Martino l'Arrotino

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Martino Viviani è un cercatore. Attraversa il paesaggio a bordo di Meccanica, una motocicletta, alla ricerca di storie in cui riflettersi: le censisce, le misura, le fotografa e cerca di dare loro forma, materia. Al lavoro di insegnante precario nella scuola pubblica italiana affianca la certezza che il racconto stimoli fantasia e che questa parte ludica della mente sia produttrice di realtà. Classe 1986, vive a Bologna. Martino Viviani is a seeker. He travels the landscape on his motorbike Meccanica looking for stories he can identify with: he does a little statistic, he measures them and takes their pictures in the attempt to give them shape, material. A new element is added to the work of this Italian temporary public school teacher: the certainty that storytelling sparks our imagination and it is that recreational part of our mind which moulds our reality. Viviani was born in 1986 and lives in Bologna, Italy. materiameccanica.it

Montura Editing è il laboratorio creativo di Montura, aperto a “nuove vie”: dalla produzione editoriale a quella cinematografica. Negli anni ha sostenuto la pubblicazione e la diffusione di decine di opere, favorendo l’esordio e l’affermazione di giovani autori. Montura Editing is Montura’s creative workshop, open to “new ways”: from publishing to film production. Over the years it has supported the publication and circulation of dozens of works, favouring the launch and establishment of young authors.



Martino l’arrotino | Martino the knife grinder

FuoriRotta Vol. 2 Testi, fotografie e progetto grafico | Text, photographs and graphic Martino Viviani Progetto a cura di | Book concept FuoriRotta Editore | Publisher Montura Editing copyright© 2017 Montura Editing Traduzione | Translation Eleonora Felisatti Stampa | Printer Litografica Editrice Saturnia snc - Trento Copyright © 2017 Montura TASCI S.r.l. - Via Zotti, 29 Rovereto, 38068 (TN) - www.montura.it

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Martino Viviani MARTINO L’ARROTINO Martino the knife grinder Un racconto | A tale


The journey as state By Simone Falso The journey has nowadays taken on so many shapes that it becomes important to decline it, each time, to mean a new need of the contemporary human being to undertake experiences that can free themselves from the programmed distractions on the populist social offer, built by feeding fear. In a mathematical partition of time, working should be hard and unpleasant, and travelling, as a compensation, relaxing and pleasant. In the spirit of simplification, working legitimates travelling, and the journey becomes an obliged prize, consequence of the daily effort of real life. So, in the commonplace the journey becomes synonym of holiday, but also of rest, distractions, amusement, recreation, pastime. You don’t get very far, trying to separate the job from the holiday or counterposing the prepackaged journey in favour of the journey in the sign of adventure at all costs. In my opinion, the attempts to elaborate the complex concept of vacantia (from Latin: Vacare, being empty, free) are modest, with the so-called extreme Journeys: certainly not relaxing and probably not amusing, unlikely capable to leave that necessary emptiness, that suspension where art comes out on the way. Travelling means finding that emptiness, that fragile space, sensitive and extremely difficult, where chronological time turns into rhythm. So fear (instead of being immobilizing) intervenes to indicate the direction. You won’t read a superhero tale, but that of a witness of a new era of people who generate a new world, in which the need for art and the courage for the research come out with strength, requalifying fear as indicator. Martino Viviani crossed Europe rethinking a form of craftsmanship typical of his homeland. Rethinking your origins by moving away. Nothing spectacular, no attention-seeking behaviour. From the story of this book, issues that concern everyone come out. The strength of FuoriRotta project lays in this need to re-create new journeys, for everyone. FuoriRotta project invites to rethink the journey, to find its complex endings, to mean that the journey is a need and that it can’t be denied, which refuses to be sift through, judged and quantified. To go FuoriRotta in order to re-call into question your own ideas, to find again that strength to work travelling and to travel working. To find again the look of the other, without prejudice. But more than anything FuoriRotta invites all of us to participate in a need that has become social, disposes the sharing of a better future, where the journey enlarges to undertake new endings.


Il viaggio come stato Di Simone Falso Il viaggio ha assunto oggi talmente tante forme che diventa importante declinarlo, ciascuna volta, per intendere la nuova necessità dell’uomo contemporaneo di intraprendere esperienze che possano svincolarsi dalle programmate distrazioni dell’offerta sociale populista, costituita dall’alimentazione della paura. In una matematica suddivisione del tempo, il lavoro dovrebbe essere faticoso e spiacevole, e il viaggio, per compensazione, riposante e piacevole. All’insegna della semplificazione, il lavoro legittima il viaggio, e il viaggio diventa un premio obbligato, conseguenza della fatica quotidiana della vita vera. Ecco che nel luogo comune il viaggio diventa sinonimo di vacanza, ma anche di riposo, distrazione, divertimento, svago e passatempo. Non si fa molta strada, cercando di separare il lavoro dalla vacanza o contrapponendo il viaggio preconfezionato in favore del viaggio all’insegna dell’avventura a tutti i costi. Sono modesti, a mio parere, i tentativi di elaborare il complesso concetto della vacantia (dal lat. Vacare, essere vuoto, libero), con i cosiddetti Viaggi estremi: di certo poco riposanti e probabilmente non divertenti, difficilmente capaci di lasciare quel vuoto necessario, quella sospensione dove l’arte emerge nel cammino. Viaggiare significa trovare quel vuoto, quello spazio fragile, sensibile e difficilissimo, dove il tempo cronologico si trasforma in ritmo. Ecco che la paura (invece di essere immobilizzante) interviene per indicare la direzione. Non leggerete il racconto di un supereroe, ma di un testimone di una nuova era di persone che generano un nuovo mondo, nel quale la necessità dell’arte e il coraggio per la ricerca emergono con forza riqualificando la paura come indicatore. Martino Viviani ha attraversato l’Europa ripensando una forma d’artigianato propria della sua terra d’origine. Ripensare alle proprie origini allontanandosi. Niente di spettacolare, nessun protagonismo. Dal racconto di questo libro emergono questioni che riguardano ciascuno. La forza del progetto FuoriRotta si trova in questa necessità di ricreare nuovi viaggi, per ciascuno. Il progetto FuoriRotta invita a ripensare al viaggio, a trovare le sue complesse desinenze, per intendere che il viaggio è una necessità e che non può essere negata, che rifiuta di essere vagliata, giudicata e quantificata. Andare FuoriRotta per rimettere in discussione le proprie idee, per ritrovare quella forza di lavorare viaggiando e viaggiare lavorando. Trovare nuovamente lo sguardo dell’altro, senza pregiudizio. Ma più di ogni altra cosa FuoriRotta invita tutti noi a partecipare ad una necessità diventata sociale, dispone la condivisione di un futuro migliore, dove il viaggio si allarga per intraprendere nuove desinenze.



Indice Table of contents

Parte A - Preambolo ovvero ricostruzione di moto e intenti Part A - Preamble or reconstruction of bike and intents

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Parte B - Ambolo ovvero l’arrotino Part B - Amble or the knife grinder

p. 47

Appendice 1 - ovvero le case che furono Appendix 1 - or the houses that were

p. 146

Appendice 2 - ovvero la mappa di dove fummo Appendix 2 - or the map of where we were

p. 148

Appendice 3 - ovvero testi tradotti in inglese per l’internazionalismo Appendix 3 - or texts translated into English for the internationalism

p. 150

Ringraziamenti Acknowledgements

p. 163 p. 165

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PARTE A PREAMBOLO Questa cosa inizia da un punto, dallo schianto. Questa cosa inizia da qui perchÊ da qui è stato necessario ricostruire.

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Lo schianto

Lo schianto appartiene alla possibilità accettata di vedersi schiantare. È una regola. È preciso puntuale e processato.

In motocicletta infilarsi nel cofano di un auto.

Dritto su quella curva di quella strada provinciale 325 di quella mattina soleggiata di quel giovedì 16 di quell’ottobre. Dritto. Sovrappensiero. Raggiungendo un altro livello di concentrazione. E nella sospensione, la calma consapevolezza che non sia il tempo a scorrere ma gli oggetti e nella fattispecie il corpo mio a volteggiare in esso: completamente assorto nell’esperienza. E morbidamente sgusciare dalla consorte color blu, volare oltre l’automobile color vino e colpire l’asfalto o essere colpito dall’asfalto a seconda della prospettiva: mia o dell’asfalto.

Aprire gli occhi stesi.

E non riuscire a muoversi.

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Un divano

Mi ritrovo steso su un divano ed è il mio. Il divano, dico, su cui sono steso, dico, è il mio. O almeno lo sarà ancora per una settimana. La casa è vuota. Non si sente nulla. Nessun rumore nessuno. Silenzio. Sono appena uscito dall’ospedale che ricordo bianco. Ho male alle ossa, alla testa, alla pelle. Al cuore. Respiro aria. L. se ne è andata. Respiro molta aria. La moto. Andata. L. se ne è andata. E ora io me ne vado. E ho un fottuto male ovunque. E allora prendo una sigaretta dal tavolo rosso e la fumo. Tutta. Ho il sentore che le correnti prossime saranno tempesta. Acciaio bianco e rotaie e sospensione del fiato. Petrolio su mare. Ma il divano su cui sono steso non è davvero niente male. E allora, allora ci dormo su. E sogno d’un bambino ciccione d’una estate che fu.

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Il bambino ciccione: un sogno

E sogno d’un bambino ciccione d’una estate che fu. Il bambino ciccione ha la pelle chiara, le tettine, i pantaloncini a vita un po’ troppo alta, blu, scarpe da ginnastica, blu, e calzetti di spugna. Bianchi. Il bambino ciccione si muove insicuro ma ha l’aria di uno disposto a tutto. Il bambino ciccione mi sta simpatico. È coraggioso. E si tuffa. Essere il bambino ciccione è un’arte.

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È primavera

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È primavera. Ciò che ha seguito e ci separa da quel sogno d’ottobre d’un bambino ciccione è così deludente, triste e affannato da venir omesso. Che poi, penso, questa cosa del salto temporale è uno dei lussi della narrativa di finzione che funziona purché le parti che la compongono siano coese e coerenti tra loro. E allora lo faccio. Lo salto. E arriviamo così al viaggio in Germania.


Viaggio in Germania ovvero ricostruzione di moto

Chilometri di strada con lo zio che chiacchiera e alla radio la Fitzgerald che canta e le auto tedesche una in fila all’altra ordinate. Ci perdiamo qualche volta. Dopo esserci persi qualche volta e una notte dalle parti di Bad Suden, raggiungiamo Richard Blos e un cognome tedesco lungo che ora come ora non saprei. Nelle seguenti due pagine sulla sinistra una foto del rassicurante volto di mio zio; a fianco il buon Richard e il suo cognome. Richard Blos e il suo cognome vendono una Bmw r100 rt, 80.000 km, 1985, 2 proprietari, gommata nuova, filtri e oli nuovi, valige e tutto. Ha la carena rovinata ma non importa: mi serve un buon telaio e un buon motore. La osservo attentamente. L’accendo. La provo. Chiedo all’oggetto meccanico se le va di macinare chilometri e abbracciati correre e ad un palmo asfalto. Chiedo all’oggetto meccanico se le va di fidarsi. La prendo. Lei è meccanica e con un serbatoio pieno ora posso essere al mare. Lei è Meccanica. Potenza in potenza. E faremo cose.

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Questa cosa dell’arrotino

Questa cosa dell’indipendenza, di non aver un costo è interessante. Questa cosa del viaggio come alterazione. Questa cosa del dargli un senso, uno scopo, una ragione, un mestiere così da poter entrare in contatto diretto con la gente del posto. Un filo. Una narrazione. La possibilità che sia fabbrica di storie insomma, produttivo. L’idea di viaggio. E quello che ne fiorisce. Ecco quindi il piano: lasciandosi portare dalla moto che è pura intenzione affilare coltelli. Fare l’arrotino. Partire questa estate. Verso l’oceano. Punto. E questa cosa prende forma come le cose che prendono forma: con calma e quattro treni. E così si arriva ad Oderzo, cittadina veneta in Veneto. Qui mi aspetta zio Tullio, uno degli arrotini emigrati dalla Val Rendena molti anni fa. E son felice di chiedere a lui di insegnarmi per quel che si può un’arte. Lo sono molto. E son felice perché muoversi in questo modo crea punti focali in cui i fili si raccolgono e si stringono in un nodo. Punti che altrimenti non potrebbero essere: relazioni. Insomma, qui incontro Tullio che è felice e stranito di vedermi. A cui ho spiegato l’idea di montare una mola sulla moto e partire. Insomma, qui incontro Tullio e con lui mio cugino Paolo ed entrambi sono felici e straniti e ben disposti ad aiutarmi e a pagina 40 prima riga in mezzo.

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La fu motocicletta e il biglietto

Non ho il becco di un quattrino. Contingenza necessaria perchÊ il petrolio costa. E pure io ho un costo. E allora mi viene da pensare che non avere un costo possa rendere indipendenti. In linea teorica. Generale. Come proiezione, dico. Vendo il motore, il telaio con i documenti e la coppia conica della fu motocicletta che ho smontato pezzo per pezzo fino al ventre. Della motocicletta che piegata di 40 gradi sulla destra in curva formava l’auto sulla corsia opposta. E allora poi ho del quattrino (circa 1000 euro). E allora penso che la fu motocicletta ha offerto il biglietto per il viaggio prossimo venturo. Biglietto che appunto non avevo. E allora penso che questo sia l’ultimo presente della fu motocicletta: consorte meccanica di migliaia di chilometri. E notti lungo fiumi, sotto ponti, su prati, tra alberi, dal benzinaio, con pescatori e in riva al mare. E acqua, vento, sole, polvere, fatica. Insieme spolmonarsi. Bocca e gas aperti. Ricoperti di lontananza. Grazie fu motocicletta. Esposti agli stessi rischi non poi cosÏ dissimili insiemi di parti.

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Nel mentre

Nel mentre questa cosa dell’arrotino prende forma, mi ritrovo in una scuola media su un Appennino dell’Italia centrale a chiedere ad Effe di portare per la lezione successiva una descrizione di almeno una facciata di un oggetto della sua cameretta. Ed Effe risponde che va bene, che quella descrizione la fa. Ed ecco la descrizione di Effe di almeno una pagina di un oggetto della sua cameretta: Il mio letto. Il mio letto è corto. E bon. Ma Effe! Doveva essere di una facciata!, gli dico. Eh, ma il mio letto è veramente così., mi risponde. Ha ragione. Non ho nulla da dire. Essere corti è ‘na qualità.

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Sento

Un cane che morde la faccia. Denti nello scheletro. La pelle che urla forte. Diventare sordo. Il tempo passare.

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30 didascalie de “i giorni che mancano” e, voltando pagina, 30 immagini in ordine sparso de “i giorni che mancano” ovvero uno sfacciato tentativo di riassumere

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1. Cerco Alberta che trovo in fretta per via del campanello che non lascia dubbi. 2. Anna e Dante (lei in vestito floreale) sono i primi due clienti in assoluto. 3. “Non distinguo tra la realtà esistente e il sogno, che è la realtà inesistente”, pensa Soares (quello sulla sinistra e polo verde). 4. Pizza con i tre fratelli che bacio, saluto e amo. 5. Si voleva comprare un libro e poi il libro lo si aveva già e me ne ero dimenticato come delle cose di cui ci si dimentica. E aperto conteneva un appunto. E mi sembra una cosa importante. 6. Lascio Bologna, città casa per dieci anni e fotografo il tramonto dall’autogrill in autostrada dove segno parole prima che vadano a quel paese dove vanno le parole che escono dalla mente: a quel paese. 7. Mio padre mi ha guardato serio serio negli occhi, come si guarda un figlio. E mi ha detto che se smonto ancora una volta la moto mi disereda. Poi ha guardato da un’altra parte. E se ne è andato. 8. Claudio il meccanico ripara il cambio salvando tutto. 9. Vivo qualche mese con Hamza. 10. “Coerentemente con la linea del fallimento dolce, ho comprato un gratta e vinci da cinque euro” sono le parole dette da Stè della copisteria. Poi ride. Stefàn, che bene che ti voglio. 11. Chiacchiero con Mr. Bernard uomo antico che dice: “maestri non è nato nessuno. È diventato maestro perché ha imparato. E il più bravo maestro è la grande esperienza… possono dir quello che vogliono, possono aver studiato quello che vogliono ma l’esperienza non c’è nessuno che la mangia. Ce l’hai qui. Sempre imparare”. 12. Zio Giancarlo e Zia Helga sono seduti e sorridenti nella loro bella casa tedesca. 13. “Don’t be afraid about the fat” è il segreto per una colazione inglese. Dude. Much much love. 14. Una libreria di viaggio offre cartine stradali e taccuini e fiducia.


15. Aldo Vignocchi leader cyberpunk dei Kavalla Kavalla dice: “le mie crisi poetiche standardizzate dai TSO”. 16. Di mia madre stimo la forza e di mio padre l’intelligenza artigianale: è stata dura educarli; molto. Grazie. Molto. 17. Un ristorante prepara una dispensa ragionata. 18. La birreria floreale all’aperto dentro la storia crede nel viaggio. 19. Si viaggia a Bruxelles e nei pressi di un albero colorato ci si innamora un po’. 20. Un maiale che non vola è soltanto un maiale. 21. Luca (l’unico con gli occhiali da vista) regala il materassino rosso che sarà letto per molte notti. 22. Saluto gli amici Trentini con cui sono cresciuto (uno di loro scelto come rappresentante beve dalla brocca). 23. Vittorino mi da due dritte importanti (ritratto su sfondo albero). 24. Dario incide la stessa pelle incisa un tempo da un morso. 25. Fotografo l’impronta delle Converse gialle e rosse indossate al liceo stampata nel cemento sotto casa una sera di dieci anni fa. 26. Fra e Nico sono due bravi artigiani digitali (entrambi indossano sandali). 27. Mi serve una buona tuta antipioggia e chiamo un po’ di piccole aziende e mi risponde Luca e Luca mi dice: “Di tuta ti do la mia, ci tengo, quando finisci il viaggio poi me la ritorni” (la tuta non l’ho ancora tornata. Luca, arrivo). 28. Amici belli come il sole al mare. 29. Zio Tullio e Paolo che mi hanno insegnato per quel che si può un’arte. 30. Gianpaolo costruisce il megabaulone in alluminio per il retro moto.

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Domani si parte ma prima completezza didascalica

Domani si parte. Ma prima di partire, per completezza didascalica e come le cose ben fatte, vengono presentati anzitutto i due personaggi per nulla principali ossia l’astronave e l’astronauta, la cosa e il coso, la lama e il taglio, la benzina e il sangue, il cuore e il cilindro, sì, insomma, la motocicletta e il motociclista. Motocicletta (voltando pagina sulla sinistra) Meccanica 83.400 chilometri circa un insieme di parti e qualche cenno: a / b - auch die grossemutter 1 e speculare dall’altra parte auch die grossemutter 2 (per approfondire si vedano pagine 80 e 81); c - megabaulone ovvero: mola (affilatrice da banco elettrica 120 giri/ min, coppia 8,4 Nm, un’ottima macchina da 10,6 kg), generatore a benzina (per un’alimentazione da 700 w e il peso di 9,5 kg a secco), insegna su misura, pelapatate acciaio Inox in vendita, attrezzi molti e vari, cappello di paglia e già che ci siamo una canna da pesca tra l’altro mai usata; d - dall’alto scendendo lungo il baule: tuta antipioggia, telo antipioggia, materassino, sacco a pelo e tenda (quest’ultima non vale niente); e - documenti vari, cartine stradali, penne, fogli, accendini, tabacco, coltello, acqua, occhiali da sole, macchina fotografica e portatile; f - attrezzi manutenzione moto, mezzo litro di olio motore e del peso praticamente random per evitare di decollare.

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Motociclista (voltando pagina sulla destra) Martino 29 anni e 200 giorni circa un insieme di parti e niente piĂš.

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d c

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f ab

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PARTE B AMBOLO Racconto di un faro di motocicletta puntato ad ovest e affilare coltelli nei piccoli paesi fino all’oceano. L’arrotino.

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Partito

Ăˆ un pomeriggio soleggiato questo pomeriggio del 10 agosto. E ora partiamo accumulando spazio e tempo. Allungandoci. Lasciandoci alle spalle un lungo inverno e seguendo la strada formarci. Parte il racconto.

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Veneto ovvero primi giorni di viaggio

I primi 224 km sono di assestamento. Mi sembra di essere un fottuto furgoncino: il peso dietro è molto, la ruota davanti non sempre aderisce bene ma la motocicletta tira. La Meccanica, dico, si fida. Ed io con lei. E mi sa che ad un certo punto sorridiamo perché siam partiti e forse siam partiti davvero e improvviso odore di legno tagliato ad assi chiare in narici. Siamo nella zona di Feltre e attraversiamo segherie. In strada ricordo il ricordo dei viaggi passati, libero dalle influenze delle circostanze; libero da quelle cose che impediscono di pensare liberamente. Ora non so ancora dove stiamo andando. Mi manca ancora il senso. A questo pensiero vibro. Paura e benzina. Do di gas. Andiamo dall’amico Minorenne. Ecco un aneddoto dell’amico Minorenne: “Allora, vado da questo erborista da qualche mese. Tipo mezzo mago. E questo mi tocca e tutto e scopre i miei mali. Al che mi sprona a non mangiar più carne. Ecco, dicevo, vado da questo erborista da qualche mese e ci torno la settimana scorsa. Questo mi palpa, mi osserva, mi tocca e mi dice che qualcosa non gli torna. Io gli dico che sì, che in effetti ho mangiato una fetta di carne un paio di settimane prima... Beh, l’erborista mi squadra e mi dice: Ti si ‘na troia”. Fine dell’aneddoto del Minorenne, amico mio a cui voglio bene, che è un dentista e che si trova appena voltata pagina.

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Brodo padano

Era da fare. La pianura Padana dico. E la pianura in questo 13 agosto è brodo caldo. Lama nel burro. Labbra sgretolate e acciaio rovente. 400 km. Ora è notte. Fuori è caldo e silenzio. Sono a Salice Terme nei pressi di Voghera. Sono in una casa stupenda immersa tra motori e colline, libri e giubbotti, piastrelle antiche e vetrate gigantesche. Sono in un letto grande, morbido e profumato. Ospite di Paolo, uomo dalle mille risorse e professioni, e della compagna Antonella, lettrice affamata e operaia nell’oreficeria di super classe. Paolo e Antonella, come vorrei conoscervi meglio. Questa sera poi la Meccanica è entrata in un pub. In un pub dico. Dentro dico. A Salice Terme dico. Cose che non ti aspetti dico. Il meteo invece dice acqua nei prossimi giorni. Vedremo. Il cuore invece singhiozza e non capisco perché. O forse lo capisco e fingo non sia così. Vedremo. Rivista la motocicletta, i bagagli e rivisto il morale, ora punto la Francia. Sono nei pressi di Alessandria, se mi muovo bene questa notte dormirò sotto il cielo francese.

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Prima notte in tenda sul confine francese

Questa è la prima notte in tenda sul confine francese. L’acqua mi accompagna fino al confine di questo paese chiamato Italia. Sono nei pressi del colle della Maddalena. Sono le 19 ed è ora di trovare un posto dove piazzare la tenda. Chiedo consiglio ad una coppia di mezz’età. Un posto riparato, dico, dove non dia fastidio. Riparato perché dovesse piovere questa notte non posso permettermi di partire con moto e tenda bagnate. In più se piove non posso cucinare. Laggiù, indicano, c’è una cappella, dicono. C’è un grosso portico e pure acqua potabile. Perfetto, penso. Li saluto e trovo la cappella il cui portico sarà casa questa notte e che si trova a pagina 146 terza riga la prima da sinistra. Ci vuole del tempo per carburare questa cosa del viaggio ed io e la Meccanica siam felici di questa prima notte in tenda. Notte.

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In Francia

Dopo un secondo passo alpino scendiamo veloci verso il caldo. Ci infiliamo in una valle stretta come una lama. E mi ferma la polizia. Mi fanno vedere il puntatore laser dell’autovelox. Segna 72 km/h con il limite di 50. Mi guardano. Mi tolgo il casco. Una tipa prende un blocknotes, ci scrive 72 Km/h barra 50 Km/h = 90 euro. Poi mi guarda. Guarda i colleghi. Lei e i colleghi mi guardano. Tira una riga sui 90 e scrive 22. Lo sconto. Mentre la polizia mi sconta la multa penso pazzesco quanto i francesi amino giocare a bocce qui in montagna.

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Il primo cliente francese: il sig. Henry

Abbandonate le alpi francesi: freddo e umido. Ora nella campagna francese: molto e meglio. È cambiato il profilo del mondo. L’odore. Lo spessore dell’aria. Questa mattina eravamo nelle montagne; poi querce e pini, girasoli e lavanda. E la campagna. Un salto spaziale. E impressiona sempre la strada che corre senza grana a un passo dai piedi. Mi fermo in un piccolo paesino in cerca di lame da affilare. Ed incontro il signor Henry, il primo cliente francese. Il signor Henry, dopo l’affilatura si siede con me su un muretto grigio che delimita una piazza ombrosa al cui centro scende acqua da fontana. Seduti uno accanto all’altro, il signor Henry abbandona l’accento francese: “ho l’impressione, caro viaggiatore, che per realizzare la formazione di un’identità che sia difforme dall’impronta che il potere dominante imprime sui suoi sudditi, sia necessario costruire sé stessi attraversando le passioni, le relazioni per selezionare quelle utili e quelle dannose. Insomma una ricerca che sia un apprendistato alla libertà. Si rende necessario, caro arrotino, affrancarsi da quelle passioni e da quegli errori che impediscono di pensare liberamente. Essere liberi dall’influenza delle circostanze ed indipendenti rispetto al potere o ai potenti”. Seduti uno accanto all’altro, il signor Henry recupera l’accento francese. E si chiacchiera del più. E del meno.

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La notte e le due tecniche fondamentali della tenda

È sera e c’è il primo quarto di Luna. Cresce. Odore di silenzio. Fumo una sigaretta nella campagna francese aspettando che l’acqua bolla. Il tempo non conta più e scrivere è casa. E attraverso la scrittura si può padroneggiare la solitudine. Allora penso alle due tecniche, anzi le scrivo inchiostro su carta. Penso alle due favolose tecniche dell’amica tenda. Entrambe valide e solide e comprovate e speriamo che me la cavo. – Favolosa tecnica A detta del “Sorriso giuggiolone”: la favolosa tecnica A consiste nel far sì che tutti gli abitanti di un paese siano a conoscenza della tua presenza. Con il celebre “Sorriso giuggiolone” si chiede dove sia possibile mettersi con la tenda, se è un problema eccetera. Il miglior pro della favolosa tecnica A è che si può dormire fino ad ore improbabili in teoria nessuno ti dà fuoco. Uno straordinario esempio di suddetta tecnica a pagina 147 terza riga la seconda da sinistra. – Favolosa tecnica B anche conosciuta come tecnica “Ninja”: la favolosa tecnica B consiste nel far sì che nessuno sappia della tua presenza ma proprio nessuno. Significa piazzarsi nel silenzio più totale, celarsi nell’ombra con il favore del passo felpato. E la mattina abbandonare il luogo che è stato casa senza lasciar traccia alcuna. Senza dormire come se non ci fosse un domani chiaramente. Un poderoso esempio della tecnica B a pagina 146 terza riga la terza da sinistra.

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Il pelapatate ovvero l’Odissea

Non si era detto. Affilo coltelli e vendo pelapatate. Splendidi pelapatate, ottimi pelapatate. Vedo un paese color marrone (così come voi voltando pagina sulla sinistra). E mi ci infilo. E incontro i signori a fianco del paese marrone. E gli vendo un pelapatate. E mi offrono del vino. E mi raccontano la storia del figlio. Della sua Odissea. E chiacchieriamo. E mi dicono “se pensi di essere triste, cerca di capire perché lo sei, smetti di fare la cosa che ti rende triste e, con un po’ di fortuna, le cose andranno meglio”. E ci salutiamo. Poi, poi mi piazzo su un fiume. Inspiro. Dentro la testa. Capisco che lo scopo del moto è raggiungere la quiete. Che il moto è ricerca di quiete. Che fuori c’è un mondo intero. Fuori la testa. Respiro.

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Caffettiera e cavatappi

Attraversiamo paesaggi, temperature e colore. E puntiamo le montagne in cerca del piccolo, dell’isolato. Correnti di ortiche e pascolo e resina d’abete trapassano le narici. Come una pellicola incisa lungo la spina dorsale fisica del ricordo scorrono sulla mente immagini di un passato presente dell’Aspromonte calabrese e dei tre fratellini gypsy che abitano le montagne rumene. Associazioni: una fioritura. Chiedo la strada alla signora con rastrello in prato qui a fianco. E affilo in un paesino cinque coltelli e due arnesi per i ferri dei cavalli: 12 euro. Poi, ci ricordiamo di essere motocicletta e pilota non caffettiera e cavatappi. E puntiamo l’ovest. Alle 21 sono ancora nella piana nei pressi di Toulouse . A domani cari Pirenei. Mò cerco un posto nella piana che non mi piace. Ma va bene. L’importante non in mezzo al mais.

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Benza e acqua. Pirenei e fantasia.

Dopo una notte nei pressi del mais. Bevo benza e faccio acqua. In strada. È una biscia stesa tra le rocce. La valle che porta al passo per la Spagna, dico, è una biscia stesa tra le rocce. Refrigerio dopo la piana assolata e calda di Toulouse. La serpe sale nel verde intenso e vivo dei Pirenei. E penso a quella cosa del moto alla ricerca della quiete. E penso alla fantasia, all’immaginazione. E penso che questa cosa della fantasia ha a che fare con una ragione del viaggio, del moto. L’uomo è animale razionale, dotato di ragione, di intelletto: una parte di questo, “passivo”, riceve le sensazioni, i dati, i segni degli oggetti particolari; una parte invece “attiva” li rielabora e agisce a partire da questi dati, ne astrae rappresentazioni universali. Insomma, la prima parte vede un tavolo, la seconda non un determinato tavolo ma una forma rettangolare, un colore, una superficie geometrica. Ecco, poi c’è una terza parte: fantasia: questa rielabora liberamente i segni ricevuti creando immagini fantastiche, sogni, fa apparire anche ciò che non esiste. E questa parte ludica della nostra mente è produttiva e dimostra che il nostro intelletto non è solo contenitore della “verità” ma possiede anche la capacità di produrla appunto. E penso che il viaggio sia produzione di “verità”, stimoli fantasia, alimenti la capacità di produrla. E penso che questo moto in ricerca di quiete sia fantastico. E penso che questa sia un’altra ragione di questa cosa del viaggio. Ecco i Pirenei.

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Sono stupendi.

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Spagna ovvero mani ghiacciaio

“Bienvenidos a España” dice il cartello. Benvenuto. Sì. Mi fermo al primo paesino che mi pare appetibile. Mi fermo al bar del primo paesino che mi pare appetibile e ci sono tutti gli abitanti del suddetto paesino che giocano a carte o chiacchierano o fanno entrambe le cose. E la birra costa un euro. Sono e siamo ricoperti di polvere, le mani ghiacciaio sono strati di strada percorsa.

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Ottimo asfalto ovvero Un ottimo asfalto corre tra Sanguesa e Tafalla nel nord della Spagna. la struttura ovvero Curve morbide e nere tra colline calde e la Meccanica può schiarirsi la voce. nel posto giusto La direzione è NO. Ma da quelle parti il cielo è nero e tracciato dall’alto al basso di scie d’acqua. Spostarsi in base alle nuvole. SO. Quindi, il moto in ricerca di quiete. Il viaggio che in quanto fantastico è produttore. Ora, un passo di lato. Viviamo in un sistema. E questo sistema (chiese, governi, economie ed organizzazioni politiche) tende ad orientare, a formare il pensiero verso fini diversi dalla libertà dell’individuo. Semmai ad utilizzarlo per la perpetuazione delle proprie funzioni. E per il controllo degli individui al servizio di tali funzioni. Insomma, forma individui a cui sopravvive. E per far ciò esige vite senza senso. Domanda: che posto può esser lasciato a fantasia in questa struttura? Nel mentre arriviamo a Precajo: il paese più isolato che la cartina ci indica. Immerso nelle colline senza vegetazione della Rioja. Color verde e case di pietra. Mi piazzo al bar e mi chiedono se mi son perso, che ci faccio qui. Sono nel posto giusto.

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Lavare ordine

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Trovo un buon posto per la notte: fuori il paese, vicino ad una fontana, sotto degli alberi. Faccio i conti sul tavolino in cemento. Dormo un sonno. La mattina mi sveglio. Lavo le mie cose. Sistemo le mie cose. Faccio ordine nei bagagli e nella testa. Si avvicina un uomo. “Buena suerte�. Non dice altro. Si gira. Se ne va.


La strada

La strada che porta verso niente, mi porta invece da Luis.

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Luis, da qualche parte nel nord

“Una catalpa”. Respira profondamente. “Dalle Filippine”. Altro respiro profondo. “E questo un castagno indiano”. Il suono dei passi sull’erba e Luis che indica allungando dita lunghe. Raccoglie un ramo di sughero cavo e dice che se ci si osserva attraverso pare di stare in una grotta. “Un cedro del Marocco… …del suo legno sono costruiti la croce di Cristo e il tempio di Salomone… …è un carburo di idrogeno… gli animali non lo possono mangiare… …ed è una spezia. In Marocco...”. Ne sega un pezzo. Me lo fa odorare. Alla mente sale il ricordo di quelle tavole di legno scuro nei mercati marocchini. Con le piramidi di spezie dai colori pastello. Una accanto all’altra. Alla mente sale l’odore. Ricordo. L’olfatto è una vista strana. “Questa una palma delle Canaire”. “Questo un cipresso californiano”. “E questo… “

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Si accende una sigaretta. E aspira. “…questo è l’albero dell’Amore… È rimasto solo l’albero… questo mi ha lasciato…”. Aspira profondamente. Luis mi racconta i suoi alberi nel giardino del palazzo di cui si è fatto custode. Luis mi racconta i suoi alberi nel giardino del palazzo in cui vive solo. Parla molte lingue e la sua si confonde parlando. “So vanno le cose”. Luis conosce il legno perché lo lavora, perché (e si senta mentre parla il rumore delle mani che sfregandosi suonano schegge): “...perché quando io ho fatto una cosa può durare molto tempo e in questo tempo può crescere un altro albero. E questa è la ragione del mio lavoro, è una delle ragioni del mio lavoro: usare legno per fare cose che possono durare, possono vivere, molto tempo e in questo tempo possono crescere, può crescere un altro albero”. Questo è Luis. La sera poi ceniamo assieme e ci diamo appuntamento a quando saremo cambiati. Arrivederci Luis.

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Disabitato

Lascio Predajo dove non ho affilato praticamente nulla ma ho conosciuto Luis. Raggiungo l’entroterra spagnolo che trovo disabitato. Rinuncio alla stradina bianca che porta al piccolo e che ho di fronte. È la prima volta che torniamo indietro. La Meccanica è d’accordo. Pesiamo troppo, poca benza e poca acqua. E decisamente il tutto è disabitato. Proseguiamo verso SO cercando dove dormire. Non sappiamo dove dormire. Il fuoco che riscalda i desideri ed illumina i pensieri è merce rara. Lo so bene. Il resto del tempo si cerca di ricordarlo. Una lacrima. Il vento negli occhi. Deve essere il vento negli occhi. Oggi è dannatamente freddo.

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Il giorno di “oggi ho lavorato un bòtto”

Mi fermo a Muriel Viajo paesino piccolo primo che incontri quando non ce la fai più. “Fuori è dannatamente freddo… dormi ne l’asociación“. Notte buia e sogni densi. Il giorno mi sveglio steso in terra nel mio sacco a pelo blu sul materassino rosso che mi ha dato Luca. La stanza ha il soffitto in legno, quattro finestre e due ingressi. Il pavimento piastrelle bianche. Le mie cose sono sparse qui accanto e fuori è silenzio. Ho dormito bene. Dalla finestra sulla piazza vedo la motocicletta. Esco. Fa fresco. Ana e Alfredo mi offrono un’abbondante colazione a casa loro. Poi mi piazzo in piazza. Il primo cliente. E un passaparola formicaio: muyeres in Fiat Panda, hombres con asce, niños in bicicletta. E lavoro un bòtto. Da non crederci. Oggi ho lavorato un bòtto. Mangio una tortilla nella casa ricoperta di fumo di Miguel. Sistemo le mie cose. Ciao Muriel Viajo. Vado in direzione di Burgos. Grazie gente del pueblo.

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Lavorare un bòtto 2 ovvero una questione di classe

Anche oggi ho lavorato un bòtto. Da non crederci. “Un euro un cucillo ben afilado”. Signore che chiacchierano mi offrono caffè, mi lasciano coltelli da affilare e comprano pelapatate “italiani, muy bueno, d’acciaio Inox!“. Hombres di campagna mi raccontano entusiasti dei loro lavori con le mani e intanto mi portano lame varie e vecchi coltelli. Coi ragazzi si parla di viaggi in moto o viaggi in generale. I bambini invece, quelli li odio. Insomma, sono stupito perché questa cosa dell’arrotino funziona. È nodo narrativo, crea tessuto. Mi piace. È fabbrica. Mi piace. E in più mi ci compro pure una paella al ristorante per me e benzina 98 ottani per la Meccanica. Una questione di classe.

Ps: non è vero che odio i bambini. Secondo ps: nelle prossime due pagine le due postazioni dove si è lavorato un bòtto; sì, d’accordo, non si vede nessuno, ma non era mica possibile fare foto e lavorare; insomma, tocca fidarsi, come nelle storie.

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Perdo olio. Petrolio.

Perdo olio dalla trasmissione. Petrolio. Parola densa e nera. Nel pomeriggio seguo in moto Txetxu e l’amico. Mi portano a vedere i pozzi neri di petrolio. Nero. E ripenso a quella cosa del sistema in cui viviamo che forma ed esige vite senza senso. E penso al naturale adeguamento a ciò che non si vuole. E come questa cosa sia cancellazione della comprensione di sé stessi. E penso al quotidiano che assorbe e normalizza e a cui con il tempo ci si arrende. E si muore. E penso che ho paura di questa morte. E penso che ho paura che un giorno la ricerca di senso termini. Un cadavere agitato. E penso che questa sia una ragione insieme alle altre del perché sono in viaggio. Una ragione questa volta mia personale. Saluto Txetxu e l’amico. Ora cerco un posto dove dormire.

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Il meccanico e la pezza

Non mi piace che la Meccanica pianga olio sulla strada. Mi fermo da un meccanico che ripara trattori. Mi sembra la persona adatta. Il meccanico che ripara trattori ci mette una pezza e mi lascia 250cc di olio per trasmissioni e cambi 80-90w. “Cosa devo?” “10 euro”. Certo, è una pezza ma come pezza ha il suo fascino. Avanti verso la Cantabria.

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Petrolio

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Alterazione

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Senz’anima nÊ pensiero per strade che contornano montagne, che affondano in piane desolate o per valli nascoste tra scarpate rocciose, arrivare al mare. Fusi. Si attraversano paesaggi come veli. Una meccanica sensibile. La miglior alterazione.


Il mare 1 ovvero notte sul mare

E si arriva. Al mare, dico. Nell’Asturia. E ci si dorme. La notte sul mare è una di quelle notti in cui ti infili nel sacco a pelo e chiudi gli occhi. E ascolti il rumore bianco che ripete sé stesso. E resti immobile con la testa sulla felpa color vino. E ascolti. E vorresti che il tempo si fermasse. E ascolti. Nella quiete che tutto quello che fai e sei, quello che senti e vivi non sarà niente più. E abbandonarsi alle onde. E addormentarsi.

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Il mare 2 ovvero mattina sul mare

La mattina sul mare apri gli occhi e nelle pieghe della coscienza il ricordo concreto d’un sogno. Nel mentre fuori sta per piovere. Senza pensiero indossi i vestiti, togli tutto dalla tenda, pieghi la tenda, sistemi tutto in sacchetti, metti i sacchetti sulla Meccanica, sistemi la Meccanica per la pioggia imminente, sistemi te stesso. E piove. Indossi la tuta antipioggia, controlli tutto, ricontrolli e hai paura che il bagnato ti impedisca di uscire da lì. La Meccanica si accende. Esci di lì. E sei in strada senza caffè. La mattina al mare è una di quelle mattine in cui hai fantasmi come compagni. Sei con l’anima ridotta ad una matassa aggrovigliata mentre la consorte meccanica suona nel nord della Spagna.

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Foreste di plastica verde ovvero fave

Foreste di pini e querce e poi castagni e poi ancora querce. Il tutto si stende verso sud mentre cerchiamo di uscire dalla pioggia. E il giorno passa. Dalla strada un paese in lontananza (a sinistra voltando pagina). Lo stesso paese in vicinanza (a destra voltando pagina). E poi la tenda nel giardino di Rosalia. E un temporale la notte ed è uno di quei momenti in cui sei soddisfatto perché una volta tanto hai preparato tutto per la pioggia e quindi puoi dormire sereno con l’acqua che fa rumore sulla plastica verde. Notte. Mi sveglio e sono a San Emiliano piccolo paesino casa per oggi. Ho dormito nel giardino di Rosalia (a pagina 106 si trova Rosalia e sulla destra guardando la foto si vede una signora seduta che pela le fave; ebbene, quella è la signora che pela le fave e la signora che pela le fave pelerà fave tutto il giorno). Le affilo i coltelli. Lei mi cucina il pranzo del campione. Piazzo la moto. E affilo lame bellissime.

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4000 km di pesciolini

4000 km. Fin qui attraversate le Alpi e i Pirenei, brodi padani e piane assolate, desolati altopiani e colline di vigneti e ancora montagne e vegetazioni di ogni tipo. Fin qui tutto bene. Fin qui dormito su mari diversi e su fiumi, in collina o in montagna, nascosto o in paesini. Fin qui tutto bene. Fin qui affilato lame di ogni tipo in paesini di ogni tipo. Fin qui tutto bene. 4000 km macinati come chicchi di caffè. Un buon odore. Ed è ora di tracciare con le dita sulla sabbia un’altra ragione di questa cosa del viaggio sempre in relazione con il sistema in cui viviamo. E questa volta ha a che fare con dei pesciolini immersi nell’acqua. Un aneddoto contenuto nel discorso che David Foster Wallace tenne al Kenyon College. Allora: due giovani pesci, nuotando, incrociano un pesce anziano che, salutandoli, dice loro: “Salve ragazzi, com’è l’acqua oggi?”. I due pesciolini si guardano e uno dice all’altro: “Che cosa diavolo è l’acqua?”. Ecco, l’acqua è una cosa banale. Il punto è che, proprio come i pesci che non vedono l’acqua, noi non vediamo cose banali nelle quali siamo immersi. Siamo così assorti e naturalmente adeguati al quotidiano da non renderci conto. Ecco, questa cosa del viaggio offre la possibilità di una prospettiva. Offre la possibilità di uscire dall’acqua in cui si è immersi. Certo, sia chiaro, per uscirne non è necessario prendere una moto, caricarla come un trattore e partire a caso per l’ovest. No, le possibilità sono molte e non si deve dimenticarlo. E non si deve dimenticarlo. È necessario sapere che ci sono molte possibilità, in modo che

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si possa scegliere. PerchÊ scegliere è importante. Ora, io e la Meccanica ci dirigiamo verso questa cosa del microclima che a quanto pare garantisce sole a bomba dopo giorni di acqua. I piedi desiderano il mare. Staremo a vedere.

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Una notte sul confine e una notte in Portogallo

È giorno. Un tutt’uno con i chilometri che si stendono davanti alla ruota. Si trova un buon posto per la tenda. L’abbandono della giornata termina in questa campagna per una notte sul confine. È notte. Sento. E quando sento il cervello dorme. E ho l’impressione che l’esperienza sia cercare sé stessi senza incontrarsi. E penso che la materia contenga in potenza quelle forme che l’intelletto astrae. La Meccanica è materica e quindi potenza in potenza. Frutto di molto lavoro. E la Meccanica e ciò che l’ha portata in superficie la dedico alle persone di orecchio. È giorno. Si attraversa il confine tra Spagna e Portogallo. Le lunghe scivolate del piccolo battello sulle distese liquide. Sono stanco. Molto. Magro. Molto. Un tutt’uno con i chilometri che si stendono davanti alla ruota. Si trova un buon posto per la tenda. L’abbandono della giornata termina in questa strada appartata per una notte in Portogallo. È notte.

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Mucche senza parola

Questa mattina mi hanno svegliato le mucche. Le mucche erano accompagnate da un pastore. Ed è stato meravigliosamente inutile raccontarsi la solita storia de “sono un viaggiatore, vengo dall’Italia, son solo, faccio l’arrotino” e “sono uno del posto, vengo da qua, son casado e faccio il pastore”. Una stretta di mano. Un sorriso. E ci siam intesi. E così oggi, esattamente come con il pastore, son senza parole perché non c’è niente da dire.

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Un mese falce

Affilo una falce alla signora qui accanto. Le scatto la foto qui accanto. E mentre l’immagine digitale si fissa, penso “è un mese abbondante che viaggio”. E penso che ho il segno sulla fronte del casco. È impercettibile ma lo sento. E non se ne va. Tipo callo. E per una qualche associazione mentale penso che in Marocco quelli che pregano molto hanno una specie di bernoccolo in mezzo alla fronte. Ed è un callo. E se lo portano in giro tutti orgogliosi.

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Una questione di ritmo che poi, voglio dire, è tutto

Una questione di ritmo. Una questione per me fondamentale. Saluto il paese di Ferral. Saluto il figlio di Luis, Luis stesso e la moglie di Luis che mi hanno ospitato per pranzo e cena e doccia e tutto. E con la Meccanica ci dirigiamo verso sud: consorte meccanica insieme di parti come me; io senza te non vado da nessuna parte, tu senza me non vai da nessuna parte. Garantito. Attraversiamo un altopiano di terra acida di pino e poi le morbide colline dove cresce l’uva del vino Porto. Ma il ritmo non c’è.

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Ora vorrei parlarvi un secondo di questa cosa del ritmo. Il ritmo in un viaggio, o almeno per come lo intendo io, è quando spazio e tempo non contano più ma solo il ritmo appunto: del sangue rosso che pulsa e della benzina che esplode; pulsare ed esplodere. Il rimo in un viaggio, o almeno per come lo intendo io, è quando senti e sei attento e produttivo; attraversi paesaggi che restano impressi in te come tagli sulla pelle: ne sei parte e tutt’uno; e fotografi e scrivi perché quello è quello che fai e sei. Il ritmo in un viaggio, o almeno per come lo intendo io, è tutto. E il ritmo va e viene, vertice e abisso. Ecco, ieri il ritmo non so perché è saltato. E mi conosco bene e conosco bene anche il ritmo. E il bello, il giusto di un racconto fatto così è che è quello che è, nessuna finzione semmai fantasia ma nessuna finzione. E quindi è ora di chiudere, di arrivare all’oceano, di chiudere questo racconto che è ritmo, è presenza e assenza, è pieno e vuoto, e non può e non deve essere altro. È ora di chiudere perché ne va della sopravvivenza. Quindi, con i dovuti tempi, ci dirigiamo a sud, andiamo nel punto più a ovest di questa Europa che è poi la meta dichiarata dall’inizio del viaggio. Poi, una volta lì, faremo il punto della situazione, dichiarerò il senso di questa ricerca di senso che non era per nulla previsto ma che ora c’è. E la motocicletta e il motociclista chiuderanno il racconto perché così dice il ritmo. E il ritmo in un viaggio, o almeno per come lo intendo io, è tutto.

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Lenzuola di Murphy e uva fraga

Due notti in lenzuola bianche cambiano l’umore. In un residencial lungo la strada baratto la notte e la cena affilando coltelli e asce e vendendo gli oramai mitici pelapatate. La mattina dopo ho un nome, “Gloria”, il paese in cui vive “Oliveira de Frades” e la via “Rua de Tourneirous”. Chiedo ad una persona. Chiedo a qualcuno. Chiedo a molti. Chiedo a tantissimi. E poi la trovo. Gloria, dico, la trovo (così come voi voltando pagina sulla sinistra). E con lei Luis (così come voi voltando pagina sulla destra). Che mi ospitano in altre bellissime e buonissime lenzuola. La mattina io e la Meccanica ripartiamo verso sud con un altro umore, trovando il tempo di fissare su carta la legge di Murphy applicata alla motocicletta e strati di odore improvvisi di uva fraga.

Ps: ecco l’infrangibile ed inossidabile legge di Murphy applicata alla motocicletta: se cerchi o riponi un oggetto in una delle due valigie laterali aprirai quella sbagliata.

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Se uccidi ovvero arrivato

“Se uccidi un castoro salvi una pianta�.

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Questo il pensiero che entra in testa mentre concludi il viaggio spaziale. Il pensiero che pensi quando sei arrivato dove volevi arrivare. Il pensiero che pensi quando hai concluso la distanza in metri. Arrivato. Cazzo. E io che credevo in una fottuta illuminazione. Cazzo. “Se uccidi un castoro salvi una pianta”. Beh, in fondo, non è così male. Io, questo pensiero e la Meccanica fuggiamo i turisti e la croce che popolano questo posto. Concluso il viaggio, ora resta da concludere il racconto.

Ps: non è vero che credevo in una fottuta illuminazione.

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Cose che non c’entrano con nulla ovvero il senso ovvero il finale

Sull’oceano. O meglio in fronte l’oceano seduto sulla sabbia a gambe incrociate stringendo tra le dita un taccuino confusione in una giornata di sole di questo settembre. Chiudo gli occhi. Ripercorro le strade percorse. Mi sdraio. Apro gli occhi. Una roccia e il cielo blu.

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E penso che nulla possa tradurre esattamente quello che qualcuno sente. Son passati parecchi chilometri dai primi e parecchie notti. Ed è ora di chiudere questo racconto, tirare un filo sotterraneo, un filo sul senso; un filo sul senso di questa cosa del viaggio. Si è detto, attraversando i Pirenei, che il moto è ricerca di quiete, che fantasia, come parte ludica della nostra mente, è produttiva di verità e di come questo moto fosse fantastico e quindi produttivo. Lungo un ottimo asfalto nel nord della Spagna poi, si è detto che viviamo in una struttura, in un sistema che per sopravvivere esige vite senza senso; si è detto dell’adeguamento naturale a ciò che non si vuole e della morte una volta si concludesse la ricerca. Oramai sulla soglia del Portogallo, a 4000 km scoccati, si è detto di pesciolini che vivendo immersi nell’acqua non sanno che cosa diavolo sia questa acqua; si è detto di come sia facile non vedere cose banali in cui siamo immersi. E si è detto di come questa cosa del viaggio sia una possibilità di una prospettiva fuori dall’acqua; una possibilità tra molte. Ecco, il senso di questo racconto è il racconto stesso. Attitudine ad un’eversione civile: raccontare: politica attiva in questo sistema che esige vite senza senso. È la narrazione perché offre una prospettiva fuori dall’acqua in cui siamo immersi e dimostra la possibilità di scegliere. Perché scegliere è importante e anche la non scelta è una scelta. Scegliere è politica, è diritto, e saper scegliere è spirito critico. E dovrebbe essere la stessa struttura a garantire ai propri cittadini gli strumenti per saper scegliere, per far entrare la gente nell’ordine delle idee di vedere le cose coi propri occhi e abbandonare invece una logica da mentalità da mulo, di imitazione.

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Non lo fa. Per questo raccontare. Per questo raccontare storie è importante. Fantasia come bomba. Scegliere. E sapere di poter scegliere perché l’ignoranza genera la servitù della mente. E sapere che libertà richiede attenzione, consapevolezza, disciplina e impegno e, cazzo, fatica e l’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita. Scegliere perché scegliere è diritto. E non c’è alcun giudizio di merito in tutto ciò: si può benissimo spendere il proprio tempo nell’illusione che “benessere” sia una cosa che si può acquistare al mercato; nessun problema, purché lo si sappia. Dico, se anche solo un lettore ha condiviso in modo immaginifico per un istante questa cosa del racconto ed ha pensato a qualcosa a che fare con fantasia, beh, allora ho fatto c’entro e va bene. E va bene. Altrimenti sarebbe il racconto di un arrotino qualunque perduto nell’ovest. E di fatto lo è.

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Dedica

Dedicato a chi è alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa.

Ps: la rivoluzione qualunque essa sia è un atto di violenza.

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Appendici Appendices

Appendice 1 - ovvero le case che furono Appendix 1 - or the houses that were e (voltando pagina) and (turning the page) appendice 2 - ovvero la mappa di dove fummo appendix 2 - or the map of where we were e (voltando pagina) and (turning the page) appendice 3 - ovvero testi tradotti in inglese per l’internazionalismo appendix 3 - or texts translated into English for the internationalism

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PART A PREAMBLE

This thing starts from a point, from the crash. This thing starts from here because from here it has been necessary to re-build. The crash (page 13) The crash belongs to the accepted possibility of seeing yourself crashing. It’s a rule. It’s precise punctual and processed. On the motorcycle entering a car’s hood. Straight on that curve of that 325 country road of that sunny morning of that Thursday 16th October. Straight. Lost in thoughts. Reaching another level of concentration. And in suspension, the quiet awareness that it’s not time passing by, but objects and in this particular case it’s my body spinning in it: completely absorbed in the experience. And smoothly slipping off the blue colored consort, flying beyond the wine colored car and hitting the asphalt or being hit by the asphalt, according the the perspective: mine or the asphalt’s one. Opening the eyes laying. And not being able to move. A couch (page 22) I find myself laying on a couch and it is mine.

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The couch I’m laying on, I mean, is mine. Or at least it will be for one more week. The house is empty. Nothing is heard. No noise at all. Silence. I’ve just come out from hospital, which I remember white. My bones are aching, the head, the skin. The heart. I breath air. L. is gone. I breath a lot of air. The bike. Gone. L. is gone. And now I go. And I’m fucking aching everywhere. And so I take a cigarette from the red table and I smoke it. All. I have the feeling that the next currents will be storm. White steel and railways and suspension of breath. Petrol on sea. But the couch I’m laying on is not bad at all. And so, so I sleep on it. And I dream of a fat kid of a late summer. A fat kid. A dream. (page 23) And I dream of a fat kid of a late summer. The fat kid has fair complexion, small boobs, shorts with a bit too high waist, blue, trainers, blue, and terry socks. White. The fat kid moves unsteady but he looks like someone willing to do anything. I like the fat kid. He is brave.

And he dives. Being the fat kid is an art. It’s spring (page 26) It’s spring. What followed and separates us from that October dream of a fat kid is so disappointing, sad and tense that it’s omitted. But then, I think, this thing of the time jump is one of the luxuries of fiction, which works only if the parts composing it are cohesive and consistent. And so I do it. I skip it. And thus we come to the journey to Germany. Journey to Germany or the reconstruction of bike (page 27) Miles of road with uncle chatting and Fitzgerald singing on the radio and German cars in a tidy line. We get lost some times. After getting lost some times and a night somewhere near Bad Suden, we reach Richard Blos and a long German surname I can’t quite remember. In the next following two pages on the left a picture of the reassuring face of my uncle; next to it good Richard and his surname. Richard Blos and his surname sell a Bmw r100 st, 80.000 km, 1985, 2 owners, new tires, new oils and filters, bags and everything. The fairing is ruined but it doesn’t matter: I need a good frame and a good engine. I carefully look at it. I start it. I try it. I ask the mechanical object if it feels like grinding miles and running embraced and a span from the asphalt.


I ask the mechanical object if it feels like trusting. I take it. It is mechanical and with a full tank I can now be at the sea. It is Meccanica. Power in power. And we’ll do stuff.

bewildered to see me. To whom I explained the idea to mount a grinder on the bike and leave. So, here I meet Tullio and with him my cousin Paolo and they are both happy and bewildered and well willing to help me and on page 40 first line in the middle.

This thing of the knife grinder (page 30) This thing of independence, of being costless, is interesting. This thing of the journey as alteration. This thing of giving it a meaning, an aim, a reason, a job so that you can get in contact directly with the locals. A thread. A narration. The possibility for it to be a tale factory, I mean, productive. The idea of journey. And what blooms out of it. So this is the plan: letting the bike driving, who is pure intention, sharpening knives. Be the knife grinder. Leaving this summer. Towards the ocean. Full stop. And this thing takes shape the way things take shape: with calm and four trains. And so we get to Oderzo, small village in Veneto. Here uncle Tullio is waiting for me, one of the emigrant knife grinder from Val Rendena many years ago. And I’m happy to ask him to teach me, as much as possible, an art. I really am. And I’m happy because moving this way creates focal points in which threads gather and tie in a knot. Points that couldn’t otherwise be: relationships. So, here I meet Tullio who’s happy and

The late motorcycle and the ticket (page 31) I haven’t got a penny. Necessary contingency because petrol costs. And I cost, too. And so I’m thinking that not having costs can make you independent. In theory. General. As a projection, I mean. I sell the engine, the frame with the documents and the bevel gear of the late motorcycle that I disassembled piece by piece deep to the bowels. Of the motorcycle that, leant of 40 degrees on the right in curve, shaped the car on the opposite lane. And from then on I have money (around 1000 euros). And so I think that the late motorcycle offered the ticket for the next journey. The ticket that, indeed, I didn’t have. And so I think that this is the last present of the late motorcycle: mechanical consort of thousands miles. And nights along rivers, under bridges, in fields, among trees, at the petrol station, with fishermen and on the seashore. And water, wind, sun, dust, effort. Together de-lunging. Mouth and gas open. Covered with distance.

Thanks late motorcycle. Exposed to the same risks not-so-different set of parts. In the meanwhile (page 34) In the meanwhile this thing of the knife grinder takes shape. I find myself in a middle school on an Apennines of central Italy asking Effe to bring, for the following class, a description of at least one page of an object in his bedroom. And Effe answers it’s ok, that he will do that description. And here is Effe’s description of at least one page of an object in his bedroom: My bed. My bed is short. And nothing else. But Effe! It should have been a page!, I say. Well, my bed is really like this., he answers. He is right. I have nothing to say. To be short is a quality. I feel (page 35) A dog biting the face. Teeth in the skeleton. The skin screaming loud. Becoming deaf. Time going by. 30 captions of “the days left” and, turning the page, 30 images in random order of “the days left” or a cheeky attempt to summarize (page 38) 1. I’m looking for Alberta, whom I quickly

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find thanks to the doorbell that doesn’t leave any doubt. 2. Anna and Dante (she in a flowery dress) are the very first two clients. 3. “I can’t tell apart existing reality from dream, which is the non-existent reality”, Soares thinks (the one on the left in a green polo shirt). 4. Pizza with the three brothers that I kiss, greet and love. 5. I wanted to buy a book and then I already had the book and I forgot about it, like those things that you forget. And opened it contained a note. And it seemed to me something important. 6. I leave Bologna, town home for ten years and I take a picture of the sunset from the service station on the highway, where I write down words before they go to that place where the words go when they come out from the mind: to that place. 7. My father looked at me very seriously in the eyes, the way you look a son. And he told me that if I disassemble the bike once again he disowns me. Then he looked away. And he left. 8. Claudio, the mechanic, fixes the gear saving everything. 9. I travel to Brussels and by a colorful tree I fall in love a bit. 10. “Coherently with the line of the sweet failure, I bought a 5 euros scratch card” are the words said by Stè of the copy shop. The he laughs. Stefàn, how much I love you. 11. I chat with Mr. Bernard, ancient man who says: “nobody was born a master. One becomes master because of learning. And the better master is the great experience…

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they can say what they want but nobody eats experience. You have it here. Always learning”. 12. Uncle Giancarlo e Aunt Helga are sitting and smiling in their nice Germans house. 13. “Don’t be afraid about the fat” is the secret for an English breakfast. Dude. Much much love. 14. Aldo Vignocchi cyberpunk leader of the group Kavalla Kavalla, says: “my poetical crisis standardized by involuntary treatments”. 15. A travel bookshop offers road maps and notebooks and trust. 16. Of my mother I appreciate the strength and of my father the manual wit: it’s been hard to bring them up; a lot. Thanks. A lot. 17. A restaurant prepares a reasoned larder. 18. A flowery beer-garden inside the story believes in the journey. 19. I live a few months with Hamza. 20. A pig that doesn’t fly is only a pig. 21. Luca (the only one with sunglasses) donates a red mat, which will be the bed for many nights. 22. I say goodbye to my Trentino friends with whom I grew up (one of them chosen as representative drinks from the jug). 23. Vittorino gives me two important tips (portrayed on the back tree). 24. Dario engraves the same skin engraved once by a bite. 25. I take a picture on the yellow and red Converse footprint that I wore at high school, printed in the concrete outside home an evening of ten years ago. 26. Fra and Nico are two good digital craftsmen (they both wear sandals). 27. I need a good rainproof overalls and I call

few small companies and Luca replies and says: “I’ll give you my overalls, I care about it, once you’ll be done with the journey, you’ll return it” (I haven’t returned the overalls yet. Luca, I’ll arrive). 28. Friends beautiful as ever at the sea. 29. Uncle Tullio and Paolo who taught me, as much as possible, an art. 30. Gianpaolo builds the aluminum mega top box for the bike rear. Tomorrow we leave but before the captional completeness (page 42) Tomorrow we leave. But before leaving, for captional completeness and like well done things, two characters are introduced, not main characters at all, that are the spaceship and the astronaut, the blade and the cut, the gasoline and the blood, the heart and the cylinder, I mean, the motorcycle and the motorcyclist. Motorcycle (turning page on the left), about 83.400 km, a set of parts and few hints: a / b - auch die grossemutter 1 and auch die grossemutter 2 (for further details see pages 80 and 81); c - mega top box or: grinder (electrical bench grinder 120 RPM, 8,4 Nm an excellent machine of 23,37 lb), gasoline generator (for a 700 w power source and with a weight of 20,94 lb dry), fitted sign, stainless steel potato peeler for sale, many and various tools, Panama hat and since we’re there a fishing


rod, by the way, never used; d - from the top coming down along the trunk: rainproof overalls, rainproof sheet, mat, sleeping bag and tent (this last is worth nothing); e - various documents, road maps, pens, paper, lighter, tobacco, knife, water, sunglasses, camera and laptop; f - bike maintenance tools, 16,91 oz of motor oil and some random weight to avoid taking off. Motorcyclist (turning the page on the right), about 29 years and 200 days old, a set of parts and nothing more.

PART B AMBLE

Tale of a motorcycle’s headlight pointing west and sharpen knives in the small villages up to the ocean. The knife grinder. Departed (page 51) It is a sunny afternoon this afternoon of the 10th august 2015. And we now leave accumulating space and time. Stretching. Leaving behind a long winter and following the road shaping ourselves. The tale starts. Veneto or the first days of the journey (page 52) The first 140 miles are for settling. I feel like I’m a fucking minivan: the weight in the back is a lot, the front wheel doesn’t always adhere well but the motorcycle goes strong. The Meccanica, I mean, trusts. And me too. And I think that at a certain point we smile because we’ve left and maybe we’ve left for real and sudden smell of chopped wood in light color boards in nostrils. We are in the area of Feltre and we go through sawmills. On the road I remember the memory of the past journeys, free from the influences of the circumstances; free from those things that

prevent from thinking freely. Now I still don’t know where we’re going. I still miss the sense. At this thought I vibrate. Fear and gasoline. I step on the gas. We go to the friend Minorenne. Here’s an anecdote of the friend Minorenne: “So, I’ve been going to this herbalist since few months. Like half a wizard. And he touches me and everything and finds out my pains. And so he pushes me to quit meat. So, I was saying, I go to this herbalist since few months, and I went back to him last week. He touches me, he looks at me, he touches me and he says there’s something he can’t quite figure out. And I tell him that yes, in fact, I ate a slice of meat a couple of weeks before... Well, the herbalist looks at me and says: You’re a bitch”. End of the anecdote of the Minorenne, my beloved friend, who is a dentist and can be found just turned the page. Po valley broth (page 53) It had to be done. The Po valley I mean. And the valley in this 13th August is a warm broth. Blade in the butter. Cracked lips and scorching steel. 250 miles. Now it’s night. Outside it’s hot and silence. I’m in Salice Terme near Voghera. I’m in a wonderful house immersed among engines and hills, books and jackets, ancient tiles and giant window panes. I’m in a big, soft and perfumed bed.

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Guest of Paolo, man of many resources and jobs, and of his partner Antonella, hungry reader and luxury jewelry worker. Paolo and Antonella, I so wish I could know you better. Tonight the Meccanica has gone to a pub. Into a pub I mean. Inside I mean. In Salice Terme I mean. Things you don’t expect I mean. The weather forecast says rain in the next few days. We’ll see. The heart, instead, is sobbing and I don’t understand why. Or maybe I understand it and I pretend it’s not like that. We’ll see. Inspected the motorcycle, the begs and inspected the mood, now I head towards France. I’m near Alessandria, if I move properly tonight I’ll sleep under the French sky. First night in the tent on the French border (page 56) This is the first night in the tent on the French border. Water stays with me till the border of this country called Italy. I’m by the Maddalena Pass. It’s 7 pm and it’s time to find a place to pitch the tent. I ask a middle age couple for advice. A sheltered place, I say, where it will be of no bother. Sheltered because if it rains tonight I can’t leave with bike and tent soaking wet. Furthermore, if it rains I can’t cook. Down there, they point, there’s a chapel,

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they say. There’s a big porch and also drinkable water. Perfect, I think. I say goodbye to them and find the chapel whose porch will be home tonight and that can be found on page 146, third line the first from left. This thing of the journey takes time to be tuned and the Meccanica and I are happy in this first night in the tent. Night. In France (page 57) After a second Alpine Pass we quickly descend towards the heat. We sneak into a valley as narrow as a blade. And the police stops me. They show me the speed camera laser pointer. It marks 45 mph where the limit is 30 mph. They look at me. I take the helmet off. A lady takes a notebook out and writes down 45 mph slash 30 mph = 90 euros. Then she looks at me. She looks at her colleagues. She and her colleagues look at me. She draws a line on the 90, and writes 22. The discount. While the police is discounting me the fine I think it’s incredible how much French people like playing “boules” here up in the mountains. The bike and the first French customer, Mr. Henry (page 60) Left the French Alps: cold and humid. Now in the French countryside: a lot and better. The profile of the world has changed. The smell. The substance of the air.

This morning we were in the mountains; then oaks and pine trees, sunflowers and lavender. And the countryside. A space jump. And the road that runs without grain a foot away from the feet is impressive. I stop in a small village looking for blades to sharpen. And I meet Mr. Henry, the first French customer. Mr. Henry, after the grinding sits with me on a small grey wall that runs along a shadowy square, in the centre of which there’s water coming out from a fountain. Sitting side by side, Mr. Henry abandons the French accent: “I have the impression, dear traveller, that to realize the formation of an identity that differs from the print that the dominating power impresses upon its subjects, it’s necessary to build oneself passing through the passions, the relationships to select the useful and the harmful ones. In conclusion, a search that is an apprenticeship to freedom. It is necessary, dear knife grinder, to liberate ourselves from those passions and mistakes that prevent us from thinking freely. To be free from the influence of circumstances and independent from power and powerful people”. Sitting side by side, Mr. Henry recovers the French accent. And we chat about this. And that. The night and the two fundamental techniques of the tent (page 64) It’s evening and there’s the first quarter moon. It’s crescent.


Smell of silence. I smoke a cigarette in the French countryside waiting for the water to boil. Time doesn’t count any more and writing is home. And through writing you can master loneliness. So I think about the two techniques, or better I write them down ink on paper. I think about the two fabulous techniques of the friend tent. Both valid and solid and proved and I hope I’ll get away with it. - Fabulous technique A called of the “Sillybilly smile”: fabulous technique A consists in letting all the inhabitants of a village know about your presence. With the famous “Sillybilly smile” you enquire about where to camp, if it’s a problem, and so on. The better pro of the fabulous technique A is that it allows to sleep until impossible hours without anyone setting you on fire. An extraordinary example of the above-mentioned technique on page 146 third line, third from left. - Fabulous technique B also known as the “Ninja” technique: the fabulous technique B consists in not letting anyone know about your presence. No one at all. It means placing yourself in the most total silence, disguising in the shadow with the favor of padded steps. And in the morning abandoning the place that has been home without leaving any trace whatsoever. Not sleeping like there’s no tomorrow, of course. A powerful example of technique B on page 147 third line the second from left.

The potato peeler or the Odyssey (page 65) It hadn’t been said. I sharpen knives and sell potato peelers. Wonderful potato peelers. Excellent potato peelers. I see a brown colored village (just like you do turning page on the left). And I get into it. And I meet the people next to the brown country. And I sell them a potato peeler. And they offer me wine. And they tell me the story of their son. Of his Odyssey. And we chat. And they tell me “if you think you’re sad, try to understand why you are so, stop doing what makes you sad and, with a bit of luck, things will get better”. And we say goodbye to each other. Then, I settle by a river. I breath in. Inside the head. I understand that the aim of motion is to reach quietness. That motion is search for quietness. That outside there’s an entire world. Out the head. I breath. Coffee machine and corkscrew (page 70) We pass through landscapes, temperatures and color. And we aim for the mountains looking for the small, the isolated. Currents of nettles and pastures and fir resin pierce the nostrils. Like a film recorded along the physical spine of memory images of a present past of the

Calabrese Aspromonte roll on the mind and of the three little gypsy brothers that live on the Romanian mountains. Associations: a blossoming. I ask the lady with the rake in the lawn for the road. And in a small village I sharpen five knives and two instruments for horseshoe: 12 euros. Then, we remember we are motorcycle and pilot not coffee machine and corkscrew. And we aim for the west. At 9 pm I’m still in the plain near Toulouse. See you tomorrow dear Pyrenees. Now I look for a place in the plain, which I don’t like. But it’s all right. The important is not in the middle of corn. Gas and water. Pyrenees and fantasy. (page 72) I drink gas and get water. After a night near the corn. On the road. It’s a snake laying among the rocks. The valley that leads to the Pass to Spain, I mean, it’s a snake laying among the rocks. Cooling after the sunny and hot plain of Toulouse. The snake goes up in the strong and alive green of the Pyrenees. And I think of that thing of motion in search for quietness. And I think of fantasy, of imagination. And I think that this thing of fantasy has something to do with a reason of the journey, of the motion. Man is a rational animal, provided with reason, with intellect: a part of this, “passive”, receives the sensations, the datas, the signs of

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particular objects; a part, instead, “active” reelaborates them and acts starting from these datas, abstracts their universal representations. On the whole, the first part sees a table, the second one not a determined table but a rectangular shape, a color, a geometrical surface. So, there’s a third part: fantasy: this re elaborates freely the signs received creating fantastic images, dreams, it makes appear also what doesn’t exist. And this playful part of our mind is productive and it demonstrates that our intellect is not only a container of the “truth” but it also has the capability, indeed, to produce it. And I think that the journey is production of “truth”, it stimulates fantasy, it feeds the capability to produce it. And I think that this motion in search for quietness is fantastic. And I think that this is another reason for this thing of the journey. So the Pyrenees. Are gorgeous. Spain or glacier hands (page 76) “Bienvenidos a España” says the sign. Wellcome. Yes. I stop in the first small village that seems desirable. I stop in the first bar of the first small village that seems desirable and there are all the residents of the above-mentioned small village that are playing cards or chatting or both. And beer costs one euro. They are and we are covered in dust, the glacier hands are layers of travelled road.

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Excellent asphalt or the structure or the right place (page 77) An excellent asphalt runs between Sanguesa and Tafalla in the North of Spain. Smooth and black curves among the warm hills and the Meccanica can clear its throat. The direction is north-west. But in those parts the sky is black and tracked top to bottom with water trails. Moving according to the clouds. SW. So, motion is search for quietness. The journey that, being fantastic, is maker. Now, one step aside. We live in a system. And this system (churches, governments, economies and political organizations) tends to orientate, to shape the thought towards aims different from the individual’s freedom. It rather uses it to perpetuate its own functions. And to control the individuals to service such functions. On the whole, it shapes individuals to survive to. And to do so it requires meaningless lives. Question: which is the place left to fantasy in this structure? In the meanwhile we arrive in Precajo: the most isolated place indicated by the map. Plunged in the hills with no vegetation of the Rioja. Green color and stone houses. I place myself at the bar and I’m asked if I’m lost, what I’m doing here. I’m in the right place. To clean order (page 78) I find a good spot for the night: outside the

village, close to a fountain beneath the trees. I do my accounts on the small concrete table. And I sleep. In the morning I wake up. I wash my stuff. I tidy up my baggages and, as a consequence, the mind. A man comes by. “Buena suerte” He says no more. He turns. He goes. Luis. Somewhere in the North of Spain. (page 84) “A Catalpa” He breathes deeply. “From the Philippines”. Another deep breath. “And this an Indian chestnut tree”. The sound of the steps on the grass and Luis that points stretching his long fingers. “A cedar tree from Morocco... …Christ’s cross and Solomon’s temple are built with its wood... …it’s a hydrogen carbide… animals can’t eat it… …and it’s a spice. In Morocco...” He saws a piece. He makes me smell it. The memory of those dark wood boards in the Moroccan markets calls to mind. With the pyramids of pastel color spices. One next to the other. The smell calls to mind. The sense of smell is a weird sight. Memory. “This is a palm tree of the Canary islands”


“This is a Californian cypress”. He lights a cigarette. “And this...”. He inhales. “...this is the Love tree… Only the tree is left… this she has left...”. He inhales deeply. Luis tells me about his trees in the garden of the palace where he made himself keeper. Luis tells me about his trees in the garden of the palace where he lives alone. He speaks many languages and his own gets confused while talking. “Così things go”. Luis knows the wood because he works it, because (and while he speaks the noise of the hands that rubbing sound of splinters is heard): “...because once I’ve made something it can last for a long time and in this time another tree can grow. And this is the reason of my job, it’s one of the reasons of my job: to use the wood to make things that can last, can live, a lot of time and in this time they can grow, another tree can grow”. This is Luis. Then in the evening we have dinner together and we arrange to meet again once we’ll have changed. Inhabited (page 88) I leave Predajo where I haven’t sharpened hardly anything but I’ve met Luis. I reach the Spanish hinterland, which I find inhabited. I give up the white small road that leads to the small and that is in front of me. It’s the first time we go back. The Meccanica agrees. We’re

too heavy, few gas and few water. It’s definitely all inhabited. We continue towards SW looking for where to sleep. We don’t know where to sleep. The fire that heats the desires and lights the thoughts is rare goods. I know it well. The rest of the time is spent to remember it. A tear. The wind in the eyes. Today it’s damn cold. The day of “Today I worked a hell of a lot” (page 90) I stop in Muriel Viajo, small village first encountered when you can’t take anymore. “outside it’s damn cold… sleep in the asociación”. Dark night and thick dreams. The day I wake up laying on the ground in my sleeping bag blue dust on the red mat that Luca gave me. The room has wooden ceiling, four windows and two entrances. The floor white tiles. My stuff is scattered round here and outside it’s silence. I slept well. From the window on the square I see the motorcycle. I exit. It’s chilly. Ana and Alfredo offer me a big breakfast at their place. Then I place myself in the square. The first customer. It’s an ant’s nest word of mouth: muyeres in Panda Fiat, hombres with axes, niños with bicycles. And I work a hell of a lot. Like you wouldn’t believe it. Today I worked my ass off.

I eat a tortilla in Michel’s house covered in smoke. I arrange my stuff. Goodbye Muriel Viajo. I head to Burgos. Thanks people of the pueblo. Working a hell of a lot 2 or a matter of class (page 91) Also today I worked a hell of a lot. Like you wouldn’t believe it. “One euro a cucillo well sharpened”. Ladies chatting offer me coffee, they leave me the knives to be sharpened and buy potato peelers “Italian, muy bueno, stainless steel!”. Country hombres tell me enthusiastic of their hand crafts and in the meanwhile they bring me various blades and old knives. With the young guys we talk about journeys by bike and journeys in general. The kids instead, I hate them. On the whole, I’m impressed because this thing of the knife grinder is working. It’s narrative knot, it creates fabric. I like it. It’s factory. I like it. And, furthermore, I buy myself paella at the restaurant and gasoline 98 octanes for the Meccanica. A matter of class. Ps: it’s not true that I hate kids. Second ps: in the next two pages the two positions in which I worked a hell of a lot; yeah, right, no one can be seen but I couldn’t take pictures and work. You must trust, like in stories.

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I’m leaking oil. Petrol. (page 94) I’m leaking oil from the transmission. Petrol. Dense and dark word. In the afternoon I follow Textxu and his friend by bike. They bring me to see the black oil reservoir. Black. And I think over that thing of the system we live in and that shapes and requires meaningless lives. And I think of the natural adjustment to what we don’t want. And how this thing is cancellation of the understanding of yourself. And I think of the usual that absorbs and normalizes and to which time surrenders. And we die. And I think that I’m afraid of this death. And I think that I’m afraid that one day the search for sense ends. An upset corpse. And I think that this is a reason, together with the others, why I’m on the road. This time my personal reason. I say goodbye to Txetxu and his friend. And now I look for a place to sleep. The mechanic and the rag (page 95) I don’t like that the Meccanica cries oil on the road. I stop at the mechanic that fixes tractors. He seems to me the right person. The mechanic that fixes tractors takes a rag and he leaves me 85 oz of transmission oil and 80-90w gears oil. “What do I owe you?” “Ten euros”.

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Of course, it’s a rag but as a rag it has its charm. Ahead toward the Cantabria. Alteration (page 98) Without soul nor thought along roads that surround mountains, which plunge in desolated plains or through hidden valleys among rocky scarps. Molten. Landscapes are passed through like veils. Fantasy is grown following the road. And we reach the sea. A sensitive mechanics. The better alteration that I’ve ever tried. The sea 1 or night by the sea (page 99) And we arrive. At the sea, I mean. In Asturia. And we sleep there. The night by the sea is one of those nights in which you sneak into the sleeping bag and close your eyes. And you listen to the white noise that repeats itself. And you stay still with the head on the wine colored sweatshirt. And you listen. And you wish time would stop. And you listen. In the quietness that all you do and are, you feel and live will no longer be. And letting yourself go to the waves. And falling asleep. The sea 2 or morning by the sea (page 102) The morning by the sea you open your eyes

and in the folds of conscience the concrete memory of a dream. In the meanwhile outside it’s about to rain. Thoughtless you wear your clothes, take everything off the tent, fold the tent, arrange everything in bags, put the bags on the Meccanica, fix up the Meccanica for the forthcoming rain, fix yourself up. And it rains. You wear the rainproof overalls, check everything, check again and you are afraid the wet will prevent you from getting out of there. The Meccanica starts. You get out of there. And you’re on the road without coffee. The morning by the sea is one of those mornings in which you have ghosts as companions. You are with the soul reduced to a tangled up skein while the mechanical consort beats in the North of Spain. Green plastic forests or fava beans (page 103) Pine and oaks forests and then chestnut trees and oaks again. All stretches towards south while we try to get out from the rain. And the day goes by. From the road a village in the distance (on the left turning page). The same village in proximity (on the right turning page). And the tent in Rosalia’s garden. And a storm at night and it is one of those moments in which you’re satisfied because for once you’ve prepared everything for the rain and so you want to sleep peaceful with the water making noise on the green plastic.


It’s night. I wake up and I’m in San Emiliano, small village, home for today. I slept in Rosalia’s garden (on page 106 there’s Rosalia and on the right looking at the picture a lady can be seen, seated peeling fava beans and the lady who peels the fava beans will peel fava beans all day long). I sharpen her knives. She cooks for me the meal of the champion. I set the bike. And sharpen beautiful blades. 4000 km of small fishes (page 110) 4000 km. So far gone through the Alps and the Pyrenees, Po valley broths and sunny plains, desolated uplands and vineyard hills and again mountains and all sorts of vegetation. So far so good. So far slept on different seas and rivers, in the hills and in the mountains, hidden or in villages. So far so good. So far sharpened all sorts of blades of all sorts of small villages. So far so good. 4000 km grinded like coffee beans. A good smell. And it’s time to track with the fingers on the sand another reason for this thing of the journey, always related to the system we live in. And this time it has to do with some small fishes in the water. An anecdote inserted in Wallace’s speech at Kenyon College. So: two young fishes, swimming, meet an old fish who, greeting them, says: “Hi guys, how’s the water today?”. The two small fishes look at each other and one says to the other: “What

the hell is the water?”. So, the water is common thing. The point is that, just like fishes don’t see the water, we don’t see the common thing we’re plunged into. We are so immersed and naturally adjusted to the usual that we don’t realize it. So, this thing of the journey gives the possibility of a perspective. It gives the possibility to get out of the water in which we’re immersed. Of course, it must be clear, that to get out of it it’s not necessary to take a bike, to load it like a tractor and to randomly leave toward the west. No, the possibilities are many and it mustn’t be forgotten. And it mustn’t be forgotten. It’s necessary to know there are many possibilities, so that a choice can be made. Because choosing is important. Now, the Meccanica and I head to this thing of the microclimate that apparently guarantees cannonball sun after days of water. We’ll see. A night on the border and the boat to Portugal (page 116) Being one with the miles that stretch out before the wheel. A good place for the tent is found. The abandonment of the day terminates in this countryside for one night on the border. It’s night. I feel. And when I feel the brain sleeps. And I have the impression that the experience is to look for yourself without meeting. And

I think that the matter potentially contains those forms that intellect abstracts. The Meccanica is material and thus power in power. Outcome of a lot of work. And the Meccanica and what brought it to surface is dedicated to the shoulder, to goodear people. It’s day. We cross the border between Spain and Portugal. I’m tired and the long slides of the small boat on the liquid plains. Being one with the miles that stretch out before the wheel. A good place for the tent is found. The abandonment of the day terminates in this pasture for one night in Portugal. Speechless cows (page 117) This morning the cows woke me up. The cows where accompanied by a shepherd. And it has been marvelously useless telling each other the same story of “I’m a traveller, I come from Italy, I’m alone, I’m a knife grinder” and “I’m a local, I come from here, I’m casado and I’m a shepherd”. A handshake. A smile. And we understood each other. And so today, exactly like the shepherd, I’m speechless because there’s nothing to be said. A sickle month (page 120) I sharpen a sickle to the lady next door. I take the picture of here on the next page. And while the digital image is fixed, I think “I’ve been travelling for more than a month now”.

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And I thought that I have the sign of the helmet on the forehead. It’s imperceptible but I feel it. And it doesn’t go away. Like a callus. And for some mental association I thought that in Morocco those who do a lot of prayers have a sort of bump in the middle of the forehead. And it’s a callus. And they carry it around all proud of it. A matter of rhythm, which then I mean, is everything (page 122) A matter of rhythm. A matter for me fundamental. I say goodbye to the village of Ferral. I say goodbye to Luis’ son, Luis himself and Luis’ wife, who had me around for lunch and dinner and a shower and everything. And with the Meccanica we head south: mechanical partner set of parts like me; I’m not going anywhere without you, you’re not going anywhere without me. We cross an upland of acid pine land and then the smooth hills where the grape grows of Porto wine. But there’s no rhythm. Now I’d like to tell you one second about this thing of the rhythm. The rhythm in a journey, or at least for how I mean it, is when space and time don’t matter any more but, indeed, only the rhythm: or the red blood that pulses and of gasoline that blows up; to pulse and to blow up. The rhythm in a journey, or at least for how I mean it, is when you feel and you’re attentive and productive; you cross landscapes that remain impressed in you like cuts on the skin: you are part and all of it; and you take

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pictures and write because that’s what you do and are. The rhythm in a journey, or at least for how I mean it, is everything. And the rhythm comes and goes, apex and abyss. So, yesterday the rhythm skipped. And I know myself well enough and I know the rhythm well, too. And the good, the right thing of a tale made this way is that it is what it is, no fiction, rather fantasy but no fiction. And so it’s time to close, to reach the Ocean, to close this tale that is rhythm, it is presence and absence, it is full and empty, and it can’t and must not be something else. It’s time to close because it is a matter of survival. So, with the needed timing, we head south, we go to the western point of this Europe, which is then the stated destination from the beginning of the journey. Then, once there, we will take stock of the situation, I will declare the sense of this search for the sense, which wasn’t at all foreseen but which now exists. And the motorcycle and the motorcyclist will close the tale because the rhythm says so. And the rhythm in a journey, or at least for how I mean it, is everything. Murphy’s bed sheets and fox grape (page 125) Two nights in white bed sheets change the mood. In a residencial along the way I exchange night stay and dinner sharpening knives and axes and selling the by now legendary potato peelers. The morning after I have a name, “Gloria”, the village in which “Oliveira de Frades” and the street “Rua de Tourneirous”.

I ask a person. I ask someone. I ask many. I ask many many. And eventually I find her. Gloria, I mean, I find her (just like you’ll do turning page on the left). And with her Luis (just like you’ll do turning page on the right). And they host me in other beautiful and very good bed sheets. In the morning, the Meccanica and I leave towards south with a different mood, finding the time to fix on paper Murphy’s law applied to the motorcycle and sudden smell layers of fox grape. Ps: here is the unbreakable and stainless Murphy’s law applied to the motorcycle: if look for or put an object in one of the two lateral bags you’ll open the wrong one. If you kill or arrived (page 128) “if you kill a beaver you save a plant”. This the thought that comes to mind while you’re finishing the space journey. The thought you think when you get where you wanted to get. The thought you think when you concluded the distance in meters. Arrived. Shit. And I believed in a fucking illumination. Shit. “At a certain point if you kill a beaver you save a plant”. Well, at the end of the day it’s not so bad. This thought, the Meccanica and I escape the


tourists and the cross that populate this place. Finished the journey, now the tale needs to be concluded. Ps: it’s not true I believed in a fucking illumination. Things that have nothing to do with nothing or the sense or the finale (page 133) By the Ocean. Or better in front of the Ocean sitting on the sand with my legs crossed holding in my fingers a notebook confusion in a sunny day of this September. I close my eyes. And travel through again. I lie down. I open my eyes. And I think that nothing can translate exactly what someone feels. Many miles have gone by since the first ones and a lot of nights. And it’s time to close this tale, draw an underground line, a line on the sense; a line on the sense of this thing of the journey. It has been said, crossing the Pyrenees, that motion is search for quietness, that fantasy, as a playful part of our mind, produces truth and how this motion was fantastic and thus productive. Along the last asphalt in the North of Spain, then, it has been said that we live in a structure, in a system that requires meaningless lives to survive; it has been said of the natural adjustment to what we don’t want and of the death once the search is over. At the point on the doorstep of Portugal, at the stroke of 4000 km, it has been said about

the small fishes that living immersed in water don’t know what the hell this water is; it has been said of how easy it is not to see common things in which we are immersed. And it has been said of how this thing of the journey is a possibility for a view outside the water; a possibility among many. So, the sense of this tale is the tale itself. Attitude to a civil disobedience: telling: active politics in this system that requires meaningless lives. It’s the narration because it offers the perspective from outside the water in which we’re immersed and demonstrates the possibility to choose. Because choosing is important and the nonchoice is a choice, too. To choose is politics, is a right, and being able to choose is critical sensibility. And it should be the same structure to guarantee its citizens the instruments to be able to choose, to put people in the frame of mind of seeing things with their own eyes and, instead, abandon a logic of mule mentality, of imitation. It doesn’t do it. That’s why telling. That’s why telling stories is important. Bomb-like fantasy. To choose. And knowing you can choose because ignorance generates mind slavery. And know that freedom requires attention, awareness, discipline and commitment and, shit!, effort and the alternative is unawareness, the default mode. To choose because choosing is a right. And there’s no merit judgement in any of this:

personal time can be spent in the illusion that “welfare” is something that can be bought at the market; no problem, as long as it’s known. I’m saying, if only one reader has shared in an imaginative way for a moment this thing of the tale and has thought of something to do with fantasy, well, I made it and it’s all right. And it’s all right. Otherwise it would be just the tale of any knife grinder lost in the west. And so it is. Dedication (page 143) Dedicated to all those who are in search for something. Ps: the revolution, any kind of it, is an act of violence.

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Ringraziamenti Grazie a FuoriRotta senza cui questa cosa non avrebbe preso forma e, di conseguenza, grazie alle persone reali che danno contenuto al progetto: sono stato fortunato e sono felice molto d’aver incrociato tutti voi. Grazie a Montura per la fiducia e la possibilità pratica di stampare questo cosa; e anche per la pazienza visto che è circa un anno che prende forma. Grazie a Stefano Faoro, i ragazzi di Officina15 e Gioele Villani, Roulé, Eleonora Felisatti e a tutti coloro che mi hanno fornito competenza affinché questa cosa vivesse. Grazie a Greta per la fiducia e la bellezza. E grazie a te, Simone Falso, e alla famiglia splendida di cui fai parte: ci hai creduto, mi hai offerto spalla e casa e amicizia e insegnato cose e tutto. Simo, grazie. E ora una precisazione importante: questa cosa è collettiva: motocicletta e motociclista non potrebbero esistere se non vestissero una forma e questa forma è stata resa possibile da decine di persone nei modi più differenti; e vorrei questa cosa buona e magari bella perché è il modo mio di ringraziare tutti voi che nello specifico avete contribuito al viaggio. Spero in qualche modo di esserci riuscito. E ora una nota sentimentale: nel corso di un’esistenza si incrociano persone che segnano come lama la pelle e il vissuto; caratteri che rivestono un ruolo affinché un essere esista ed esista in un certo modo: genitori di sangue e acquisiti, fratelli e amiche, sorelle a amici, consorti e amanti, e relazioni le più varie. Ringrazio tutti voi. Di cuore. Se del buono c’è, il merito è soprattutto vostro. E infine, anche se appartieni al nutrito gruppo quassù, grazie fu L.: consorti di mille vite. La vita è un caos magmatico, un flusso indistinto di eventi e intrecci: un tessuto, una matassa. Vediamo cosa porta il vento.

M.

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Acknowledgments I would like to thank FuoriRotta. If it weren’t for this travel-promoting project, this thing would have never left the ground. So thank you to all those real people who put the project together: I got lucky and I’m really happy to have met you all. A big Thank You to Montura for their trust and the possibility they have given me to print this thing; I should add a special thanks for their patience since it took about a year to shape this enterprise. Stefano Faoro, the gang over at Officina 15 and Gioele Villani, Roulé, Eleonora Felisatti and everybody else who provided me with the skill to keep this thing alive – Thank you. Thanks Greta for your trust and your beauty. And Thank You Simone Falso and the wonderful family that you are a part of: you believed in me, you gave me your shoulder to lean on, you opened your home to me, you offered me friendship, you taught me things…everything. Thanks Simo. I need to make something important very clear right now. This thing is a group effort. The motorbike and its biker could have never existed if they hadn’t taken on some kind of form and this form was made possible by dozens of people in so many different ways. I would like this thing to be good, maybe even great because it would be my special way of thanking you all for having all contributed to this trip in your own manner. I hope that I have succeeded in this endeavour. And now, on a more sentimental note: in the course of our lifetime, we come across people who mark our skin and our lives like a blade – characters who take on a certain role as along as a being exists and lives out a certain kind of existence: biological parents, in-laws, brothers, sisters or friends, spouses or lovers and all the other relationships we can develop. I thank each and every one of you. With all my heart. If there is anything good in this work, most of the credit should go to you. Lastly, even if you are already part of this large group of individuals above, thank you late L.: consort of a thousand lives. Life is chaotic jumble, an indistinct flow of events and plots: a fabric, a tangle. Let’s see how the wind blows and what comes with it. M.

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E niente piĂš | And nothing more


Stampato in Italia nel mese di settembre 2017 Printed in Italy in the month of September 2017


Questa cosa è un racconto. Un tessuto. Un viaggio verso l’Oceano Atlantico affilando coltelli nei paesi piccoli a bordo di una motocicletta consorte. È la storia di un arrotino ed ha il sapore della polvere. Una ricerca mentre la strada corre veloce ad un palmo dai piedi. Un viaggio comunicato per dare un compito alla disattenzione nella consapevolezza che la rivoluzione, qualunque essa sia, è un atto di violenza. This thing is a story. A fabric. A journey towards the Atlantic Ocean sharpening knives along the way with a motorbike as a travel companion. This is the tale of a knife grinder and you can really taste the dust. A quest as the road unfolds step by step right in front of you. A journey that needs to be told and to occupy our distraction - fully aware of the fact that a revolution, any kind of revolution, is an act of violence.

Il viaggio necessità il superamento dei pregiudizi e della ristrettezza mentale. Portatore di civiltà e democrazia, la riflessione sul suo significato è oggi di cruciale importanza. FuoriRotta è un progetto di azione culturale sul diritto al viaggio che si compie attraverso un bando di finanziamento per giovani viaggiatori, decisi a spostare il loro sguardo verso nuovi orizzonti. The journey requires the surpassing of prejudices and small-mindedness. Bearer of civilization and democracy, a reflection on its meaning is now of crucial importance. FuoriRotta is a project of cultural action on the right to travel that is made through an offer of financing for young travellers who have decided to shift their gaze towards new horizons.

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