialmente, sarebbe opportuno prevederne un costo (vedi sotto parte sui costi). Il Bonus Asili Nido è inoltre l’unica misura a sostegno della natalità a non essere stata eliminata con la creazione del nuovo Assegno Unico. Non c’è quindi il rischio di cumulabilità con altre misure siccome nessun’altra misura a sostegno delle famiglie (oggi solo l’Assegno Unico), considera la spesa per l’Asilo Nido. ➢ Costo Con la riforma, il costo del bonus asili nido salirebbe dai 530 milioni stanziati nelle leggi di bilancio 2021 e 2022 a 1,79 miliardi (assumendo che, con le riforme e l'aumento dell’offerta di asili nido previsto dal PNRR, oltre 600 mila bambini frequenterebbero gli asili nido), su un costo complessivo di 2,24 miliardi di euro (quindi con una copertura dell’80%).

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Il costo aggiuntivo sarebbe quindi di 1,26 miliardi. A questi, aggiungiamo, prudenzialmente 180 milioni, per coprire il possibile aumento dei bambini nei nidi privati (vedi sopra). La spesa aggiuntiva totale sarebbe di 1,44 miliardi. *** 5) Programma sanitario informativo sulle opzioni educative della prima infanzia I genitori dovrebbero ricevere informazioni sulle opzioni educative della prima infanzia prima della nascita di un figlio. Collegare un programma di informazione al servizio sanitario durante la maternità permetterebbe di creare un canale preferenziale con i genitori e ne farebbe percepire un maggior valore perché comunicato da personale medico. Anche qualora non vi sia un’impellente necessità a livello logistico per una famiglia di iscrivere il proprio figlio ad un asilo nido, la mancata partecipazione all’educazione infantile può creare svantaggi a lungo termine. L’obiettivo sarebbe di creare la concezione del diritto ai servizi per la prima infanzia per tutti, come già fatto in alcuni Paesi, come la Danimarca. ➢ Costo: La spesa stimata per il programma informativo è di 1 milione di euro l’anno

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