Sulle Ande con le scarpe bucate

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CULTURA E SOLIDARIETÀ

«Abbiamo aperto la porta della Caritá e non siamo piú stati capaci di chiuderla...»

oggetto : Donazione Casa Parrocchiale di Jangas - Perú

€ 20,00

Montura Editing è il laboratorio creativo e la “casa editrice” di Montura, il brand italiano leader nell'abbigliamento e nelle calzature per la montagna e per l'outdoor. Nel corso degli anni l'Azienda ha sviluppato un percorso di comunicazione originale, in linea con il motto “Searching a new way”:sostegno alla produzione cinematografica, letteraria e ad eventi culturali; contributo allo sviluppo di luoghi di valore; interventi di solidarietà.

Giancarlo Sardini

BANCA VALSABBINA Agenzia di Sarezzo ABI: 05116 CAB: 55220C/C n° 71062 intestato a: Associazione Don Bosco 3A CIN: X IBAN: IT31 X051 1655 2200 0000 0071 062 BIC/SWIFT: BCVAIT2VSAR CODICE SIA: A85G0

L'atmosfera della vita sulle Ande dettata dalla bellezza delle montagne e dagli umili pastori che vi abitano, ha mosso il cuore di alcuni alpinisti. Battistino Bonali fu uno tra coloro che si accorsero delle capacitá naturali e della prestanza fisica alle alte quote dei giovani peruani. Nel 1993 la tragedia occorsa a Bonali e Ducoli lungo la Via Casarotto, sulla parete nord del Huascaran Norte in Perú sembrava mettere fine a un sogno appena iniziato. Padre Ugo De Censi non si arrese e aiutato da amici e volontari diede inizio all'avventura dell'Andinismo Oratoriano, cercando di mantenere sempre il motto “salire in alto per aiutare chi sta in basso”. Nasce cosí l'idea della costruzione dei rifugi Andini e la scuola di guide “Don Bosco en los Andes” nella Cordillera Blanca in Perú, per poter regalare una speranza ai giovani locali. Questa storia di montagne e solidarietá realmente successa, è narrata seguendo un “filo invisibile”. Le avventure, i sogni e le impreviste rivelazioni rimangono celate tra i tesori di queste terre lontane. In questo libro l'Autore racconta il percorso umano e spirituale che ha ispirato i suoi passi verso le popolazioni campesine.

ANDE CON LE SCARPE BUCATE

Tutto il ricavato del LIBRO “Sulle Ande con le scarpe bucate” andrá a favore del progetto “Casa parrocchiale di Jangas”, un villaggio a 2860m sulle Ande Peruviane, dove dal 1979 operano i volontari dell'Operazione Mato Grosso con interventi caritativi, educativi e sanitari. Nella Missione di Jangas funziona una scuola bottega maschile, una cooperativa di falegnami con produzione di mobili, un Istituto Pedagogico femminile, un Oratorio “Don Bosco” con piú di 1000 bambini, un centro di smistamento dei container ed un piccolo presidio sanitario di prima emergenza. In defintiva Jangas funge da Campo Base per tutte le operazioni dei volontari OMG che operano nelle vallate di Huaylas e Conchucos. Da Jangas ogni giorno partono camion pieni di viveri, attrezzature, materiali, indumenti e quant'altro possa servire per le missioni dislocate nel vasto territorio altoandino. Tutte queste opere sono sostenute grazie al lavoro gratuito dei ragazzi dell'Operazione Mato Grosso e alle donazioni di generosi benefattori.

“SUL SENTIERO DELLA CARITÁ”

L'Operazione Mato Grosso nasce in Val Formazza (Verbania) nel 1967, da una feconda intuizione di Don Ugo de Censi. Un gruppo di giovani decide di andare in Brasile nello stato del Mato Grosso, a Poxoreo, per costruire una scuola. Tornati in Italia iniziano a formare gruppi per continuare ad organizzare nuove spedizioni sostenute con i loro lavori. Dopo oltre 50 anni, l'Operazione Mato Grosso mantiene ancora un profilo aconfessionale e di autonomia da vincoli istituzionali, fondando il proprio intervento sull'aspetto educativo e caritativo. Oggi l'OMG conta piú di 500 volontari e circa 100 missioni in America tra Bolivia, Perú, Brasile, Ecuador e USA, con interventi a favore dei poveri. In Italia sono nati piú di 200 gruppi che a vario titolo s'impegnano per sostenere le missioni.

SULLE

UN AIUTO CONCRETO PER LA POPOLAZIONE DELLE ANDE

Operazione Mato Grosso

Giancarlo Sardini AUTORE

ANDE

SULLE CON LE SCARPE BUCATE Giancarlo Sardini

Giancarlo Sardini è nato a Brescia nel 1964 e risiede a Bornato (BS). Da oltre 35 anni è membro dell'OMG. Ha vissuto per oltre 16 anni come volontario con la famiglia tra gli altipiani boliviani e peruviani. Nel 1997 in Perú ha avviato la formazione di giovani campesinos all'attivitá di Guide Andine, fondando dietro invito di Padre Ugo De Censi la “Escuela de Guias Don Bosco en los Andes” nel villaggio di Marcará, ai piedi della Cordillera Blanca. Collabora con riviste di alpinismo e case editrici ed é autore di mappe e guide di trekking. Ha collaborato alla realizzazione di vari documentari ed è tra gli italiani piú esperti delle Cordillere Andine, con innumerevoli spedizioni esplorative lungo l'intera catena. Gestisce il sito www.trekkingandini.net.

Valerio Gardoni COLLABORATORE NELLA STESURA DEL LIBRO

Valerio Gardoni è nato ad Orzinuovi (BS) nel 1958 ed oggi vive in un cascinale in riva al fiume Oglio. Giornalista, fotoreporter, guida fluviale, istruttore e formatore di canoa, alpinista, viaggia a piedi, in bicicletta, in canoa o kayak. Ha partecipato a molte spedizioni internazionali discendendo fiumi nei cinque continenti. La fotografia è il “suo” mezzo per cogliere la misteriosa essenza della vita. Collabora con Operazione Mato Grosso, Mountain Wilderness, Emergency, AAZ Zanskar.


ANDE

SULLE CON LE SCARPE BUCATE Giancarlo Sardini


Elenco dei rifugi “OMG” in Italia ed in Perù ITALIA: Rifugio Claudio e Bruno (2710 m) – Val Formazza (Verbania) Rifugio 3A (2960 m) – Val Formazza (Verbania) Rifugio Laeng (1760 m) – Val Camonica (Brescia) Rifugio Torsoleto (2390 m) – Val Camonica (Brescia) Rifugio Colombè (1710 m) – Val Camonica (Brescia) Rifugio degli Angeli (2916 m) – Valgrisanche (Aosta) Rifugio Piergiorgio Frassa (2542 m) – Val di Merdeux (Aosta) Rifugio delle Marmo e (2142 m) - Rhemes Notre Dame (Aosta) Rifugio Schiazzera (2079 m) – Val Saiento (Sondrio) Rifugio San Jorio (1980 m) – Valle Albano (Como) Rifugio Madonna della Neve (1595) - Val Biandino (Como) Rifugio Gherardi (1650 m) – Val Taleggio (Bergamo) Rifugio Canua (1520 m) – Lago di Como Baita Palmarusso (1596 m) – Zone (Brescia) PERU': Rifugio Ishinca (4350 m) – Cordillera Blanca – Pashpa/Collòn Rifugio Perù Pisco (4765 m) – Cordillera Blanca - Llanganuco Rifugio Don Bosco Huascaran (4650 m) – Cordillera Blanca - Musho Rifugio Contrahierba (4140 m) – Cordillera Blanca - Yanama Bivacco Giordano Longoni (5000 m) – Cordillera Blanca


Questa storia è un po'diversa dalle avventure tra vette vertiginose e aperture di nuove vie. Nasce in un contesto particolare, dove i nomi delle persone ed i contenuti delle iniziative hanno un significato che va al di lá di ció che appare raccontato in questo libro. Dedico questo libro alle mie figlie Marta e Marianna e a mia moglie Marina per avermi accompagnato, sostenuto, incoraggiato in tutti questi anni.


Indice 1

Sentiero OMG di Valerio Gardoni

2

Padre Ugo di Don Ambrogio Galbusera

11

3

Salire in alto per aiutare chi sta in basso

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6

di Adele e Giorgio Cemmi

4

Battistino Bonali, nel regno delle montagne immacolate

16

5

Perché ho fatto tutto questo

22

6

Racconti di vita

40

7

Ande, nel cuore del silenzio

48

8

Operazione Mato Grosso, un cammino per imparare ad amare

56

9

I rifugi della caritá

64

10

Andare in America Latina con una piccola barca, ecco l'Operazione Mato Grosso...

88

Il cuore del libro: cosa significa vivere ai piedi della Cordillera Blanca

98

Lascio la piccozza per alzare il calice al cielo di Padre Antonio Zava arelli (Topio)

146

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Eder delle Nevi di Quique Apolinario

152

14

Esplorando l'Akilpo

162

15

Un elicottero seduto sui ghiacciai del Pucaranra – Quebrada Minoyor

166

16

Alessandro Conti e la tragedia sul Huascaran Sur

172

17

Lettera di Padre Ugo a Beatrice sulla tragedia del Huascaran

186

Cordillera di Huayhuash in cerca dell'aereo perduto DOUGLAS DC 47

190

11 12

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ANDE

SULLE CON LE SCARPE BUCATE

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Traversando le Cordilleras con i ragazzi del Perù di Franco Michieli

200

20 Il passaggio del testimone di Valerio Bertoglio

210

21

213

Una via per Celso Salvetti sul nevado Copa Perú

22 Il segreto delle torri Yarowilca

218

23 El camino de piedra

226

24 Pionieri del Huaczeycopunta, una via dedicata a Eder Sabino

234

25 Verso los nevados Pucajirka, un viaggio ai confini remoti della Cordillera Blanca

240

26 Expé Perú Patagonia 2006

248

27 Correndo verso il cielo

260

28 Nevado Puntacuerno. Esplorando l'ultimo 6000 della Cordillera Blanca

272

29 Alle sorgenti del Rio Marañon - Rio delle Amazzoni

276

30 Verso la Cordillera Huaguruncho

282

31

Sul vulcano piú alto del mondo: Ojos de Salado 6920m(Cile)

288

32 Lucio Foliman nel crepaccio infernale

294

33 Nanga Parbat 8126m, il sogno dell'invernale

300

34 Un riconoscimento meritato per Cesar Rosales

304

Alcune lettere di Padre Ugo che hanno guidato questa avventura tra Ande e campesinos

306

Ringraziamenti

314

Carta dei rifugi della Cordillera Blanca

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a cura di Montura Maps


Sentiero OMG Introduzione di Valerio Gardoni

Padre Ugo lo conobbi una sera in Valtellina, una serata uggiosa degli anni '90, l'invito diceva: “Padre Ugo De Censi parla agli alpinis ”. Andai all'appuntamento con alcuni amici, tra cui un “certo Giancarlo”, al casello dell'autostrada di Rovato, per comprimerci tu in una macchina e risparmiar benzina. Sul fondo dell'auditorium della valle la sagoma inconfondibile di padre Ugo in un grande spazio che sarebbe stato sin troppo grande anche per una intera compagnia teatrale, ma quell'uomo magro, dai movimen flessuosi e gen li, capelli bianchi tenu fermi da una candida papalina fa a a mano, un occhio semichiuso che gli donava una smorfia beffarda sul viso, occupava quel grande spazio solo con la sua presenza. Quel corpo quasi sofferente emanava un'energia dirompente su quel palcoscenico, una forza vitale di tale intensità che poteva affascinare ancor prima di sen re le sue parole. La sala era gremita da gente con giacche a vento e maglioni mul colori. Visi bruni dal riverbero del sole sulla neve dei ghiacciai e polvere di dolomia so o le unghie, abitua a spremere acido la co sui pendii, consumare pelli so o gli sci e smerigliare le punte delle piccozze sul ghiaccio, poco avvezzi a star sedu in una sala dall'aria finta. Erano accorsi in tan per ascoltare le parole di quel prete, controcorrente, tornato dalle Ande nella sua Valtellina per parlare dei “poveri”. Poveri e povertà, in questa e nelle altre valli alpine nostrane, erano parole esorcizzate dall'arrivo dirompente della modernità, delle sciovie e delle code la domenica. Chiuse in un casse o con le foto ingiallite dei bisnonni ves da solda . Altri tempi che quassù nessuno voleva più ruminare dal dopoguerra. Altra era geologica quella del padre Ugo 6


1 bambino a far fieno sulle gobbe dei mon col papà. La parole di padre Ugo si riversarono nella sala come da una diga aperta, per rovesciarsi nelle nostre coscienze falsamente ignare delle sor delle gen a sud del Mondo e costringendo i nostri animi a me ersi in ginocchio. Tra gli alpinis il silenzio era totale, l'a enzione rapita da quella voce inconfondibile che parlava ai cuori, parole che urtarono con impeto contro la mia fede inesistente. Le parole di padre Ugo non divennero predica da pulpito, ma la parabola di un uomo giusto, leale, portatore di quella carità caricata nello zaino con cui si era incamminato, tan anni prima, verso i vol delle gen povere sulle montagne più belle del Mondo: le Ande dov'è tracciato da decenni il “sen ero OMG”. In quello zaino una semplice mappa segnava il cammino e seguiva un unico segnavia: vuoi unir alla nostra cordata, sporca le mani e lavorare nella gratuità per i più poveri. Alla fine ci aspe avamo una di quelle frasi ad effe o, un sipario teatrale, invece il padre imbracciò la fisarmonica e intonò un canto ai più sconosciuto, a cui fecero eco i suoi ragazzi in sala. Emozione che sulle note divenne commozione. Gli occhi di mol alpinis si fecero rossi, come quando spremuta la fa ca del corpo si respira l'aria fina della ve a e vidi i gomi nei maglioni colora asciugarsi gli occhi. Fu quella la prima volta che conobbi padre Ugo e iniziò la mia indissolubile amicizia con Giancarlo. In qualche modo, quella sera e quelle parole, posero un segnavia sul sen ero della mia vita. Ma l'Operazione Mato Grosso, quella l'avevo conosciuta qualche anno prima, sulle Ande! Avevo già sfogato più volte la mia esuberante voglia d'avventura nei selvaggi panorami dell'America La na, un'ansia crescente, complice i vent'anni e la perenne voglia di viaggiare per “mondi eso ci”, lontani. Incoscientemente, e rapito dall'entusiasmo, trasformavo nella mia mente quei luoghi in una sorta di Disneyland per le mie egois che avventure. La prima volta che calpestai la bella terra d'Ecuador fu nell'estate del '95. Ricordo che avevo organizzato con cura l'i nerario, dividendo il tempo di permanenza in quell'incantevole Paese la no americano fra visite, salite dei vulcani, imponen coni coper dal ghiaccio, che ora dormono accarezza dalle nuvole, ma quando s'arrabbiano fanno tremare la terra o si scatenano in apocali che eruzioni e la discesa di due fiumi che corrono impetuosi sui pendii andini per perdersi nell'intricata foresta amazzonica. Prima dell'organizzata partenza venne a trovarmi una madre per chiedermi se potevo portare delle le ere e del cioccolato alla figlia Lore a che da anni era par ta da Barbariga, un paese della Bassa, per salire sulle Ande ad aiutare la gente povera di quelle valli lontane. Avrei dovuto “rubare del tempo prezioso” alla ro a del mio i nerario, 7


ma come si fa a dir di “no” ad una madre. Arrivato in terra d'Ecuador raggiunsi il piccolo villaggio di Zumbahua perso nel vento della Ande, in un ma no pulito con il cono ghiacciato del vulcano che sembrava uno strappo nel cielo blu. Da una mol tudine di bimbi con le ves dai mille colori vidi una ragazza esile, ma decisa, venire verso di me, mi strinse la mano e dopo un a mo avevo nel pia o quello che lassù mangiano in una se mana; mi parlò dei poveri, dei ragazzi dell'Operazione Mato Grosso. Mi parlò del suo cammino fra quei visi, della fa ca del portare la gerla della povertà. Le sue parole sferzarono il mio cuore come il vento gelido delle Ande aveva sferzato il mio viso sulle ve e. Le consegnai le le ere e quel poco di calore della madre per riscaldare il suo cuore. Ma non me la sen i di ripar re, ge ai nel vento i proge d'avventura e rimasi mescolandomi con i colori e i sorrisi dei suoi bimbi. C'era la festa di fine anno scolas co. Sul piazzale giocavano bambine che provenivano dai villaggi circostan , anime di una povertà disarmante, occhi senza speranza che avrebbero dovuto lo are per vivere; nella missione avevano trovato una casa, una porta aperta dove poter studiare, apprendere un lavoro, “giocare” o semplicemente una vita migliore. Lassù i bimbi non giocano, si fa ca sin dalla tenera età; nelle case ci sono gli a rezzi per i grandi e quelli per i piccoli, si lavora sodo nei campi che sembrano sospesi nel vuoto sulle dorsali dei mon , pascolando i pochi armen . Poi la sera con la legna sulla schiena ro a, tu anche i bimbi, si ritorna a casa, davan al focolare a mescolare nella ciotola mezza vuota minestra e miseria. Ebbi così l'occasione di sedermi fra loro, di scendere dal treno sempre in corsa della nostra società, fermarmi, guardare, ascoltare. Per la prima volta nella mia vita entravo nelle fotografie, quelle che una volta ritornato a casa mostravo con orgoglio agli amici o proie avo nelle sale nell'applauso dei convenu. Ma le fotografie non hanno il colore, l'odore, il dolore della povertà. Lassù fra quelle splendide montagne trovai amici preziosi: i ragazzi dell'OMG, basta guardarli nel fare per capire la forza che anima il loro cuore. Il loro lavoro non ha sosta dall'alba al tramonto, in silenzio, con umiltà, stanno regalando la loro vita, il loro futuro, senza chiedere nulla in cambio. Forse questo è il vero volto della carità. Un esercito della bontà che ha seguito il sen ero tracciato da Padre Ugo De Censi, a quell'uomo d'infinita bellezza interiore, di incredibile forza nel cuore, di san tà aperta e solare che conobbi anni dopo. Il denaro per sostenere il tu o lo ricavano in Italia col lavoro, sono i ragazzi con le mani “sporche” che bussano umilmente alle nostre ricche porte e vuotano solai e can ne da vecchia carta e ferro. Rifiu di una opulenta società, speranza per una povera società. Passai i giorni del viaggio fra i sorrisi e i colori dei bimbi, cercando di aiutare come potevo. Ci furono momen intensi, una vera grande avventura interiore. Sono convinto che il 8


SULLE

ANDE CON LE SCARPE BUCATE -1

vero coraggio, la vera forza non è quella di salire alla cima di grandi montagne o scendere in canoa per fiumi impetuosi, il vero coraggio e quello che portano nel cuore i ragazzi del OMG che stanno ipotecando il loro futuro per regalare un sorriso, una speranza. Tu o passa, tu o va, il tempo rincorre il tempo, anche se a volte vorres fermarlo, scendere per far tue per sempre le emozioni che stai vivendo. Quell'estate, l'ul mo giorno, fui incaricato di distribuire una mela ad ogni bambina che ritornava al villaggio per le vacanze. Una ad una con il loro fardello colorato sulle spalle passarono a ri rare la mela, a salutare. Domandai ad una di loro quanto cammino aveva prima del calore del focolare di casa: “qua ro o cinque ore” – rispose. Rimasi sbigo to, come poteva quella piccola camminare per ore con una mela? La sua piccola mano aprì una tasca per mostrarmi un sacche o: c'era il riso accantonato durante le cene della se mana trascorsa, poi la stessa mano si avvicinò al mio viso sfiorandomi con una carezza, poi un bacio – “Gracias por todo, que te vaya bien por toda tu vida” – disse. La vidi scomparire fra i mon , nel vento. Consapevolezza è un termine che non ha sinonimi, non è nascosta in qualche paradiso fi zio, non è una conquista, una fortunata mano a carte con la sorte, nemmeno un qualcosa di materiale che vai a cercare. È, probabilmente, uno stato d'animo, la presa di coscienza di aver incrociato qualcosa di buono, di u le per l'anima. Se di animo e non di tasche che ince ricchezza. La consapevolezza costringe a fare il punto della salita verso la ve a della vita, un bivacco dove stendere la mappa dei sen eri e decidere quale è meglio seguire, senza darsi pena per la fa ca, zaino pesante o rimpian per l'osare incosciente di lasciare la certezza per l'incertezza, senza pensarci poi molto. La consapevolezza che sul “sen ero OMG” ci fosse una buona cordata è stata certezza sin dal primo incontro, fa a di quei ragazzi che controcorrente hanno deciso di “sporcarsi le mani”, camminando in salita. Ci fu in quegli anni una scambio epistolare, inaspe ato e commovente, con Padre Ugo, è parte di quelle emozioni che entrano a far parte delle risorse interiori, u li, se non indispensabili, per la ricchezza dell'anima. Se di sporcarsi le mani si tra ava, di me ersi in gioco, di donare del tempo: i campi di lavoro sono una “palestra”. Su quei furgoni ansiman e affanna , tra carta, ferro, vetro, e poi motoseghe e legna, chitarre serali che non finivano mai, si è cementata l'amicizia con Giancarlo. Così una sera d'inizio autunno, stufa già accesa e pasta in bollore, ci siamo ritrova intorno ad un tavolo con Giancarlo, padre Topio, Marina. Diaposi ve, fotografie da mescolare a musica ed emozioni per raccontare di un nuovo proge o: la costruzione del rifugio al Huascaràn, che seguiva la scuola di Andinismo a cui Giancarlo, Marina, Marta e Marianna dedicheranno anni della loro vita. Una serie 9


infinita di serate ci portarono, alla stregua di una compagnia teatrale, per le sale, teatri, oratori. Cantastorie dei poveri delle Ande! Che parlavano ai ricchi con la “pretesa”, non solo d'essere ascolta , ma di raccogliere denaro sufficiente all'impresa. Un anno in cui raccoglierò l'affe o prezioso e l'amicizia di mol ragazzi dell'OMG, in una sorta di “trappola morale” da cui non è facile liberarsi. Alla fine una decisione, neanche molto sofferta: avrei lasciato il lavoro, che a quel tempo faceva 20 anni esa , per seguire il “proge o Huascaràn”, la scusa. La realtà era il desiderio di raggiungere Giancarlo e Marina per condividere un piccolo segmento del “sen ero OMG”. Nonostante la realtà cruda e disarmante della povertà vissuta da vicino, saranno i mesi più intensi e sereni della mia vita, non per le ve e oltre le nuvole e i polmoni ansiman , il lavoro e il tempo da regalare a visi sconosciu , ma per un'alchimia di felicità determinata da un insieme di emozioni irreperibili e introvabili al di fuori del cammino sul “sen ero OMG”. Il resto della storia è nel libro che Giancarlo ha, per buona sorte, deciso di scrivere e di raccontarci.

Perú - gruppo dei primi ragazzi agli inizi della Escuela de Guias Don Bosco en los Andes

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2 Padre Ugo Testo di Don Ambrogio Galbusera

Padre Ugo De Censi, salesiano valtellinese è nato a Polaggia di Berbenno (So) il 26 gennaio del 1924. È morto a Lima il 2 dicembre del 2018, a 94 anni. Ha trascorso oltre quarant'anni della sua vita in Perù. In Italia ha vissuto vent'anni al Centro salesiano di Arese con ragazzi in difficoltà. Vivendo con loro, ha iniziato l'Operazione Mato Grosso, un movimento educa vo giovanile che dalla commozione verso i poveri, dopo un cammino di cinquant'anni, è arrivato a far decidere la vita dei giovani scomme endola sulla Carità nella ricerca di Dio come senso della vita. Dalla prima spedizione del '67 a Poxoreo nel Mato Grosso ora si è passa a circa 100 spedizioni in Brasile, Bolivia, Ecuador e Perù con oltre 600 volontari permanen in terra di missione: sacerdo , famiglie, giovani e adul . Padre Ugo è stato un uomo eccezionale, con do di natura par colari: estroso, sognatore, entusiasta ed o mista; intelligenza acuta, memoria viva, musico, pi ore ma sopra u o Educatore. Salesiano, vero figlio di don Bosco. Sapeva leggere nell'anima. Guardava negli occhi e intuiva il desiderio del cuore perché sapeva ascoltare. L'incontro con lui era indimen cabile. Ti segnava dentro. Ha voluto bene a tan giovani e a tante persone. Tu si sen vano da lui predile perché faceva sen re il bene a ciascuno in par colare. 11


Il suo cuore palpitante come quello di suo Padre don Bosco, ha cercato solo con passione la salvezza dei suoi ragazzi, italiani e la no americani. Per lui non contavano le opere fa e a favore dei poveri ma lo Spirito che dava una direzione alla vita: il dare via gra s. E lo faceva vedere vivendo. Dava l'esempio. È stato sulla breccia fino all'ul mo! Non ha inventato l'Operazione Mato Grosso (OMG) a tavolino. È andato dietro alla vita dei ragazzi, ai loro desideri buoni. Aveva una grandissima fiducia nei ragazzi. Tanto che diceva: "Non sono io che ho fa o. Tu e le cose le hanno fa e i ragazzi". In un discorso a Lima, davan al presidente della Repubblica, davan alle autorità e davan a tu a la gente aveva de o: "La mia vita il Perù, la mia patria l'Italia, il mio cuore i ragazzi". Padre Ugo è rimasto un ragazzo scanzonato, amante della vita e innamorato della Verità: su Dio e sull'uomo non si dicono bugie! Dalla Carità a Dio, dal buio al Vangelo, dal sacrificio alla gioia, dalla verità alla bontà... Vivendo sulle Ande e poi a Lima, è stato la guida in questo cammino che vuole andare contro la corrente del mondo per arrivare a Dio. Aveva alcune convinzioni feroci: il mondo va male; si usa troppo il cervello, poco il cuore; la superbia è l'egoismo dell'uomo; vivere ges religiosi concre (la teologia del corpo); regalare; fare la Carità fino a perdere. Padre Ugo era amante della montagna. Le sue radici sono state la Valtellina Da giovane passava le esta nei pascoli di Caldenno so o i Corni Brucia e il monte Disgrazia. Ha scelto Chacas come parrocchia (a piú 3000 metri di altezza), un villaggio sulle Ande Peruviane, ai piedi di grandi montagne Andine innevate, propio perchè gli parlavano delle sue montagne. In Italia ha frequentato la Val Formazza. Ha conosciuto la gente della Valle, le cime, i rifugi... Ha camminato con i ragazzi di Arese per anni lungo tu i sen eri della vallata. Gli hanno conferito la ci adananza Formazzina come segno dell'amore che lui ha avuto per la gente e per la valle. Nei primi anni dell'Operazione Mato Grosso insieme ai ragazzi, ha costruito il Rifugio Claudio e Bruno ed ha messo le fondamenta anche del rifugio 3 A . Ha lasciato scri o nel libro del Rifugio: " Ogni cliente che passa può essere un futuro OMG"

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Padre Ugo iniziatore e anima dell'Operazione Mato Grosso Padre Ugo dipinge uno dei suoi quadri

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Salire in alto per aiutare chi sta in basso Aprile 1996: cosi descrivevano Giorgio e Adele Cemmi l'inizio di quest'avventura sulle Ande

Un tempo i ragazzi della Cordillera Blanca, nelle Ande peruviane, assistevano passivamente all'andirivieni degli andinis nord-americani ed europei, che rappresentavano per loro dei modelli inavvicinabili e che non sempre, a dire la veritá, si dimostravano a en all'ambiente umano e alla cultura locale. Qualche anno fa per la prima volta alcuni di loro, invoglia da Padre Ugo, parroco di Chacas, un paesino sperduto sulle Ande, sono sali sul Pisco (5752 metri), la piú abbordabile delle cime, dalla quale si gode uno spe acolo impareggiabile sul cuore della piú alta regione andina. Nel 1990, guida da Ba s no Bonali di Bienno (BS), uno dei piú prome en alpinis del momento, e da altri amici italiani, i ragazzi di Chacas e di Jangas – circa una sessan na – sono ritorna su quella montagna, scambiandosi fra loro, a turno, le a rezzature prese in pres to, ma con l'entusiasmo di chi, “scoprendo” il proprio mondo, comincia a prenderne piena coscienza e ad appropriarsene. Pochi giorni dopo in ven cinque sono sali sul Huascaran Norte (6665 metri): i primi giovani del posto, i primi “poveri”, a me ere piede sulla Regina della Cordillera Blanca, ad ammirare dall'alto, con meraviglia, le loro valli, i loro campi, i loro paesi. La discesa con gli sci di Ba s no é stata seguita con stupore e ammirazione ed ha suggellato un'amicizia con i luoghi e con i ragazzi della Cordillera. Ba s no nei mesi successivi era giunto ad occupare un posto di rilievo nella considerazione alpinis ca internazionale, grazie alla stupenda salita senza ossigeno lungo la Great Coloir del versante Nord dell'Everest, ma non aveva perduto la sua dimensione umana e la sua sensibilitá di osservatore semplice e generoso degli ambien che frequenta14


3 va. Tre anni dopo il primo incontro aveva voluto tornare in Perú. Egli voleva tentare la grande impresa della prima ripe zine della Via Casaro o sulla Nord del Huascaran e, nel contempo, far conoscere ad altri amici della valle Camonica, che lo accompagnavano, le realtá di quelle terre andine, della gente che ci vive e dei volontari italiani che lavorano, impegna in tan se ori, ma sopra u o nell'opera di dare educazione e prospe ve concrete ai ragazzi piú poveri. Proprio per collaborare a ques inten il mo o della spedizione era stato “salire in alto per aiutare chi sta in basso” e tu o il ricavato delle iniza ve promozionali era stato devoluto per quelle finalitá. La scalata alla nord é stata seguita con grande partecipazione da parte dei ragazzi della Cordillera, e la morte in parete di Ba s no e Giandomenico ha toccato gli animi non solo di tu i loro amici in Italia, ma anche di tu i peruviani che dei due scalatori avevano conosciuto la bontá, la semplicitá, lo slancio e ne avevano ammirato il coraggio. L'idea di costruire un Rifugio ai piedi delle montagne piú emblema che della zona per ricordare “Ba ” e “Giando” va scri a a merito dei giovani ci Chacas e puó finalmente concre zzarsi ora che il Governo del Perú ed il suo Presidente hanno dato il via ad un programma teso a realizzare alcune infrastru ure basilari per accogliere e razionalizzare il crescente flusso turis co ed alpinis co verso la regione. É significa vo ed estremanente incoraggiante il fa o che la costruzione e le ges one del rifugio siano state affidate dal Governo del Perú proprio ai giovani locali. Fra anto cen naia di ragazzi dell'Oratorio delle Ande hanno chiesto di partecipare ai primi corsi della scuola di Andinismo, organizzata dalla parrocchia di Chacas con l'ausilio delle poche guide professioniste locali: probabilmente la prima esperienza di questo genere in tu o il Sud America. La scuola nasce dal mo o “Le Ande agli Andini” e vuole offrire ai ragazzi del posto delle opportunitá di lavoro per il futuro. Possibilitá basate sulle conoscenze tecniche necessarie per essere partecipi dire e responsabili di un'a vitá spor va molto pra cata su quelle montagne meravigliose. La Cordillera Blanca, infa , con le sue valli misteriose e la miriade di cime scin llan , puó ancora dare tan ssimo agli appassiona di alpinismo, sopra u o se frequentata, conosciuta ed apprezzata nel contesto dell'ambiente umano che la circonda.

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Battistino Bonali, nel regno delle montagne immacolate

Descrivere l'animo di Ba s no Bonali é come entrare in un'anima religiosissima a sua insaputa. Un uomo umile e modesto, nonostante fosse un grande scalatore. Portava con sé quel gagliarde o ricamato da Alice, sua moglie quando scaló la ve a dell'Everest. Un segnale fuori dalle ro e comuni, un modo che mi ha subito colpito: non salgo in ve a alle montagne per me stesso, ma per tu i giovani che non credono, che non sperano, che non cercano un senso alla vita; vado per chi mi ama. Tradurre l'andare in montagna per Ba s no é come tentare di entrare nella sua anima, nel suo cuore avvol nella nebbia, dove il respiro si fa affannoso, dove il vento gela le ossa e dove la vita sen che sfugge, se prima non ringrazi DIO. Ma allora voi direte, cosa cercava Ba s no scalando le montagne: forse cercava la solitudine, o forse cercava di scappare dalle corse di questo tempo, oppure gli dava fas dio la velocitá, la comoditá. Cosa cercava Ba s no scalando le montgane o scendendo con gli sci dalle pare strapiomban delle Alpi e delle Ande? Cosa cercava lassú, dove riposano gli Dei? Come interpretava la montagna: solo ebbrezza, sfida della vita, vie nuove da tracciare, scalate mozzafiato, discese ver ginose con gli sci; ma tu o questo cosa comportava per lui, cosa cercava negli angoli piú recondi delle nevi eterne? Lo spirito per lui non era un pensiero filosofico, umiliava la sua razionalitá con il sacrificio e la fa ca, cercando di abbassarsi nel suo modo di spiegarsi e di trasme ere i suoi desideri e le sue emozioni, come i semplici di un tempo che non capivano, ma credevano. Ba s no si é inginocchiato per ringraziare DIO, anche se sull'Everest, come quando nella sua vita c'era nebbia e non si vedeva nulla. Quando raggiunse l'EVEREST, comunicó ad Oreste Forno, che era al campo base, che 16


4 sulla ve a non vedeva nulla. C'era solo nebbia e molto freddo; era rammaricato, ma non per questo si diede per vinto, tolse dal suo zaine o il gagliarde o con la scri a GRAZIE DIO e si mise in ginocchio, mentre Leopold Solonsky gli sca ava quella fotografia che é diventata un'icona della nostra vita, sia per i giovani Italiani che Peruviani. Ba s no, che si riteneva un ragazzo normale, senza una ricerca profonda, sulla ve a dell'Everest aveva voluto lasciare un segno indelebile nel mondo degli scalatori: non un discorso, non uno slogan sulla PACE o sulla FRATELLANZA, tantomeno un ringraziamento ad uno sponsor par colare, ma un ringraziamento al SIGNORE che ha creato la vita. Si era fidato portandosi dietro quel gagliarde o (Grazie Dio) preparato da ALICE: era come volesse salutarla da lassú, lei che gli aveva regalato quel pensiero cosí sublime. Sí questo messaggio tanto semplice, quanto vero, mi fece capire quanto Ba s no avesse un'anima religiosa, pura e leale, con tu . Ringraziare DIO oltre ogni razionale dubbio. Dire GRAZIE non é tanto comune nel mondo degli scalatori; si preferisce dire: CE L'HO FATTA, SONO STATO FORTE, HO AVUTO FORTUNA, MI ERO PREPARATO, SONO STATO VELOCE, HO CAPITO CHE POTEVO ANDARE. Ma raramente nell'ambiente degli scalatori e esploratori ci si accosta a DIO; si cerca sempre di far prevalere le do umane, le capacitá tecniche, le goliardie e le virtú di chi ha superato un ostacolo, un passaggio difficile, oppure ha aperto una via nuova o scalato un'O omila. Tu o si riduce all'aspe o umano, alle proprie forze e capacitá, come tu o dipendesse da noi stessi. Per la spedizione del 1993 Ba s no fece stampare delle cartoline, che poi vendute hanno sovvenzionato la costruzione dell'Ospedale Mama Ashu di Chacas in Perú. Le cartoline portavano questo bellissimo mo o: “Salire in Alto per aiutare chi sta in Basso” La diffcile e infida parete nord dell'Huascaran nord, lungo quei 1600 metri di roccia quasi ver cale che dal ghiacciaio portano alla cappa di neve e ghiaccio della ve a, a 6655 metri di altezza. Ad oggi sono sta vin una sola volta. L'artefice della prima salita, l'unica che si conosca, su questa parete del colosso della Cordillera Blanca, in Perù, fu il vicen no Renato Casaro o. La sua scalata solitaria richiese ben 17 giorni di arrampicata nell'ormai lontano giugno del 1977. Par con 40 chilogrammi di materiale sulle spalle verso la base della perete. Alla fine arrivò in ve a. La sua linea, che si sviluppa vicino al crinale orientale della montagna, è ancor oggi nota come "via Casaro o" ed è considerata una prova durissima per ogni alpinista. Quando Casaro o aprì la via aveva 29 anni ed era nel periodo clou della sue a vità sulle Ande. Solo due anni prima aveva aperto, con Agos no Da Polenza, una via nuova sulla ver ginosa parete sud del Nevado Huan17


doy, 6164 metri, che sorge proprio di fronte al Huascaran. Nell'agosto del 1993 ci riprovarono i camuni Ba s no Bonali e Gian Domenico Ducoli, ma la scalata finì in tragedia. Doveva essere in quell'estate del '93 un'impresa solidale, dedicata non solo alle scalate, ma anche alla visita dei luoghi dove i volontari dell'Operazione Mato Grasso sono in prima lienae per aiutare le popolazioni andine. Il gruppo, capeggiato da Ba s no, comprendeva sua moglie Alice e gli amici Giovanni Blanche , Giorgio Cemmi, Gian Domenico Ducoli, Felice Giacomelli, Siro Faus noni, Aldo Moscardi, Willi Pedersoli, Virginio Ragazzoli, Giacomo Rizieri, Stefano Ronchi, Romano Scalvinoni ed Helène e Roman Zalesky. Il tenta vo in programma era la ripe zione della via Casaro o al Huascaran Norte. Durante il tenta vo lungo l'insidiosa Via Casaro o, Ba s no e Giandomenico cadranno tragicamente lungo la parete, l'8 agosto 1993. Questo mo o é rimasto il filo indelebile di un'avventura epica che si é sviluppata negli anni tra le montagne Italiane e Peruviane È grazie ad alcuni ragazzi convin , che l'Operazione Mato Grosso negli anni '90 ha dato vita ad un modo di interpretare la montagna non solo come fine ludico e ricrea vo, ma come aspe o sociale, educa vo e carita vo. Una vera rivoluzione nel modo di concepire la ve a, l'esplorazione o l'apertura di vie nuove. Non solo una sfida spor va e tecnica. Il Salesiano Don Ugo De Censi (1924-2018) e l'OMG hanno lanciato una vera avventura unama che varca i confini delle montagne, dalle Alpi, fino alle Ande, passando per l'Himalaya. Cosí ogni momento in cui si viene a conta o con i ragazzi dell'OMG che ges scono i rifugi in Italia o in Perú si respira un'aria diversa, piú fresca e spontanea, con il desiderio non di far risaltare le do fisiche o tecniche di chi ama la scalata, l'arrampicata o l’esplorazione. Si cerca di entrare in questo mondo fa o di montanari, invitandoli ad aprire gli occhi sulla povertá che spezza i cuori e apre la mente su un tema tanto “dimen cato” e “lontano” dalla nostra vita frene ca. Si parte dalla convinzione che questo mondo non va bene, che bisogna cambiare ro a, che dobbiamo conver rci. In un mondo dove conta chi fa strada, chi vale, chi è primo, dove conta chi corre piú degli altri ed é piú furbo e sveglio, il gruppo dell'Operazione Mato Grosso ha preso la ro a dell'aiuto ai piú poveri e indigen . In questo mondo dove anche le montagne sono dei “tabú intoccabili”, dove ció che conta é aver aperto una via nuova, aver superato un ostacolo su una via difficilissima o aver raggiunto la ve a del monte Everest, i ragazzi dell'OMG stanno cercando da anni di tra18


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sme ere un messaggio che va oltre le avventure, le montagne ed i poveri. Mi piace ricordare la canzone “LI RITROVEREMO VIVI”, scri a da Don Daniele Badiali in ricordo di Ba s no e Giandomenico, canzone che gli avevo chiesto di comporre per il campo di lavoro al Torsoleto negli anni 1994-1995-1996-1997 quando migliaia di ragazzi da tu a Italia vennero in Val di Scala (Valle Camonica nel Comune di Paisco Loveno) per aiutare nella costruzione di quello che oggi é il Rifugio Torsoleto (2390 mt.) La sfida lanciata ai ragazzi era fare tu i traspor a spalle: cemento, legname, ma oni, sabbia, ferri, finestre, porte, piastrelle...tu o a spalle, percorrendo tre/qua ro ore di sen ero su e giú lavorando sodo.

LA MIA VITA PER DIRTI CHE, LI RITROVEREMO VIVI LI RITROVEREMO VIVI SÍ LASSÚ OLTRE IL HUASCARÁN LASSÚ LASSÚ OH CARO GESÚ PUOI SCALARE L'EVEREST MA COSTA DI PIÚ ANDAR CONTRO LA CORRENTE LAVORANDO TU 1995 - ritornello della canzone: "LI RITROVEREMO VIVI" scritta e musicata da Don Daniele Badiali per il campo di lavoro OMG durante la costruzione del Rifugio Torsoleto

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Parete Nord del Huascaran dove Renato Casarotto ha aperto una via in solitaria nel 1977

Huascaran con il tracciato della via sulla parete Nord segnato da Renato Casarotto

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La placca collocata al monumento LOS CAIDOS proprio di fronte alla parete NORD del Huascaran Norte

Battistino Bonali sull'everest nel 1991

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Perché ho fatto tutto questo

Inizio a scrivere ques pensieri, dopo che vari amici e persone care mi hanno piú volte suggerito di raccontare la nostra vita tra giovani, montagne e avventure al limite dell'immaginazione. Non ho mai scri o un libro e non mi sono mai sen to ada o a farlo, cercheró di me ere su un foglio i mie pensieri, perché non siano preda della polvere del tempo. Ques scri sono il fru o di un vita che ci ha portato a camminare tra le Alpi e le Ande Peruviane; mai avrei pensato di scrivere libri o raccon : mi sento incapace e poco ada o a fare queste cose; ho sempre il more di sbagliare, di fare male, di scrivere fesserie o cose poco serie, non ho grandi ambizioni, né tantomeno il desiderio di fare un'opera d'arte le eraria. Mi spinge l'invito arrivatomi da piú par : dagli amici che mi conoscono e che hanno conosciuto la nostra vita, che con nuano ad incoraggiarmi: perché non scrivi un libro, perché non fai un libro di fotografie, perché non raccon la vostra storia. Sempre mi son de o: cosa ho da raccontare io ? Forse ho piú da imprarare, che da dire. Ritengo che i miei sforzi sono sta modes , e che avrei potuto fare meglio, sopra u o se avessi dato piú spazio alla saggezza piu osto che farmi condurre dall'is nto. Fin da piccolo mio papá Gianni (il suo vero nome era Santo ma tu lo chiamavano Gianni) mi portava in montagna e mi faceva recitare le preghiere, cercava di avvicinarmi alla natura silente per parlarmi di un SIGNORE che ha creato la terra, il mare e le montagne, i fiori, le stelle, gli uomini e gli animali. Durante i nostri viaggi in macchina quasi sempre mi faceva pregare con il rosario in mano e rela ve litanie in la no. A mio 22


5 padre piaceva la preghiera silente, recitando il rosario da solo e andare per boschi e per funghi. Penso che lo facesse per allontanarsi dal rumore assordante nel quale siamo costre a vivere ogni giorno; anche sui sen eri di montagna piú volte l'avevo visto camminare con il rosario tra le mani; io portavo lo zaine o con dentro qualche cosa da mangiare, un pó di salame e del pane, una borraccia e la fru a. Lui, tra le mani scavate dal tempo e dalla fa ca di essere cresciuto durante la seconda guerra mondiale, dove le bombe, le rappresaglie e le trado e, passavano davan alla cascina di campagna dove i miei nonni vivevano circonda da pra col va . Con la piccola stalla occupata dalle mucche, poi l'orzo e il granoturco messo come deposito nei granai. Lui che fin da piccolo aveva aiutato i par giani, andando sul treno (Brescia – Edolo) portando ve ovaglie nascoste nelle valigie in Valle Camonica fino al paesino di Cimbergo. Era nato senza vedere suo padre, morto appena prima che nascesse, trovava la forza di vivere e di sorridere alla vita nella fedele preghiera, quella semplice, pulita, sincera e umile fa a dallo scandito sgranare del rosario, ora dopo ora, istante dopo istante, giorno dopo giorno. Non perdeva un momento per recitare il santo rosario, sgranandolo anche nove volte al giorno. In sintesi potrei dire; fede e fiducia nel Signore, sopra ogni ragionevole dubbio, speranza di cammniare nel bene, essere pazien , servili e docili. Ecco cosa mi ha insegnato mio padre: saper perdere e perdonare i tor ricevu . Fin da ragazzino mi ha portato sui sen eri che conducono al Pizzo Camino, lui c'era andato da giovane, su é giú per Schilpario prima a piedi e poi con gli sci; mi insegnó a sciare. Per tan anni il mio caldo nido nelle vacanze é stato Schilpario, un paesino incastonato alla fine della val di Scalve, proprio dove iniziava la vecchia mula era che porta al passo del Vivione, un paese che ancora oggi racconta il vissuto di miniatori e falegnami. Tra la Val di Scalve e la Val Camonica, mio padre mi ha trasmesso il richiamo a vivere e ad essere concreto, sempre in ogni circostanza mi sussurrava “non servono tante chiacchiere per fare del bene, bisogna solo me ersi e farlo” Sono cresciuto con nel cuore la ricerca di un senso alla vita che va oltre lo studio per un posto di lavoro in carriera, sogni di un casse o che non mi appar ene. Non potevo che inciampare nell'Operazione Mato Grosso, io che avevo in testa due figure importan : quella di Gandhi - “sono un umile cercatore della veritá” - e quella di Che Guevara: “la revolucion, hasta la victoria siempre!”. Due forme contrapposte di andare controcorrente, che muovevano i miei pensieri e il mio modo di agire. Sen vo che dovevo cercare qualche cosa di forte per la mia vita, ma non incontravo la strada; poi l'OMG di Padre Ugo De Censi mi ha fa o innamorare. Un cammino per andare contro la logica del mondo, fa o di scelte, di passi, di incontri con persone che hanno deciso di spendere la propria vita tra i poveri e piú indigen nelle periferie del mondo. Intuii che 23


questo era la mia strada, la via giusta da percorrere, il cammino piú concreto, senza tan fronzoli, senza tante parole: bisognava rimboccarsi le maniche, lavorare, sporcarsi le mani e i piedi, fare fa ca, regalare tempo e soldi ai poveri, aiutare chi aveva bisogno in terre dimen cate dal nostro mondo occidentale. Ho sempre cercato di interpretare la montagna come qualche cosa che potesse dare una risposta alle tante domande che i giovani di oggi sempre piú spaesa si trovano ad affrontare da soli, una solitudine che a volte disorienta e ra rista. Piú tardi ho sognato sulle Ande una prospe va di lavoro e di istruzione buona per i giovani pastori della Sierra, i figli dei campesinos che abitano ai piedi delle belle montagne, dove vedono passare mol turis ves con abi strani e con a rezzature d'avanguardia che li fanno sembrare piú degli extraterrestri che dei visitatori curiosi. Piú volte mi sono chiesto come si diventa un alpinista d'alta quota e come si trasme e questa passione ai ragazzi, figli dei pastori (campesinos) delle Ande. Quanto tempo ci vuole per far crescere un pastorello, accompagnarlo nell'adolescenza, farlo diventare uomo e poi Guida Andina; quan anni densi di pazienza, sacrificio, sudore, lavoro costante e perseverante, tenendo duro nonostante le fa che e gli smacchi educa vi; anche quando sembra che non si vedano i risulta , ecco che spunta qualche segnale di speranza, de ato dalla fiducia nei ragazzi stessi. Sí, siamo ancora in cammino, quanto tempo durerá questa impresa utopica iniziata quasi per caso piú di vent'anni fa, quando decisi di trasferirmi con la mia famiglia in Perú ai piedi della stupenda Cordillera Blanca. Sono par to con la mia famiglia nel 1997; con mia moglie Marina e le mie figliole Marta di 3 anni e Marianna di 1 anno, non per affrontare una spedizione andinis ca, ma per una missione umanitaria costruita sul sacrificio e la rinuncia, piú che sulla mera avventura. Una missione che ha assorbito gli anni piú belli della nostra esistenza ai piedi della Cordillera Blanca. Non avevamo un proge o ben delineato, ci siamo lascia trasportare da un cammino inaspe ato che ci ha tenu imprigiona alle Ande per tan , indimen cabili, intensi e bellissimi anni. Ero perito informa co, avevo lavorato per una catena di negozi installando e costruendo su misura programmi agli inizi dell'era tecnologica, dove tu o doveva essere sviluppato su misura e dove raramente si trovavano programmi preconfeziona (non esisteva ancora internet). Dal 1990 al 1996 avevo avviato con altri amici una coopera va, la Cerro Torre, di inserimento lavora vo per ragazzi che uscivano dalla dipendenza della droga e dovevano transitare nel mondo del lavoro; era una specie di passaggio veicolato dove i ragazzi lavoravano nel verde, nelle piazzole ecologiche, nella raccolta porta a porta per alcuni anni e poi li imme avamo nel mondo libero del lavoro in completa autosufficienza. Qualche ragazzo ahimé moriva, prima di raggiungere il mondo del lavoro in piena libertá; alcuni li ho vis 24


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spegnersi poco a poco mangia da quel virus letale che chiamiamo aids. Non nego il sen mento di sconfi a e rassegnazione che vivevo, vedendo ques ragazzi spegnersi lentamente per colpa di un buco nelle vene andato male, per aver preso per errore la via della droga come fuga da tu o, ingoia dal mondo incantato dello sballo. Per me in coopera va si apriva un futuro denso di emozioni, ma queste ambizioni non erano cosi alle an come la vita che sognavo in missione a favore dei giovani e dei poveri. Cosi siamo par dopo vari scambi di le ere tra noi e padre Ugo De Censi, che ci chiedeva di lasciare le nostre sicurezze, il nostro lavoro, i nostri affe , stravolgere i nostri piani per andare a dare una mano in Perú. Nelle le ere affiorava sempre piú chiaro che la via che avremmo dovuto affrontare sulle Ande, non era solo sporcasi le mani al servizio dei poveri, ma era un cammino di ricerca a volte velato e a volte piú evidente. Questa ricerca costante é stata il dictat nelle nostre scelte di vita, dietro le intuizioni geniali e a volte azzardate di Padre Ugo. Mi verrebbe da dire fiducia o forse ubbidienza, ma temo di ridurre questa spiegazione a delle semplici frasi scri e su un foglio di carta. Ho sempre paura nel descrivere ques pensieri, perché non vorrei correre il rischio di sminuirli ed essere frainteso. La ricerca con nua della veritá, da parte di Padre Ugo, nasce dal suo animo inquieto, di un uomo in una costante e instancabile ricerca della veritá. Anche a noi piú volte ha aperto gli occhi sul mondo che ci circonda, con moni for e incalzan so olineature: “ Carissimo, da conto della confusione e dei pericoli gravissimi del mondo a uale, la velocitá (tu o subito), la comoditá (non sudare e fare fa ca), l'informazione (sapere tu o di tu – internet), la globailtá (soldi e carriera), se non te ne dai ancora conto, considera nel fumo intossicato e nella nebbia fi a, considera perso. In un mondo tu o razionale e matema co, per i giovani d'oggi non ci sará piú nessuna prova che DIO esiste, se non quella che puoi dare tu regalando la tua vita; incomincia ora, subito prima che l'orologio della vita si fermi. Nel lavorare e sudare per aiutare la povera gente si prova la gioia che appar ene a DIO che ci ha regalato tu o. L'egoismo é una pianta violenta che invade l'anima e le chiude la vista al cielo, la povertá di mol viene dall'egoismo di pochi, bastano pochi e decisi a far fiorire la speranza; solo i coraggiosi indicano la meta: DIO – Il Paradiso é un sogno fino a quando vivi sulla terra, perché vuoi garan rtelo se non sai ringraziare DIO della vita che hai ? A enzione, siamo travol da un'onda violenta di ateismo: “non c'e nessun DIO, sono solo chiacchiere!” A enzione, questo mondo della scienza e dei soldi, non salverá nulla di ció che abbiamo di piú caro, 25


non salverá nulla degli ideali piú sacri, ne bontá, né gratuitá, né caritá, né silenzio, né lavoro manuale, né sudore, né amicizia...vorrei far capire ai miei superiori il terribile vento e gelo ateo che sta avvolgendo tu o. MI FA PAURA ! “Ma cosa gridi a fare ? fai solo rumore, piú confusione ancora...MA QUESTO RUMORE C'É SEMPRE STATO, di che meravigli ? hai paura ? perché te la prendi ? é sempre stato cosi al mondo...Questo di gridare contro DIO, questo eliminarlo a suon di risate e formule matema che e geofisiche é INSOPPORTABILE ! Non me la devo prendere ? Ma perché fai tante parole e fai tan ragionamen su DIO...perché arrovelli il cervello su DIO, se c'é, se non c'é ... É PERCHÉ IL RIFIUTO DI DIO É DENTRO DI ME e se sento parlare di DIO in un certo modo (per esempio a parole) mi viene da urlare in faccia a chi ne parla: SMETTILA BUFFONE ! Vorrei far sen re ai Vescovi, ai pre , al mio don la domanda che mi faccio: il Padrone DIO dov'é ? C'é ancora ? é qualcosa di serio domandarsi se DIO c'é o no ? Cosa capicono e cosa soffrono i nostri superiori ? Chi ascolta il gelo, l'assenza, il buio, il non senso che io provo ? Con la testa s amo arrivando sempre piú a negare DIO...la testa nega DIO, il diavolo nega DIO, il progresso e la superbia dell'uomo negano DIO... Abbiamo solo il corpo per lodare DIO, per parlare di DIO, parlo di DIO con il regalo dell'amore, parlo di DIO con la bontá, parlo di DIO a DIO con il corpo , parlo di DIO con ges quo diani di Caritá “ Vostro Padre Ugo De Censi L'inzio di questa avventura tra Ande e campesinos é stata veramente rocambolesca. Quando sono arrivato a Marcarà ai piedi della Cordillera Blanca, mi sono chiesto cosa potevo fare per ques ragazzi “figli di campesinos”. I primi anni mi sono limitato a camminare sui sen eri con loro, a bivaccare dove capitava, a condividere pane e patate, riso e fagioli, a dormire in tende “arraba ate” alla bell'e meglio, scambiandoci sacchi a pelo e zaini carichi di ve ovaglie. Ero arrivato in Perù da poco tempo ed il mese di giugno del 1997 ero già arrivato in ve a al nevado Ishinca (5560m) con Aldo Moscardi, Giorgio Cemmi e altri amici scalatori, venu a trovarmi dalla Val Camonica, ricordando un'amicizia consacrata sulle orme di Ba s no Bonali e Giandomenico Ducoli. Ricordo che la scalata fu rocambolesca, perché andammo al campo base Ishinca (4350m) con una sola tenda; io non avevo nemmeno il sacco a pelo e nemmeno i 26


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ramponi e gli scarponi da ghiaccio. Passai la no e nella tenda senza fondo del nostro conducente muli: Clemente Chinchay di Pashpa, che ci aveva portato le ve ovaglie con i suoi asini. Avevo freddo, coperto a mala pena da una coperta e come materasso il drappo dell'asino.Clemente era un campesinos delle Ande, abituato a stringere i den per la dura vita in alta quota. Andava sempre con i sandali fabbrica con i vecchi copertoni delle macchine, i suoi piedi erano scava dal fango, le sue mani segnate dai calli e il suo viso scolpito dalle rughe. Non so che etá avesse e nemmeno se sapesse leggere e scrivere. Parlava a mala pena il castellano, preferiva esprimersi in quechua (il diale o locale). Il suo lavoro era il pastore di pecore, ogni tanto si trasformava in arriero (conducente muli), cosi si guadagnava da vivere. Un pó di pastorizia, e un pó il conducente muli. Fino a quel tempo non c'erano tante spedizioni che entravano nella valle Ishinca. Durante la no e, in una gro a, il nipote di Clemente Chinchay aveva trovato riparo, senza coperta e senza giacca a vento; ricordo che Aldo gli diede il suo pile, perché potesse ripararsi dal gelido freddo della no e. Questa scena, e la no e passata all'addiaccio tra coperte e la ruvida terra del campo base Ishinca, mi mossero il cuore, pensando a come avrei potuto aiutare queste persone in futuro. Forse mi venne quella no e l'ispirazione quasi inconscia, senza un'idea precisa di me ermi a formare i giovani pastori campesinos come Guide di montagna. Prima di dormire ci accordammo per l'ora di inizio della scalata; nessuno di noi conosceva né la traccia né tantomeno il percorso. Al ma no mi svegliai, infreddolito, ma desideroso di scalare il nevado Ishinca. Quando arrivai ai piedi del ghiacciaio, dove c'era una “derapata”, pensai: “Come faccio a salire con le scarpe da ginnas ca!” Subito Aldo e Giorgio mi prestarono un paio di ramponi e li legai alle mie scarpe in qualche maniera, riuscii cosí a superare quel pendio molto erto e davan a me si aprí il grande ghiacciaio da a raversare per raggiungere la ve a del nevado Ishinca. Camminavo sul ghiacciaio, in cordata con gli amici, mi muovevo bene, avevo solo un po' di more perché ero reduce da un incidente gravissimo a rischio della vita per aver respirato il monossido di carbonio. Io e Marina eravamo sta costre a rinviare di un anno la partenza per il Perú a causa del decorso ospedaliero che mi aveva visto comba ere contro la nebbia dell'oblio e i ricordi di una vita cancella nel mio cervello dal monossido di carbonio. Il monossido é una sostanza inodore, che, se respirata a lungo, puó avere conseguenze letali al cervello, ammesso e concesso che ci si salvi. Marina, mi aveva trovato nel bagno di casa ormai moribondo e con l'ambulanza mi 27


avevano trasportato d'urgenza all'ospedale, prima a Iseo poi a Brescia; quando arrivai mi blindarono nella camera iperbarica per piú di 4 ore. Avendo un fisico eccezionale, sono riuscito a risalire la china, ma per un a mo si era pensato al peggio. L'anno successivo, il 1997, par mmo dall'Italia alla volta del Perù. Il medico che mi seguiva e che mi aveva curato mi raccomandò di prestare a enzione e di non superare i 4500 metri di altezza. Cosí per me arrivare sulla ve a del nevado Ishinca fu come aver raggiunto il mio EVEREST. Suonava come la quiete dopo la tempesta. Quell'incidente e l'anno vissuto tra ospedali e mare, tra cure mediche e visite specialis che pesavano come una zavorra sulla mia vita. Sono sempre stato caparbio, perseverante, deciso, avventuroso, ma qui voleva dire superare uno scoglio, una montagna per rifarmi una vita. Non fu facile ricominciare, non fu facile acce are questa zavorra fisica con la quale ancora oggi debbo fare i con tra perdite di memoria e sbalzi di umore. Ho voluto ba ezzare la mia vita sulle Ande, raggiungendo il nevado Ishinca (come se fosse l'EVEREST) con le scarpe da ginnas ca, i ramponi lega alla carlona e sopra u o tanta voglia di risca o. Non mi sono mai sen to uno scalatore, un arrampicatore, un esploratore; mi sono sempre visto come un ragazzo desideroso di aiutare i giovani e i poveri. Ho assaporato nella montagna una possibilità di risca o per alcuni giovani campesinos della sierra e ho messo al servizio le mie capacità per inventare quella che poi sarebbe diventata la scuola di “Guide Don Bosco en los Andes e infine l'Associazione Don Bosco 6000”. L'anno successivo, giá stavamo iniziando la costruzione del Rifugio Ishinca. Mi reco al ri ro spirituale che ogni anno Padre Ugo de ava agli alunni delle nostre scuole ed ai volontari in una missione inerpicata sulle montagne a circa 3000 metri: il posto scelto era Tomanga. Da Marcará, dove vivevamo, sino a Tomanga ci vogliono 8 ore di viaggio su strade non asfaltate, piene di buche e tortuose, con qualche pericolo, valicando un passo a piú di 4800m su un minibus, con i ragazzi del primo anno dell'ISPEC di Shilla (Is tuto Pedagogico per Professori di Religione) che avevamo iniziato da poco. Arriva a Tomanga dopo un viaggio di circa 8 ore, verso le 22 entrai in cucina per bere un the; c'erano Marta e Armando Zappa una coppia di volontari OMG; subito dopo arrivó Padre Ugo, si sede e di fronte a me e mi disse: “tu cosa ci fai qui ?” Gli risposi: “sono venuto a fare il ri ro con i ragazzi dell'ISPEC di Shilla”. Padre Ugo mi rispose “tu devi scendere subito, andare a Huaraz a ricevere i miei amici di 28


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Sondrio – Valtellina, che arrivano dall'Italia per scalare; li ospiterai a Marcará”; io risposi, “va bene Padre, li ospiteremo nelle nostre case; tu scrivimi una le era di accompagnamento”. Cosi, senza esitare, in pochi minu , par i a piedi al buio con due ragazzi, da Tomanga verso Yanama: avevo paura di essere morso dai cani, che nella no e brancolano nelle periferie dei villaggi, mi sen vo più sicuro con i ragazzi al mio fianco. Arrivammo a Yanama verso mezzano e speranzosi di trovare un mezzo per raggiungere Huaraz, ma nulla: non c'era nessun pullmino. Da lontano vidi delle luci che si avvicinavano: era un piccolo combi (pullmino) con a bordo dei ragazzi che facevano capolinea a Yanama. Subito chiesi all'au sta di portarmi a Huaraz: non voleva, era stanco; lo implorai e gli promisi una doppia ricompensa rispe o alla tariffa normale. Acce ó: salii sul pullimo e par mmo ro a Portacielo di Llanganuco, Yungay e Huaraz. Tu o l'i nerario era nel mezzo della Cordillera Blanca. Riuscii a stare sveglio fino verso la fine dei tornan dopo il passo andino di Portacielo; il valico che divide la valle del Conchucos da quella del Callejon de Huaylas, poi sono caduto in un sonno profondo, che duró un istante, perché poco dopo anche l'au sta si addormentó e il pullmino uscí di strada, e rimase sospeso barcollando nel vuoto! Venni svegliato di soprassalto: era buio, ma sen vo che il pullmino dondolava nel vuoto; subito capii che bisognava bilanciare il tu o nella parte che toccava terra; andai dietro il pullmino, cercando di fare leva, l'au sta fece del suo meglio per me ere dei sassi grossi per bilanciare, poi con una corda assicurai il pullmino a un albero. Guardai l'ora erano le 4,15 del ma no, pensavo, non arriveró mai a Huaraz. Poi, dai tornan che scendono da Portacielo, vidi delle luci: aspe ai, sperando in un mezzo in direzione Huaraz. Appena le luci diventarono piú ni de, decisi di me ermi in mezzo alla strada, per fermare il mezzo. Piú si avvicinava e piú la speranza di arrivare in tempo a Huaraz si faceva reale. Fermai il pullmino, lasciai il mezzo barcollante assicurato alla pianta, pagai e salutai il mio au sta. Ripar i speranzoso di arrivare in tempo a Huaraz. Erano le 4,40. Secondo i mei calcoli avrei dovuto arrivare in tempo, ma erano calcoli senza l'oste, se succedeva un altro inconveniente ero fri o e gli amici Valtellinesi di Padre Ugo si sarebbero trova in mezzo alla giungla di Huaraz senza sapere cosa fare e dove andare. Con nuavo a guardare l'orologio: superiamo Yungay, Carhuaz, Marcará, Jangas e finalmete alle 6,15 arriviamo a Huaraz. Il tempo di entrare in ci á e siamo al terminal dei Bus della Movil Tours. Me o i piedi a terra, ed ecco che da un bus iniziano a scendere degli italiani. Chiedo “gruppo Scherini della Valtellina ? ” Mi rispondono “sí siamo in 22 persone”. Ignari di tu o, mi chiedono dove possono me ere i bagagli. Mi incontro con Gavino, un Italiano pensionato volontario, che era sceso da Shilla per raggiungermi. Sul pullmino 29


della Parrocchia me amo i bagagli e par amo, ro a Marcará, dove c'erano mol ragazzi oratoriani che par vano per il campo della costruzione del Rifugio Ishinca. Speravo di trovare i locali giá vuo con i le sfa : nessuno sapeva del nostro arrivo. Ma la nostra forza di volontá era disposta a superare ogni ostacolo, così riuscii ad ada are in poco tempo i locali per accogliere il gruppo Scherini Arriva a Marcará, scaricammo i bagagli nel piazzale della ex-officina meccanica. Lasciai il gruppo Scherini a rilassarsi tra il piazzale e il refe orio, mentre i ragazzi oratoriani scendevano dal dormitorio e salivano sui camion dire a Pashpa, per salire al campo costruzione del Rifugio Ishinca, dove c'era Diego Belo ad aspe arli. Diego era venuto in Perú per aiutarci nella costruzione del Rifugio Ishinca e lui uomo di montagna, gran lavoratore e o mo muratore, aveva risposto alla chiamata con coraggio e generositá. Ci volle un'ora di tempo; riuscimmo a sistemare il dormitorio e pulire la camerata, me erla in ordine e arieggiarne gli ambien . Il giorno seguente, da Chacas, Padre Ugo De Censi mi mandó 8 giovani oratoriani come “cargadores” a fare da supporto alla spedizione della Valtellina. Tra ques ragazzi c'erano Amador, Anselmo, Eleasar Blas, Hector, Felipe, Jaime e Akino. Li accolsi in casa, senza un proge o specifico, con l'unica intenzione di farli lavorare d'estate come “cargadores”, iniziando con il gruppo di turis venu dalla Valtellina e cosí potersi guadagnare un pó di denari che avrebbero aiutato le loro famiglie. Era una prima esperienza di vita in montagna a conta o con turis stranieri. I ragazzi “cargadores” erano morosi, non sapevano cosa li aspe ava, non avevano fino ad allora avuto un conta o dire o con degli scalatori; erano semplici e umili pastori (campesinos), scesi dalle loro valli per andare in ci à: avevano lasciato armen e una vita povera per venire a cercare un futuro migliore. Ricordo quando mi chiesero midamente: ma noi dobbiamo andare con gli zaini lassú sul ghiaccio, a fare che cosa ? Sul ghiaccio le mucche non mangiano, le pecore muoiono; ques ghiacciai hanno fa o disastri tremendi, scendono valanghe pericolose e i nostri nonni ci hanno sempre de o che le montagne sono sacre; lassú ci sono gli Apu, le divinitá Inca legate alla terra "pachamama" e al sole, quindi vanno rispe ate. Cosa ci andiamo a fare lassú, andiamo a risvegliare gli Apu? Era una domanda che mi spiazzava, perché racchiudeva l'iden tá di un popolo an co cresciuto al cospe o di queste ve e da sogno, rispe andone il profilo sacro e ancestrale verso la dimora dei loro Apu, le montagne. Non immaginavo di trovare una tradizione cosi viva e allo stesso tempo arcaica, cosí lontana dal nostro conce o di montagna, ma allo stesso tempo questa le ura “divina” mi interrogava e mi diede lo spunto per rifle ere molto. Quei ragazzi erano semplici pastori 30


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della Sierra, ma ricchi di una iden tà profonda, che noi fa chiamo ancora oggi a capire fino in fondo. Una dignitá rispe osa della natura, perché la natura é ancora un dono di Dio. Non la faccio io la natura, mi viene regalata, cosí come la nascita di un figlio, non lo faccio io il bambino ma mi viene donato dal Signore. Senza accorgermi, mi stavo infilando in un sen ero fa o di fango e fa ca, di sterchi di mucca e sacrifici, di spine e dolore, di crepacci e insicurezze, di pare da superare, di insidie da risolvere, di speranza, di imprevis e coraggio, di rinunce, di disorientamento e fede, di ebbrezza e avventura. Ero accanto a ques campesinos che mi aiutavano a leggere la natura con gli occhi ancestrali di chi ha macinato tanta polvere so o le suole dei calzari, con il morso della fame sempre in agguato. I nostri ragazzi dovevano par re per fare i “cargadores” alla spedizione di Sondrio. Non avendo a rezzature di alpinismo, cercai velocemente di farmi un minimo di magazzino raccogliendo qua e là i materiali lascia dalle spedizioni Ande '90 e Huascaran '93 di Ba s no Bonali. Tu o materiale usato e deperito con due dita di polvere, ma per iniziare andava benissimo. Nel cercare i materiali, frugando negli angoli della parrocchia prefabbricata di Marcará, dove da anni viveva Padre Elio Giacomelli SdB (un modulo abita vo donato dal governo tedesco al tempo del terremoto di Yungay, che causò la valanga di ghiaccio e fango che nel 1971 distrusse per intero la ci adina di Yungay con un bilancio di 25.000 mor ; una vera e propria catastrofe) trovai varie cose interessan . Padre Elio aveva deciso di ricavarci i locali parrocchiali in quella costruzione d'emergenza, poi a distanza di anni l'emergenza era finita, ma il suo prefabbricato resisteva alle insidie del tempo, come a ricordare una tragedia passata, ma mai superata. Tra l'intercapedine del solaio e il te o, trovai una tenda “sumitomo” arancio, ancora quasi completa, poi in un pacco ben incelofanato trovai una targa in bronzo, con la scri a ”Club Alpino Italiano Gli amici di Ba s no Bonali e Giandomenico Ducoli – parete nord Huascaran 08-08-1993”. La filosofia di Ba s no Bonali con quel “salire in alto per aiutare chi sta in basso” rimarrá negli anni il filo condu ore nella formazione delle nostre giovani guide andine e si consacrerá per sempre come la chiave di le ura di questo nuovo se ore OMG dell'andinismo. Ricordo che mi chiesi come mai questo ricordo era finito tra le intercapedini del te o, chi l'avesse lasciato lí e perché. Passato qualche tempo, ne parlai in casa a Marcará e subito Mauro Rebaioli, amico di Ba s no Bonali e amico nostro, che era ospite da noi, mi domandó dove avremmo potuto collocare quella targa. Lo informai che esisteva un “mo31


numento de Los Caidos”, tra le due lagune di Llanganuco, proprio di fronte alla parete nord dell'Huascaran, una sorta di monumento ere o a ricordo della spedizione cecoslovacca del 1971 che venne travolta dalla valanga distaccatasi dal Huascaran Nord e che distrusse tu a la ci adina di Yuangay. C'erano anche altre lapidi di altri scalatori cadu sulle Ande; i loro amici avevano a accato le lapidi con dei chiodi da roccia conficca e cementa . Salimmo di prima ma na con Mauro Rebaioli, Valerio Gardoni e altri amici per collocare la lapide al suo posto. Ricordo che era una bella giornata, faceva ancora freddo; il sole arriva tardi nella valle di Llanganuco, la “quebrada” é stre a e i raggi di sole fa cano a toccare terra. Salimmo con la lapide per alcune cen naia di metri, fino al monumento Los Caidos. Con un trapano a ba eria conficcammo dei chiodi da roccia e del cemento rapido e la sistemammo. La lapide era bene in vista, proprio di fronte alla parete Nord dell'Huascaran. Poco dopo arrivarono i primi raggi di sole a illuminare il quadro di bronzo che avevamo incastonato nella parete. Ricordo che recitai una preghiera spontanea, de ata dall'affe o per Ba s no e Giandomenico. Ricordavo le sue parole scri e sul monte Sossino che mi porto sempre nel cuore. Parole bellissime che ripercorrono in parte anche la nostra vita, intrecciata con quella di Ba s no. Ripercorrendo la corda della vita, tu cerchiamo di stare in equilibrio, tu desideriamo una corda d'oro, un filo che puó dare un senso a questa vita che ci sfugge. Essere lí al monumento Los Caidos, a orniato dal ricordo delle persone care, dalle ve e imponen e superbe della Cordigliera Bianca, era come recitare un salmo tra nuvole e stelle. Fu un momento di grazia, di pace e di le zia inconsueta, quasi indescrivibile; mi sen vo un tu 'uno con lo spirito della montagna. Mi sen vo piú vicino al cielo, eppure avevo i piedi per terra; il vento penetrava nelle mie ossa. Ma il desiderio di fermarmi assaporando il silenzio era piú forte del gelido turbinio che mi circondava. Finalmente i midi raggi del sole arrivarono a scaldarci e a rendere quel momento unico e irripe bile. Mi toccó recuperare le a rezzature da montagna: non fu un'impresa dai facili risvol ; cercavo tra una missione e l'altra i materiali da scalata lascia dalle spedizioni sulle Ande alcuni anni prima. Trovai i primi scatoloni nel solaio della Parrocchia di Jangas: contenevano scarponi di cuoio pesan , tute da sci, giacche a vento impolverate. Altri scatoloni mi arrivarono da Chacas: erano pieni di atrezzature obsolete, ma pur sempre u li, cercai di ves re i ragazzi con quello che “passava il convento”. Ricordo che gli scarponi erano pesan e di cuoio duro, le suole rigide, la maggior parte dei guan erano “moffole”. La tenda “sumitomo” di color arancio, che avevo trovato nella parrocchia di Marcará, era stata usata da Padre Topio (Antonio Zavatarelli) nella spedizione del 1990 all'Huascaran con i ragazzi del taller 32


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La preghiera scritta da Battistino Bonali sul monte Sossino in Val Camonica - ritrovata dopo la sua morte (A pagina 72 la sua trascrizione)

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di Chacas. In quella spedizione c'erano anche Ba s no Bonali e Padre Ivo Baldi (oggi vescovo della diocesi di Huari) che celebró la Santa Messa in ve a all'Huascaran Norte. Ves i i ragazzi bell'e meglio, per non fare bru a figura: gli scarponi erano immancabilmente con le suole scollate o ro e, gli zaini con qualche ra oppo, ma l'entusiasmo e la voglia di conoscere erano tali che sopperivano a tu ques inconvenien . Marina si de e da fare incoraggiandomi e aiutandomi, da buona compagna di avventure. Il gruppo dei Valtellinesi, nel programma, aveva previsto la salita al campo base Ishinca, dove stavamo costruendo il rifugio; alcuni scalatori del gruppo avrebbero tentato il nevado Ishinca (5560 mt.) per poi ridiscendere a valle, terminata la fase di acclimatazione. Il passo successivo fu salire al Rifugio Pisco. Il rifugio Pisco era stato inaugurato nel 1996 ed era l'unico rifugio presente fino ad allora in tu a la vasta area della Cordillera Blanca, u lizzato come base di appoggio per scalare il nevado Pisco (5752 mt.) I Valtellinesi tornarono tu conten dei “cargadores”, di come stavano a en , di come portavano con cura i loro zaini, di come li accudivano nelle molteplici difficoltá. Ricordo che per alcuni gli elogi erano frequen , sopratu o su Amador, Anselmo, Eleasar Blas, Hector, Felipe, Jaime. Alcuni dei “cargadores” erano sali in ve a al Pisco con il gruppo di Sondrio, erano i primi passi di quella che sarebbe stata la nostra avventura andina tra rifugi e guide di montagna. Giun a Marcará mi chiesero che montagna potevano tentare con i nostri ragazzi “cargadores”; suggerii loro l'Akilpo (5560m) entrando dall'omonima “quebrada”. Prepara vi alla mano, il giorno seguente par rono con des nazione Akilpo. Tentarono il versante sud-ovest, piú “crepacciato” e pieno di “penitentes”, ma dove ero arrendersi sopra i 5000 metri. Non essendoci una via normale di salita, più abbordabile, ritornarono a valle, ma consapevoli di aver ge ato un seme nella vita dei nostri ragazzi “cargadores”. Nel gruppo della Valtellina c'era una figura di pres gio nell'ambiente di montagna: Tino Albani, nato a Merate nel 1930: é uno dei manovali silenziosi dell'alpinismo; in oltre quarant'anni di a vità, che gli sono valsi il tolo di Accademico del Club Alpino Italiano, raramente il suo nome è apparso sulle prime pagine delle cronache di montagna, anche se il curriculum di ascensioni che è riuscito ad accumulare potrebbe far invidia persino ai più for . La sua parabola ha preso il via dalle guglie appun te della Grigne a, per poi dirigersi, sull'onda del grande alpinismo esplora vo di Carlo Mauri e Walter Bona , verso le montagne di tu o il mondo. Dalla Groenlandia alle Ande, dalle rocce del Sahara agli O omila Himalayani; non c'è con nente in cui questo esploratore non abbia portato la sua passione per l'arrampicata e per la Natura in generale. Ancora oggi, a più di o ant'anni e nonostante abbia cominciato a fa care, anche sui sen eri più facili, non ha 34


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perso la voglia di andare per i mon , spinto sopra u o dalla grande passione per la fotografia. Bisogna a endere gli anni Novanta perché Tino Albani possa vedere finalmente riconosciuto il suo valore anche al di fuori dell'ambiente alpinis co lombardo. A par re da quella data, e poi negli anni successivi, il suo nome, comincia a circolare anche tra un pubblico più vasto di non adde ai lavori. Finito il servizio di “cargadores” con il gruppo della Valtellina, mi sono ritrovato a guardare i ragazzi che avevano vissuto intensamente un aspe o estraneo e alquanto interessante della loro esistenza, e quasi senza rendermene conto, mi sono ritrovato a fare le veci del loro papá. Scrissi una le era a Padre Ugo chiedendo se mi poteva aiutare: avevo bisogno di un giovane volontario che facesse da assistente a ques “cargadores”. Stare con loro: meditazioni, lavori giornalieri, disciplina, uscite esploratrive etc.. Poco dopo padre Ugo da Chacas mi spedisce una le era, con scri o quello che sará la firma indelebile di questa avventura andina. Cosi scrive: Carissimo Giancarlo, ho pensato tanto a come fare con l'assistente per i tuoi ragazzi “cargadores”, ho pensato e ripensato alla persona che possa accompagnare ques giovani oratoriani in questa avventura Andina, penso proprio che l'assistente giusto per ques ragazzi sarai TU. Tuo Padre Hugo Senza esitare ho acce ato questa scommessa. Ques ragazzi hanno riempito la nostra vita, come veri figli, miei e di Marina; oggi sono riconosciute Guide Andine UIAGM. Abbiamo vissuto gomito a gomito con ques ragazzi “cargadores” come li chiamava padre Ugo, fino a quando decidemmo di fondare una scuola di guide di montagna. Padre Ugo ci scrisse una le era; la conservo ancora. In essa so olinea i pericoli a cui dobbiamo badare, quando ci tuffiamo nel mondo dei montanari, cioé mantenere aper gli occhi su questo mondo tanto “intoccabile” della montagna. Questa le era con quel MA cosí evidente é stato il filo condu ore di tu a la nostra vita tra giovani, Ande e campesinos, con la cosapevolezza che ci siamo messi in un ambiente pieno di pericoli e di for contraddizioni. Il cammino dell'Operazione Mato Grosso se vissuto intensamente, con lavoro gratuito, amore e caritá, passione e sofferenza, dolore e 35


sudore, scoraggiamen e delusioni, porta inevitabilmente a guardare piú in alto del cielo, delle stelle, dell'infinito. Abbiamo preso in casa ques ragazzi fino a pensare di fondare una scuola di guide di alta montagna. Questa decisione non è stato fru o di uno slancio di ideali, ma la consapevolezza che ques ragazzi potevano lavorare grazie alle loro bellissime montagne. Questa decisione condivisa con Marina ci ha tenuto in Perù per mol anni, affiancando ques ragazzi fino a portarli ad essere guide UIAGM. Non fu facile convincere gli amici dell'OMG che questo proge o poteva funzionare: c'erano tan dubbi, sui ragazzi, sul

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conta o con i turis , sul come approcciarli a una realtà complessa e variegata come quella dell'ambiente di montagna, perché comunque sia di turismo si tra a, cioè di chi viaggia per fare trekking, escursionismo o scalate, ma lo fa comunque nelle vacanze sempre con la finalità di visitare, osservare, fotografare, raccontare e documentare. Ben diverso è andare sulle Ande per offrire il proprio tempo ai poveri, regalando anni di vita, soldi ed energie per aiutare i campesinos. Tra le fila dell'OMG non tu erano concordi: chi diceva di aspe are, chi ostentava “prudenza”, senza rendersi conto che i ragazzi della sierra di lí a poco sarebbero scappa dalle loro montagne per andare a Lima o nelle megalopoli come Chimbote in cerca di un futuro incerto. Questo saper leggere la realtà, fiutare l'aria, sognare ad occhi aper , intuire il meglio per educare i giovani in un mondo che cambia velocemente anche nelle zone povere del Perù, mi è stato insegnato da Padre Ugo. Non nego gli errori fa , le mosse a volte azzardate e le avventure scombinate che ci hanno visto rocambolescamente immersi in situazioni molto rischiose. Col senno di poi avremmo potuto fare meglio, avremmo potuto sbagliare di meno, ma col senno di poi (ne sono piene le fosse) tu sono saggi e bravi sulla testa degli altri. Ero sempre alla ricerca di materiali e abbigliamento per ves re i nostri ragazzi. In occasione di un mio rientro il mio amico Roberto De Rigo (Derrik) mi chiama e mi dice: “vieni che voglio far conoscere Roberto Giordani della MONTURA”. Ricordo che par i da casa con la Jeep del Torsoleto che mi avevano prestato i ragazzi dell'OMG, viaggiavo con le dita incrociate sperando si arrivare a des nazione. Era una ma na, quando ci riunimmo con Roberto Giordani, nella sede centrale dell’Azienda, subito mi disse: “di cosa hai bisogno”? Dentro di me pensai che avevo davan una persona intelligente e generosa. Gli dissi che i nostri ragazzi non avevano un abbigliamento adeguato per andare in montagna, né pantaloni, né giacche a vento, né scarpre, né sacchi a pelo. Insomma senza mezze misure gli dissi che avevamo bisogno di equipaggiamento di montagna. Roberto Giordani chiamó un suo collaboratore e gli disse di annotare i nostri bisogni, di fare un ordine che poi tramite Derrik avrebbe spedito a Marcará. Me ne uscii risollevato e molto commosso, per come ero stato accolto da Roberto. Ci siamo scri varie volte fino a decidere di scrivere questo libro.

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PerĂş - la Escuela de Guias Don Bosco, in partenza per i corsi nella Quebrada Honda Battistino Bonali all'inaugurazione del rifugio Laeng - Luglio 1993

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Perú - gruppo di case dei pastori ai piedi delle Ande a piú di 4000 metri Perú - Marina con le mamme campesine alla Escuela de Guias. Sul portone scolpito in altorielivo l'immagine di Battistino Bonali sull'Everest in ginocchio con il gagliardetto “Grazie Dio

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Inizio della storia delle "Guide DonBosco" sulle vette Andine


Racconti di vita

I miei genitori fin da piccolo (avevo 3 anni) mi hanno portato in montagna; prima a Zone (BS) e poi a Schilpario (BG). Mio padre volle iscrivermi subito ai corsi di sci. Non sono mai diventato un grande sciatore, le mie discese dalle valli sono sempre state rocambolesche, segnate da voli pindarici e alquanto comici. Fin da piccolo mi piacevano le sfide e il rischio faceva parte del gioco. Una volta, giá dicio enne, scendendo sulle piste del Tonale, non mi accorsi che sulla curva finale della pista, c'era un precipizio che non avrei dovuto oltrepassare, invece di punto in bianco mi trovai con i piedi sospesi nel vuoto, come nei cartoni anima di Billy il Coyote e feci una caduta a piombo di circa 6 metri, a errando, pra camente in piedi, su un ammasso di grandi pietre; gli sci che mi aveva prestato il mio carissimo zio Sergio si erano le eralmente aper come fossero passa su una taglianastro. Ero a terra, inton to e confuso. I pensieri si accavallavano nella mente come un vor ce misto di paura e vergogna. Mossi un piede, poi l'altro… poi le mani. Ai polsi erano rimas i bastoncini. Mi guardai a destra e a sinistra, poi mi rimisi in piedi, presi quello che restava degli sci; a raversai tu a la pietraia. Stava giá arrivando una squadra del soccorso e ci incontrammo al termine della pietraia. Mi chiesero: “Dov'é il ferito?” “Sono io” risposi. Mi guardarono increduli, ed io imperterrito con nuai a camminare verso la macchina parcheggiata nel piazzale quasi ingnaro dell´accaduto. Provavo un senso di vergogna misto a rabbia per aver fa o un disastro con gli sci dello zio. A casa, la sera, raccontai parte dell'incidente a mamma e papá e con lo zio dove scusarmi per avergli “aperto gli sci”. Ma tu o si aggiustó con un “Meno male che non sei fa o niente !”. Per me andare in montagna non ha mai avuto un significato spirituale, ma solo la ricerca di amicizia con qualche persona; sono sempre andato a passeggiare e a scalare per stare in com40


6 pagnia senza nessuna ambizione par colare. Avevo fa o il militare a Pisa nella SMIPAR per diventare un paracadu sta; feci vari lanci, o enendo il breve o militare e civile di paracadu smo: ne andavo fiero. Cosa cercassi nel paracadu smo non lo so dire, se non un senso di avventura spinto all'estremo, non cercavo gloria o fama, non cercavo di essere il migliore, non cercavo di guadagnarmi il rispe o degli altri, della truppa, ma forse cercavo qualche esperienza forte per la mia vita. Una vita normale e pia a mi è sempre andata stre a, anche come soldato di leva. Per me doveva essere qualche cosa di speciale, di unico, di irripe bile; volevo toccare il cielo, provare l'emozione di ascoltare il silenzio, quello vero, capire cosa vedono e respirano gli uccelli da lassú, cosa si prova a lasciarsi andare tra le ali del vento, cosa significa respirare l'aria rarefa a, cosa si prova vedendo la terra piccola, sempre piú piccola e poco a poco, nello scendere poter osservare con stupore che la terra viene incontro e tu o ritorna nelle dimensioni reali. Una sensazione unica, bellissima, irripe bile e indescrivibile; non nego la paura mista all'ebbrezza del primo lancio, poi del secondo, del terzo e cosi via. La consapevolezza che il paracadute possa non aprirsi o si danneggi, é sempre presente in chi pra ca questo sport estremo; tu i paracadu s sanno che la buona riuscita del lancio dipende da alcune circostanze; il vento, il paracadute che si apre in tempo, il posto dove a errare. Ogni lancio é una roule e russa, puó andar bene oppure puó andar male, che non vuol dire necessariamente schiantarsi al suolo, anche solo prendere una storta o rompersi una gamba, una distorsione: questo é il rischio che si corre. Fin da giovane ho amato le avventure ed ho sempre affrontato le vicissitudini della vita come una sfida. Avevo 20 anni quando ho conosciuto l'Operazione Mato Grosso, Don Giangiuseppe Be nsoli (per tu don Giangi) poi Bruno e Vica Bianchin, poi si aggiunsero Enrico Rigosa ed Elena Bassi che ci invitarono a passare l'estate dell'anno successivo in Val Formazza. Per me fu riscoprire quello che giá avevo vissuto da giovane nell'Oratorio di Bornato come animatore nei grest. Tu o questo unito alla vita di gruppo, al lavoro per i poveri, alla ricostruzione del Rifugio Claudio e Bruno e l'ideale della Caritá furono la combinazione perfe a per andare controcorrente. Mi rendevo conto che questo cammino era qualche cosa di concreto, non era un richiamo fa o di parole, ma di ges . Un movimento nato nel mezzo della contestazione giovanile del '68 non poteva che essere una risposta reale fa a di lavoro e di sudore, di fa ca e di sacrificio, per rompere il guscio dell'indifferenza. L'OMG era nata nel 1967 dall'intuizione di Don Ugo De Censi e Don Bruno Melesi, sacerdo salesiani “figli di Don Bosco” che hanno saputo leggere nei giovani il loro desiderio di verità. Nata proprio durante la contestazione giovanile del '68, l'OMG é stata una risposta concreta ai tan discorsi di piazza che inneggiavano alla libertá. Sme amola di parlare, sporchiamoci le mani per i poveri. L'OMG non è mai stato un movimento di volontariato, un'associazione uma41


nitaria o un club. L'Operazione Mato Grosso è un legame di ricerca che fa crescere le persone nel fare delle scelte importan per la propria vita. Lavorare per i poveri, fare fa ca fisica rinunciando alle comodità per fare posto a chi non ha nulla, è proprio il trucco, la molla che ca ura i ragazzi. In un mondo pieno di parole e di discorsi inconcluden , l'OMG è una bellissima proposta concreta che a ra i giovani. Fare qualche cosa per gli altri è proprio il messaggio chiaro e pulito, senza tan giri di parole, tan ar fici, quello che conta è fare la carità, non con discorsi ma con i fa . Lavorare anziché discutere: via le chiacchiere e passiamo ai fa ! Oggi possiamo dire che l'OMG è proprio l'interpretazione del metodo EDUCATIVO di Don Bosco portato ai giorni nostri. Le cose sono cambiate, nel 1968 durante la contestazione giovanile, emergeva la figura del GIOVANE come di un ragazzo autonomo e che voleva cambiare il mondo, una vera e propria rivoluzione. Ecco dove nasce l'OMG, non nelle piazze, ma nelle zone povere del Brasile. I mo saranno appunto: via dalle Piazze, fare Gruppo, aprirsi agli altri, aiutare i poveri, essere capillari. A poco a poco si delineava anche l'immagine di questo movimento educa vo e caritavo con il desiderio di mantenersi aconfessionali: parola molto discussa nella Chiesa, ma che è un'icona importante per i ragazzi dell'OMG. Provo a spiegare un po' il “contenuto dell'acronimo OMG”: essere liberi di scegliere, senza nessun obbligo, come sei entrato nell'OMG te ne puoi andare, non importa se preghi e vai a messa, l'importante è che lavoriamo insieme per i poveri, che dedichiamo tempo ed energie gratuitamnete a favore dei poveri con il nostro lavoro e sacrificio. Essere liberi di scegliere il cammino senza obbligazioni o forzature è proprio il succo della fiducia data e ricevuta, é l'essenza dell'amore gratuito. In Italia, la base di partenza è il GRUPPO. Nel gruppo il ragazzo si forma, impara a lavorare concretamente, a sporcarsi le mani, a condividere e confrontarsi con gli altri; la dipendenza e il confronto sono valori importan ; dover spar re un po' la vita con altri compagni di gruppo aiuta a forgiare il cara ere. Normalmente i ragazzi stanno 3-4 anni nello stesso gruppo, cercano lavori vari: imbiancature, sgomberi, taglio legna e siepi, raccolte ferro, lavore , pulizia sen eri e ges one rifugi. Durante la se mana ci si trova almeno 2 giorni, poi man mano le cose aumentano e dal semplice trovarsi a lavorare, cresce in chi partecipa il desiderio di conoscere e approfondire meglio il senso della vita in missione e quindi, di conseguenza, il gruppo diventa tosto, al punto che i ragazzi maturano la partenza per la missione. La prima esperienza dura sei mesi; il ragazzo dà la sua disponibilità a par re ed il gruppo si preoccupa di individuare la nazione dove svolgere il servizio. Durante i fine se mana ci sono sempre minimo 4-5 campi di lavoro sparsi in tu a Italia, dove i ragazzi si ritrovano; ques sono momen di unione e di interscambio delle varie esperienze del vissuto: sono molto importan , consolidano amicizie, aiutano al confronto, s molano la crescita personale scambiando preoccupazioni e decisioni. Ai campi di lavoro si cerca sempre di avere la presenza di un volontario rientrato che spiega ciò che sta facendo in 42


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missione, che lavori svolge e quali sono i proge futuri. Racconta le mo vazioni che lo spingono a scomme ere la sua vita. I campi OMG si organizzano i fine se mana, il gruppo che prepara il CAMPO si preoccupa di invitare altri gruppi OMG, si preoccupa di raccogliere il cibo per tu coloro che arriveranno da fuori, organizzare la cucina, di trovare i lavori, di trovare una sede per dormire (normalmente in un oratorio) e di organizzare il dopocena del sabato con una serata a tema, molte volte riflessiva sul mondo, su come viviamo, sui poveri, sui giovani, oppure sullo specifico di una necessità concreta della missione. D'estate vari gruppi OMG organizzano campi di lavoro di una se mana, con lavori che vanno dalla raccolta pesche, pulizia sen eri, ricostruzione baite e rifugi, raccolta uva, sistemazione sen eri, taglio legna etc. Ques campi es vi coinvolgono numerosi ragazzi e sono un momento di aggregazione, di riflessione e di lavoro concreto. In Italia ci sono più di 130 gruppi, sparsi su tu o lo s vale. Dal 1967 ad oggi sono state aperte più di 100 missioni tra Perù, Bolivia, Brasile ed Equador. In totale in queste missioni ruotano circa 500 volontari laici, famiglie con figli e mol sacerdo che hanno maturato la loro vocazione all'interno dell'Operazione Mato Grosso. Tu e le nostre missioni sono state aperte grazie ad una richiesta fa a dai vescovi locali. Infa é il vescovo della Diocesi che chiede ai volontari o al Padre Ugo la presenza dell'OMG in una sua Parrocchia normalmente scoperta. Una volta acce ata la proposta l'OMG si incarica di des nare un sacerdote e una coppia di volontari che inizia ad inserirsi nella comunità. Il primo intervento normalmente è di catechesi e a poco a poco si va realizzando con i ragazzi del posto l'ORATORIO, non con le mura, ma un oratorio (come una piazza) aperto ai bambini del luogo che vengono forma alla prima comunione. Fa a la prima comunione, dopo un periodo di preparazione che dura circa un mese, i bambini entrano a far parte dell'Oratorio delle Ande. L'Oratorio è così stru urato: il sabato ci si raduna e si fanno lavori per i più indigen della Parrocchia, portando viveri, lavando gli indumen , facendo i lavori domes ci che le persone anziane non sono in grado di fare. La domenica ci si prepara alla S.Messa e dopo si fanno giochi, can e a mezzogiorno si mangia la zuppa e si ritorna a casa. Solamente in Perù, sono 25.000 i bambini che fanno parte dell'Oratorio delle Ande, (la somma è di tu i bimbi, ogni parrocchia raccoglie dai 400 a 1600 bambini). Questo per dare dei numeri di uno dei nostri interven , quello piú immediato. Ma i numeri sono solo il risultato di tu o un lavoro a monte maturato con la convinzione che dobbiamo donare la nostra vita al servizio dei poveri. Nell'autunno del 1985 iniziammo a formare il gruppo di Bornato in Franciacorta, nel gruppo conobbi Marina, mi piaceva il suo modo semplice e umile di stare insieme, lo sguardo sempre buono con tu . Nel febbraio del 1986 gli chiesi di diventare la mia ragazza (avevo chiesto a Federico Ambrosini, mio compagno di gruppo di sondare il terreno), poi decisi di bu armi in quella che é stata la piú bella avventura della mia vita: nel 1989 ci sposammo. Dal nostro matri43


monio sono nate due splendide bambine, Marta nel gennaio 1992 e Marianna nel dicembre 1995. Partecipare al gruppo era per noi come unirci in cordata; lasciavamo fuori i problemi e lavoravamo decisi per i poveri. Facevamo i campi, non c'era piú tempo per andare in ferie; le nostre vacanze erano spese per i poveri. A dicembre 1985 a un campo di lavoro a Lodrino conobbi Padre Remo Prandini (salesiano) che era parroco a Sagrado in Bolivia. Nell'estate dell'anno successivo (1986) decidemmo di andare in Val Formazza. Scesi credo due o tre volte a Bornato, poi via di corsa lungo l'autostrada del Sempione fino a Domodossola, poi su a So ofrua e poi lungo il sen ero che conduce ai Sabbioni. Lassú tra le montagne c'erano i miei amici con cui condividere un sogno, un cammino, un ideale. Nei primi campi di lavoro in Val Formazza, portavo gli amici, quelli del gruppo: era il momento piú importante in cui decidevamo chi doveva par re. Ricordo che avevo portato anche mio suocero Luigi. Camminavo molto e non mi stancavo, correvo su e giú dalla Val Formazza i fine se mana per poter stare due giorni con i ragazzi, che venivano e andavano; alla fine qualcuno si fermava. Vedevo i ragazzi che si innamoravano della montagna. Ecco il segreto nascosto: la montagna é una parte educa va ! Il silenzio, la natura, la semplicitá, l'essere essenziali. In Val Formazza, tra quelle splendide montagne, ho conosciuto da vicino le persone, ho capito le scelte, ho respirato, maturato tan passi futuri con vera convinzione. La strategia per farci lavorare era l'amore per i poveri e l'amicizia tra noi: una virtú che non ci appar ene, per cui vale proprio la pena regalarla. Ho avuto la fortuna di vivere a fianco di Daniele Badiali, allora seminarista a Bologna. Con lui, Marina e Don Ambrogio Galbusera passammo varie se mane insieme in Val Formazza. Daniele scriveva e musicava canzoni, una piú bella e acca vante dell'altra, le sue canzoni gasavano i ragazzi e permeavano l'aria di un profumo di avventura e amore alla vita, con un fascino indescrivibile. Quando nella sua camera del seminario di Bologna a me e Marina fece ascoltare “i tuoi passi” ci piacque tan ssimo, volle che la cantassimo insieme in un raduno OMG a Faenza. Fu cosi che “due ai” con Daniele Badiali. Era un ragazzo che amava la vita, cercava l'amore nelle sue canzoni e trasme eva serenitá e dolcezza, con quelle note a volte dolci, a volte piú ritmate e orecchiabili e a volte carezzevoli. Se dovessi definire Daniele in poche parole direi che é stato un Giullare di DIO. Ascoltare ancora oggi le sue canzoni è sempre un'emozione come la prima volta: non invecchiano mai. Correvamo su e giú per i sen eri della diga del Morasco, dai Sabbioni al Rifugio Claudio e Bruno e poi su fino al Rifugio 3A: quante corse, serate e canzoni guidavano i nostri passi; c'era sempre da fare qualche cosa di u le. Io preferivo fare i traspor , insieme a Daniele Badiali scarpinavamo in una sorta di gara, lungo il sen ero che dai Sabbioni porta al “Claudio e Bruno”, con un tronco a testa sulle spalle, poi il cemento con la carriola o a spalle, poi i ma oni: mai ho avuto momen di sconforto o di 44


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pessimismo. Sempre ho pensato che quello che stavo facendo serviva ai poveri, agli ul mi, ai piú bisognosi e per me questa era una mo vazione seria. La fa ca era sempre la misura del mio credo. In questo c'era anche un pizzico di orgoglio, di sfida, di esibizionismo. Ricordo quando una volta Daniele portó un palo dai Sabbioni al rifugio “Claudio e Bruno” tu o da solo, di traverso sulle spalle; io dietro con un sacco di cemento, lo guardavo e pensavo: pare Gesú sul Calvario. Un'immagine che poi ritrovai in lui nel 1997 quando fu sequestrato e ucciso da un gruppo di bandi sulle ande del Perú, lungo la strada che da Pomallucay porta a San Luis, il 18 marzo 1997 (Acorma). Sui sen eri della Val Formazza ho imparato la fa ca, il sudore nel trasportare cemento e travi sulle spalle, come un segno di una ricerca che va oltre le montagne, le ve e, i confini dell'orizzonte. Il sudore e la fa ca, per aiutare chi sta peggio di noi, sono sinonimo di ricerca e di servizio per i poveri: ecco l'ideale che puó spostare le montagne. Ancora oggi la volontà che muove migliaia di giovani a scarificarsi é “l'aiutare i poveri” nonostante le mille voci del mondo che gridano di pensare a se stessi: godi, diver , annega nei vizi. Nel 1988 i ragazzi del gruppo ci proposero di trascorrere 4 mesi in Bolivia; avevo sempre sognato l'America La na, le Ande, le ve e, i parami, i deser , la vita povera dei campesinos. Adesso avevo degli amici laggiú con i quali condividere un pezzo di strada. Eravamo nel periodo delle svolte (termine OMG per dire che un gruppo di amici si faceva carico dire amente di alcune missioni), la scelta era Yanawaya o Peña Colorada (entrambe in Bolivia). Scelsero Yanawaya mentre Marina fu des nata a Peña Colorada insieme a Mariella Bini di Cazzago San Mar no che faceva gruppo con noi. Furono qua ro mesi intensi: lavoravo tu o il giorno so o il sole cocente con i campesinos. Par vo la ma na alle se e portando tubi e piccone per scavare, andavo sulla puna a sistemare i tubi dell´acqua potabile. A mezzogiorno mangiavo quello che c'era: il pranzo era sempre molto frugale. Mas care le foglie di coca spegneva il morso della fame. La sera tornavo nella casa dei volontari, per cena una semplice minestra e poco piú. Dormivo in una camera semplicissima, senza luce ele rica; il bagno era una latrina all'aperto, con una tenda come porta, tu o era molto essenziale, molto povero, anche la nostra vita da volontari era austera e molto semplice. La ma na per lavarsi, bisognava andare fuori al freddo: aprire il rubine o dell'acqua che era unico: serviva per la cucina, i lavandini, le docce, i bagni. Tu o era essenziale, povero e sobrio, dal dormire al mangiare, al ves rsi: tu o era semplice e modesto. La gente di Yanawaya, non vedeva un camion da mesi, non conosceva il suono delle ambulanze, non sapeva cosa significava la luce di una lampadina. Nessuno conosceva il telefono, la tele45


visione, i più fortuna avevano una radio e una lanterna a cherosene in casa. Faceva freddo a piú di 3500 metri. Yanawaya é una localitá molto umida, chiusa tra due vallate; lí finiva la strada carrozzabile: era l'ul mo villaggio sulle Ande; da lí in tre giorni a piedi, si poteva arrivare in Perú. Le case della gente, erano tu e buie e chiuse, con una sola porta d´ingresso e nessuna finestra. All'interno c'era un fuoco a legna senza camino: tu o il fumo restava dentro, filtrava nei muri delle case fa e di fango. Tu o era impregnato di fumo, anche le coperte del le o, so o il quale spesso vivevano vari porcellini d'india e qualche gallina. In genere le case erano cosi, austere, povere, indigen : la gente aveva problemi concre , nessuno veniva a farci discorsi filosofici. Venivano a chiedere cose tangibili: la cassa da morto, i soldi per il viaggio a Escoma o La Paz, le medicine per curarsi, le scarpe per il figlio, un pezzo di pane. Il lavoro con loro era commovente, non era razionale, era dire o. Aiutare in modo concreto; do un ves to, un passaggio a La Paz, una minestra, una medicina, uno zaino con quaderni e biro per la scuola. Tu o questo non mi lasciava tranquillo: la mia coscienza era veramente turbata; comba evo con le mie incertezze. Ho sempre desiderato aiutare i poveri, ma ci sono sta anche momen difficili, nonostante fossi convinto che quella era la vita giusta. Seguire il cammino OMG significava ascoltare gli altri, anche qualche amico mi faceva richiami duri e severi. Non nego i momen di sconforto e a volte di scoraggiamento. Quando mi sono trovato nel buio, ho sempre pensato alla vita di Gesù: il solo pensiero mi regalava un senso di bea tudine, di quiete, come fosse la carezza di un vento epido che porta ebbrezza. A volte queste carezze mi sembravano fresche, leggere, a volte for , ma sempre delicate.

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Scene di vita "campesina" a piĂš di 4000 metri sull'altipiano Boliviano

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Ande, nel cuore del silenzio

Quando le cose vanno male, quando mi sento affa cato, deluso, senza uno s molo ad andare avan , mi chiedo perché faccio tu o questo, perché lavoro gratuitamente, perché mi affanno, mi do da fare, discuto con Marina, brontolo con i miei amici, cerco sempre la via d'uscita su ogni problema che mi si presenta. Perché persevero, con che vitalitá lo faccio, quali sono le mo vazioni, quale la linfa a cui a ngo. Non mi fermo spesso a pensare, sono solito andare avan , anche a testa bassa, ma cerco sempre di fare del mio meglio per regalare tempo, energie, lavoro e soldi ai poveri che ho conosciuto in Perú. Con nuo a sognare, avventure nuove, entusiasman, belle e avvincen . Ho sempre nel cuore il desiderio di ricerca, di camminare, di incontrare, di confrontarmi, di ascoltare. Non sono una persona “normale”; mi reputo una persona un pó parcolare; a volte non dormo la no e, riposo solamente e penso, medito cosa potrei fare di piú per i giovani e per i poveri campesinos che ho conosciuto. Non lo faccio con insistenza, non cerco una carriera, un posto al sole, sono preso da questo cammino di ricerca che va oltre il fare, l'organizzare, l'agire e il lavorare. Quando sento che nell'Operazione Mato Grosso si lavora duro, si lavora sodo, annuisco. Sí é vero, ma é altre anto vero che questo cammino prende per mano verso un i nerario di ricerca che fa del lavoro uno strumento di fede e di servizio verso i poveri. Per questo l'Operazione Mato Grosso é un cammino di ricerca, piú che un movimento di volontariato aconfessionale: si inizia sporcandosi le mani per i poveri, per poi guardare oltre, a qualche cosa piú in lá, piú importante. I modelli che ho avuto davan sono sta San Giovanni Bosco, Don Ugo De Censi e Don Giorgio Nonni per il valore educa vo verso i giovani e la carità ai poveri; e poi Ba s no Bonali per la lealtà, la caparbietà e la purezza d'animo nel salire le montagne. Esempi che hanno tracciato le scelte della nostra vita, non certo parole, ma per le 48


7 decisioni e le indicazioni che a volte non capivo o mi sembravano passi impossibili. Sí, l'esempio del Padre Ugo per me, ancora oggi, ha un peso importante nella mia vita: la sua vita e i suoi suggerimen hanno avuto uno spessore molto forte e profondo, hanno marcato un solco indelebile. Non é stato certo facile stare con Padre Ugo: era un sacerdote molto esigente e controcorrente; non era il solito prete canonico ma un montanaro caparbio e tenace. Seguirlo ha richiesto rinunce, fa che, impegno e dedizione. Molte volte le sue parole sono entrate nella nostra vita e l'hanno scalfita; mi sono interrogato molto profondamente: in alcune circostanze ho dato una sterzata al corso della mia storia con scelte di famiglia radicali, non sempre facili e scontate. Il mio rapporto con Padre Ugo (cosi vengono chiama i pre in Perú) é sempre stato famigliare, nutrendo una certa riverenza nei suoi confron e un grande rispe o per l'etá. Mi sono avvicinato in punta di piedi, ma Padre Ugo subito mi ha preso per mano, con quel modo di affrontare la vita che invoglia a fare senza pensarci troppo. Poi, a bocce ferme, piú volte ho pensato “ma io ho fa o queste cose ? Come sono riusicto a vivere queste avventure ? Con che spirito l'ho fa o ?” In tan momen ho usato la mia testa, cercando di capire se quello che Padre Ugo mi suggeriva poteva andare bene. Varie volte non sono stato concorde con le sue intuizioni e gliel'ho fa o notare. Certo non era facile seguirlo, dopo avergli de o che su determinate faccende non ero d'accordo; stavo male. Quando non ero pienamente concorde ci soffrivo, mi sen vo incompreso e forse un po' troppo sicuro di me stesso; quindi non mi é stato facile “affiancarlo” nell' avventura Andina. Ci dava dei consigli che noi acce avamo seriamente; ogni tanto mi senvo in dovere di dare anch'io indicazioni, poiché stando molto con i ragazzi (Padre Ugo li incontrava solo ai ri ri e alle confessioni) capivo le loro esigenze, i loro problemi, non sempre tu o mi pareva posi vo, ma ció dipendeva in parte anche dal mio stato d'animo non sempre allegro e spensierato. Dipendeva dal momento che stavo vivendo, non sempre avevo voglia di esprimermi o di scrivere riflessioni; a volte mi sen vo vuoto, senza nulla da dire, a volte invece mi sen vo bene; le cose filavano dri e, i ragazzi reagivano posi vamente, si impegnavano, capivano, assimilavano non solo le nozioni tecniche. Con Marina tentavamo di far emergere la loro parte piú umana: era bello ascoltarli, accoglierli ed era anche piú facile affezionarsi. Non sempre il bene verso di loro era naturale, a volte dovevo forzare ges di bontá e di posi vitá; molte volte osservavo comportamen fuorvian dal metodo preven vo a cui ci ispiravamo (quello di San Giovanni Bosco). Verso sera mi rifugiavo in cappella a pregare da solo, stavo li in silenzio, cercavo il silenzio, lo desideravo, con il tempo non ne ho potuto fare a meno. Mi sono allenato alla ricerca del silenzio, quello de ato dalla natura, dalla montagna, non certo quello ar ficiale delle camere blindate. Con il tempo mi sono innamorato del silenzio, l'ho sperimentato tanto stando vari giorni, se mane e mesi in alta quota nei luoghi piú recondi delle Ande. Era un oblìo inappagabile, bellissimo, quasi surreale che la natura ancora selvaggia ci regala. Stare zi a volte vale di piú di tante parole. Il silenzio non mi ha mai fa o paura, anzi negli anni ho cominciato ad 49


apprezzarlo; é in quei momen che sgorga spontaneo nell'in mo che non di rado semb ra accompagnato dal canto degli uccelli, mentre la melodia del vento parla al mio cuore. Anche adesso mentre scrivo sento che ques pensieri e riflessioni aiutano l'anima ad elevarsi verso il cielo. Questo l'ho imparato vedendo i campesinos che lavorano i campi: la loro paziente mie tura scandita dal tempo. L'ho visto piú volte quando portano per ore e ore la gerla della legna o del frumento senza scomporsi; stare ore e ore so o il sole cocente a raccogliere le patate sui pendii scoscesi delle montagne. L'ho visto quando una giovane madre alla a il suo bambino, quando una donna piange, quando un uomo muore: tu o richiama al silenzio. Fare silenzio oggi é una sfida quasi impossibile, esso aiuta a rifle ere ad avvicinarsi alle persone, ma é diventato un pericolo da cui fuggire, da cui allontanarsi. Ora i giovani vogliono il chiasso, il rumore, musica ad alto volume. Sempre il cellulare connesso alla rete, sempre parlare di tu o con tu , sempre dire l'ul ma parola, sapere tu o di tu . Cercando di sfuggire al senso vero della nostra esistenza. Sto parlando di silenzio e non di vuoto interiore. Si potrebbe pensare che silenzio e vuoto camminano insieme. Ma non é cosi, mi sono reso conto stando con i ragazzi che il vuoto dell'anima é una parte interiore che ha bisogno di essere colmata, ho constatato che oggi tan giovani hanno una vita vuota, ma questo non é colpa loro: é il caro prezzo del progresso. Penso proprio che cercare il SILENZIO sia fondamentale per una fede che ormai s amo perdendo. E' un appartarsi dal mondo andando in montagna, é un allenamento, un modo per fermarsi a rifle ere e pregare, é il modo piú naturale per lodare e per dissipare i pensieri. Voi avete visto ancora una Chiesa o un luogo di culto, dove si fa chiasso? NO, si fa silenzio: é di questo che abbiamo bisogno oggi. Ritornando al passo “Esperanza”, non fu facile raggiungerlo, i ragazzi tribularono parecchio alla ricerca del passaggio migliore: li vedevo arrampicarsi lungo le rocce come degli stambecchi. Che bello vederli! Ancora oggi a distanza di anni, li rivedo tu , uno per uno, con il loro sorriso stampato sulle labbra, a dire “sí ce la facciamo, siamo figli di contadini, ma siamo camminatori, siamo montanari, i nostri antena erano dei corridori (Chasqui)”. Rivedere questa scena oggi mi commuove; essi hanno saputo giocare la loro “GINGA” nel cammino della vita; non si sono limita a scoprire l'andinismo a raverso gli insegnamen degli istru ori: hanno sudato, hanno sfru ato le loro capacitá, la loro forza, la loro resistenza che non puó competere con la nostra, questa é la loro “GINGA”. I giocatori Brasiliani la u lizzarono nel mondiale del 1958 nella finale tra Brasile – Svezia vinta 5 a 2 dal Brasile a suon di “GINGA”: il loro modo di palleggiare, passaggi e movimen di palla pici dei ragazzi Brasiliani. Risca a le umili origini del calcio brasiliano, mostrando a tu la sublimazione massima del gioco della nazionale. Un calcio 'bailado', pico verdeoro ma fino all'avvento di Pelè vissuto con un complesso di inferiorità perché umile, povero. Non è un caso se la parola deriva infa dal gergo della 'capoeira'; an ca danza-lo a simulata pra cata dagli schiavi africani in Brasile come forma di resistenza fisica e 50


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culturale al dominio dei portoghesi. Non si finisce mai di imparare nella vita, si arriva sempre in cima a un passo e ne troviamo un altro piú erto, ripido, difficile da superare, una volta superato pensiamo “adesso siamo arriva ”. Per un a mo, una consolazione effimera, ci rilassiamo, ma poi si ricomincia a giocare in questa sfida tra la vita intensa e la morte apparente. Si puó vivere come degli ebe , immersi nel nostro circo equestre fa o di modelli vuo e insignifican , oppure si puó vivere una vita piena, fa a di sacrifici, rinunce, servizio, caritá e amore verso gli altri. Non ci sono tante strade da percorrere, mi verrebbe da dire ai giovani; guardatevi bene dagli esempi effimeri che il nostro mondo ci propone, pesateli uno per uno, state a en a dove andate, a che amicizie fate, a cosa rincorrete, siate pruden , non lasciate che la vostra anima si asciughi e rimanga vuota per sempre. Anni fa avevo preparato delle diaposi ve con l'amico Alberto Zorat (anche lui volontario dell'OMG) , andavamo nelle scuole e nelle universitá, era il 1989, cercavamo di aprire gli occhi ai giovani, lo facevamo con entusiasmo e con il desiderio di conquistare i ragazzi, di fare breccia nel loro cuore perché non si perderssero. Il tolo che avevamo scelto per queste diaposi ve era: "La scommessa: LUNA PARK o PORTA STRETTA". Infa a un certo punto del diapomontaggio c'era un'immagine che diceva: "davan a te due strade: da una parte il LUNA PARK - dall'altra la PORTA STRETTA a te la scelta...". Da lí par vano le immagini toccan dei poveri di una casa buia, dove una poverissima donna dava da mangiare a suoi bambini, uno piú sporco e malmesso dell'altro, ma ció che contava era il coraggio e la cura con cui questa donna accudiva i suoi bimbi. Ricordo che avevo condiviso questo diapomontaggio con l'amico Ivano Chiaf (volontario OMG morto cadendo dal te o dell'Ospedale di Zumbahua tra le Ande ecuadoriane nell'o obre del 2009). Che bei ricordi conservo di Ivano e Maria, fin dai primi campi vendemmia sul lago di Garda, le no a cantare con la chitarra, il lavoro nei campi, la fa ca, il sudore. Non sme eró mai di pensare che Ivano é morto a Zumbahua, proprio dentro un'ospedale per i poveri, cadendo da quel te o che stava sistemando. Ricordo quando siamo anda in Ecuador con Valerio Bertoglio, Cesar, Felipe. Avevo un giorno libero e mi recai a Zumbahua a trovare Ivano e Maria, avevano appena ado ato Mario. Poco dopo Maria avrebbe dato alla luce il loro quarto figlio. Ricordo il tempo passato con loro a parlare dell'ospedale, delle difficoltá di ges one. Ivano mi diceva; io sono un imbianchino; ce lo vedi un imbianchino dirigere un Ospedale sulle Ande e sorrideva; anch'io ridevo con lui. Poi al ma no, aprendo la finestra della camera dove avevo dormito, guardo fuori e oltre il confine della casa vedo il cimitero. Faccio colazione: debbo ripar re e tornare a Pujili (nella casa campesina - OMG) dove mi aspe a il resto della truppa. Ivano mi saluta con la solita allegria; un abbraccio e una ba uta di spirito. Gli dico: “Qui sei al sicuro, hai l'ospedale a portata di mano e male che vada anche il cimitero; sei in una bo e di ferro !” Cosi ci lasciamo tra una ba uta, una risata e una pacca sulla spalla. 51


L'anno successivo mentre siamo in Bolivia per tentare la ve a Boliviana piú alta, il Vulcano Sajama di 6544m. sul confine con il Cile, mentre siamo in quel deserto di sale e sabbia, di vulcani e pozze di acqua ristagnanan vengo raggelato da una no zia che mi ra risterá il cuore e fino a sen rmi inu le. Ma andiamo per ordine. La spedizione era composta da me, Valerio Bertoglio, Cesar, Edgar, Moises e Fredy. Arriviamo a Copacabana sul versante Boliviano del Lago Ti caca. Ad a enderci c'é Padre Antonio Zavatarelli (per gli amici Padre Topio) che si aggrega a questa spedizione. Prenderemo il ba ello per a raversare lo stre o di Tiquina del Lago Ti caca. Faremo base a Huata nella Parrocchia del Padre Leonardo Giannelli. Dopo i prepara vi per la logis ca, par amo alla volta del villaggio Sajama. Dopo circa 6 ore di jeep arriviamo al confine con il Cile, e decidiamo di fare una breve sosta al villaggio di Sajama; proseguiamo e verso sera riusciamo ad alles re il nostro Campo Base. Prepara vi alla mano e il giorno successivo siamo giá pron a par re per il campo avanzato. Facendo i con , ci accorgiamo che saremo di ritorno prima del previsto, per cui mi organizzo e vado a fare una telefonata all'unico telefono fisso della zona presente in un distributore di benzina al confine con il Cile. Scendo dal campo base e vado con la jeep per chiamare la Parrocchia di Huata: debbo avvisare che torniamo in an cipo di qualche giorno rispe o alla tabella di marcia. Il tempo é bello e quindi tu o procede molto bene. Squilla il telefono; risponde padre Leonardo e subito mi avvisa “mi hanno chiamato ieri sera per avver rmi che é morto un volontario in Ecuador; é caduto dal te o dell'Ospedale di Zumbahua!” La no zia mi raggela; aggiunge: “si chiama Ivano”. Mi chiede: “lo conosci ?” Rispondo con qualche frase singhiozzando, mentre i pensieri si confondono con le emozioni, i ricordi, le corse, gli sguardi, la nostra vita intrecciata. Penso subito a Maria e ai loro qua ro bambini; mi viene un nodo in gola. Sono in un vor ce di pensieri e brividi; commozione e dolore si mescolano. Cosa sará successo, non mi do pace, non riesco a capacitarmi. Mi trovo al confine con il Cile, un posto fuori dal mondo, a sei ore di strada da La Paz, cosa faccio? Ritorno al campo base e vado incontro al gruppo; mentre salgo penso e ripenso a Ivano, non puó essere lui, non puó essere successo proprio a lui, non puó essere morto. Perché ? Perché Dio perme e tu o questo ? Arrivo al campo base, abbraccio i miei compagni di cordata; loro non sanno che cosa é successo. Stringo Padre Topio in un abbraccio e gli sussurro all'orecchio: “é morto un mio amico, Ivano Chiaf in Ecuador mentre lavorava all'Ospedale”. Subito mi dice, lo conoscevi bene? Tra engo le lacrime, cerco di farmi forza e di non appesan re il momento; gli altri del gruppo non conoscono Ivano, ma percepiscono il mio dolore. Decidiamo di scendere dal campo base e cercare una Chiesa nelle vicinanze. Al villaggio di Tomarapi, c'é una chiesa sconsacrata costruita probabilmente dai Gesui nel 1600. Il posto é deserto, solo si vedono i fenico eri rosa svolazzare sull'unico stagno di acqua presente. Una chiese a bianca, di un bianco sporcato dall'ingiuria del vento, dietro si vede la sagoma del vulcano Sajama. Entriamo in 52


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silenzio, ro o solo dal calpes o dei nostri scarponi pieni di terra e fango. Ci me amo in ginocchio e reci amo il rosario. Fuori solo sabbia, deserto e vento. Il luogo é perfe o per pregare: il deserto, il silenzio, la chiese a povera e spoglia. Dietro l'altare intravedo un crocifisso di legno, forse lavorato a mano da an chi fra intagliatori che qui hanno portato il loro apostolato per il Regno dei Cieli. La no zia della morte di Ivano mi ha turbato parecchio; faccio fa ca a concentrarmi, penso ad Ivano che sorride, immagino sia una mia reazione al non voler “acce are” la morte di un amico. Preghiamo: Padre Topio e Chicca guidano il rosario; vorrebbero che scandissi i vari misteri con semplici riflessioni su questo caro amico, ma non riesco proprio a ordinare le idee. Tu o é confuso e mi resterá per molto questa nebbia dell'anima. Debbo fare silenzio, molto silenzio fuori e dentro di me. Approfondiró meglio l'animo di IVANO in un altro luogo ... nel silenzio. Mi aiuteranno sicuramente alcune sue le ere che abbiamo trovato in casa, una sua tes monianza registrata per caso da una nostra amica che era stata con noi nella casa di servizio di Huancuo. Poi le canzoni che Maria ha scri o prendendo spunto dal suo diario dei ri ri spirituali. Quanto si eleva l'anima ascoltando le canzoni che Maria ha composto sulle parole di Ivano. Mi regala pace e quiete la canzone “Haz Tu” (Fai Tu), dove ancora oggi Ivano mi sussurra quello che desiderava: vivere la sua vita al servizio dei poveri con uno sguardo verso il Signore.

Señor estoy aquí, solo esto yo soy Sueños grandes y grande mi miseria, Señor ¡Cuánto anhelo tu calor! Ven Jesús aunque no te merezco Tu sabes mejor que yo lo que necesito, Haz Tú Jesús, Haz Tu Señor de mi vida, te espero En este frio dolor, en una cumbre y su candor, Cuando siento amor…allí deseo encontrarte Señor ¿ al morir te encontraré ? “al morir me encontrarás” Ven Jesús… Haz Tú

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Ande - nel cuore del silenzio

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Giancarlo con il regista Josè Rios Vasquez. Alle spalle il nevado Perlilla 5586 mt Nevado Pucaranra 6156m - al fondo dell'omonima Quebrada

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Operazione Mato Grosso, un cammino per imparare ad amare

Più volte in questo mio diario di appun , parlo dell'Operazione Mato Grosso, un movimento nato in Val Formazza da una feconda intuizione di Don Ugo De Censi (1924-2018) salesiano valtellinese, che decise di far par re questa avventura giovanile, credendo fortemente nei ragazzi come portatori di un futuro migliore. Nel 1967, Don Ugo, responsabile degli oratori salesiani dell'Emilia e della Lombardia, decide di proporre ai suoi giovani un'avventura concreta rispe o alla consueta catechesi. Si era accorto, infa , che quando andava negli oratori a raccontare le “cose da pre ”, come le chiamava lui, i ragazzi non lo stavano a sen re neppure di striscio. Così decide di far loro incontrare un amico che tornava da una missione, proponendogli di andare là con i ragazzi ad aiutarlo. L'amico missionario, Don Pedro Melesi (Salesiano) resta un pó dubbioso perché pensa che ormai i giovani sono molto distan da questo po di servizio. Ma quasi senza accorgersi, Don Ugo inventa quella che diventerá la grande scommessa giovanile dell'Operazione Mato Grosso in Italia e America Meridionale. Così nell'estate del 1967 invita tu gli animatori più zelan degli oratori dell'Emilia e della Lombardia, a raggiungerlo a So ofrua, di proprietà dei Salesiani, in Val Formazza, e lá propone loro di andare in Brasile ad aiutare un suo amico missionario, Don Pedro Melesi. E' proprio dietro un grido di aiuto concreto che nasce la risposta dei giovani per andare in missione a Poxoreo in Brasile a costruire una scuola. Il suo grande entusiasmo per il proge o trascina e incendia le eralmente i giovani, ma bisogna sostenere le spese e trovare i soldi per farlo par re. Man mano matura un'idea: 56


8 costruire i rifugi nella Val Formazza per chi vuole andare in vacanza in montagna d'estate e per chi ama sciare d'inverno. Guidato dai ragazzi e da qualche amico della Val Formazza sceglie i pos migliori, le cime appena sopra i ghiacciai, le più belle della valle. Don Ugo sogna ad occhi aper e ogni ma na disegna cartelli diversi, con le tappe del proge o: “Qui costruiamo il rifugio, qui me amo lo skili , l'anno prossimo facciamo questo e quest'altro e con il ricavato sosteniamo il lavoro in missione.” La sua incredibile semplicità e la sua vivacità disarmante sono travolgen ed immediate: arrivano facilmente al cuore dei ragazzi. L'operazione parte, ma l'aspirazione di Don Ugo è quella di andare a vivere con i poveri campesinos delle Ande. All'etá di 57 anni decide di par re per il Perù, stabilendosi nella Parrocchia di Chacas a 3400 metri, proprio ai piedi della Cordillera Blanca. Nel 1976 Padre Ugo scrisse la sua prima le era dalla missione di Chacas agli amici rimas in italia invitandoli a schierarsi con i poveri. Lui montanaro, vissuto tra le valli di Caldenno e la Val Formazza, lui che al posto delle strade preferiva i sen eri di montagna, al posto dell'automobile gli scarponi, al posto del telefono la penna s lografica. Innamorato delle montagne, convinto che in montagna puó uscire il meglio di un uomo e che le montagne parlano ancora di silenzio e forse di Dio. É convinto che portare i ragazzi in montagna é il trucco per farli crescere e per me erli a nudo. C'era arrivato dopo aver vissuto per tan anni a Arese in mezzo ai barabit: quei ragazzi di strada che alle prediche, preferivano giocare al pallone, che invece di starsene in ginocchio a pregare, preferivano farsi le canne o fumarsi una sigare a di nascosto.La montagna é sempre stata maestra di vita per Padre Ugo fin dalla sua infanzia. A Bo onaga in provincia di Brescia, dall'Oratorio vedeva il Monte Guglielmo e ci portava i ragazzi a passeggio. Poi la Val Formazza, prima fra tu So ofrua, poi via via... su alla diga dei Sabbioni e l'avventura della costruzione del Rifugio Claudio e Bruno e del Rifugio Tre A, due perle di rara bellezza, incastonate tra le nevi eterne delle Alpi Italo-Svizzere. La montagna per lui era espressione dell'arte, della bellezza, della fotografia e del suo dipingere a spatola: quadri sempre piú belli e intensi. Colori tenui, dolci, so li sfumature di grigio, poi l'azzurro del cielo, sempre piú limpido e sereno. Le montagne dipinte tali e quali come sono; i quadri di Padre Ugo rispecchiano la realtá: sembrano abbracciare il mondo circostante. Sono rare fotografie ricche di piccoli par colari, lega ai colori vivaci della natura. I suoi quadri parlano di un'arte pura, semplice, profonda che regala quiete. L'arte come espressione dell'anima, di ció che non si puó spiegare a parole, lui che amava fotografare con la Super 8. Lui che aveva composto dei diapomontaggi con uno scrupoloso e a ento commento, degno di un vero ar sta, quasi sublimando l'arte 57


dell'anima fa a espressione. Il pi ore, ar sta, musico, compositore, poeta empa co, decide di abbandonare gli sci in Italia, per caricarsi la gerla della caritá sulle Ande, nel posto dove diceva sempre di voler morire. Sceglie le Ande e la Parrocchia di Chacas, incastonata tra le montagne di 6000 metri, nel posto piú povero, proprio per alleviare le sofferenze dei piú emargina .Le Ande come espressione di una fede che non c'é piú, cornice ad un popolo abituato ad un regime familiare e atavico. Durante il suo cammino mol giovani hanno seguito le sue orme. Mol si sono chies come tu o ciò sia stato possibile. La verità che ci sta dietro è semplice: é la fiducia nei ragazzi. Questo mondo me e i giovani in un po di vita dove sono obbliga a vivere: la scuola, gli hobby, la musica, le corse, la carriera. Quello che i ragazzi poi capiscono é che una vita cosi non va bene: c'é qualcosa che non li lascia tranquilli. La vita come una ruota, una corsa dietro l'altra, dove alla fine manca l'amicizia. I ragazzi si accorgono di questo. L'amicizia é qualche cosa che nasce dietro un ideale, non é un sen mento tra due persone. Quindi quello che Padre Ugo vede é proprio che ai ragazzi manca la vita, manca la vita perché manca l'amore, manca l'amore perché manca Dio. Il trucco sta nel dare fiducia ai ragazzi, quella fiducia che molte volte si fa fa ca ad acce are, cedendo il passo e il tes mone. In defini va se vuoi far crescere i ragazzi, devi dare loro fiducia, sopra ogni ragionevole dubbio: invitando i giovani a lavorare gratuitamente per i poveri, i ragazzi scoprono un'amicizia diversa, fa a di ges concre : scoprire questo po di amicizia é scoprire il cammino della Caritá. Dalla missione di Chacas in Perú Don Ugo scriveva le ere sorprenden . Fa i dovu salu e raccon , alla fine della le era magari chiedeva una macchina per fare i ma oni, una motosega, un tra ore per arare la terra, oppure chiedeva di par re per la missione. Non chiedeva qualcosa che aveva a che fare con il tuo lavoro. Le ere come quelle, le me in un casse o e le lasci lì a riempirsi di povere. Così ad un certo punto ritrovi in viaggio alla ricerca di un tra ore. Poi il tra ore lo trovi o magari te lo regalano e lo spedisci via container con altre a rezzature e viveri vari. La filosofia è sempre la stessa: fai un sogno, lanci l'avventura, qualche ragazzo si commuove e si lascia trasportare dallo slancio. Fare qualcosa per gli altri in modo completamente gratuito senza nessun tornaconto. L'operazione Mato Grosso (OMG), anche se avviata da sacerdo Salesiani, non ha però un'e che a religiosa. L'OMG non ha una sua stru ura giuridica, non c'é un presidente, non esiste un collegio dire vo; ci sono i gruppi forma dai ragazzi: sono liberi di scelgliere come lavorare per raccogliere fondi da des nare alle missioni. Vi chiederte chi comanda ? Nell'OMG non c'é un capo; in ogni gruppo, in ogni zona c'é un leader che gui58


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da i vari giovani, ogni leader si confronta con altri capigruppo, tu e queste persone cos tuiscono una rete di amicizie. L'OMG non avendo una stru ura giuridica, puó morire da un giorno all'altro se i giovani sme ono di impegnarsi per i poveri. L'OMG, non ha una sede in Italia, non ha un ufficio, una segreteria, tu o é fru o del volontariato pulito, limpido, senza essere una is tuzione. Ogni gruppo in Italia ha una sua sede , un suo bilancio annuale, un suo leader. Don Ugo indica di me erci l'entusiasmo nelle cose che si fanno; dopo di che la parte spirituale viene da sé. Viene perché poi alla fine certe domande quando sei in mezzo ai poveri dopo anni di lavoro, di sacrifici, di rinunce e di sconfi e, te le fai. Perché fai le cose? Perché fare fa ca? Perché spendere soldi, energie senza portare a casa niente? Perché rime erci tempo, lavoro, affe , amicizie, sudore, fa che, rinunce, sconfi e, sacrifici e fregature? Perché spenderci la vita? Qualcuno ci vedrà una via spirituale e qualcun altro un'occasione di altruismo; comunque vada, va nella direzione del bene. Alla base non c'è un proge o studiato a tavolino, ma la responsabilitá in cui ognuno viene chiamato in prima persona a spendere la propia vita per gli altri. In una società in cui pochi muovono le gambe se non per andare da casa a una scrivania, in cui il proprio corpo non è più considerato nel pieno delle sue possibilità, del suo saper fare, ma solo per quel che basta alla rou ne quo diana, per apparire, dove le capacitá sono tu e nell'intelligenza, nell'essere vincen , nel superare gli altri. Ecco che il cammino dell'OMG chiede di fare fa ca, fare sacrifici, di sporcar le mani, di me er al servizio degli altri, nel servizio impari il saper perdere, il voler bene senza tornacon , il sapersi sacrificare gratuitamente. L'entusiasmo é generato dal desiderio sincero di aiutare gli altri; la frusta per far andare è l'amore per i poveri e il desiderio di regalare la propria vita. Ai ragazzi in effe non viene proposto un proge o, ma solo di lavorare gratuitamente con altri giovani, come forma di aiuto per sostenere un amico in missione, l'amico si puó chimare Diego, Andrea, Marta, Nicola, Sofia, Giuliano, Anna, Elena, Luca, Daniele e tan altri. Ogni amico ha una storia e vive portando avan una parrocchia, una scuola bo ega, un oratorio, un rifugio. La proposta può essere semplicemente acce ata o rifiutata. Nel momento in cui il coinvolgimento avviene sarà la persona stessa che si renderà conto che può aderire a questa inizia va. Lungo questo sen ero sono sta realizza vari rifugi, qua ordici sparsi tra la Val Formazza, la Valle d'Aosta, la Val Camonica e Lago d'iseo e cinque in Perù: con la stessa filosofia vengono interamente ges in modo volontario e i proven vanno tu a sostenere i proge dell'Operazione Mato Grosso. L'insegnamento più profondo che Don Ugo ha lasciato all'Operazione Mato Grosso, è quello di fare qualcosa per gli altri e in modo assolutamente gratuito, senza tornacon 59


personali. Negli anni ha riassunto il tu o con delle parole chiave: la Caritá, la Gratuitá, il saper Perdere; alla fine questa vita vale la pena di spenderla “solo per cercare Dio”. Infa nel momento in cui l'aiuto viene pagato perde il suo significato e non si può più chiamare servizio gratuito. Se a questo si aggiunge che non ci sono né capi né coordinatori, ma solo una grande capillarità in cui i ragazzi si organizzano da soli, restando uni in una sorta di legame di amicizia con tu gli altri, allora si può comprendere più profondamente quanto questo insegnamento non solo sia auten co, ma funzionante. Anche i soldi sono ges dai ragazzi e alla fine di ogni anno vengono deposita in una cassa centrale per distribuirli alle varie missioni OMG a seconda dei bisogni. Tu i soldi che vengono raccol in Italia vengono utlizza per sostenere le opere avviate in America La na. I ragazzi che formano i gruppi OMG in Italia, durante i campi nei weekend o d'estate nei vari campi lunghi una o piú se mane, si autotassano con una quota che serve a coprire quanto consumano: questo a garanzia che tu o quanto verrà raccolto con le a vità del lavoro venga des nato interamente al sostengo delle missioni. Sono ormai cen naia i ragazzi, che si riuniscono nei gruppi in Italia, lavorando gratuitamente nei campi di lavoro di vario genere: nella costruzione e ges one dei rifugi, nella pulizia dei sen eri, del giardinaggio e del taglio della legna, nei merca ni dell'usato, nelle raccolte di uva, pomodori, arance o nella ges one dei rifugi e baite alpine. Mol di ques ragazzi, dopo un percoso di crescita, decidono di prestare servizio in Missione per sei mesi e spesso anche per tempi piú lunghi; anche in missione la formula vincente é il lavoro gratuito, senza tornacon . Alcuni numeri per avere un'idea concreta dei proge avvia in America La na: In Perú sono presen piú di qua rocento volontari tra Sacerdo , famiglie con figli e laici, che operano in 60 missioni tra la Sierra e la costa del Pacifico, impegan nella conduzione di scuole bo ega, oratori, coopera ve, due ospedali: uno a Chacas e uno a Yanama, lavori agricoli e produzione di formaggi. In Bolivia sono presen una quaran na di volontari, tra sacerdo , famiglie con figli e laici, che operano in 9 missioni, sull'al piano boliviano, impegna nella conduzione di scuole bo ega, oratori, coopera ve, lavori agricoli. In Brasile sono presen una cinquan na di volontari, tra sacerdo , famiglie con figli e laici, che operano in 12 missioni, tra le regioni del Tocan s, e del Mato Grosso, impegnanella conduzione di scuole bo ega, oratori, coopera ve e lavori agricoli. In Ecuador sono presen un cen naio di volontari, tra sacerdo , famiglie e laici, che operano in 17 missioni, tra la costa e la sierra ecuadoriana, impegna nella conduzione di scuole bo ega, oratori, coopera ve e lavori agricoli e la ges one di un ospedale a 60


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Zumbahua. L'OMG é una scelta di vita che cerca di scomme ere su ques ideali, proprio guardando al mondo che va male, e rendendosi conto che per cambiare questo mondo, ci vuole ben altro che le avventure, le sfide e l'aiuto ai poveri, anche se bisogna passare dai poveri per conver rsi. Cioé non basta aiutare i poveri per sen rsi a posto. No, bisogna conver rsi, cambiare ro a, cercare la strada giusta che va oltre i poveri. In defini va c'é da camminare, sudare, fare fa ca, soffrire e non sme ere di fare la caritá anche quando tu o ci appare inu le e senza senso. Trovare un senso alla caritá sarebbe come ragionare con la testa del mondo globalizzato, dove ad ogni azione corrisponde una reazione di rimando, un tornaconto. Quindi per razionalitá se fai il bene, prima o dopo devi aspe ar un risultato. No, la caritá pura, quella che s amo cercando di vivere é propio il contrario del ragionamento del mondo. La carità pura è solo regalare, dare la vita, dare tu o senza aspe arci nulla in cambio. Il cammino OMG se fa o con il cuore, inesorabilmente ci porta a me erci in ginocchio a pregare nel silenzio apparta : non serve andare nelle piazze a fare l'elemosina, non deve essere sbandierata la caritá. Se non c'é uno spavento nel nostro cuore, non ci si conver rá, non é una ques one di teologia. La vita di Gesú rimane l'unico esempio pulito da seguire. Arrivare a Gesú per cercare Dio; nel cammino si scopre il Vangelo. Senza accorger troverai sul cammino dell'AMORE, quello vero, quello sincero, quello pulito e tenero, come il primo bacio suadente che Maria ha dato a Gesú. Questa scelta di vita, ci induce a guardare con spavento questo mondo sempre piú feroce, che va male; la risposta piú concreta é dire NO al modo razionale e matema co di ragionare. Il tu o subito, il tu o a portata di mano, il perbenismo come una morte lenta; l'OMG dice il contrario: da da fare, fai qualcosa per gli altri, muovi , scomoda , ra su le maniche, fai fa ca, fai sacrifici, non arrender , non cercare risulta ; fá il bene, commuovi , lascia trasportare dai ragazzi: sono loro che possono aiutarci a vedere il cammino.

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Uno degli stemmi dell'Operazione Mato Grosso

Lo slogan degli inizi di quest'avventura giovanile Campi lavoro Operazione Mato Grosso

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Padre Ugo in Val Formazza

1989 - Padre Ugo alla festa dei Catechisti

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I rifugi della caritá I rifugi dell'Operazione Mato Grosso tracciano una via invisibile, eccola raccontata in queste pagine

Cosí scriveva Padre Ugo in una sua le era: Carissimi ragazzi, abbiamo costruito i rifugi Pisco, Ishinca, Huascaran con una intenzione sociale che abbiamo maturato in 30 anni di a vità educa ve condo e con migliaia di giovani (chiamiamo tali a vità ORATORIO DELLE ANDE). Tu i fondi (denaro e beni) che ricaviamo ospitando i turis nei Rifugi li u lizziamo, a raverso I'Operazione Mato Grosso, all'assistenza e alla cura degli anziani e dei più bisognosi della cordigliera, alla ricostruzione delle loro capanne in case, ad apportare migliorie alla col vazione delle patate... Dai pendii, dove col vano patate e cereali, i campesinos hanno visto passare una mol tudine di persone con zaini e abi colora . Che cosa trovano su quelle cime? Che cosa li a ra lassù? Mol di ques visitatori non calpestano i fiori ma passano sopra la povertà e le tradizioni della gente di qui. In molte occasioni non si rendono neppure conto della popolazione che vive alle pendici delle montagne che scalano. Guardo i nuovi visitatori (conquistatori) con gli occhi di ques campesinos e capisco, perchè anch'io amo la montagna. Qui si parla di “aprire nuove vie” sulle cime. . Non potranno aiutarmi ad “aprire una via” anche per i miei giovani figli di contadini, che per guadagnarsi il pane fuggono a Lima in cerca di un futuro incerto ? Padre Ugo de Censi Puó sembrare un racconto anacronis co, questa avventura giovanile in montagna. Quella che per mol poteva sembrare un'utopia, per i ragazzi OMG si é trasformata in una sfida d'altri tempi. Una sfida lungo la parete piú difficile della vita, una via impossibile se percorsa solo con la forza bruta o con l'ardore della conquista. 64


9 Ci voleva qualche cosa in piú, la linfa per far par re questa cordata a cuor leggero; l'ha innescata Padre Ugo, con quella frusta, come la definiva lui che é l'amore per i poveri e il desiderio di caritá trasmesso ai giovani. Cosí un gruppo di ragazzi decisi, negli anni '70 ha dato vita ad un modo di interpretare l'andare in montagna, con l'intenzione di costruire il Rifugio “Claudio e Bruno” in Val Formazza. Il tu o fa o, con mezzi leali, senza l'uso di elico eri, solo appoggiandosi alle spalle di ogni ragazzo e alla sua forza di volontá. Un'emulazione di come si sono costrui i monumen an chi. Una vera rivoluzione nel modo di concepire l'approccio alla montagna. Nel nostro mondo moderno, dove anche le montagne sono dei tabú, dove ció che conta é aver aperto una via nuova, aver superato un ostacolo sul 8+ o aver raggiunto l'Everest; i ragazzi dell'OMG ancora oggi cercano di trasme ere un messaggio di lealtá e caritá rivoluzionario. Non solo una prova di tenacia spor va e tecnica, ma una vera sfida dell'amore che valica i confini delle montagne, dalle Alpi fino alle Ande. Quando si incontrano i ragazzi volontari che ges scono i rifugi OMG in ITALIA o in Perú si respira un'aria diversa, leale, fresca e spontanea. Con il desiderio non di far risaltare le do tecniche e fisiche di chi ama la scalata, l'arrampicata e l'esplorazione, ma invitando ogni montanaro ad aprire gli occhi sulla povertá che spezza i cuori e apre la mente su un tema tanto “ignorato” nella nostra vita frene ca. Nel corso degli anni l'esercito della caritá composto da ragazzi e uomini, ha costruito e ges to diversi rifugi alpini e andini, alcuni di ques sono di propietá del CAI, altri Comunali e alcuni sono di propietá delle associazioni che fanno capo all'Operazione Mato Grosso. Ogni rifugio é stato costruito o ristru urato con il lavoro gratuito da cen naia di volontari. Ogni rifugio ha una sua storia, che andrebbe raccontata nei de agli, alcuni fin dal sogno dalla sua realizzazione; altri sono sta ristru ura e di alcuni ci é stata affidata la ges one e manutenzione grazie ad accordi con Comuni o con il Club Alpino Italiano. L'intero ricavato di tu ques rifugi va interamente devoluto per sostenere le missioni dell'Operazione Mato Grosso in America La na. Una sorta di cordata della Caritá. In ques rifugi, assapori non solo la prelibatezza dei cibi cucina con amore, ma sen il profumo della lealtá, bontá e caritá, un vento fresco che arriva dalle Ande. Camminando in montagna, lungo i sen eri tra la Val Formazza, le valli Grisanche e Val du Merdu, lungo vari sen eri della Valle Camonica, sul lago d'Iseo o sul lago di Como e ai piedi delle Orobie Bergamasche, trovi vari rifugi ges dai ragazzi dell'OMG con uno spirito nobile e leale ben piú alto di ogni ve a. I ragazzi dedicano i weekend e se mane intere alla ges one con un'o ca totalmente solidale; si pagano il viaggio e si autotassano, lasciando nella cassa del rifugio ogni moneta seppur piccola che possa essere una goccia nell'oceano della Caritá. Mol gestori hanno partecipato da giovani al gruppo OMG e 65


quindi la ges one del rifugio diventa una conseguenza al cammino fa o nel gruppo, come una sorta di maturazione spontanea. Altri giá da adul intraprendono la strada della ges one, e iniziano questo cammino di servizio. Vari sono i gestori che hanno poi maturato la decisione di andare in America La na per prestare servizio di volontariato per tempi piú lunghi. Nei rifugi non mancano i momen di condivisione, di scambio di esperienze, di raccon di vita, e di serate dedicate alla riflessione spontanea. Sono ques i momen in cui si riesce a trovare spazio per fare silenzio; giá i luoghi apparta dei rifugi aiutano, ancora di piú quando si é isola da tu o. I rifugi in montagna sono ancora oggi un collante per i giovani. In un ambiente tech e con una forte dipendenza da tu o ció che é internetconnesso, la vita del rifugio sembra essersi fermata nel tempo e la bellezza del sen rsi isola é la grande conquista che perme e di parlare al cuore dei ragazzi. Ragazzi che scappano dagli oratori, dalle parrocchie, che riempiono le piazze, i bar e le discoteche; cadu nella morsa moderna della connessione che provoca solo maggior isolamento dal mondo reale. Ci siamo resi conto negli anni che quello di portare in montagna i ragazzi é ancora la forma migliore per poter parlare al loro cuore, per poter conoscersi meglio; durante il trasporto a spalle delle ve ovaglie, il sacrificio, il sudore della fronte, le mani sporche di fango e le serate so o le stelle. Questo clima di amicizia naturale, privo di mezzi tecnologici, ci perme e di trasme ere il messaggio della Caritá come s le di vita, tes moniando l'avventura di dedicare la propia vita a favore dei poveri. La natura é vista come parte della nostra vita quo diana, non come parentesi delle ferie es ve o invernali; é la porta di accesso che ci perme e di parlare al cuore dei giovani. Valori veri e leali; auten ci s li di vita, tes monia dalle scelte di mol volontari che hanno fa o della loro vita uno strumento di aiuto al prossimo, donando se stessi al servizio dei poveri “campesinos delle Ande” . Potrei fermarmi a raccontare la storia della costruzione del Rifugio “Claudio e Bruno”, del Rifugio “Tre A”, in Val Formazza, della ristru urazione del Rifugio “Laeng” o della storica costruzione del Rifugio “Torsoleto”, dove iniziammo il campo di lavoro con poche cose, ma con l'entusiasmo delle imprese epiche. Ques raccon sono perle di rara bellezza; ripercorrono la vita e i desideri di tan ssimi ragazzi che mossi da un ideale hanno saputo spostare le montagne. Nei primi anni '90 decisi di avventurarmi su altre montagne; sen vo che bisognava trovare altre avventure con i ragazzi. Mi misi a cercare un luogo dove poter con nuare a vivere quello che in Val Formazza avevo assaporato per anni. Era fine agosto del 1992, mi trovavo a Schilpario e comprai una mappa del Pizzo Camino. Guardai la mappa con Angelo (mio fratello), vidi che era segnato un bivacco proprio dietro il pizzo Camino; organizzai di andare a vederlo in giornata. Era un martedí. Par mmo da Schilpario al ma no, arrivammo a Borno, poi su di corsa verso il lago di Lova: camminammo lungo la strada silvo-pastorale, poi ancora piú su lungo il sen ero che porta alla conca di Varicla. Arriva sul dosso, vidi da lontano il Bivacco 66


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“Laeng”: un'immagine quasi dormiente, lá incastonato in quella conca contornata da una silenziosa roccaforte rocciosa che guarda a valle e spazia fino ai mon del Maniva e oltre. Il posto era bellissimo, mi innamorai e mi mossi per capire di chi fosse questo bivacco. Non ci volle molto a scoprire che era del CAI di Bienno dove c'era come socio Ba s no Bonali, forte alpinista della Val Camonica, tornato l'anno prima da una spedizione all'Everest dove era stato uno dei principali protagonis . Infa aveva raggiunto la ve a dell'Everest (8848 mt.) appoggiandosi ai campi al alles da Giuliano De Marchi e Fausto De Stefani, senza l'uso di bombole d'ossigeno. Alcuni giorni prima era intervenuto a 8000 metri proprio in aiuto di Fausto De Stefani colpito da embolia, ormai esausto. Dopo qualche giorno Ba s no aveva chiesto il permesso al capo spedizione Oreste Forno, di lasciargli tentare la scalata. Il 17 maggio 1991 con Leopold Sulovsky raggiunsero la ve a dell'Everest salendo dalla parete nord, senza portatori e senza uso di ossigeno, modificando la via degli australiani Tim Macartney-Snape e Greg Mor mer. La via seguita si sviluppó lungo il Great Couloir (Norton), superato per la prima volta integralmente in quella occasione (fascia rocciosa di 80 metri a 8400 m con difficoltà di 5º grado). Sará Leopold a sca are quella bellissima fotografia di Ba s no in ginocchio con in mano il gagliarde o con scri o “GRAZIE DIO” in ve a all'EVEREST, una immagine che non ha bisogno di commen . Nel 1992 telefonai a Ba s no per capire se era possibile concre zzare con il CAI una sorta di simbiosi, dove la ges one del Bivacco “Gual ero Laeng” fosse affidata ai giovani dell'Operazione Mato Grosso e gli introi des na a favore delle nostre missioni in Perú; l'idea piacque molto a Ba s no. Pochi giorni dopo ci incontrammo a Bienno una sera di se embre (1992), in una piccola sale a. Eravamo in mol ; io e l'amico Ivano Taini spiegammo quello che avevamo in mente di fare con il Bivacco Laeng. I soci del CAI azzardarono varie ipostesi e qualche perplessitá, poi Ba s no che era nell'angolo opposto della sala, disse “se questo Bivacco sará ges to dai ragazzi OMG aiuteremo i poveri del Perú” ... le sue parole furono ascoltate e ci fu una corale acce azione. Ricordo che poi scesi nel bar a guo a bere un caffé con Ba s no. Al bar mi annunció che pensava di organizzare una spedizione in Perú “Huascaran 1993” e aveva in mente di ripetere la via Casaro o lungo l'imponente parete Nord del Huascaran. Sapevo che Renato Casaro o aveva aperto quell'impressionante via in solitaria nel 1977 impiegando 17 giorni. Fu un'impresa epica, dai risvol inaspe a ; Renato Casaro o é stato un grande alpinista solitario. La lunga storia di Renato si spegne tra le nevi eterne dell'Himalaya, ma il suo cuore con nuerá a ba ere nella vita di tan giovani che dietro di lui hanno sognato un modo di interpretare l'alpinismo con mezzi leali. 67


Durante i prepara vi alla spedizione Huascaran 1993, Ba s no Bonali mi chiese se conoscevo qualche cima sulle Ande, per fare un buon acclimatamento. Gli risposi che il nevado Illimani in Bolivia poteva essere una bella prova di forza. Solo dopo la tragedia, seppi che Ba s no con la sua spedizione era andato in Bolivia sul nevado Illimani e che aveva iniziato il suo acclimatamento lassú; ho sempre pensato “che strano intreccio di vite”. Conoscere Ba s no e Alice al Colombé nel 1990, poi ritrovarlo dopo la sua impresa sull'Everest, nel 1992 per il Bivacco “Gual ero Laeng”. Sapere che era andato in Bolivia come gli avevo suggerito. Che strano intreccio essere in Val Formazza l'8 agosto quando é successa la tragedia della caduta di Ba s no e Giandomenico sulla Nord del Huascaran, e ancora il mio impegno fortemente voluto per costruire il Rifugio “Torsoleto” (2390 mt.) in loro memoria. Il nostro par re per il Perú e fondare la Escuela de Guias sulle orme di Ba s no. Con nuo a pensare e non trovo altra risposta che questa “NON É UNA CASUALITÁ, FORSE C'É UN DISEGNO PIÚ GRANDE CHE NON VEDO E NON SENTO, LA VITA MI E' STATA PRESA PER MANO”. Nell'estate del 1993 incominciammo con la ristru urazione del Bivacco Laeng; sognai e mi imbarcai con alcuni amici in questa avventura. Passai l'intera estate a rime ere in sesto il Bivacco per renderlo fruibile al pubblico. A fine luglio venne Ba s no ad inaugurare il nuovo “RIFUGIO LAENG”, proprio alcuni giorni prima di par re per la spedizione “Huascaran 1993”. Ricordo che alla cerimonia di inaugurazione del Rifugio Laeng, ci scambiammo dei ricordi: io gli regalai la maglie a del Rifugio Laeng che avevamo fa o stampare e lui ci diede la cartolina della spedizione alla parete Nord del Huascaran. Il tu o con grande emozione da parte di tu . Poco dopo la spedizione “Huascaran '93” par va alla volta del Perú. Al Bivacco Laeng i ragazzi salivano a lavorare, c'era un clima allegro e coinvolgente. Ognuno raccontava ciò che provava nel lavorare in montagna lontano dalle comodità; il ritornello era intenso: “vorrei che questo Rifugio restasse sempre piú fuori dal mondo, dove il sen ero per arrivarci diven il sen ero della nostra vita” Alcuni amici hanno scri o dei bellissimi ricordi sul diario del Rifugio Gual ero Laeng. 24/08/1993 Non é stato facile dire con poche parole tu o quello che ho vissuto in questo periodo di permanenza al Laeng per la ges one...le immagini e i ricordi di persone e di fa sono tan ormai...le sensazioni e le impressioni sono innumerevoli....La prima cosa che mi ha impressionato maggiormente é stato vedere tan giovani percorrere i sen eri di montagna: é stata per me una bella scoperta dal momento che pensavo che i ragazzi non amassero piú la montagna...vederli salire, incontrarli durante le loro serate in rifugio; parlare un pó con loro mi ha permesso di scoprire che i giovani, salendo verso l'alto, sono alla ricerca di qualcosa di grande e di bello per la loro vita...saremo capaci di aiutarli in questa loro ricerca, in questo loro 68


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camminare? Riusciremo a farli innamnorare del nostro sogno; saremo in grado di voler loro bene? Si legherá qualcuno in piú ai poveri e all'OMG ? Sono domande che mi sono posta spesso in questo periodo. Man mano che passavano i giorni scoprivo che bisognava trovare il giusto equilibrio tra fare bene le cose e prestare a enzione alle persone, accogliendole bene e facendole sen re a loro agio. Nonostante ció, qualcuno é passato lo stesso inosservato o senza che io gli prestassi le dovute a enzioni...chiedo scusa di questo !!! Un altro aspe o della vita di ges one che mi é piaciuto é stata la precarietá di ogni giorno; non sapere mai per quante persone preparare il pranzo, veder arrivare tanta gente, quando non si aspe ava nessuno, dover ricominciare da capo, quando si pensava di aver giá finito tu o. In questa precarietá ho scoperto che non ero al rifugio per me o per le mie realizzazioni personali, ma ero qui per fare un servizio ai poveri...mi sono sen ta piú vicina ai tan amici in missione (Padre Ugo, Claudio e Luisella, Peppo e Adriana, Gual ero e Laura etc..) che vivono ogni giorno questa precarietá e che lasciano che la loro vita venga guidata dal bisogno dei poveri e dal desiderio di fare ogni momento dei ges di caritá...ho avuto anche la possibilitá di rifle ere sulla precarietá di tu a la nostra vita; questo é un bel regalo che abbiamo ricevuto da DIO, dipende da Lui e non da noi (nonstante che noi pensiamo di avere il mondo nelle nostre mani e di fare e disfare come vogliamo) e ci puó essere tolto da un momento all'altro quando meno ce l'aspe amo !!! Non possiamo perdere tempo, dobbiamo vivere intensamente ogni momento della nostra vita, sempre tenendo presente il fa o che non ci salviamo da soli, che dobbiamo tendere la nostra mano agli altri, a Gesú per farci aiutare nel nostro cammino verso il Signore. A dare maggior significato a tu o questo é intervenuta la vicenda di Ba s no e Giandomenico; prima lo sgomento quando riceve la no zia, poi la speranza che tu o potesse risolversi al meglio, infine il doloroso ritrovamento, ed ora l'a esa del ritorno a casa delle salme. E' stato tu o un miscuglio di domande ed interroga vi, di speranze e di preghiere, di silenzi e di sbigo men , di pensieri rivol a ques ragazzi dispersi fra le montagne, alle loro famiglie, ai ragazzi dell'OMG che sono in Perú, ai ragazzi dei taller...tante volte il silenzio parlava di piú delle parole e ci aiutava a sen re piú vicine le persone che provavano il nostro stesso stato d'animo...quale montagna staranno ora scalando Ba s no e Giandomenico ? Speriamo di si...sento di non essere la stessa Dade che é salita il 23 giugno...sento che questo rifugio e queste montagne mi hanno aiutato tanto e mi hanno arricchito...mi auguro proprio che anche altri ragazzi possano trovare qui quello che ho trovato io....mi auguro di poter aiutare qualcuno a trovare qui il senso della sua vita....grazie a tu quelli che mi hanno aiutato in questo periodo...tan auguri a chi passerá di qui... Adelaide Simoni

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Dal diario di Ivano e Maria Chiaf (alcuni anni dopo) 29/07/1995 E cosí anche quest'anno é finita questa se mana al Laeng. L'anno scorso ero da solo, quest'anno di diverso c'é che sono qua con mia moglie Maria. Per noi é stato un pó iniziare la nostra vita insieme in uno s le che vorremmo fosse per la nostra vita. Per noi é stato bello, speriamo di essere riusci a dire qualche cosa ai ragazzi, cioé che é a raverso il sacrificio che nella vita si arriva in alto, non so se ci siamo riusci , lo dirá il tempo in avan . Intanto ciao, scrivo di fre a perché giá s amo scendendo. Speriamo che la mia vita ci perme a di tornare il prossimo anno con il desiderio di puntare sempre in alto. Vorrei che fosse sempre un desiderio grande di dare via e voler bene, come in ques giorni. L'8 agosto 1993 - ahimè Ba s no e Giandomenico cadranno tragicamente sulla parete Nord del Huascaran con l'intenzione di “salire in alto per aiutare chi sta in basso”. Le ricerche si prolungarono per quindici lunghi giorni; dopo una ricerca estenunante furono trova i loro corpi ancora lega tra loro ai piedi dell'imponente parete nord del Huascaran. I corpi lacera dormivano sul bianco mantello delle nevi eterne. Lo spe ro della morte aveva ge ato la sua grande ombra sulle Ande e nei nostri cuori. Questra tragedia sulla ripe zione della Via Casaro o non poteva essere dimen cata, subito pensammo che bisognava fare qualche cosa per ricordare Ba s no e Giandomenico, con alcuni amici mi trovai a casa di Adele e Giorgio Cemmi a Darfo B.T. (BS). Nacque l'idea di costruire un Rifugio da dedicare a loro: era l'autunno del 1993, io, Felice Giacomelli, Luca Gulber , Roberto Pozzi e Massimo della Vallecamonica, par amo con una jeep campagnola, verso il passo del Vivione, spar acque tra le province di Brescia e Bergamo, deviamo a destra nel paesino di Paisco Loveno, poi dentro la Val di Scala, saliamo per circa tre ore a piedi, addentrandoci nella valle largone, raggiungiamo i ruderi di una vecchia postazione militare della Prima Guerra Mondiale. Subito pensiamo che quello sia il posto giusto per costruire il rifugio in memoria di Ba s no e Giandomenico; davan a noi osserviamo la Catena della Concarena e spostandosi poco piú in lá si intravede il ghiacciaio dell'Adamello. Basta poco per infiammarci di entusiasmo e di buone intenzioni. Nell'inverno del 1993 con Adele, Giorgio e Derrik prepariamo una serie di diapomontaggi sulla vita di Ba s no e Giandomenico; il tolo é subito trovato “GRAZIE MONTAGNA”. Organizziamo una serie di incontri in varie zone d'Italia dove presentare e raccogliere consensi sul proge o del nuovo Rifugio Torsoleto. Andiamo da una regione all'altra senza fermarci, tra serate, incontri e campi di lavoro; l'invito é iniziare i lavori nel maggio del 1994 partendo dalle Malghe Basse in Val di Scala, poi vedremo. Ricordo alcune serate bellissime, con sale stracolme di ragazzi curiosi. Non mancavano i dubbi; cosa sta succedendo nell'OMG ? Come mai volete costruire un rifugio in Val Camonica, non bastano i Rifugi che abbiamo in Val Formazza ? C'é da camminare tre ore, ma voi siete ma , 70


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non ce la farete, troppi pesi da portare, troppa fa ca. L'entusiasmo era piú forte di ogni dubbio che veniva sollevato. Al momento delle diaposi ve l'aria si faceva silente, non volava una mosca, par va la le ura di GRAZIE MONTAGNA per avermi dato lezioni di vita, perché fa cando ho appreso a gustare il riposo, perché sudando ho imparato ad apprezzare un sorso di acqua fresca, perché, stanco, mi sono fermato e ho potuto ammirare la bellezza di un fiore, la libertá del volo di uccelli, respirare il profumo della semplicitá, perché solo immerso nel tuo silenzio, mi sono visto allo specchio e spaventato ho ammesso la mia necessitá di veritá e amore, perché soffrendo ho gustato la gioia della ve a percependo che le cose vere, quelle che portano alla felicitá, si o engono solo con fa ca e chi non sa soffrire, mai potrá capire. Ba s no Bonali Poi TELEVISORE MALEDETTO. Giovedi 18 luglio 1991, ore 20:30 Cinema Garden: serata ufficiale spedizione Everest. Sono sul palco, prendo in mano il microfono e dico: “prima di parlare é meglio vedere le immagini”. La sala stracolma di gente esplode in un applauso for ssimo; sono commosso, forse hanno capito. “Sme amola di parlare; si parla sulle strade, si cri ca sui giornali, si discute in televisione ma ci troviamo in un mare di guai. Dobbiamo, il primo sono io, chiudere un pó la nostra boccaccia e me erci a lavorare, a sporcarci le mani”. “Sporcarsi le mani” vuole dire semplicemente partecipare alla vita della sezione, donando parte del proprio tempo e delle proprie capacitá agli altri, per esempio organizzando una gita magari per i piú giovani o ripris nare alcuni vecchi sen eri di montagna. “Sporcarsi la mani” vuol dire aiutare chi sta peggio di noi, e a volte basta poco: fermarsi quando si ha fre a (ma per andare dove ? e per chi ?) a chiacchierare con un anziano, a giocare con i bambini, a visitare chi é ammalato. Fare come l'OMG, dove si lavora gratuitamente per dare tu o il ricavato ai poveri, vedi la ges one del rifugio Colombé. “Sporcarsi le mani” significa me ersi a disposizione degli altri perché si ha bisogno degli altri; – “sporcarsi le mani” é facile, lo possono fare tu con il piú piccolo gesto o con quello piú grande di donare la propria vita ai poveri come ha fa o Padre Ugo, fondatore dell'OMG. “Sporcarsi le mani” é andare 71


controcorrente: costa fa ca piú che scalare l'Everest, ma se vogliamo recuperare tu quei valori tanto discussi in ques giorni, come l'onestá, dobbiamo farlo –. Per concludere e per non chiacchierare troppo, spegnamo il televisore, s amo piú in silenzio, usciamo di casa per fare qualcosa di concreto ricordando che non si arriva in cima a una montagna se non ci si me e a camminare in salita”. Infine le riflessioni ritrovate sul Monte Sossino proprio sopra la valle di Varicla dove stavamo ristru urtando il Bivacco Gual ero Laeng. Caro Gesù, stammi vicino, guidami nel mio cammino, fa che ogni salita sia un'occasione per contemplare e adorare la bellezza della natura, fa che sia un momento di preghiera. Ti prego resta con me in ogni mia scalata, che tu sia il mio amico, il mio punto di riferimento, perchè senza di te, Gesù, il mio andare non ha senso. Caro Gesù, ora che sono solo su questa bellísima cima, dove i miei occhi possono vedere tu o, aiutami a dimen care il mondo, l'egoismo, l'odio, la ricerca del denaro, del successo. Purificami, fa che l'aria che respiro mi riempia di voglia d'amore, fa che il sole che mi illumina mi riscaldi il cuore al punto di sapermi sciogliere quando davan a me qualcuno mi chiede aiuto. Rendimi libero Vorrei piangere, commuovermi di fronte a questo spe acolo, urlare di gioia, urlare che Gesù è l'unica vera salvezza. Ti prego Gesù di aiutarmi a piangere perchè so che solo cosí tu mi parlerai. Ba s no Bonali Monte Sossino 26-12-1992 Queste parole chiudevano il cerchio ad ogni perplessitá; alla fine si doveva andare...dovevamo par re...sen vamo che ce l'avremmo fa a contro ogni calcolo matema co che ci diceva di u lizzare i voli in elico ero e gente specializzata nelle costruzioni in alta quota. Eravamo dispos a tu o pur di iniziare la costruzione. Avevamo iniziato a fabbricare i bas ni in legno; poi negli anni successivi, per la costruzione di altri rifugi sia in Perú che in Italia, il legno ha lasciato il posto a portan ne in alluminio leggero e compa o. Queste portan ne furono la nostra ancora di salvezza, perché ci perme evano di trasportare carichi pesan fino a 40 chilogrammi, ben distribui e “comodi” da trasportare. Il peso e la fa ca non venivano sconta dai bas ni; quella rimaneva come parte del lavoro sudato in alta quota. Una carovana di ragazzi da tu a Italia componeva il quadro dei trasportatori, cioé di quei ragazzi che non essendo falegnami, muratori, ele ricis , venivano 72


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impiega nel trasporto di cemento, sabbia, ma oni, travi, legname, ferro e tu o ció che puó servire per costruire un rifugio a piú di 2300 metri, a due passi dal cielo. Andare e tornare in giornata anche cinque, sei, se e volte era la sfida quo diana di alcuni for e abili ragazzi; li vedevo correre come caprioli, vivevano una sfida; se un ragazzo aveva fa o qua ro traspor il giorno prima, quello era il record da ba ere il giorno dopo. Era così che la "frusta dei poveri" u lizzata in Val Formazza, si riproponeva anche qui. Che bello vedere poi il rifugio venir su poco a poco, passo dopo passo, era come vivere la sfida della scalata all'EVEREST. Tracciare una via maestra nella vita dei ragazzi. A nostra insaputa stavamo cambiando il metodo di impostare i campi di lavoro. Non solo per raccogliere soldi subito per i poveri, ma ipotecando il lavoro di due, tre anni per poi avviare la ges one di un Rifugio come fonte di ingressi da des nare ai poveri. Non c'era solo la Val Formazza ad entusiasmare i giovani; adesso c'era anche il Rifugio Torsoleto in Val Camonica. Nel 1994 incominciamo i campi di lavoro al Torsoleto. Il primo anno sistemiamo le malghe basse e quelle alte in Val di Scala. Dal 1995 iniziamo la costruzione del Rifugio vero e proprio. Una vera epopea; i ragazzi venivano a cen naia da tu a Italia. La stazione di Paisco Loveno era il crocevia tra chi arrivava e chi par va con il treno, lungo l'an ca ferrovia Brescia – Edolo. Poi con un pulmino o a piedi si saliva lungo la valle fino a raggiungere la strada sterrata che entra in Val di Scala. Ho passato vari mesi, condividendo sogni e emozioni, con Dario e Fabio Chiminelli. A loro volta portavano amici e persone che aiutavano; vari amici della Valle Camonica, sprona da Felice Giacomelli, salivano a turno per dare una mano concreta. Un susseguirsi di muratori, idraulici, ele ricis , imbianchini, falegnami e semplici manovali si sono da il cambio per qua ro lunghi anni. I ragazzi arrivavano da tu a Italia a cen naia; in luglio e agosto il campo superava i cento ragazzi a se mana, si dormiva alla bell'e meglio con i materassi per terra, in un mix di coperte e sacchi a pelo. Nel 1995 vennero anche Verdiana e Andrea Nori (appena sposa ) per un mese; passammo insieme un bellissimo periodo; a turno in cucina c'erano le intramontabili Adele, Jessica, Marina, Noemi e Silvia. Andrea e Verdiana poi sono par per la missione e ancora oggi ges cono in forma molto discreta, a enta e familiare la casa centrale dell'OMG in Perú a Lima. Il fiume di ragazzi era ininterro o. Questa era un'avventura epica, fuori dai soli campi di lavoro che fino ad ora si vivevano nell'Operazione Mato Grosso. Avevamo iniziato come per gioco l'avventura della ristru urazione del Bivacco Laeng e subito c'era arrivato tra capo e collo il rifugio Torsoleto da costruire fin dalle fondamenta. Eravamo talmente gasa che superavamo gli ostacoli con molta agilitá pur di dar vita al sogno di poter costruire un rifugio in alta montagna nel ricordo dei nostri amici. Ricordo come il papá e la mamma di Ba s no vivevano questa avventura come se stessimo costruendo la loro casa. Chiedevano no zie e appena potevano salivano a vedere l'avanzamento dei lavori. Tu a la valle Camonica e la Franciacorta 73


furono toccate dal vento entusiasta di questo campo di lavoro. Anche i ragazzi del gruppo OMG di Rodengo Saiano: Andrea Manziana, Emanuela, Alberto, Paolo Abrami e Diego Belo si unirono subito in questa impresa epica. Di ragazzi ne passarono tan ssimi. Ricordo il gruppo della Elizabet arrivato dall'Olanda; erano una ven na di ragazze. Quella fu una se mana dove le mo vazioni del campo andavano di pari passo con la bellezza delle Olandesi. Passai tre esta consecu ve tra traspor , ve ovagliamen e costruzione vera e propria. Eravamo riusci a piazzare anche una piccola teleferica, tra le malghe basse di Val di Scala e i laghe della stessa valle. Facevamo arrivare i materiali (ma oni, sabbia, cemento e ferri) dalla strada sterrata fin sopra i laghe , spezzando il duro trasporto in quota; dai laghe in poi si trasportava tu o a spalle. Invece di tre ore abbondan ne impiegavamo un paio, per cui si riuscivano a compiere piú traspor in un solo giorno. Nell'ordine anche di 6/8 viaggi al giorno, tra i piú for . Si par va la ma na presto lungo il sen ero che dalle malghe alte in Val di Scala a quota 2000mt portava fino ai laghe . Il luogo era panoramico: camminavamo lungo un sen ero contornato da rododendri; ogni tanto sbucava una stella alpina. Per rigore nessuno le toccava. Alcuni di noi appassiona di fotografia, si fermavano varie volte a fotografare il massiccio della Concarena che avevamo davan , imponente massiccio grani co. Piú a nord si intravede il ghiacciaio dell'Adamello. Guardando verso il fondovalle, si intravede il Pizzo Badile. Concarena e Pizzo Badile stanno uno di fronte all'altro, due volte all'anno durante gli equinozi, si incontrano le loro immagini grazie a un gioco di luci. Tu o é uno spe acolo di colori, di contras tra l'azzurro del cielo, le nuvole e il verde dei pascoli. Ogni tanto incontravamo delle marmo e curiose: che emozioni. Velocissime nel mime zzarsi; non c'era il tempo per immortalarle, sgusciavano fra le rocce e, saltando qua e lá in una sorta di balle o d'alta quota. Non ci stancavamo di lavorare a ornia da tanta bellezza. E ancora dopo aver incrociato i laghe della Val di Scala, salivamo leggermente fino all'a acco della teleferica. Da qui caricavamo i nostri bas ni o zaini, con ma oni, cemento, ferri, casseri, sabbia e par vamo in una sorta di compe zione leale. Su e giú tu o il giorno, fino a sfiancarsi; poi la sera intorno al fuoco a raccontarci i sogni. La cornice di questa vallata era fantas ca, selvaggia, pura e incontaminata. Nessun turista passava di lí ; eravamo liberi come caprioli. Se ci fermavamo, subito venivamo assali dai dubbi: ma ci sará turismo qui al Torosleto? Come faremo per la ges one? Alle domande le risposte vennero da sé negli anni a venire. Grazie all'impegno di tan gestori, amici e simpa zzan dell'OMG questa valle si è trasformata in una culla per gli aman del trekking e delle traversate. Le serate erano sempre intense e le riflessioni molto sen te e sincere; la natura e il silenzio credo siano sta gli ingredien migliori per la buona riuscita di questo campo. Non mancavano le tes monianze degli amici di Ba s no e Giandomenico, che ogni se mana salivano alle malghe alte per raccontare e rifle ere sulla vita, la tragedia e i loro scri . Man mano che costruivamo il rifugio mi rendevo sempre piú conto che questa storia non sarebbe piú stata 74


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dimen cata. Il Rifugio Torsoleto sarebbe stato nei secoli a venire l'unico tes mone vivo della vita di ques amici e con loro, la nostra vita aveva posto un sigillo alla storia. Ancora oggi chi passa dal Rifugio a distanza di circa 30 anni puó ancora respirare il profumo della semplicitá, della natura, dell'amore che parla a ravero le cose ben fa e. Dell'accoglienza di chi passa anche solo per riscaldare il suo corpo e inaspe atamente si accorge che ne giova anche l'anima, il silenzio e la natura, conservano gelosamente i valori piú auten ci in una mescolanza fa a di aria rarefa a e natura selvaggia. In poco piú di qua ro anni abbiamo costruito il Rifugio Torsoleto sui ruderi di una vecchia postazione di caccia a quota 2390 metri con la sola convizione che questo “salire in alto per aiutare chi sta in basso” potesse con nuare a vivere nel cuore di ogni uomo. L'avvicendarsi degli anni di ges one é una storia che con nua, grazie alla perseveranza di Silvia, Francesco, Annibale, Enzo e tan altri amici. Nel nome della fedeltá ai poveri e dell'amore ai giovani che cercano nel silenzio di questo rifugio una dimora dove rifle ere sul senso della propria vita. Silvia e Francesco salgono ogni anno fin quassú dove un esercito di giovani ha voluto lasciare un segno indelebile. Mentre stavamo costruendo il Rifugio Torsoleto, scrissi a Padre Daniele Badiali (musicista e compositore) parroco della Parrocchia di San Luis sulle Ande Peruviane. Gli chiesi se poteva scriverci una canzone per animare i campi di lavoro al Torsoleto. Dopo poco mi mandó il testo, scri o e musicato. Lo ascoltai, ma la canzone non era secondo le mie aspe a ve per animare il campo. Cosi lasciai le era e testo nel casse o di casa. Ritrovai il tu o alcuni anni piú tardi, dopo la morte di Daniele. Ascoltandola capii il valore che questa canzone avrebbe avuto nel cuore dei ragazzi. Cosi decisi di rendere pubblico il testo e le note. Ecco il testo originale scri o da Padre Daniele Badiali. Oggi questa canzone viene cantata dai ragazzi OMG. É stata trado a anche in spagnolo. Ogni volta che la sento cantare mi commuove, ripercorro la storia, le parole di Daniele, la musica, il nevado Huascaran. La tragedia di Ba s no e Giandomenico, il sangue versato da Giulio e Daniele e quel “li ritroveremo vivi” che suona come una speranza intramontabile per tu noi. A noi non resta che andare per altri orizzon , cercando nuove vie da aprire per altri ragazzi in cerca di un sogno vero.

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Una traversata avventurosa tra Pizzo Camino e il Bivacco Val Baione Durante la sistemazione del Bivacco Laeng, in una se mana di agosto inventammo con i ragazzi del campo una traversata, l'idea era par re il venerdi e incontrarci al bivacco Valbaione con un gruppo di ragazzi del Rifugio Colombé che stavano facendo una se mana di campo scuola con Luca Bergamaschi. Ci accordammo via radio, con me c'erano Tranquillo Alghisi e altri giovani Bresciani. Par mmo presto al ma no. Dovevamo raggiungere in giornata il bivacco Valbaione; sulla mappa sembrava tu o semplice, invece ahimé le cose cambiarono rapidamente, giun sulla sella del monte Sossino, ci accorgemmo che bisognava ridiscendere per trovare una via piú sicura. Abbiamo deciso di scendere per varie cen naia di metri, fino ad incrociare i riuderi di una vecchia malga in disuso; siamo entra a curiosare, poi abbiamo ripreso il cammino in direzione nord, non avendo né bussola né mappe. Andavo a naso, a spanne; la direzione era giusta, ma il cammino bisognava inventarselo passo dopo passo; dopo varie ore che camminavamo tra erba alta, arbus e sterpaglie, ci trovammo di fronte a un dirupo che da lontano ci perme eva di vedere il sen ero che da Lozio porta al Bivacco Val Baione. Questa era l'unica via d'uscita; contrariamente saremmo dovu scendere fino a valle e risalire tu o il versante della montagna, ammesso che non ci fossero state altre sorprese. Ci guardiamo in faccia, l'un l'altro e decidiamo di scendere dal dirupo, ma é molto scosceso, per cui dobbiamo legarci in qualche maniera. La manovra é molto azzardata e rischiosa, ma non ci sono altre soluzioni di con nutá se non questa; ci me amo a cercare una corda o cordino nei nostri zaini, ma non abbiamo niente. Siamo un pó frastorna e confusi, ci viene un'idea: u lizzeremo le strighe dei nostri scarponi, almeno come appiglio di sicurezza, non certo per calarci; cosí dall'idea passiamo ai fa . Ci vuole un ragazzo alto, che scenda fino al primo balcone di roccia che gli perme erá di stare in bilico e di fare da sostegno ai ragazzi che man mano caleremo. Tranquillo sembra avere le carte in regola per scendere: si cala lentamente e con un brivido di paura riesce a toccare il balcone di pietra largo al massimo 15 centrimetri, ci sta al pelo in precario equilibrio, ma é l'unica soluzione che ci perme erá di superare questo ostacolo. Calai i ragazzi uno per uno; per alcuni, i piú morosi u lizzai anche i loro zaini come sostegno; tu o era precario, ma allo stesso tempo avventuroso. Che bello la sera quando arrivammo al Bivacco Val Baione, ascoltare i ragazzi, uno per uno, che descrivevano questa traversata; la paura celata dietro il coraggio di dover superare l'ostacolo. Parafrasando poteva essere quell'ostacolo, le nostre paure, i nostri dubbi, i nostri desideri cela che non affiorano mai perché coper da un velo di more verso l'imprevisto, verso l'imprevedibile, verso l'ignoto. Ma a volte l'ignoto é piú bello e avvincente del presente, per questo vale la pena rischiare e lasciarsi portare dal cuore 77


dei ragazzi, dalle loro speranze, dal loro desiderio di veritá. La serata andava per il verso giusto, ma la stanchezza a un certo punto prese il sopravvento, e allora tu a nanna. Il giorno dopo ci aspe ava una lunga traversata di ritorno. Quando arrivammo al Laeng dopo 3 giorni e raccontammo a singhiozzo questa rocambolesca vicenda, i nostri amici ci dissero che eravamo dei ma , che non dovevamo rischiare cosi tanto con i ragazzi. Come sempre tu o poi si risolse con un bel vin brulé intorno al fuoco. Ora il racconto si fa piú dolce se guardo le Ande, dove ho speso tan anni partecipando alla costruzione dei Rifugi Andini e fondando la Escuela de Guias Don Bosco en los Andes... Narrare la costruzione dei rifugi in Perú sulla Cordillera Blanca é come fermarci ad osservare un'an ca fotografia in bianco e nero. Una fotografia d'altri tempi, perché la costruzione dei rifugi é stata fa a con metodi an chi. Il color nero é la forza, la volontá, la tenacia, il fango, il sudore, la fa ca, le difficoltá del percorso, le mani sporche di terra e la schiena piegata dai sacchi di cemento trasporta a spalla o a dorso di asino. Il bianco sono i can , l'allegria, la gioia del dare piú che del ricevere, lo spri o di lealtá e dedizione nel vedere poco a poco sorgere un rifugio a piú di 4000 metri. E´iniziata cosi a cuor leggero la costruzione dei RIFUGI ANDINI; tu o il trasporto a spalle percorrendo lunghi sen eri che si inerpicano tra le rocce fino a raggiungere gli oltre 4500 metri di quota. IL RIFUGIO Perú (da una le era del Padre Ugo) Febbario 1996 “L'impresa di quest'anno sará la costruzione del Rifugio Pisco nel cuore della Cordillera delle Ande. Il posto é a tre ore di cammino dalla strada della laguna Llanganuco. 'E il primo rifugio su queste montagne, in un posto molto frequentato e molto bello: davan al Huascaran parete nord, so o il Pisco, Huandoy e Chacraraju, in fondo alla morena prima di a accare il ghiacciaio del Pisco. Il Parco Huascaran, nell'ambito di un programma nazionale, ha in proge o la costruzione di 5 rifugi. L'Oratorio delle Ande ha o enuto l'incarico di realizzare quello del Pisco. Il rifugio sará a quota 4500 mt. – tu o in pietra a vista, nel rispe o dell'ambiente. Pensiamo di costruirlo a iniziare da luglio di quest'anno. In ques mesi s amo preparando il materiale. La costruzione sará fa a tu a da giovani oratoriani, che lavoreranno in turni di 7/15 giorni con una media di 200 per turno per un totale di 3.000 ragazzi. Tu o il materiale sará trasportato a spalla di uomo o a dorso di asino (dove si puó). Nessuno sará pagato. Tu lavoreranno gra s, tu , dall'archite o ai capomastri, ai portatori, agli asini. Quest'avventura é l'inizio di qualcosa di bello e di necessario per la nostra gente: valorizzare la nostra zona, 78


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conservarla nel modo piú naturale e buono possibile, difenderla dall'egoismo, dall'arrivismo e dell'invadenza del progresso.” Fin dal primo Rifugio Perú l'avventura andina é stata interpretata cosi; la montagna con mezzi leali, quindi non si sono utlizza voli di elico ero, tu o a spalle o con l'ausilio di asini e conducen . Il rifugio Pisco é stata una vera epopea; nessuno si immaginava tanta partecipazione da parte dei ragazzi peruviani e italiani: tu insieme per realizzare un sogno. Nell'arco di un'estate si é par dalle fondamenta e si é arriva al te o. Tu o nell'arco di 5 mesi, il tempo rosicchiato alle piogge e alle nevicate in quota. I ragazzi dormivano nelle tende regalate dalla protezione civile, ma ahimé fredde e scomode per dormirci alcuni mesi. Nelle tende ogni tanto l'acqua penetrava e al ma no spesso si trovava una pa na di ghiaccio. La cucina era molto spartana: un muro di sassi a secco delimitava il fuoco e la legna era scarsa, appena finito di cucinare le cuoche toglievano la legna dal fuoco per risparmiare. L'acqua i ragazzi andavano a prenderla nel vicino ruscello a 3850 metri; ad ogni minimo sforzo la fa ca si amplificava. Le serate erano sempre allietate con can accompagna dalla chitarra e da alcune riflessioni importan ; poi via nelle tende a cercare l'effe o stalla, per riscaldarle e riuscire ad appisolarsi. Non c'era tempo per distrarsi; il giorno seguente c'era da fare un altro carico di materiali: cemento, ma oni, sabbia, ponteggi, verghe di ferro, a rezzi vari. Le se mane erano suddivise per zone, quindi ogni se mana salivano un cen naio di ragazzi. Sulla morena dove veniva costruito il rifugio fu installata una baracca in lamiera. Per la costruzione del rifugio Ishinca si optó una soluzione diversa, si dormiva al campo base a 4380m e ogni ma na si scendeva a fare rifornimento di ve ovaglie, cemento, legname, ma oni e a rezzature varie. Insomma tu o ció che potesse servire per il can ere edile in alta quota. Alla curva di Pashpa il piccolo villaggio da cui si inerpicava il sen ero, avevamo montato due tendoni custodi , dove me evamo le ve ovalglie e l'a rezzatura da trasportare. Par vamo dal campo base alle 6 del ma no in modo da essere alla curva di Pashpa per le 8 – 8,30 poi si caricavano gli zaini e i bastoni e si ripar va in salita. Per il rifugio Ishinca avevamo fa o costruire dei bas ni in alluminio, secondo il modello in legno che avevamo u lizzato nella costruzione del rifugio Torsoleto. I bas ni in alluminio erano un vero lusso, leggeri e comodi per caricare cemento, ma oni e ve ovaglie. Il peso rimaneva iden co a prima, non c'erano scon , portavamo la media di 20chili a persona; alcuni ragazzi portavano fino a 40chilogrammi per viaggio; piú si saliva e piú l'aria fredda e rarefa a diventava il nemico da comba ere. Molte volte ci fermavamo a riposare; il tragi o in salita durava circa 4-5 ore. Arrivavamo strema , suda , ma felici. Era un viavai di formiche che salivano e scendevano cariche di materiali; alcuni ragazzi riuscivano a compiere in un giorno anche 3 viaggi, con carichi 79


sorprenden . A un certo punto diventava una compe zione tra i piú for e resisten ; il premio alla sera era un pia o di zuppa, con patate riso e fagioli, e qualche pezzo di carne bollita. Il té caldo era di rito, poi la serata con alcuni pensieri e riflessioni, un canto con la chitarra, una preghiera e via nelle tende a dormire! I ragazzi che venivano per la se mana di lavoro, i primi giorni in tenda con nuavano a parlare anche fino all'una di no e: era uno scambio di sensazioni ed emozioni. Non erano grandi discorsi, sopra u o parlavano dei chili trasporta , del ghiacciaio davan a loro, del fa o che il loro papá era tornato ubriaco dalla festa del villaggio. Era il loro modo di esprimere la contentezza per un evento unico nella loro vita. Mol lo dicevano apertamente, che non avrebbero mai pensato di raggiungere i campi base dei ghiacciai, se non per questo sogno di costruire il rifugio. Le travi di legno, i casseri ed i ponteggi venivano trasporta a spalle con due portan ni. Tu e le perline del te o sono state trasportate dagli asini con pacche da 10 perline. Tu hanno aiutato, anche la gente del posto; i conducen dei muli venivano paga , in modo che fossero conten e non si sen ssero “sfru a ”. A mol ragazzi e conducen , abbiamo regalato viveri, materassini, sacchi a pelo, scarponi da trekking, calze, guan , berre e e giacche a vento. Mi sembrava giusto regalare a questa gente che era ves ta alla bella e meglio e ci appoggiava; mi sembrava doveroso essere riconoscen verso quelli che arrivavano con la bocca impastata di foglie di coca e cenere. Normalmente avevano ai piedi dei sandali “yankee” ricava dai copertoni delle automobili, senza calze. Le mani e la fronte immancabilmente segnate dalle rughe, che non descrivevano gli anni ma la fa ca, gli sten per il morso della fame. Cosí accanto alla fa ca del lavoro si univa la commozione per questa gente. Una commozione che é difficile descrivere a parole, perché tocca il cuore. Loro cosí poveri e cosí generosi, guardano il nostro progresso. È come se ci domandassero: “E voi con tu o il vostro progresso dove credete di andare ?” Magari non te lo dicono a parole, ma te lo fanno capire. Per la realizzazione del rifugio Huascaran, optammo per un campo base intermedio, cioé a metá strada tra Musho e il campo morena dove veniva costruito il rifugio stesso. Avevamo montato un campo base a circa 4200 metri di altezza in una radura, trovata per caso dopo varie ispezioni; da lí avevamo visto che si poteva raggiungere in un'ora e mezzo il rifugio e allo stesso tempo il villaggio di Musho da dove par vano le ve ovaglie e le a rezzature varie. Per la costruzione del Rifugio Contarhiuraba si optó per un campo base nelle vicinanze del can ere; da lí a piedi si poteva raggiungere il villaggio di Yanama in poco piú di un'ora: eravamo rela vamente vicini al villaggio e non ci sembrava vera questa ipotesi. Diversa invece fu la scelta per la ricostruzione del bivacco “Giordano Longoni” posto a 80


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5000metri ai piedi dei ghiacciai Ranrapalca, Ocshapalca e Ishinca. Avevamo chiesto una partecipazione rido a di ragazzi alle varie parrocchie perché tra andosi di una ricostruzione necessitavamo di meno forza lavoro. Infa il Bivacco Giordano Longoni sorge sui vecchi ruderi di una costruzione fa a nel 1954 dalla Corporaciòn del Santa (il nostro ENEL per intenderci) che mise in opera un piano di interven sui laghi di alta quota ritenu pericolosi. I bivacchi servivano per gli operai che dovevano alloggiare per lavorare alla realizzazione di vere e proprie dighe di contenimento, in modo che se si staccava un blocco di ghiaccio dalle ve e, le dighe potevano arginare la forza dell'acqua che avrebbe potuto devastare interi paesi del fondovalle. Sono sta censi 34 bivacchi in Cordillera Blanca; alcuni ruderi sono in pos strategici. Bas pensare al Campo Base del Nevado Copa, al campo base Arhuaycocha dell'Alpamayo o al Bivacco “Broggi” ai piedi della Laguna 69 con una vista spe acolare al Nevado Chacraraju. Ancora oggi alcuni di ques ruderi sono u lizza come ricoveri di fortuna per gli scalatori di passaggio. Per il Bivacco Giordano Longoni, i traspor fino al Rifugio Ishinca a 4380m venivano effe ua dagli asini e conducen (arrieros). Poi dal Rifugio, par vamo caricando sacchi di cemento, le verghe di ferro, le travi di legno, le piasterelle, la sabbia (che a 5000mt scarseggia). Una volta finita la parte stru urale, e terminate le rifiniture interne, abbiamo iniziato a trasportare i le , i tavoli, le sedie e panche, e tu gli utensili da cucina. Abbiamo trasportato a mano fin dal fondovalle le tre colonne in pietra del camine o. Ci sono volu vari giorni, una fa ca tremenda. Avevamo pensato di legare ogni colonna a una trave di legno, e il trasporto veniva fa o da due ragazzi davan e due dietro, poi ogni ora si chiedeva il cambio e entravano altri qua ro portan ni. Un lavoro pesante che richiedeva molto sacrificio. A volte, dopo ore di fa ca, dove ogni passo era una conquista e dove l'aria fredda e rarefa a si faceva sen re, dove ogni sforzo era amplificato, venivo rapito da pensieri scoraggian . A cosa serve tu a questa fa ca, per che cosa vale la pena farla, non vedi che non interessa a nessuno, non ha senso fare tu o questo sforzo sovrumano, lascia lí tu o e tornatene a casa...i pensieri diventavano piú insisten quando mi trovavano arreso, stravolto ed esausto. La mia testa cominciava a farne care, e venivo assorbito da un vor ce di pessimismo. Era la mia testa che si staccava dal cuore e andava per conto suo. Ci voleva poco peró a ritornare sui binari; bastava che vedessi un ragazzo dei nostri mal ves to e malodorante che subito mi commovevo e si innescava in me il desiderio di aiutarlo. A volte bastava anche solo che uno dei ragazzi mi dicesse: “Don Carlos, cosi mi chiamavano i miei ragazzi, estas cansado ? quieres un poco de thé?” e subito ripar vo ricaricato. Persino le betoniere sono state trasportate a spalle fino ai can eri in alta quota. Per 81


trasportarle sono state smontate e divise in pezzi, riassembla poi sul posto. La cosa curiosa é che non tu e le betoniere poi funzionavano; quella portata a spalle per la costruzione del Rifugio Huascaran, arrivata al can ere e riassemblata non par va, perché il carburatore era tarato a quote basse; alla fine si optó per mescolare la malta con i badili. Avendo dovuto trasportare carriole, badili, ferri da costruzione, ma oni, cemento, sabbia, casseri, chiodi, generatori, martelli pneuma ci, trapani, tubi per l'acqua, ve ovaglie e viveri di ogni po, per ogni rifugio il lavoro é stato imponente. Le travi del te o, le perline, le lamiere coibentate, le canali, le ante in ferro con la stru ura da incasso, insomma tu o é stato trasportato a spalla. Un vera mol tudine di persone mosse dall'ideale della caritá. Non tu i traspor sono sta effe ua so o i raggi del sole, molte volte dovevamo trasportare le a rezzature so o la pioggia, infanga , sporchi; a volte il sen ero diventava una palude di fango con rigagnoli d'acqua. Se traspotavamo il cemento, dovevamo fare in fre a perché non si bagnasse troppo; per prudenza lo coprivamo ancor prima di par re con dei sacche di celofan, ma il valore della merce era tale che ci spingeva a dare di piú. La sfida temeraria é stata il trasporto delle termo-stufe a legna, quelle grandi da cucina: il peso di ogni strufa superava i 400 chili e lo sforzo per trasportarle lungo il sen ero con dislivelli che andavano dagli 800 ai 1200 metri fu immane. Ricordo che avevamo diviso i gruppi di intervento, la stufa veniva legata a due pali di legno lunghi 10 metri, in modo che avanzassero piú di 3 metri e mezzo per lato, dato che la stufa era lunga circa 1,60 cen metri. Il peso era distribuito sui due pali della stufa, i trasportatori dovevano essere piú o meno della stessa altezza, in modo da non sbilanciarne il trasporto. Si andava lentamente e ogni passo era una scommessa. Par vamo in ven persone, cinque su ogni palo, poi dopo circa un'ora si chiedeva il cambio e ne entravano altri ven . In defini va un sen ero che si percorreva in circa 3 ore, con la stufa a spalle ci impiegavamo due giorni. A metá cammino abbiamo “parcheggiato” la stufa coprendola con dei rami, e il giorno dopo siamo scesi per con nuare il trasporto. Eravamo stanchi, ma felici, allegri nonostante le difficoltá, la fa ca e il sudore. La maggior parte dei ragazzi peruviani non aveva mai trasportato pesi cosí grandi nella loro vita e nemmeno aveva mai scalato una montagna. Eppure eravamo nei campi base piú strategici della Cordillera Blanca, a ornia da scalatori giun fin qui da ogni dove per sfidare le ve e affascinan delle Ande. La gente viene a scalare le loro montagne, e i campesinos non sanno nemmeno che cosa significhi scalare. Perché? Scalare é un lusso 82


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di pochi, é un privilegio da ricchi, di chi non deve preoccuparsi di sfamare i propri figli. Per questo la gente del posto non capisce cosa cercano i turis in ve a alle montagne; per questo la gente del posto osserva con esitazione (indubbia) e curiositá. La stessa curiositá che gli scalatrori avevano per noi, vedendoci arrivare con una stufa da 400 chili sulle spalle, lavorando gra s per la costruzione di un rifugio in alta quota. Sempre mi sono chiesto cosa avranno pensato ques scalatori? Oppure saranno rimas inermi con lo sguardo rivolto alle ve e immacolate? Certo non scalavamo un 8000 ma stavamo compiendo un'impresa d'altri tempi. Costruire un rifugio a piú di 4000 metri con mezzi leali, senza l'uso di elico eri, é stata la sfida che tu ora ci rende orgogliosi di aver compiuto questa impresa quasi impossibile. L'OMG ha realizzato nella Cordillera Blanca ques rifugi; Pisco 4765m, Ishinca 4380m, Huascaran 4675m, Contrahierba 4140m e il bivacco Giordano Longoni 5000m con un'intenzione sociale maturata in trent'anni di a vità educa ve. Ogni anno tu i fondi (denaro e beni) che si ricavano dalla ges one dei rifugi sono u lizza per l'assistenza e la cura degli anziani e dei più bisognosi, oppure nella trasformazione delle loro capanne in dignitose case. Oggi nella Cordillera Blanca ci sono queste qua ro perle di rara bellezza. Per i “geni” accani dell'ecologia, queste costruzioni possono sembrare uno smacco alla natura, per i ragazzi poveri campesinos che popolano queste vallate, sono invece un segno di speranza e di orgoglio. Non solo per essere riusic a costruirli con una intenzione sociale. Oltretu o ques rifugi fungono da base per i vari soccorsi in alta quota che altrimen necessiterebbero di maggior logis ca con tempi piú lunghi. I campi base da quando ci sono i rifugi, si mantengono puli e piú ordina , meno plas ca in giro, meno sporcizia e meno la ne bu ate qua e lá. Ogni anno con i gestori si provvede ad effe uare un sopralluogo del campo base ed eventualmente si raccoglie la sporcizia lasciata in giro da qualche scalatore, che pur amando le alte ve e, diniega per maleducazione i campi base. In defini va i rifugi sono molto u li a tu gli escursionis e scalatori in genere. Danno lavoro ai conducen muli, portatori e guide locali, oltre che fornire i primi ausili di soccorso nel caso di inciden in montagna, prestando le barelle in dotazione, comunicando a valle con il sistema di radio fisse installato e quindi agevolando i tempi di recupero. I rifugi fungono da ricovero nel caso di maltempo e di malparata dai campi al , sono riscalda con stufe a legna, e c'é sempre un pasto caldo ad a endere chi chiede ricovero. Sono dota di camerate con bagno e doccia con acqua calda; la corrente ele rica é fornita da un impianto di pannelli fotovoltaici e nel caso del rifugio Ishinca, l'ele ricitá é data da una minicentrale idroele rica che fonisce corrente con nua, alimentando anche un sistema di termoconve ori recentemente installa . 83


Tu o é caldo, dall'accoglienza, ai pas , alla doccia, alle camerate. Tu o per dire: “salite in alto...ma aiutate chi sta in basso” Cosi ci scrisse il Padre Ugo descrivendo i rifugi delle Ande: “Rifugi e scuola di Andinismo sono i RIMA-RIMA e le stelle alpine ... delle Ande, ma per coglierle occorre passare i 4000 metri: emanano un profumo unico, quello di Gesú, “a pesar de mis pecados y los tuyos” querido Giancarlo Il profumo naturale, l'acqua dei ruscelli, sono le pietre del cammino...ma ai “geni dell'economia turis ca” non vanno piú bene. Niente turbi Non vedo “facile” nulla Ma se si é un pó buoni e comprensivi, vedo che il cammino si puó fare anche se abbiamo un mondo a orno che ci grida : “siete degli illusi !” TIREM INNANZ ! Un abbraccio Tuo Ugo Con gli amici di sempre sognando l'avventura dei rifugi

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Costruzione RIFUGI Andini

Fasi trasporto a spalle per costruzione rifugio Torsoleto

Fase di costruzione Rifugio Torsoleto in memoria di Battistino Bonali e Giandomenico Ducoli

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Perú - Padre Giorgio Nonni, Giancarlo e Padre Topio in partenza per il campo Base Ishinca Perú - vista panoramica del Chacraraju - Pisco e Huandoy

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PerĂş - Cordillera Blanca Rifugio Pisco 4765m PerĂş - Diego Belotti, grande protaginista della costruzione del Rifugio Ishinca sulle Ande

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Andare in America Latina con una piccola barca, ecco l'Operazione Mato Grosso... Cosi citava anni fa Padre Ugo De Censi mentre commentava le immagini di un suo diapomontaggio in tolato «L'ARPA PERUANA»

L'avevo ascoltato tante volte, nei campi, nelle serate ed in alcuni momen della mia vita; sempre ripetevo quella frase cosí bella ed emblema ca del nostro andare controcorrente. Oggi Padre Ugo é ancora la persona che con le sue visioni e capacitá ispira il movimento dell'Operazione Mato Grosso. Difficile da descrivere in poche righe un movimento cosí controcorrente e aconfessionale come vuole rimanere, nella sua essenza, senza nulla togliere alla profonda ricerca spirituale e umana al quale ci si ispira. Sembra un paradosso, che sia proprio un Sacerdote Salesiano come Padre Ugo a volere fortemente che questo movimento giovanile rimanga aconfessionale nella sua essenza, cioé aperto a tu i giovani, sia a coloro che credono, sia a coloro che non credono, sia a coloro che si professano atei. Don Ugo li conosce bene i giovani; ha trascorso mol anni della sua vita al centro Salesiano di Arese e poi si é lanciato nel 1967 in quell'avventura giovanile che oggi in sintesi chiamiamo OMG. Un'avventura giovanile, che affonda le sua radici nella caritá, nel fare della propria vita un servizio verso gli altri, i piú poveri e indigen . Per questo Padre Ugo non me e in secondo piano il Vangelo, ma lo trasme e nella sua essenza. Senza fronzoli o lucubrazioni mentali, senza teologismi, ma cercando di rendere vivo e reale il messaggio evangelico, che in sintesi é l'amore verso il prossimo, non a parole, ma con ges di gratuitá e di altruismo. Piú volte ci siamo scri missive, ci scambiavamo pensieri, su come muoverci con questa o quella persona, su come aiutare in questa o in quella situazione, uno scambio epistolare costruito in mol anni di vita vissuta gomito a gomito e con la sola intenzione di cercare l'essenza del nostro essere, della nostra via. In tu e le note affiorava insistentemente 88


10 quella ricerca di un Signore invisibile e impalpabile, ma che dá un senso profondo alla nostra vita. La ricerca con nua della veritá nasce dal suo animo inquieto, che non si accontenta mai. Mi é capitato di andare in pellegrinaggio a Caldenno, la valle dove il giovane Ugo De Censi é cresciuto, immerso tra i pascoli e la vita dei pastori. Questa parte della sua vita mi ha incuriosito mol ssimo, perché é la parte piú “nascosta” ma piú vera della sua infanzia e giovinezza, del suo correre tra i pra , del suo ascoltare gli anziani del tempo. Vedendo Caldenno ho capito tante cose. Caldenno penso sia stata la sua culla, dove si é forgiato nell'amore alla natura e devozione alla Madonna. La natura lo ha aiutato mol ssimo, piú di ogni altro ragionamento teologico. Per questo sempre ci ha de o che “bisogna riportare DIO in cima alle montagne”. Quante volte ce l'ha sussurrato. Quante volte ce l'ha scri o e indicato. Quante volte ce l'ha ricordato. La nostra partenza per il Perù Par amo come famiglia, il mese di maggio del 1997. Arriva a Lima e sbrigate le pra che burocra che di prassi, siamo sali in bus (8 ore di viaggio) lungo la Panamericana Norte e poi su curve e controcurve fino a raggiungere l'al piano del Callejon de Huaylas, per con nuare fino a Jangas, prima missione OMG del Callejon de Huaylas, poi via verso Marcará. Ci siamo ferma un mese a Marcará, con Padre Elio Giacomelli SdB e Abele, Emanuela Capponi che con la loro figlia Chiara ci stavano aspe ando per passarci il tes mone. Marina cominciava ad abituarsi con le bimbe ad una nuova vita: dovemmo sistemare i locali della casa, poi i bagni e il refe orio. Un problema serio era l'acqua da bere; dai rubine scendeva acqua sporca, direi quasi unta. Le donne del posto avevano insegnato a Marina come pulire l'acqua, con un trucco alquanto inimmaginabile, ma semplice: prendere le foglie del cactus sbucciate e me erle in una vasche a piena di questa acqua; lasciare che le foglie calamitassero lo sporco e come per incanto dopo alcune ore l'acqua si puliva. Poi una volta pulita, l'acqua veniva fa a sterilizzare tramite bollitura e poi si poteva bere...era come tornare indietro nel tempo di almeno cent'anni, Marina ripeteva questa pra ca ogni giorno con cura e a enzione. Marianna era molto piccola, aveva poco piú di un anno e Marta andava all'asilo. La nostra des nazione finale era Shilla. In quel villaggio, proprio so o il nevado Huascaran, non c'era una parrocchia avviata, non c'era una casa parrocchiale, in defini va c'era solo una vecchia chiesa fa scente; un prete saliva da Carhuaz una volta la mese a celebrare la messa, qualche matrimonio e ba esimo, nulla piú; non c'era una presenza stabile. Avevo 32 anni: non ricordavo di aver mai visto così tanta povertà contornata da bellezza cristallina come sono le ve e delle Ande. Ero già passato per il Perù varie volte, ma i ghiac89


ciai eterni della Cordillera Blanca mi avevano stregato. Ero ai piedi di nevi eterne: non avrei mai immaginato di fermarmi così tanto tempo; sono passa piú di vent'anni da quando ho messo piede in Perú, in quei villaggi sperdu sulle Ande. Noi, famiglia cresciuta tra le riden colline della Franciacorta abbiamo cominciato il nostro percorso caricando furgoni di ferro, carta, stracci e vetro, partecipando ai campi di lavoro nei fine se mana, passando varie se mane es ve in campi lunghi dove le giornate erano scandite da lavori agricoli, sistemazione di sen eri o costruzione di rifugi. Qui avevamo maturato la scelta di par re per la Missione a tempo lungo, lasciando le sicurezze che il mondo occidentale ci offriva, per intraprendere la strada nella semplicitá di una vita dedicata ai poveri campesinos delle Ande. Lassú sulle Ande, ci siamo trova un po' spaesa . Ci guardavamo intorno; le bimbe erano piccole, ricordo che avevamo qualche more legato a quello che era successo a Padre Daniele Badiali (sacerdote) che era stato sequestrato il 16 marzo 1997, poi crudelmente ucciso due giorni dopo (il 18 marzo) da un manipolo di bandi tra i villaggi di San Luis e Acorma, una località a cinque ore di jeep da Shilla. Abbiamo valicato la Punta Olimpica e incrociato il pueblo di Chacas, dove viveva Don Ugo De Censi e altri volontari. Ci muovevamo sempre in un clima di prudenza; ogni movimento era calcolato (non si poteva viaggiare di no e, cambiare denaro per strada etc.). Ricordo che portavo Marta all'asilo e andavo a riprenderla con una certa apprensione, anche se l'asilo era confinante con la nostra casa OMG. Da Marcarà, siamo sali al villaggio di Shilla, dove avremmo dovuto stabilirci. Ricordo la strada; dopo aver lasciato alle nostre spalle l'asfalto a Carhuaz, ci addentrammo lungo una ruta sterrata che saliva. Ogni tanto una curva a gomito ci ricordava che eravamo su delle vie impervie; la prima volta ci bloccò una frana che ostruiva il passaggio dei mezzi; la strada era stre a: ci vollero un paio di ore perché gli operai la ripulissero a suon di picconi e badili; il tu o a mano, senza ruspe o spianatrici, quelle sarebbero arrivate in seguito. Grazie a questo intervento, siamo riusci a passare e a raggiungere Shilla; il posto era molto povero, stupenda era la veduta del nevado Huascaran: vista spe acolare, anche se la gente del villaggio sembrava non apprezzare questo mastodon co ghiacciaio che in effe incuteva qualche preoccupazione legata alla storia passata. Dal versante nord nel 1971 si era staccata una lastra di ghiaccio e fango che aveva le eralmente travolto la ci adina di Yungay; una s ma approssimata era di ven cinquemila mor censi . Per cui il more che qualche pezzo di montagna si potesse staccare era sempre latente; questo spe ro di an ca memoria era rimasto nel cuore dei vecchi. Parlammo con il sindaco e le varie autoritá, per comunicare loro che di lí a poco avremmo preso casa a Shilla. Il Vescovo della Diocesi di Huaraz e Don Ugo De Censi ci avevano des 90


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nato in quel pueblo con Don Antonio Zava arelli (Padre Topio) parroco da poco ordinato. Dopo alcuni sopralluoghi, abbiamo deciso di prendere in affi o una casa da una famiglia di pastori (campesinos). La previsione era costruire in futuro la casa parrocchiale, abba ere la vecchia chiesa fa a con muri di fango e paglia, e costruirne una nuova con ma oni, pietra e cemento. In casa c'erano solo due stanze, da cui abbiamo ricavato una cucina refe orio e un dormitorio; poi tra le due stanze abbiamo costruito un bagne o s le far-west con una porta a bay-ben. Nel camerone abbiamo montato qua ro le a castello, due occupa da Marina, Marta, Marianna e io e negli altri due le a castello dormivano Padre Antonio (Topio), Gavino, e altri due volontari. Abbiamo convissuto più di un anno in queste condizioni precarie: stavamo stre in tu i sensi; per andare a dormire facevamo i turni, prima entrava Marina con le figliole, poi io e gli altri. Al ma no, Marina si alzava pres ssimo, verso le cinque, accendeva la stufa, poi uscivamo noi maschi e a una certa ora del ma no, quando si svegliavano le bimbe, Marina le ves va e le sistemava. Furono anni di vita molto spartana, precaria ed essenziale, anni bellissimi e indimen cabili di una vita an ca. Man mano ci conoscevamo oserei dire bene e come in tu e le convivenze, aumentavano le fa che: cara ere, pensieri, modi di impostare il lavoro tra di noi e con la gente del pueblo. Peró fu un anno spensierato, dove tu o profumava di avventura non cercata e non voluta: era tu o naturale; la gente veniva nella casa che avevamo trasformato come punto di accoglienza. Era un bussare ripetuto in cerca di aiuto e Don Antonio (Topio) con Marina ascoltava le loro miserie, lacrime, dolori e necessità. Le nostre bimbe crescevano immerse nella naturale vita campesina de ata dalla semplicitá. Un giorno venne una famiglia di pastori a chiederci di aiutarli per comprare una bara per la loro figlia che era morta mentre pascolava le pecore sulla puna. Offrivamo a tu i poveri che venivano a bussare un thè e del pane fresco, sedu intorno al tavolo, Marina chiese ai genitori di cosa fosse morta la loro figliola di soli 16 anni; il papà rispose che aveva bevuto del veleno (pra camente si era suicidata). I pastori (campesinos) preferiscono descrivere l'accaduto con meno incisività possibile; amme ere che si era suicidata per loro era una sorta di smacco e vergogna. Il papà aggiunse che aveva preferito bere il veleno, piu osto che dover avvisare la famiglia che durante il pascolo era morta una pecora. Ciò significava aver perso un capitale non da poco e quindi avrebbe comportato sicuramente un cas go da parte della sua famiglia. Don Antonio (Topio) chiese se era cosí grave la morte di una pecora, se la pecora valeva cosi tanto da mo vare una ragazza al suicidio. Lo zio della ragazza esordí dicendo: “Sí perché la pecora era incinta! ” A questa risposta cosí immediata, fredda, superficiale e alquanto assurda, ci siamo raggela . Non abbiamo avuto il coraggio di replicare, ci siamo guarda e subito ci 91


siamo da da fare per comprare alla famiglia una bara e dare degna sepoltura alla loro figlia. Questo fu uno degli episodi che più ci hanno colpito stando nel pueblo di Shilla e che ancora conserviamo tra le nostre memorie. Nel giugno del 1997 vennero a trovarci Adele e Giorgio Cemmi con Aldo Moscardi e altri amici dalla Val Camonica; decidemmo di andare a fare una escursione nella valle dell'Ishinca. Tornato dalla scalata al nevado Ishinca subito pensai che si poteva costruire un Rifugio. Anche padre Ugo mi chiese se era possibile costruire un Rifugio lassú. Per me fu come bu are un fiammifero in un pagliaio. Iniziammo l'avventura della costruzione, quasi per caso, come una sfida d'altri tempi. Era andare controcorrente, contro gli interessi di pochi, portando i sogni di mol . Da lí è par ta l'avventura della scuola di GUIDE e la formazione costante dei ragazzi per 15 lunghi anni, fino ad arrivare a consegnare nelle loro mani la conduzione del Centro di Andinismo “Renato Casaro o”. Questa é una storia ancora tu a da raccontare. Nel 1998 per lavorare con i ragazzi “cargadores” (cosi chiamavamo i ragazzi che venivano a fare la stagione es va con i turis ) e i turis che arrivavano dall'Italia, mi spostai a Marcará: era una missione libera e piú centrale. Posizionata ai piedi del Nevado Copa e a 25 km da Huaraz capitale della regione Ancash, punto di approdo di tu e le spedizioni andinis che in arrivo da ogni parte del mondo. I primi anni sono sta i più spensiera : tu o era una scoperta e per me che amo la montagna e la sua gente fu una con nua novitá. I primi due anni mi trovai pra camente da solo a ges re questo gruppe o di cargadores. Nel fra empo Padre Ugo mi aveva dato l'incarico della costruzione del Rifugio Ishinca; pensai allora di chiamare dall'Italia un mio carissimo amico Diego Belo , un giovane muratore esperto che aveva fa o gruppo con noi a Rodengo Saiano (BS) e mi aveva affiancato nei lavori per la costruzione dell'a uale Rifugio Torsoleto. Per me fu un grande regalo; fino ad allora ero solo, ora avevo al mio fianco un amico che mi dava sicurezza. L'estate passava veloce, la costruzione del rifugio avanzava bene e a fine o obre del '98 eravamo al te o. Diego era conten ssimo, ci voleva ancora uno sforzo per le finiture; cercammo di stringere i den e il mese di maggio 1999 il rifugio era a posto e funzionante. Alla fine del 1998, con i cargadores andammo nella Quebrada Honda con un istru ore Italiano per un corso di roccia; erano gli inizi dell'avventura delle giovani guide. L'anno seguente vennero dall'Italia le prime GUIDE UIAGM (Renzo Turri e Adriano Greco) a de are corsi di roccia, ghiaccio e tecniche di soccorso. A poco a poco maturava l'idea di stru urare i corsi in una scuola di guide. Guardavo le mon92


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tagne, con gli occhi di chi osserva, scruta. Ero incuriosito; cercavo qualche cosa che non trovavo altrove, poi vedevo la miseria in cui vive la mol tudine delle famiglie campesine, una vita di sten e fa che. Sempre mi sono chiesto perché tanta bellezza come cornice a tanta povertà? Vedevo i turis che passavano nelle vallate. Parecchi erano indifferen alla miseria che affiancava i loro passi. Piú volte ascoltavo padre Ugo dire: “dobbiamo fare qualche cosa per ques giovani, per questa gente; la povertá ha toccato il mio cuore, piú che le montagne, i fiumi, i laghi, le stelle” Non fu una decisione a cuor leggero, nemmeno il fru o di uno slancio di ideali, ma una decisione presa con la consapevolezza che ques ragazzi potevano lavorare sviluppando le loro do fisiche, grazie alle loro bellissime montagne, cercando di mantenersi “puri e leali” in mezzo a tan falsi idoli che purtroppo trovano spazio anche nel mondo dei montanari. Tra le file dell'OMG non tu assen vano: chi diceva di aspe are, chi ostentava ipotesi semplicis che, senza rendersi conto che i ragazzi della sierra di lí a poco sarebbero scappadai loro villaggi per migrare a Lima o nelle megalopoli come Chimbote o Ancon in cerca di un futuro incerto. Era vero il ritornello che “i poveri non aspe ano” Questo del leggere la realtà, di annusare l'aria, di sognare a occhi aper e di intuire come meglio fare per educare i giovani in un mondo che cambia velocemente anche nelle zone povere delle Ande, ci è stato insegnato da Padre Ugo. Nell'educazione ci vuole un pizzico di coraggio: é un rischio da correre. Se si vuole educare bisogna rischiare, nel suggerire, nell'accompagnare, nel guardare e nel correggere, ma tu o questo bisogna farlo con bontá, solo la bontá puó entrare nel cuore dei ragazzi. Prima di qualsiasi altra regola con i ragazzi ci vuole uno sguardo buono, che commuove, puoi usare anche le maniere for , ma solo se sei disposto a voler bene e a perdonare. Il ragazzo deve capire che gli vuoi bene, che sei preoccupato della sua vita, che sei disposto ad accoglierlo. Per fare questo bisogna fare un esercizio di modes a e di umiltá. Un´onda di Guide e Istru ori Italiani iniziarono ad interessarsi alla Escuela e ad avvicendarsi chi per un corso, chi per gli sci, chi per de are nuove tecniche di soccoroso o di scalata su roccia. Le guide e gli istru ori venivano per un periodo (normalmente un mese) a tenere i corsi e le capacità dei ragazzi crescevano giorno dopo giorno. In Italia un gruppo ben formato di ragazzi OMG si mosse in mille modi per sostenere questo sogno dell'Andinismo. Il gruppo dei gestori del RIFUGIO LAENG che io e mol ragazzi dell'OMG abbiamo sistemato negli anni '92-'93-'94, oggi con nua la ges one e gli introi li inviano per sostenere vari proge dell'Operazione Mato Grosso (Il rifugio é di propietá del 93


CAI di Bienno e ci é stato affidato grazie anche all'interessamento mio e di Ba s no Bonali, proprio per aiutare le missioni dell'OMG in Perú). Durante ques anni, ho conosciuto persone disponibili, a ente e capaci che mi hanno aiutato ed affiancato. Ne cito alcune che con la loro presenza mi hanno alleggerito nella responsabilitá della formazione tecnica dei nostri ragazzi. Primo fra tu ricordo Luciano Colombo (caduto sul Mc Kinley il 16 maggio 2011), uomo di grande saggezza e dotato di molte capacitá sia dal lato professionale, tecnico che umano. Schivo e riservato, é stato colui col quale ho passato molto tempo in montagna con i ragazzi, cercando ci capire quale fosse la via da percorrere e come migliorare la direzione da prendere. Uomo buono e leale, preparato e sempre a ento alla parte educa va che accompagnava i nostri discorsi. Questa era la nostra primaria preoccupazione: educare. Nel 2001, tramite l'amico Nicola Corigliano, ho conosciuto Valerio Bertoglio, Guida Alpina, dotato di uno spirito di avventura sorprendente: é sempre stato un vulcano di idee, che a volte dovevo frenare per non trascendere dal comune senso delle cose. É a lui che si devono le corse in montagna dei nostri ragazzi. Oggi le corse hanno lasciato lo spazio al lavoro professionale. I nostri ragazzi non possono perme ersi il lusso di perdere uno o due gruppi di turis con la sola ambizione spor va di correre in montagna. Certo, sarebbe bello se questa a vitá con nuasse, ma cozza contro la loro giá fragile economia familiare. Come nel caso di Cesar, che si é trovato a dover rinunciare a due gruppi per la corsa al Chopicalqui, cosa che si potrebbe approvare come montanari. Ma i ragazzi delle Ande prima di correre devono riempirsi la pancia. Nel 2001 vennero a trovarmi Valerio e Nicole a Gardoni. Valerio l'avevo conosciuto nel 1996 durante una serata a Morbegno che aveva organizzato il Padre Ugo: é un for ssimo canoista estremo della bassa bresciana; primo uomo al mondo ad uscire vivo dal Rio De Las Vueltas in Patagonia; aveva deciso di aiutarci nella raccolta fondi sia per la costruzione del rifugio Ishinca che per la costruzione del rifugio Huascaran. Ricordo gli incontri e le corse in Italia da una regione all'altra a fare serate pro-rifugi Andini. Lui che raccontava la sua storia con la canoa, molto catalizzante e adrenalinica. Di forte impa o emo vo, io o Don Antonio (Topio) raccontavamo la nostra storia e il desiderio di avviare questa avventura tra Ande e campesinos. Non mancava il ricordo di Ba s no e Giandomenico con la loro tragica salita alla parete Nord del Huascaran. Cercavamo di raccontare non tanto la tragedia in sé, quanto la bellissima intenzione altruis ca che c'era dietro questa scalata, so olineando le mo vazioni raccolte in vari scri di Ba s no.

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Alla scuola di Guide Don Bosco di Marcará, Valerio Gardoni e Nicole a si fermarono 4 mesi. Furono molto intensi. I ragazzi avevano trovato una falesia di roccia, tu a coperta da vegetazione; andammo a vederla con Valerio Gardoni e Valerio Bertoglio. Era vicino alla escuela, prima delle acque termali di Chancos a circa 3 chilometri da noi. Era l´ideale per a rezzare una palestra di roccia e potersi allenare. Ci me emmo all'opera con i ragazzi: par mmo arma di rastrelli, scuri, roncole e machete e cominciammo a disboscare la parete. Dopo due giorni di lavoro la parete era giá visibile, e si poteva cominciare a ragionare su come a rezzarla. Non avendo materiali cercammo di farli arrivare dall'Italia in poco tempo. Alcune cose le andammo a comprare a Huaraz, ma costavano care. Arrivó anche un trapano a motore, po motosega: era efficace; con quello si avanzava rapidamente. In poco tempo i due Valeri avaveno giá a rezzato varie vie; ne mancavano altre, che avremmo organizzato piú avan . La palestra alla fine della stagione era sistemata. Chiunque poteva cimentarsi; decidemmo di ba ezzarla “Los pinos 3A “ in memoria di Alessandro Con , Alessandro Chemelli e Alessandro Inverardi (tre ragazzi cadu tragicamente in montagne diverse: Alpi, Orobie e Huascaran).

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Scalando il Huascaran con i ragazzi

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In vetta al Huascaran con lo striscione della Escuela de Guias Don Bosco en los Andes Operazione Mato Grosso - un cammino per imparare ad Amare

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Il cuore del libro: cosa significa vivere ai piedi della Cordillera Blanca

È dietro questa svolta caritatevole, cioé il tu o senza misure, dove la meta finale non sta solo nell'aiutare gli altri. Il servizio ai piú poveri é una parte predominante del cammino. La caritá é il faro che guida i nostri passi. Anche noi dietro questa incosciente consapevolezza ci siamo tuffa . Padre Ugo si é accorto che non é piú solo la nostra societá che non andava bene. Non é ques one di “darle sulle orecchie” ad un mondo occidentale opulento, rivolto al piacere, al lusso e dove l'egoismo ha preso il sopravvento su tu o. C'é di piú, qui c'é in gioco il senso della nostra vita. Da dove veniamo e dove andiamo dopo questa parentesi terrena. Non era un argomento scien fico, va oltre, tocca il cuore, superando la vita alla quale ci siamo assuefa e che questa societá ci offre. Ascoltando i giovani, Padre Ugo si é accorto che nella vita di mol mancano i valori semplici dell'esistenza. La bontá, il sacrificio, la rinuncia, il desiderio di amare, di fare fa ca per servire i poveri; il volersi bene ad aiutarsi vicendevolmente. Manca il senso della fiducia e della sinceritá. Padre Ugo si é accorto che nella nostra vita ci s amo pian piano dimen cando di DIO. Il dramma é averlo cancellato dalla nostra esistenza. Nella societá moderna DIO non conta piú nulla. Togliendo DIO dalla nostra vita, ne cancelliamo le radici. Le domande sulla vita e sulla morte, inizio e fine del nostro viaggio terreno, non trovano risposta in una società opulenta e preoccupata solo di riempire pancia e granai. “Da dove veniamo?” e dopo un periodo di passaggio su questa terra. “Dove andiamo?” Queste domande sono diventate sempre piú frequen dentro di me. Che senso ha vivere se poi bisogna morire? 98


11 “Che senso ha fare la caritá se DIO non c'é ?” Senza accorgerci, la societá in cui viviamo ci sta togliendo l'unica speranza indissolubile che accompagna la nostra esistenza. Dio viene cancellato e distru o dalle tecnologie sempre piú sofis cate che ci danno l'illusione di essere liberi. Senza rendercene conto cadiamo nel vuoto del nulla. Le domande fondamentali: perché vivi? perché corri e affanni tanto ? perché devo amare, a cosa serve amare ? Perché vivere e morire? Perché dare la vita per i poveri ? dove andiamo dopo la morte? Ques interroga vi sono sta “surclassa ”. Mi sono accorto che le intelligenze ar ficiali, sempre piú all'avanguardia, sempre piú veloci, sempre piú inibitrici, hanno sos tuito la fede. Quindi non pensiamo piú, non abbiamo modo di rifle ere sul senso della vita. Prendiamo per buono ció che ci viene offerto come veritá, ma é solo vana gloria. Senza accorgerci passiamo la vita imprigiona in un freddo sistema tecnologico, ignari di aver perso l'unica cosa bella che potevamo me er a fru o: la nostra vita al servizio degli altri. La mia convinzione é semplice: “la via é un DONO e come DONO ricevuto, va a sua volta regalata”. Mai mi ero addentrato cosi tanto nella mia vita interiore. Preferivo rimanere in superficie, cosciente che si soffre di meno se si rimane nell'esteriorità della vita. Capivo che dovevo bu armi nel profondo della mia vita e del mio cuore. Un po' mi ribellavo, un po' cercavo di sfuggire. Con il tempo, a distanza di anni, capisco che questa crepa religiosa si é aperta sempre di piú e mi ha portato a farmi delle domande. Ma sopra u o a prendermi a cuore la vita di alcuni amici. Quando ho sen to che toccava a me prendere per mano alcune persone, mi sono spaventato. Avrei voluto scappare, svanire nel nulla. Ancora oggi mi chiedo cosa ci faccio qui ? Ma sento che voler bene e entrare nel cuore delle persone é quello che mi tocca. Non sono un prete, non sono un consacrato. Sono un semplice ragazzo di campagna a cui viene chiesto di ascoltare e sostenere. Sento che questo é solo l'inzio di un cammino. Il sacrificio che mi viene chiesto é quello di ascoltare e sostenere, ma non é sempre facile. Sopra u o se dall'altra parte della strada c'é un amico sacerdote, una coppia di volontari che ha bisogno di essere incoraggiata, o un ragazzo fragile da aiutare. Cambiarsi gli occhiali e indossarne di nuovi non mi é naturale. Cerco nel Signore un rifugio, quando ho bisogno di rigenerarmi mi ri ro nel silenzio della natura. Vado in montagna, la preghiera si fa cammino, la fa ca si fa incontro. Non so spiegare cosa avviene in me, capisco che nella natura silenziosa trovo il profumo della semplicitá. Non prego tanto, ma quel poco che dedico al Signore lo desidero fare intesamente. Una intensitá che mi trasporta verso maggior disponibilitá e impegno. Non é de o che tu possano trovare questa pace, solo stando nel silenzio. Io sono molto a ra o dal silenzio della natura. Mi rendo conto che 99


questa a razione vale per me, non per tu . Ognuno deve trovare in tu a libertá il suo spazio interiore. Il posto dove appoggiare il proprio corpo e far riposare l'anima. L'importante é con nuare a cercare senza arrendersi. La sete di DIO ha portato alcuni ragazzi dell'Operazione Mato Grosso a vivere intesamente la loro vita. Alcuni senza volerlo hanno suggerito la direzione da prendere, seguendo il cammino della caritá; l'assassinio di Giulio Rocca il 1° o obre 1992 perpetrato dai terroris di Sendero Luminoso, nella parrocchia di Jangas in Perú e l'uccisione di Padre Daniele Badiali il 18 marzo 1997 ad Acorma in Perú, dopo essere stato sequestrato da un gruppo di bandi senza scrupoli, mentre tornava da un villaggio dove aveva celebrato la Santa Messa. Due ragazzi normali; Giulio un volontario impegnato e in procinto di entrare in seminario, Padre Daniele, un giovane da poco ordinato sacerdote hanno dato la vita per un ideale, che va al di lá dell'aiutare i poveri per gius zia o per solidarietá. Ques due giovani sono anda oltre, sono sta presi sulla strada del MARTIRIO, anche se questo é un termine obsoleto nella societá moderna. Mai nell'Operazione Mato Grosso si era parlato di MARTIRIO. Di morire mar ri a causa della CARITÁ. Padre Ugo raccolse il tes mone di ques due giovani poco piú che trentenni; da queste mor crudeli, tracció il cammino con piú chiarezza. “E' necessario sapere che nell'OMG verrá chiesta anche la VITA”. Il cammino si fa piú serio. La traccia non la da la gius zia sociale, un proge o di aiuto solidale, il campo di lavoro. La svolta della vita va cercata nella Caritá piú pura, quella dell'amore pulito e sincero. Anch'io ho cominciato cosi, come per gioco. Per un istante mi sembrava qualche cosa di irreale; io, semplice montanaro, dovevo prendermi a cuore dei ragazzi campesinos per aiutarli a diventare guide di montagna. Avevo sempre vissuto come un giovane scanzonato, mi piacevano la musica, le belle ragazze, l'atle ca leggera, le passeggiate sui mon intorno a Schilpario. Poi l'avventura dell'OMG mi ha rivoluzionato la vita. Ero par to per la Bolivia all'etá di 22 anni: non capivo che cosa stava succedendo; gli amici mi mandavano a fare qua ro mesi di volontariato in Bolivia. Par mmo insieme io e Marina; al tempo eravamo fidanza . Io des nato a Yanawaya e lei a Peña Colorada sempre in Bolivia. L'impa o con la misieria fu un duro colpo. Avevo visto la faccia oscura del mondo. La faccia dove non arriva mai il sole a scaldare i cuori. Avevamo toccato con mano la miseria, l'indigenza piú estrema. Non c'era soluzione a questo dramma: potevamo solo aiutare dove riuscivamo. Lí capii che i comizi, i discorsi, le proteste in piazza non servivano a nulla. La gente povera era completamente dimen cata. Non c'é spazio per ques poveri nella faccia bagnata dal sole. I poveri sono des na a restare nella faccia oscura del mondo. Questa faccia oscura rimane sempre piú buia e dimen cata. E' facile pensare ai poveri, ma é molto difficile stare con loro. Condividere con loro le fa che del lavoro del campo, 100


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col vare patate. Sono arrivato a pensare che i poveri siano un peso per la nostra societá. Ero tornato dalla Bolivia con una ferita aperta nel cuore. Ero convinto che bisognava fare una rivoluzione. Ne ero cosí convinto che cominciai a cercare ragazzi nelle scuole e negli oratori per formare un gruppo di giovani pron a par re per l´America La na. Il mio scopo non era trovare ragazzi per lavorare in Italia e raccogliere soldi per le missioni. Il mio scopo era fare germogliare nei giovani la vocazione a par re per aiutare i poveri che avevo conosciuto. Cosi con Marina, ci siamo adopera per invitare nuovi ragazzi al gruppo OMG Franciacorta (cosi l'avremmo chiamato). Iniziammo negli oratori di Calino, Cazzago San Mar no, Pedrocca, Paderno e Provaglio d'iseo. I ragazzi venivano a fare lavore con noi e bancarelle fuori dalle chiese. Era come vedere le pale di un mulino a vento muoversi in con nuazione. Il vento dell'entusiasmo contagiava altri ragazzi, il fiume di giovani aumentava. Nel fra empo il 3 giugno del 1989 io e Marina abbiamo deciso di sposarci. Per scelta avevamo deciso di dedicare il maggior tempo possibile al servizio dei giovani. Per cui Marina da infermiera professionale si era licenziata e io che facevo all'epoca il programmatore, chiesi alla mia di a un part- me, in modo da avere maggior tempo libero da dedicare ai ragazzi. Da giovane avevo strimpellato la chitarra, ma poi avevo abbandonato. Dove riprenderla in mano per animare i ragazzi. Avevamo creato dietro la spinta di Padre Ugo e la collaborazione di Adele Giumelli un proge o simpa co: “Mal di Quaderno” Una di campagna raccolta fondi e materiale scolas co da inviare in Perú. Padre Ugo ci aveva scri o una le era per invitarci a fare bene e ad entusiasmare i giovani a questa impresa.Eravamo par in quarta, molto mo va e gasa : era Padre Ugo che ci chiedeva di raccogliere fondi. Eravamo riusci a coinvolgere vari amici: Adele, Nicola e Giovanna di Pisa e altri ancora. Tu si erano mossi per unirsi a questa cordata. A vario tolo si organizzavano bancarelle, lo erie, pesche di beneficenza e lavore con i ragazzi degli oratori. La visione di Padre Ugo andava oltre: già pensava all'Oratorio OMG, così lo definiva con le parole di San Giovanni Bosco: "LONTANO dal PECCATO e dalla NOIA, col SACRIFICIO arrivi alla GIOIA" Le a vitá crescevano; quando me con i ragazzi e infondi fiducia, non puoi che aspe ar sorprese sempre piú grandi e coinvolgen . Le sorprese erano sempre dietro l'angolo. Era la fine del 1991 quando andai con mio fratello Angelo in montagna tra le valli bergamasche di Schilpario. Facevamo escursioni di vari giorni in montagna. Seguimmo la mula era che dal passo dal Vivione raggiunge il rifugio Tagliaferri per poi scendere verso le cascate del Vó. Salivamo su fino al passo di Varicla e dintorni. Finché un giorno pensai di andare a Borno e salire al lago di Lova, fino al bivacco Laeng. Mi ritrovai in questo bivacco, non ges to. Il posto era bellissimo: una cornice di 101


montagne rocciose faceva da contorno a questo piccolo bivacco. Mi informai e scoprii che la proprietá era del CAI di Bienno, tra i cui soci c'era Ba s no Bonali.(la storia del Rifugio Laeng é scri a nel capitolo 09 - i Rifugi della Carità.) Marina ci raggiunse per un periodo, era in a esa di Marta che sarebbe nata a gennaio dell'anno successivo. Ci fermammo un mese in montagna: poi decisi di par re per il Perú e invitai Angelo a unirsi a me. Angelo non conosceva l'OMG, ne aveva solo sen to parlare da noi. Quando arrivammo a Lima, fu un impa o for ssimo per lui: vedere il degrado e la miseria sulle strade della capitale del Perú e rendersi conto di una dilagante miseria. Poi viaggiammo verso la sierra tra le Ande della Cordillera Blanca; dopo una tappa alla Parrocchia di Jangas (la prima missione OMG che si trova arrivando sulla sierra) proseguimmo per la Parrocchia di Chacas e infine arrivammo a San Luis (le ore di viaggio erano interminabili forse dicio o o ven ). A San Luis ad a enderci c'erano Enrico, Elena ePadre Daniele. Essi accolsero Angelo per un breve periodo, per poi des narlo ad un'altra missione che aveva bisogno di aiuto. Ste alcuni mesi in Perú, poi tornai. Per Angelo fu un viaggio denso di sorprese, voleva dire cambiare vita, cambiare abitudini. Non fu facile, il primo periodo di ada amento ad una vita intensa. L'impa o con la povertá lo stava scavando e stava aprendo un solco profondo nel suo cuore. Dove tornare in Italia; di lí a poco sarebbe nata Marta. Marina mi aspe ava ansiosa di condividere con me la nascita di Marta. Con Marta nasceva un sogno ancora piú grande, sbocciava un fiore bellissimo nella nostra vita. Quando vidi Marta nella culla, pensai che DIO era grande e non si stancava di regalarci sorpese. Non posso descrivere i sen men di affe o, di emozione, di gra tudine quando ho visto Marta che muoveva midamente le sue manine. Poi l'infermiera me la poggió sulle braccia: la guardavo negli occhi, sen vo il mio cuore che ba eva nel suo, sen vo la bellezza del mistero della vita che si trasformava in un regalo inaspe ato. Avevo tra le braccia il fiore piú bello del mondo. Con l'arrivo di Marta in casa, la nostra vita é cambiata. Dovevamo preoccuparci di lei in prima persona. Al centro c'era Marta, era bellissimo vederla crescere e fare i primi midi passi. Le prime parole, sussurrate, i primi disegni, i primi discorsi, i primi passi verso il mondo. Con gli oratori andavamo alla grande. Poi cominciammo a distribuire volan ni nei paesi della zona tra Bornato, Passirano, Rodengo Saiano, Ome, Paderno, Provaglio d'Iseo, Iseo. All'Oratorio di Cazzago organizzammo una serata; tra i vari ragazzi curiosi c'era Anna Metelli (Anna Rossa) che poi entró nel gruppo di Franciacorta. Oggi Anna vive a Animas Pampa in Perú, in una missione OMG e svolge un lavoro preziosissimo con le ragazze campesine della sierra: assiste vecchie e ammala , anima l'oratorio e ges sce una casa con ragazze in cerca di un cammino religioso. 102


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Pochi giorni dopo ci chiamó da Ome un ragazzo, Andrea Manziana; anche lui entró nel gruppo Franciacorta. Oggi Andrea é sacerdore e svolge il suo ministero nel villaggio di Llata in Perú in una missione OMG. Al seguito c'era sempre anche Giuliano che fin da giovane (16 anni) viveva a casa nostra. Era venuto da noi dopo la morte della sua mamma il 31 gennaio 1988. Incredibilmente la sua mamma era nata e morta il 31 gennaio. Le date coincidono con la data di morte di San Giovanni Bosco. Una coincidenza che io notai solo dopo vari anni di missione. Oggi Giuliano non é piú un ragazzo, ma é diventato Sacerdote; anche lui fa parte dell'Operazione Mato Grosso. E' é stato per 15 anni in Perú nel villaggio di Punchao (a lui si deve la formazione dei giovani nella scuola d'arte e restauro). Oggi é stato inviato a Bal more negli USA per con nuare il suo ministero con i migrantes la ni nella missione OMG di Lady of Pompey. Poi altri ragazzi ancora, alla fine nel gruppo Franciacorta eravamo circa una decina. La nostra sede “precaria” erano le stalle vecchie di Cazzago San Mar no. Nel 1994 decidemmo di dividerci e noi piú grandi (io, Marina con Andrea Manziana) ci siamo lancia per formare un nuovo gruppo OMG in quel di Rodengo Saiano con dei ragazzi nuovi: Emanuela, Paolo e Alberto. Eravamo cosí convin che ci siamo fa prestare un locale dai fra dell'Abbazia Olivetana di Rodengo Saiano. La nostra sede dava sulla strada per un accesso esterno e quindi eravamo autonomi. In fondo al grande cor le principale, u lizzato come parcheggio delle automobili, depositavamo ferro, metalli e legna da tagliare. Furono anni bellissimi: stava nascendo qualche cosa di serio anche tra noi. Nel fra empo, sulle montagne della Val Camonica, stava prendendo piede un grande sogno. I ragazzi OMG stavano portando avan la ristru urazione del Bivacco Laeng (oggi rifugio Laeng) e sempre in Val Camonica, insieme ad un esercito di amici decisi, abbiamo iniziando la costruzione del Rifugio Torsoleto. Anche i ragazzi del gruppo di Rodengo sono sta invita a venire al campo es vo del Torsoleto per vari anni. Si puó dire che ques ragazzi hanno preso sul serio questa avventura. Ancora adesso alcuni di loro (Emanuela, suo cugino Paolo e suo papá Angelo) stanno gestendo questo rifugio a distanza di vent'anni.La ricerca di ragazzi ci aveva portato a fare bancarelle e spe acoli negli Oratori. Tra i vari Oratori eravamo passa anche da Mon celli Brusa e Camignone. Caso volle che alla bancarella di Camignone si avvicinó ad Andrea un ragazzo e gli disse che voleva andare in Brasile a fare il volontario. Lasció il numero di telefono, dopo vari mesi Andrea si ricordó di questo ragazzo. Subito lo chiamó: viveva a Bornato, e io lo raggiunsi a casa sua. Parlai con i suoi genitori (Bruno e Maria) e lo invitai a venire al campo costruzione del Rifugio Torsoleto in Valle Camonica. Diego (cosi si chiama) é muratore, una manna per i nostri occhi. C'era bisogno di muratori per la costruzione del Rifugio Torsoleto. Subito Diego si é bu ato a 103


capofi o. Poco dopo la nostra partenza per il Perú ci raggiunse e ci regaló tempo e fa ca nella costruzione del Rifugio Ishinca e del Bivacco Giordano Longoni. La sua vita come volontario é con nuata. Si é sposato con Patrizia e hanno deciso di prestare servizio come volontari presso la Parrocchia OMG di Chacas - sono più di 20 anni che vivono in Perù con i loro figli (Luca e Gabriele). Le emozioni crescevano, eravamo felici, immersi in un mondo di giovani, montagne e avventure. Non ci mancava nulla. Io lavoravo per mantenere la famiglia e pagare le tasse. Eppure eravamo felici, una quiete che ci trasportava a vivere sempre piú intesamente, a regalare tempo e energie ai giovani. Non avevo ancora terminato un'avventura che subito ne nasceva un'altra. Non c'era tempo per fermarsi e pensare. Ci sen vamo a ra da questa onda bellissima fa a di giovani e caritá dirompen e coinvolgen . Era la primavera del 1995 quando Marina mi avvisa dicendomi; “Gian aspe amo un bimbo”. Ero felicissimo: aspe avo questo momento, dopo che Marina aveva perso un bimbo l'anno prima al 3° mese; dove ero fargli il raschiamento totale. Avevamo il cuore ferito. Quindi non ci aspe avamo una sorpesa cosí. Ma DIO aveva pensato di regalarci un altro figlio. Era il 14 dicembre 1995 quando mi chiamano: ero in giro con Genio e Luis a pulire gli sfia del gas lungo i marciapiedi di Brescia (nel fra empo dal 1990 avevo deciso di cambiare lavoro, abbandonai per scelta la carriera di programmatore e decisi di diventare un operatore ecologico); era stata una scelta di vita, non un lavoro di ripiego. Avevo scelto per essere piú libero e condividere con altri amici il cammino OMG. Cosí con Genio, Luis e Roberto ed altri siamo tra i fondatori della coopera va Cerro Torre (una montagna difficile, ma non impossibile da raggiungere) questa era la spiegazione del nome scelto. Pochi di noi conoscevano questa montagna alla fine della Patagonia (non avrei mai immaginato poi di andarci nel 2000 e poi nel 2006 con i ragazzi della Escuela de Guias Don Bosco, ma questa é un'altra storia che racconteró piu avan in questo libro). Quel giorno mi raggiunge la no zia: “Gian é nata la tua bambina”. Corro all'ospedale; Marina é stesa sul le o con le flebo a accate. Le hanno fa o il secondo cesareo: é sempre un taglio profondo, ma la bimba sta bene. Torno a casa a cambiarmi, e mentre mi lavo e mi cambio penso al nome della mia bambina. Mi viene in mente di unire i nomi delle nonne: Anna Maria e Maria Rosa. Ne esce Marianna. Arrivo in ospedale e dico a Marina: “chiamiamola Marianna, cosa dici?” Lei tra le lacrime di commozione mi dice “Sì é un bel nome”. Poi si appisola. Il secondo cesareo e le flebo l'avevano sfiancata. Il giorno successivo le porterò un prezioso regalo come segno di affe o.

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Barcollo ma non mollo A un certo punto, la vita ha voluto che la sofferenza bussasse alla nostra porta e di conseguenza un velo di tristezza avvolse la mia famiglia. Era da poco nata Marianna. Di colpo da ragazzo che correva su e giú per le montagne, ho subito una frenata improvvisa, la mia vita ha preso una svolta inaspe ata. Era il 9 gennaio '96 (Marianna era nata da poco - dicembre '95 - mentre Marta aveva 3 anni). Avevamo appena finito il campo di lavoro OMG a Chiari, un campo organizzato da vari ragazzi. Oltre alla raccolta di ferro, stracci e carta, in una serata abbiamo proposto un gioco con i furgoni. La gara consisteva in chi caricava sui furgoni piú ragazzi e riusciva a portarli nella sede dell'Oratorio di Chiari in meno di un'ora. Lí avevamo preparato can con la chitarra e una serie di diaposi ve sulle note di Angelo Branduardi “non perdetelo il tempo ragazzi”. Finito il Campo ero tornato a casa, e avevo ripreso i turni di lavoro alla Cerro Torre. Come sempre ritorno alle 14,00. Stanco, decido di farmi una doccia; a mia insaputa il monossido di carbonio prodo o dalla caldaia a metano, si era impadronito del bagno. Marina nel fra empo era uscita a fare spese. La piccola Marianna dormiva nel passeggino, da basso, in cucina, ed io averi avuto il tempo per una doccia. Di colpo, entrato in bagno e chiusa la porta, mi accasciai a terra respirando monossido di carbonio per circa 3 ore. Verso le 17,00 tornó Marina, che sentendo piangere Marianna, si spaventó. Non trovandomi in casa, mi chiamó ripetutamente. Salí in bagno, e mi trovó rannicchiato e immobile. Mi chiamó ripetutamente, non rispondevo, ero inebe to. Subito chiamó l'ambulanza, mi vennero a prendere e mi portarono all'ospedale di Iseo. Entrando i medici del pronto soccorso chiesero che cosa era successo, se facevo uso di droghe; subito arrivó un amico di famiglia, anche lui medico. Spiegó l'accaduto e i do ori riuscirono a risalire alla causa di questo mio stato di assenza. Si tra ava di monossido di carbonio. Mi trasferirono a Brescia con l'ordine di me ermi subito nella camera iperbarica. Ci ste varie ore, in stato di completa incoscienz. Poi dopo vari giorni di coma, mi son risvegliato fermo immobile in un le o di ospedale. Da qui in poi la mia vita non é stata piú la stessa. Quando mi risvegliai dal coma, non ricordavo di essere sposato, di avere due bimbe. Capivo che Marina era una persona importante, ma non riuscivo a collocarla nella mia vita. Non capivo il contesto, dove fossi, perché ero lí. Camminavo come un ebete, facevo discorsi strampala . Dopo varie se mane di ospedale, Marina decise di portarmi al mare in Liguria: era febbraio. I miei genitori ci accompagnarono per due mesi. Passavo i giorni a spingere la carrozzina di Marianna che aveva pochi mesi di vita. Marta e Marina venivano al seguito, non sapevo né capivo perché dovevo fare questo, ma i do ori avevano de o che avevo bisogno di respirare l'aria di mare ricca di iodio. Fu un anno durissimo per tu ; man mano che mi rendevo conto del mio stato di salute, intuivo a fa ca che avevo subito un incidente. Allo stesso tempo aumentava la mia insofferenza verso tu e verso DIO. 105


Con il tempo, mi sono chiesto perché DIO ha permesso questa tragedia incompiuta (avrei potuto morire) avendomi lasciato qui ancora, su questa terra a vivere. Il tempo passava e cresceva in me la voglia di superarmi in una sorta di sfida quo diana: stare in mezzo alle persone, parlare, chiacchierare, cercare argomen . A volte mi capitava di parlare per interminabili minu con una persona e poi, salutata, chiedevo a Marina: “ma questa ragazza chi é? Chi é questo signore?” Marina un pó mi assecondava e un pó si arrabbiava. Mi diceva: come, non ricordi ? Ho dovuto riscostruire la mia esisteza da zero, la mia storia, i miei ricordi, la mia infanzia e adolescenza, le mie scelte: dove ricostruire tu o; non fu facile. Ancora oggi raccolgo aneddo e storie sul mio passato che poi cerco di conservare gelosamente nella mia mente: é un lavoro certosino, non é facile vivere con dei pezzi di vita cancella e da ricostruire, ma non mollo, con nuo a costruire ma one su ma one. Mi rendo conto che il mio rapporto con la vita e la morte é cambiato; oggi non ho piú cosí paura di morire. Ovvero ho ancora paura del momento, del brivido che proveró, del sussulto, dell'istante in cui dovró dire addio a tan amici e persone care. Ma leggo il velo della morte come un passaggio in un'altra dimensione, silenziosa, spensierata e pura. L'aldilá non riesco ad immaginarlo come un groviglio di buoni e ca vi, di inferno e paradiso: lo immagino piú come un'oasi dove tu o si ferma, dove il tempo si é fermato, dove la no e e il giorno si fondono, dove tu o é senza confini, senza clessidra, senza gravitá, immagino di riposare tra le nubi del cielo in un indescrivibile universo senza spazio né tempo. Che questo salto dalla vita alla morte sia come un ba to di ciglia, sia brevissimo e che dall'altra parte ci sia l'infinita eternitá. Fa a di piume portate dal vento, dove si é trasporta in una dimensione impalpabile, inafferrabile quasi effimera: solo la contemplazione del “silenzio di DIO” che ci ha creato. Solo una pace pura e inimmaginabile, sconosciuta ai nostri occhi, che si confonde in una beatutudine silente. Anche l'essenza dell'amore piú puro e trasparente, su questa terra, non puó essere paragonata al paradiso nei cieli. Ai primi del '97 con Giorgio, Adele Cemmi, e altri amici, decidemmo di andare con Riccardo Cassin da Othmar Prinot che al tempo era il presidente del Collegio delle Guide UIAGM Italiane. Fu una giornata memorabile: passare una giornata intera con Riccardo Cassin, fianco a fianco, mangiare il gelato con lui, parlare di montagna e degli scalatori piú illustri, sentendo il suo parere su come stava cambiando il modo di fare alpinismo. Mi mo vó tanssimo; mi sen vo fiero di aver passato una giornata con Riccardo Cassin. Ero incredulo, vicino a una leggenda dell'alpinismo di altri tempi. Cassin, uomo di poche parole, mesto e semplice, senza darsi arie di grande scalatore, mi mise subito a mio agio. Prima di par re mi mandó un biglie no che ancora conservo con scri o “Anche il mio cuore ba e come il vostro” Riccado Cassin. 106


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Dopo che ero stato in Perú nel 1991 e 1992 – Il Padre Ugo nel 1996 ci scrisse una le era di buoni auspici invitandoci a par re: “venite a darci una mano qui sulle Ande” Dovevamo par re il 18 marzo 1997. Era pronto tu o, bagagli in macchina, saluta paren e amici. S amo per salire in auto verso l'aeroporto con Marta e Marianna. Squilla il telefono. “Pronto sono Renata; questa no e a San Luis hanno ucciso Padre Daniele; Padre Ugo ha de o che dovete aspe are a par re !” Ritorno in macchina e scarico le valigie. Cerco di mantenere la calma e di non allarmare i nostri genitori. Abbiamo aspe ato un mese a par re. Io mi ero licenziato, sono sta giorni intensi e di grande sofferenza. Ci sen vamo tu molto spaesa . Cosa sará? Cosa faremo? Dove andremo? Non furono giorni facili, anche per noi. Nel fra empo i genitori di Padre Daniele, chiesero che il suo corpo fosse rimpatriato in Italia. Ci ritrovammo tu a Faenza ad a endere l'arrivo della salma. Furono momen di grande sofferenza, sconcerto e preghiere intense. Ricordo quando arrivó la salma di Padre Daniele, la no e, a Faenza, passata a pregare nella cappella. Ricordo le no in lacrime, il dolore, lo sconcerto. Sen vamo che un frammento di noi se ne andava. Le le ere di Padre Ugo arrivavano puntuali, ogni se mana. Padre Ugo cercava di rassicurarci, anche lui aveva bisogno di capire come muoversi. Intanto aveva ordinato a tu i volontari di lasciare le missioni e di scendere a Lima. Poi aveva invitato vari volontari ad andare in Bolivia, Ecuador e Brasile a visitare le missioni nostre in ques sta . C'era tensione, finché non si capiva chi aveva ucciso Padre Daniele, non si poteva tornare nelle missioni OMG. Cosí sono venu via tu , solo l'ospedale di Chacas rimase aperto e i Sacerdor celebravano la messa solo la domenica. Passano le se mane, siamo in aprile inoltrato. A un certo punto, il comandante della polizia preposto alle inves gazioni de o “Comanche” ca ura il bandito che si presume abbia ucciso Padre Daniele. Dopo ore incessan di interrogartorio, questo bandito confessa di avere messo in ginocchio Padre Daniele e di aver premuto lui il grulle o. Cosí dopo poco, ci arriva una le era dal Perú: “semaforo verde, potete par re”. Eravamo tre coppie che dovevano par re per il Perú insieme, in des nazioni diverse. Ma eo e Giovanna con i loro figlioli a Jangas, io e Marina con le nostre figliole a Shilla, Giorgio e Desiree con i loro figli a Huallin (un paesino prima di Chacas). Cosí iniziammo la nostra avventura sulle Ande, dopo che un nostro amico era stato barbaramente ucciso. Non fu facile cominciare, tan dubbi e tan mori. Arriva in Perú, ognuno di noi ha raggiunto la sua des nazione. A noi é toccato Marcará come base di appoggio. Il proge o era quello di fare base a Marcará per poi salire a Shilla e iniziare a costruire la casa parrocchiale. Infa in quel villaggio non c'era nemmeno la Casa Parrocchiale. Solo una vecchia chiesa classica delle zone rurali. Te o di legno con calamine, muri di adobes e pavimento di ocre. 107


Iniziai ad andare avan e indietro da Shilla per avviare i lavori. Ma nel fra empo cominciavano ad arrivare i primi amici a voler scalare le Ande. Ricordo quando Padre Ugo, mi mandó i primi cargadores a Marcará. Era il 1998. Io stavo midamente cominciando a conoscere le Ande. Con l'arrivo dei cargadores, giunse un gruppo da Sondrio (gruppo Scherini) erano una ven na. Tu ben equipaggia e pron a scalare. Cosí affiancai i ragazzi cargadores a questo gruppo. Torna dalle varie spedizioni, mi trovai con ques ragazzi alla fine dell'estate da solo. Desideravo non perdere questo gruppe o di o o ragazzi, perché sen vo che avevano iniziato un percorso che poteva sfociare in un lavoro futuro. Cosa avrei dovuto fare? Lasciarli andare a casa, nella loro terra a pascolare le pecore di nuovo? Avrei dato un premio a ognuno, l'anno dopo degli o o che avevo iniziato a instradare ne sarebbero torna qua ro o forse meno. Cosí pensai; faró dei corsi di roccia, di inglese, di orientamento. Passai l'inverno con loro, tra a vitá in montagna, al rifugio e nei locali della ex-officina meccanica di Marcará. L'anno seguente, vennero altri amici scalatori e mi richiesero dei ragazzi abili come portatori per le loro spedizioni. Ma gli abili portatori, si rivelarono presto degli o mi scalatori. Ricordo l'elogio che mi fece un gruppo che aveva avuto come portatore Amador Maquin, che doveva caricare zaini e materiali fino al campo Garganta del Huascaran, e che invece, fu invitato a scalare il Huascaran unendosi in cordata. Per lui fu come toccare il cielo con un dito. Al ritorno ques amici mi dissero: Amador merita, ha del fisico, varrebbe la pena farlo studiare da guida. Eleazar Blas era impegnato in un'altra spedizione, al suo ritorno anche per lui non mancarono gli elogi: forte, capace, svelto, dotato, a ento. Lo stesso valse per Felipe Paulino Olivo: lui sali al rifugio Pisco in compagnia di due scalatori di Belluno. Anche lui come portatore. Ma di lí a poco si trasformó in un abile scaltatore. Salí al Pisco in poche ore, con forza e determinazione. Per lui era la prima volta su una grande montagna. Gli amici di Belluno scrissero delle pagine bellissime sulla vita di Felipe, colpi dai suoi raccon . Ne uscí un libre o che oggi non é piú in circolazione. Quando l'anno seguente mi arrivó per posta il libre o che narrava la storia di Felipe e la sua performace sul Pisco, ci siamo commossi. Marina ed io siamo rimas estasia da come veniva descri o Felipe: la sua capacitá a muoversi in un ambiente che fino a poco prima gli era os le. Sulle Ande non si portano al pascolo né le pecore né le mucche: muoiono per il freddo. Per i campesinos le Ande non servono a nulla: sono sinonimo di freddo e fame. Per loro le Ande sono l'immagine della sciagura, delle valanghe, dei disastri di Yungay e di Huaraz. Il ricordo per questa gente é ancora legato all'alluvione del 13 dicembre 1941 che mise in ginocchio la ci á di Huaraz: la laguna di Palcacocha e la Laguna Cojup strabordarono provocando una tragica alluvione e spazzando via parte della ci á di Huaraz. Il 31 maggio 1970 un terremoto scala 7,80 con epicentro in Casma, provocó il distacco del ghiacciaio del Huascaran 108


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Norte che distrusse per intero la ci adina di Yungay causando 25.000 mor e mise in ginocchio la ci á di Huaraz distruggendola. Quindi per questa gente campesina i ghiacciai sono solo una presenza scomoda e pericolosa. La gente del posto li guarda con riverenza e paura. La credenza popolare dice che sulle ve e dei ghiacciai eterni vivono gli APU (gli DEI) e che non bisogna svegliarli. Se si risvegliano succedono disastri. Ancora oggi questa credenza é molto viva all'interno delle comunitá locali. Nel 2019 un gruppo di geologi e geografi di un'universitá americana, facendo base presso il Rifugio Don Bosco Huascaran hanno effe uato dei carotaggi sulla Garganta del Huascaran, prelevando campioni di ghiaccio scendendo so o la cappa di ghiaccio per piú di 100 metri. Ques campioni sono sta trasporta al rifugio grazie all'impiego di portatori e poi a valle grazie al volo di elico eri. La comunitá locale di Musho, quando ha saputo cosa stava accandendo si é subito mobilitata e ha bloccato ques esperimen . Piú di 400 campesinos sono sali fino al rifugio Huascaran e altri si sono spin oltre per bloccare questo lavoro scen fico. La mo vazione: ques “gringos” ci stanno rubando l'oro del Huascaran. Purtroppo i geografi e geologi hanno dovuto abbandonare e sospendere gli esperimen . Questo é ció che avviene nelle comunitá campesine. Basta una testa calda che inventa una bella scusa e subito si mobilita la comunitá bloccando strade e sen eri. Torniamo a noi. Terminata la stagione es va, dove i ragazzi avevano prestato servizio come “cargadores”, ho cominciato a pensare a cosa potevo fare per il loro futuro. Lasciarli tornare al loro villaggio? E poi cosa avrebbero fa o? Si sarebbero dimen ca di questa parentesi es va; entro pochi mesi avrebbero intrapreso un viaggio verso la costa del Pacifico in cerca di fortuna e non sarebbero piú torna . Dimen cato il lavoro in montagna, lo sforzo per far loro imparare un mes ere svanito nel nulla. Cosi pensai di organizzare dei corsi di roccia nella Quebrada Honda. Ne parlai con Padre Ugo: mi disse che stava pensando al futuro di ques ragazzi. Gli risposi che ero disposto a seguirli e a organizzare dei corsi in montagna. Si fermó sulle scale scendendo dalla nostra stanza a Marcará, in quella che sarebbe diventata la futura Escuela de Guias. Mi disse: “Va bene, prenditene cura”. Cosi ste con ques ragazzi per tre anni consecui vi come assistente (educatore). Condividevamo le gioie e le fa che, le avventure, i sogni e le sofferenze di ogni giorno. Per questo conosco bene i ragazzi, sono la mia famiglia, li sento come miei figli. Conosco tu o di loro. Le loro pene sono le mie e cosi i loro sogni. Se uno di loro fa qualche cosa di bello mi sento orgoglioso e se uno soffre, anch'io partecipo al dolore. La loro vita ha camminato per tan anni insieme alla mia. Condividere le gioie e i dolori mi ha fa o crescere come uomo, mi ha dato la misura di cosa voglia dire “pagare di persona”. Ho imparato molto stando con ques ragazzi figli di cam109


pesinos. Ho imparato la saggezza del saper perdere. La dignitá del saper andare avan stringendo i den . Ho imparato cosa significa portare pesi e fa care sopra i 4000 metri. Ho compreso cosa voglia dire sudare, fare fa ca, stringere i den . Con loro ho pianto la perdita di un amico e ho goduto nel conquistare una ve a. Mi sono commosso nel vederli sposa e padri. Mi hanno inseganto a non arrendermi mai e a non aver paura del futuro. Mi hanno trasmesso la saggezza dei loro padri. Terra e acqua, sole e pioggia, vento e tempesta. La devozione semplice, del me ermi in ginocchio ai piedi della statua della Madonna. Ho imparato a pregare in silenzio. Ho toccato con mano il dolore e la paura del futuro. In certe localitá del vasto territorio Peruviano mancano ancora l'ele ricitá, l'acqua potabile, le scuole e presidi medici. Per anni ho raggiunto varie località in jeep o a piedi dopo ore e ore di viaggio. In tan villaggi i Comuni non dispongono di fondi, quindi non hanno mezzi di emergenza e nemmeno jeep-ambulanze. Queste cose facciamo fa ca a capirle, perché sono lontane dai nostri interessi e dalla nostra quo dianitá. Lo Stato si fa presente solo quando ci sono le elezioni; allora riempie le piazze di promesse e slogan. Una campagna improntata sulla raccolta vo , prome endo regali e aiu a tu , che poi immancabilmente non arrivano mai. La gente é sempre piú abbandonata. Molte di queste persone non hanno una casa dignitosa, un te o dove stare, una stufa dove scaldarsi, una lampadina da accendere. Guardando ques poveri, che ogni giorno viaggiano a dorso di asini, a piedi, su strade sterrate nascoste tra le rughe dei segni del tempo, ho pensato: cosa posso fare per loro? I poveri più indigen non hanno voce, non hanno la possibilitá di essere cura gratuitamente. Non sanno cosa significhi bere un sorso di acqua pura, oppure riscaldarsi vicino al fuoco di una stufa. Non esiste la legna per scaldarsi. Appena bollita l'acqua sul fuoco di casa, la gente toglie la legna. Non ci si puó perme ere di sprecarla. Molte famiglie, non hanno una casa dignitosa; le loro “case”, ma dovrei dire “chose” (termine quechua che indica una baracca, un ricovero in campagna), non hanno bagni, né docce, né boiler dell'acqua calda. Con il nuovo secolo arrivó la novitá che tanto avevamo desiderato: l'apertura di una scuola. Ricordo il giorno in cui Padre Ugo mi chiese di fare le selezioni per i ragazzi della “Escuela de alta montagna”. Rivedo le prove d'esame: era febbraio del 2000. Ero conten ssimo e al tempo stesso emozionato. Questa decisione non é stato fru o di uno slancio di ideali, ma la consapevolezza che ques ragazzi potevano lavorare grazie alle loro bellissime montagne. I ragazzi furono convoca dalle varie parrocchie e oratori. Arrivavano con mille speranze per la prova d'esame. C'era interesse per questa specialitá 110


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(guide di montagna) che aprivamo come volontari dell'Operazione Mato Grosso. Tu gli anni di studio sarebbero sta gratui per i ragazzi. Le spese della scuola, erano a carico nostro, con l'aiuto di tan ssimi amici OMG che ci hanno supportato in tan anni. Per una famiglia di campesinos, avere un figlio in una scuola come la nostra dove tu o era gratuito, voleva dire aver vinto un premio alla lo eria. Nessuno di noi sapeva cosa significasse aprire una scuola di guide. Io e Marina ci stavamo me endo in un ambito sconosciuto, un se ore a sé. Non sapevamo dove questa strada ci avrebbe portato. Le incognite educa ve sono state il primo scoglio con cui abbiamo dovuto confrontraci. Avevo cercato di informarmi se per caso ci fosse una scuola simile altrove, in un altro Stato, in un altro con nente. Ne scoprii una in Argen na. Mi informai e mi risposero che si tra ava di una vera e propria scuola di turismo, ma che i ragazzi frequentavano le lezioni diurne e poi tornavano a casa. Non c'era quindi l'aspe o educa vo, ma solo dida co e forma vo. Non era una casa-famiglia ma solo una scuola diurna. Per cui dovemmo “rimboccarci le maniche” e provare a costruire passo dopo passo una casa-famiglia sullo s le degli is tu pedagogici che giá avevamo come OMG in Perú. In piú c'era la componete montana come parte determinante. Cioé aggiungevamo alla parte educa va e dida ca, la parte della formazione in montagna e la parte dell'approccio ai turis come palestra. Inziammo la prima prova d'esame a San Luis. Prova scri a: a ogni ragazzo veniva dato un foglio ciclos lato con alcune domande. Le domande erano ineren alla famiglia, alla casa dove vivevano, quan locali aveva l'abitazione, quan animali avevano nel recinto, di quan fratelli era composta la famiglia. Poi c'era la parte dell'oratorio, se si frequentava, se avevano partecipato alla costruzione dei Rifugio Pisco e Rifugio Ishinca. I moduli arrivavano a noi esaminatori. A fare l'esame eravamo io e Padre Ugo. A un certo punto, superata l'emozione del momento, vinsi la midezza e chiesi a padre Ugo: “Perché non facciamo fare un esame di resistenza in quota; li porto su un prato e gli faccio fare 100 metri di corsa, giusto per vedere come si comportano”. Padre Ugo mi guardó e sorridendo mi disse: “Queste prove le farai quando saranno entra nella escuela”. In pra ca, i ragazzi vennero scel non per le loro do fisiche, ma per il grado di povertá. Piú uno era povero e piú aveva pun nella graduatoria per accedere alla Escuela. Avevamo stabilito un te o massimo di 30 alunni. La seconda selezione la feci nella Parrocchia di Jangas; anche qui un cen naio di ragazzi interessa alla Escuela de Guias; per tu era una novitá assoluta. La terza prova la feci a Llamellin con Padre Giorgio Nonni: anche qui una fila interminabile di giovano speranzosi. La decisione non fu facile: dovevamo scegliere i ragazzi dando una specie di punteggio, tenendo come criterio la povertá. 111


Alcuni si saranno sen esclusi e avranno pensato: “Sono povero anch'io, perché quello sí ed io no”. Fu una lo a impari tra il cuore da una parte e la logica razionale dall'altra. Se avessi ascoltato il cuore li avrei presi tu , ma la ragione diceva: piú di trenta ragazzi non puoi prenderli, non abbiamo abbastanza spazio, camere, bagni e aule di scuola. La lo a impari tra testa e cuore fece lievitare il numero dei ragazzi a 33. Cosí inziammo l'avventura dell'Escuela de alta montagna Don Bosco. Dopo i primi anni passa tra le quebradas e la costruzione dei rifugi, nel 2000 nasce la prima escuela di alta montagna in Perú. Per noi un'avventura che ci porterá ad affezionarci ai nostri ragazzi. Ques ragazzi non erano semplici alunni della escuela, sono sta i nostri figli. Io e Marina abbiamo cominciato a conoscerli uno a uno, le loro storie commoven . Conoscere la loro vita é conoscere le loro pene. Entrare nella vita di ques ragazzi é stato commuoversi. Le loro famiglie con tan fratelli. Alcuni di ques ragazzi non conoscevano nemmeno il loro papá. Situazioni di povertá estrema, alcuni avevano solo la mamma che parlava Quechua (il diale o locale). Nella migliore delle ipotesi il loro papá era scappato a Lima e non era piú tornato. Altri arrivavano dalla selva amazzonica dove si col va la coca ed erano sta “strappa ” dal giro dei narcotraffican . Altri venivano da Piscobamba e le zone alte della valle del Conchucos. Tu poverissimi. Il piú ricco aveva a mala pena uno zaino e un paio di scarpe risuolate. Il taglio educa vo era de ato dal “metodo preven vo di Don Bosco”. In tu e le nostre scuole OMG, si appilca da sempre questo metodo per educare i giovani. Il metodo era stato trado o e reso a uale da Padre Ugo per le nostre scuole di falegnameria e di tessitura, ed anche per i nostri Is tu Pedagogici. C'era una pos lla da so olineare per l'aspe o e co e leale nel lavoro di "Guide Andine", proprio perché la sola montagna non li avrebbe educa . L'approccio con i turis veniva di conseguenza dalla formazione sul campo. Cioé i gruppi di scalatori che ci conta avano per telefono o fax, venivano prima acce a come ospi nella escuela de Guias e poi invita a prendersi a cuore un alunno e portarlo con loro in spedizione. Tu o era a tolo gratuito, cioé l'alunno non percepiva nessun compenso, ed era a disposizione del gruppo come portatore. Questo era ció che chiedevamo a ogni spedizione di trekking o scalate. I ragazzi della Escuela erano a digiuno di tu o, non sapevano cosa fosse un imbrago, a cosa servisse un mosche one, che dis nzione ci fosse tra un paio di scarponi da ghiaccio, da trekking o da sci. Ricordo che mi arrivavano le a rezzature dall'Italia negli scatoloni, in alcuni c'era di tu o. Una volta bu ai alcune paia di scarponi da sci obsole nel bidone della spazzatura e subito dietro di me vidi i ragazzi che rovistavano: tolsero le moffole dello scarpone e le indossarono. Mi sen i molto male. Pensai: caspita, dove puó portarci l'indigenza. Un'altra volta Mari112


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na stava u lizzando una maglie a di cotone come straccio per lucidare i pavimen . La maglie a era piccola arrivata negli scatoloni, quindi era di seconda mano. Dopo varie se mane di u lizzo decise di bu arla. Si avvicinó uno dei nostri ragazzi e con voce mida le sussurró: “Señora Marina, puedo tener yo esta polo? La lavo y la regalo a mi hermano que necesita”. Questo per dire il grado di miseria da cui provenivano ques ragazzi. All'inizio per i ragazzi andava bene tu o. Bastava andare con i turis e stare con loro. Mi resi conto subito che questa pra ca aveva bisogno di una certa linea. Decisi di parlar chiaro subito con i vari ospi -escursionis . Niente invi in Italia, niente mance ai ragazzi, niente regali di a rezzature fa a dire amente ai ragazzi. Tu o doveva passare per la direzione e dovevano chiederci un parere prima di fare qualsiasi azzardo. Non era scontato far capire queste cose a gente di montagna abituata a vivere in modo libero. Alcuni escursionis snobbavano queste piccole regole educa ve, scavalcandoci a pié pari. Poi dovemmo fare la parte dei ca vi una volta finita la stagione alpinis ca (luglio-agosto). Mille sfacce ature hanno contornato la formazione delle giovani guide. Qualche guida esperta che arrivava dall'Italia sembrava avesse la bacche a magica sulla formazione: “Perché non fate cosí”, “perché non insegnate a scalare le ferrate?”, “perché non gli insegnate a sciare? “ e via di questo passo. A noi toccava sempre fare la parte dei ca vi e dei conservatori. Sarebbe bello, ma dobbiamo badare anche a un aspe o importante, quello educa vo. La risposta era sempre: “Sí, ma la parte educa va viene se fai le cose bene”, “che male c'é ad invitare un ragazzo in Italia; cosi vede le Alpi e impara a sciare...paghiamo noi il volo”, “Non preoccupatevi vi mandiamo gli sci, cosi imparano a sciare sulle Ande”, “lo sci é importante nella formazione di una guida”... I discorsi andavano sempre nella direzione della formazione tecnica, che era importante, ma per noi c'era qualche cosa di piú a cui badare. Oggi questo lavoro umile e silenzioso é quello che fa andare avan e ene unite le famiglie delle Guide DonBosco. La parte educava e di caritá verso i poveri sono le radici su cui abbiamo costruito la loro formazione. Ma che fa ca farsi capire! A volte mi sono sen to cri cato e non sostenuto. Non faccio rimproveri a nessuno. Ma in varie occasioni mi sono sen to solo. Qui non era ques one di essere un testone, di non voler capire le cose. Era una ques one di un metodo, di con nuitá, di rapporto con i turis . Era una ques one educa va prima che tecnica e di allenamento alle alte quote. Anno 2001. Invitai l'amico Valerio Gardoni ad aiutarmi in Perú. Con Padre Antonio (Topio) si decise di scalare con i ragazzi della escuela il nevado Huascaran Sur come ba esimo di fuoco. “Chi resiste va avan , chi non resiste si ri rerá”. Con loro c'era anche Lito Maggioni ad accompagnare i ragazzi. Lito era venuto per un anno a darci una mano, come volontario. Non era uno scalatore, nemmeno amava la montagna al punto di sacrificarsi. Figlio di 113


Ernesto e Antonia, due “an che colonne” dell'OMG. Cresciuto nell'ambiente OMG mas cava anche lui la nostra preoccupazione educa va. Anche lui arrivó in cima al Huscaran trascinato dalla cordata dei ragazzi che lo incitavano a salire. Fu un ba esimo di fuoco per tu . Di lí in poi si aprirono le strade alle alte ve e delle Ande e alle spedizioni in tu o il Sud America e oltre. Per affrontare la scalata al nevado Huascaran dove cercare i materiali che non avevamo. Ves i i ragazzi alla bell’ e meglio. Recuperai gli scatoloni di materiale alpinis co lasciato dalle spedizioni di Bonali e Ducoli del 1993 e da altre spedizioni passate tra le parrocchie di Jangas e Chacas. A Jangas l'amico Ma eo, mi chiamó un giorno e mi disse, che nella soffi a della scuola di intaglio del legno c'erano degli scaltoli di materiale da montgana, e di passare a prenderli. Mi recai a Jangas e caricai la jeep con ques scatoloni. Contevevano scarponi di cuoio, alcune berre e e moffole, giacche a vento e qualche zaino. Da Chacas mi mandarono altri tre scaltoloni di materiali di montagna con tan ves data . Questo era l'unico equipaggiamento che avevo a disposizione. Cosí, alla bell´e meglio, ves i i ragazzi per la scalata al Huascaran. Dalla fotografia sca ata sulla ve a si possono vedere i ragazzi con giacche a vento, berre e di lana, guan e moffole, scarponi di ogni genere. Parrebbe una foto degli anni '60 e invece la foto é dell'anno 2001. Per ques ragazzi era la prima volta su una Grande Montagna. Avevano raggiunto la ve a della montagna piú alta del Perú e la quinta di tu e le Americhe. Loro erano increduli di ció che avevano appena compiuto. Stare su quella ve a fu per loro come toccare il cielo e aver raggiunto la libertá. Raccontare dei ragazzi é raccogliere la loro vita, una per una. Tra i vari ragazzi c'era Anselmo Flores, di Yanama. Una storia difficile alle spalle; vari fratelli abitua al lavoro duro dei campi fin da giovani. Lui aveva imparato presto il comandamento del Signore “lavorerai con il sudore della tua fronte”. Andava da giovane a pascolare le pecore del suo villaggio nella puna, lui cresciuto ai piedi delle grandi montagne, tra i nevados Chacraraju, Taulliraju fino al bellissimo Alpamayo. Era ignaro di quello che potevano regalargli le montagne dalle nevi eterne. Con nuava a sorridere, parlava a mala pena il cas gliano. É sempre stato un ragazzo mido, nascondeva il suo cara ere mesto con un sorriso acca vante. Il racconto della sua famiglia ci aveva commosso, cosi entró nella scuola di guide di Marcará. Aveva cominciato come “cargador” con Amador, Felipe, Hector, Blas. Erano i primi ragazzi che avevo accolto come portatori giá nel 1998 appena arrivato in Perú. Me li aveva manda Padre Ugo da Chacas per fare da “cargadores” ad una spedizione di suoi amici della Valtellina (erano una ven na di persone). Avrebbero dovuto accompagnare ques turis sulle montagne delle Ande: caricare zaini pesan e farsi carico della cucina campale dove ce ne fosse stato bisogno. Cosi inizió l'avventura andina per 114


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Anselmo. Ecco Amador: arrivava da Chacas, meglio sarebbe dire dal villaggio di Maquash, un piccolo agglomerato di case nei dintorni di Chacas. L'aveva mandato Padre Ugo. Subito mi parve di avere davan un ragazzo serio su cui potevo contare. La sua mamma parlava solo quechua perció non aveva ricevuto la dovuta istruzione, segno evidente di una povertá e miseria in cui vivono in quei villaggi sperdu a piú di 3000 metri dove freddo, sten e fa che sono i padroni incontrasta della sopravvivenza di ques popoli altoandini. Ancora oggi in Perú in molte zone c'é ancora analfabes smo. Non é vero che é stato sradicato; in tan villaggi isola , é di casa. Cosi per comuincare si u lizza il diale o locale, il quechua. Amador si mise subito a disposizione per fare del suo meglio. I ragazzi erano tu entusias di fare i cargadores; era la prima volta, la prima esperienza di questo po. Non sapevano parlare italiano, ma con un pó di ges e tanta buona volontá all'inizio, se la cavarono. Si potrebbe dire che era per loro il primo approccio al mondo occidentale. Con i turis arrivavano novitá e anche tante sorprese. Il gruppo della Valtellina era composto da vari personaggi tra cui Tino Albani che aveva scalato l'Alpamayo nella spedizione di Casimiro Ferrari. Tino era un accademico del CAI. Questo accese in me un senso di rispe o e riverenza nei confron di un uomo che aveva preso parte alla famosa spedizione. Potrebbe sembrare un piccolo spot, ma questo de aglio per me e per i ragazzi fu come un piccolo trampolino di lancio. Felipe invece era sempre silenzioso: arrivava da Piscobamba, famiglia campesina, cresciuto ai piedi del massiccio dei Pucajirka. Lassu a piú di 3000 metri, dove l'aria é rarefa a, lui andava a pascolare greggi di pecore. Sempre silenzioso e gran lavoratore. Faceva parte della squadra ed era il piú forte fra tu . Alto, tarchiato, spalle larghe e robuste. Viso con lineamen cinesi, occhi a mandorla. Per strappargli una parola dovevi essergli proprio amico. Studiava le persone prima di esprimersi, poche parole de ate dal cuore. L'ho ves to da capo a piedi. Non aveva nulla con sé, solo una borse a con dentro due maglie e. Come chiami: Felipe Paulino Oli. Qual é il nome e il cognome? Cosí cominciammo a parlare. Gli dissi che i turis avevano bisogno di lui, ben presto li accompagnó al Pisco e poi all'Ishinca. Eleazar Blas arrivava da Chacas, molto sveglio e preciso. Aveva ricevuto una buona formazione in oratorio. Molto apprrezzato da tu , si é subito fa o ben volere. Capace ed entusiasta. Non ha mai creato problemi di nessun po. Confidavo molto in Blas, un ragazzo sveglio, serio e maturo. Oggi ha una bella famiglia, due figli. Sua moglie Gloria é stata nella scuola di tessitura di Yanama conMadre Flavia. Quindi ha ricevuto una formazione eccellente. Entrambi sono molto responsabili e seri. Eder Sabino arrivava dal villaggio di Chavin. Pueblo nelle vicinanze della Parrocchia di Jan115


gas. Ragazzo riservato. Molto abile e capace. In montagna si muoveva bene. Sapeva come fare. Famiglia numerosa, papá e mamma contadini, vivevano di quello che la terra procuce. Aveva partecipato con Diego Belo alla realizzazione del Bivacco “Giordano Longoni” a 5000m nella quebarda Ishinca. Era fratello di un nostro professore di religione, Rodolfo, e ci era stato segnalato da Padre Reynaldo. Aveva un punteggio alto sopra u o dovuto alla presentazione di queste persone. Diventa guida nel 2004 in aprile; nello stesso anno raggiunge la ve a inviolata di quello che poi ba ezzerá “Cerro De Censi 5885m”. Poi a giugno insieme a un gruppo di altri alunni della escuela porta ai piedi del Nevado Tocclaraju una scala di alluminio costruita a proposito per dare la possibiltá agli scalatori di oltrepassare la crepacciata terminale e raggiungere la ve a. Tu o sembrava filare liscio, ma Eder scendendo con gli sci dal ghiacciaio, provocó una valanga che lo seppellí so o un metro di neve. Morí soffocato con gli sci ancora aggancia . Erano sali in gruppo per installare la scala. L'idea era quella di far lavorare il rifugio Ishinca. Dopo averla sistemata, il gruppo che l'aveva portata scese a piedi e lui decise di scendere con gli sci, che causarono la sua morte (era il 10 giugno 2004). Fu un anno durissimo per noi. Siamo anda in crisi. Non riuscivamo ad acce are la morte di Eder: ci sembrava cosí assurda. Ci siamo de : “facevamo meglio a lasciaralo dov'era, nel suo villaggio, al pascolo con le sue pecore: sicuramente sarebbe ancora vivo” ma...forse il suo des no era giá segnato. Ricordo Hector, quando mi avvisó con la Radio del rifugio Ishinca. La voce singhiozzante: “Don Carlos hemos encontrado Eder, está muerto”. Hector Vidal Lopez arrivava da Piscobamba, baldanzoso e sempre con la ba uta pronta. Sapeva raccontarsi e raccontare. Immancabili le sue ba ute. Sorridente e al tempo stesso scaltro. Era riuscito a diventare guida e istru ore. Nella vita aveva sofferto molto: prima un figlio con una ragazza di Marcará, poi decise di sposarsi con una ragazza del posto. Ha due figli, la ragazza si ammala di un tumore incurabile. Lui, giá guida, abbandona il lavoro per piú di un anno per seguire le cure di sua moglie. Nel 2016 sua moglie muore dopo due anni di sofferenze, lasciandolo vedovo con due bambini. Lui poi morirá nel 2019 cadendo da un ponte a Cusco (una morte stupida e assurda). Mi sono sempre chiesto: perché DIO perme queste cose ? Cosa vuoi dire a noi che res amo qui ? Ricordo Jaime Ramirez Quiroz, un ragazzo baldanzoso. Senza piú i genitori, viveva con la sorella. Veniva da Yanama, me lo aveva presentato Abele. Jaime aveva 20 anni, era giá un pó grandicello, ma le sue condizioni familiari non lasciavano dubbi: bisognava aiutarlo. Diversamente sarebbe andato sicuramente a Lima e nel giro di poco avrebbe fa o parte di qualche banda di “pandilleros di strada”. Ques sono ragazzi che vivono di assal e fur perpetra sistema camente sui minibus della ci á. Si uniscono in gruppi di 5-6 ragazzi. Di no e “sniffano querocal”, una sostanza ricavata dalla colla vinavil: una porcheria che 116


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nell'arco di poco tempo distrugge le cellule del cervello. Jaime averebbe potuto cadere in ques giri. Decidemmo di accoglierlo nella scuola. Poi si riveló un fenomeno, sopra u o nelle corse in alta quota. A lui si deve il record realizzato sull'Aconcagua nel febbraio 2006. Record che é passato alla storia, essendo Jaime il primo uomo al mondo ad essere sceso in meno di 15 ore. Correndo da Horcones – Ve a Aconcagua – Horcones. Edgar Laveriano aveva 21 anni quando fece la prova per l'ingresso all'escuela. Veniva da Cunya, un agglomerato di case nei dintorni di Chacas. L'avevo sen to nominare tante volte questo paesino da Padre Ugo, che descriveva come uno tra i villaggi piú poveri. Raccontava di quando stava mangiando nella casa di una famiglia e dall'unica finestra della stanza buia vide vari bambini che lo guardavano mentre mangiava. Tra ques forse c'era anche Edgar. Edgar si é dimostrato nel tempo un ragazzo affidabile, ben preparato. Sempre riservato, asciu o e gran lavoratore. Edgar non ha mai dato problemi par colari. Anzi in alcune occasioni mi ha aiutato. Rivedo Lucio Foliman, ragazzo dell'oratorio di Huacchis oggi guida UIAGM che ha recentemente scalato sia il Cerro Aconcagua che il monte Elbrus con l'intezione di raggiungere le 7 ve e piú alte del mondo. Lucio é il quinto di qua ordici fratelli, il papá Alejandro Rojas era morto quando lui aveva 11 anni; la mamma Consuelo restó sola con tu i figli. Per guadagnarsi da vivere, era entrato nella selva, lavorando nelle col vazioni di coca. Ragazzo ribelle: questo senso di libertá l'aveva acquisito stando con i narcotraffican di coca. Aveva cominciato a lavorare con i narcos all'etá di 12 anni, la sua mamma per poter rare avan la famiglia lo aveva mandato nella selva. Laggiú aveva imparato a calepstare le foglie di coca e a impacche are la polvere bianca. Aveva imparato a sopravvivere nella giungla tra delinquenza e degrado sociale. Aveva sognato durante le no insonni di vivere un'esistenza migliore. Aveva pianto quando il “padron”, cosí chiamano colui che sta a capo della piantagione, lo insultava e lo denigrava. Piú volte aveva pianto e aveva desiderato scappare dalla piantagoine di coca. Mai aveva trovato il coraggio. Ma poi di necessitá si fa virtú e un bel giorno con la scusa di andare a lavarsi al fiume, colse l'occasione per guadare il rio e sparire inosservato. Sí, perché se vedono scappare i “padron” possono anche sparare. Lucio era il piú piccolo del gruppo degli alunni nella scuola di guide, ma era tra i piú svegli e piú intrepidi; non vedeva il pericolo. Par va a volte su vie di roccia senza assicurarsi, ignaro del pericolo. Par va con il gusto di dire “ho fa o questa parete in un'ora” mentre gli altri ne impiegavano due. Aveva il sangue fluido nelle vene, correva e sognava in grande. Le regole della escuela gli andavano stre e. Non sono mai riuscito a correggerlo del tu o, c'era una parte di lui in cui non era permesso entrare: era la sua libertá. Per lui la libertá era tu o, era stato il suo sogno nelle no passate nella “solitudine” della selva tra “patrones e escopetas” (caporali e fucili). 117


Il senso di libertá di Lucio era tale che lo portava ad essere disposto a tu o pur di difendersi. Cercavamo di correggerlo io e Marina. Notai che Marina aveva un tono par colare e dolce con i ragazzi: era proprio una mamma. Ci voleva il suo sguardo su ques ragazzi, non era sufficiente correggerli, bisognava fare sen re fiducia e bene. Marina ci riusciva naturalmente: lei é cosi, amorevole e paziente. Lucio non si é mai lamentato di nulla, anche quando le guide di Huaraz lo avevano rimandato indietro perché non ancora maggiorenne: avrebbe compiuto i 18 anni alcuni mesi dopo l'esame di Guida. Tornó a Marcará triste e deluso. Mi disse: “Don Giancarlo, adesso vado a Huacchis e falsifico il mio cer ficato di nascita”. Gli risposi che non doveva fare queste cose; il giorno dell'esame di Guida sarebbe arrivato. Doveva avere pazienza come la natura l'ha avuta con lui, aspe are fa parte della saggezza; mi ascoltó. (vedi capitolo 34 Lucio Foliman nel crepaccio infernale). Cesar Rosales veniva da Yungar un villaggio nelle vicinanze di Jangas. La famiglia viveva in una casa di fango, genitori silenziosi. Dopo qualche mese che era nella scuola andammo a trovarlo; loro si vergognavano quando dovevano portarci nelle loro case. Ricordo i fratellini, ne vidi tan , forse 6, non ricordo bene. Ricordo che mangiammo sedu fuori, nel cor le dalla casa, da cui si vede benissimo la Cordillera Blanca. Ma per loro queste montagne non significano nulla se non freddo e fame. Sulle montagne non si col vano le patate, non si pascolano le mucche, non c'é la legna da ardere. Cesar é sempre stato un ragazzo prestante, fisico eccezionale. Si muoveva bene, infondeva sicurezza. Aveva 18 anni quando entró nella escuela. Durante le mie camminate e scalate sulla Cordillera Blanca, ho esagerato e ho messo alla prova le mie gambe e ginocchia, i miei polmoni, la mia testa. Ho messo so o torchio la mia schiena, portando pesi mai porta prima. Andavo con uno zaino pesante per condividere con loro la fa ca. Ogni tanto qualcuno, mosso da compassione, si fermava e mi diceva “Don Carlos te ayudo ?” Cosi prendevano anche il mio zaino. Se da una parte ero contento per come mi sen vo ben voluto, dall'altra mi sen vo un incapace. Piú volte durante le esplorazioni ho dovuto fermarmi: il mio corpo non rendeva piú come prima. Seppure la mia testa mi diceva di andare avan , sen vo che le forze mi venivano meno, mi mancava l'aria. La gamba destra mi cedeva e il ginocchio cominciava a farmi male, sopra u o in discesa. Piú le discese erano impervie e piú diventava difficile per me affrontarle a cuor leggero. Piú volte chiedevo a Cesar, Blas, Amador, Quique, Lucio, Carlos, Eder, Hector, Felipe, Edgar, Michael, Miguel, Oscar, Elias, Jaime di aiutarmi, di starmi vicino. Cosi andavo spedito, tranquillo. I ragazzi mi hanno sempre dato sicurezza. Fortunatamente non sono mai caduto e non mi sono mai fra urato nulla. Non c'é stata spedizione dove 118


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ques ragazzi non fossero con me. Arrivavo da una spedizione e subito ne inventavamo un'altra: tu o per esplorare, per essere prepara , per acquisire conoscenza del territorio. Abbiamo ba uto da nord a sud la cordillera Blanca. Esplorazioni, spedizioni, aperture di vie nuove e ancora di piú. Passavo parecchio tempo con i ragazzi. Abbiamo iniziato come per gioco; pian piano ques ragazzi si sono innamora delle loro montagne. Le abbiamo affrontate midamente, consapevoli che dovevamo scoprire e imparare. Restavamo in spedizione anche due se mane consecu ve, in tenda a quote elevate, anche sopra i 4000 metri per piú giorni. Decidevamo un posto, un campo base e poi sfidavamo le ve e intorno oppure ci muovevamo per esplorare un ghiacciaio o un nuovo percorso. A volte studiavamo la via da scalare per una spedizione successiva. Facevamo fotografie, raccoglievamo indizi importan . Per esempio dove era giá passata una spedizione prima di noi: trovavamo la ne di tonno datate '70, o chiodi da ghiaccio degli anni '60. La spedizione con i ragazzi nascondeva un trucco. Mi perme ava di conoscerli a fondo, di scavare nella loro vita, di capire cosa cercassero stando nella escuela. Quali fossero i loro sogni, le loro speranze, i loro desideri. Come fosse la loro famiglia, come guardavano il mondo dei turis . Cosa li a rava di piú, per me era un modo per avvicinarmi a loro naturalmente. Li guardavo uno a uno, da come partecipavano alla spedizione, come si davano da fare nel montare la cucina, raccogliere la legna, fare il fuoco per cucinare, me ersi al servizio, sbucciando la verdura. Quanta passione ci me evano nell'aiutare. Il regime della escuela era molto marcato con tanto di calendario di turni e orari stre . Dalla sveglia, meditazione, colazione, scuola, refe orio, lavoro pomeridiano, cena e buona no e. Nella spedizione questo schema saltava; lasciavo piú libertá a chi voleva me ersi dentro nelle faccende del campo base. Li osservavo: chi si impegnava di piú, chi era piú responsabile, chi bazzicava intorno al campo base “imboscandosi” e chi invece si responsabilizzava maggiormente. Durante la spedizione evitavo di “ rare le orecchie” a qualche ragazzo che lo meritava. A casa, poi cercavo di parlare a tu per tu, approfondendo il perché di un comportamento “rilassato” o di scarsa responsabilitá. Stare con i ragazzi non é sempre stato facile, a volte dovevo sforzarmi, non tanto nello stare in compagnia. La fa ca era restare per tempi lunghi a quote elevate, dormendo in tenda al freddo e su una stuoina leggera. Molte volte durante le no dormicchiavo, non riuscivo a prender sonno. Mi giravo e rigiravo nel sacco a pelo cercando la posizione migliore. I campi che sceglievamo erano sempre selvaggi. Cercavamo fin dove si poteva di montare le tende nelle vicinanze di rigagnoli di acqua o fiumicia oli. Ascoltare i ragazzi era come tuffarsi in un mondo che non mi apparteneva. Storie di disagio, famiglie con tan fratelli, miseria assoluta. Alcuni di loro avevamo visto la fame negli occhi. Avevano dovuto trasci119


nare la loro vita lungo il sen ero della speranza, sognando un ELDORADO che non trovavano. A volte il mio cuore si commoveva, non riuscivo a dire dei no; o a bocciare qualche ragazzo. Facevo fa ca e soffrivo se dovevo prendere delle decisioni dras che su uno di loro: tu stai a casa, non vieni piú, non puoi stare qui, non é la tua strada fare la guida. Per me era dura dover bocciare un ragazzo, anche di fronte ad un'evidente carenza fisica o tecnica. Era per me come sba ere un figlio sulla strada. Ci soffrivo parecchio e prima di decidere prendevo tempo. Cercavo di dare piú possibilitá. Dicevo dentro di me: dove andrá questo ragazzo adesso? Cosa fará? Mi sembrava sempre che una parte di me se ne andasse, e non tornasse piú. Vivevo questo come un fallimento educa vo. Vivevo interiormente queste cose ed era difficile trasme erle a Marina e Padre Corrado che viveva nella Parrocchia di Marcará. Dovevo armarmi di forza e dovevo convincermi, che dovevo farlo. Questo ragazzo debbo allontarnarlo: non va, non rende, non si impegna: é un lazzarone. Cosí il primo anno passó liscio, senza troppe bocciature. Ma il secondo anno dove cominciare a dare una stre a alla morsa. Dopo che avevo guardato i ragazzi, mi ero fa o un'idea di chi poteva azzardare una carriera di guida e chi invece no, né dal punto di vista educa vo, né dal punto di vistra pra co. Avevo giá fa o tre spedizioni lunghe una decina di giorni ciascuna, e mi ero soffermato sull'aspe o della partecipazione e della responsabilitá. Quindi mi ero fa o un'idea abbastanza chiara di alcuni ragazzi che avevo guardato con a enzione. Cosí cominciai una selezione nel gruppo dei 30 ragazzi con cui avevamo terminato il primo anno: tre ragazzi se n'erano anda dopo un mese che erano lí in casa. Non acce avano le regole della escuela. Gli altri trenta rimasero e dove il secondo anno inventarmi alcune uscite piú complesse per fare un’ulteriore selezione. Cominciavano ad arrivare dall'Italia alcuni amici, guide, ad aiutarmi nella parte tecnica e del lavoro di campo. Arrivarono quasi in simultanea Valerio Bertoglio, Valerio Gardoni e Nicole a. Con loro passai un bel periodo dove abbiamo pulito e a rezzato la palestra di roccia “Los Pinos 3A” dedicata a Alessando Con , Alessandro Chemelli e Alessandro Inverardi. Tre ragazzi mor in montagna in luoghi diversi, ma sempre con la passione per le ve e. Ci vollero un paio di mesi; i ragazzi migliori si misero d'impegno. Corde fisse, imbraghi, mosche oni, jumar e tanta forza di braccia. Ci voleva tanto “olio di gomito” per pulire la falesia che volevamo a rezzare. Tagliare le sterpaglie, toglierle dai piedi della roccia, pulire dalla spine e rovi. Tagliare piante e rami, non fu un lavoro semplice rendere presentabile la facciata. Sopra u o all'inizio, quando la falesia era completamente coperta dai rovi. Non stavamo mai fermi. Inventavo sempre lavori e avventure da fare. Dicevo sempre questa massima di Antonio De Cur s, in arte Totó: “chi si ferma é perduto”. Ho con nuato a inventare a vitá in montagna. Ogni volta una cosa nuova, una esplorazione, una spedizione, un'a vitá nel campo. Portavo spesso i ragazzi in montagna, per 120


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allenamento e per stare con loro guadagnandomi la loro confidenza. Piú stavo con i ragazzi e piú sen vo che dovevo stare con loro. Mi appassionavano le loro storie, le loro vicende. I loro drammi mi commuovevano. Così sen re i loro sogni mi apriva il cuore, mi dava una forte carica per andare avan nonostante le fa che e i fallimen educa vi. Guardavo i ragazzi, le Ande, le loro vallate ricche di vegetazione, guardavo i campi col va con un aratro trainato dai buoi. Nulla mi passava inosservato. Immagazzinavo tante sensazioni, la vita della gente sempre piú povera e senza futuro. Guardavo le loro case, da dove venivano ques ragazzi. Alcuni scesi dai caserios (villaggi) sperdu , in cerca di un futuro migliore. Avevano lasciato la loro terra, le loro col vazioni di patate e mais, avevano lasciato i loro greggi per bussare alla escuela de alta montagna “DonBosco”. Erano arriva dopo ore e ore di strada a piedi, accompagna da un familiare. Nella borsa poche cose, solo l'indispensabile. Alla escula la prima cosa che abbiamo fa o io e Marina é stata quella di ves re in modo decoroso i ragazzi. Poco a poco sono diventa da semplici giovano a nostri figlioli. Chi piú ribelle e chi meno riconoscente, ma sempre figlioli. Ci siamo affeziona , a volte mi chiedo se abbiamo sbagliato. É stato giusto accoglierli come nostri figli? Avevamo un'altra strada da percorrere oltre a quella dell'amore filiale e della caritá? Molte volte si siamo chies se facevamo bene a regalare tu o. I ves , le a rezzature, gli equipaggiamen di montagna. Regalare sacchi a pelo, tende, scarponi da trekking e da scalata, imbraghi, mosche oni, corde, caschi, guan , ramponi, zaini, materassini. Regalare cucine d'alta quota, occhiali da sole, berre e, calze, bussole. Regalare, senza cercare un tornaconto. Regalare tu o quello che serviva. Regalare a occhi chiusi, senza calcolare se proprio tu o era stato mer tato. Quante volte ce lo siamo de , ce lo siamo chies . Sará giusto, sará davvero corre o? Fino a che punto dobbiamo regalare? Ci sará un limite alla caritá? I ragazzi non sono mai sta degli “s nchi di santo”, qualcuno riusciva a raccontarci delle bugie ben costruite. I figli di questa terra (campesinos) da anni nutrono per i “gringos” un senso di rancore ereditato dall'oppressione imposta dagli Spagnoli durante la conquista. Per questo “conquistare” la loro fiducia é stata per noi (io e Marina) una meta inespugnabile. Quando pensavamo di essere diventa amici, ecco che arrivava una delusione e si ritornava al punto di partenza. Non facevano questo con ca veria, era piu osto per loro un'ereditá tramandata di generazione in generazione. Quel rancore che tascinavano dal tempo della conquista. Un rancore mai asciugato fino in fondo e che dava loro diri o di “burlarsi de los gringos”. Ero cosciente di questo; perció inventavo esplorazioni e spedizioni nelle vallate cercando di stare gomito a gomito con i ragazzi. Non si tra ava solo di esplorare le Ande, per me era importante “conquistare” la loro fiducia. Questo é stato il lavoro piú impegna vo, piú importante, piú certosino. Non si tra ava di formare solo delle 121


o me guide di montagna, con tecnica, professionalitá, capacitá di intra enimento. Il nostro “cruccio” é stata la parte educa va. La parte dove la formazione tecinca non arriva, dove la montagna non completa, dove l'istru ore non corregge. Ci voleva Marina per educare, ci voleva uno sguardo materno e buono. Ci voleva una carezza della mamma. Marina ed io ci compensavamo sulla parte educa va. Non che ci sen ssimo appaga , anzi in cer momen ci siamo sen perdu . Correvamo ai ripari, da Padre Ernesto e da Padre Ugo. Cercavamo un confronto che subito arrivava. Padre Ugo e Padre Ernesto sono due Salesiani DOC, due figli di Don Bosco. Con l'occhio a ento sui ragazzi a tu e le sfacce ature della vita, compresa la componente della miseria. Io e Marina non avevamo soldi. Le offerte che avevamo raccolto dagli amici e benefa ori li avevamo messi nella cassa comune dell'OMG arrivando a Lima in Perú. La cassa comune serve a rifornire le missioni con il ve ovagliamento basico per far andare avan le Parrocchie e le scuole. Cioé arrivano camion con viveri e materiali vari come carta igenica, scope, secchi, lenzuola, materassi, coperte, scodelle, bicchieri, pia , forche e, coltelli e pentole varie. La cassa comune serve per ques rifornimen e per il gasolio delle jeep. Per il resto dovevamo trovare altri amici e benefa ori che potessero sostenere la nostra opera. Scrissi subito agli amici del Rifugio Laeng per chiedere una mano. La risposta fu posi va, per fortuna. Un bel gruzzole o ci veniva garan to tu gli anni. Dall'anno 2000, sono sta des na per sovvenzionare i corsi guida, de a dagli istru ori dell'AGMP (Asociaicon de Guias del Perù) con sede a Huaraz. L'impegno fu preso da Padre Ugo per 10 anni e il finanziamento venne fa o grazie al lavoro dei gestori del Rifugio Laeng. Dovevamo trovare altri soldi, per far andare avan la escuela e non solo. Dovevamo pagare i professori, sistemare le aule della ex-officina meccanica di Marcará e trasformarla in scuola di Guide. Comprai dei terreni confinan con la escuela per collegare la parrocchia alla Escuela senza dover ogni volta passare dalla piazza. Eravamo par con l'idea di fermarci due anni in missione a Shilla e inziare una missione nuova, questa era la proposta di Padre Ugo. Dopo un periodo a Shilla con Padre Antonio (Topio) cominciarono ad arrivare i turis e per necessitá di spazi piú ampi dove spostarmi a Marcará. Casa vuota, ambien grandi, ada per dormitori e refe orio. Marina per i primi due anni ste e a Shilla con le nostre due piccole stelline. Poi ci siamo sposta tu a Marcará per iniziare l'escuela. Non fu facile sistemere la casa e renderla accogliente. Poco a poco gli amici in Italia ci aiutavano, e pian piano ero riusicto a sistermare la futura escuela. Con i ragazzi lavoravo nei loro tempi mor : spingevano carriole piene di detri , portavano ma oni, mescolavano la malta. Facevano gli aiutan muratori e falegnami. Alcuni abba evano muri, altri ricostruivano. Furono anni spensiera , densi di emozioni e di sorprese. Per affrontare le uscite nelle quebradas mi avvalevo di un vecchio pulmino blu, con le marce vicino al volante. Non ho mai approfondito l'etá del pullmino, ma dal telaio 122


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sembrava fosse datato. Non era un pulmino 4x4 ma si mime zzava bene con l'ambiente. Dove non arrivava la potenza del motore, arrivavano le braccia e le gambe dei ragazzi a pura spinta manuale. Sempre andavo con i ragazzi, quindi avevo sempre un motore di riserva. Quante volte spingevamo: ad ogni salita ci doveva essere un aiuto muscolare. Mentre la discesa era piú semplice con il freno motore inserito. Il pullmino blu era abbastanza alto da terra, per cui non raschiava mai il terreno. Andavamo bene, finché un giorno non si é fermato e ha cominciato a fumare il radiatore. Eravamo arriva al capo linea. Bisognava cambiare mezzo. Optammo per un pulmino 4x4 da 9 pos , abbastanza capiente. Ogni due anni tornavo in Italia. Era fine del 1998 quando mi incontrai con Luciano Colombo, un signore di Mandello sul Lago di Como, che ben presto diventó un amico. Avevo bisogno di raccogliere fondi e materiali per finire di costruire il Rifugio Ishinca. Giá avevo in mente di iniziare qualche cosa di serio con i ragazzi campesinos. All'epoca avevo pensato di avviare dei corsi nella quebrada Honda. Lontano da tu o, in completa armonia con la natura e circonda solo dal silenzio ro o dal rumore del vento. Luciano subito mi propose di fare una serata a Mandello. Organizzó tu o e io preparai le diaposi ve con la musica di so ofondo. Non avendo molto tempo per prepararmi andai dall'amico Valerio Gardoni; lui mi aiutó a me ere ordine tra diaposi ve e colonna musicale. Raccontavo la mia storia legata a quella di Ba s no Bonali: da quando ci eravamo conosciu fino alla tragedia del Huascaran nel 1993. Narravo del proge o o meglio di un sogno, nato dall'animo di Ba s no Bonali, che avevo raccolto come tes mone mio e di altri amici per dar vita a un programma serio e duraturo. “Costruiamo e ges amo i rifugi; i soldi li diamo tu ai proge OMG in America La na a favore dei poveri”. Avevo iniziato quasi per caso nel 1992 la ristru urazione del Bivacco Laeng (trasformato in Rifugio) poi nel 1994 dai ruderi di una costruzione ai peidi del monte Torsoleto a 2390m abbiamo dato vita all'a uale Rifugio Torsoleto in Val Camonica. In Perú gli oratoriani avevano costruito il rifugio Pisco in piena Cordillera Blanca. Un proge o ambizioso che è lievitato. Anzi in con nua “salita”, come un puzzle infinito, a cui seguirà dopo poco la costruzione sulle Ande del Rifugio Ishinca, poi del Bivacco Giordano Longoni, poi il Rifugio Don Bosco Huascaran ed infine del Rifugio Contrahierba. La sala stracolma di gente curiosa; l'idea di dar vita ad un turismo solidale nel mondo andino aveva a rato e incuriosito tan appassiona di montagna. Ero emozionato e un pó teso, dovendo raccontare una storia e parlare di amici mor in montagna. Il mio cuore ba eva forte, scorrevano le immagini e le mie parole a volte confuse uscivano come da un ruscello. Non mi ero scri o la traccia, ma tu o fu spontaneo nel rivedere le immagini ed ascoltare i suoni. Mi soffermai su alcune immagini che avevamo scelto con cura. Puntavo lo sguardo non solo 123


sulle montagne ma su ció che stava oltre le ve e. Non ruscivo a spiegare a parole quanto il mio cuore ed i miei occhi cercassero di scrutare oltre le ve e. Non mi interessava raccontare le performace atle che e i risulta raggiun con la costruzione dei Rifugi. Mi interessava andare al di lá, oltre le ve e ma a parole non riuscivo ad esprimere il desiderio di un cammino che puntava “verso l'alto - verso l'altro”. Questa frase mi uscí un giorno, quando mi chiamó Lolli da Verona (un ragazzo dell'OMG), doveva fare un opuscolo che raccogliesse tu i rifugi OMG. In modo da raccontare del proge o dell'Operazione Masto Grosso tra le nostre montagne di casa e le Ande. Ricordo che ste in silenzio per un minuto al telefono. Esordii con una frase eloquente. Gli dissi: prendi nota e scrivi queste parole come tolo del libre o “Verso l'alto, Verso l'altro”. Dopo mesi vidi il libre o che girava con la frase che avevo suggerito. In compagnia di Luciano Colombo, Valerio Bertoglio e Valerio Gardoni feci varie serate in giro per lo s vale. Un giorno mi scrivono dalla sede della “Giovane Montagna di Torino”. Sapevo che questa associazione era stata fondata da Piergiorgio Frassa nel 1914. Conoscevo giá questa associazione, perché avevo avuto modo di incontrarmi con alucni membri in una serata a Verona. Mi organizzai con Valerio Bertoglio, uomo schivo. Mi disse: “ io accompagno ma parli tu”. Annuii dicendo che avrei parlato del proge o sulle Ande, gli chiesi di introdurre la serata, ma mi rispose che non sapeva che cosa dire. Risposi: “non ci sono problemi, quando arrivo a Torino ci me amo d'accordo, vedrai che combiniamo qualche cosa”. Par i con Emanuele (amico, gestore del Rifugio Laeng) Arrivammo a Torino, verso sera, ci perdemmo nella grande metropoli tra strade e segnale che. Con Valerio ci recammo alla sala della Giovane Montagna. La sala era gremita di gente di tu e le etá. Con aria spaesata, piazzai il computer e il videoproie ore, collegai le casse e via. Valerio ruppe ogni indugio e annunció la serata. Tu conoscevano Valerio Bertoglio sopra u o per la grande performace atle ca compiuta nel 1990 sul monte Cervino stabilendo il record di velocitá da Cervinia – Ve a Cervino – Cervinia in poco piú di 4 ore. Inizio a parlare. Le immagini scorrevano, ogni fotografia era un ricordo, un'emozione, un pezzo di strada. Mentre commentavo volevo lanciare un messaggio chiaro e limpido, non sporcato dalle mie parole, ma non é facile coniugare le due cose. Quante volte ho pensato dentro di me: “debbo mordermi la lingua”. Alla fine un forte applauso so olineó che questa storia narrata era stata apprezzata. Non so se avranno capito cosa volevo trasme ere. Penso dentro di me: le diaposi ve hanno fa o effe o. Non credo peró che siano riuscite a scalfire il cuore di chi ascoltava. Certamente provocarono for emozioni. Mentre rime evo a posto le varie cose nel mio valigione porta le, si avvicinarono alcuni giovano a chiedermi informazioni e consigli sulle Ande. Non ricordo i loro vol ma ricordo la curiositá piú legata alle montagne che ai proge avvia come Operazione Mato Grosso. Mentre mi allontanavo, mi chiedevo che senso avesse raccontare una storia cosí 124


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permeata di fa , vicissitudini, dolori, sofferenze, sudore e fa ca, gioie e avventure, se poi chi viene ad ascoltare é interessato solo a raccogliere no zie sull'aspe o alpinis co, tralasciando il messaggio piú importante, quello della solidarietà. Dove ho mancato? Cosa debbo raccontare in più? Come mantenere l'interesse sulle montagne senza discostarmi dal dire che la meta é un'altra, é più in là, oltre le cime. La nostra conversione sta nel modo diverso di guardare alle Ande. La differenza tra l'andare in montagna e cercare un senso della vita sulle montagne. Mi chiedo come posso trasme ere questa passione per la ricerca verso una vita di amore che va oltre l'ambizione di aprire nuove vie su pare ver ginose, solo per il gusto di farlo e raccontarlo. Con nuo a pensare che tu o quello che s amo facendo ha un fine: aiutare i ragazzi campesinos a uscire da uno stato di miseria che li ha resi schiavi della propria esistenza. Aiutare, sollevare, sfamare é la nostra vocazione per cui ci ba amo ogni giorno, per cui desideriamo regalare la nostra vita. Nel farlo abbiamo incontrato la montagna che aggiunge un valore par colare a questo cammino. Passano alcuni anni e ogni volta che ritorno in Italia organizzo serate sulle Ande, con i toli piú svaria , cercando di so olineare sempre di piú il messaggio principale. I toli che u lizzo sono “Le Ande tu e d'un fiato” - ” Mani e piedi sporchi di fango” - “ Tra Ande e campesinos” - ”Verso l'alto - Verso l'altro” ma penso che il tolo piú azzeccato l'ho trovato dopo vari anni che camminavo su e giú per le montagne: “sulle Ande con le scarpe bucate”. Mi sembra un modo essenziale per raccontare una storia vera. Le scarpe bucate, sono sinonimo di povertá, di precarietá, di miseria e di abbandono. Desiderei che tu affrontassero anche solo per un istante questa realtá nuda e cruda in un mondo dove tu o corre ed é immediato, dove siamo abitua a conoscere e sapere tu o subito. “Le scarpe bucate”, significa macinare chilometri su chilometri nella fa ca, sudando e soffrendo. Sono il segno del tempo, del sudore, dell'usura, della sofferenza, del disagio e di camminare osservando ció che ci circonda, dell'apprezzare il silenzio. Noto sempre con stupore quanto siamo immersi nel mondo, nella vita frene ca. Non ci si accorge di quel disagio interiore che spacca l'anima, e divide il bene dal male, proprio sul confine tra fede da una parte e il rela vismo dall'altra. Tu o é il contrario di tu o e l'uomo ha bruscamente interro o quella ricerca filiale verso “il santo more di DIO”. Oggi si vive in un mondo dove purtroppo DIO non conta e quindi si é perso anche il senso del peccato. Oggi osservo un mondo sempre piú alla deriva: tra scienza e tecnica. Senza accorgerci abbiamo perso la ro a, andiamo senza direzione. La coscienza svanisce, non esiste; cosi trionfa l'assuefazione alle mode imposte dal costume generale. “Cosi fan tu ”. Questa le ura dramma ca ci impone una riflessione, che non é facile acce are. Il risultato sarebbe controcorrente e implicherebbe molte rinunce e un passo indietro da parte della 125


scienza e della tecnologia portata ormai all'estremo. Soffro nel dire queste cose e so olineare il dramma della solitudine dei giovani che tocco con mano ogni giorno. Un dramma che si ripete e diventa consuetudine e quindi non fa piú rifle ere e pensare. Si conclude tu o dicendo: “é cosi, cosa ci vuoi fare, fanno tu cosi, va bene cosi, questo é il mondo moderno con i suoi pregi e dife ”. Quando ascolto queste risposte, mi sembra che non si voglia capire che il mondo cosí sta distruggendo la parte piú bella e piú semplice dell'uomo che sono la fede, la speranza e la caritá. Di questo passo vivremo sempre di piú in un mondo egoista, falso, fa o di finzioni e di bugie. Le stesse che si dicono i ragazzi tra di loro diventando quasi la normalitá. Mi ribello, cerco altro, per questo ho deciso di vivere sulle Ande, in mezzo ai poveri campesinos, che sono ancora semplici e umili. Ho assis to al cambiamento delle abitudini della gente campesina. Il cambio é stato violento, veloce: le abitudini si sono stravolte nell'arco di alcuni anni. L'arrivo dei cellulari, dove si riusciva a mala pena a comunicare; giá questa era una conquista sociale. Sopra u o nelle comunitá isolate era visto come uno strumento u le per comunicare velocemente. Direi che per mol versi ha salvato anche vite, visto che con questo po di comunicazione rapida si poteva lanciare S.O.S dovunque ci veniva permesso dalla ricezione del segnale. Anch'io ne ho usufruito stando in missione. I primi cellulari che arrivavano avevano la consistenza di un ma oncino, si riusciva a mala pena a comunicare. Nei villaggi dove qualcuno aveva avuto la possibilitá di poterselo comprare era una festa. Era simpa co vedere le donne che urlavano con questo mezzo di trasmissione, pensando che se non alzavano la voce dall'altra parte del fono non arrivava alcun messaggio. Mi faceva sorridere, vedere donne gridare in quechua al cellulare nelle stradine dei loro villaggi sperdu sulle Ande. Poi con il tempo tu o si è evoluto e nel momento in cui é stato applicato internet ai cellulari, ho visto il perpetrarsi di un disastro senza filtri. Non che qui abbiamo filtri. Penso che se da una parte il cellulare con internet sviluppa una velocitá per acquisire informazioni, per inviare messaggi, per captare maggiori da u li alla vita quo diana, dall'altra parte in pochissimi anni siamo diventa dipenden . Sopra u o i giovani di ogni genere, anche i poveri di ogni Con nente. Assisto con stupore al dilagare incontrollato di ques apparecchi che ci conne ono al mondo lontano e vicino. Ma che ci allontanano dalla vita quo diana fa a di fa che, di sacrifici, di sudore, di sorrisi, di stre e di mano. Assisto con preoccupazione al prolificare di un mondo sempre piú virtuale. Osservo impotente a un propagarsi di questo in modo confuso, ma che ci sta conquistando violentemente. Concordo nel dire che siamo assuefa e so omessi: dall'Occidente all'Oriente, fino ai Paesi del Terzo mondo, nessuno escluso. Non vorrei sembrare un conservatore, ma osservo con molta preoccupazione questo giro di boa, velocissimo e violen ssimo a cui ci s amo so oponendo inconsciamente. É un 126


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mondo che non ci appar ene. Per questo credo che portare i ragazzi in montagna sia la formula vincente per parlare al loro cuore, sopra u o se in montagna res amo isola dalle connessioni virtuali. Per anni ho camminato lungo i sen eri della Cordillera Blanca, della selvaggia Cordillera Huayhuash fino a spingermi verso le Cordillere Raura e la piú remota Cordillera Huaguruncho. Raramente ho usato cellulari per comunicare. Dove potevo u lizzavo le radio porta li. Con i ragazzi “guide DonBosco” siamo sta sui vulcani dell'Ecuador, abbiamo toccato le ve e piú significa ve della Cordillera Real in Bolivia. Abbiamo sperimentato l'aria rarefa a dell'Ojos de Salado in Cile e del cerro Aconcagua in Argen na fino a raggiungere Ushuaia sull'isola grande della Terra del Fuego in Patagonia. Prima che andassi in Perù avevo già scalato varie montagne di casa mia. Da piccolo con il mio papá ero arrivato sulla ve a del Pizzo Camino. Poi con i ragazzi dell'OMG avevo raggiunto il ghiacciaio del Blinden in Val Formazza, vari percorsi fa a piedi lungo vecchie mula ere che collegavano an chi valichi di fron era. Poi a 32 anni suona , sono par to con la famiglia per il Perù. Avevo solo uno zaino con dentro lo stre o necessario per vivere. In braccio la mia piccola Marianna che portavo nel palmo di una mano. Marina teneva per mano Marta che già camminava e ci riempiva di domande. Arriva a Lima, abbiamo subito capito che ci eravamo rituffa in una ci à cao ca, dove lo s le di vita non era cambiato. La lentezza e il prolificare trascinato della miseria traves ta da una facciata di colorito progresso era il quadro triste e sofferto che ci si presentava. Un impa o duro, rivedere gli amici OMG impegna su vari fron ; mi hanno fa o capire quanto c'era bisogno di noi. Si potrebbe vivere per anni ai piedi della Cordillera Blanca senza terminare mai di esplorarla, seppur percorrendo le decine di valli, di salire le cen naia di montagne e di scoprire favolosi angoli nel regno delle alte quote. Ogni volta per me é stata una sorpresa inimmaginabile. L'ho compreso vivendo so o i nevados, a Marcará (2760m.) nella regione Ancash. Il legame indissolubile che abbiamo stabilito con la cordigliera e la sua gente dipende anche dalla nostra scelta di vita: stare in mezzo ai figli dei campesinos che vivono sulle sue pendici. Camminando lungo an che vie di comunicazione con i ragazzi figli dei discenden degli Incas, ne ho immaginate e tracciate di nuove. Ne è scaturita un'idea di turismo responsabile, divenuta un'a vità che ho condiviso passo dopo passo con gli allievi, oggi guide d'alta montagna “Don Bosco”. Un proge o nato entrando semplicemente in relazione con la gente, con la realtá dei pastori d'alta montagna. Con la cultura e le abitudini, spesso di non facile comprensione. I sen eri, le valli, i campi, i boschi, i laghi, i ruscelli e le cime, prima di essere «terreno d'avventura» per gli andinis , sono elemen di un'economia di sussisten127


za in cui anche un piccolo cambiamento può spostare il giá fragile confine fra la vita e la morte. Gli alpinis ed escursionis che transitano lungo ques sen eri, spesso non si accorgono che la vita campesina in quota è più «estrema e rigida» delle vie difficili sugli O omila. Ho capito che é qualcosa che va oltre la coscienza di trovarsi nel Parque Huascarán, monumento dell'Unesco, contribuendovi semplicemente col biglie o di ingresso. Per noi si é tra ato di immergerci in chi ci ospitava. Ed è proprio la comprensione delle condizioni dell'esistenza in questo scenario, tra pastori, vita dura, natura lucente di ghiacci e rocce a trasformare la nostra vita arricchendola di un'esperienza indimen cabile dai caldi e toccan risvol umani. Da questo sono par to con gli alunni della escuela de alta montagna. L'esperienza si é trasformata ben presto in scelte di vita. Camminare sulla Cordillera Blanca ha significato prima di tu o seguire sen eri trasversali che non hanno età, risvegliare vecchie mula ere, immergerci nell'ignoto. Abbiamo camminato per anni lungo an che mula ere percorse da pastori prima che dagli escursionis che seguono il solco di tu e le valli, su entrambi i versan della catena e che quasi sempre si collegano alla valle opposta tramite un valico aperto ben sopra i 4000 metri. Abbiamo scoperto decine di percorsi, che traversano il crinale della cordigliera, toccando pascoli e laghe fra ve e spe acolari. Solo alcuni sono famosi e ba u dagli stranieri: per esempio il passo Punta Yanashallash fra Olleros e il sito archeologico Chavín de Huantár; il Portachuelo de Honda fra Marcará e Chacas; il valico Punta Yanayacu fra Carhuaz e Yanama; e il più frequentato, Punta Unión, nella valle dei Santa Cruz passando ai piedi dell'Alpamayo. Su ques larghi sen eri si usa camminare in carovane con asini e arrieros per il trasporto dei carichi. Fra i trekking di questo po, che sono quelli propos da gran parte delle agenzie, uno si differenzia per lunghezza e isolamento: il giro dell'Alpamayo che ruota tra il massiccio dei Pucajirca e del nevado Santa Cruz: montagne meravigliose, con superamento di al valichi. Gli i nerari si mol plicano su semplici tracce o fuori sen ero. A volte raggiungevamo giganteschi terrazzi naturali, modella dalle glaciazioni, a varie quote. In varie occasioni ho raggiunto luoghi selvaggi, inospitali, raramente menziona sulle mappe. Sono agglomeradi case (Caserios) popola dove c'era solo la segnalazione sulla mappa di una vecchia azienda agricola, come fu per Huchucpedro in piena Cordillera Negra. Sulla mappa dell'Alpenverein non era segnata nemmeno l'an ca mula era. Nessun sen ero, poi giun sul posto sono sta gli stessi pastori a indicarci dov'eravamo arriva . Rivedo la strada impervia, il guado del fiume vicino a un ponte pericolante, l'unica aula di scuola sulla destra, il te o di paglia, le finestre con i vetri ro . Rivedo l'unico albero dalla grande 128


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chioma che copre parte del te o della scuola. Non so se chiamare scuola quella costruzione che di primo acchito mi era sembrata una stalla. Arriva alla fine dello sterrato, ecco l'agglomerato di case, tu e con l'immancabile te o di paglia. Lassú faceva freddo, le pecore di no e restavano allineate al muro perimetrale che delimitava la strada dalla scuola. Il muro in tapial era alto 2 metri, un misto di fango, paglia e acqua. Non so come faceva a stare in piedi, eppure resisteva alle ingiurie del tempo. Al ma no presto osservammo le pecore tu e in fila, coperte da un leggero manto bianco di brina. Si scaldavano appoggiandosi al muro di fango. Non ho mai capito perché ci fosse quella lunga fila di pecore , forse il muro essendo al sole rilasciava di no e un pó piú di calore, o forse il muro le riparava dal vento. Non ho capito ancora oggi a cosa serva stare in fila contro quel muro. Quante domande senza risposta. Durante questa esplorazione che ci aveva portato, ingnari, al “confine del mondo conosciuto”, trovai sul crinale della montagna vari ome di pietra. I ragazzi mi dissero che erano gli ome u lizza da UCHU PEDRO per confondere l'esercito spagnolo durante la rivoluzione avvenuta nel 1800. Gli ome servivano a dare l'impressione che su quel versante della montagna ci fosse un manipolo di solda dispos a tu o, costrui per simulare un esercito di ribelli. Quante scoperte feci man mano mi inoltravo in un territorio senza nome e senza gloria. Scoprivo una storia an ca che non mi apparteneva, ma che mi affascinava, passo dopo passo. La natura a volte é piú furba di quanto l'uomo possa immaginare. Lassú ho avuto la sensazione che non fosse passato nessun occidentale. Ho vissuto sensazioni uniche e inspiegabili: l'ebbrezza del vento freddo che penetra nelle ossa, in zone isolate dove anche i raggi del sole fa cano ad arrivare. Tra le crepe della terra, si nascondono rigagnoli di acqua ancora cristallina. Molte di queste crepe sono angoli nascos di un mondo an co, con infini giochi di luce. Lo stesso raggio di luce che ha superato le crepe della vita di ques giovani pastori e ha regalato loro un futuro migliore. C'è voluta una crepa per dare inizio a una grande trasformazione. Oggi le guide Don Bosco sono approvate dalla UIAGM. Con l'aiuto di alcuni amici alpinis italiani siamo risuci a esplorare a lungo varie zone selvagge e poco ba ute. Esplorando, sono na dei traccia inedi di grande interesse. Per esempio l'alta Via Don Bosco: é stato un lavoro immane che ci ha vis impegna per vari anni. Studio, prove e lunghe esplorazioni a quote elevate, superando valichi e passi andini. Poi l'idea di unire il Centro Andinismo Renato Casaro o ai primi tre rifugi andini (rif.Ishinca 4350m – rif.Huascarán 4675 – rif.Pisco 4765). Ques rifugi costrui dai giovani volontari dell'Operazione Mato Grosso, des nano gli introi a scopi umanitari e al sostentamento delle famiglie più indigen dei villaggi altoandini. Lo studio iniziale é durato una ven na di giorni, tu o con 129


l'uso di tende. Lasciai i ragazzi e Franco Michieli al Passo Mujon poco dopo la laguna di Conococha. Ci sono volu vari rifornimen che ho effe uato in tre luoghi prescel prima dell'intera traversata. Carlos e Edgar avevano le radio in dotazione, ma non sempre riuscivamo a comunicare. Per cui avevamo stabilito tre pun di incontro; dopo il primo punto ci saremmo organizza per il secondo ve ovagliamento, e cosi via. Alla fine ne risultó una traversata straordinaria. Carlos ed Edgar concluderanno l'intera traversata, loro saranno i primi uomini al mondo ad a raversare per intero la Cordillera Blanca da Sud a Nord. Quasi senza accorgercene avevamo compiuto la piú grande impresa mai realizzata prima nella storia della Cordillera Blanca. Oggi il percorso é stato rido o e viene consigliata la parte migliore coperta dai Rifugi Andini che si effe ua in una decina di giorni. Per fornire i rifugi di una copertura radio adeguata e dare la possibilitá di avere anche solo una minima comunicazione a chi scalava le montagne in caso di inciden , decidemmo di dotare i rifugi di radio e di installare un apposito ripe tore nella Cordillera Negra. A capo di questo proge o c'era Luciano Colombo; dall'Italia aveva portato un ripe tore fa o su misura da un tecnico di Cepina (Sondrio). Il tecnico si chiama Sandro, una mente fine. Non aveva mai visto le Ande. Per costruire il ripe ore si era basato sulla descrizione fornitagli da Luciano Colombo. Nel 1998 cominciammo a installare il primo ripe tore per prova. Il posto prescelto era nella cordillera Negra sopra Carhuaz – Ataquero. Ahimé le comunicazioni arrivavano a singhizzo sia dal Pisco che dall'Ishinca. Dopo vari tenta vi anda a vuoto, decidemmo di andare a riprendere il ripe tore e portarlo da un'altra parte. Il recupero fu rocambolesco; arriva al villaggio di Atauqero, abbiamo trovato os litá da parte della gente. Smontato il traliccio del ripe tore e caricato sulla jeep, imboccammo la strada sterrata che scende verso valle. A un certo punto trovammo il ponte di legno, che avevamo a raversato all'andata senza problemi, completamente smontato. I pali erano sta tol appositamente, non si tra ava di una ro ura. Qualcuno aveva tolto i pali apposta. Cosi ci trovammo circonda da un bagno di gente, che imprecava in quechua contro di noi. Ci portarono sui gradini della chiesa. Cominciarono a inscenare una specie di processo. I capi d'accusa erano che noi rubavamo i bambini per farne dell'olio per le macchine della mina. In defini va eravamo dei bandi . La gente credeva a questa menzogna. Non c'era verso di convincerli del contrario. A un certo punto ci venne l'idea di nominare il Vescovo. Se ci lasciate liberi, faremo fare un documento dal Vescovo che dice che noi siamo persone oneste. Dopo una consulta veloce, il verde o fu posi vo. Ci lasciavano andare, avrebbero tra enuto la scatola del ripe tore e saremmo dovu tornare con un documento ufficiale del Vescovo di Huaraz. Verso sera, giá all'imbrunire ci lasciarono passare: rimisero le travi di legno sul ponte e la jeep oltrepassó il fiume. Furono momen concita e densi di paura. Basta poco per infiammare gli animi nelle comunitá 130


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locali. Poi tu o diventa per loro legi mo nel difendere il loro territorio. Non esiste un servizio di soccorso con elico ero come in Europa. Neppure esiste un eliporto a rezzato. Tu e le guide in caso di soccorso intervengono a piedi su base volontaria. I tempi sono lunghi e a volte l'infortunato resta ore e ore sul ghiacciaio con conseguenze letali. Sono lontani i tempi in cui i ragazzi “cargadores” non avevano nemmeno le calze e gli scarponi per camminare alle alte quote. Sono lontani i tempi in cui dovevamo ves rli alla bell'e meglio, dovendo insegnare loro ogni manovra su ghiaccio e roccia. I corsi di orientamento e la le ura della bussola, oggi sono ormai supera . Le giovani guide conoscono il vasto territorio della Cordillera Blanca e della Cordillera Huayhuash come non avrebbero mai immaginato solo vent'anni fa. Oggi chi arriva in Cordillera Blanca, puó effe uare svariate traversate in quota con l'aiuto esperto delle Guide Don Bosco, superando anche valichi inesplora che si imme ono in vallate (quebradas) poco ba ute e sconosciute. Le ascensioni “andinis che”, come si dice quassù, trovano terreno inesauribile. Solo alcuni nevados sono frequenta e soffrono momen di rela vo affollamento. Mentre la solitudine in altri luoghi è una fedele compagna di viaggio. Oggi l'escursionista per un primo approccio con le Ande, può far conto sulla comoda base dei rifugi, da ciascuno dei quali si possono compiere ascensioni. Nevados come l'Ishinca (5560 m) o il nevado Pisco (5752 m), con gli omonimi rifugi, sono alla portata anche di alpinis meno esper , appoggiandosi sempre ad una guida. Il grande colosso del nevado Huascarán (6768 m) di solito non comporta grosse difficoltà (tra a 45°/50°, crepacci), se la traccia è presente e il clima favorevole, ma occorre o ma acclimatazione. Il nevado Chopicalqui (6354 m), con la sua favolosa cresta sud ovest, spesso gode di migliori condizioni. La ve a più ambita resta il nevado Alpamayo (5947 m), che però nonostante l'alta affluenza al suo campo base, rimane una meta impegna va e non priva di rischi per crollo di cornici. Quindi al campo base, dopo aver a raversato 40 chilometri di quebradas, avviene un'ulteriore selezione. Tra le cime sconosciute, invece, lungo i 180 chilometri della cordigliera, se ne scopriranno di bellissime con pochissime salite registrate. Alcune “rare eccezioni” non sono ancora state raggiunte e mantengono celata la loro immutata bellezza, nascondendosi dietro i piú imponen colossi andini. I ghiacciai in alta quota non li ho mai so ovaluta . Le pare sono raggiungibili in 2 o piú giorni, quasi come sulle Alpi. Il contesto lassù è ben diverso. Ho notato che le ridondan formazioni glaciali del tropico sono molto più fragili dei nostri ghiacciai alpini. Anche la mia 131


resistenza fisica e psichica a piú di 6000 metri si é sempre rivelata inferiore al previsto. L'evoluzione meteo con frenquen sbalzi termici é sempre stata una costante che ha messo a dura prova il mio fisico. Non avendo un servizio meteo ufficiale, mi sono sempre appoggiato all'esperienza e saggezza dei miei ragazzi campesinos. Le uniche comunicazioni sono sempre state possibili dai rifugi tramite radio (Ishinca, Pisco, Huascaran). Molte volte ho u lizzato le radio porta li in dotazione alle guide Don Bosco. Le mete venivano scelte sempre con gradualità, discutendo ogni de aglio con i ragazzi. Durante il periodo di formazione dei ragazzi, Padre Ugo mi incaricó di costruire il Rifugio Ishinca e di ricostruire il Bivacco Giordano Longoni (Vedi capitolo 9 - i Rifugi della Carità). Negli anni della formazione ho avuto accanto due assisten molto in gamba. Uno il fratello di Eder, Rodolfo che sempre mi ha affiancato nell'accompagnare i ragazzi in spedizione. Rodolfo é un uomo forte e robusto. Oggi fa il professore di religione, lui era diventato aspirante guida proprio agli inizi dell'apertura della Escuela de Guias. Insieme a lui ho avuto un altro ragazzo “d'oro” come si suol dire. Hayser Sanchez, veniva da un caserios vicino a Vicos, conosceva la quebrada Honda, la vedeva ogni giorno proprio di fronte al suo villaggio. Hayser putroppo non vivrá per molto, e non vedrá finito il sogno della Escuela de Guias. Nel 2005 gli viene diagnos cata una “leucemia” che nell'arco di poco tempo lo spegnerá. Scrisse varie riflessioni, una fra tu e é quella che trascivo in seguito: Lima nov.2003 La resposabilitá o la irresponsabilitá... L'essere umano nella sua vita é dentro un determinato spazio – tempo. Il nostro luogo geografico dove viviamo é: la casa, la famiglia, le montagne, i rifugi, i turis , l'oratorio e i poveri. Le nostre a vitá sono assogge ate al tempo, per questo, fare il nostro dovere é segno di matur tá e di fiducia. La responsabilitá é un valore molto importante, perché grazie a questo possiamo convivere pacificamente e armoniosamente nella societá. L'elemento indispensabile é compiere il proprio dovere, é un obbligo che nasce da dentro, non perché qualcuno ce lo impone. Nella vita é facile cadere nell'irresponsabilitá (la facciata nega va del dovere). Un lavoro fa o male, inventarsi scuse, non dire la veritá, essere disordina , sfuggire dal sacrificio, aspe are che altri ci dicano e non rispe are le regole della casa, non rispe are gli altri; tu o questo puó succedere nella nostra famiglia. La piú difficile tra le responsabilitá é quella morale: dobbiamo assumere le conseguenze delle nostre azioni e decisioni. Essere responsabili é cercare di fare tu o con senso di gius zia e di dovere in tu i sensi. La responsabilitá é qualche cosa di stabile, tu possiamo tollerare qualche occasionale errore, come 132


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anche noi possiamo cadere facilmente nelle tentazioni. Dobbiamo stare a en a non creare un clima di sfiducia tra noi. La fiducia e l'equilibrio tra le persone é fondamentale, perché diventa una corresponsabilitá di doveri. Oggi tu o é cambiato, viviamo in un'epoca dove si denigra qualsiasi forma di autoritá, cosi anche le regole vengono meno. Tu cavalchiamo la superbia e l'egoismo che ci fanno sen re autosufficen , superiori senza rendere conto a nessuno, con il pretesto di difendere la nostra libertá. L'unica forma per comba ere questa crisi di valori é fidarsi di Qualcuno, lasciando da parte ogni sen mentalismo. L'ubbidienza ci rende semplici, perché ci me e di fronte al “fare le cose e non al cri carle”. C'é da me ersi con entusiasmo al servizio; generando fiducia. É importante e necessario per fare le buone azioni nella convivenza e il lavoro serio. Guardando il nostro comportamento, c'é un circolo vizioso. Denigriamo ogni suggerimento, non acce amo, non riconosciamo, non rispe amo, non ascol amo, non vogliamo vedere gli errori che comme amo. Se facciamo qualche cosa é solo per un istante, poi tu o torna come prima. Il dife o che piú comme amo é quello di non dirci le cose come stanno, solo accenniamo qualche cosa, a pezzi. Tu o per difenderci o per so olineare che anche gli altri compagni fanno cosí. Questa é una mala a contagiosa. Per maturare c'è da comba ere la parte nega va che sempre ci assale. Dobbiamo orientarci alla veritá e cercare un dialogo con i nostri superiori. Non dimen chiamoci dello “sguardo di Dio” che dev'essere permanente nei nostri cuori. Se siamo convin di Lui, potremo discutere i problemi con maggior fiducia, sapremo dis nguere il bene dal male. Sapremo dove siamo, cosa s amo facendo e perché esis amo. Terminata la scuola e forma 13 giovano oggi Guide UIAGM, ci siamo chies cosa fare per dare a loro un lavoro duraturo. Nascque l'idea di costruire une sede permanente per le giovani Guide Don Bosco. Nasce il Centro di Andinismo Renato Casaro o Era il 2007 quando Padre Ugo mi chiamó a Chacas: doveva parlarmi perché era appena saltato il proge o del Rifugio Casaro o al campo base Alpamayo. Le comunitá locali di Cashapampa si erano opposte dicendo che con il rifugio avremmo portato via lavoro agli arrieros e ai portatori. In pra ca questa sommossa del pueblo era stata dire a da un gruppo di Agenzie locali di Huaraz, che avevano fa o passare il messaggio che la parrocchia rubava lavoro ai comuneros per darlo agli oratoriani e che se avessimo iniziato la costruzione del rifugio nella quedrabda Santa Cruz, la comunitá si sarebbe ribellata. Cercammo di quietare le acque con vari incontri e riunioni, sia a Cashapampa che alla sede della escuela de Guias. Ma il pensiero delle comunitá locali era ormai stato distorto e quindi inamovibile: “con la 133


scusa di aiutare i poveri costruite i rifugi”. Dovemmo rare i remi in barca e alla fine rinunciammo alla costruzione anche se avevamo giá i permessi firma dall'ente che ges sce il Parco Nazionale Huascaran (INRENA). I CAI delle sezioni Vicen ne avevano un pó di soldi da des nare al proge o del rifugio Casaro o che erano fermi. Che fare? Ci balenó l'idea di costruire una sede per le guide dedicandola a Renato Casaro o. Padre Ugo voleva preparare i piani d'azione. Mi convocó a Chacas per un incontro. Arrivai e mi portó in camera sua (quando é cosi ci sono decisioni importan da prendere); non pensavo in quel momento al centro; avevo altre cose in testa. Padre Ugo mi disse: “Cosa dici se costruiamo un Centro per le nostre Guide a Marcará?” Io gli risposi: “Dove lo facciamo?” A Marcará trovai il terreno quasi subito, era in vendita un lo o di terra a Huaricoto, molto grande circa 6000 metri quadra : faceva al caso nostro. Subito Padre Ugo avvisó Don Ambrogio di des nare parte dei soldi dei rifugi OMG della Val Formazza per l'acquisto del terreno. I soldi arrivarono e in poco tempo la comprai. Tu o fu registrato regolarmente a nome della Parrocchia. Il proge o del rifugio Alpamayo per Casaro o era fa o in modo re angolare. Una specie di U aperta verso la valle: qui dovevamo trovare una soluzione diversa. Con Angelo Bertoni (archite o) ci trovammo in Italia per definire i disegni e far quadrare una soluzione per nente e che non si discostasse molto dal proge o iniziale. Una delle due ali della costruzione andava aperta a 45 gradi in modo da rendere la casa delle Guide piú accogliente. Ne uscí quello che ora possono apprezzare tu come il Centro Andinismo Renato Casaro o a Huaricoto (Marcará). Cominciammo i lavori con gli operai trova qua e lá: alcuni esper muratori, altri solo manovali. Dopo aver comprato il terreno e aver dato vita al can ere, mi accorsi che scarseggiavano i soldi. Come facciamo ad andare avan ; chiesi a Padre Ugo una mano. Subito arrivarono i primi aiu . Ma le spese da affrontare erano tante. Ci volevano mol soldi, sopra u o per le rifiniture, il te o e tu gli infissi. Padre Ugo ci aiutava con soldi suoi, anche io e Marina comincimamo ad usare i nostri soldi. Non erano mai abbastanza. Alla fine il Centro é costato parecchio. Ognuno ha contribuito; CAI Vicen ni, Padre Ugo, io e Marina apportammo una parte consistente. Per me e Marina si é tra ato di un sforzo enorme. Lo abbiamo sen to come un dovere e allo stesso tempo un regalo che dovevamo fare ai nostri figli. Centro Andinismo Renato Casarotto a Marcará 2760m

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In occasione di un mio ritorno in Italia (ogni due anni tornavo per mantenere i conta con gli amici e visitare i paren ) gli amici OMG di Schio tra cui Roberto (Derrik), Michele Bene e le sezioni dei CAI Vicen ni, organizzarono un incontro con Gore a Traverso (la moglie di Renato Casaro o). Gore a aveva espesso il desiderio di regalare al Centro Andinismo che stavamo costruendo ai piedi della Cordillera Blanca, un ricordo tangibile dello spirito con cui Renato aveva scalato le montagne piú belle del mondo. Non sapevo come fosse la cerimonia che mi aspe ava; invitai Don Ambrogio Galbusera e i miei genitori ad accompagnarmi. Ci trovammo in un bar con Gore a Traverso, un'ora prima della serata ufficiale organizzata dai CAI Vicen ni che ci avevano finanziato parte della costruzione del Centro a Marcará. Durante questo rientro in Italia, avevo affidato a Eleasar Blas la conduzione del can ere; ero tranquillo e sicuro che avrebbe condo o il lavoro a regola d'arte. M’incontrai con Gore a, di cui avevo le o il libro che aveva scri o (“Una vita tra le montagne”) raccontando la storia di lei e di Renato; fu un incontro cordiale, da ambe le par ; c'é s ma e la figura di Renato ci lega con un so le filo invisbile che ancora non vedo. Mi trovavo a bere un caffé con la prima donna italiana che aveva raggiunto un 8000 in Himalaya, e che aveva accompagnato Renato Casaro o in Perú quando aprí la via che lo rese famoso sul Huascaran Nord. Rincorrevo i ricordi, quando nel 1996 avevo incontrato Riccardo Cassin e con alcuni amici eravamo anda in Tren no per parlare con Othmar Prinoth che allora era il presidente delle Guide UIAGM. Ma torniamo a Gore a e Renato Nei primi anni da scalatore, Casaro o ebbe come teatro le sue montagne del Veneto e del Tren no, un con nuo altalenare tra l'officina delle Piccole Dolomi vicen ne e le grandi pare dei Mon Pallidi. Un periodo forsennato, che consen a Renato di apprendere i trucchi del mes ere, rare al massimo l'arrampicata libera sulle pare di casa, aprire le prime vie nuove, provare l'esperienza delle solitarie e delle scalate invernali. Dopo le grandi “classiche”, arrivarono le scalate importan . Tante, belle ed avventurose. A par re dal 1977 ci fu un salto di qualità. Tu o cominciò con la solitaria strabiliante in Perù, nella Cordillera Blanca, sulla Nord del Huascarán Norte: una parete concava, alta oltre un chilometro e mezzo, ba uta dalla valanghe e dalle scariche di ghiaccio e di sassi. Lassù, l'alpinista vicen no salì navigando “a vista” per 17 giorni consecu vi, con un unico conforto: il collegamento radio giornaliero con la moglie Gore a, in a esa al campo base. Ba s no Bonali mi aveva confidato che aveva preso conta con Gore a per avere informazioni de agliate sulla via aperta sulla nord del Huascaran da Renato e che Gore a gli aveva mostrato i de agli della via. Ques ed altri erano ricordi ricorren in me, perché ero tes mone inconsapevole di una storia cosi importante nell'alpinismo di altri tempi. 135


Gore a mi disse che nell'agosto 2003 un gruppo di scalatori del Kazakistan, avevano rinvenuto le spoglie di Renato, dopo piú di 17 anni dalla sua tragica morte; il lento scorrere del ghiacciaio aveva fa o riemergere le spoglie che furono trasportate al Memorial Gilkey. Gore a viaggió in Nepal con Roberto Mantovani dove gli fu consegnata la piccozza, quella che Renato aveva tenuto tra le sue mani per 17 lunghi anni, e con la quale aveva tentato di raggiungere la ve a del K2. Renato era tornato indietro a 300 metri dalla ve a, dopo aver tentato di salire lungo lo sperone Sud Sud-Ovest. Scendeva, era di ritorno e si trovava ormai a poca distanza dal campo base quando un ponte di neve cede e e lo fece precipitare in un crepaccio. Riuscì a chiedere aiuto via radio agli amici italiani della spedizione “Quota 8000”. La spedizione era dire a da Agos no Da Polenza; alcuni di loro andarono in suo soccorso. Era sopravvissuto alla caduta, ma era rimasto ferito troppo gravemente. Riuscirono a rarlo fuori, ma morí per le numerose emorragie interne vicino a Gianni Calcagno e a Kurt Diemberger che si erano ferma con lui intanto che gli altri erano torna al campo base a prendere ossigeno e altri materiali di soccoroso...ma era ormai troppo tardi. A Gore a fu comunicato via radio che Renato si era spento. Dopo alcuni istan di silenzio, Gore a prese la decisione di ricalare giú Renato nel crepaccio dove era caduto e aveva trovato la morte. Renato venne sistemato, gli fu rimessa tra le mani la sua piccozza e venne ricalato giú nel crepaccio. Quando dopo 17 anni le venne consegnata la piccozza, Gore a si chiese cosa poteva farne: “Mi son de a, cosa ne faccio di questa picozza, qui é sprecata, pensai la daró a qualche nipote, ma poi che fine fará ? cosi maturari l'idea di donarla al Centro Andinismo Renato Casaro o a Marcará, il posto piú ada o per ricordare lo spirito di Renato” Gore a mi dice che, nella cerimonia ufficiale, mi consegnerá questa picozza per essere esposta al Centro Casaro o come dimostrazione di gra tudine e affe o nei confron delle Guide Don Bosco. Debbo dire che queste cose mi emozionano tan ssimo: sono pezzi unici di un mosaico per me ancora incompresibile e che mi stupisce ogni giorno. La cerimonia, fu indimen cabile, rivedo gli occhi di Gore a pieni di affe o e di commozione nel sapere che questa picozza veniva esposta per sempre al Centro Casaro o: lassú dove volano i condor, lassú dove il cuore di Casaro o aveva aperto una tra le vie piú difficili del mondo. Oggi il suo nome ci stava aiutando ad aprire una via nuova ai nostri ragazzi campesinos, una via che va oltre le montagne. Alla cerimonia Gore a volle donare al Centro anche uno zaino di Renato. Quando le chiesi dove l'aveva usato, mi rispose che lo usava spesso nei suoi allenamen . Questa picozza e lo zaino ora sono espos con deferenza al Centro Andinismo in memoria di Renato Casaro o, come segno di rispe o e s ma per uno dei piú grandi scalatori che l'Italia e il mondo abbiamo mai avuto. Sto per concludere la bozza di questo mio libro di raccon di una vita tra le montagne, 136


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quando, vera sorpresa, il 21 febbraio 2018 Gore a Traverso mi chiama al cellulare. La cercavo da giorni perché avevo bisogno di chiederle alcuni de agli sulla piccozza. Ma anche per scambiarci alcuni pensieri su come procede il Centro Andinismo Casaro o. Mi dice che é passata alcuni anni fa dal Centro, ma che non si é trovata bene: avrebbe voluto una maggiore a enzione ed anche i ragazzi guide li ha vis un pó distra e che poco valorizzano da un punto di vista storico-culturale quello che hanno ricevuto. Capisco i suoi pensieri, li approvo tu . Poi le ricordo che ques ragazzi hanno vissuto tan anni con noi e che abbiamo dedicato tanto lavoro a quest'opera cosi diversa da altri proge . Che i ragazzi guardavano le montagne e mi dicevano che lassú non sarebbero mai sali perché le montagne sono sacre. Lassú ci sono gli APU, gli DEI; le pecore e le mucche non mangiano erba, e il ghiaccio é sinonimo di freddo e fame. Dopo tan anni di lavoro perseverando ogni giorno anche di fronte agli insuccessi, dove la quiete a volte é cercata e non trovata, agli smacchi educa vi, oggi ques ragazzi sono guide internazionali di montagna. Riconosco che c'é ancora molta strada da fare, ma penso che siamo sulla via giusta. Ci vuole pazienza, come anche la natura ci insegna: il tu o subito lo abbiamo creato ar ficialmente noi uomini. Mi ascolta e sorride. Mi dice: “Sai mi ricorda tanto un vecchio racconto betano. Un contadino voleva fare un orto davan a casa sua, ma non arrivava mai il sole, perché i raggi venivano tappa dalla collina di fronte, era preoccupato che i raggi del sole potessero raggiungere il suo orto e scaldare la terra, cominció allora a scavare il cucuzzolo della collina, con picco e badile, andava avan lentamente giorno dopo giorno per tan anni, ma i raggi del sole non superavano la collina, ci voleva molto tempo e molto lavoro, la gente che lo vedeva spalare la terra gli diceva: ma cosa fai? Non vedi che non ce la farai mai a spalare tu a la terra della collina. Dopo vari anni che spalava la terra, passó un uomo e gli disse, il tuo lavoro é inu le, non ce la farai ad abbassare la collina, ci vuole troppo tempo e tu gli anni della tua vita non basteranno perché tu riesca ad abbassare questo monte. Il contadino rispose: si io non ce la faró a vedere finito questo lavoro, ma i figli dei miei figli se con nueranno a spalare vedranno i raggi del sole arrivare sul nostro prato e l'orto crescerá...ci vuole solo tanta pazienza e tanto sudore”. Bellissima immagine di un mondo che ormai non ci appar ene. Noi che ci siamo abitua ad avere tu o subito, anche ció che sembra impossibile lo vogliamo velocemente; senza saperlo siamo cadu nella trappola della velocitá, della comoditá, della pigrizia che addormenta la nostra coscienza. Cosi concludo questa bellissima telefonata con Gore a. Spero che il libro che sto scrivendo le piaccia. Dopo varie corse contro il tempo, il 18 luglio 2009, abbiamo inaugurato il nuovo CENTRO Andinismo Renato Casaro o sulle Ande del Perù. La nuova CASA delle Guide Don Bosco; é 137


un luogo di incontro, di ascolto e di interscambio per gli appassiona di montagna che passano da tu o il mondo. Il Centro è a rezzato con una sala ristorante, camere con bagno e ufficio informazioni e logis ca. Oggi il tu o è ges to dalle Guide Don Bosco. Il proge o è stato portato avan da noi con vari OMG. Oggi ques “figli di campesinos” (pastori) sono autosufficien ed in grado di ges re il Centro in modo autonomo. All'inaugurazione erano presen il Ministro dell'Ambiente, la Dire rice dell'ente Turismo Peruviano, il Dire ore dell'Ente Parchi Nazionali INRENA, un rappresentante del Presidente della Repubblica e molte altre personalità poli che Peruviane Tu e personalitá venute per una forte amicizia che le lega a Padre Ugo ed a noi in par colare, più di 300 persone presen al taglio del nastro. Tra le varie personalitá, nel pubblico presente c'era anche una figura silenziosa e mite, ma che rappresenta la storia delle prime scalate in Cordillera Blanca: Cesar Morales Arnao con la moglie. Oggi piú che novantenne, ancora scrive e si dedica a far conoscere nel mondo la bellezza della Cordillera Blanca. Lui é stato professore dei nostri alunni durante il periodo di formazione alla Escuela de Guias Don Bosco en los Andes. E' grazie a lui che siamo riusci negli anni ad avviare la scuola di Guide; i suoi libri, le sue lezioni di storia dell'Andinismo hanno sicuramente elevato il livello culturale dei nostri ragazzi. A lui si deve la prima spedizione peruviana al Nevado Huascaran nel 1954. Cesar Morales ci ha difeso piú volte con ar coli suoi, quando dovemmo risolvere a suon di incontri, documen , discorsi e arringhe le nostre intenzioni solidali sulla costruizone dei Rifugi Andini. Oggi tu apprezzano il lavoro che abbiamo avviato in Perú, ma vent'anni fa non fu facile introdurre l'idea dei Rifugi e di una scuola di Guide in un contesto arcaico ges to da poche agenzie dedite al mero profi o economico, incuran del futuro dei campesinos. Fu certamente una rivoluzione silenziosa, fa a di sacrifici, di lavoro duro, di sudore, di fa che e qualche insuccesso...me ere al centro i figli dei campesinos, dare loro lavoro, gasarli in un'avventura senza fine, come quella di costruire e ges re i rifugi Andini, il cui profi o ogni anno serve per la costruzione delle case delle famiglie piú indigen ; fu una vera e propia trasformazione radicale, un rinnovamento epocale, nel modo di operare e di lavorare in montagna. E' proprio grazie a questo ardore di pochi convin che oggi chiunque me e piede nella valle di Huaylas non puó che apprezzare sia il Centro Andinismo Renato Casaro o che i Rifugi Andini, posiziona nei luoghi piú strategici della Cordillera Blanca. Ci sarebbe ancora molto da fare, forse qualcuno con voglia ed entusiasmo potrá raccogliere il nostro tes mone.

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Cosí spiegava il suo pensiero Padre Ugo De Censi, tra Montagne e scalatori in una serata sull'Andinismo: Mi sono chiesto qual è il filo condu ore della nostra vita, su quale lavagna io posso scrivere le parole più vere ed importan che abbiamo ascoltato questa sera. Vi viene chiesto, per il solo fa o che siete venu qui questa sera, di me ervi nella nostra cordata. Avete qualche paura? Saremo delle buone guide? Potete fidarvi di quelli che vi hanno parlato delle persone che stanno dietro di loro (volontari Operazione Mato Grosso, la gente della sierra, i ragazzi degli oratori, gli andinis ). La fiducia non può essere chiesta a priori; occorre che voi guardiate e ascol ate con occhio e orecchio a ento a ciò che viene de o, ancor più alla vita di chi ha parlato. Ed ora io vi voglio mostrare la corda con cui intendo legarvi alle Ande, ai ragazzi, alle guide del Perù, perché possiate partecipare all'avventura che è descri a questa sera. La corda con cui voi dovete legarvi è un intreccio di fili, ecco i fili. L'azzurro, il cielo delle Ande, l'acqua dei laghi, la vegetazione, le stelle, l'aria pulita, Il viole o: l'umiltà e la penitenza, la povertà della gente, la semplicità, gente che vive sui fianchi e alla base di queste montagne Il rosso: l'amore e la gioia necessaria per questa avventura. Il sacrificio che dà la perfe a allegria. Conquista, si soffre. Il bianco, la pagina dove dovete scrivere i nomi dei compagni di cordata, per quest'avventura delle guide, delle persone che volete aiutare, ecco la corda. Ho lasciato fuori una cosa importante, ma questo filo d'oro non lo vedete. Poiché non si vede uno può anche trascurarlo; così anche voi potete farlo, anche voi potreste perderlo, o lo avete già perso, visto l'errore, l'errore tragico, disastroso. Il filo d'oro è come l'anima, della stessa sostanza dell'anima. E qui mi tocca fare una brevissima lezione di catechismo: I ricercatori scien fici, oggi molto di moda, molto celebra , stanno scoprendo, e sghignazzano che l'anima non c'è; perché l'intelligenza sono le cellule più fini, la coscienza sono i circui di cellule impressionate dall'esterno come pellicole. Io sorrido e dico ”hai ragione caro scienziato, perché l'anima non è qualcosa dell'uomo, è qualcosa che illumina l'uomo”. L'anima è lo sguardo di Dio sull'uomo, è un raggio che non puoi imprigionare. Seminarlo non puoi con i tuoi strumen . Qualcosa che ferisce e consola, che impari a vedere con l'occhio di tua mamma, o di un cammino sincero e buono. L'anima è un grande desiderio di avere un Padre, è il desiderio di non essere un animale, di non essere pure cellule, puro DNA. Desiderio che è stato messo in noi come un seme, dalla mamma e dal papà, col vato da amici sinceri e buoni. Noterete sempre i due agge vi: sinceri e buoni. Questo grande desiderio di Dio, questa sete di Dio, 139


fa esclamare davan a un tramonto “Che colori, mio Dio”, davan alle stelle “Come brillano, mio Dio”, davan ai fiori “Come siete belli, profuma , mio Dio”. Che differenza c'è tra uno che ha l'anima e uno che non ce l'ha e non s'accorge di averla? Chi non ha l'anima dice “che bel tramonto, che colori !” chi l'anima ce l'ha dice “che tramonto mio Dio”. Davan alle stelle chi ha l'anima dice “che meraviglia, come brillano, mio Dio” chi non ha l'anima dice solo “Brillano, la loro luce viene da mille anni di tempo”. Chi arriva in cima all'Everest e non ha l'anima dice “vedete, io ce l'ho fa a, come sono forte” chi ha l'anima e arriva in cima all'Everest prende una striscia “grazie Dio”: ecco l'anima di Ba s no. Questo filo d'oro, desiderio di Dio, è il filo più importante della nostra corda; è lo sguardo della guida che guarda all'insù è la preghiera di chi si sente piccolo, chi si sente peccatore, è lo sguardo verso i ragazzi che conduce, è lo sguardo verso i poveri che vuoi aiutare, ed è lo sguardo d'amore. Io Ugo sto male e sto bene, soffro e gioisco per questo filo d'oro. Ho tanta paura di non averlo perché non si vede. Devo sempre supplicarlo, non dipende da me. Non ce l'ho io nelle mani,non mi è dato da un ragionamento, da una predica, da una dimostrazione teologica. Il mio filo è questo, te lo comunico “voglio essere tuo amico che racconto di Dio con la mia vita, facendomi bambino”. Vi posso dire solo di LUI se mi faccio bambino, piangendo perché non trovo il mio Papà, piangendo per quelli che non lo vogliono e ne vogliono fare a meno, piangendo per quelli che ne parlano e non gli importa niente dei figli più poveri e non gli importa niente dei peccatori che li maltra ano. Io mi sento solo un peccatore, e non è solo falsa modes a. Anche stasera vorrei dirvi che non sono io che conto, temo la mia superbia, gli applausi; non sono io che conto, ma è Dio. Anche tu pensa così con me, e se non riesce in questo modo pensa in quest'altro modo: “Non sono io che conto, ma sono queste montagne che parlano di Te, ma sono ques poveri, che vivono ai piedi di queste montagne, e per ciascuno di voi ora pregherò il Signore”. Mi sarebbe piaciuto avere qui un Crocefisso sulla cima di una montagna: “Mio Signore e mio Dio, prego di esistere, per fare questo regalo a me e a tu e le persone che conosco e mi sono care o che non mi sono care. E Tu ci sei, anche se non vedo e non capisco. Voglio essere un bambino anche se sono vecchio, anche se ho fa o tan pecca e tu li conosci tu . So che nel tuo quaderno eterno tu scrivi con inchiostro indelebile ogni opera buona, pur piccola che sia, ogni opera mia che ho fa o buona; mentre i miei pecca anche i più bru , tu li scrivi a ma ta che si cancellano tu con la gomma della carità. Ecco mio caro Gesù, stasera decido di fare qualcosa di buono per i tuoi figli, miei fratelli che vivono ai piedi delle montagne piú belle del mondo”. Un abbraccio Vostro Padre Ugo De Censi

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U lizzando il Centro Andinsimo Renato Casaro o ed i Rifugi Andini, si respira uno spirito pulito. Perché ques rifugi e la scuola di Guide sono i rima rima e le stelle alpine delle Ande. Emanano un profumo rarissimo, é il profumo della Caritá, ma per coglierli bisogna fare fa ca, sudare e salire sopra i 4000 metri. Viaggio in Perú alla fine del 2019: sto ul mando il libro. Ho come l'impressione che non lo finiró mai, un libro che rincorre la mia vita, difficile raggiungere a parole ció che vivo in ogni istante. Il viaggio in Perú é per andare a trovare mia figlia Marta che con suo marito Nicola sta prestando servizio di volontariato nella Parrocchia di Jangas da un anno. Nel fra empo, dal loro matrimonio é nata Sofia, una bambina bellissima che io non ho ancora abbracciato. Cosí parto alla volta del Perú il 13 novembre. Siamo io e Gregorio, un ragazzo di Brescia che ho conosciuto tramite i gestori della Baita Palmarusso e che verrá in Perú per stare un anno a Jangas affiancando Nicola nei diversi lavori. Arrivo a Lima: ad accogliermi ci sono Marta e Nicola con la piccola Sofia; da poco sono diventato nonno. Sono accompagna da Michele Calabrese (un volontario della Puglia che da anni presta servizio nella casa OMG di Lima). Il giorno successivo viaggiamo da Lima a Jangas (9 ore di viaggio). Ho viaggiato molto, sono arrivato in luoghi dove le persone “normali” non arriverebbero mai. Ho visitato le nostre parrocchie OMG piú lontane e disagiate. Per arrivarci, in cer luoghi ho dovuto fare anche 8 ore di jeep dalla Parrocchia di Jangas, a volte incrociando le dita per il fango e per la strada melmosa che incontravamo, ma non c'era altra soluzione che a raversare con calma i pun piú pericolosi. Sì, dico pericolosi, perché le starde andine “fuori dalle ro e classiche” sono pra camente delle mula ere ada ate al transito di mezzi meccanici. Ma chiamarle strade é fare un danno alla viabilitá ordinaria. Cosí arrivare in certe Parrocchie come Punchao o Piscobamba richiede un grande spirito di ada amento non solo alle alte quote, ma anche alle ingiurie del tempo che impol glia strade e corsi d'acqua, erode massi e quel che resta di fossi e pon . Per fortuna in Perú le Parrocchie sono fornite di buone Jeep che ci hanno permesso di superare gli ostacoli e di arrivare indenni a des nazione. Ma la gente del posto non puó perme ersi il privilegio di viaggiare in jeep 4x4 e l'unico mezzo di trasporto che hanno sono i loro sandali e i loro asini. Cosí la gente vive ancora di sten e fa che anche se il nostro mondo occidentale crede che “s amo tu bene”... ma sulle Ande non é cosí. 141


E' proprio vero che la vita lassú é piú dura che scalare tu “i 14 OTTOMILA” Spero proprio di fare un bel lavoro e che questo libro possa servire ad APRIRE GLI OCCHI a chi ancora vede solo ve e e montagne da scoprire... Nel mio viaggio avevo messo in conto di incontrarmi con le guide Don Bosco e stare con le loro famiglie. Cosi Eleazar Blas e le Guide Don Bosco hanno organizzato un cenone al Centro Casaro o con tu e le loro famiglie. Tra gli invita ci sono anche Moises, Nilo, Manuel e Fredy: ques qua ro ragazzi li avevamo accol in casa nel 2009 come portatori con l'intenzione di farli studiare da Guide di camminata. Poi quando siamo torna in Italia li abbiamo affida alle Guide Don Bosco, con l'auspicio che li accogliessero nelle loro case e che li aiutassero a terminare gli studi e gli esami di Guida. Con grande sorpesa, mi dicono che hanno terminato il percorso di guide di trekking, ma hanno anche superato l'esame per Guide UIAGM. In defini va sono qua ro nuove Guide, che si aggiungono alle guide Don Bosco giá formate. Per me é una bellissima sorpresa, un'emozione unica. Sapere che altri ragazzi sono diventa guide: il sogno con nua. Ringrazio le guide per questo sforzo, per la loro perseveranza e per aver trasmesso la passione per la montagna e per la natura a questa nuova generazione. Spero che un domani non troppo lontano, abbiano a formare altri giovani e che il sogno con nui a vivere nel cuore delle Ande. Durante la cena Eleazar Blas si avvicina e mi dice: “Guarda che ci sono anche i figli di Hector Vidal” (una bambina e un bambino). Hector (giá vedovo) é morto quest'anno a Cusco cadendo da un ponte, durante una serata con un'amica. Una tragedia che ci ha messo a dura prova. Hector lascia due figli orfani; la mamma é morta tre anni fa di tumore. Cosí mi avvicino ai due figlioli: non li conosco, o meglio li avevo vis da piccoli, quando Hector mi aveva presentato la sua famiglia. Oggi ques bambini sono ORFANI. Mi avvicino e li abbraccio; non so cosa dire, li stringo a me, ma non ho parole, solo “ve quiero mucho”... Durante la riunione che é seguita ho raccomandato alle guide di interessarsi di loro per farli studiare nelle scuole ges te dall'Operazione Mato Grosso. Resteró in conta o con le guide per sapere cosa avranno deciso per ques ragazzi. Fare la caritá é un cammino che mi ha portato a interrogarmi ogni giorno; a volte le domande non trovano risposta. E quando la trovi, forse non é quella giusta. Mi sono chiesto cosa posso fare per ques figlioli rimas orfani. Il loro papá da ragazzo é stato accolto in casa nostra ed é cresciuto so o la nostra guida. Cosa posso fare adesso per loro ? Tu o é nelle mani del Signore: “SOLO DIOS”

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Carlos Flores su una vetta delle Ande

Luciano Colombo un amico e collaboratore speciale - caduto sul Mc.Kinley 6194m (Alaska) il 16 maggio 2011

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Eleazar Blas Blas in azione sulle Ande Edgar Laveriano sulla cima del Rataquenua 5336

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PerĂş - Barcollo ma non mollo - verso la vetta dell'Ishinca 5560m - l'anno dopo il mio incidente Oscar Sanchez sulla vetta del Pisco

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Lascio la piccozza per alzare il calice al cielo Testo di Padre Antonio Zava arelli (Topio)

Non sempre celebro la Santa Messa quando arrivo su una cima. A Volte non c'è nemmeno lo spazio per poterla “fare”, come sulla ve a affila ssima dell'Alpamayo, dove arrivai a cavalcioni, con una gamba sulla parete est e l'altra sulla ovest, dopo essere sbucato in cresta dalla via Ferrari. A volte è la situazione a non consen rlo per le difficoltá alpinis che o la neccessitá di scendere in fre a senza me ere a repenteglio la vita…altre volte dipende dalla sensibilitá religiosa degli amici con cui raggiungo una cima. Il piú delle volte affido i miei pensieri a qualche breve preghiera taciuta o espressa in coro. Non bisogna mai forzare sulla sensibilitá dei compagni di avventura e di cordata. Quando ho potuto celebrare sulle cime piú alte delle cordillere andine ho sempre provato una grande emozione e gioia profonda! Fin da ragazzo per me l'alpinismo è stato cosa seria. Si andava allena , veloci e leggeri. Agli scarponi ho sempre preferito scarpe e d'arrampicata e pedule….e, a voltarmi indietro, mi rendo conto che di tempo ne è giá passato parecchio da quando in garage, ancora ragazzino, passavo qualche ora a risuolare le scarpe da ginnas ca con gomma aderente ada a alle placche di granito della Val di Mello o del calcare della sponda occidentale del lago di Como e della Valsassina. Quel modo serio e forte di arrampicare in parete o di andare verso le cime è rimasto in me come parte del mio modo di essere e di vivere l'alpinismo. Sono diventato prete giá adulto, nel '97. Ho sempre avuto la fortuna di stare fra le montagne. Penso di amare molto la montagna. E' parte di me. 146


12 Sono diventato prete sopra u o per aiutare i poveri e per stare insieme ai giovani. E' vero, avrei potuto farlo anche in altro modo, ma non mi pento, a distanza di vent'anni, di questa scelta difficile e entusiasmante. Quando torno in montagna con gli amici di un tempo: Maurizio (accademico) e l'intramontabile Giulio, capisco subito di non essere piú forte come loro, per avere dedicato tempo alla missione e alla gente…e forse anche per non avere piú il coraggio di allora. La Missione mi ha portato ai piedi delle grandi cordillere dell'America La na. Spesso siamo anda con i giovani e gli amici a celebrare ai bordi dei laghi, ai campi base o su qualche bella cima. Sopra i 6000 m l'aria è tersa e fine. La luce forte da accecare. Le parole non servono e i pensieri sono quelli fa prima di arrivare li, o quelli de a dalle emozioni, senza esegesi o spiegazioni. Un piccolo calice e una pisside che si puó chiudere per evitare al vento di rubare il pane consacrato… a volte un ves do bianco fa o apposta di seta leggera e una stola. Mi piace portarmi dietro, infrangendo le regole liturgiche che, per scusarmi, mi dico non valgono sopra i 5000, quella di color rosso che parla del sacrificio di Gesú sulla croce, in quel gesto supremo di Amore. La ve a è il punto piú alto tra terra e cielo. Sono a mi preziosi e meravigliosi dopo la fa ca della salita, con il fiato corto, cercando di lasciare il meno possibile le mani senza guan , stando a ento al vento perché lí, nell'os a, c'è la presenza vera di Cristo. Intorno il bianco della neve, la luce forte, le montagne, il volto di pochi amici, le nuvole e il sole. Tu apprezzano i discorsi brevi e le omelie veloci. Sulle ve e non c'è nemmeno il tempo per diventare noiosi..e mentre qualche pensiero va a cercare necessariamente fra le cose di Dio, in quel confine che è tra vita e morte, tra gioia e dolore, incredulo e credente alzo il calice verso il cielo….ricevo il pane, assaporo il vino, ricordo i mor , abbraccio chi è con me. Insieme a chi c'è si prega volen eri Dio Padre creatore di ogni bellezza, si invoca la Madonna. Dopo la benedizione se c'è chi sa cantare ci sta bene un coro prima di scendere dove ancora c'è da fare per aiutare la gente. Eravamo con i bravi e for giovani della scuola di Marcará, oggi guide Andine Don Bosco. Spedizione pensata e realizzata con impegno da Giancarlo, Valerio e altri amici Il cielo come luogo di DIO non è certo lo spazio fisico azzurro che contempliamo e che ci apre il cuore. Siamo noi, appassiona di montagna ad avver re un fascino par colare per il cielo ammirato dalle cime, quando lo sguardo si perde a contemplare lo splendore della creazione, fino a eleggere le ve e come luoghi speciali di spiritualitá, dove é forse piú facile 147


pensare a Dio e ringrziarlo, dove sembra persino possibile parlare di Lui. Non è certamente esperienza in voga da quando è nato l'alpinismo, inteso come tenta vi di raggiungere le ve e salendo per traccia facili o molto impegna vi. Pensare a DIO dalle alture è pra ca degli an chi e ne sono prova i luoghi di culto pos sulle montagne o di fronte ad esse, i luoghi di sepoltura, i raccon dei tes delle differenreligioni. La Santa Messa come piú grande ringraziamento a DIO Sull'Aconcagua ci fu quasi da ridere. La ve a è cosi grande da poterci stare con un intero popolo di gente …e la salita é cosí facile da non lasciare alcun dubbio che nello zaino ci puó stare qualche chilo di cose in piú. Il tempo era davvero bello. Una di quelle giornate in cui la maggior parte dei turis disloca nei vari campi cercano di portarsi verso la cima. Ero arivato su in affanno per la normale mancanza di ossigeno e per aver tenuto un passo decisamente troppo veloce nelle ul me cen naia di metri di dislivello. Cause di forza maggiore in quella giornata carica di emozioni… Una volta in cima non c'era piú nessuna fre a e ricordo che avevo voglia di stare lí, sulla cima arrotondata, in ginocchio davan alla piccola croce. Durante i tempi mor ai campi base di acclimatazione all'altura e le ul me due no a 6000 m in a esa del bel tempo mi avevano dato modo di ripensare a tu gli amici, i mala , i bisognosi ed i proge per cui avrei voluto chiedere al Buon Dio un occhio di riguardo. La montagna cinque giorni prima mi aveva dato modo di fare degli esercizi spirituali molto par colari. La tempesta ci aveva colto di sorpresa lungo la cresta del Cerro Cuerno. Quella che doveva essere poco piú di una passeggiata di acclimatazione si trasformó in una avventura di due giorni con una lunga no e per rifle ere. Ero con l'amico guida alpina Valerio Bertoglio, uno tra i piú for skyrunner degli anni o anta. Il vento bianco ci venne addosso e improvvisamente ci trovammo con scariche ele riche che correvano sopra i capelli. Fummo costre a fermarci sulla cresta e ad aspe are l'alba sedu tra due “penitentes” di ghiaccio (stru ure simili a grandi birilli che si formano nei ghiacciai semi tropicali per l'incidenza del vento e del sole). Se qualcuno ci avesse visto, sedu e coper di neve avrebbe avuto l'impressione di vedere qua ro peniten , due di ghiaccio e due in carne e ossa a scontare piccoli e grandi pecca . La tempesta lasció il posto a una no e gelida e stellata. Noi bagna , senza materiali da bivacco e poco ves , sopra i 5000 m. Una no e lunga di aiuto fraterno tra Valerio e me, a tenerci svegli, immobili, presi a controllare il respiro e la circolazione del sangue, contraendo appena i muscoli per non perdere temperatura corporea. No e di pensieri buoni e soffer e certamente 148


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un buon esercizio spirituale. Con fiducia abbiamo a eso l'alba, quella prima luce del giorno che ci sembra scontata e dovuta nei risvegli di ogni giorno e a noi giunta come un regalo di cui si impara presto a ringraziare. Ecco perché in cima all'Aconcagua desideravo molto celebrare la Santa Messa…avevo mo vo di ringraziare per la vita assaporandone tu a la sua meravigliosa bellezza. Ma perché arrivai in ve a con un tale debito di ossigeno da farmi restare per un gran numero di minu , a “qua ro di spadi”, come direbbero i miei amici umbri, e cioè supino faccia al sole braccia aperte a ven lare senza tregua? La scena fu quasi ridicola per me e esaltante per Jaime Ramirez, uno dei for ssimi ragazzi della scuola di guide di don Bosco di Marcará (Perú) che alla mezzano e del 24 febbario aveva iniziato la sua marcia di corsa da Horcones verso la ve a dell'Aconcagua, con il desiderio di stabilire un nuovo primato in velocitá. Ero rimasto a dormire al campo Berlin proprio per par re da molto in alto per essere in ve a all'arrivo di Jaime. Lui era par to di corsa dall'inizio del parco (correndo per 90 chilometri su un dislivello complessivo di 8000 metri dall'inizio del parco alla ve a dell'Aconcagua e ritorno) Lungo il percorso erano posiziona a distanze di qualche chilometro, tu gli amici per aiutarlo nel fantas co tenta vo di record. Giancarlo era sceso qualche giorno prima con Jaime per perparalo alla corsa, si erano ferma a Penitentes (al rifugio) e il 24 febbario Giancarlo aveva accompagnato Jaime a Horcones (2980m) pronto a par re (a prendere i tempi ufficiali i guardia parco dell'Aconcagua). Valerio Bertoglio era al campo base a “campo plaza de mulas”. Domenico Gaggini al campo Berlin. Io avevo il compito di sca are la foto in ve a al nuovo campione, prima di potermi dedicare alla celebrazione della “mia” Santa Messa, insieme a Davide che mi accompagnava. Jaime mi raggiunse sulla cresta con due ore di an cipo rispe o ai tempi che avevamo preven vato, sulla base dei da che ci aveva fornito dalla sua ascensione in s le apino compiuta alcuni giorni prima... Due ore di an cipo sono un sacco di metri di dislivello in velocitá! Lui ves to leggero sen va freddo e doveva correre sia per via del record che della temperatura…io con piumino ingombrante, guantoni, scarponi doppi di plas ca, reflex, ogge liturgici, vino e cibo…a corrergli dietro per fargli le foto. Sicuramente gli ho fa o perdere qualche minuto e lui a me qualche giorno di vita, a rincorrerlo a quel modo tra i 6600 e i 6962 metri della ve a dell'Aconcagua Eccoci in cima, lui è lí da poco a riprendere fiato per la discesa…due sca con la reflex analogica, poche parole “bravo…vai giú….fai a enzione” …. e poi fortuna che nessuno 149


mi ha visto in quella scena ridicola dei minu successivi. Quando mi raggiunse Davide avevo ripreso a respirare normalmente. Poi arrivarono due guide boliviane….celebrammo la santa messa insieme a loro, molto prima dell'arrivo dei gruppi di alpinis che raggiunsero la ve a in quella splendida e luminosissima giornata. Ricordo che il cuore ba eva forte; non ricordo le parole che dissi….ricordo che alzai al cielo il calice e il pane. Un gesto sacro per offrire tu e le intenzioni e i pensieri fa nei giorni preceden . Jaime stabilí un'o ma performance con 14 ore e 59 minu – Horcones – ve a Aconcagua – Horcones – stracciando tu i record stabili negli anni anteriori da esper di skyrunning. Mi piace pensare alle ve e come luoghi piú vicini al SIGNORE Qualcuno potrebbe certamente obbie are: “Dio, se esiste, non è nel cielo inteso come realtá fisica, essendone lui stesso il creatore: Dio è in ogni luogo infinito e non serve cercarlo in cima a una montagna…”. Ho trovato una piccola e simpa ca risposta che stuzzica la riflessione in un breve dialogo di origine orientale: “Perché ri ri ogni giorno nel bosco?” “Per pregare” “Ma Dio è dappertu o” “Certo Dio è dappertu o” “E Dio è lo stesso in qualsiasi posto?” “Si, Dio è lo stesso ovunque” “E allora, perché vai a pregare nel bosco” “Perché nel bosco io non sono lo stesso” O chissá, forse sono sempre lo stesso povero uomo anche lí, cercatore incredulo, appassionato di montagna e della natura, desideroso di poter aiutare chi ha bisogno e di stare in mezzo ai giovani e agli amici.

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PerĂş - Padre Topio celebra la Messa sulla vetta del Huascaran Cile - spedizione al Vulcano piĂş alto del mondo - Ojos de Salado 6920m

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Eder delle Nevi Testo di Quique Apolinario – alunno della Scuola di Guide di montagna Don Bosco en los Andes di Marcará, oggi Guida UIAGM

Nel pomeriggio del 9 giugno 2004, arrivarono al rifugio Ishinca Edgar Laveriano, Jaime Quiroz, Hector Vidal López ed infine Eder Sabino Cacha. Io che ero di turno alla ges one del rifugio Ishinca, avevo suggerito di me ere una scala in una crepacciata terminale del monte Tocllaraju di 6034 metri per poter dar la possibilitá agli scalatori di raggiungere la ve a. In quella stagione c'erano difficoltà a scalare il Tocclaraju e gli alpinis non venivano a scalare questa montagna per cui non u lizzavano il rifugio. Quella ma na del 10 giugno, dietro la cucina del rifugio, vidi Eder andarsene, ul mo in fila, si giró verso di me e mi diede un ul mo saluto ... il suo classico sorriso. Ancora oggi dubito che avesse il suo classico nastro in testa. L'ho visto par re con quegli sci verdi leggeri a acca allo zaino. Sono par verso le 8 del ma no, vedevo le creste del Tocllaraju toccate dai raggi del sole. Il Tocclaraju quando viene raggiunto dai raggi del sole regala una visione spe acolare e unica: sembra un gigante di neve che sve a sopra le altre montagne. Nel Quechua di Ancash, leggendo alcuni libri avevo scoperto che "Toclla" trado o significa “imbrogliare”. Non immaginavo cosa sarebbe successo quel giorno. Prima di tu o desidero tornare indietro nel tempo e raccogliere i miei ricordi per recuperarli fino all'anno 2000 a Marcará (inizio ufficiale della Escuela de Giuias Don Bosco). Vorrei raccontare le nostre ba ute, errori e preoccupazioni. In quell'anno mol arrivarono per tentare la fortuna e trovare un rifugio in questa scuola. È difficile per me ritornare ai miei 19 anni. Forse avrei dovuto scrivere prima? Ma ci sono ricordi che sono chiarissimi e incancellabilli. Sono arrivato alla scuola Don Bosco con l'idea di studiare 152


13 come guida andina. Sulle spalle portavo la responsabilità della famiglia. Ero il maggiore dei fratelli, e avevo dovuto sos tuire l'assenza del padre. Mi presentai perché la scuola era gratuita. Mi era stato de o che gli Italiani a Shilla stavano aprendo una scuola di andinismo. Il mio amico Felipe Dias mi aveva consigliato questa scuola: dicevano che il nome del responsabile era Giancarlo Sardini. Mi hanno chiesto di presentare i miei documen per candidarmi. Un requisito era portare la raccomandazione scri a del mio sacerdote della Parrocchia di Carhuaz. La prima volta il Padre mi negó la raccomandazione. Sono dovuto andare con la mia vicina di casa che collaborava con la parrocchia per poter finalmente farmi scrivere una le era stringata che mi presentava come buon parrocchiano. Il giorno dell'esame di ammissione era arrivato. Aveva ripassato le materie matema che, linguis che e di altro genere. Mi avvisarono di andare a Lluncu, vicino a Jangas. Mi ritrovai in una grande stanza con tavoli da scuola. Sullo sfondo c'era questo gringo di fronte al tabellone che si chiamava Giancarlo e Padre Antonio, "Topio". C'erano altri ragazzi che distribuivano i fogli degli esami. Ricordo Giancarlo quando vivevo a Carhuaz, in quegli anni 1997. Lo vedevo scendere da Shilla con sua figlia Marta, l'unica ragazza dalla carnagione chiara sul pullmino. Mi chiedevo chi sono ques gringos? Non avrei mai immaginato che avrebbero trasformato le nostre vite. Riprendo la mia storia da quell'esame. Sono stato accompagnato da diversi ragazzi consiglia dal signor Felipe Días. Eravamo in qua ro, io di Carhuaz, Michael Araya di Caraz e altri due giovani di Ranrahirca. Quando sono arrivato a Jangas, Michael non era ancora arrivato. Aveva dimen cato il suo cer ficato di nascita e dove e tornare a casa poco dopo essere par to. L'esame non è stato così difficile, ero stato in grado di fare quasi tu o. Tranne le risposte alle domande di religione. Una domanda era: scrivi il Padre nostro completo. Ricordo di aver iniziato bene le prime righe. Ero teso, vidi intorno a me che tu avevano scri o la preghiera sui loro fogli. Mi vergognavo. Accanto a me c'era un ragazzo: Carlos Flores di Shilla, gli chiesi di passarmi il Padre Nostro; in cambio gli avrei dato le risposte di matema ca. Terminò il tempo dell'esame. Giancarlo ci disse ad alta voce che avremmo ricevuto la nostra risposta in una le era presso le nostre rispe ve parrocchie. Mi chiedevo a quale parrocchia me l'avrebbero mandata. Giancarlo mi disse che l'avrebbe lasciata nella caffe eria di El Abuelo de Carhuaz. Il proprietario era l'amico Felipe Días. Passavano i giorni, non vedevo l'ora di ricevere questa le era. Ricordo quando mi hanno chiamato per recuperarla. Era una grande busta bianca: conteneva un foglio piegato in tre par . L'aprii e vidi il mio nome con "Caro Quique Apolinario" SEI STATO 153


ACCETTATO NELLA SCUOLA DELLE GUIDE. Ho cercato la mia mamma per darle questa bellissima no zia. Ricordo che è stata una delle migliori no zie che ho ricevuto nella mia vita. Stavo per iniziare a studiare per fare un lavoro in montagna. Un'esperienza in montagna l'avevo già avuta con il mio amico Walter Mendez. La cima, le nevi, legarmi con una corda; sarebbe stata la mia vita. Infine, ho potuto scoprire la risposta a quella domanda che mi facevo da adolescente: come fanno i gringos a cucinare sulla neve, se non c'è legna? A 16 anni ancora non sapevo che gli scalatori avevano cucine a benzina e che dormivano con sacche riempite di piume per resistere alle temperature so o zero. Imparai una lingua per poter comunicare con i turis . La scuola inizió nel marzo 2000, durante la stagione delle piogge. Ci portarono nella valle di Llaca. Eravamo eccita , quando ci diedero le varie a rezzature colorate: ves e scarpe pesan . Eravamo 33 ragazzi di varie parrocchie. Abbiamo trascorso due se mane nella valle di Llaca, dormendo in tenda. Devo so olineare la pazienza degli istru ori della Casa de Guias. Alcuni di noi tornarono a casa in uno dei camion che provvedeva al ve ovagliamento. Ci è successo di tu o; freddo, i ves bagna , i piedi malconci, me evamo i sacche di plas ca negli scarponi per con nuare gli allenamen sul ghiacciaio. A quel tempo ci conoscevamo poco. Ci hanno chiamato subito Don Bosco. Era già un contrasto vedere da una parte i giovani postulan della Ci á di Huaraz e noi della escuela Don Bosco. Trascorse le prime due se mane, scendemmo a Huaraz. Avevamo tarscorso intensi giorni sui ghiacciai, sulle creste, per imparare ad usare le a rezzature di ferro e alluminio. Eravamo ves e a rezza alla bell'e meglio, con quello che c'era. Poi andammo al Rifugio Ishinca. Ci toccava una seconda tappa più intensa. Cominciavamo a conoscerci meglio chiamandoci con i nostri rispe vi nomi. Par vamo da Marcará con il nostro camionico (Canter) Mitshubishi, che ci ha accompagnato ad ogni uscita in ques primi anni. Arriva al villaggio di Collón trovammo il gruppo degli aspiran di Huaraz, quindi iniziammo la salita al Rifugio Ishinca. Soggiornammo anche lí per due se mane per il corso Aspiran . Gli istru ori dormivano nel rifugio, mentre noi stavamo nelle tende. I giorni trascorsero tra pra che su ghiaccio e su roccia, su creste, salvataggi da crepaccio e varian sulle pare . Giorni intensi di pra ca; scarseggiava il cibo; i panini che ci davano (nel sacche o pic-nic) per la giornata non erano mai abbastanza per noi. Ricordo di aver portato anche un pó di "Machka", un grano tostato e macinato. Una farina che viene mescolata con un tè e una purea che serve per alleviare i morsi della fame. Questo é un alimento che i pastori portano sulla puna, quando vanno a pascolare le loro greggi o devono affrontare lunghe traversate a piedi. La più grande avventura è stata quando abbiamo tentato la scalata al nevado Tocllaraju. 154


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Siamo par molto presto dal Rifugio Ishinca; eravamo in diversi gruppi. Un nostro compagno Fernando Caballero è rimasto un pó indietro, nella parte di pietraia ripida; qualcuno ha fa o accidentalmente cadere un pietrone, che si ruppe in varie scheggie; ci siamo proprio allarma ; a un certo punto le pietre si fermarono; iniziammo a gridare il nome di Fernando per capire se fosse stato ferito; ma nulla di grave, solo un grande spavento. Con nuammo verso la montagna, aprendo la via lungo la parete nord del nevado Tocllaraju. Eravamo circa 35 persone, divisi in varie cordate. Un primo gruppo avanzò vicino al bordo di un crepaccio. Improvvisamente sen mmo un grande rimbombo come un fulmine, e abbiamo visto aprirsi un'enorme crepa vicino alla cima. Il ghiaccio si muoveva so o i nostri piedi spingendoci e me endo in pericolo tre nostre cordate. Fortunatamente ci fermammo in prossimitá della crepacciata. Non abbiamo avuto feri gravi, solo bo e e la perdita di alcune piccozze. Con l'esperienza di oggi posso dire che ci eravamo spin troppo vicino al bordo del crepaccio. In quel momento abbiamo capito che la montagna é severa e che non dobbiamo dimencarlo mai. È stato un messaggio forte e toccante vedere come la tua vita possa cambiare in pochi istan . Certo, ques sono pensieri effimeri visto che la maggior parte di noi aveva tra i 18 e i 20 anni. Di questa esperienza, ne faremo tesoro, sopra u o me endo in a o la prudenza. Mancavano pochi giorni al termine delle due se mane di allenamen nella valle Ishinca. L'ul mo giorno gli istru ori pianificarono il passaggio dalla Quebrada Ishinca alla Quebrada Honda. Quell'anno il ghiacciaio era ancora accessibile e le miniere di carbone presen nella Quebrada Honda non ostacolarono la nostra traversata. Oggi queste miniere si sono amplificate e stanno causando un vero e proprio disastro ecologico di proporizioni sempre maggiori (siamo nel Parco Nazionale Huascaran). Al ma no siamo pron . Un ul mo esame alle a rezzature che dobbiamo portare nel nostro zaino, cioé lo stre o necessario per questa traversata; il resto delle a rezzature sarebbe stato trasportato al villaggio di Collón a dorso di asino. Quel giorno Eder si accorse che gli mancavano le scarpe e di arrampicata, cosí si fermó a cercarle all'accampamento; dopo varie ricerche, finalmente le scarpe e furono ritrovate. Mai si scoprí chi le avesse nascoste. Abbiamo fa o il passo e poi la discesa in corda doppia verso la Quebrada Minoyor, proprio so o la parte est del nevado Tocllaraju. Raggiungemmo la Quebrada Minoyor e poi scendemmo a piedi lungo la Quebrada Honda. Il nostro primo corso di aspiran si era concluso: le formalità necessarie per terminare la prima fase della formazione erano terminate. Ci chiamarono aspiran , anche se in realtà mancava molta esperienza e sopra u o trascorrevamo molte ore in montagna. Eravamo 155


tu molto, molto conten di aver raggiunto questo primo traguardo. Poi seguirono i momen nella escuela-internato de Guias Don Bosco, la parte più complicata: tu e le regole e il nuovo ritmo della vita che avremmo dovuto affrontare per alcuni anni. Ricordo che fu molto difficile acce are la vita in comune con gli altri compagni. Giá non c'era più la libertá di vivere nella natura: bagni, sale da pranzo, aule di scuola e camere da le o. Per i corsi accademici dovevamo stare sedu dietro a un banco di scuola in classe. Quindi aspe avamo che arrivassero i mesi di luglio e agosto per tornare in montagna, con i turni di ges one dei rifugi OMG. Sono passa cosí il primo anno e il secondo, molto veloci. Chiamavamo Eder “DOC” (do ore), perché accumulava libri sul suo tavolo al punto da nascondersi dietro. Dicevamo che aveva piú libri di un do ore. Nel 2003 siamo anda al nostro primo esame di Guida; mol di noi non erano prepara . Naturalmente, la maggior parte di noi non ha superato l'esame e ci siamo sen molto tris , Eder incluso. Da allora abbiamo capito che dovevamo fare molta pra ca per migliorare la nostra tecnica su roccia e su ghiaccio. Eder era molto rigido nel muoversi sulla roccia e sul ghiaccio. Penso che prima cercasse is n vamente di superare gli ostacoli, poi pensava. Aveva 20 anni. Racconto gli innumerevoli episodi vissu con Eder. Eravamo nella quebrada Llaca e abbiamo voluto provare ad usare i friends in una fessura. Inizió Eder e rimase appeso con tu o il peso del suo corpo, picchiando la spalla sulla roccia. All'improvviso il friend cede e ed Eder cadde a terra: almeno un metro e mezzo. Per fortuna indossava il casco. Si fermò, disse che stava bene e imbarazzato cercò di rime ere il friend. Nel toccare il muro di roccia lentamente si accasció a terra svenuto. Lo prendemmo in giro per varie se mane. Eder non ha mai avuto molta fortuna con le ragazze; era un po “ingenuo”. Alla escuela iniziammo ad usare le bicicle e. A Marcará, in quel periodo stavano terminando gli scavi lungo le strade per le nuove tubature dell'acqua potabile. Eder per accalappiare l'a enzione delle ragazze voleva saltare e superare le buche in paese. Ricordo che era nella plaza de Marcará, molto vicino alla chiesa. Al primo tenta vo con la bicicle a, anziché saltare, cadde nel buco facendosi delle contusioni. Tu abbiamo riso e gli abbiamo de o: “sei inu le DOC”. Un'altra volta siamo anda insieme alle piscine di Chancos, per fare dei tuffi e rilassarci. In cer pos la piscina non era molto profonda. A un certo punto abbiamo sen to un rumore strano: Eder si era tuffato e aveva ba uto la testa sul fondo della vasca. Il secondo incidente più grave è stato quando ha portato i viveri per il rifugio Perù. Sul 156


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camioncino che portava le ve ovaglie, Eder aveva messo la sua bicicle a. Cosí il ritorno da Cebollapampa lo fece col suo velocipede fino a Yungay. Tu o è andato bene nella discesa da Llanganuco a Yungay. Fino lí arrivó molto rapidamente, affrontando le curve con poca prudenza. In una di esse un'auto si fermó e Eder vi si schiantó contro e venne catapultato in avan , ba endo la testa. Fortunatamente non riportó ferite gravi: poteva andare peggio. Abbiamo vissuto molte avventure rocambolesche con Eder. Una volta siamo sali entrambi sulla parete ovest del nevado Urus, senza avvisare Giancarlo. Abbiamo dovuto fare un campo intermedio sulla morena ed è stata una lunga no e. Le ba erie della radio si erano esaurite e non ricevendo no zie tu si erano preoccupa . Decidemmo di scendere in rappel, ma la corda si incastró, Eder decise di risalire per liberare i nodi stor e recuparare la corda. Non ricordo i de agli delle nostre conversazioni: riguardavano ragazze, sogni e speranze. In aprile e maggio 2004, ci siamo presenta di nuovo al corso Guide UIAGM. Era un bene per mol di noi; eravamo alquanto ansiosi e preoccupa : temevamo non ci approvassero di nuovo. Eder si era preparato molto bene per tu o il corso ed é stato promosso. L'emozione per questo risultato lo ha confuso; penso che sia normale dopo mol sforzi. Ricordo che poi abbiamo avuto alcune discussioni, in cui mi ha fa o capire che la mia opinione non era importante riguardo ai corsi di formazione per futuri portatori. Ricordo che ero molto risen to. Quel giorno tragico del 10 giugno 2004. Ricordo il saluto di Eder fuori dalla cucina del rifugio Ishinca, quel suo ul mo sguardo e sorriso al ma no, prima di salire al campo alto del Tocclaraju. La giornata trascorse molto velocemente. Il tempo era rapidamente cambiato nel corso della giornata. L'ul ma comunicazione radio fu che avevano già messo la scala e alle 17,00 sarebbero scesi. Eder indossava gli sci. Stavo cenando, quando la radio suonò. “Rifugio Ishinca, Ishinca ... cambio”. Era Hector Vidal che chiamava. Risposi rapidamente. Hector mi chiese se Eder avesse già raggiunto il rifugio, poiché non era sulla morena con gli altri. Eder era sceso con gli sci velocemente. Dopo mezz'ora Hector mi chiamó e mi disse che le tracce degli sci a un certo punto erano scomparse. Non lo trovavano. In quel momento chiedemmo aiuto alle altre guide. Ricordo Richard Hidaldo subito, poi un'altra guida, Nene venne ad aiutarci. Smisi di cenare e salimmo con la barella caricata dai ragazzi del laboratorio di Yungay, che erano di turno al Rifugio con me. Quan pensieri tris ! Ma non volevo lasciare il posto alla disperazione. Andavo veloce per essere in grado di aiutare o provare ad aumentare la possibili157


tà di recuperare Eder. La radio suonava da Marcará, in ogni momento. C'era anche Marco Perez Guida di Cusco, Angel Dominguez, Feliz Vicencio che invió i suoi portatori. Per me è stato encomiabile vedere come una Guida italiana dell'Alto Adige Hubert Niederwolfsgruber, si prodigasse con tu i suoi portatori ad aiutarci. Arrivai nel luogo in cui finiva la valanga, che era stata provocata da Eder: una valanga di neve di circa 60 metri e profonda 60 cm. Questa superficie di neve aveva trascinato e sommerso Eder. Eder non aveva con sé l'ARVA e noi non avevamo le SONDE. Improvvisammo le sonde con le nostre bacche e da neve e iniziammo a sondare fila per fila in modo ordinato. Al terzo tenta vo nell'affondare le canne, Jaime Ramirez disse che aveva sen to qualche cosa: una superficie morbida. Iniziammo a scavare con le mani; dopo pochi istan trovammo i piedi, poi l'intero corpo. Erano passate più di 3 ore. Eder era sdraiato, come se dormisse in pace. Rimasi molto impressionato dal fa o che non presentasse segni di sofferenza: sembrava addormentato. Ci guardammo l'un l'altro sconcerta . Richard Hidalgo suggerì di recitare una preghiera. In quel momento tu ci abbracciammo: Edgar, Hector, Jaime e io iniziammo a piangere: non riuscivamo ad acce are quella triste fine di un nostro compagno di viaggio. Intanto arrivarono gli altri gruppi; i ragazzi dell'officina di Yungay portavano la barella; ba evano i den dal freddo. Non avevano ves da montagna. Passammo l'intera no e trasportando il corpo di Eder con fa ca; a volte dimen cavo che era morto un amico. Volevo addormentarmi lungo la strada e sperare che tu o ciò fosse un sogno. Arrivammo al rifugio alle 3-4 del ma no, con il corpo di Eder. Ringraziammo tu e chiedemmo di accompagnarci alla sepoltura nel suo villaggio. Nel rifugio alles mmo un altare di candele per ricevere Eder. Forniammo bibite a tu e le persone che avevano aiutato. Eravamo così stanchi che verso le 5 del ma no mi sono addormentato. Era strano vedere che non avevamo sogni né incubi. La vera stanchezza ci aveva consumato. Il giorno successivo caricammo sulla barella il corpo di Eder, che sembrava brillasse alla luce del sole. Altri oratoriani, amici e paren ci vennero incontro. Le spalle doloran si fecero sen re lungo questa discesa di 13 chilometri di sen ero. Le spedizioni che incrociavamo ci guardavano in silenzio. Passiamo il bosco di quenuales. Il piano era raggiungere la curva del villaggio di Collón. Oltrepassando la foresta, troviamo improvvisamente Cesar Rosales. Sui nostri visi solo lacrime. Proseguimmo lasciando i quenuales; quando ci avvicinammo al grande canale d'acqua che scorre vicino al sen ero, incontrammo Rodolfo, che veniva incontro a suo fratello. Lo accompagnava Chipi, un suo amico. Questo che sto per raccontare é l'episodio piú dramma co che ricordi di quei momen . L'urlo, il pianto disperato di un fratello, l'ho sen to così forte che sembrava mi trafigges158


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se il cuore. Rodolfo (suo fratello) disse gridando: “Eder tu mi hai de o che sares tornato !” Rodolfo si lanció ad abbracciare il corpo inerte di Eder. Ha pianto e pianto. Mi ha ripetuto: “Perché é successo?” Abbracciammo Rodolfo e con nuammo a scendere. Incontrammo Giancarlo stremato dal dolore: era fermo su una pietra, forse ci aveva visto arrivare, o forse stava pregando...chissá che pensieri avrá fa o Giancarlo, nel suo cuore infranto. Ricordo i giorni successivi alla tragedia: il suo silenzio, quello di Marina e delle loro figlie. Per tu era aver perso un giovane ragazzo prima che una Guida di montagna. Verso la fine del sen ero ci raggiunse il corpo di soccorso nazionale che ci diede il cambio. A Marcará già tu sapevano di questo incidente inaspe ato. Quella no e la messa era stata organizzata con Padre Corrado. Mentre sedevo a guardare il Padre, le lacrime sul mio viso scendevano ininterro amente. Poi arrivó Padre Ugo da Chacas, decidemmo di fare il funerale a Chavin (della Parrocchia di Jangas), il villaggio dal quale veniva Eder. La messa fu celebrata da Padre Ugo. Eravamo stanchi, strema dal dolore, feri nei nostri cuori. Le domande rimbombavano nella nostra testa: DOVE SEI EDER ? DOVE SEI ? Da allora sono passa mol anni. Sono 16 anni che Eder ci ha lasciato con i suoi sogni e le sue avventure. La sua faccia sulla neve di quella no e del 10 giugno è ancora impressa nella mia mente. Una faccia avvolta in un sonno dolce e profondo che avevo more a risvegliare. Ho la stessa impressione quando vedo dormire i miei figli. Mi rende triste pensare che i genitori possano perdere un figlio. Anche io sono diventato una guida, abbiamo potuto viaggiare e avere molte possibilità. Dovunque trovi Eder, ringrazio per i momen in cui abbiamo riso, condiviso ba ute, discussioni e rimproveri. Conservo tu quei ricordi sulle montagne delle Ande. Come la sua sagacia di arrampicarsi sulle pare del Ranrapalca o perché no ... la sua audacia di sfidare lo scudo del Huascaran Sur e poi scendere con gli sci. Caro Eder, se ho fa o degli errori con te, con questo scri o, desidero che tu possa sen re il mio riconoscimento per la tua passione per la montagna. Vorrei anche dir che la prudenza sarà sempre il nostro miglior alleato. Un abbraccio Eder Quique Apolinario

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Eder sulle nevi eterne della Cordillera Blanca PerĂş

Eder Sabino con Quique Apoliario di ritorno dalla vetta del Tocclaraju 6034m

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Eder e Quique con un amico francese dopo aver scalato una vetta delle Ande Hectror Vidal guida una spedizione sulle Ande

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Esplorando l'Akilpo Stavamo iniziando l'era delle esplorazioni in Cordillera Blanca, erano gli anni in cui cominciavamo le spedizioni nei luoghi più recondi delle Ande.

Osservando la mappa, avevamo iden ficato il nevado Akilpo Sud e una possibile via di salita dal versante ovest. Nella nostra ricerca di informazioni non avevamo trovato nessuna segnalazione di vie aperte da italiani su quella montagna; cosí l'idea ci intrigava parecchio. L'anno prima ci aveva provato una spedizione di Sondrio capitanata da Scherini, ma era andata male. Erano entra dal versante est, cioé dalla quebraba Akilpo, ma avevano trovato mol crepacci, penitentes, che li avevano dissuasi nel proseguire lungo il ghiacciaio. Si erano dovu arrendere a metà, dovendo con nuamente saltare da una voragine all'altra. Decidiamo cosí di organizzare una spedizione a quella montagna, sempre in completo s le alpino, senza l'uso di portatori o di muli, tu o a spalle, alla vecchia maniera dei montanari. Era se embre 1999 quando par amo da Marcarà; la ro a é la Quebarda Honda. Incrociamo il villaggio di Vicos, e ci addentriamo nella profonda valle Honda. Giungiamo ad una capanna, costruita da Giulio Rocca per ricordare la rocambolesca avventura del giovane Giorgio Nonni nel 1985, quando da Marcarà a piedi stava salendo verso Chacas. Dopo aver a raversato l'intera vallata e raggiunto la Rinconada, Giorgio fu travolto da un'ondata anomala del fiume mentre tentava di a raversarlo. Fu trasportato per vari metri tra sussul e bo e qua e lá; all'improvviso Giorgio riesce ad a accarsi ad un ramo ed a uscire dall'acqua. Con i panni fradici, ba endo i den , viene aiutato da un pastore di passaggio che gli darà riparo alla Rinconada dove poi Giulio Rocca deciderà di costruire una sorta di te oia - bivacco. Più volte abbiamo pensato di sistemare questo bivacco … forse un giorno qualcuno deciderà di farlo … Ci soffermiamo a pensare: sono momen intensi; i ricordi corrono a ritroso nel tempo; rivedo i visi di Giulio e di Daniele, dall'altra parte della vallata (nella quebarda Ishinca) dove abbiamo 162


14 costruito un rifugio, in loro memoria. Siamo parecchi in questa spedizione: Luciano Colombo, Diego Belo , io, Anselmo Flores, Amador Maquin, Cesar Rosales, Hector Vidal. Non conosciamo la ve a che ci aspe a; gli unici da alla mano sono quelli della spedizione guidata da Scherini nel 1998. Aveva tentato la conquista entrando dalla valle dell'Akilpo, ma si erano dovu arrendere a metà dovendo con nuamente saltare da un crepaccio all'altro. Cosí siamo ancora più entusias , consapevoli che questa potrebbe essere la prima salita italiana su questa montagna Lasciamo la Rinconada alle nostre spalle e proseguiamo lungo una strada dismessa e zigzagante per entrare nella valle Minoyor. Ci addentriamo per poco; subito ci spos amo verso destra ed entriamo nella Quebrada Escalón; non sappiamo dove ci porta questa strada dismessa. Proseguiamo la salita in jeep, spingendoci fin dove possibile, poi ci fermiamo: scarichiamo i viveri e le ve ovaglie e iniziamo la salita a passo lento, siamo intorno ai 4400 metri. Raggiunta la derapata iniziale, decidiamo di montare le tende ai piedi del ghiacciaio e di iniziare l'indomani la salita, in modo da essere più freschi e poter caricare negli zaini tu i viveri e le ve ovaglie da trasportare fino al colle dell'Akilpo Installate le tende ci adoperiamo per recuperare un pó di acqua, ci accorgiamo che la zona é stata retaggio di minatori e miniere nei decenni passa ; infa troviamo gallerie e cunicoli scava a mano nella montagna; troviamo anche alcune scatole e di tonno e carne. Cerchiamo di installare le tende in un luogo riparato, vicino all'ingresso dei cunicoli, in modo da essere il piú ripara passibile anche da eventuali cadute di ghiaccio. Fortunatemente si staccano pochissimi pezzi di roccia e ghiaccio; questo ci fa supporre che la via che apriremo domani ma na dovrebbe essere sicura. È ma na presto qui sulle Ande; il freddo é stato intenso questa no e, la valle é ombrosa, arriva poco sole e il freddo si sente entrare nelle ossa. Mangiamo qualche cosa e poi carichiamo gli zaini per salire lungo la parete; siamo carichi di ve ovaglie, cibo e tende. Zaino di circa 15kg sulle spalle, iniziamo la salita. Aprono la via Amador e Cesar, dietro ci sono io, poi Luciano Colombo; Diego Belo chiude la fila. Saliamo assicurandoci, uno dopo l'altro. Aa metá parete, mi si scuce una delle cinghie dello zaino, che mi sbilancia. Cerco di tenermi almeno in asse o, ma non posso salire con una cinghia staccata; rischio che lo zaino mi sbilanci di piú. Mi fermo con i ramponi che azzannano il ghiaccio, le piccozze sono ben agganciate nel ghiaccio; da so o Luciano mi dice che ci pensa lui. In un istante Luciano ha giá pronto ago e filo, e si me e a cucirmi la cinghia mentre siamo su una parete di 50° abbastanza esposta. Passano due minu e la riparazione é giá stata effe uata. Tu o a posto, possiamo proseguire; incredibilmente salgo e le cinghie dello zaino tengono perfe amente. Arriva sul colle dell'Akilpo, saliamo ancora qualche decina di metri, in fondo al plateau glaciale guardando verso sud, osserviamo in una forma diversa il nevado Toccla163


raju che si impone in tu a la sua maestositá; alle nostre spalle c'é il cerro Akilpo Sud. Mon amo il campo avanzato; prepariamo un mon colo di ghiaccio intorno per proteggerci dal vento, al quale siamo molto espos . Domani “a accheremo” la montagna; guardiamo la via piú volte per studiare il percorso. La no e, io dormo con Luciano Colombo; mi me o nel sacco a pelo con le moffole e gli scarponi, non possiamo lasciarli nell'intercapedine della tenda: potrebbero gelare, e al ma no avrei il mio da fare a scioglere il ghiaccio. Di no e parliamo, non riusciamo a domire, le raffiche di vento fanno tremare la tenda. Passiamo la no e, tra poco riposo e qualche discorso. È la ma na presto del terzo giorno. Ci organizziamo: decidiamo di formare due cordate, una composta da me, Luciano e Amador, l'altra da Diego, Cesar e Anselmo. Iniziamo a salire; parte Amador, e dietro noi. Ci vogliono un pó di ri di corda per raggiungere la parte finale della cresta, sará circa 250metri. Saliamo tu e iniziamo a studiare la via che porta alla ve a. Da qui non ci sono passaggi logici, ce ne sarebbe uno, bisogna superare una lastra di ghiaccio molto esposta, con un precipizio di 500 metri. Ten amo il passaggio: inizia Amador, res amo lega e gli facciamo sicura, ma a metá lastra sen amo uno strano scricchiolìo; se questa lastra si rompe Amador cadrá nel vuoto, oppure se riesce a superare questo balcone di ghiaccio, si troverá isolato sul lato opposto senza poter piú tornare indietro. La decisione dev'essere presa in un ba ere di ciglia. L'ordine arriva velocissimo: Amador torna indietro veloce; ritorna sui suoi passi e ripercorre la via di salita tracciata. Noi temiamo il peggio, ma siamo prepara . Decidiamo a malincuore di ritornare a valle; mancavano pochi metri alla ve a, si puó dire che eravamo quasi arriva . Lungo la cresta dobbiamo fare un abalakov e lasciamo a malincuore una corda agganciata. Non importa: questa é una lezione di vita, abbiamo compreso che la natura va capita e rispe ata. Arriviamo nel pomeriggio inoltrato al campo avanzato; decidiamo di dormire sul ghiacciaio. Io condivido la tenda con Luciano, al ma no seguente sento che Luciano sta trafficando: esco dalla tenda e vedo una luce che sale lungo la cresta: é Luciano che senza dirmi niente, sta risalendo la cresta per andare a recuperare la corda che avevamo lasciato il giorno prima. Penso che quest'uomo é veramente eccezionale, e lo sará per tan anni al mio fianco; infa ogni anno torna in Perú per affiancarci nella formazione dei ragazzi guide. A lui si deve la ricostruzione del Bivacco Giordano Longoni e la copertura delle radio di tu i rifugi, dotando anche le guide Don Bosco, con sede Marcará, di una base con radio fisse e porta li. A lui si deve tu a la posa dell'impianto ele rico del Centro Andinismo Renato Casaro o. A fine dell'estate 1999 con i ragazzi decidiamo di ritornare nella Quebrada Escalon e di tentare la traversata integrale del ghiacciaio che dalla Quebrada Escalòn porta al colle del Tocclaraju per poi scendere nella Valle dell'Ishinca e raggiungere il villaggio di Pashpa. Impiegammo 3 giorni, dormendo sul ghiacciaio, ves alla bell'e meglio, alcuni con le tute da sci, che usavamo, perché impermeabilizzate, come sacco a pelo, non avendo altro materiale. Ricordo che le no in tenda 164


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erano veramente gelide, con nuavo a girarmi nel sacco a pelo e a cercare i primi raggi di luce per potermi riascaldare; avevo i piedi gela ; in una tenda per due dormivamo in qua ro per scaldarci a vicenda. L'entusiasmo peró era alle stelle e ci aiutava a superare le morse del freddo e della fa ca. Portavamo zaini pesan , fino a 20kg. Il secondo giorno di marcia ci troviamo davan una crepacciata enorme che ci impedisce di proseguire; uno dei ragazzi va avan costeggiandola sulla destra, un altro cerca di proseguire a sinistra; poi concludiamo che é meglio passare sul bordo di destra che sembra piú sicuro. Con una dose di incertezza e qualche more proseguiamo la traversata. Non nascondo la paura che provai passando lungo le pendici del crepaccio; cercavo di vedere il fondo, ma non sono risucito a venirne a capo. Passato questo momento molto complicato, siamo ritorna sul ghiacciaio e da lí in poi tu o ci é sembrato piú semplice, anche se di semplice a 5200 metri non c'é nulla. Arriviamo stanchi e senza forze al secondo campo avanzato: sono le 16,00 passate. Dobbiamo montare le tende e scaldare qualche cosa da mangiare. Siamo stanchi mor , infreddoli , avevamo camminato tu o il giorno tra i 5100 e 5200 metri, con saliscendi e imprevis . Il mio fisico reggeva bene la rarefazione dell'aria; stavo bene; anche la testa non mi faceva piú cosí male. La no e fu un pó concitata: ma la stanchezza assopiva e a u va ogni scomoditá. Oggi a distanza di anni lo ricordo con molta nostalgia. Piansi molto quando mi avvisarono che Luciano Colombo era caduto sulla Denali Pass nel Mc.Kinley (6194m) in Alaska, il 16 maggio 2011. Ho perso un vero amico, un uomo saggio, che mi ascoltava e che aiutava tu non solo a parole, ma con ges concre anche verso la mia famiglia e i ragazzi della escuela de Guias. Uno scalatore d'altri tempi che merita di essere ricordato. Traversata ghiacciaio Akilpo-Tocclaraju da sx Luciano Colombo, Massimo Burato, Giancarlo, Nelson, Diego Belotti, Rodolfo

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Un elicottero seduto sui ghiacciai del Pucaranra – Quebrada Minoyor

Iniziamo nell'o obre del anno 2000: ci spingiamo fino in fondo alla Quebrada Minoyor, un luogo ancora avvolto nel mistero. I vecchi campesinos di Vicos, raccontavano che sul ghiacciaio del Pucaranra 6156m, c'era un elico ero della Forza Aerea Peruviana (FAP) a errato e mai ripar to nel 1976 durante un'azione di soccorso. Documentandoci scoprimmo che l'elico ero FAP era a errato per recuperare tre scalatori spagnoli, feri , che stavano tentando di scalare la parete ovest del Chinchay Central. Pensai che poteva essere un'avventura per i ragazzi e un modo di approcciarli alla montagna. Ci siamo messi alla ricerca e in effe dopo aver montato il campo base sulle rive della laguna Minoyor, ed esserci organizza con un gommone, ci siamo spin verso il fondo della laguna che fa da confine con la parte terminale del ghiacciaio. Per circa un'ora costeggiamo a piedi la laguna, pensiamo, “il gommone sicuro ci servirá” se troviamo dei pezzi dell'elico ero. Il giorno successivo iniziamo le ricerche, e già i ragazzi avvistano sopra una sporgenza a circa 5000 metri qualche cosa che luccica; cerchiamo una via per raggiungere il luogo impervio e verificare da vicino cosa siano quei riflessi. É presto sera: non c'e piú tempo. Lasciamo alcuni ome di pietra a indicare il luogo dell'avvistamento e rientriamo al campo base per cenare. Intanto ne approfi o per disegnare con loro una sorta di mappa della zona e fissare alcuni pun e altezze s mate. Prendo una bussola e la posiziono sopra la mappa militare che mi ero procurato a Lima all'is tuto geografico militare peruviano (IGMP). Ragazzi sono curiosi di sapere che cosa è questo orologio con le lance e che ruotano a seconda di come lo posizioni; sono scri e le 166


15 iniziali del Nord, Sud, Est, Ovest. Sono a orniato da una ven na di ragazzi: scrutano con curiositá la mappa; alcuni guardano incuriosi cosa s a facendo, cercano di carpire, mi chiedono perché le punte dell'orologio oscillano e si muovono a seconda dell'orientamento della bussola. Spiego loro dove sia il NORD, cercando di far capire (ci vorrà tempo) che i pun cardinali sono importan ssimi per muoversi e per orientarsi sia che abbia la bussola, una mappa o che non abbia strumen in mano in grado di orientar . Prendo come riferimento la montagna del Huascaran che loro conoscono e che hanno visto fin da piccoli. Chiedo loro dove sia; mi indicano che è dopo la valle dove siamo noi, che il Huascarn è alto, che c'è molto ghiaccio e che loro, con i loro genitori, vanno a prendere il ghiaccio per fare la granadilla da vendere al mercato e durante le feste. (La granadilla è una sorta di grana na colorata, il Huascaran é una montagna grande, irragiungibile, e ha fa o anche dei disastri come la valanga staccatasi dal Huascaran Nord nel 1971, che ha travolto l'intera ci adina di Yungay, polverizzando gli abitan , e riducendo tu o a un campo santo con piú di 25.000 mor . Per loro il Huascaran é una sorta di montagna che incute more e riverenza. L'anno successivo mi avvisarono che un gruppo di mamme con i loro figlioli sono sta travol da una valanga caduta dai Huandoy, mentre andavano a prendere il ghiaccio per fare la granadilla; queste persone (16 in totale) morirono sepolte so o il ghiaccio che loro avrebbero raccolto e venduto al mercato per pochi SOLES). Chiedo cosa pensano del Huascaran. Mi rispondono che per loro il ghiacciaio è u le per fare la granadilla (granita), ma che al bes ame non serve; lassù muoiono le mucche e le pecore. Poi sul Huascaran ci sono gli APU, gli DEI, quindi le montagne sono sacre e vanno rispe ate. Ascolto, cerco di avvicinarmi alla loro mentalità, di carpire la loro miseria, di cogliere il loro rispe o; le loro storie mi affascinano. Poi con nuo con la bussola, a questo punto dico loro: sapete dov'è il NORD, il SUD? Mi dicono che il nord è verso valle, e che il Sud non sanno dove sia, cosí come Est e Ovest. Spiego che una volta capito dov'è il NORD, il SUD è esa amente all'opposto, per cui gli dico che il NORD verso il HUASCARAN e che quando saremo so o il Huascaran ci sarà un NORD e un SUD. Iniziai cosi a spiegare la le ura delle mappe ai ragazzi. Il giorno seguente, siamo ritorna sul ghiacciaio. Ritrova gli ome abbiamo iniziato una ispezione a pe ne: ogni tre metri un ragazzo, siamo sali in questo ordine e dopo un paio di ore di ricerca, alcuni ragazzi hanno trovato alcuni indizi; prima semplici pezze ni sparsi, poi sempre più res della carcassa dell'elico ero. I campesinos ci avevano raccontato che l'elico ero era rimasto inta o per vari anni, proprio sopra il dosso del ghiacciaio, ma probabilmente il racconto si riferiva ad alcuni anni prima. La carcassa, sembra rosa dalle intemperie 167


e l'elico ero pare che sia rotolato dalla parte alta del ghiacciaio. Tu a la cabina è sgretolata; restano poche cose intere, tra cui il rotore. Decidiamo di portare a valle il rotore, ma torneremo domani perché ci vogliono dei pali e delle corde per l'ancoraggio. Il rotore lo me eremo sul gommone e lo trasporteremo, navigando lungo tu o il lago da sponda a sponda. Col gommone a raverseremo le gelide acque della laguna Minoyor con il rotore di 200 kg appoggiato sui due la del gommone grazie, ai pali di legno lega . Siamo al 4° giorno: ripar amo dal campo Base alle prime ore dell'alba. Ci spingiamo verso il ghiacciaio del Pucaranra a quota 5200metri per caricare a spalle un rotore di 200kg, decisi a trasportarlo a valle ad ogni costo (già stavamo pensando al posto dove esporlo alla Escuela de guias Don Bosco a Marcará). Sarà una giornata epica; dovremo affrontare sforzi sovrumani per smuovere il rotore incastrato tra le fessure del ghiacciaio. Prima abbiamo sbloccato la parte alta, che affiorava dal crepaccio, poi la parte più profonda che era incastrata tra gli anfra . Massima a enzione per non cadere nel crepaccio: alcuni ragazzi lavorano sodo, altri li assicurano alle funi di ancoraggio; abbiamo anche qualche mosche one e qualche imbrago e casco. I ramponi sono di alcune generazioni fa, ma vanno benissimo, hanno uno scopo ben preciso. Tu o avviene in maniera rocambolesca, in un'atmosfera surreale; ci muoviamo sul ghiacciaio che ha visto fino ad oggi solo pochi passi umani. Con un sistema di carrucole e funi, riusciamo a rare fuori dal crepaccio il rotore. Tu sono felici e consapevoli di riportare alla luce un pezzo di storia delle Ande rimasta sepolta per trent'anni … cosi l'adrenalina aliena ogni pensiero contrario e iniziamo a legare il rotore dell'elico ero ai pali con le corde e le funi. Con tanta fa ca, i ragazzi me ono a fru o il lavoro imparato nei loro boschi, quando con pali e corde, portavano a valle grossi alberi di ecucalipto. Il rotore rimane in basso: sarà un'azione epica recuperarlo. Scendiamo poco a poco dal ghiacciaio; l'ul ma parte è una derapata di 40° per cui bisogna cambiare la traccia, e scendere più a ovest. Ci spos amo sull'unica parte di ghiacciaio che si sta ri rando; cerchiamo una via di uscita, mandiamo avan alcuni ragazzi ad ispezionare la zona. Ci avvisano che di lá si può passare. Con molta prudenza ci muoviamo. Siamo circa a 5000 metri con alle spalle un rotore di 200 kg. Pres amo molta a enzione a camminare sul ghiacciaio. Gli sguardi non si staccano da terra, ogni passo è ritmato da concetrazione e prudenza. I turni sono di 4 ragazzi a giro; debbono essere tu al uguali; la scelta non è facile. Caricano per primi Amador, Blas, Miguel e Cesar. 168


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Vanno avan decisi, camminano bene e con sicurezza, non ci sono intoppi, lo sguardo non si alza, punta sul ghiacciaio. Davan guidano Eder, Lucio ed Elias. Arrivano sul cumulo di rocce sparse, per fortuna non sono molto bagnate né ghiacciate. Sono già le ore 14,00 e non abbiamo ancora mangiato nulla; l'emozione del momento spegne il morso della fame. I ragazzi scendono bene lungo le rocce, si muovono con determinazione e prudenza, il passo è sicuro e ogni errore può essere dannoso. La giornata è bellissima: non c'è una nube e il sole riscalda i nostri cuori. Guardo i ragazzi: li vedo for , sicuri, a en e pruden , sono orgoglioso di quello che s amo facendo. Arrivano sulle rive della laguna e si fermano. Finalmente anche i ragazzi possono ammirare le loro montagne. Pausa di riposo e si respira a pieni polmoni. Lucio Foliman a racca il gommone alla riva. L'idea migliore é quella di depositare il rotore senza cambiare l'asse o del trasporto, u lizzando i due pali laterali. I due ragazzi più leggeri, Hector Vidal e Lucio Foliman, dovranno stare sui due la con il giubbo o salva-vita e remare. Iniziamo le manovre e i ragazzi si me ono in movimento, come in una grande impresa. Posizioniamo il rotore sul gommone e ne controlliamo la stabilitá. Salgono poi Lucio e Hector che dovranno a raversare la laguna a bordo del gommone.. Con una corda res amo a acca , da terra, al gommone, in modo che possiamo aiutare nel caso avvenga qualche imprevisto. La traversata dura circa un'ora. La tensione è alta ma si respira un'atmosfera serena tra le fila, mista di allegria. I ragazzi remano, si guardano intorno: é una visione spe acolare da quell'angolo di paradiso. Il ghiacciaio del Pucaranra si specchia nella laguna e il sole gli fa contorno con i suoi raggi dora . Arriviamo al fondo della laguna; il gommone entra nell'imbuto naturale e subito un gruppo di ragazzi lo aggancia con una corda ad una pianta. Recuperiamo Lucio e Hector e poi iniziamo le manovre di scarico del rotore. Sono quasi le 18,00: i ragazzi di corvé in cucina ci hanno preparato una buona cena, con zuppa, patate, riso e uova … tu o quello che rimane … Mangiamo conten ssimi; è stata dura ma, ce l'abbiamo fa a. La sera a orno al fuoco ci raccontammo le emozioni e i sogni di ques giorni. Ascolto con a enzione. Fanno fa ca i ragazzi a manifestare i loro sen men , le loro sensazioni, emozioni, i sogni e le speranze. Adesso non è importante che scavino in profondità nella loro vita. Non mi aspe o questo, sono cosciente che ci vorrà tanto tempo prima che i ragazzi maturino. Non sará facile stare con loro. Mi rendo conto del modo di pensare e guardare il mondo, di ques “figli di campesinos” ; cosí è stata la loro vita completamente diversa dalla mia. Io sono un ospite quaggiú; non posso che ascoltare e avere pazienza: ho molto da imparare da loro. Il desiderio di superarsi è più forte di ogni ostacolo, di ogni altra meta; il sogno di una vita migliore è quello che guida i passi di ques ragazzi che di riflesso coinvolge le loro famiglie. 169


Ascolto, guardando i loro vol , e pensando a cosa c'è dietro la loro vita; da dove vengono, le loro case, le loro storie, la scuola che hanno frequentato, le loro miserie e i sacrifici che hanno dovuto sopportare per arrivare fin qui; non posso che commuovermi. E' la prima volta che affron amo insieme un'impresa cosi avventurosa; é la benedizione per un buon cammino. Fortunatamente in fondo al campo base, a circa un chilometro, siamo riusci a posizionare una jeep 4x4 con cassone aperto. Il giorno successivo alle prime ore dell'alba già s amo trasportando il motore fin sopra il cassone della jeep e poi via verso Marcarà. La determinazione di ques giorni ci ha resi più for e uni .

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Un viaggio verso la Quebrada Minoyor - gli imprevisti in PerĂş sono sempre all'ordine del giorno Alla ricerca dell'elicottero perduto sui ghiacciai del Pucaranra - Cordillera Blanca - PerĂş

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Alessandro Conti e la tragedia sul Huascaran Sur

Era l'agosto del 2000 quando vennero in Perù, mia sorella Beatrice e suo marito Alessandro a trovarci a Marcarà. Erano sposa da poco piú di un anno, Alessandro era appassionato di montagna. In Italia faceva corse in montagna, compresa la Pruai-Gulem: é una corsa che parte dal paese di Provaglio d'Iseo e arriva alla ve a del Monte Guglielmo. Per fare queste gare si allenava molto, passava giornate intere nei weekend a correre, gli piaceva il conta o con la natura, fare escursioni e salite in velocità in montagna. Mi accorsi ben presto che non cercava merio che volesse dimostrare le sue capacità alpinis che, ma che questa sua passione spinta verso le montagne, sempre più belle, era una sorta di ricerca di una pace interiore. Nella vita Alessandro aveva sofferto molto; da piccolo aveva perso prima il papà e poi la mamma; questa libertà cercata in montagna era una sorta di respiro pulito, sano, sereno. Appena giunto in Perù, Alessandro vide le Ande: ne rimase affascinato al primo colpo d'occhio. Dal racconto di Beatrice: Alessandro si allenava tu i giorni, lo portavo in macchina a Provaglio d'Iseo, poi lui saliva fino al Guglielmo; aveva fa o anche la maratona del cielo, (da Corteno Golgi al Bivacco Davide) era arrivato nei primi ven ; questo per prepararsi per qualche scalata sulle Ande. Prima di par re andammo sulla tomba di Ba s no Bonali; quando la vide mi disse “Che bella lapide, se muoio ne vorrei una cosi anch'io ”... Non era uno che scriveva i suoi sen men , peró gli piacevano quelle scri e lasciate da Ba s no. Quando decise di andare sul Huascaran, io non ero d'accordo e tentai di dissuaderlo. Gli dissi che sarebbe salito un'altra volta, ma mi rispose: “Bea, io sono allenato adesso”. Si era preparato per scalare le Ande; aveva fa o anche i corsi di sci al Tonale per fare sci alpini172


16 smo; andava in montagna per sen rsi libero. La fa ca lo faceva rifle ere sulla sua vita, era felice di salire sulle montagne, era alla ricerca di una pace interiore che nel corso della sua vita non aveva avuto. La vita con lui era stata severa fin dalla tenera etá; aveva perso il papá a 8 anni e la mamma da giovane. Quando andavamo a Schilpario, par va la ma na presto verso il passo di Varicla, scendeva al Rifugio Laeng, risaliva la ve a del Pizzo Camino, poi dalla cima mi chiamava con il telefonino e mi diceva “ciao, sono arrivato” ... si allenava cosí...questo era allenamento quo diano per lui. E' venuto in Perú con l'idea di scalare il Huascaran; si era trovato con Michele Zadra e aveva scalato l'Urus. Lui era piú forte degli altri; mentre scendeva dalla ve a gli altri ancora salivano: si sen va sicuro. Quando andammo a trovare Angelo a Chacas, passando dalla Punta Olimpica, aveva visto da vicino il Huascaran, infa volle tornare qualche giorno prima da Chacas perché aveva in mente di scalarlo. Aveva incontrato tre scalatori Italiani, che stavano comprando gli ul mi materiali per affrontare il Huascaran; si é accordato con loro per andare insieme. Avevano preso un portatore di alta quota. Quando arrivarono sulla Garganta, il giorno prima della loro tragedia c'era stata quella degli Spagnoli, cadu so o una valanga di neve, ma loro non lo sapevano perché erano piú in alto, per cui al campo avanzato c'erano solo loro. Rimasero lá; la sfortuna volle che fossero solo loro alla Garganta; non c'era nessun altra cordata. Il portatore aveva i piedi congela , non poteva piú aiutarli, si sono dovu arrangiare. La salita in ve a era andata bene, fecero le foto ricordo, poi nello scendere, la tragedia. Io pensavo che l'incidente non riguardasse Alessandro; alcuni mi dicevano che era difficile resistere a quelle quote una no e; fa freddo, molto freddo. Fino ad allora non avevo provato mai nulla di simile; sí, erano mor i nonni, ma per cause naturali. Finché non l'ho visto morto, non ci credevo, lo pensavo ancora vivo...Capisco, quando a qualcuno sparisce una persona e non la trovano, che queste persone con nuano a sperare che sia vivo...li capisco...Ringrazio i ragazzi della Escuela de Guias che si sono prodiga nelle ricerche, tu gli amici dell'Operazione Mato Grosso che mi sono sta vicini nel cercare di alleviarmi il dolore. Gli istru ori: Foppoli Giovanni, Strepponi Davide, Giodes Federico di Sondrio e Graziano di Vobarno. Quando tornarono dopo aver trovato Alessandro, mi dissero: racconteremo quello che é realmente successo, adesso non sei pronta per ascoltare ques de agli; rimane cosí un velo di mistero su questa tragedia. Ho chiesto a DIO cosa voleva dirmi con questa tragedia, penso che il Signore mi ha messo vicino un altro uomo; sia Alessandro che Michele si erano conosciu in Perú, non so se il Signore ha voluto me ermi su una strada diversa da quella che io avevo pensato. Alessandro ha lasciato dei diari su cui annotava le varie scalate che faceva, i tempi di salita e discesa, questo é tu o quello che mi resta; avevo anche un cellulare dove era registrata la sua voce; mentre saliva in montagna, si sen va il fiatone, la fa ca del camminare in salita, a volte ascoltavo questa registrazione, poi un giorno il cellulare sparí...e con lui la registrazione della fa ca di Alessandro nel suo salire in alto...Chi pensa di andare incontro alla 173


morte: nessuno, quando peró tocca da vicino, sai che la tua vita é a accata a un filo... Giancarlo racconta Era par to quel ma no del 18 agosto con meta il Huascaran: voleva salirci a tu i cos , era entusiasta, non c'é stato verso di fargi cambiare idea; due volte entrai in camera sua a cercare di dissuaderlo dicendogli: “Gli uomini vanno e vengono, le montagne restano”. Ma non ci fu niente da fare. Voleva salire sul Huascaran: sembrava stregato e ammaliato. Cosí quella ma na del 18 agosto lo vidi per l'ul ma volta; uscí con il suo zaino pieno, carico di ve ovaglie e tenda (non c'era ancora il rifugio DonBosco Huasacran) e prese la strada per Musho. Lì si sarebbe incontrato con gli altri 2 componen della spedizione di Roma che lui aveva conosciuto la se mana prima al Rifugio Ishinca. Poi li aveva ritrova a Huaraz a fare spese, lungo la Avenida Luzuriaga; lí l'incontro fu fatale. Gli annunciarono che volevano salire al Huascaran e sarebbero par il 18 agosto. Su due piedi decise di aggregarsi, cosi compró subito il fornello a gas, i viveri e le ve ovaglie. Arrivó alla Escuela de Guias a Marcará la sera, e Betarice mi disse: “Giancarlo, guarda che Alessandro ha incontrato i Romani e si é messo d'accordo di scalare il Huascaran con loro, digli qualche cosa”. Cosí cercai di dissuaderlo, ma era inamovibile. Cercavo di fargli presen le difficoltá, la differenza del ghiaccio tra le nostre Alpi e le Ande, l'altezza e sopra u o ba evo il chiodo sugli sconosciu compagni di cordata. Lui mi rassicuró dicendo che se avesse trovato difficoltá sarebbe tornato indietro. Gli proposi anche che dopo qualche anno i miei ragazzi, le mie guide ci avrebbero accompagnato sul Huascaran. Saremmo sta piú sicuri con le nostre guide DonBosco, ma Alessandro sembrava stregato...non ascoltava...era concentrato sulla spedizione e non c'erano ragioni per fermarlo. Anche Bea ci provó di nuovo, ma senza esito...Dove rassegnami nel salutare Alessandro; prima di uscire dal portone di casa gli dissi: “Mi raccomando Ale, torna a casa...” Si giró e mi rispose: “Certo, non mi fermo lassú...” Il 20 agosto, di primo ma no, vedo Beatrice che sta preparando una torta. “Che bello”, gli dico; “quando torna Alessandro festeggeremo il mio compleanno”. “Certo tu compi gli anni il 22 agosto, cosí lo festeggeremo qui con Alessandro, Marina e le bambine...” Il 22 agosto di primo ma no, mi chiama Selio Villon delle guide AGMP di Huaraz, e mi chiede se abbiamo degli italiani sul Huascaran. Ci penso un a mo e gli rispondo che c'é una spedizione mista con due Romani e mio cognato Alessandro. Selio aggiunge: pare che a uno dei due alpinis sia successo un incidente sul Huascaran. Gli chiedo dov’é accaduto, mi risponde che una guida lo ha chiamato dalla Garganta per sollecitare i soccorsi...comincia a raffreddarsi il sangue nelle mie vene. Comincio subito a organizzare la squadra di soccorso; debbo correre con il pullmino fino all'entrata della Quebrada Honda, dove i nostri ragazzi stanno facendo un corso di roccia con gli istru ori italiani Foppoli Giovanni, Strepponi Davide e Giodes Federico di Sondrio. Arrivo 174


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velocissimo, avviso gli istru ori e decidiamo insieme di par re per Musho, puntando alla Garganta. Passiamo da Marcará a raccogliere una barella, altre a rezzature u li, corde e ve ovaglie e si parte. Intanto Angelo (mio fratello) che era a Jangas viene avvisato dell'incidente e si unisce ai soccorsi. Cercavo di scongiurare ogni pensiero tragico su ció che era potuto accadere lassú sul Huascaran. Mentre ci muoviamo, arrivano altre no zie dalle guide AGMP: lo scalatore scomporaso lungo la via normale del Huascaran si chiama Alessandro. Rimango impietrito a questa no zia, ma...non ho tempo per pensare ai perché, bisogna agire e rubare il tempo alla morte; so benissimo che sulle Ande, nella maggior parte dei casi, non c'é una via di mezzo tra la vita e la morte, e la forbice del filo invisibile che ci ene lega alla speranza, piú passa il tempo, piú si asso glia e si frantuma. Corrono i minu che sembrano interminabili ore; iniziamo a salire da Musho, siamo carichi, abbiamo trovato qualche arriero disposto a portare le nostre ve ovaglie fino all'inzio del ghiacciaio Raimondi. i ragazzi viaggiano bene, sembrano dei cerbia lungo il sen ero impervio che porta alla prima spianata e poi a zig-zag che porta alle placche verso il ghiacciao Raimondi. Si sale veloci, senza quasi respirare. Arriva alla spianata, comunico con radio a Marcará; mi rispondono che i due romani sono scesi dalla Garganta e che quindi non parteciperanno al soccorso. Decido di scendere fino a Musho in cerca dei due romani...incontro Angelo che intanto era arrivato fino a Musho con Bruno Saba da Chacas. Gli racconto dei romani, e mi risponde che qualcuno li ha vis in un negozie o a Musho; facevano colazione, ma avevano fre a di andare a Huaraz per prendere il bus e rientrare a Lima. Quando sento queste no zie mi arrabbio, non lascio trasparire il nodo che ho in gola, ma sono molto scioccato da un comportamento cosí sleale e privo di buon senso. Vorrei piangere ma mi tra engo: non é il momento delle lacrime o del lasciarsi vincere dallo sconforto. Debbo stare vicino a Bea; ritorno a Marcará. Entro in casa e racconto a Marina la storia dei due romani: sono lel 11,00 del ma no del 22 agosto. Intanto da Chacas era sceso anche il comandante Altamirano (Comanche). Gli racconto il comportamento dei due romani; mi dice che dobbiamo andare a Huaraz a cercarli. Sen amo le guide di Huaraz che ci assicurano che sono alloggia all'hotel Casablanca. Il comandante li cerca e finalmente li trova. Chiede loro dove hanno lasciato Alessandro, si fa fare uno schizzo; mi racconterá che lo hanno abbozzato di malavolglia, quasi scoccia ; su un foglio quadre ato, c'é il disegno del Huascaran, la Garganta e la X si ferma a circa 6300metri di quota, lungo la via normale. Il comandante Altamirano torna a Marcará; dalla Escuela comunichiamo con la radio e dopo vari tenta vi, riusciamo a parlare con i ragazzi; diciamo piú o meno il luogo dove dovrebbe trovarsi Alessandro. Mi pare abbiano capito, poi silenzio. Passano le ore di a esa, interminabili, infinite. Io con Bea s amo in cappella, erano alcuni anni che non tenevo teneramente la sua mano ed accarezzavo il suo viso. Cercavo di non far spegnere la speranza, ma la clessidra del tempo rubava minu175


preziosi alla linea so le tra la vita e la morte. A quelle quote ogni istante é prezioso, la picccola cappella della Escuela de Guias, ha un bel crocifisso in legno scolpito a mano dai maestri di Or sei. Era uno dei primi crocifissi che avevano insegnato a scolpire ai ragazzi della scuola di intaglio del legno di Chacas. Lo guardiamo e inizio a recitare il santo rosario bagnato dalle lacrime di Bea, cerco di farle forza e stringere le sue mani nelle mie. Le con nuo a ripetere che lo troveranno, che Alessandro é un ragazzo forte, ha un fisico eccezionale, ma le mie parole sento che non sono piú convincen ...cerco io stesso di farmene una ragione e di mo varle, ma dentro di me ho giá ceduto alla cruda veritá. So cosa significhi restare fuori una no e a piú di seimila metri, lassú sul Huascaran dove il vento entra nelle ossa e blocca la respirazione; l'aria é so le e rarefa a. Durante la lunga no e il gelo blocca ogni movimento e pian piano se non con nui a muover , restando sveglio, puoi morire assiderato. Mi ripetevo che Alessandro era forte e che si sarebbe riparato dal vento, ma era una assurda convinzione, quasi per scongiurare e allontanare la veritá della morte. I romani ci avevano de o che era salito bene e che in discesa, la sua anca era uscita di posto, non riusciva a camminare, per cui il suo compagno di cordata, gli aveva consigliato di fermarsi. Con la piccozza aveva fa o una piccola pia aforma sul ghiacciaio e Alessandro era riuscito a sedersi, cosí ad aspe are i soccorsi che sarebbero dovu salire la sera stessa... Ma invece le cose andarono diversamente; alla fine il suo compagno di cordata, giunto alla Garganta, decise di entrare in tenda (erano circa le 17:00) Penso fosse in uno stato di confusionale e che sia caduto in un sonno profondo (forse con il rimorso di non aver fa o il suo dovere fino in fondo). Alle prime ore del giorno, svegliatosi, ha dato l'allarme alle spedizioni che erano al campo Garganta; gli alpinis subito si sono a va , avvisando la casa delle guide di Huaraz ed esse hanno collegato che essendo Italiani avessero a che fare con noi della Escuela de Guias de Marcará. In effe Selio Viullon pensó in modo corre o e avvisa abbiamo iniziato le operazioni di soccorso, ma il tempo aveva giá “rosicchiato” ore preziose alla speranza. Fu cosi che il 23 agosto, alle prime ore dell'alba, dalla Garganta, mi chiama Miguel Mar nez, uno dei miei ragazzi della Escuela de Guias e mi dice con voce singhiozzante che hanno trovato Alessandro, ma purtroppo non c'era stato piú nulla da fare. Alessandro si era messo in posizione fetale, aspe ando la morte...Come un bambino, il corpo raccolto, come fosse nel grembo della sua mamma, la testa bassa, i grandi guan neri vicino alla testa a proteggersi dal freddo: era un blocco di ghiaccio, cosí me lo hanno descri o Miguel, Blas, Amador, Edgar, Hector, Quique, Cesar, Elias, Roberth, Oscar, Felipe, Carlos e i tre istru ori Italiani che avevano aiutato nella ricerca e che lo avevano trovato proprio so o una piccola insenatura. Forse si era messo lí cercando riparo dal vento, o forse si era mosso ed era caduto su questo balcone di ghiaccio duro, dove durante la no e ha a eso che la morte venisse a prenderlo. Dove prendere per mano Beatrice: mi toccava darle questa tremenda no zia; mi sembrava 176


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che Bea avesse capito che Alessandro fosse volato in cielo. Avevo un nodo in gola, mi sen vo incapace, inada o, ed ero molto turbato; pensavo al suo dolore incontenibile. Come avrei fa o a sussurrarle questa durissima no zia: che parole usare, come affrontare questa situazione tragica, cosí difficile da acce are...Mi feci forza, dissi a Bea che dovevo parlarle e che preferivo farlo in cappella. Cosí entrammo in cappella. Chiesi a Bea di sedersi perché dovevo darle una no zia; Bea si sede e, mi guardó negli occhi e mi chiese: “Alessandro é morto?”. Le presi la mano, la strinsi forte, la abbracciai e le sussurrai all'orecchio: “Alessandro é andato in cielo...ora ha finito la sua corsa su questa terra...”. Poi un grande silenzio misto ad un grido di dolore. Bea inizió a piangere, a piangere... Io ero lí immobile: la accarezzavo e cercavo di consolarla. I miei pensieri erano tu confusi; a questa tragedia eravamo imprepara . Solo lacrime, senso di incapacitá e un grande sconforto. Tu o intorno a noi stava crollando: le nostre certezze, le nostre famiglie, la nostra fede, il nostro affidarci a DIO...non volevo crederci, come una sorta di scudo, ma dovevo reagire, alzare lo sguardo e cercare di non rendere ancora piú dramma ca questa situazione. Vedevo Bea soffrire, piangere, disperarsi, con nuava a ripetere che aveva fa o la torta per festeggiare il suo compleanno con Alessandro, e invece lui aveva fa o uno scherzo inaspe ato; non poteva essere vero, Alessandro sarebbe arrivato a Marcará, Bea mi diceva “Giancarlo dimmi che Alessandro arriva, dimmi che arriva”...Ma era un modo per distrarsi, per allontanare lo spe ro della morte, quella falce cosí crudele che aveva tagliato con violenza la nostra vita, quella scure che é padrona di tu o e che viene quando meno te l'aspe . Sí, la “nostra sorella morte” come la chiamava San Francesco, aveva bussato nella nostra vita, nella nostra famiglia; ci trovavamo soli immersi in un dolore piú grande di noi. Squilla il telefono: é mio papá che chiama dall'Italia da Schilpario, mi dice che ha le o sul giornale che uno scalore Italiano (Alessandro Con ) é disperso sul Huascaran. Mi chiede se la no zia é vera, gli rispondo di sí; mi chiede dove si trova Alessandro, com'é successo...non riesco a comunicargli la no zia della morte, gli dico che lo s amo cercando e che i soccorsi sono giá par ...scendo e entro in cappella. Bea é dentro con Marina, le vedo e mi rassereno, Marina é piú dolce e capace di me, molta grazia e saggezza scorrono nelle sue mani e nel suo cuore: sa affrontare queste situazioni con garbo, finezza mista a rispe o, con uno sguardo tenero e lieto che porta fino alla speranza in DIO. Cerco di comunicare con i ragazzi via radio; dopo vari tenta vi arriva la no zia che stanno giá trasportando Alessandro dalla Garganta; lo hanno messo su una barella e lo portano giú. Raccomando ai ragazzi di non aver fre a, di fare con calma: ormai le nostre speranze sono svanite, per cui conviene essere pruden e compa . Dopo alcune ore mi avvertono che sono giá sulla morena e hanno deciso di scendere fino a valle, quindi in serata dovrebbero raggiungere Musho; mi organizzo con l'ambulanza ed il corpo di soccorso nazionale che é preposto alle pra che burocra che per l'espatrio della salma. 177


L'a esa a Musho é lunga, estenuante. Cerco di guardare in alto, il Huascaran e di capire cosa sia successo, perché proprio Alessandro? Come mai tanta durezza, tanto dolore in mezzo a tanta bellezza, alla natura incontaminata e pura, in un mantello di ghiacciai bianchi e candidi, lassú dove tu o sembra si sia fermato, dove il bianco mantello fa da cornice alle stelle e al cielo, dove i suoni leggeri del vento accarezzano la neve, dove tu o é immobile ed eterno; sí forse lassú c'é davvero il paradiso. I miei pensieri si mescolano al nodo in gola, al dolore, all'a esa che sembra infinita. Passano le ore, ricordo che Bea non volle venire a Musho a ricevere Alessandro. Stava troppo male, cosí la lasciai con Marina alla escuela de Guias a Marcará. Piú guardavo il Huascaran, e piú mi chiedevo dove fosse Alessandro...Ripercorrevo a ritroso il tempo, la tragedia occorsa nel 1993 a Ba s no e Giandomenico; rivedevo i vol , le persone, rincorrevo i ricordi e le lunghe a ese, il dolore, le lacrime, l'amarezza, l'angoscia. Guardavo il Huascaran, una montagna tremenda e severa, una cumbre imprevedibile che chiede il suo tributo. Ero confuso da domande senza risposta, un susseguirsi di perché che si scontrano nel silenzio e nel buio dell'assurdo, del nulla e del niente. Cercavo di distrarmi recitando il santo rosario, sgranavo pian piano la corona e tra una preghiera e l'altra il singhiozzo alle domande che non avrebbero mai avuto una risposta. Cercavo di spegnere i pensieri, le sensazioni, le tensioni, cercavo la quiete e la dolcezza nella preghiera, ma tu o era confuso, assurdo, irreale. Ancora non credevo a ció che stava succedendo, i miei perché a DIO non trovavano risposta, non trovavano un perché, con nuavo a chiedere e imprecare, ma anziché risposte ero circondato da un silenzio abissale, profondo quanto il mare. Capivo che dovevo essere forte, aspe are e cercare di far forza a tu i ragazzi della escuela, agli amici e sopra u o a Bea. Davan a me correvano le immagini del loro bellissimo matrimonio, la commozione nel veder Bea sposata con Alessandro, quel SI de o davan a DIO sull'altare solo un anno prima, la festa, gli amici, i miei genitori, i paren , tu o mi scorreva davan . I teneri ricordi di quando eravamo piccoli e con Bea e Angelo andavamo in montagna col papá, fino ai Campelli, al passo del Vivione, e su fino alla Presolana. Quan ricordi, un flash velocissimo, mi passava davan , rivedevo tu a la nostra vita, che ora ancor di piú si intrecciava con quella di Alessandro: lui caduto sul Huascaran nell'ul ma impresa della sua vita, io qui a Musho ad aspe arlo impotente, incredulo. Mi chiedevo cosa avrei potuto fare per salvarlo. Il cuore e la mente rimbombavano di domande senza risposta, pregavo, sgranavo la corona del rosario, tra una preghiera de a con il cuore e una imprecazione de ata dall'is nto. Mescolavo le lacrime, alla consapevolezza che Alessandro era morto, al dolore estenuante dell'a esa, alla sconfi a, alla naturale incompresione di questo dramma violento e inaspe ato. Tu o intorno tace, tu o é silenzio, tu o é dolore e imprecazione. Sono lí e guardo il sen ero da dove dovrebbe sbucare il gruppo di soccorso con Alessandro in barella. Sento muoversi qualche cosa, sento le foglie degli alberi accarezzate dal vento; vorrei andargli incontro, ma mi sen178


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to inu le, mi decido e salgo lungo il sen ero; cammino a passo spedito nel bosco, piú salgo e piú mi sento vicino al cielo. Ripercorrendo il sen ero mi fermo piú volte, mi guardo intorno, immagino ció che Alessandro abbia pensato salendo sul Huascaran, immagino la gioia della ve a, lui che l'aveva sognata tanto, al punto da prepararsi in Italia. Penso a come saranno sta i suoi occhi curiosi che si sono chiusi nel buio della no e sul grande ghiacciaio del Huascaran. Immagino cosa avrá pensato, gli ul mi istan di vita, cerco di immergermi nel suo cuore, ripercorrere le tappe, gli ul mi momen della sua vita, lassú dove il cielo é pulito, dove le stelle illuminano i nostri cuori e dove la luna si accende come un faro nella no e, lassú dove tu o tace, tu o é silenzio, tu o é armonia e le zia. Immagino i pensieri di Alessandro per Beatrice, verso la sua famiglia, chissá se sará riuscito a pregare in quella posizione, chissá cosa avrá pensato “arriveranno i soccorsi?” ...”come mai non arrivano?” Avrá avuto freddo, mentre la no e scendeva, avrá cominciato a sen re il gelo nelle ossa, a sen re che non riusciva a muovere le gambe, avrá sen to che nei suoi polmoni cominciava ad esserci acqua, avrá sen to il passo lento della morte rosicchiare i pochi istan alla speranza di sopravvivere. Chissá cosa avrá pensato; la luciditá a queste quote accompagna per un pó, poi le forze vengono meno, cominci a farne care e pian piano “sorella morte” prende per mano. Non riesco ad immaginare ques momen durissimi, di solitudine e buio, non riesco a immaginarmi cosa possa pensare un uomo abbandonato in quelle condizioni a piú di 6000 metri di quota. Se mi fermo a pensare rabbrividisco. Non é possibile, non puó un alpinista lasciare un compagno di cordata lassú, noncurante della sua incolumitá; non posso immaginare che esistano persone cosí insensibili e fredde, anche verso un alpinista, che é un tuo compagno di cordata. Non avevo mai sen to né le o nella storia dell'alpinismo di un caso cosí assurdo e crudele; proprio a noi doveva succedere ? Chiedevo perché questa tragedia proprio a mia sorella. Ancora oggi a distanza di tan anni mi commuovo e rabbrividisco pensando a questa assurditá. Immerso in questo vor ce di domande senza risposta, di imprecazioni verso Dio e di preghiere, seguo il sen ero; da lontano intravedo il gruppo dei soccorritori; portano la barella e sopra c'é il corpo immobile di Alessandro, con la sua tuta rossa. Mi fermo su una pietra, abbasso gli occhi, quasi a voler scongiurare ogni ipotesi o a voler cancellare per un istante la cruda realtá. Aspe o, i minu sono interminabili, arrivano davan a me con la barella, guardo i vol dei ragazzi che hanno trasportato le spoglie di Alessandro. So per esperienza, che un corpo morto sul ghiacciao pesa di piú di un corpo sulla terra ferma, vedo i loro visi sporchi e strema . Li guardo uno a uno: si incrociano i nostri occhi, sguardi di riconoscenza e amorevolezza infinita. Si erano da il turno nel trasportare la salma fino alla fine del bosco; li seguo mentre scendono a passo sicuro, quasi a voler chiudere questo capitolo durissimo della nostra vita. Anche loro si sono sen partecipi di questo dolore, alcuni poi me lo scriveranno, al mio rientro in Italia con la salma di Alessandro. Le loro parole unite a quelle di Beatrice per i miei ragazzi mi daranno la 179


spinta a con nuare con maggior determinazione per la Escuela de Guias, non solo per formare giovani guide di montagna, ma inculcando un'e ca di rispe o profondo per le persone, prima che per i risulta o gli obie vi da raggiungere; la formazione con alla base la lealtá, la bontá, la solidarietá, e la fede in Dio come guida nelle nostre cordate. É stata una seria e consapevole promessa, scri a con il colore e dolore indelebile dell'amore nel rispe o della vita. Arriviamo alla fine del bosco; lí ci sono due jeep ambulanza; carichiamo il corpo di Alessandro su una delle due jeep. Raggiunta la strada principale, le jeep deviano verso destra in direzione Yungay. Lá dobbiamo espletare le pra che di decesso di Alessandro. Arriva all'obitorio del piccolo ospedale di Yungay, mi dicono che oltre alla pra ca di decesso, il medico deve fare anche l'autopsia sul corpo di Alessandro per determinarne la causa del decesso. Vorrei dire che é una pra ca inu le, ma so che non serve; in Perú funziona cosí. Il funzionario ci invita a stare fuori dalla sala dell'obitorio. Mol sono i volontari che aspe ano all'esterno; lunghi minu durissimi e interminabili si accumulano nel nostro zaino giá carico di dolore e rassegnazione. Dalla finestra laterale, scorgo per un istante, involontariamente, le pra che dell'autopsia; sto male, era meglio che non guardassi. Aspe amo qualche istante, poi ci consegnano Alessandro con tu i documen che accertano il decesso. Sulla jeep ambulanza, me amo le spoglie di Alessandro, per portarlo a Marcará. Giá Bea e Marina avevano alles to la camera ardante, proprio nella Cappella della Escuela de Guias. Arriviamo in poco tempo, entriamo e una bara di legno a ende il suo ospite. Puliamo Alessandro, il suo viso, le sue mani, e lo me amo nella bara, che lo porterá in Italia. Il giorno stesso da Chacas era arrivato anche Padre Ugo e aveva celebrato la Santa Messa a suffragio dell'anima di Alessandro, nella chiesa di Marcará. Il 23 agosto siamo a Marcará, e il 24 agosto s amo viaggiando verso Lima trasportando la salma di Alessandro. Il viaggio con Beatrice e Angelo é stato molto duro, per tu e tre noi fratelli, mai una tragedia cosí grande, cosí dire a, cosí improvvisa e crudele avremmo immaginato. Eravamo imprepara , stanchi e strema . Ci aspe ava un viaggio in Italia e un incontro con papá, mamma e zio Sergio, molto triste e commovente. A Lima imbarcarono le spoglie di Alessandro come “Human Research” sull'aereo della IBERIA, facendo scalo a Madrid. Giun nella capitale, ci venne ad accogliere il Console Italiano in Spagna e ci invitó a sostare nella sala VIP dell'aeroporto, intanto che il corpo di Alessandro veniva spostato sull'aereo che da Madrid ci avrebbe portato in Italia. Se da un lato ci rallegró questa accoglienza inaspe ata, dall'altro ci siamo meraviglia per la grande a enzione nei nostri confron , sopra u o nel rispe o del dolore di Beatrice. Il console fu molto gen le e premuroso. Dopo tre ore di a esa, lo speaker ci chiamó per imbarcarci sull'aereo che ci avrebbe portato in Italia, cosi arrivammo alla Malpensa verso le 22,30. Un disbrigo di pra che burocar che accelerato dal nostro amico Scino Salvatore e la salma era giá sul carro funebre in direzione Bornato. Lasciai Beatrice nelle braccia del papá, che cercava di consolarla, di raccoglierla e di sostenerla, 180


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lui uomo di fede profonda, forte nella preghiera. Arrivammo alla casa in Via della Pace. Il giorno dopo, un fiume di amici, di curiosi, di gente comune e di familiari fece visita ad Alessandro: sembrava una processione infinita. Beatrice restó stupita per la partecipazione cordiale di tu a quella gente, che per vari mo vi passava a dare l'ul mo saluto. Giornate intense, dense di emozioni, di stupore, di ges di amicizia che tentavano di alleviare il dolore profondo di Beatrice. Io me ne stavo in disparte, tentando di scrivere qualche pensiero per l'ul mo saluto, ma le parole mi uscivano a fa ca. C'era una ribellione. Non era facile raccontare in un pezzo di carta l'animo di Alessandro. Ci provai ma feci molta fa ca, per quel senso di inadeguatezza che sembrava non volesse lasciarmi. Il giorno del funerale, la chiesa era gremita di gente, di amici, di persone comuni, di ragazzi dell'OMG, di scalatori e di curiosi, ricordo che mol dove ero stare in piedi fuori, sul sagrato. La cerimonia aveva qualche cosa di solenne e riverente nei confron di Alessandro; lui uomo di poche parole e di molta vitalitá. Con Bea avevamo scelto il disegno da me ere sulla lapide; mi aveva chiesto di disegnare il Huascaran, cosí feci uno schizzo e in parte Bea fece me ere due stelle alpine. Non volle nessuna frase par colare, ma solo quella del salmo. Tu o era essenziale, semplice, sincero, cosí sincero da intenerire il mio cuore. Pensai dentro di me: vedi Gian l'amore puro, quello vero, quello sincero e pulito: non ha bisogno di tante parole, di tan agge vi, di tante chiacchiere; l'amore puro ha bisogno di ges , di sguardi che si incrociano, che sfuggono e che si rispe ano. Immagino sia stato cosi l'amore che Bea ha voluto al suo Alessandro, lo stesso amore sicuramente ricambiato. Un amore sincero, fa o di ges di affe o, di sguardi sinceri e profondi: quegli sguardi che Bea ha lasciato nelle mani di Dio, con quel salmo stampato che dice “ al tuo monte saliró e vicino vedró”... Sono stato vicino a Bea un mese intero; cercavo di distrarla dal pensiero con nuo di Alessandro, lei che a ogni pié sospinto guardava il suo album di nozze. I suoi ricordi erano in quelle fotografie, in quei momen di vita insieme, in quei sogni condivisi e rincorsi, nel desiderare di formare una famiglia...io guardavo, ascoltavo in silenzio. Riguardavo e rivedevo con Bea le fotografie del loro album di nozze. Non fu facile stare vicino a Bea tu o quel tempo: mi sen vo cosí povero, incapace; mi rimproveravo di non aver parole di conforto; sempre di piú mi rendevo conto del grande vuoto che Alessandro aveva lasciato nella vita di Bea, un vuoto incolmabile e una ferita aperta nel suo cuore. Venne il giorno che dove ripar re per il Perú. Era passato piú di un mese da quando avevamo messo piede in Italia; laggiú mi aspe ava la scuola, i ragazzi, e la mia famiglia. Dove par re; sen vo che dovevo molto ai miei ragazzi peruviani, che questa riconoscenza si doveva tradurre in una scelta di vita importante; capivo che i mie ragazzi, alunni della Escuela, non potevo lasciarli soli e che avrei dato il mio tempo e le mie energie per formarli come guide di montagna; sen vo che era un dovere di riconoscenza nei loro confron . 181


Dopo alcuni anni, in un mio successivo rientro, Bea mi disse che era andata da poco a Bologna a incotrarsi con il romano, con cui Alessandro aveva scalato il Huascaran. L'aveva chiamata al telefono annunciandole che voleva parlare con lei. Cosi Bea si fece accompagnare da papá fino a Bologna in un bar fuori dal casello dell'Autostrada, per incontrarsi con questo po che aveva abbandonato al suo triste des no Alessandro sul Huascaran. Bea mi disse che aveva acce ato di vederlo, perché le sembrava dalla telefonata avesse qualche cosa di importante da comunicarle; si era illusa al punto da chiedere a nostro padre di accompagnarla. Arriva a Bologna mi raccontó Bea che l'incontro fu breve; solo poche parole di cordoglio, si sede ero a bere un caffé e il po chiese a Bea se poteva mandargli le fotografie della ve a che Alessandro aveva sca ato a lui, perché ne aveva bisogno. Al sen re queste cose, Bea e papá si sono ra rista mol ssimo. Educatamente si sono saluta , ma per loro fu uno smacco ulteriore alla memoria di Alessandro e al cuore di Bea cosí profondamente provato. La percezione di Bea fu che quell'uomo, non avesse minimamente nemmeno uno scrupolo di coscienza su quello che aveva fa o; non aveva mostrato segni di pen mento o rimorso per ció che era accaduto sul Huascaran; se avesse dato l'allarme in tempo u le, avremmo avuto qualche ora in piú per i soccorsi. Quando mi raccontarono queste cose, pensai che questo mondo della montagna non ha piú nessun valore: é diventato uno schifoso TABÚ, dove contano solo l'arrivismo, la superioritá fisica, la tecnica, l'egocentrismo. Il vento sublime di DIO non c'é piú. Ho pensato che ha ragione il Padre Ugo, quando ci dice che bisogna riportare DIO in cima alle montagne... Questa é la grande sfida oggi per chi vuol fare dell'alpinismo pulito, serio e leale. Parlare di DIO é piú difficile che scalare l'EVEREST, perché porta a scomme ere tu a la vita sulla Caritá, fa a di ges quo diani, di amorevolezza e di generositá. L'essere leali, solidali, aper , dispos a perdere, allena al sacrificio, al sudore, alla fa ca, alla pazienza, alla bontá. Ques ideali sono la formula con la quale inziare una vera spedizione verso la montagna piú alta della vita: la ve a di DIO. Mi accorgo che DIO va cercato ogni giorno, nei ges quo diani, nella normalitá della vita. Lo straordinario é proprio essere semplici e normali, amici, servizievoli gli uni verso gli altri, non egois . Non si deve soddisfare solo il propio ego, la propria gloria, ma essere capaci di dividere con gli altri quello che si ha, condividere le fa che, le gioie, i dolori, gli entusiasmi, superare le arrabbiature e le incomprensioni; accontentarsi di quello che si ha, saper sempre sorridere alla vita, anche nei momen bui e tris . Bisognerebbe amare senza mai arrendersi, fare la caritá senza pretendere un tornaconto, me ersi in ginocchio senza pretese e pregare senza chiedere. Abbandonarsi a DIO senza conoscerlo, senza vederlo, senza sen rlo. Fare ques esercizi ogni giorno, per tu a la vita é veramente molto piú impegan vo che scalare l'Everest, é molto di piú che aprire una nuova via. Se 182


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si pra cano ques esercizi con amore e passione, si arriva ben presto quasi senza accorgersi, sul sen ero della modes a e dell'umiltá. Me ersi a camminare in salita é sinonimo di fa ca. L'impegno e il servizio con nui verso chi soffre, chi é in difficoltá, chi é su una sedia a rotelle, chi si perde per la strada, chi dorme so o i pon , chi vive sulle Ande aspe ando che la terra dia i suoi fru , questo fa crescere. In ogni luogo del mondo si puó fare del bene: basta volerlo, basta rimboccarsi le maniche e non calcolare; bisogna superare se stessi e lasciarsi scombussolare andando verso i poveri, gli esclusi, gli indigen e i sofferen . In questo gioco si puó inciampare sul cammino della Caritá che porta verso la montagna più ALTA. Non é volontariato, non é servizio, non é un prestare il tuo tempo a ore; io parlo di un cammino di conversione, di vivere una vita dedicata agli altri; chiamate questa avventura vocazione all'amore, chiamatela cammino, chiamatela caritá: ecco cosa intendo quando parlo di me ersi in cammino, di me ersi alla ricerca di una VIA VERA da seguire. Miguel Mar nes Apolinario (alunno della escuela de guias scrive a Beatrice raccontando i momen salien della ricerca e ritrovamento di Alessandro) Marcará 3 se embre 2000 Rispe ata signora Sardini Beatrice, riceva a raverso questa le era la benevolenza che nutro nei vostri confron , dopo quello che é successo a suo marito; ho nella mente un ricordo ni do. Mi sembra prudente scriverle questa le era per farle sen re tu a la mia pena, che avrei voluto manifestarle, peró le circostanze non mi hanno dato la possibiltá di farlo prima. Spero di non riaprire la ferita che porta nel cuore. Con gli istru ori e tu gli alunni della scuola di guide ci trovavamo nella Quebrada Honda, affinando le tecniche di scalata su roccia, quando improvvisamente arrivó suo fratello Giancarlo, angus ato; raccontó ció che era successo sul Huascaran; fu una sorpresa per noi. Subito cinque di noi con gli istru ori, in fre a, cominciammo a salire verso il luogo dell'incidente. Iniziammo a salire ad un ritmo accelerato; passavano le ore, gli zaini che portavamo pesavano parecchio; eravamo stanchi ma lo avamo e cercavamo di avanzare, pensavamo di dover soccorrere una persona in vita. Cominció lo scoraggiamento perché il nostro corpo non rendeva piú, come se il silenzio delle montagne ci invadesse e la forza del vento respingesse indietro il nostro corpo. Il giorno del ritrovamento di Alessandro era uggioso; la nebbia copriva le montagne intorno a noi, il mio corpo era impregnato di freddo. Salimmo fino al posto che ci avevano segnalato; pian piano il tempo migliorava, poi il sole inizió a brillare con i suoi caldi raggi. Proseguimmo 183


sulla via normale e salendo sopra una canale a vedemmo un bastoncino telescopico piantato: sembrava un segnale. Controllammo i crepacci intorno al luogo del segnale, peró non vedemmo nulla, allora decidemmo di comunicare tramite radio con Marcará; dalla base ci dissero di andare avan altri 100 metri. Con nuammo la salita portandoci a destra della via normale. Circa 30 metri piú in sú c'era un piccolo crepaccio; avanzavamo ma la stanchezza si faceva sen re, ci fermammo a riposare; subito notai un colore diverso dalla bianca neve dentro nel crepaccio: salii rapidamente; mancavano pochi metri per raggiungere il crepaccio ... lo vidi... rannicchiato e pensai che ancora respirasse, peró le mie speranze caddero quando mi avvicinai a lui. Una rara sensazione avvolse la mia anima, un nodo in gola mi sussurrava che la montagna a volte prende e a volte regala. Era la prima volta che io vedevo che la montagna si era impossessata di una persona con l'ombra della morte. Mi domandavo e non capivo cosa stava succedendo. Passai alcuni minu vicino a lui, poi preparammo il corpo per l'evacuazione; scendemmo immersi nella nebbia. Mentre scendevamo sen vo che ero invaso da una profonda nostalgia; non volevo acce are che Alessandro fosse morto. Spero di non aver infierito su questa ferita aperta. Conservo nei miei ricordi e sempre porteró nella mia vita il ricordo di Alessandro. A raverso questo incidente ho capito cosa significa amare DIO e le persone e che essere in compagnia non sempre significa essere sicuri. Vi mando i miei piú sinceri salu Miguel Mar nez Apolinario Riflessioni sulla tragica morte di ALESSANDRO dal diario di mio padre Il giorno 21/08/2000 è accaduto un fa o trauma co nella mia famiglia. Mio genero Alessandro è morto sul HUASCARAN. Un fa o che alla luce della ragione umana appare incomprensibile. Acce o questa CROCE a suffragio delle anime purgan . È un avvenimento duro da acce are. Solo chi ha fede in DIO acce a la MORTE. Chi ha fede in GESÙ Cristo cerca di superare le difficoltà della vita con la preghiera, offrendo a DIO questo sacrificio. E stata fa a la volontà di DIO, resta a noi viven il compito di pregare per l'anima di Alessandro. Chi crede in DIO acce a la sua volontà. È un DIO che ha dato la vita, è un DIO che sconvolge la vita, è un DIO che toglie la vita, tu o questo è acce ato da chi crede in DIO, chi ama DIO, il figlio Gesù Cristo, la sua Madre la Madonna San ssima che è madre di tu i creden . “Madre, che hai generato Gesù Cristo, morto in croce e risorto, acce a tu e le insidie della vita con amore.”

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Huascaran Sur - nel luogo dove si ĂŠ consumata la tragedia di Alessandro Conti

Alessandro Conti con Beatrice e la famiglia Sardini

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Lettera di Padre Ugo a Beatrice sulla tragedia del Huascaran

Padre Ugo, scrisse a Beatrice varie le ere dopo la morte di Alessandro, queste sono tra le piú significa ve. Pomallucay 23 agosto 2000 Cara Beatrice, tanto cara anche se ho appena vista di sfuggita in Chacas. Ho preso la penna per scriver perchè non riesco a venire - per ora – a Marcarà. Vorrei venire solo per vedere il tuo viso, prender le mani e cosi a raverso lo sguardo e le mani entrare nella tua sofferneza, nei pensieri che torturano, nei desideri inu li e nel rammarico che riempiono la tua anima. Rincorro io stesso i pensieri che affollano la tua testa: “perchè ? Perchè ? Perchè l'ho lasciato andare ? Dovevo impedirglielo ! cosa avrà pensato, come mi avrà chiamato ? Quanto freddo e paura ! Non c'era possibilità di salvarlo ? E ora, e ora che faro' senza di lui ?” Cerco di rincorrere i tuoi pensieri per avvicinarmi a te. Non voglio far del male, ricalcando le cose dolorose che schiacciano. Non c'è via d'uscita da questa parte dove noi siamo ancora. Ti appoggerai un poco a Giancarlo e Marina e Angelo, ma è un rimandarsi silenziosamente le stesse domande. Ed i pensieri guizzano indietro. Incontrano Ba s no e Giandomenico al Huascaran. Incontrano poi Padre Daniele che andava lassù a dire la messa per loro. 186


17 Ora il canto di Daniele “LI RITROVEREMO VIVI” non lo potrai più sen re senza rabbrividire, commuover e soffrire. Per tu a la vita la montagna del Huascaran, accompagnerà. Anche per me questo nome, quel bianco ghiacciaio che copre come manto le due gobbe imponen , mi ripete i loro nomi: Ba s no, Giandomenico ed ora Alessandro. Oh cara Beatrice! Sono qui accanto. Ti ho preso le mani. Mentre scrivo sono in cappella qui a Pomallucay. Proprio a un metro da me in una piccola urna di vetro tre pietre bagnate del sangue di Padre Daniele. Padre Daniele amava molto la montagna e sopratu o il Huascaran. “Saranno insieme ora Daniele e Alessandro, Ba s no e Giandomenico, Giulio... Simone e Sandro?” Come vedi, Beatrice scappo via dal pensiero della loro morte, di come violentemente è stata stroncata la loro vita. La morte mi chiama da un'altra parte. Beatrice, non ascoltare la testa perchè dica se sono ancora vive queste persone. Non ascoltare la testa se vuoi sapere dov'è Alessandro... La testa, i pensieri bruciano ogni speranza. La testa, i pensieri portano solo alla vita in cui ci troviamo, che Alessandro ha lasciato. Devi prendere un'altra strada ora, per ancorar a una parola più vera, diversa da quella che suggerisce la testa. Questa parola è Gesù. Non è neppure una parola. La puoi ripetere come parola, ma non va bene. La devi dire solo come invocazione, sospiro... grido...chiama, chiama Gesù. Non dovrei scriver così. Io debbo chiamarlo per te. Sono qui in Chiesa per chiamare Gesù. Ho alla mia destra una statua della Madonna immacolata, con le mani giunte. Prendo le sue mani tra le mie e prego con lei. “Mamma, vero che Alessandro è venuto da TE? Quante volte ho raccomandato in questo tempo i miei ul mi momen , e delle persone care. Queste preghiere le offro a te, Mamma, per Alessandro. Tu lo accompagnerai da Gesù, vero? Tu implorerai questo miracolo che a me appare impossibile. Mamma, Maria, voglio staccare il mio pensiero da qui, da questa terra... Voglio, chiedo che Alessandro sia con Gesù, con Te”. Ecco Beatrice, se prendo le mani e sto accanto al tuo dolore, al tuo smarrimento è solo per invocare in silenzio, Gesù e la sua Mamma. Non mi sen res pregare. E' dentro di me questo sospiro “Gesù”. Ma nel mio affe o accanto a te c'è solo il chiamare con insistenza Gesù e Maria.

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Pacarisca 12 o obre 2000 Cara Beatrice, non sono ancora due mesi che Alessandro dal Huascaran non é piú tornato: solo il suo corpo senza vita é stato res tuito. É tornato terra. Questo é ció che “vediamo”. Né con gli occhi, né con la testa arrivi a stare tranquilla. “Dove sei ? Dove sei ? Alessandro... Mi ascol ? Ti arriva il mio grido ? Fammi sapere qualcosa...trova il modo di dirmi che vivi, che stai bene, che é bello dove ora trovi...” Quanto gridare e pregare cosí per ogni persona cara! Quante volte! Cara Betarice cara, cosí cosí sono io. Fin da bambino sono stato rapito e travolto dal pensiero della morte, dal bisogno di vincerla o superarla. Sempre mi ha fa o paura. Sempre mi ha dato dolore. Ma non ho distolto gli occhi dalla morte. Quando ero ragazzo e poi giovane salesiano mi affidavo a ció che mi veniva de o dai pre , dalla Chiesa. E per questo, solo e sopratu o per questo ho desiderato e deciso di farmi prete – Salesiano. Don Bosco sempre parlava ai suoi giovani della morte ed io sono stato educato nel clima “della salvezza dell'anima”. All'inizio della mia vita (ragazzo e poi prete) mi era facile fidarmi anche col pensiero a ció che mi veniva insegnato. Poi man mano la testa si é sempre piú rifiutata di sostenere il desiderio “della vita eterna” che sempre domina la mia vita. Il pensiero della vita eterna coincide in me con il DESIDERIO di DIO. Da mol anni pongo la mia fiducia totale in DIO, Mi ABBANDONO a LUI, senza piú cercare o dare prove di Dio. Chiamo Gesú come un bambino chiama sua mamma. Il mio cuore, la mia vita é fa a di questa vocazione. Spero di non esagerare a dire questa cosa perché poi, di fa o (e chi mi vede lo puó osservare) sono un RAGAZZO distra o e giocherellone pur avendo 77 anni, sono un uomo peccatore. Cosi ogni volta che ascolto arrivare la morte vicino a me (quella di una persona cara é sempre una morte vicina) oltre al dolore mi viene naturale CHIAMARE Gesú, come se fossi io a morire. Quand'ero piú giovane chiamavo di piú la Madonna. Ora ritorno a chiamarla, ma da LEI ho imparato che conta solo Gesú, che conta solo DIO: il Dio di Gesú che é un Padre tanto buono e accogliente. Non mi sembra neppure FEDE ció che sto scrivendo. É un GRANDISSIMO DESIDERIO di Dio che ho; cosí non faccio che supplicare “Gesú, Gesú...o Mamma portami da Gesú...Oh Gesú fai vivere Alessandro, Oh Gesú caro, ascolta ascoltami...Gesú-Alessandro”. Questo é quello che io faccio (lo vedi anche in questa le era) per “rispondere” alle domande che ho scri o dopo le prime 7 righe. Sono le domande che sempre mi fa la mia testa, che tu mi 188


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fanno (e non lo dicono tanto, per paura). E sono invece le domande piú importan . Non si puó rispondere a queste domande con la testa, con la scienza e neppure mi servono tante parole teologiche, anzi mi danno more le “risposte sicure” perché delle cose di Dio, non si puó parlare come delle nostre “cose di tu i giorni”. Da questa risposta (che é INVOCARE Gesú, CHIAMARE e ABBANDONARSI a Dio) nasce il bisogno di dare la vita al Signore, perché “Gesú” non sia una invocazione vuota...di pura bocca: dare la vita al Signore é per un cammino che si fa man mano con tante cadute (pecca ) e tenta vi. É il tenta vo di essere buoni. Cosí io riduco il bisogno di avere fede a un non fare pecca , a invocare Gesú (pregare) ad essere buono (ubbidire a chi chiede). Cara cara cara Beatrice, eccomi a dir di me per suggerir di PREGARE, INVOCARE Gesú senza pensare ad altro. Caro Gesú che non abbia da aver de o bugie per parlare di TE. Solo tu salvi Alessandro Gesú caro, Alessandro caro – cara Beatrice Tuo Padre Hugo

Alessandro Conti verso la vetta del Huascaran

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Cordillera di Huayhuash: in cerca dell'aereo perduto DOUGLAS DC 47

Se embre 2002. Dopo vari sopralluoghi e varie ispezioni in avanscoperta dei nostri ragazzi, da alla mano, ci siamo decisi a intraprendere la spedizione al Douglas DC47. Si tra a di ritrovare i res di un aereo TAM DC47 scomparso in condizioni avverse sulle Ande peruviane l'11 novembre 1954 e mai piú ritrovato. Volava da Iquitos a Lima, con 7 membri dell’equipaggio e 22 passeggeri. Una severa tormenta, devia il corso del volo; alcuni istan dopo il velivolo si schianta nella parte nord del nevado Jirhishanca, a 6094 metri di altezza. Questo é ció che sappiamo e che é stato pubblicato, ma la veritá di questo aereo non la sapremo fino a quando non lo ritroveremo. L'impresa ha dell'incredibile; sopra u o il velo di mistero che avvolge questa scomparsa, é intrigante al punto da lievitare in noi la curiositá per organizzare una spedizione in piena regola. Per recuperare indizi e informazioni mi ero spinto fino a Lima in cerca delle fotografie e dei raccon che ci potessero orientare dove si potessero trovare i res della carcassa dell'aereo scomparso. Mi incontrai con Cesar Morales Arnao, figura storica dell'Andinismo peruviano e capo spedizione alla prima scalata peruviana sul nevado Huascaran. L'avevo ingaggiato anche come professore nella nostra scuola di guide per de are i corsi sulla storia dell'Andinismo. Ricordava benissimo la storia di quell'aereo scomparso; mi disse che subito dopo la tragedia si mobilitarono sia le forze militari che un gruppo di esper scalatori. Ci furono due spedizioni che andarono alla ricerca di quell'aereo. La prima, subito dopo la tragedia, era capitanata dallo stesso Cesar Morales; non si avevano tan indizi del posto, 190


18 solo il report diceva che l'aereo era scomparso sulle montagne della Cordillera Huayhuash; non c'erano altre indicazioni. Armato un gruppo di soccorritori si addentrarono nella quebrada Llamac, fino ai piedi dello Yerupaja, al campo base di Solterococha. Da lontano, con il canocchiale, Cesar notó che c'era qualche cosa che brillava sul ghiacciaio; pensa che sia il rotore delle eliche; scrutando bene vede sulla parete dei res dell'aereo; lungo la canale a si vede una riga scura, forse l'olio del motore. Seguendo questa traccia si puó arrivare alla parte iniziale del ghiacciaio dove ci potrebbe essere l'aereo. Con i suoi uomini si spinse fino al ghiacciaio, ma l'inaccessibilitá del posto, dover superare un colle di ghiaccio per avvicinarsi (al tempo i materiali e le atrezzature erano pra camente insufficien per tale impresa), risultava pericoloso. Ste ero giorni, tentando di superare gli ostacoli, ma i viveri cominciavano a scarseggiare, cominciava a nevicare ed anche le forze venivano meno. Cosí dove ero rinunciare alla ricerca sempre piú infru uosa. Nel fra empo da Lima era arrivata una seconda squadra per confermare il ritrovamento, ma i due gruppi di soccorso decisero di rinunciare alle ricerche per il maltempo. Cosí il 5 dicembre 1954 si diede per sospesa qualsiasi ricerca fino a che ritornasse il bel tempo. Dopo quelle prime ispezioni se ne organizzarono altre tre, che peró arrivarono fino alla sommitá iniziale del ghiacciaio, senza trovare tracce dell'aereo TAM. L'Aereo si era schiantato sulla sella, tra il nevado Yerupajà e il nevado Jirishanca. Proprio nella sella che divide i due colossi. Il ghiacciaio divoró l'aereo con tu o il suo equipaggio: 29 vi me tra pilo e passeggeri. Mai trova né i res dell'aereo, né tantomeno i passeggeri. Per questo l'impersa avvolta da un velo di mistero ci intrigava; sembrava proprio una sfida d'altri tempi. Anche il grande Riccardo Cassin, che io avevo conosciuto di persona nel 1996, nel suo libro autobiografico “Cinquant'anni di alpinismo” alla pagina 165 scrive: Anno 1969, Parete Ovest dell'Jirishanca (6126m) spedizione Ci á di Lecco: “Il 21 giugno al ma no, ci muoviamo in marcia di avvicinamento per portarci al campo d'a acco ma, per arrivarvi, dobbiamo superare un colle El Toro di 5300m, ritenuto inaccessibile. Il do or Morales Arnao mi aveva de o che nel 1954 un aereo, con ven se e passeggeri a bordo era andato a infilarsi in un fianco del colle tra l'Jirishanca e la Cima El Toro, e che la squadra di soccorso, dopo qua ro giorni di vani tenta vi, aveva dovuto desistere, non avendo trovato alcun passaggio per raggiungere il posto del disastro. Gigi e Casimiro decidono di esplorare il “rognone” roccioso, che sulla sinistra divide i due ghiacciai, quello El Toro da quello dell'Jirishanca, per vedere se il passaggio é piú breve. Io e Morales, andiamo piú tardi, verso il colle sulle tracce dei due, ma, arriva al punto dove loro hanno piegato a sinistra so o la seraccata credendo di trovare un passaggio, io decido di andare alla base del piccolo Yerupajà Chico, perché intuisco un passaggio migliore. Quando peró arriviamo all'altezza del posto dove Casimiro e Airoldi hanno lasciato il materiale, constato che lì non lo si 191


potrebbe piú recuperare. Ci divide un estesissimo pendio di ghiaccio, tagliato da un numero infinito di crepacci che corrono in ogni direzione, impossibile da superare.” Nel libro Riccardo Cassin cita che a Lima all'aereoporto vennero ad accoglierlo l'Ambasciatore Italiano e Celso Salve (fondatore del CAI LIMA) che poi nel 2004 con le guide DonBosco Cesar Rosales e Miguel Mar nez, e gli scalatori italiani Enrico Rosso e Fabrizio Manoni, apriranno la via sulla cresta nord del nevado Copa, dedicandola a “Celso Salve ”. Ogni volta che leggo nomi e situazioni, la mia vita si intreccia come in una ragnatela fa a di nomi dell'alpinismo, ragazzi campesinos, giovani volontari dell'Operazione Mato Grosso, la vita di Padre Ugo e padre Giorgio, mescolata con la nostra e tenute insieme da un "filo invisibile". Con ques pensieri e le premesse degne di ogni riverenza, ci siamo messi all'opera. Siamo par verso la cosmovisione Andina, la montagna sacra, il Dio che perme e la via e la morte. Quaranto o anni dopo, decidiamo di portare a termine le ricerche che Cesar Morales Arnao aveva iniziato e mai concluso. Ci spingeva il desiderio di avventura, di esplorazione, nel rispe o per i mor che questa montagna aveva voluto per sé. Par mmo da Marcará con un pullmino fino alla miniera di Pallca; da lí, con alcune jeep, dei minatori della miniera Mitsui & Smel ng ci portarono fino al passo senza nome che da Pallca porta a Jahuacocha dove cominciammo a camminare. Eravamo carichi di materiali e a rezzature, ricordo che lo zaino pesava piú di 20 kg e in ogni mano avevamo altri pacchi di viveri come uova, pasta, riso, zucchero etc... salivamo verso il passo e poi una lunga discesa; non conoscevo questa zona delle Ande, per me era una novitá. Arriva al campo base di Jahuacocha (4066m), montammo le tende, proprio dove ci avevano indicato due dei nostri ragazzi che erano venu in avanscoperta alcune se mane prima e che ci avevano dato conferma dell'esistenza di tracce dell'aereo sul ghiacciaio. Sará proprio grazie a ques indizi, e al ri ro dei ghiacciai che i res della aereonave verranno allo scoperto. Montammo la tenda cucina, una canadese con i pali di legno e alluminio, ben piú pesante delle a uali Campo Base a igloo. Di acqua ce n'era in abbondanza e era giá sera; alcuni ragazzi si misero a pescare. Per cena delle belle trote alla griglia; una cena ricca e succulenta ci voleva, dopo una giornata cosí fa cosa. Con noi c'era José Rios Vasquez, che stava girando un documentario su questa spedizione, per cui tu o questo lavoro é stato anche ripreso in un documentario dal tolo “Douglas DC47”. Oltre alle tende, ai viveri, alle corde e a rezzature personali, avevamo anche una cinepresa e un treppiedi da portare con noi. Ma tu o faceva presagire la buona riuscita della spedizione. Noi dovevamo trovare i res dell'aereo Douglas DC47 e riportare a Marcará qualche pezzo da museo. Il giorno dopo trovammo Faus no Esteban, un campesino, tes mone del fa dico incidente, che vive ancor oggi ai piedi di queste montagne con il suo 192


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gregge di pecore. Faus no ci raccontó che erano le due del pomeriggio, quando successe la tragedia. Da Cajatambo entró un gruppo di soccorso, per cercare l'aereo: c'erano i fratelli Yanac e altri con i ramponi e le piccozze. Trovarono evidenze del disastro, ma dell'aereo nessuna traccia. Ancora di piú eravamo immersi in questa che si rivelava una vera e propia avventura, piú da vivere che da raccontare. Lo stesso giorno ci muovemmo verso il ghiacciaio, e superata la parte piú difficile e ripida, la raggiungemmo dopo varie ore di ricerca; finalmente trovammo i primi res dell'aeronave; il motore era stato bu ato fuori dal ghiaccio e giaceva sul ciglio di un crepaccio terminale; come fosse giunto fin qui, non ci é dato saperlo, di certo era il motore dell'aereo TAM. Da quel momento ci siamo mossi a pe ne salendo verso il ghiacciaio: piú si saliva e piú si trovavano pezzi sparsi qua e lá dell'aeronave: cinghie di sicurezza e parte di un sedile di legno, dei fi oni, dei cordini e un chiodo da ghiaccio (probabilmente della spedizione 1969 all'Jirishanca di Riccardo Cassin e Casimiro Ferrari con Sandro Lia , Mimmo Lanze a, Annibale Zucchi, Giuseppe Lafranconi, Gigi Alippi e Natale Airoldi). Il riverbero della neve era sempre piú forte, i nostri occhi facevano fa ca a guardare il ghiacciaio; poi di colpo ci avvolse un senso di silenzio, rispe o, dolore e commozione, pensando al disastro che era successo lassú. Lasciammo tu o come l'avevamo trovato. Il giorno dopo tornammo sui nostri passi per portare avan altre ricerche e per portare a valle qualche pezzo di aereo da esporre nella Escuela de Guias in una sala appropriata. Cosí non conquistammo nessuna cumbre, ma trovammo in questa spedizione, una ragione per convivere con la grande forza a volte dolorosa della natura, me endo alla prova le nostre paure e certezze. Chissá se ci saranno altre storie da scoprire su queste inospitali montagne, ma al tempo stesso bellissime. Il tassello mancante dell'aereo Douglas DC47 Dopo vari anni sono entrato dal lato est della Cordillera di Huayhuash, dalla strada che da Huanúco porta al passo della Corona del Inca e poi giú fino a incrociare los pueblos di Baños e Queropalca. Prima di raggiungere Queropalca abbiamo fa o tappa a Baños, dove c'é una comunitá di Comboniani nostri amici tra cui Padre Giuseppe Messe . L'ospitalitá é sempre al primo posto nelle missioni. La sera a lume di candela e con le doppie giacche a vento abbiamo bevuto il té e poi subito a dormire. I le erano a dir poco freddi, i Comboniani non avendo acceso la stufa non hanno riscaldato le camere e quindi il freddo ci faceva compagnia. Il giorno successivo avremmo dovuto arrivare a Queropalca. Siamo par presto, non conoscendo la strada e costeggiamo per un breve tra o gli argini del rio Nupe. Poi saliamo lungo una strada sterrata e piena di buche: raggiungiamo poco dopo il villaggio di Santa 193


Rosa, e proseguiamo. Dopo circa un'ora di viaggio siamo al villaggio di Queropalca (3831m); questa sará la nostra base per il programma di esplorazioni che vogliamo me ere in campo. Infa é nostra intenzione cartografare la cordillera Huayhuash e Raura. Il proge o é molto ambizioso, ma pensiamo che in due o tre anni dovremmo farcela. Le informazioni in nostro possesso sono interessan e abbiamo un buon aggancio con un centro cartografico a Torino che raccoglie da e sviluppa a raverso un sofware le varie curve di livello e l'edizione della mappe. Al centro lavora un certo Walter Alberto che é diventato mio amico e si é reso disponbile per elaborare quella che sará la nuova mappa della Cordillera di Huayhuas – Cordillera Raura e Cordillera Huallanca, oltre che elaborare la parte del Cammino Real che partendo da Yanahuanca raggiunge Huanúco Pampa (el Capaq Ñan). Ma in questo capitolo non voglio parlare del lavoro sul campo che abbiamo intrapreso per disegnare la nuova cartografia e mappatura; cercheró di farlo con maggior de aglio in un altro libro, anche perché mentre sto scrivendo s amo ul mando l'edizione della guida di trekking della Cordillera Blanca e Negra, un lavoro certosino che avevo incominciato a comporre nel 2005 e che oggi dopo tan anni dovrebbe essere ul mato. Per aiutarmi in questo lavoro descri vo ho chiesto all'amico Franco Michieli di correggere a suo tempo la mia bozza della Guida di Trekking della Cordillera Blanca e Franco da buon scri ore ha sistemato alla meglio l'intera mia edizione, in modo che sia il piú precisa possibile, anche apportando modifiche. Alla fine ne uscirá un vera perla di saggezza, cosí almeno speriamo. Ma veniamo a noi che siamo arriva a Queropalca, e preso possesso della Casa Parrocchiale che Padre Giuseppe Messe ci ha prestato. La casa é subito dopo la Chiesa; é vuota, quindi possiamo stabilirici per alcuni giorni senza pestare i piedi a nessuno. Cominciamo le pubbliche relazioni, tra sindaco e infermieri del presidio sanitario. Qui le autoritá sono il preside della scuola, il sindaco e gli infermieri. Cosí dopo alcuni convenevoli, ci presen amo e spieghiamo che ci fermeremo alcuni giorni in visita. Spieghiamo che torneremo spesso durante l'anno a Queropalca, non per stabilirci, ma come ospi per brevi periodi. Aggiungiamo che siamo guide di montagna e che vogliamo studiare un ingresso alterna vo alla cordillera di Huayhuash; le autoritá sembrano contente. Chiediamo se ci sono conducen muli dispos ad accompagnare turis nella Huayhaush. Ci indicano un signore che poi si rivelerá importan ssimo nelle nostre future uscite. Con lui stringeremo una bella amicizia e ci aprirá le porte della zona di Queropalca. Si chiama Lincon Garcia. vive in una casa sul lato destro del pueblo. La sua casa é una vera stamberga, senza pavimen , se non fango ba uto; ha qua ro galline spennacchiate, alcuni porcellini d'india, e due asini. 194


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Vivono varie persone in una catapecchia, ma lá le chiamano “casas nobles”, proprio pesi e misure diverse, tra noi e loro. Mi me o a parlare con lui; ci chiede da dove veniamo, cosa faremo qui, come mai abbiamo deciso di fermarci in questo villaggio, quanto tempo ci staremo. Le domande non sono banali, racchiudono loro dubbi e perpelssitá sui gringos da cui da secoli sono sta sbeffeggia , racchiudono la loro cultura, il loro modo di essere e di leggere le persone, racchiudono il loro s le di vita ed il loro desiderio di superarsi. Per quanto tempo vi fermate ? Segno di un desiderio di conoscere, di esistere, di esserci... Rispondo vagamente, ci fermeremo qualche giorno, poi vedremo. Non servono eloquen discorsi che poi non avranno seguito. Cerco di vivere giorno per giorno, cercando di indovinare il domani... I giorni successivi sono sta dedica alla conoscenza del villaggio, e dei suoi abitan ; vedevamo i ragazzini entrare a scuola, tu in fila con l'unica uniforme voluta dalle rigide regole scolas che imposte dal governo peruviano. Ogni giorno ques bambini dovevano assistere all'alzabandiera, cantando l'inno nazionale, con la mano sul pe o; guai a non essere presen ! Questa sembrava la lezione piú importante di tu a la giornata, sempre la stessa minestra tu i giorni, sempre lo stesso copione ogni ma na per tu a la durata della scuola. Il professore con un'asta di legno in mano che ripetutamente ba eva sulle gambe degli alunni che non stavano in rigorosa sfilata militare: tu in fila, tu a distanza di un metro, tu allinea , tu con la stessa divisa. Le scarpe lucidate a festa. Nessuno si cura di loro, vivono proprio nella miseria. Miseri panini e un pó di acqua calda a mò di té. Nello zaine o della scuola solo quaderni e ma te, senza libri perché costano troppo e non se li possono perme ere, le aule di scuola con banchi di legno, pavimen fa scen , finestre senza vetri. A volte il professore arriva a scuola di buon ma no ubriaco fradicio e come lezione inventa un torneo di calce o. Dopo le lezioni di scuola, l'unico mezzo per riportarli a casa é il piedibus: devono affrontare varie ore lungo inerpica sen eri o affrontare scoscesi pendii. Arriva a casa mangeranno una zuppa di fagioli, riso e qualche patata. Poi dovranno andare a pascolare le pecore e gli eventuali compi verranno svol a lume di candela, magari tra le grida e le bo e dei genitori, per mo vi fu li. Il copione è sempre lo stesso: case fa e di fango con il te o di paglia e il pavimento di terra senza divisorie interne. In un angolo c'é una specie di fuoco a legna, senza camino; un le o fa o di assi e di coperte messe una sopra l'altra dove ci dorme tu a la famiglia. Nelle case non c'é l'acqua, per raccoglierla le mamme vanno al fiume o in cerca di un rigagnolo: vita di sten e fa che. Sembra un racconto di parecchi secoli fa. É la realtá dei villaggi andini dei giorni nostri. Domande che si infrangono contro la nostra vita "mondana e perbenista". Penso che tu , nella vita, almeno una volta, dovremmo visitare i paesi poveri per fare 195


almeno un esame di coscienza, un confronto e quanto meno ringraziare e capire che dovremmo lasciare un pó di spazio a questa umanità. Non cambieremo sicuramente il mondo, ma la nostra coscienza sará un pochino alleggerita dal fardello dei nostri egoismi. Forse ci aiuterá a sen rci un pó piú ci adini di tu o il mondo, non solo di una delle par piú ricche del globo. Un mio carissimo amico, che insegna tu 'ora all'universitá un giorno parlando del nostro progresso mi ha de o che la societá moderna, alla parola “DIO”, ha tolto la le era “D”: é rimasto “IO”: il nostro ego che non deve mai essere dimen cato. Siamo diventa schiavi della tecnologia e isola . Mi diceva che i suoi nipo non giocano piú con i compagni, i vicini, gli amici, ma con i loro telefoni “parlano, giocano ore e ore con ragazzi che abitano a cen naia di chilometri e che ... non incontreranno mai. “Questo, diceva a me, per farmi capire come le tecnologie se non usate con una certa saggezza si impadroniscono di noi, ci schiacciano. Sono fredde macchine senza un cuore”. Dopo varie visite a Queropalca, decidemmo di avviare dei corsi per portatori e cuochi, in un sistema di moduli della durata di 45 giorni; ogni ciclo era di 15 giorni. Quindi avevamo stabilito con le guide Don Bosco che il primo modulo sarebbe stato tu o sulla sicurezza, sui nodi, sul modo di ves re, di montare le tende, di interagire con i turis etc... Il secondo modulo era tu o sulla cucina, avremmo chiamato alcuni nostri ragazzi cuochi che potessero insegnare e il terzo modulo era tu o sul campo, con un trekking e successivo sviluppo su ghiaccio, con trasporto di tende e ve ovaglie per prendere dimes chezza con i ghiacciai. Iniziammo a o obre che é un mese tranquillo con il lavoro di guide di montagna; gli istru ori del corso Amador, Blas e Cesar avevano tempo libero in o obre. Il secondo modulo lo riprendemmo l'anno successivo in aprile e il terzo e ul mo modulo a fine anno, in o obre. Per fortuna avevo trovato i finanziatori del corso grazie agli amici Riccardo Dall'Ara e Eros Pedrini del CAI di Brescia e Gianpietro del CAI di Salo', che con l'inizia va “La nostra passione il loro futuro” avevano acce ato di sostenere le spese dei tre moduli del corso per “auxiliares” de montaña, cosí era il nome ufficiale dato al corso, che godeva del patrocinio del ministero del turismo di Huancuo. A fine corso abbiamo consegnato i cer fica , é venuto un rappresentante del ministero del turismo di Huancuo a presenziare la cerimonia ufficiale, con tanto di discorso e di sviolinate alle guide che avevano condo o i tre moduli. Molto bello, anche se non nego le difficoltá organizza ve, sopra u o se si pensa che i partecipan locali non avevano mai presenziato a un corso di cosí alto livello per quanto riguardava l'approccio al turismo inteso come trekking, scalate ed escursioni di ogni gene196


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re. I primi giorni, i ragazzi erano spaesa , ci guardavano come se fossimo degli estranei in tu i sensi, sebbene Amador, Blas e Cesar venissero dalla regione confinante (Ancash) e non da un altro stato. Qui le comunitá locali sono molto chiuse tra di loro; a volte nemmeno si parlano tra pueblos vicini, figuriamoci tra gente di un'altra regione. Ci sono volu un pó di giorni e che l'autoritá del pueblo intervenisse per dare la sua benedizione ai corsi. Di questo passo, il gioco era fa o. I ragazzi arrivavano puntuali alle lezioni al ma no, poi pranzo a mezzogiorno, lí alla casa dei Comboniani, un momento di svago con la consueta par ta di calcio e poi lezioni fino alle 17:00. Una pausa con pane e te, poi altra ore a di ripasso e la cena. Dopo la cena un momento di riflessione sulla giornata, alcuni consigli u li e la buona no e. La maggior parte di loro tornava a casa e quelli piú lontani dormivano nei cameroni della casa parrocchiale. Le giornate erano scandite cosí, era un pó come applicare il metodo preven vo di Don Bosco. Le giornate passavano; io mi dedicavo alla cucina o a seguire le lezioni. A volte trovavo il tempo anche per fare due parole con la gente del villaggio, e scoprire cosí alcune cose interessan . Un giorno, l'ul mo del primo modulo, mi reco alla casa di Lincon, a trovarlo e fare due chiacchiere con lui e sua moglie che si offrí come volontaria in cucina durante il corso. Entro nella loro casa dalla parte del recinto degli animali, scavalco il muro di pietre a secco e mi trovo davan un signore anziano, molto anziano con le rughe sulla fronte e le mani scavate dal tempo e dalla fa ca. É seduto con il suo classico cappello; mi guarda e mi saluta, mi chiede come va il corso. Mi domanda se conoscevo giá la cordillera di Huayhuash, gli rispondo che ero entrato solo dalla parte occidentale alcuni anni prima e ci eravamo ferma alla Laguna di Jauharcocha proprio so o lo Yerupajá per cercare i res di un aereo che era scomparso nel 1954, era un Douglas DC47 della forza aerea peruviana, e che avevamo ritrovato alcuni pezzi. Alcuni di ques pezzi li conserviamo a Marcará nella Escuela de Guias. Lui ascolta e poi mi dice che ricorda tu a la tragedia e che vorrebbe raccontarmela, cosí aggiungo un tassello importan ssimo a questa storia. Inizia a raccontarmi che lui era un adolescente quando questa tragedia successe, si ricorda benissimo quello che accadde, dice che l'aereo veniva da Pucallapa in direzione Lima. Ad un certo punto l'aereo passata la Cordillera Huayhuash entró in una tormenta: il pilota, non avendo piú pun di riferimento, optó per tornare indietro all'aeroporto piú vicino che era quello di Huanúco, senza accorgersi l'aereo stava perdendo quota. Ad un tra o la gente di Queroplaca sen un rumore come di un forte boato, duró pochissimo, erano le 17:00. Lui, don Juan, stava pascolando le pecore e non capiva cosa stava succedendo. Ci volle un pó a metabolizzare che si tra ava di un aereo. I giornali del tempo scrissero pagine sulla 197


tragedia, ma le ricerche dei dispersi si focalizzarono sul versante est della Montagna e nessuno venne ad esplorarne il lato ovest, cosí tu o rimase nell'oblio. Gli chiesi dove era caduto precisamente l'aereo e se ci fossero dei pezzi di quello che restava della carcassa. Mi rispose che negli anni lui e altre persone di Queropalca avevano trovato dei frammen e li avevano lascia lassú, vicino a un recinto degli animali: si tra ava di alcuni pezzi di un'ala. Immagina che siano quelle del Douglas DC47. Mi faccio indicare dove possono essere, me amo in conto con i ragazzi un sopralluogo e un eventuale recupero se necessario. Cosí, una squadra riparte alla ricerca per chiudere per sempre la storia di questo velivolo scomparso piú di cinquant'anni fa sulle Ande del Perú. Ma non é finita, sempre qui a Queropalca scopro in una delle mie visite al villaggio, che in una casa appena fuori sul sen ero che costeggia il Rio Carhuacocha e che porta alla laguna medesima, vive un signore di nome Domingo; lui mi racconta che ha conosciuto Reinhold Messner nel 1969 quando é venuto per scalare la parete est dello Yerupajá. Domingo gli ha fa o da portatore. Ci sono circa una ven na di vie sullo Yerupajá, la maggior parte di queste vie non sono piú pra cabili a causa dei cambiamen climá ci. Le vie sono tu e estremanente difficili. Reinhold Messner e Peter Habeler assoldarono degli arrieros e portatori tra cui Domingo; i due scalatori seguirono la via normale per il primo tra o e poi aprirono una variante lungo la parete sud-ovest fino a raggiungere la cima. Mi dice che al tempo Messner non era conosciuto; arrivó al villaggio e chiese se qualcuno era disposto a fargli da portatore. Lui si offrí e insieme andarono verso la laguna di Carhuacocha. Domingo gli portó i materiali fino al campo avanzato. E' magnifico, cerco di raccogliere e ascoltare il racconto di Domingo, rimango quasi stregato dalla sua narrazione: gli piace raccontare e raccontarsi. Mi dice che ancora conserva una le era di Messner che lo ringrazia per il servizio prestato come portatore. Domingo nel suo giardino, ha anche una stazione meteo che é stata piazzata anni fa da una universitá austriaca e serve per monitorare i cambiamen clima ci proprio so o la Cordillera Huayhuash. Mi racconta che Messner era di poche parole, e che dormí con lui vari giorni sia durante la salita che la discesa. Solo anni piú tardi seppe che Messner era riuscito nell'impresa di scalare l'Everest senza l'uso dell'ossigeno e ricordava con orgoglio che lui lo aveva aiutato nella salita allo Yerupajá. Mi rendo conto sempre di piú di come per conoscere certe storie , bisogna prima raggiungere luoghi lontani e dimen ca .

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Raccogliendo informazioni sul Douglas Dc47 Trasporto del rotore del DOUGLAS Dc47

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Traversando le Cordilleras con i ragazzi del Perù di Franco Michieli

Nel 2002, tramite l'amico Valerio Bertoglio, venne a trovarci Franco Michieli; una persona sempre disponibile, ben presto siamo diventa amici. Franco si é prodigato molto per studiare nuovi i nerari; a lui si deve lo studio dell'alta Via Don Bosco che unisce i tre Rifugi Andini e che é stata per anni il fiore all'occhiello delle Guide Don Bosco. Uomo sensibile, buono e robusto, si é sempre affiancato ai nostri ragazzi col solo desiderio di aiutare e accompagnare, rispe ando la linea educa va delle nostre scuole Don Bosco. Classe 1962, geografo e giornalista per riviste di montagna, originale esploratore, è stato tra gli Italiani più esper nel campo delle grandi traversate a piedi di catene montuose e terre selvagge. Questa sua esperienza l'ha messa subito al servizio della Escuela de Guias affiancandoci nella formazione dei ragazzi Peruviani. Dal diario di Franco Michieli: La nascita dell'Escuela de alta Montaña “Don Bosco en los Andes” di Marcarà, ai piedi della Cordillera Blanca, a orno all'anno 2000, fu un momento di svolta per mol giovanissimi campesinos, ma anche per me, che grazie a quell'is tuzione trovai nuovi s moli e significa per le traversate di catene montuose, a cui da tempo mi dedicavo. Fin da quando compii la traversata alpinis ca “da mare a mare” delle Alpi all'età di 19 anni, durata 81 giorni, rimasi conquistato dalla dimensione dei lunghi percorsi in quota o su terreni selva ci, che perme ono di vivere una condizione di permanenza nomade sulle montagne; un'avventura capace di creare una relazione profonda e stabile con l'ambiente e i suoi even , grazie all'assenza di interruzioni del cammino. Mi ero dedica200


19 to in par colare a lunghi percorsi esplora vi nelle terre che emergono dal Nordatlan co: la Norvegia, l'Islanda, la Groenlandia, la Scozia e alcuni arcipelaghi; ma nel 2002, grazie all'Operazione Mato Grosso e alla sua scuola in Perù, mi si aprì un orizzonte completamente nuovo. Da qualche anno gli amici volontari dell'OMG in Valle Camonica, dove abito, mi invitavano a raggiungere le missioni in Perù per coinvolgermi nelle a vità dell'andinismo assieme ai ragazzi peruviani. A farmi decidere per la partenza fu una formula molto efficace ideata per la formazione degli allievi guide alpine, che si affiancava alle lezioni e ai corsi ufficiali: esper alpinis italiani erano invita a soggiornare presso la scuola per condividere ascensioni o esplorazioni con i ragazzi, che in questo modo potevano me ersi alla prova come “guide”, assorbendo al tempo stesso conoscenze, visioni e consigli dai veterani stranieri, e donare a loro volta la propria speciale sensibilità montanara. All'inizio di luglio arrivai a Marcarà con due amici, ospite di Giancarlo e Marina Sardini, responsabili della Escuela, con cui presto formai un sodalizio des nato a dar vita a molte indimen cabili avventure. Avevo scarse informazioni sulla Cordillera Blanca e dovevo imparare tu o su geografia e umanità locali. Era però nelle mie corde valorizzare proprio l'ignoranza consapevole, grande s molo a guardare con occhi a en e a creare percorsi che nascono dalla relazione viva con il contesto anziché da approcci fissa su vecchie abitudini. Ciò che mi portavo dentro, e che fin dalle prime visioni dei nevados della Cordillera Blanca sembrò accordarsi a meraviglia con quella realtà, è che scoprire percorsi longitudinali di catene montuose di quell'imponenza regala esperienze di eccezionale bellezza. Per me era un'idea che veniva da lontano: nel 1989 avevo già ipo zzato un primo viaggio per a raversare con un amico italiano la Cordillera, ma la diffusione del colera e del terrorismo in quegli anni ci aveva fa o desistere. Per fortuna, perché un proge o del genere, intrapreso senza coinvolgersi con i giovani del posto, sarebbe stato assai meno significa vo. Nel 2002 tu o era cambiato: una tren na di ragazzi locali aveva iniziato il percorso di formazione all'alta montagna; inoltre c'erano già tre rifugi andini costrui dall'OMG in alte valli centrali della Cordillera, des na a sostenere la popolazione locale, che avrebbero potuto essere collega da un nuovo i nerario di trekking. Ciò che palesemente mancava nella frequentazione di allora erano proprio i collegamen pedonali longitudinali. La stru ura “a pe ne” della catena, lunga e stre a con decine di vallate che scendono sui versan oppos e perpendicolari al crinale principale, faceva sì che quasi tu i sen eri tradizionali si limitassero a traversare il sistema montuoso tra est e ovest lungo i solchi vallivi e singoli valichi. Scenari inimmaginabili e passaggi inedi aspe ava201


no solo di essere riscoper secondo una nuova concezione, volta non più a unire diverse località per il percorso più comodo, ma a farsi guidare dalla meraviglia di traccia igno concatenabili per mol giorni di seguito. I primi sopralluoghi di acclimatamento assieme a tre allievi – Carlos, Edgar e Anselmo – ci fecero capire che la traversata integrale della Cordillera Blanca avrebbe potuto essere un obie vo successivo, dopo aver raggiunto una maggiore conoscenza dei segre della catena; individuammo il primo passo da compiere nell'ideazione di un'Alta Via in grado di collegare tra loro i tre rifugi e i versan dei “seimila” ghiaccia più eleva e spe acolari. Cercare un buon percorso con questa finalità avrebbe offerto un'o ma occasione forma va e una nuova prospe va di lavoro alle future guide. In quella prima avventura peruviana, come in quasi tu e le successive, disponevamo di una base cartografica in scala 1:100.000; sufficiente a comprendere le conformazioni complessive dei mon , ma non a prevedere la presenza di passi facili o difficili su versan immensi e ripidi. Scoprire possibilità di passaggio al di fuori dei sen eri ufficiali significava impegnarsi in lunghe giornate di esplorazione de agliata di ogni genere di terreno della Cordillera. È così che le mie esperienze preceden nelle terre nordiche, cercando vie selvagge in assenza di mappe e di strumen per l'orientamento, si rivelarono più che mai a uali sulle Ande, e mi fecero sen re rapidamente “a casa” tra quei mon nuovi. Condividemmo giornate di grande intensità per individuare una via tra il rifugio più meridionale, l'Ishinca, ai piedi del Nevado Tocllaraju, e le valli a nord del Rifugio Perù, fin so o al celebre Nevado Alpamayo. In più tra esplorammo sia percorsi a quota media, fra i 3.500 e i 4.000 metri, sia varian più alte e selvagge che sfioravano i 5.000. In certe tappe dovevamo farci largo nell'intrico della vegetazione, piega so o lo zaino da una ven na di chili nel tenta vo di abbassarci al livello degli angus passaggi aper dal bes ame brado, sperando di trovare varchi ada a diventare sen eri; o meglio a ritornare tali, dato che ovunque scoprivamo ruderi di costruzioni an che, tracce di mula ere senza tempo e radure pascolate da migliaia di anni, come dimostravano pi ure rupestri preistoriche di lama, di piccoli uomini e di altre strane figure che incontravamo nascoste su massi erra ci chiusi nel folto. L'alta quota era abitata e percorsa da millenni: si tra ava di far rinascere per scopi nuovi quei passi perdu . So o il sole che abbagliava da nord, spesso riappariva la mole possente e bianca del Huascarán, formidabile segnavia. In altre tappe ci inerpicavamo per versan senza segni di presenze umane incontrando lagunas di acque dai colori sorprenden e vas tà di rocce levigate dai ghiacciai in ri ro, fino a me ere alla prova la transitabilità di intagli che spiccavano sul filo delle creste tra 202


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blocchi rocciosi e pinnacoli, dove la via stava al confine tra escursionismo d'alta montagna e alpinismo. Sperimentammo anche la possibilità di unire al percorso deviazioni sulle cime di alcuni nevados spe acolari, come il Copa, di 6188 metri, o il Pisco, di 5752. Per me la scoperta più preziosa fu il rapporto instaurato con i ragazzi peruviani: da allora furono tra i miei migliori compagni di esplorazioni e di alpinismo mai conosciu . Veri figli della montagna, forma durante l'infanzia trascorsa in pascoli solitari secondo un'indole che unisce coraggio e prudenza, perfe amente a loro agio nella vita all'aperto, instancabili e curiosi di scoprire le meraviglie dei loro mon , erano sempre pron ad aiutare nelle incertezze del cammino e a mantenere il buonumore. Grazie alle loro potenzialità cominciai a pensare che sulle Ande ci fossero davvero prospe ve straordinarie per lo sviluppo di a vità d'avventura. Il percorso così individuato dopo quasi un mese di ricerche fu ba ezzato Alta Via Don Bosco e fin dai mesi successivi iniziò a essere ripercorso da piccoli gruppi di andinis assieme agli allievi guide, alternando no in accampamen a no nei tre rifugi. Padre Ugo De Censi ne fu entusiasta e ci incoraggiò a con nuare su quella strada. Fu così che nel 2003 tornai per realizzare assieme ai ragazzi la traversata integrale della Cordillera Blanca, 180 chilometri in linea d'aria dove si elevano circa trenta “seimila” e cento “cinquemila” uni da creste ornate di formazioni glaciali a funghi e meringhe e circonda da innumerevoli valli per lo più selvagge. Per i giovani allievi avrebbe significato ampliare enormemente la conoscenza delle loro montagne e compiere un intenso esercizio di ricerca della via su terreno sconosciuto. Par mmo in sei con zaini pesan dal capo meridionale della catena, ai 4200 metri del Paso Mojon. Altura dopo altura c'inoltrammo verso le cime di ghiaccio emergen dalle creste pietrose, in direzione nord. Trovavamo valichi senza sen ero di vallone in vallone; quando il sole calava rapidissimo nelle sere tropicali ci affre avamo alla ricerca di un rivo d'acqua in al circhi silenziosi, tagliavamo a colpi di piccozza grossi ciuffi di erba ichu e ne facevamo pagliericci per posarvi sopra le tende; cucinavamo la zuppa nella no e nera tagliata in due dal fiume bianco della Via La ea; nella brina dell'alba ci rime evamo in spalla il carico e salivamo ai passi di oltre i 5000 metri, affacciandoci su festoni di ghiacciai, a volte ascendendo cime ghiacciate. All'incrocio con un paio di strade ci incontrammo con Giancarlo per il rinnovo dei viveri. Edgar e Carlos, che compirono la traversata per intero, mantennero questo ritmo per 23 giorni di seguito. Altri dieci allievi parteciparono compiendo tra più o meno lunghi. In quel caso l'unico occidentale presente, cioè io, non fu protagonista: piccoli problemi fisici mi costrinsero a interrompere la traversata un paio di volte, riunendomi poi agli altri. Scoprii che in quel caso mi dava maggiore soddisfazione vedere la crescita dei giovani peruviani piu osto che il mio 203


successo. La traversata si fece sempre più intensa ed elevata avvicinandoci ai gruppi dei “seimila” più imponen . Scalammo il Tocllaraju, esplorammo un nuovo percorso sul filo dei 5000 metri sul versante sud del Huascarán, poi superammo qua ro valichi glaciali consecu vi aper a quote a orno ai 5400 metri, tra nevados come il Chopicalqui, i Huandoy, l'Artesonraju e l'Alpamayo, avvol a più riprese nel maltempo. Il modo in cui gli allievi seppero destreggiarsi in queste situazioni fu straordinario; mi sen i del tu o tranquillo a muovermi in loro compagnia e compresi che sarebbero diventa davvero o me guide. Nel corso dei primi due viaggi avevamo scoperto che il monte più grandioso del Perù, il Huascarán culminante a 6768 metri, presenta una serie di circhi separa da crinali che lo circondano a orno ai 5000 metri, ada a essere percorsi lungo un i nerario selvaggio ad anello di eccezionale spe acolarità. Fu così che nel 2004 completammo la conoscenza del periplo della grande montagna, compiendolo integralmente con la partecipazione di cinque o sei allievi; nel fra empo, qualcuno di loro era già diventato guida alpina internazionale UIAGM. Il tragi o è un concentrato di sorprese grazie ai varchi imprevedibili che di crinale in crinale perme ono ogni volta di accedere al circo glaciale successivo. I ragazzi mostravano una capacità straordinaria di individuare ques transi cela tra rocce e solitari alberi di quenual, quasi conservassero la curiosità e la destrezza dei bambini che crescono in mezzo alla natura. L'anello, che comprende tra glaciali e che può essere abbinato alle ascensioni del Huascarán e del Chopicalqui, potrebbe assumere rilevanza in futuro, se saranno apprezza maggiormente i terreni di alpinismo facile, ma avventurosamente selvaggi. Tra le molte esperienze di scoperta successive condivise con gli amici peruviani, nel fra empo divenu in buona parte guide e riuni nell'Associazione “Guide Don Bosco 6000”, spiccano tre traversate esplora ve di notevole impegno, originalità ambientale e valore forma vo. Nel 2007, unendomi all'inizia va della fotografa italiana Teresa Cosseddu che aveva intuito il potenziale nascosto della Cordillera Negra, che fronteggia la Blanca sul versante del Pacifico, partecipai a organizzare un percorso di ricerca di una nuova alta via nel tra o più alpino ed elevato di quella catena. Con noi c'erano le guide Carlos e Robert, e tre nuovi allievi. Carichi di viveri per dieci giorni ci inoltrammo lungo un concatenamento di cerros culminan oltre i 5000 metri, scolpi in rocce mul colori e circonda da miriadi di laghe , invisibili da lontano, che consentono a ogni tappa approvvigionamen d'acqua. Questa Cordillera infa , prossima alla fascia deser ca cos era, è priva di ghiacciai e di torren in quota, e contrasta notevolmente con i nevados biancheggian204


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che corrono nel panorama a oriente. Quei dieci giorni furono un concentrato di avventura memorabile, durante i quali scoprimmo tracce di presenza umana an ca e misteriosa perfino su difficili picchi rocciosi e scalammo, tra tu , ben 24 cime tra i 4700 e i 5187 metri. Nel 2008, assieme alla guida Edgar e ad altri qua ro allievi, vissi forse la mia traversata andina meglio riuscita: il concatenamento in 17 giorni delle Cordilleras Huallanca, Huayhuash e Raura, superando mol ghiacciai, valichi sconosciu e cime glaciali di bellezza indicibile. L'incredibile splendore geologico di quelle montagne ci rese coscien di quanto poco sia diffusa la consapevolezza del valore ambientale delle Ande; dove purtroppo numerose enormi miniere con nuano a espandersi erodendo scenari naturali irripe bili. Nel 2010 le guide Edgar e Oscar più l'allievo Edwin si unirono a me e a un gruppe o di amici della Valle Camonica per tenere un corso di andinismo in favore di ragazzi e ragazze boliviani, in collaborazione con l'amico missionario e alpinista padre Antonio Zavatarelli. Durante la permanenza in Bolivia organizzammo anche una traversata integrale della favolosa Cordillera Real, lunga 130 chilometri e costellata di nevados di 6000 e 5000 metri. Anche in questo caso io dove fermarmi per alcuni giorni a causa di uno s ramento al polpaccio, ma poi mi riunii ai giovani andini e vissi con loro due terzi della meravigliosa esplorazione, che si svolse quasi sempre sopra i 4500 metri, scalando diversi “seimila”. Anche questo percorso durò ben 23 giorni, come la traversata della Cordillera Blanca. Durante ulteriori viaggi in cui consolidai l'amicizia con le guide Don Bosco 6000 mi dedicai per lo più a perfezionare i percorsi già idea per renderli sempre più interessan in vista di una frequentazione rispe osa ed equilibrata della montagna peruviana. Seguii anche la costruzione da parte dei volontari OMG del nuovo Rifugio Contrahierba, il primo sul versante orientale della Cordillera Blanca, dedicato prevalentemente a divenire base forma va per migliaia di ragazzi e ragazze che frequentano gli “oratori delle Ande”. Durante con nue esplorazioni di collegamen pedonali tra i rifugi sulle tracce di an chi passaggi abbiamo con nuato a imba erci in un numero inaspe ato di tes monianze archeologiche, che negli scorsi anni hanno a ra o buona parte della mia a enzione per la novità che potrebbero rappresentare. Un sito nascosto a 4700 metri dentro un vallone chiuso fra pare di granito e quasi inaccessibile, da noi scoperto, pare tes moniare l'an ca presenza di una comunità di monaci-sciamani; numerose abitazioni preistoriche rudimentali celate so o enormi massi ed altri reper fanno pensare che per mol secoli misteriosi personaggi abbiano vissuto in contemplazione di scenari carichi di for ssima ispirazione spirituale. Gli s moli a cercare oltre si mol plicano di viaggio in 205


viaggio. Se la mia formazione di geografo ed esploratore mi porta a so olineare la bellezza indescrivibile della natura andina, devo però aggiungere che l'esperienza umana in compagnia dei giovani peruviani durante tante avventure è forse il dono più prezioso del mio legame con le Ande. I tan ragazzi che ho conosciuto non sono certo privi di problemi, venendo da una condizione di povertà che genera in loro la tentazione frequente di abbandonare la relazione con la montagna per cercare impieghi sedentari secondo lo s le occidentale. Eppure ho visto gran parte di loro resistere, col vare l'a accamento ai valori permanen della loro terra, riuscendo poco a poco a trasformare l'esistenza. Anche per questo il desiderio di trovarmi di nuovo con loro in mezzo ai nevados è sempre vivo. Nel corso degli anni anche i missionari e i volontari italiani permanen sulle Ande mi hanno molto stupito e arricchito con il loro approccio rivoluzionario e avventuroso nell'aiuto alle popolazioni in difficoltà. Ho condiviso con giovani sacerdo giornate di alpinismo, ricerche di percorsi, lavori pesan di trasporto di materiali, e molto altro, ogni volta in un con nuo rinnovarsi di compagnie di ragazzi e ragazze locali, anima da volontà non comuni di me ersi in gioco. Uno degli aspe che più apprezzo di ques a eggiamen è la capacità di superare le paure ormai piche delle società contemporanee; tra i volontari del Perù ho incontrato la dote di saper recuperare una scala di valori perduta, che perme e di acce are i rischi inevitabili che fare il bene comporta, mentre il mondo resta bloccato dall'illusione autodistru va della “sicurezza”. Alzare la testa, guardare avan contro ogni possibile obiezione che viene dai calcoli astra dei benefici per dare fiducia alla generosità, o in altre parole saper affrontare un percorso verso gli altri anche se la mappa è bianca e la visibilità scarsa. Ecco cosa ho trovato, tra gli amici dell'OMG e i giovani andini, di estremamente prezioso per le relazioni umane; qualcosa che prima mi pareva esistere solo nel rapporto con la Natura.

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Giancarlo con Valerio Bertoglio e Franco Michieli in un momento di pausa a Marcarรก

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Iniziando la perlustrazione della Cordillera Negra con i ragazzi. 209


Il passaggio del testimone Valerio Bertoglio – Guida Alpina

Ho conosciuto Valerio tramite un amico, Nicola Corigliano, che me lo ha presentato durante un mio "rientro" in Italia. Invitai Valerio a venire in Perù per affiancarmi nei corsi di formazione dei ragazzi peruviani. Non conoscevo Valerio, mi fidai dei consigli di Nicola. Da subito ho capito che potevo contare su di lui, è nata un'amicizia che ancora oggi con nua. Valerio Bertoglio è uno dei primi ad avere il coraggio di correre sui 4000 delle Alpi a cominciare dal Gran Paradiso, in 2h 32' 06" da Pont in ve a e ritorno, e nel 1990 da Cervinia al Cervino a Cervinia in 4h 16' 26". In 12 ore concatena qua ro pare Nord del Gruppo del Gran Paradiso: Gran Paradiso – Parete Nord 46'; Ciarforon – via Chiara 40'; Monciair – Parete Nord 31'; Den del Broglio – Parete Nord 1h 03'. Chiude nel 1994 correndo 20.460 metri di dislivello in 24 ore sul Rocciamelone in valle di Susa. Oltre 1390 uscite sci alpinis che, 550 salite su roccia, ghiaccio e misto tra cui più di o anta pare nord, 13 vie nuove, 2 prime invernali ed oltre 100 cascate ghiacciate per la maggior parte slegato. Nel 2001 è per tre mesi in Perù per la formazione delle guide andine, ed inizia la sua a vità di volontariato che si protrae nel tempo. Dal diario di Valerio Bertoglio: Ho insegnato loro a correre sulle montagne e qualcuno ha imparato davvero bene. Sono na a 3000 metri e in quota, quando si impegnano, vanno forte. Sono le giovani guide dell'Escuela Don Bosco en los Andes di Marcarà voluta fortemente da Padre Ugo De Cen210


20 si fondatore dell'Operazione Mato Grosso. I primi ragazzi hanno iniziato i corsi nel 2000: a ualmente 14 di loro sono Guide, ed altri sono in formazione. Era il 17 luglio 2003 quando Felipe Paulino, ragazzo taciturno, ma con le idee chiare, inizia concatenando tre salite sulle montagne nella valle dell'Ishinca: Tocllarraju (6032 m), Ishinca (5530 m), Urus (5420 m) in 8 ore e 24 minu . Poi Jaime Ramires stupisce tu sull'Aconcagua. Il suo coraggio l'ha premiato: è salito e sceso da Horcones alla Cima dell'Aconcagua in 14 ore e 59 minu ; sono 80 km e 8000 metri di dislivello. Lo accompagna da Plaza de mulas Cesar Rosales e ci prende gusto. Nel 2008 una piccola spedizione parte da Marcarà con l'intenzione di provare a salire il Chimborazo, la montagna più alta dell'Ecuador, nel minor tempo possibile. In 2 ore e 38 minu Cesar sale e scende dal rifugio Carrel alla ve a. Nel 2009 con nua l'esplorazione spor va in Bolivia. Il 3 o obre la squadra dell'Escuela Don Bosco stabilisce con Cesar un nuovo record di velocità sulla montagna più frequentata della Cordillera Real, il Huayna Potosì 6088 metri. Cesar Rosales 26 anni, guida UIAGM è cresciuto nell'Escuela di Marcarà. Con Miguel Mar nez, Enrico Rosso e Fabrizio Manoni. Nel 2003 apre una via nuova sulla cresta nord est del Nevado Copa 6188 metri, la montagna di casa che sovrasta la missione di Marcarà. È la prima volta che è protagonista di un'impresa. In BOLIVIA per compiere l'ascensione del Huayna Potosì gli andinis impiegano due giorni. La corsa è stata omologata dalla Federazione Boliviana di Sci e Andinismo e dal Club Andino Boliviano. Questa nuova avventura è iniziata in Perú il 22 se embre dalla ci à di Lima. Un gruppo composto da Valerio Bertoglio, Giancarlo Sardini, Padre Antonio Zavatarelli, Cesar Rosales, Fredy Cruz, Moises Del Rio, Edoardo Laguna e Daniele Rosa che ha viaggiato in bus fino a La Paz in Bolivia dove sono sta accol dai volontari OMG che operano nelle missioni boliviane. Dopo una prima ricognizione alla ve a si è organizzata la corsa, dividendo il gruppo lungo il percorso. Il 3 o obre, tempo splendido, Cesar Rosales è par to dal Rifugio Huayna Potosì 4750 m, dove termina la strada carrozzabile, alle 5 del ma no. É arrivato al bivacco 5290m alle 5.33, in ve a alle 6.42. Ridisceso al Rifugio ha fermato il cronometro con un tempo complessivo di 2 ore 21 minu e 44 secondi. Il record precedente, di circa o o ore, era nientemeno che di Walter Bona ma sono passa quasi quarant'anni: adesso al pitstop in meno di due minu si cambiano le scarpe e si me ono i ramponi. Sto passando il tes mone; sono cosciente che per alcuni anni, sulle Alpi, l'intuizione di coniugare atle ca e alpinismo ha dato impulso a un modo nuovo di intendere la montagna. La velocità come superamento dei propri limi , come dimensione del salire. Non 211


che fosse del tu o nuova, mol grandi alpinis hanno portato a termine salite di tu o rispe o in velocità. Ma c'è un tempo per tu o: un tempo per correre e un tempo per insegnare a correre. In Perú, in Argen na, in Bolivia è accaduto questo: con soddisfazione ho colto l'interesse di ques ragazzi for e il loro desiderio di cimentarsi con la dimensione atle ca dell'alpinismo. Dota di talento, abitua a fa care per vivere hanno presto imparato la necessaria con nuità degli allenamen . Le prestazioni atle che del gruppo di Marcarà sulle montagne del Sud America è anche un'espansione del loro ambito di lavoro come guide di alta montagna, atle ma anche e sopra u o giovani uomini che si affacciano ad una vita migliore di quella dei loro padri. Di strada ques ragazzi ne hanno fa a tanta: strada vera come tu a la gente andina che cammina, senza more delle distanze, per andare al mercato, al lavoro, a scuola… e strada di vita da quando nella missione di Marcarà, con l'Escuela, hanno avuto la grande e decisiva opportunità di frequentare i corsi per diventare Guide di alta montagna. C'è stato un grande impegno da parte di tu : di Giancarlo e Marina, responsabili dell'Escuela, che li hanno accompagna e guida nel percorso e nelle scelte, da parte dei volontari che li hanno introdo nella teoria e nella pra ca delle discipline di montagna e da parte loro che si sono fida , impegna e creduto in loro stessi. A ualmente sono autonomi: il Centro Renato Casaro o è una realtà, non abitano più nella missione: hanno un lavoro, una casa e qualcuno si è sposato. A ualmente il Centro è punto di riferimento per l'organizzazione di spedizioni e trekking ges to dai giovani peruviani che a raverso le professioni della montagna hanno risca ato loro stessi e mol altri dalla povertà e dalla mancanza di prospe ve in una terra bella e difficile.

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21 Una via per Celso Salvetti sul nevado Copa Perú

Inizi anno 2003: mi scrive Valerio Bertoglio, chiedendomi fotografie e informazioni sulla parete nord del Chacraraju, sul versante della quebrada Ranincuray. Aspe o Valerio in maggio. Subito decidiamo di par re per ispezionare la zona con Jaime Ramirez e Lucio Foliman. Per arrivarci dovremo valicare il passo PortaCielo de Llanganuco a 4900metri e scendere fino al villaggio di Yanama; da lí facendo tappa par amo alla volta di Chaluà (altra missione OMG dove alcune ragazze, che hanno terminato la scuola bo ega di ar tessili, sono state riunite in una coopera va che si sos ene producendo maglioni e tappe vendu in alcune mostre in Italia ed in Perù). Da Chaluá par amo a piedi verso Huaripampa deviando alla sinistra orografica, addentrandoci nella quebarda Ranincuray. Arriva , dopo due ore di cammino, in completo s le alpino (zaino e ve ovaglie tu e trasportate a spalle), installiamo il campo base ai piedi del Chacraraju, sulle sponde del laghe o Tintacocha. Da qui abbiamo intenzione di fare dei sopralluoghi sia sul versante di destra della montagna che su quello di sinistra, in modo da spingerci il piú vicino possibile alla parete nord del Chacraraju, aprire una via nuova lungo questa parete che dalla documentazione in nostro possesso sembra inviolata. Studiamo la via scrutandola per ore con il binocolo e de agliandola con fotografie, cercando di capire i passaggi ed eventuali pericoli ogge vi che potrebbero presentarsi. Cerchiamo di carpire ogni caduta di massi, ogni tanto sen amo qualche pezzo di montagna staccarsi; a volte vediamo i massi cadere, altre volte sen amo solo il rumore provocato dalla loro caduta. La parete é senza neve, solo in alcuni tra vediamo dei balconi di ghiaccio; ne con amo 213


due ben visibili, ci pare molto pericolosa, ma non impossibile. Forse per i nostri ragazzi é troppo come prima esperienza sulle grandi pare andine. I giorni passano e tra me e Valerio, cresce la preoccupazione per questa impresa che ha dell'impossibile. Raccol ques da , li comunichiamo a Enrico Rosso e Fabrizio Manoni che arriveranno a giugno con l'intenzione di aprire questa via in compagnia degli alunni della escuela Cesar Rosales e Miguel Mar nez. Arrivano a giugno; subito un incontro a Marcarà con Enrico, Fabrizio, Valerio e i ragazzi della escuela, ma Enrico Rosso ci mostra un ar colo scri o da due alpinis polacchi che giusto nel 2002 hanno aperto la via sulla parete Nord del Chacraraju; la descrizione ripercorre la via che avevamo ipo zzato con Valerio; non ci sono parole da aggiungere, non ci resta che individuare velocemente una via alterna va su una cumbre diversa dal Chacraraju. Iniziamo a ipo zzare di percorrere la cresta nord del Chacraraju, ma non abbiamo tempo per ispezionare la zona, né altri da alla mano. Le poche fotografie in nostro possesso indicano una parte terminale molto esposta e senza con nuità. Con Valerio mi ero soffermato molto ad osservare la parete nord anche se eravamo arriva sulla sella della cresta del Chacararaju. L'obie vo iniziale, il Chacraraju Est (6001 m), alla fine, rate le somme, si rivela impossibile, sia per le condizioni che avevamo valutato di instabilità della montagna, che per la via già aperta dai Polacchi l'anno prima. Ripercorriamo con la memoria tu a la Cordillera Blanca, cercando di individuare un 6000 che possa avere le cara eris che che s amo cercando, una via estrema inviolata. Guardiamo i nevados Huandoy ma anche per ques abbiamo solo pochi da alla mano e la logis ca per raggiungerli sarebbe più complessa rispe o ai tempi che avevamo ipo zzato per il Chacraraju. I pensieri corrono veloci, fino a soffermasi sul Copa. Fermare lo sguardo su questa montagna ci viene naturale: l'anno prima Tarcisio Bellò in compagnia del nostro alunno Jaime Ramirez aveva aperto una via estrema lungo la parete sud a canne d'organo. Una salita che ci aveva preoccupato parecchio; gli avevo affidato Jaime come portatore, era alle prime armi e avevo raccomandato a Tarcisio di non portarlo con sé su quella via ver cale. Peró, a nostra insaputa proprio ai piedi della via, il compagno di cordata di Tarcisio, non sta bene e rinuncia. Cosí Jaime, che doveva solo fare da portatore, si trasforma in scalatore estremo, e si lega in cordata con Tarcisio. Dalla escuela potevamo osservare con i binocoli l'intera ascensione, ma non capivamo chi era il secondo di cordata. Tarcisio, nel vedermi, subito mi avvisò che Jaime aveva fa o da secondo su quella via, ascoltai un po' sorpreso i complimen che Tarcisio mi faceva su Jaime: cosí i ragazzi cominciavano a conoscere il nevado Copa. 214


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Non era difficile per noi o enere queste informazioni, dato che il nevado Copa si presentava ogni giorno davan ai nostri occhi proprio nell'aprire le finestre della Escuela de Guias. Uno dei ghiacciai eterni che compongono quella cornice bellissima della Cordillera Blanca, si erge quasi al centro della Cordillera tra i nevados Hualcan a sinistra e i nevados Urus e Tocclaraju a destra. Era la montagna che osservavo tu i giorni da quando ero arrivato a Marcarà: mi piacevano i suoi cambi di colore tra l'alba e l'imbrunire. Marcarà è proprio ai piedi del Copa; si potrebbe affermare con "un pizzico d'orgoglio" che il Nevado Copa appar ene al Distre o Vicos - Marcarà. Da Huaraz si potevano intravedere meglio alcune creste che potevano essere inviolate. Per queste informazioni la casa de Guias è la nostra biblioteca andina più a endibile per cui decidiamo di chiedere informazioni al riguardo delle creste del nevado Copa. La risposta è ciò di cui avevamo bisogno; dai nostri archivi, la cresta sud non è mai stata raggiunta. Giugno 2003: si parte per Lejiacocha (campo base al nevado Copa) raggiungendo prima il villaggio di Vicos, e raccolgliendo informazioni per effe uare questa spedizione su una grandiosa e difficile via alpinis ca su una cresta inviolata lunga circa due chilometri, in condizioni estreme, con due bivacchi appena so o i 6000 metri La difficoltà non era la via normale, ma la via nuova di circa due chilometri partendo da 4350m ed arrivando a quota 6188m lungo una via di salita definita estrema e mai percorsa da nessun alpinista, senza conoscere gli imprevis e le difficoltà. Enrico, Fabrizio, Cesar e Miguel (entrambi ventenni) avevano previsto tre giorni di scalata con due bivacchi. Poi il programma si rivelerà più lungo; ci vorranno qua ro giorni di scalata e tre bivacchi, durissimi e precari, su un i nerario mai percorso lungo l'inviolata e infinita cresta di ghiaccio e roccia. L'idea iniziale era che Valerio Bertoglio avrebbe percorso la via normale di salita con un altro gruppo di aspiran guide della Escuela Don Bosco. La cresta si è subito presentata molto tecnica impegnando a fondo, anche psicologicamente, pinnacoli di roccia, talvolta monoli ci, che si alternavano a meringhe e pare di ghiaccio, spesso ver cali e sempre inconsisten . Dopo due giorni di scalata il gruppo ha raggiunto la seconda parte della cresta che non concedeva tregua e poneva problemi sempre maggiori sul profilo della sicurezza. Il gruppo è stato costre o ad un terzo bivacco. Nel contempo terminava il gas per produrre i liquidi ed iniziava il problema della sete. Noi li aspe avamo a Lejiacocha, ma il terzo giorno, le no zie non arrivano e le comunicazioni radio si interrompono; la sera ten amo piú volte di comunicare con il gruppo, ma nulla da 215


fare...iniziamo a preoccuparci. Pensiamo che abbiano dovuto fare un bivacco in piú, o che siano scesi nella laguna del Bayoraju, proprio so o la cresta. Immaginiamo di tu o, i pensieri si intrecciano tra loro; dobbiamo fare qualche cosa, ma cosa possiamo fare a queste quote e a tarda ora? Non conviene avver re nessuno, dobbiamo sperare che i ragazzi s ano bene e che domani ci possano chiamare e avvisarci per recuperarli. Puó darsi che l'ul ma meringa di neve e ghiaccio sia talmente pericolosa da superare che Enrico e Fabrizio abbiano deciso di scendere da un altro versante della montagna o bivaccare ai piedi della laguna Bayoraju...ma sono tu e supposizioni; non dormiamo sogni tranquilli. Il quarto giorno alle prime ore dell'alba, accendo la radio, ma niente, nessun segnale. Comincio a preoccuparmi: che cosa sará successo? Poi verso le 8 un segnale radio: sono loro. “S amo bene, abbiamo le ba erie scariche, tra poco usciamo dalla cresta, siamo molto stanchi”. Infa il quarto giorno hanno dovuto spingersi al limite per terminare la scalata con l'uscita dalla cresta per guadagnare la discesa: scendere dalla via di salita era pra camente impossibile. Le condizioni della parte finale della scalata erano al limite della pra cabilità. Al calare della sera lunedì 16 giugno, il gruppo riuscí a superare l'ul mo muro ver cale di ghiaccio e guadagnare l'uscita sul ghiacciaio del Copa. L'ascensione integrale della cresta sud del Nevado Copa è stata valutata ED superiore ed ha rappresentato il grande livello tecnico e psicologico raggiunto dalle guide peruviane formate nella Escuela de Guias “Don Bosco en los Andes”. Questo grandioso massiccio glaciale che domina gran parte della Valle del Rio Santa ed in par colare il villaggio di Marcarà, è stato tes mone di una impresa memorabile. La via é stata dedicata al fondatore del CAI-LIMA, Celso Salve , in segno di ringraziamento per il suo grande e disinteressato impegno a favore dell'alpinismo italiano in Perù negli anni 70/80. Infa trent'anni fa, il CAI Lima proponeva un'alleanza tra alpinis e uomini delle Ande; questa filosofia di vita in montagna oggi si respira grazie alle nostre guide Don Bosco ed alla loro grande professionalità La Sezione del CAI-Lima, “Eugenio Margaroli”, é legata al nome di Celso Salve che la fondó nel 1973. Uomo innamorato della montagna e della natura, è stato un grande amico di tu gli alpinis . Celso Salve era famoso per la sua singolare generosità, da tu s mato come leale e prezioso ambasciatore di tu gli alpinis italiani sulle Ande Peruviane. In occasione del terremoto che nel 1970 sconvolse la zona di Huaraz, fu lui il primo ad arrivare con uomini e aiu . Ma non è tu o: per le suore della Carità di San Vicente di Paul, finanziò una scuola. Celso Salve é stato il fondatore della Sezione Par colare del CAI a Lima, e ne fu il presidente dalla sua fondazione sino al giorno della sua scomparsa avvenuta a Domodos216


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sola il 27 aprile 2011. Il CAI-Lima è stato un contenitore par colare e prezioso; era la memoria storica di molte spedizioni di alpinis italiani in terra peruviana, un patrimonio di alpinismo storico ed epico di immenso valore. Dopo la morte di Salve , il comitato centrale di indirizzo e di controllo del CAI, nel novembre del 2015, applicando statuto e regolamento, ha deliberato lo scioglimento della Sezione CAI di Lima, con il rammarico degli amici, soci e sostenitori di questa prima e unica sezione all'estero del Club Alpino Italiano. In compenso nel 2016 gli amici affeziona a Celso Salve e alle Ande hanno deciso di fondare il Club “Amici delle Ande – Celso Salve ” con sede a Domodossola. Nel 2004, con grande sorpresa vengo a sapere dalla rivista “Scarpone” che al gruppo Cresta Sur-Copa é stato conferito il riconoscimento “Premio Paolo Consiglio”come miglior spedizione alpinis ca extraeuropea, compiuta nel 2003 in completo s le alpino, senza sponsorizzazioni commerciali e portatori d'alta quota. I ragazzi quasi ignari del valore di questo premio pres gioso, avevano compiuto la prima salita integrale della cresta sud del Nevado Copa 6188 m nella Cordillera Blanca. Ricordo che sia Enrico che Fabrizio avevano elogiato le capacitá tecniche, il coraggio ed i meri di Cesar e Miguel che nella parte terminale della cresta, ormai spossa , avevano trovato la forza per assicurare gli ul mi ri di corda per uscire da quella che si era rivelata una Via impossibile.

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Il segreto delle torri Yarowilca

Decidiamo di spingerci fino al villaggio di Punchao (8 ore di jeep da Marcará) dove c'é un mio amico sacerdote, Don Giuliano Gargiulo. Quando era giovane aveva vissuto con la nostra famiglia in Italia; tu a l'avventura del seminario l'avevamo vissuta insieme fianco a fianco; aveva visto nascere le mie figliole Marta e Marianna ed é molto affezionato a noi, si potrebbe dire che Giuliano é uno di famiglia. Insieme abbiamo vissuto il suo travaglio interiore, nella grande scelta di diventare Sacerdote. Non fu facile quando dove e scegliere il seminario: diventare Diacono e poi Prete per sempre. Ricordo che nel suo periodo piú travagliato, lo portai in montagna. Per una se mana andando da un bivacco all'altro senza una meta prefissata, ma solo con il desiderio di allontanarci dal frastuono del mondo, cercando quel silenzio e pace interiori di cui Giuliano aveva estremamente bisogno. Lo trovammo sulle montagne del Tonale. Eravamo giovani, le somme dei nostri anni non arrivavano a 50. Ricordo che camminavamo spedi su e giú per i sen eri dell'alta val Camonica, cercando riparo ogni sera in bivacchi di fortuna. Furono momen intensi; trascorrevamo ore e ore camminando in silenzio. Poi nel 1999 Giuliano decise di venire in Perú a Punchao e farsi ordinare prete quassú, in questa terra arida, isolata e povera, dimen cata da tu . Cosí ogni volta che arrivo a Punchao, mi ritornano alla mente ques ricordi ni di e accarezza da un affe o sincero, accompagna da un'amicizia intensa e profonda, che sa superare i dife , le incompresioni ed i li gi che a volte affiorano nella vita quo diana. Ricordo sempre le lacrime sulle mani di Giuliano quando fu ordinato Sacerdote in mezzo a una folla di campesinos che con fiori, can e tamburi accoglievano il loro Padre di Punchao; qui la gente chiama i Sacerdo PADRE e in effe è vero; i campesinos affidano i loro figli, perché non riescono a sfarmarli e nella parrocchia trovano un'oasi sicura. 218


22 A Punchao troviamo sempre un riparo sicuro ed i rifornimen per la spedizione ai confini del mondo. Arriviamo con una jeep risistemata e un gruppo di aspiran guide tra cui Eder, Blas, Lucio, Ector. Ogni volta che decidevo di andare a Punchao ci voleva un giorno di viaggio da Marcará, lungo una strada ar colata e non priva di sorprese. C'era sempre un ponte da guadare, pietre nel cammino, qualche masso caduto in mezzo alla strada da spostare con le leve. Per arrivare a Punchao bisogna percorrere la strada che da Conococha porta alla ci adina de LA UINON, e poi proseguire fino a Pachas, Quivilla e salire trasversalmente fino al villaggio di Miraflores. Questa zona rurale soffre dello spopolamento. La maggior parte dei giovani del luogo sogna di andare in ci á a studiare o in cerca di fortuna; nel villaggio restano i vecchie , i bambini e le mamme. Per cercare di arginare questo fenomeno migratorio, Padre Giuliano (Operazione Mato Grosso) ha fondato una scuola d'arte e di restauro con annessa una coopera va dove gli alunni, terminata la scuola possano iniziare a lavorare e guadagnarsi il pane ogni giorno. Raggiungere il villaggio di Punchao non é sempre facile, sopra u o nel periodo delle piogge, quando le strade franano e i fiumi sgretolano gli argini facendo crollare i pon . Il ciclo della vita in questa zona del mondo é de ato da severi fenomeni clima ci; se fa freddo o piove non ci sará raccolto, se la natura sará generosa, allora ci saranno fru e patate in abbondanza. Sappiamo dove s amo andando, conosciamo bene ques luoghi, dove ogni tanto veniamo a trovare Padre Giuliano, e sappiamo che lí avremo una base di appoggio sicura per le nostre spedizioni esplora ve. Il giorno seguente ci por amo verso i villaggi di Singa e di Pampam, dove finisce l'unica strada sterrata di collegamento con il resto del mondo. Comincia una piccola mula era, che sale tortuosa. Il villaggio di Pampam é proprio triste. L'occhio va alla scuola piena di bambini ves alla bell'e meglio, senza scarpe, solo con gli yankee (sandali ricava dai copertoni usa delle automobili), in mano un quaderno sgualcito, le finestre senza vetri, un solo insegnante per tu e le classi, e una bandiera innalzata sull'asta posta al centro del cor le della scuola per so olineare l'orgoglio di essere peruani. Incontriamo un vecchie o, che ci indica il sen ero; saliamo e dopo poco mentre la nostra carovana cammina, incrociamo alcune vasche di tocosh (un po di patata tra ata); un odore ripugnante e disgustoso esce dalle vasche in cui stanno fermentando ques tuberi. Vicino l'odore si fa sempre piú forte e insopportabile. Non é facile tra enere il respiro a queste altezze, cerco di allontanarmi il prima possibile dalle vasche di Tocosh, e penso che poi queste patate vengono fa e bollire e mangiate. Saliamo con l'intenzione di raggiungere le torri degli Yarowilca, di cui ci avevano parlato i vecchi campesinos della zona. Arriviamo sulla cresta della montagna, intravediamo le torri: ci sembrano alte. Man mano che ci avviciniamo le vediamo sempre piú superbe: sono due torri, una vicino all'altra, interessan e molto intrigan . Siamo tra i pochi esploratori che arrivano fin quassú. Siamo carichi di entusiasmo e di tanta voglia di scoprire. Arriviamo ai piedi di queste torri che ci sembrano ancora piú imponen . Lasciamo gli zaini alla base della prima torre, tra 219


arbus , spine e intrecci di erbacce. Tagliamo con il macete le spine piú insidiose e poi entriamo nella prima torre. Scopriamo un sistema di pietre inserite nel muro, che fuoriescono a mó di scale. Impavidi saliamo e entriamo nel secondo pianero olo; anche qui altre due pietre una sopra l'altra inserite a mó di scala. Saliamo ancora e entriamo nel terzo pianero olo; altre pietre sempre con il sistema dell'incastro. Saliamo ancora e raggiungiamo il quarto pianero olo, poi il quinto; ne usciamo sulla torre principale, la piú alta. Raggiun i compagni di spedizione, ci accordiamo per montare un campo base e per fare un sopralluogo della zona. Domani inizieremo a documentare con fotografie, riprese con telecamera, misurazioni e disegni l'intera zona. Troviamo un posto per montare le tende, vicino ad un corso d'acqua, in una piccola conca, al riparo dal vento. Qui possiamo anche accendere un fuoco e cucinare; disponiamo un pó di pietre a mò di sedie e ne cerchiamo una piú grande da u lizzare come tavolo. Troviamo tu o; anche se a queste al tudini ogni sforzo costa piú energie e fa ca. Il giorno successivo iniziamo le esplorazioni; ci dividiamo in due gruppi, uno che sale alle torri Yarowilca e un altro dovrebbe spingersi fino sul promontorio piú a nord, dove il giorno prima, con un binocolo, avevamo notato un gruppo di costruzioni circolari, che da lontano sembravano dei recin per gli animali, ma non ne siamo cer . Cosí, alle prime ore dell'alba, iniziamo le esplorazioni; io sono nel gruppo delle torri e dobbiamo misurarle per cui Eder ed io entriamo nella prima torre e saliamo u lizzando il sistema di scale incastonate; usciamo sulla torre principale e caliamo il metro che avevamo portato da Punchao: 16metri! Acciden , ci guardiamo in faccia e ci chiediamo in che modo siano riusci a costruirle nel milleduecento, gli Yarowilca, una delle civiltà più an che di questa regione. Conseguirono un livello di sviluppo molto avanzato nel campo dell'archite ura. I loro edifici raggiungevano i sei piani di altezza, collega da scale a chiocciola interne, ed erano quindi assai diversi dalle costruzioni degli Incas, che secondo mol studiosi non furono mai in grado di eguagliare lo s le archite onico degli Yarowilca. La storia dice che gli Yarowilca avevano un forte esercito; le torri servivano per comunicare rapidamente da un punto all'altro delle valli, tramite segnali di fumo o suoni prodo da strumen a fiato. Quando gli Incas nel periodo espansionis co si scontrarono con l'esercito Yarowilca, non riuscirono a piegarlo; dopo cinque sanguinose ba aglie gli Incas dove ero desistere dalla conquista e scelsero la strada del dialogo, fino a raggiungere un accordo con gli Yarowilca, al punto che fondarono una confederazione Inca-Yarowilca, comprendente la stessa ci á di Huancuo Pampa, che noi avevamo giá raggiunto in altre esplorazioni effe uate lungo il versante orientale della Cordillera di Huayhuash. Esplorando il Capaq Ñan, conoscemmo la vera storia di questa ci á incaica (una delle qua ro capitali del Tahuan nsuyo), che sarebbe stata edificata sulle macerie della ci á di Huanuco Viejo. Dopo dure ba aglie tra gli Huancas, Huaylas e Tarumas e alcune tribu selvagge tra le a uali province di Tarma e Oxapampa, con l'invasione e conquista dei territori governa dai Huacrachucos, si cons tuí l'impero Yarowilca o Chinchaysuyo. Questa 220


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fusione di varie culture si espanse e costruí la sua capitale a Huanco Viejo, giusto dove oggi sorge una delle capitali del Tahuan nsuyo Huanuco Pampa, nella provincia Dos de Mayo. Secondo gli scri di Guaman Poma de Ayala, gli Wanukos cos tuirono il piú an co e poderoso impero. Gli Yarowilca invasero territori, costruirono edifici fino a 6 piani, torri di comunicazione, granai e riserve di patate e mais. Nella Huanuco Vieja, costruirono il tempio del sole, il convento delle vergini, scuole, un lago ar ficiale, una fortezza e un cimitero. Il Chinchaysuyo si fuse con l'impero Inca, aumentado il suo potere espansionis co, in virtú del suo sviluppo sia economico che territoriale. Le terre di Huanuco Pampa erano fer li; per questo Huanuco Pampa fu una vera e propia ci á imperiale, cresciuta rapidamente, tra le piú evolute dell'impero Tahuannsuyo. Misurammo le due torri e facemmo alcune riprese, accompagna da José Rios Vasquez, regista Peruviano documentarista e esploratore (cosi lui si definisce). Con un pizzico di storia an ca assicurata, scendiamo dalla torre, e perlustriamo l'altra torre vicina, piú bassa di qualche metro. Ci siamo sempre chies il mo vo delle due torre e, ma resterá un mistero. Scendiamo verso il nostro campo base, scriviamo il diario, appun con disegni e rilievi, abbiamo tempo e il sole ci regala ancora angoli di luce, per cui decidiamo di perlustare la parte interna risalendo la valle a. Man mano che saliamo no amo insenature nella roccia, sul lato destro della valle a; incuriosi scru amo a entamente, ma nella prima non c'é niente: solo della salsedine che biancheggia in fondo alla cavitá. Saliamo ancora in queste strane cavitá, raggiungiamo l'ingresso di una, coperta da spine e da vegetazione; spos amo le erbacce, muoviamo un pó di terra e sassi sistema come per coprire un tesoro e cosa troviamo? Un mantello di tela marron perfe amente conservato; con cura estraiamo il mantello dalla cavitá e no amo che il mantello avvolge qualche cosa di duro; con calma por amo il nostro tesoro fino al campo base; svolgiamo il mantello e con un grande sussulto scopriamo che dentro c'é una mummia perfe amente inta a: sembra quella di un bambino, é in posizione fetale, non presenta eviden segni di deterioramento, immagino che la salsedine presente a queste al tudini abbia conservato la mummia per tu ques anni. Veramente incredibile. Non ci crediamo ancora, abbiamo trovato un discendente degli Yarowilca, proprio quando meno ce lo aspe avamo, proprio sopra di noi a quasi 4000 metri di altezza, in un luogo inimmaginabile. Per questo c'erano queste cavitá aperte, forse fru o di wacheros (saccheggiatori) del luogo che le avevano svuotate, ma questa tomba non era stata vista perché coperta da vegetazione e spine. Bisognava inerpicarsi e quindi la tomba non era facilmente raggiungibile. Lasciamo tu o inta o, non tocchiamo nulla, un segno di riverenza e di rispe o per i mor . Siamo stanchissimi ma molto felici. Una scoperta cosí ha dell'incredibile: vuol dire che gli Yarowilca avevano il culto dei mor , dal modo in cui era avvolta e sistemata. Non siamo archeologi, per cui ci limi amo a fare rilievi, fotografie e scrivere appun preziosi. Ma ci restano le domande, i pensieri avvol dal mistero. É sera; 221


aspe amo il gruppo che sta tornando dall'esplorazione alle rovine di Winak. Li vediamo arrivare con le pile accese; andiamo loro incontro, per ascoltare se ci sono novitá di rilievo. Incrociamo gli sguardi: sembra che ognuno abbia da raccontare qualche cosa di sorprendente, ed é proprio cosí. I ragazzi ci raccontano che lassú ci sono un sacco di case rotonde; ne hanno contate piu di 300; bisogna tornare con calma e fare una ulteriore ispezione de agliata e censire la zona. Ci prefiggiamo di risalire l'indomani. La sera intorno al fuoco raccon amo le nostre avventure. L'entusiasmo ispira nuove idee. Il giorno successivo,ben presto, arma di tu o il necessario, saliamo lungo il colle fino a raggiungere in poco meno di un'ora la cresta della montagna da dove si vede un grande lago alla fine della vallata. Cerchiamo con i binocoli di scrutare bene, ma c'e un'altalenante foschia. Scopirermo poi dalle mappe dell'Is tuto Nacional de Monumentos Arqueologicos SINGA (19-j) che quel lago é la laguna Shacshacocha. Proseguiamo in direzione nord, fino a raggiungere la parte piú alta del cerro Puma Huain. Un senso di isolamento ci pervade. Incominciamo a vedere le prime costruzioni: alcune sembrano delle fortezze, con muri inta . Sembra che nessuno sia mai arrivato fin quassú: ci sen amo dei veri esploratori. Proseguiamo verso la valle alla destra orografica, da dove si intravedono varie costruzioni, una dopo l'altra, tu e rotonde. Alcune hanno il te o ancora sostenuto da un intreccio di pali di legno. Entriamo in una di esse e con grande stupore no amo una specie di anello alto costruito sul perimetro, fa o di blocchi di pietra, sostenu dal muro principale, come se fossero dei serbatoi di raccolta di grano o patate. Entriamo in un'altra casa circolare, stessa fa ura, stessa forma, stessi granai sopraeleva , come fossero dei pensili da cucina. Usciamo dal magazzino, ed eccone un altro e poi un altro ancora, e cosi via; ci vorranno due giorni per censire quasi tu i 410 magazzini e abitazioni. Essi sono divisi in due versan , quello orientale e l'altro a nord: sembrano essere posiziona dove ba e il sole. Non c'é presenza di acqua, non ci sono eviden mula ere o sen eri; in fondo alla valle a nord-est si vede un fiume che scorre, dovrebbe essere il Rio Marañon. Lo vediamo da lontano e non riusciamo a dis nguerne bene i colori: le nebbia non ci perme e una visione limpida della zona. Non importa: le mappe ci indicheranno poi chiaramente che quello é proprio il Rio Marañon. Si sono avvera sogni icredibili e un bo no veramente degno delle grandi spedizioni pionieris che: due torri Yarowilca misurate e mappate e una mummia inta a, avvolta in un mantello di tela tessuto a mano. Poi un censimento di deposi , granai e magazzini a piú di 4000 metri di altezza, difficilemente raggiungibili e quindi sicuri. Una spedizione ricca di ricordi e di emozioni uniche da raccontare in un libro. Torna a Punchao, raccon amo tu o ai volontari; anche loro restano stupi ; dicono che i campesinos raccontano storie su ques luoghi cela da tan “tabú”. Ci sen amo un pó fuori luogo a raccontare le nostre esplorazioni, in un posto dove la miseria e la povertá de ano i passi quo diani dei pastori di queste zone e dove queste realtá an che sono solo una pietra d'inciampo sul loro cammino. Lassú non possono col vare la terra, non posso222


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no portarci gli animali al pascolo: ci rendiamo conto che la nostra visione “poe ca” si scontra con l'indigenza della gente campesina che non guarda con lo stesso interesse queste costruzioni, e le considera solo muri di pietra dei loro predecessori, nulla di piú. Come mi sento diverso da questa gente, come mi sento occidentale, nel mio modo di pensare, di guadare, di agire, di ragionare. Mi sento proprio fuori tempo e lontano dalla loro vita, nonostante io voglia aiutarli e da anni abbia preso in casa i loro figli per farli studiare e regalare loro un futuro migliore. Guardandomi intorno, vedo solo miseria, povertá trascinata, fango, freddo, acqua sporca, case di fango, te di paglia, sandali fa con copertoni delle macchine, ponchos che nascondono l'usura del tempo, mani scavate dalle rughe dal lavoro crudo e severo, piedi con unghie incarnite dove la terra é diventata parte di loro. Guardo i loro occhi; non c'é un campesino senza una catara a, un bambino pe nato e pulito; tu si arraba ano per vivere: questa é la loro dimensione, la loro vita povera fuori e dentro. Non riconoscere queste ricchezze culturali é segno di un degrado umano e sociale perpetrato nel tempo. Come se tu o si fosse fermato il giorno della conquista spagnola, quando il grande esercito Inca si dove e piegare a sedici cavalli, ai loro scudieri con armature e fucili da farli sembrare marziani. Da quel giorno lo sviluppo culturale di queste popolazioni ha subito una brusca frenata e non sono piú ripar . Mi fermo, con nuo a pensare che questa gente merita il nostro aiuto, la nostra comprensione, il nostro sostegno. Bisogna aiutare queste persone, i loro figli, dare loro una educazione ed aiutarli ad affrontare le severe condizioni della natura che a queste la tudini é senza indulgenza e nasconde insidie ad ogni angolo. Fazzole di terra scoscesi sono col va con aratri traina dai buoi, in una sorta di morsa del tempo senza soluzione. La vita trascinata in una sorta di spirale senza fondo, dove affaccendarsi instancabilmente é la grigia condizione a queste la tu dini. Mi vergogno di essere stato qui cinque giorni a raccogliere informazioni sugli Yarowilca, senza aver avuto il tempo di aiutare una famiglia campesina. Mi chiedo cosa possiamo fare noi per ques poverissimi campesinos. Is n vamente vorrei chiudere gli occhi per non vedere e rimanere nella indifferenza che acceca le nostre coscienze, ma sono qui in missione per aiutare ques campesinos. Dovunque volgo lo sguardo vedo miseria, povertá e sofferenza. Bisogna risvegliare la nostra coscienza e iniziare a rimboccarci le maniche.

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Le costruzioni Yarowilca di Piruro e Tantamayo Mummia ritrovata ai piedi delle Torri Yarowilca di Huata

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Pitture rupestri scoperte in una grotta durante le nostre esplorazioni in Cordillera Blanca

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El camino de piedra

Anni fa sen vo parlare dai vecchi campesinos delle Ande (i discenden degli Incas) di una “ruta an gua” u lizzata dai loro antena , che percorreva gran parte del territorio peruviano. La cosa subito mi incuriosí, ne parlai con i nostri ragazzi che frequentavano la “Escuela Don Bosco en los Andes”. Nacque così l'idea di esplorare questo percorso e ne derivò uno studio che ancor oggi con nua, vista la lunghezza mastodon ca di questa rete stradale. Le prime esplorazioni iniziarono dal più conosciuto e studiato sito di Chavin de Huantar e ci portarono fino a incrociare il Camino Real che sovrasta l'al piano andino a più di 4000 metri sugli altopiani tra Huari, Huachucocha e Yauya. Percorrendo ques tra abbiamo avuto la sensazione di essere immersi in un misterioso viaggio a ritroso nel tempo; camminavamo sui lastrica di pietra larghi fino a 12 metri. Come fecero i popoli precolombiani a costruire questa strada, senza conoscere il nord e il sud, l'est e l'ovest, non conoscendo l'uso della bussola, non avendo altri strumen di orientamento? Chi tracciò questa Ruta Imperial? L'idea chiarificatrice mi venne ascoltando i campesinos, quando in una riunione nel villaggio di Vicos dissero che in assenza di un ingegnere per fare la strada mandavano avan gli asini; dove andavano gli animali si sarebbe fa a la strada. Curiosa immagine di un ingengnere a qua ro zampe. La stessa cosa probabilmente fecero gli Incas u lizzando i lama, che avrebbero potuto marcare, con il senso dell'olfa o, del pericolo e dell'orientamento par del “Capaq Ñan”. Nel mondo andino precolombiano le comunicazioni terrestri crearono una ragnatela di vie di collegamento. 226


23 Le notevoli differenze clima co-ambientali esisten fra una regione e l'altra, data l'inclemenza dei vas territori che si possono incontrare nei differen livelli al tudinali di una stessa regione, indussero i na vi sin dalla più remota an chità a spostarsi per procurarsi le risorse proprie di ciascun ambiente naturale, trasportando beni e prodo da un capo all'altro delle Ande. Troviamo evidenze di questo po all'inizio della Quebrada Honda (regione Ancash) nel sito di Honcopampa, luogo dove le popolazioni della valle del Conchucos, passando per la Quebrada Juitush, scollinando le Ande, scendevano fino a valle scambiando i loro prodo con patate, mais e animali. Le comunicazioni fra le differen regioni del Perù si fecero par colarmente fluide e rapide, come prova la repen na e ampia diffusione di innova ve tecniche tessili e metallurgiche, di nuovi s li ceramici, di par colari ogge sciamanici connessi con l'uso di droghe e di determina mo vi iconografici, espressione di un culto avente nel centro cerimoniale di Kotosh (2000-2500 aC) e successivamente nel sito di Chavín de Huantar (900 aC), situa entrambi nella sierra se entrionale all'incrocio di differen vie fra le valli andine, la foresta amazzonica e la costa. Luoghi sacri per eccellenza e pun di snodo e di scambio. Fu comunque nel periodo successivo, l'Intermedio An co (II sec. a.C. – VI sec. d.C.), con il sorgere di formazioni statali a cara ere regionale, che si stabilirono i primi collegamen pienamente organizza fra le valli mediante la costruzione e la manutenzione di vere e proprie arterie. A nord di Tiahuanaco (Bolivia) sono state individuate strade connesse con questo centro dell'al piano Ti caca, che manteneva collegamen stabili con le valli orientali della Bolivia, con il Perù meridionale e con il Cile se entrionale. I vari insediamen Huari, quali Pikillacta (Cusco), Viracochapampa (Cajamarca) e Jincamocco (Ayacucho), appaiono sempre associa a vie di comunicazione, talora pavimentate e con gradinate. La stessa rete viabile è evidente anche nel regno di Chimor (Chimù). Successivamente mol di ques traccia vennero incorpora nella grandiosa rete stradale creata dagli Inca e da essi chiamata Capac Ñan, ossia Via Imperiale. Nel lasso di tre generazioni, dalla metà del 1400 d.C. fino al 1532, gli Inca aprirono, ristru urarono, allacciarono e dotarono di infrastru ure almeno 7.000 km di strade, considerando solo quelle di cui si possiede una seppur sommaria documentazione di evidenza archeologico-storica; così non è esagerato supporre che la Via Imperiale, con tu i suoi tra secondari anda distru nel tempo o non ancora censi , al momento dell'arrivo degli spagnoli avesse raggiunto una estensione complessiva prossima ai 7.500 km. La Via Imperiale si stru urava fondamentalmente in due arterie maestre parallele, una in gran parte cos era e l'altra montana, raccordate da una serie di cammini trasversali. La 227


lunga via cos era par va ai confini meridionali dell'Ecuador arrivando nel Cile centrale, a raversando tu i deser e le valli della costa peruviana, per poi inoltrarsi nell'entroterra di Arequipa e raggiungere l'alto corso del Loa, San Pedro de Atacama e quindi ridiscendere al litorale fino alla valle del Maipo (San ago). L'altra arteria, quella degli al piani, era composta da due strade che par vano in direzioni opposte dal centro del Cusco: la via del Chinchaysuyu, dire a a nord-ovest, lunga oltre 2.500 km, era la più importante dell'impero, in quanto passava per tu i maggiori centri amministra vi Inca (Vilcashuaman, Hatun Xauxa, Huánuco Pampa, Cajamarca, Tumibamba, Ingapirca, Quito), arrivando agli estremi confini se entrionali dell'Ecuador: quella del Collasuyu, a sud-est, conduceva all'altopiano del Ti caca e alla valle di Cochabamba (Bolivia centrale) e da lì scendeva a raverso il Tucumán (Argen na nord-occidentale), sino alla valle di Mendoza. Le principali vie trasversali che congiungevano la cordigliera e la costa erano quelle del Cunsuyu, che collegava il Cusco con la regione di Arequipa, quella da Vilcashuaman a La Cennela, nella valle del Chincha, lungo la quale si trovavano una serie di importan complessi conquista dall'esercito Inca, quali Incahuasi, Huaytará, Tambo Colorado e Lima la Vieja, e quella da Hatun Xauxa, nella valle del Mantaro, al grande centro di Pachacamac, nella valle del Lurín, via Huarochirì. Le strade lastricate portavano dal versante orientale delle Ande fino alla foresta amazzonica, da cui gli Inca traevano legno, coca, miele, cotone e droghe; queste permangono in gran parte sconosciute, fa a eccezione per un tra o iniziale della strada dell'An suyu, che si originava al centro del Cusco, e per il famoso cammino inca del Machu Picchu, interamente lastricato, con lunghissime scalinate di pietra e muri di sostegno al fino a 8 metri. Tu e queste strade sovente presentavano cara eris che assai eterogenee. La ruta in terra ba uta, di origine Moche-Chimù, che correva lungo la costa se entrionale peruviana era, in aree agricole vicine a corsi d'acqua, rela vamente stre a (3-4 metri) e chiusa lateralmente da al muri in blocchi di argilla (costrui con la tecnica del tapial). All'ingresso e all'uscita delle valli aumentava la larghezza (4,5-25 m), con bassi mure di pietra laterali e talora era addiri ura affiancata da due corsie supplementari, come a nord del monte Chocofòn (Lambayeque), dove raggiungeva l'ampiezza di 140 m; essa diveniva in pieno deserto una semplice pista, marcata da una serie di pietre e di pale di legno. Nel deserto di Atacama (Cile se entrionale), il Capaq Ñan si riduceva quasi a imperce bile cammino segnato solo da rari mucchie di pietre. Con l'esplosiva forza espansionis ca del Tahuan nsuyo (il Tahuan nsuyo non era il nome dello Stato o della nazione come oggi lo si pensa, se non un equivalente del territorio secondo la concezione andina della redistribuzione, più che del possesso della terra) appli228


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cando ingegnosi e dissuasivi procedimen di conquista, l'espansione territoriale aumentò con straordinaria grandezza, diventando la rete viabile del Tahuan nsuyo che univa le qua ro regioni, partendo dal rio Pasto in Colombia, passando per Ecuador, Perù, Bolivia, Cile fino ad arrivare in Argen na. La grandezza di questo impero rappresentava la forza maggiore di tu o il Sud America. Tu o era basato su uno spirito di collaborazione, che trovò il nesso ideale nel mis co lavoro comunitario e nel desiderio di sviluppo di una società in evoluzione. Nacque cosí la Ruta Imperial, assai curata e in vari tra pavimentata, con un'ampiezza da circa 4 m fino a 8 m, facendosi un po' più larga sugli al piani. Dove necessario, veniva dotata di muri di sostegno della massicciata, con canale di scolo o di drenaggio delle acque piovane, e di maestose scalinate in pietra, con cui si risalivano pendii par colarmente ripidi. Di regola la via imperiale, per rendere sicura la massima celerità delle comunicazioni, seguiva percorsi il più possibile re linei, in genere correndo lungo il fondo o nei fianchi delle valli oppure sugli al piani, ma all'occorrenza anche risalendo impervi passi montuosi e a raversando al ssimi valichi fino a superare i 4000 metri. Fiumi, vallate e gole più profonde erano supera mediante pon sospesi, con piano di piccoli tronchi o tavole di legno e con cavi in fibre vegetali di sostegno ancora a grossi massi di pietra. Uno di ques pon , quello di Accha, sull'Apurímac, lungo ben 45 metri, rimase in uso sin verso la fine del diciannovesimo secolo. Per i corsi d'acqua e gli avvallamen minori, di pochi metri, si usavano invece pon celli con travi di legno o lastre di pietra ge ate da una parte all'altra: i più elabora , come l'obelisco di pietra lungo più di 3 metri che troviamo a Ayash, nella regione Ancash (blocchi di andesite perfe amente squadra , avevano gli appoggi di estremità muni di mensole per il sostegno dei lastroni del piano di calpes o). Lungo la via imperiale (ogni 25 chilometri circa, e comunque ad una distanza non superiore ad un giorno di cammino l'uno dall'altro) si trovavano speciali rifugi, chiama Tambo, costrui in prossimità di fon d'acqua e di zone agricole. I Tambo servivano innanzitu o come pun di sosta e di ristoro per nobili, funzionari, militari, tecnici, corrieri, ar giani e portatori di merci che si spostavano per prestare differen servizi allo stato, nonché come ricoveri per i lama delle carovane in transito e come pos di controllo e di raccolta dei tribu , sopra u o per alloggiare i Chasqui (emissaricorridori che portavano messaggi e merci da un capo all'altro dell'impero). Sono sta censi più di 1000 Tambo lungo il CapaqÑan, tu costrui in modo differente, per stru ura e dimensioni, ma la maggior parte di essi si cara erizzava per la presenza di un grande recinto re angolare delimitato da un muro perimetrale, con all'interno una 229


serie di piccole costruzioni di un solo ambiente, a pianta re angolare, disposte tu 'intorno, che dovevano servire da alloggi per le persone in transito. Le fondamenta di ques edifici erano costruite con una doppia, e talora tripla, fila di pietre grezze o semilavorate, legate con mescole di fango, sabbia, sterco, argilla e paglia. Nei tambo del Tahuan suyo, si possono incontrare piche costruzioni Inca, come lunghi edifici re angolari per riunioni e a vità cerimoniali (kallanka) e piccole torri cilindriche o quadrangolari (colca) per la conservazione di cereali e di altri prodo . Infine, ampi recin per camelidi, chiusi da mure di pietre grezze al almeno un metro. Oltre ai tambo, lungo il “cammino di pietra” a pochi chilometri di distanza si trovavano piccole costruzioni, in genere a pianta re angolare, totalmente aperte davan e non di rado disposte a coppie da una parte e dall'altra della strada, nelle quali stazionavano permanentemente un paio di Chasqui, i messaggeri-corridori che, mediante un efficiente servizio a staffe a, assicuravano una rapidissima trasmissione degli ordini e delle no zie in tu o l'impero. Ogni Chasqui percorreva un massimo di 20-25 chilometri e quindi ripeteva più volte un breve messaggio orale, eventualmente accompagnato da un quipu (strumento mnemotecnico cos tuito da una corda principale cui era appesa una serie di cordicelle di differen colori e con vari nodi u lizzate per trasme ere da e messaggi ancora oggi non corre amente decifra ), ad un collega pronto a sua volta a dirigersi di corsa verso il posto di staffe a (chasqui-huasi) successivo. Si calcola che con questo sistema le informazioni potessero viaggiare ad una velocità di circa 250 chilometri al giorno, consentendo così ai signori del Tahuan nsuyo di stare in permanente e rapida comunicazione con tu e le province del loro vasto impero. Data la natura impervia e estremamente accidentata del territorio, cara erizzato sulla sierra da valli scoscese e lungo la costa da deser arenosi e pietrosi, gli an chi abitan delle Ande (non conoscendo il trasposto su ruota) per il trasporto impiegarvano unicamente uomini e lama. Gli uomini caricavano sulla schiena pesan sacchi di prodo agricoli e fardelli vari, sostenendoli con una corda, una fascia o una tela, passante sugli omeri, annodata sul pe o e tra enuta durante la marcia con una mano. In alterna va, sopra u o per carichi meno pesan , la corda poteva essere fissata sulla fronte del portatore, anziché sul pe o, lasciandogli così libere le mani. I personaggi di più alto rango venivano trasporta su le ghe di legno fornite di schienali o su portan ne, con due assi parallele di sostegno re e da due, qua ro o più le ghieri. Oltre all'uomo, l'altro grande “mezzo” di trasporto terrestre andino fu il lama (Lama glama). 230


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Il maschio adulto di questo animale è infa in grado di trasportare a grandi distanze carichi fino a 30-35 kg, percorrendo da 15 a 25 chilometri al giorno, mentre per spostamen brevi può arrivare a portare agevolmente più di 40 kg. Dei contenitori u lizza per il trasporto si sa pochissimo. Solo poche evidenze ritrovate negli scavi a Caral indicano con una certo azzardo che i lama trasportassero sacchi (fardelli) contenen patate, mais e lana in cambio di pesce e guano (mentre gli otri erano di cuoio) u lizza per il trasporto di liquidi. Lama carichi di sacchi sono del resto rappresenta sulle ceramiche di s le Kotosh, Sechin, Moche e Chimú. Uno dei primi percorsi effe ua dai lama in Perú nello scollinamento delle Ande fu la ruta che partendo da Kotosh (regione Huanuco) raggiungeva le coste del Pacifico, toccando Caral e Aspero. Questa ruta oggi inesplorata, collegava le popolazioni andine di Kotosh alle popolazioni cos ere che facevano capo a Caral (4200-2500 a.C.). Si potrebbe supporre che questo fu uno dei primi collegamen tra le culture della costa del Pacifico con le popolazioni dell'interno tra la sierra e la selva amazzonica, dato che Kotosh (manos cruzadas) sorge come avanposto e snodo tra la fine della sierra e l'inizio della selva amazzonica. Ne evidenzia il fa o che durante gli scavi archeologici compiu a Kotosh sono sta ritrova vari frammen di cozze, conchiglie e cotone, che erano puntualmente trasporta a dorso di lama dalla costa, e di contro aver trasportato al ritorno merce bara ata come patate, tuberi e mais; si s ma che la durata del viaggio in carovane di uomini e lama durasse alcune se mane. L'enorme immersione tra natura-cultura-archeologia che modelló e uní la gran Ruta Imperial, si puó incontrare oggi in modo disari colato; alcuni tra sono incer e altri si sono mantenu nel tempo. Tu avia il pericolo che questo bene storico, Patrimonio dell'Umanitá, possa pian piano deperirsi é sempre piú imminente. Camminare per le Ande oggi, puó essere un'esperienza arricchente, che ci catapulta a ritroso nel tempo, sfidando la propria resistenza. In cer tra si puó sen re che il “paradiso” é piú vicino, man mano che ci si allontana dal frastuono dei villaggi e delle ci á. Il Capaq Ñan, piú che un cammino, si trasforma in una porta di ingresso spirituale a un mondo vivo, senza confron , che merita di essere esplorato, conosciuto e rispe ato. Toccare con mano questo mondo an co e ancestrale, potrebbe essere l'idea per un grande viaggio. Negli anni 2003/2004/2005 con le Guide Don Bosco e il regista peruviano José Rios Vasquez abbiamo realizzato il documentario “El camino de piedra” un video che cerca di documentare (in parte) questo percorso ba uto solo da pochissimi esploratori. Qualche cosa di sorprendente si é aperto davan a noi, un meraviglioso sen ero a volte ancora pavimentato e con scalinate sorprenden ; in cer pun il cammino era solo perce bile, confondendosi con la puna circostante. Colpevoli di questo sono i campesinos locali che anziché mantenere in ordine questa mastodon ca rete viabile, si sono impos231


sessa delle pietre per costruire i loro recin per pecore e mucche, distruggendo in parte questo spe acolare cammino. Anche questo aspe o é segno tangibile della povertá di ques luoghi, dove la gente ogni giorno scomme e sulle sue possibilitá: se piove ci sará il raccolto, se non piove non basteranno certo le lacrime a bagnare l'arida e avara terra delle Ande. Cosí anche noi ci siamo scontra piú volte tra la nostra cultura conservatrice e la povertá estrema di queste terre abbandonate. Sí, perché percorrendo queste zone, si percepisce subito perché i giovani preferiscono migrare a Lima in cerca di un futuro incerto. Il sogno di superarsi fa stringere i den e spinge l'esodo verso le ci á sulla costa del Pacifico. Inesorabilmente la sierra si spopola e le grandi periferie delle ci á si popolano con insediamen improvvisa , con case fa e di “esteras” (canne di bambú intrecciate) e te o di lamiere. I servizi igienici non esistono e nemmeno latrine pubbliche; l'acqua viene distribuita una volta alla se mana con un camioncisterna. Tu hanno diri o a riempire due secchi o due taniche che dovranno u lizzare per una se mana, sia per cucinare che per lavarsi. É specchio sempre piú agghiacciante di persone che migrano, “rotolando” dalle montagne fin giú sulle rive dell'oceano. É un esodo di massa incontenibile, una fuga dalla povertá che sgretola le famiglie, divide padri e madri dai loro figli, dai loro nonni. Cosí la sierra si spopola poco a poco, e nei villaggi rimangono solo gli anziani e i bambini. Si smembarno le radici di un popolo, a causa della povertá che distrugge un popolo in ginocchio. Noi abbiamo percorso villaggi pressoché deser con la consapevolezza che sono des na a scomparire.

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Capaq Ñan - villaggio di Castillo lungo il Cammino Real de los Incas - tra le regioni Ancash - Huanùco Granai epoca Yarowilca lungo il Cammino Real - Capaq Ñan

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Pionieri del Huaczeycopunta, una via dedicata a Eder Sabino

Era il 2004 quando un gruppo di tre for rocciatori tries ni ci conta ano in Perú, per chiederci dei consigli rispe o a una via nuova su roccia che vorrebbero aprire su una montagna inviolata delle Ande. La montagna deve avere delle cara eris che ben precise: “interessante e con gradi superiori al 60% di pendenza; se ha una parete di roccia esposta tanto meglio”. Le pare di roccia in Cordillera Blanca abbondano; di rocce che si stagliano contro il cielo arrivando a fare solle co alle nuvole ne avevamo viste parecchie nelle nostre esplorazioni. Eravamo arriva fin so o il Ranrapalca, ma la parete nord era un misto di ghiaccio e roccia, forse troppo pericoloso per essere affrontato. É una parete di circa 900 metri, che chiede riverenza; é molto complessa; con pochissime salite effe uate. Lungo la parete nord erano mor tanto tempo prima due inglesi, mai recupera ; i loro corpi sono ancora ai piedi di quella parete. Poi Joe Simpson (il famoso scalatore che con Simon Yate era stato protagonista della rocambolesca e alquanto discu bile spedizione sul Siulá Grande nella Cordillera di Huayhuash) era riuscito a salire lungo la via dire a scendendo poi dalla via normale. Avevamo visto anche le pare della Esfinge entrando dalla laguna Paron: ma Esfinge é sinonimo di vie su roccia giá tracciate ed é molto ba uta dai rocciatori di tu o il mondo. Mauro Florit, cosí si chiama il capo spedizione, e compagni volevano qualche cosa di diverso, di sconosciuto e di inviolato. Ci eravamo addentra nella Quebrada Honda e avevamo visto delle pare di roccia interessan , ma le ve e raggiungevano a mala pena i 4900metri, luoghi per un buon acclimatamento, ma non validi per essere sfida da tre for rocciatori con buone intenzioni. C'eravamo spin nella quebrada Rurec, ma anche lí le pare interessan 234


24 non corrispondevano alle aspe a ve di Florit e compagni: sono blocchi di roccia grandi, estesi, vere e proprie ve e da scalare; sono delle bellissime pare di roccia, che fanno da cornice alla vallata. Avevamo visto una roccia conica nella Huayhuash, durante le prime esplorazioni andando dal campo Huayhuash al campo Viconga. Quel cono aguzzo (senza nome) ci era piaciuto a tal punto che l'avevamo fotografato da varie angolature. Si poteva ipo zzare una spedizione con vari giorni per l'avvicinamento, dilatando cosí i tempi ed i cos del trasporto dell'intera logis ca sarebbero aumenta , senza conoscere con maggior precisione, le difficoltà, la consistenza o meno della roccia ed altri fa ori determinan . Si poteva ipo zzare di spingerci fino alla base dei nevados Puscanturpa, una delle zone rocciose più remote e selvagge delle Ande, alla fine della Cordillera Huayhuash, verso sud. Arrivare lí avrebbe comportato giorni e giorni di cammino e traspor a dorso di mulo senza sapere se poi il risultato di tale sforzo sarebbe stato appagato. Avevamo preso in considerazione le Torri dell'Ishinca, interessan pare di roccia, dove nessun scalatore si era ancora cimentato. Le pare ver ginose sve ano sopra il grande bosco di quenuales: sono tre grandi monoli ver cali. La logis ca non sarebbe stata complessa; (egois camente) saremmo sta “piú vicini a casa” . Dopo varie consultazioni tra i nostri ragazzi, decidiamo di proporre la parete maestosa del Huaczeycopunta di 5134m, nella quebrada Quilloc. Si entra dal villaggio di Olleros, un luogo inesplorato e fuori dalle ro e comuni degli escursionis e scalatori, con l'incognita della difficoltá di poter aprire una via su una maestosa parete ver cale nord-ovest. La parete era stata fotografata l'anno prima mentre stavamo studianodo l'Alta Via Don Bosco, proprio in occasione del recupero forzato di Franco Michieli. Mi ero spinto fino allo snodo di Sacracancha, da cui parte il sen ero che entra nella quebrada Quilloc, dove si erge questo enorme cono di roccia. Un cono imponente che sovrasta l'intera vallata, stupendo. Peró si rivelerá presto una parete composta da una roccia durissima e quasi impenetrabile. Cosí dal nostro archivio spediamo le foto a Mauro Florit. Ci risponde che manderá i materiali con aereo; dovremo andare a ri rarli in dogana e portarli a Marcarà. Sono 3 bidoni di materiali e un generatore a benzina. Arriva tu o, ma le pra che burocra che vanno per le lunghe e alla fine ci tocca pagare una penale di circa 800 US$ come deposito. A Lima andiamo alla dogana a ri rare i bidoni. I doganieri me ono tu o in terra e controllano pezzo per pezzo; controlliamo che ci sia tu o in ordine, dalle corde sta che, ai mosche oni, ai chiodi da roccia, al trapano a ba eria, fino al generatore. Spiego ché é per una spedizione sulle Ande, ma i doganieri sono inflessibili e ci presentano il conto piu osto salato. Cosí dopo varie peripezie, verso sera traspor amo tu i bidoni al terminal dei bus e par amo per Huaraz. 235


Mauro Florit man ene una corrispondenza fi a con noi, e in poco tempo gli giriamo varie fotografie sca ate durante le nostre esplorazioni, Mauro sembra convinto di sfidare la parete inviolata del Huaczeycopunta nella quebrada Quilloc. Il 27 maggio 2004, inizia l'avventura Andina per Mauro Florit, Massimo Sacchi e Marco Sterni che rimarrà impressa per sempre nei loro ricordi. I tre scalatori sono arriva dall'Italia con molte buone intenzioni e la voglia di condividere le loro conoscenze in fa o di alpinismo con i nostri ragazzi della Escuela de Guias Don Bosco. Al gruppo degli Italiani, decidiamo di affiancare Eleasar Blas, Lucio Foliman e Michael Araya Torres. Mauro é un accademico del CAI, Marco é guida alpina e assieme a Massimo fanno parte del gruppo rocciatori Bru di Valrosandra della XXX O obre. Quello che ci preme trasme ere a ques alpinis d'oltreoceano sono messaggi semplici ma molto concre : il rispe o per la cultura di ques giovani alunni e dei loro principi cris ani per i quali sono sta educa ; la loro fede é semplice, fa a di ges concre e di tanto impegno e lavoro. Rispe are la parte educa va, che é l'impegno piú importante della nostra a vitá in Perú come volontari e non interagire dire amente con i ragazzi, offrendo viaggi in Italia o altri invi che in questo momento sarebbero fuorvian per la loro formazione. In futuro potranno anche viaggiare e visitare il mondo, ma questo non puó essere fa o adesso, che sono ancora in formazione. Ci teniamo ad impar re queste indicazioni semplici ma chiare, col desiderio di prevenire anziché curare, e perché Mauro, Massimo e Marco non cadano nella tentazione di “esser buonis ”. É abbastanza facile quando si viene a conta o con ques ragazzi che per natura sono piú dota di noi europei; il loro fisico si é forgiato alle grandi altezze; portando, da piccoli, al pascolo i loro greggi di pecore e mucche, affrontando anche le dure temperature no urne. Cerchiamo di so olineare questo perché non tu i nostri “ospi ” capiscono e a volte azzardano offerte che cozzano con l'iter di formazione scolas co che abbiamo avviato con tanta fa ca e sacrifici. Cerchiamo di essere chiari con loro, so olineando queste piccole precauzioni. Ricordiamo loro che i ragazzi sono in un periodo di formazione, per cui mance, regali di a rezzature, materiali o ves vanno fa alla Escuela e non a loro dire amente; saremo poi noi a distribuirle a tu i nostri alunni in modo equo alla termine della stagione. Queste indicazioni che sembrano rigide, sono invece delle precauzioni che abbiamo maturato stando con i ragazzi, notando vari cambiamen di umore e di comportamento quando dalla passione vengono sopraffa dall'ansia di arraba are e rifarsi il guardaroba. Ques comportamen , non ci sono nelle nostre normali scuole bo ega (taller) di falegnameria, di professori di religione o matema ca, o altro. Affiorano invece in questa scuola che porta i nostri ragazzi campesinos al conta o dire o con i turis (ricchi e ben equipaggia ). Durante i vari anni di formazione 236


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abbiamo notato che solo i piú svegli tra i ragazzi si acca vano la simpa a degli scalatori al punto che qualcuno intesse dei legami tramite internet e o altro; a volte si fanno anche spedire materiali dall'Italia. Purtroppo non possiamo controllare tu o, non siamo in regime carcerario, ma cerchiamo fin dove possiamo di stabilire un dialogo costru vo e proficuo tra i ragazzi e gli scalatori-istru ori. Ahimé, non tu gli istru ori che abbiamo avuto come collaboratori hanno rispe ato queste semplici indicazioni; e qualche “furbe o” c'é stato e con la complicitá di qualche ragazzo é riuscito a far passare la proposta di viaggiare in Italia o di incontrarsi al Cusco e via dicendo. Cosa succede di riflesso di fronte a queste proposte? Noi responsabili rispe o ai ragazzi diven amo i ca vi, i conservatori; cade tu a la parte dell'autoritá educa va e di conseguenza cade tu o il sistema di equilibri che avevamo cercato di mantenere negli anni della formazione. Ma questa é un'altra storia che mi ha ra ristato molto e che preferisco non raccontare. Per questo bisogna sempre stare all'erta quando entrano istru ori estarnei alla scuola, e spora u o che non conoscono il metodo preven vo di San Giovanni Bosco. Alcuni lo snobbano e non é sempre facile fare filtro. Altri si infilano raccomanda da amici e sperano che in missione possano trovare il loro spazio per essere u li. Spesso questo desiderio si scontra col nostro lavoro e non ene in conto l'impostazione educa va che giorno dopo giorno, con tanta perseveranza, s amo portando avan da anni. Dopo ques preamboli fondamentali, iniziamo il viaggio verso la Quebrada Olleros. Arriviamo nel villaggio di Olleros e proseguiamo lungo una strada sterrata e dissestata che porta fino a Sacracancha. Mi spingo il piú possibile con la jeep fino a raggiungere lo snodo del sen ero che sale nella Quebrada Quilloc, dove troviamno un cartello del Parco con la scri a “Sacracancha”. Scarichiamo le ve ovaglie, viveri e materiali della spedizione. É pomeriggio; cominciamo con i traspor a spalla fino al campo base; ci siamo porta dei bas ni (portan ne) in alluminio, che aiutano in modo ordinato il trasporto. Da qui in circa due ore siamo al campo base. Saliamo lungo il sen ero poco ba uto; a volte il percorso é logico; a volte si va a naso. Non abbiamo grandi indicazioni della zona, e nemmeno le mappe segnalano i sen eri. Un pó a fiuto, un pó per l'esperienza dei ragazzi, con un pó di fortuna raggiungiamo la quebrada Quilloc. Nella pampa piena di erba del paramo (hichu) decidiamo di installare il campo in un luogo riparato dal vento, sperando di trovare qualche rigagnolo d'acqua. I ragazzi cominciano a montare le tende; due portano il generatore arrivato dall'Italia. In due/tre viaggi a testa, riusciamo a portare tu e le ve ovaglie e viveri al campo base in completo s le alpino. Siamo stanchi, abbiamo effe uato un trasporto veloce ad una quota non usuale, sopra i 4000 metri. Vedo i ragazzi conten , desiderosi di iniziare a 237


sognare la via sul Huaczeycopunta. Scendo dalla Quebrada Quilloc per tornare a Marcará: arrivo a no e fonda. Il giorno dopo ricevo una comunicazione via radio che debbo andare a comprare delle punte del trapano da muro (dure). Sembra che abbiano giá ro o le punte che avevano portato dall'Italia. Tu o appare difficile, devono fare i con con le ve ovaglie, la benzina del generatore, le punte del trapano, i chiodi da roccia. Qui non arrivano elico eri a soccorrer , devi arrangiar . La nostra jeep non é in grado di sfidare di nuovo la strada-sen ero che porta fino a Sacracancha. Qui sul Huaczeycopunta non si tra a di aprire una nuova via, qui si tra a di aprire la prima via su questa montgana, come i pionieri di un alpinismo d'altri tempi. Questa spedizione in Perù si è rivelata una missione esplora va come accadeva cen naia di anni or sono, con il gruppo che si é avventurato in un territorio completamente selvaggio, lontano dalle mete dei turis , e che ha permesso di salire su una cima inviolata. Questa montagna ha due differen nomi in lingua quechua, scel dai pastori locali: Amahuagaychu che significa «non piangere» e Huaketsa Punta che si può tradurre «punta tagliata» e che indica la par colare conformazione rocciosa. La cima, che non risultava mai affrontata in precedenza, non appariva nemmeno sulle carte. La ve a é stata misurata l'11 giugno 2004, quotandola con il Gps 5134 metri sul livello del mare. La via di salita, il versante Ovest, si é rivelato molto difficile, piú di 500 metri di sviluppo, difficoltà massima del se mo grado superiore e ar ficiale (A2). Ci sono volu 10 giorni di arrampicata per vincerla, anche per dare la possibilitá a tu i componen del gruppo di poterla raggiungere a turno. Questa storia lega la sfida a una cumbre inviolata, alla tragedia del 10 giugno 2004 sul Tocclaraju, dove un nostro alunno, che era diventato guida di montagna, fu travolto da una valanga di neve e ghiaccio. Avevamo evitato di avvisare il gruppo del Huaczeycopunta della tragedia; sapevamo che erano concentra su quella via e non sarebbe stata una no zia di certo confortante, anzi avrebbe provocato delle reazioni nei ragazzi non facili da superare. Ritorna a casa, avvisa dell'accaduto, la via aperta sul Huaczeycopunta è stata dedicata a Eder Sabino Cacha, giovane guida alpina della scuola, deceduto, travolto dalla valanga.

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SďŹ dando le verticali pareti della Quebrada Quilloc, Cordillera Blanca PerĂş

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Verso los nevados Pucajirka, un viaggio ai confini remoti della Cordillera Blanca

C'era in ballo una spedizione al Santa Cruz Central; la proposta era aprire una nuova via sulla parete nord-ovest del Nevado Santa Cruz 6259m. A rare l'armata erano Enrico Rosso e Valerio Bertoglio. Per fare questa spedizione dovevamo trovare l'ingresso migliore e più dire o per ve ovaglie e viveri. Dovevamo raccogliere fotografie e da u li alla spedizione. Tra le varie ipotesi messe in campo, c'era quella di esplorare la Cordillera Blanca dal versante nord-est entrando fino al campo base dei Pucajirka, spostandoci poi sul colle del Santa Cruz e valutare la possibilità di entrare da quella parte. La possibilità era remota, ma ci interessava conoscere quella parte della cordigliera che ci mancava, cosi dopo un primo sguardo sulla mappa, e procurate provviste, viveri e materiali par mmo con la nostra jeep (una Toyota 4x4 doppia cabina cassonata). Cercammo di coprire gli zaini e le altrezzature; sapevamo che il viaggio sarebbe stato lungo e tortuoso. Dopo aver superato le lagune di Llanganuco e il valico di Porta Cielo, scendemmo fino a Yanama e proseguimmo fino a Piscobamba, dove ci aspe avano i volontari OMG che ges scono questa parrocchia. Li ci sono una scuola di falegnameria, una scuola di insegnan di religione e un oratorio tra i primi avvia in Perù. A Piscobamba, da vari anni c'è Padre Paolo Pomoni, un prete dell'OMG na vo di Premana e una mia amica carissima Anna Metelli di Cazzago, che segue un proge o di carità volto a formare vocazioni di servizio per ragazze poverissime. Ci fermammo volen eri una no e, cosí ne approfi ai per disegnare una mappa a rilievo delle Ande viste da Piscobamba. 240


25 Il giorno seguente cominciammo il nostro viaggio verso Palo Seco e da li svoltando a sinistra, siamo entra su una stradina piena di buche; più avanzavo in jeep e più la strada da sterrata diventava una mula era, sempre più stre a, sempre più impervia. La strada sembrava interminabile, andavo piano, molto piano tra buche e pietre in mezzo alla mula era. Arriva nella prima spianata, incrociammo un pullmino (combi) che trasportava pecore sul bagagliaio: almeno una ven na. Proseguiamo il viaggio avventuroso, fino alla spianata terminale della Quebrada Tayapampa. In fondo alla valle decidiamo di installare il campo base, da cui par ranno le varie esplorazioni. Mon amo le tende, siamo pieni di polvere. Do un'occhiata intorno e trovo su una roccia una croce di ferro, lasciata a ricordo dei nostri connazionali bergamaschi cadu sui Pucajirka nel 1981: Tagliaferri, Maj e Piantoni. Volgo lo sguardo verso il ghiacciaio dei Pucajirka, mi sembra di vederli maestosi e severi. Penso a queste vite spezzate lassù, sulla parete nord che ha inghio to i loro corpi, rimas tra le pare di ghiaccio. Erano scampa alla tragedia solo due scalatori: Flavio Be neschi e Rocco Belingher. Anni fa era venuto anche Roberto Tagliaferri sulle orme sel suo papá. Rocco Belingheri, aveva 39 anni e Flavio Be neschi 27. Un'esperienza dolorosa che li segnò profondamente ma non mise la parola fine al loro dialogo con la montagna. Belingheri in par colare mise a fru o la sua esperienza e le sue conoscenze per le operazioni del Soccorso alpino, non lesinando mai preziosi consigli. (Ma con i Pucajirka restava un conto aperto). Infa nel 2001 una nuova spedizione scalvina (Bergamasca) si recò sui passi della prima, per ricordare i tre amici scomparsi; e tra i partecipan spiccavano oltre a Roberto, figlio di Livio, i due supers : Be neschi e lo stesso Rocco Belingheri. Anche in quell'occasione le condizioni si rivelarono sfavorevoli agli scalatori: oltre all'imperversare del maltempo si confermò l'instabilità della parete rocciosa: condizioni che resero impossibile raggiungere la ve a. Ma soltanto l'idea di incrociare nuovamente gli sguardi con i Pucajirka fu la dimostrazione di un coraggio e di un amore per la montagna che andava oltre il puro gusto della conquista. Il racconto della salita fino alla crepacciata terminale del Pucajirka Central, e l'avvistamento di alcuni pezzi di tenda che affioravano dal ghiacciaio, il tenta vo di avvicinarsi contro l'os co ghiacciaio che non perme e un passo in più…il ritorno dopo vari tenta vi, con gli occhi di Roberto che raccontano di questa tragedia che lui ha ancora nel cuore, come fosse successo da poco, nel ricordo vivo e nostalgico del suo papà, de avano l'intensitá del momento. Tento di immedesimarmi nelle sensazioni provate da Roberto, provo a immaginare la sofferenza per lui, per la sua famiglia. Il pensiero correva 241


sulle Ande, quasi a rincorrere il vento, le nubi, le creste delle montagne. Avevo la sensazione di volare nel tempo, di spaziare con la fantasia, di abbracciare le Ande in un profondo respiro. Cercai di appartarmi dal gruppo per recitare una preghiera, ma le immagini della sofferenza, del dolore, della bellezza della natura, della creazione, che celano il mistero della vita e della morte ebbero il sopravvento. Ascoltavo il rumore dei serracchi che cadevano uno dietro l'altro, quasi come in un concerto di rumori e suoni incrocia , mis ad un n nnio di gocce d'acqua caden , ma che rendevano il senso della maestosità di ques luoghi, dove il rispe o per gli APU, gli DEI oggi più che un tempo ha ancora ragione di esistere. Pensavo che questa gente poverissima vive ai piedi di montagne bellissime, ne ha rispe o; guarda i ghiacciai con un senso di riverenza, che noi occidentali abbiamo perso, e forse non ritroveremo piú. Come vorrei che su una ve a delle Ande ci fosse spazio per gli APU, gli DEI, e forse per DIO, lui che ha cercato in ques luoghi impervi, difficili da raggiungere, quasi dimen ca da tu , il riposo. Peró chi desidera cercarlo, deve me ersi in cammino, acce ando di soffrire. I pensieri mi avvolgono, mi prendono, mi confondono e scavano nella mia anima. Sono solo pensieri che cerco di trasformare in una preghiera, un dialogo come fosse un riflesso in uno specchio di acqua cristallina. Cosí con i nostri occhi possiamo scrutare l'universo intero, giusto per assaggiarne il senso di infinito. Ma...ritorniamo con i piedi per terra. Dopo aver montato le tende, accendiamo il fornello per preparare la cena. Poi a nanna. La no e sará fredda, la brina gelata fará da contorno alle nostre tende, e le coprirá con un velo di pa na nevosa. Al ma no seguente i nostri obie vi sono la laguna Safuna e il campo base Nord dell'Alpamayo. Par amo per la laguna Mesapampa propio so o il nevado Tayapampa 5675m. Ci avviciniamo alla laguna di un colore azzurro cristallino. Ci chiediamo se sia mai passato nessun uomo da qui, ci guardiamo intorno: la bellezza é impressionante. Cerchiamo di valutare eventuali possibilitá di ascesa sia del Tayapampa 5675m che dell'Alpamayo 5947m lungo il versante nord. Sappiamo che ci sono altri laghe , partendo sempre dall'inizio della laguna Safuna. Salendo lungo un versante molto impervio si potrebbe arrivare alle lagune di Llullacocha, Pucacocha e Quitaracsa. Lasciamo questa ispezione per i giorni seguen . Ritorniamo a valle e ci organizziamo per la cena...poi in tenda a dormire...Il giorno dopo dobbiamo raggiungere il passo di Gara Gara 4830m e vedere se da lí é possibile entrare con portatori e asini fino ai peidi della parete Nord del Nevado Santa Cruz (questa potrebbe essere una possibilitá remota, ma questo ci perme e di raccogliere da u li per la futura spedizione, comprese varie fotografie dei massicci dei Pucajirka, dell'Alpamayo visto da Nord, del Santa Cruz e del Quitaraju visto sempre da nord ). Al passo Gara Gara, facciamo un sacco di fotografie e alcuni di 242


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noi scendono fino alla laguna Jancarurish, poi ritorniamo dalla stessa via di salita. L´ispezione é a buon punto, siamo concordi che i da in nostro possesso sono piú che sufficien ; abbiamo raccolto anche da in piú per ulteriori spedizioni. Valerio mi dice che il giorno dopo vorrebbe con Elias e Lucio Foliman andare a misurare il ghiacciaio dei Pucajirka fin dove possibile e lasciare dei segnali, per osservarne negli anni il graduale ri ro, dato che questa parte di ghiacciaio é monitorata dall'Is tuto Glacieologico Peruviano, cosí si potrebbero confrontare da e aggiornare il loro censimento. La ma na seguente mi offro per portarli fino all'inizio del sen ero con la jeep 4x4 in modo da accellerare un pó le cose, memore del fa o che la strada di ritorno verso casa é molto lunga e tortuosa. Sono le 7 del ma no quando Valerio e gli altri si preparano a par re. Accendo la jeep 4x4; sul vetro c'é una pa na di ghiaccio durissimo. Cerco di pulire come posso; dobbiamo aspe are un a mo in a esa che il motore si scaldi...verso le 7,30 par amo. Infilo la mula era che porta all'inzio della laguna Safuna. A volte ci dobbiamo fermare per togliere dei sassi. Arriviamo dove finisce la sterrata, c'é un piccolo spazio di manovra per fare retromarcia e girare la jeep per la discesa, scendo dalla jeep, ro il freno a mano e dico a Elias di me ere so o una pietra. Non spengo la jeep perché deve sciogliersi il ghiaccio dai vetri...non ho ancora finito di parlare che vedo la jeep andare avan pian piano, cerchiamo tu e 4 di fermarla come possiamo, ma il peso della jeep é tale che viene trascinata in un dirupo, la vedo cadere e rotolare per almeno 20 metri...sono disperato... cosa facciamo adesso ? Il primo villaggio é a due giorni a piedi da qui...cosa facciamo...come facciamo con tu e le ve ovaglie, le tende, le pentole, la bombola del gas...Scendiamo lungo il dirupo...siamo senza parole; la jeep é ferma sul fianco; il motore durante la caduta si é spento...la carrozzeria é schiacciata, la parte del conducente é completamente accartocciata...cosa facciamo? Dobbiamo rime ere la jeep in asse a terra con tu e le ruote: spos amo dei massi, facciamo leva con un palo recuperato da una pianta. Dopo alcune manovre, la me amo in asse. Ora pensiamo al motore, se funziona in qualche modo reremo fuori la jeep da questo buco, aspe amo almeno 30 minu , sono interminabili, il pensiero é “se non parte siamo frega ” . Intanto guardiamo le gomme, ci accorgiamo che una ruota é scoppiata e l'altra si é bucata, entrambe si sono forate nell'impa o a terra. Abbiamo solo una gomma di scorta. Ci guardiamo in faccia, non possiamo pensare di affrontare la mula era con una ruota bucata, non ci riusciremo mai. Corrono i pensieri, le idee, le soluzioni...poi come per magìa, ci viene in mente che nell'andata avevamo incrociato una “combi” carica di pecore, che venivavo acquistate nella piana di Tayapampa, proprio dopo l'ingresso da Palo Seco. Ci guardiamo in faccia. L'idea é di chiedere aiuto al propietario del pulmino, sperando 243


che oggi sia li per acquis . Lucio Foliman, il piú veloce tra noi, parte alla ricerca. Noi intanto cercheremo di rar fuori la jeep dalla valle a. Dopo 30 minu infini , provo ad accendere la jeep; il primo tenta vo é nullo, ma...al quarto, quasi ormai dato per inu le, il motore inizia a girare. Ce l'abbiamo fa a...ma adesso come facciamo a rarla fuori da qui ? Mi ricordai che avevo due pale degli alpini dietro il sedile dei passeggeri e una corda da traino; le trovammo. Con esse, in uso a forma di piccozza, cercammo di capire quale fosse la via migliore per uscire dalla valle a sulla terraferma. Avanzavamo piano. Intanto confidavamo in Lucio, che riuscisse in qualche modo ad incrociare la famosa combi bianca: a mezzogiorno, eravamo quasi a tre quar dell'opera. Spostavamo pietre, anche macigni grossi pur di farci strada, avanzando tre metri alla volta; ci voleva il suo tempo. Il morale della truppa era buono: si rideva, si scherzava, anche per assopire le tensioni. Era circa mezzogiorno quando Lucio ci chiama con la radio e ci dice che ha incontrato la combi e che il proprietario ha una ruota di scorta da prestarci. Ci sembra strano che una combi abbia gli stessi cerchioni della Jeep, ma gli diamo l'ok di venirci incontro; chiediamo se l'au sta ce la fa ad arrivare fino al campo base. Noi intanto proseguiamo con le manovre di recupero. Verso le 14 siamo a des nazione. Poco dopo arriva la combi; ci fanno vedere la ruota: il copertone é piú liscio di un pallone di cuoio, ma non ci sono alterna ve. L'au sta vuole per l'affi o della ruota 20 soles, che non esi amo a dargli. Increduli res amo d'accordo con l'au sta della Combi che gli consegneremo la ruota a Pomabamba appena arriveremo; gli chiediamo di accompagnarci almeno fino a Palo Seco. Me o le moffole di cuoio di Valerio, poi la sua casacca; temo che avró freddo guidando perché il vetro é andato in frantumi. Par amo: davan a noi c'é la combi bianca, ma arriva alla valle di Palo Seco, il mezzo si ferma per caricare altre pecore e noi proseguiamo, dato che andiamo a passo di lumaca. Ci vorrá molto tempo prima di arrivare a Pomabamaba. Sono circa le 22 quando entriamo in paese e cerchiamo subito un gommista, che acce a di sistemarci le ruote per il ma no seguente. Acce amo; res tuiamo la ruota al propietario della Combi, che nel fra empo ci ha raggiunto e ringraziamo di tu o l'aiuto ricevuto. Intanto cerchiamo una be ola per dormire: la troviamo e ci infiliamo nel le o, senza mangiare, senza lavarci, senza ves di ricambio...stanchi mor ... Ricordo che non riuscivo a prender sonno; con nuavo a pensare a quello che ci era successo e a come, in qualche modo fortuito, ne eravamo riusci sani e salvi. Mi giravo e rigiravo nel le o, pensavo a Marina, a come avrei dovuto raccontarle questo rocambolesco incidente. Il ma no seguente, mon amo le ruote, carichiamo il serbatoio di benzina a par amo: con ro a Marcará. Il mone di guida sembra che non abbia avuto ro ure, avanziamo a passo lento, incrociamo i vilaggi di Piscobamba, 244


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Lucma e Llacma, superiamo il rio Yurma, e giugniamo a Tomanga. Decidiamo di salutare padre Ugo; io sono molto imbarazzato. Qui a Tomanga, c'é Marta Ferraboschi dietro i fornelli e 200 ragazzi che stanno partecipando al ri ro spirituale organizzato da Padre Ugo e Padre Luca Bergamaschi. Salu amo Padre Ugo, gli raccon amo un pó imbarazza il nostro incidente e riprendiamo il nostro viaggio. Iniziamo a salire verso Yanama, proseguiamo verso la quebrada Morococha, Vaqueria e passo di PortaCielo de Llanganuco 4767m. Comincia a piovigginare; le gocce di acqua sono fredde gelide, come neve; ba o i pugni tra una presa del volante e l'altra, sulle gambe ci siamo messi un materassino. Procediamo a passo d'uomo anche se conosco quel tra o di strada a menadito. Valerio é silenzioso, anche lui infreddolito; siamo in una posizione scomoda, non si riesce nemmeno a muoversi, come imprigiona in uno scafandro. Scendiamo lungo i tornan che portano alle lagune di Llanganuco, ma non abbiamo tempo per guardarci intorno. Avanziamo a testa bassa, anche perché é l'unico modo per guidare, scrutando a raverso la piccola fessura che é rimasta nell'obló davan . Dopo varie ore arriviamo alle lagune di Llanganuco, incrociamo il camion della parrocchia che sta andando a Tomanga con le ragazze del taller di Huaypan. Sul camion c'é anche mia figlia Marta, che salu amo dal finestrino. Lucio, da dietro, le grida “Mar ta, todo perfecto !!!”. Questo urlo di Lucio fu come una liberazione; ci siamo messi tu a ridere: ruppe quel senso di more e paura che ci aveva pervaso da un bel pó. A Yungay la strada era migliore, sopra u o asfaltata, dri a, fino a Marcará. Chissá che sorpesa per Marina, che era ignara dell'accaduto. Appena giun a casa i ragazzi scesero dal cassone posteriore e rarono il filo della campana: Marina aprí il portone e si trovó davan una sorpresa inaspe ata...la macchina schiacciata, ma noi sani e salvi. Tiró un sospiro di sollievo. Fu cosí che riportammo a casa la jeep e la pelle nella spedizione esplora va ai Nevados Pucajirka e Santa Cruz.

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PerĂš - Quebrada Tayapampa al fondo i ghiacciai di 6000 metri del massiccio dei Pucajirka

Verso la Laguna Safuna entrando nel villaggio di Piscobamba dopo 10 ore di viaggio da MarcarĂ

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La squadra dopo il recupero della jeep nei pressi della Laguna Safuna - sullo sfondo il massiccio dei Pucajirka PerĂš - Cordillera Blanca - ultimo tiro di corda lungo la variante dedicata a "Roman e Helene" sul Santa Cruz Central 6259m

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Expé Perú Patagonia 2006

Nel 2005 tra una spedizione esplora va e no in tenda, a Valerio Bertoglio e altri amici, balenó l'idea di portare le giovani Guide Don Bosco dal Perú sino in Patagonia prendendo a noleggio un mini-bus. L'idea ci pareva geniale. Valerio Bertoglio, Luciano Colombo e Franco Michieli erano entusias , Padre Topio e Domenico Gaggini si aggregarono fin dagli inizi e cosi via altri amici dell'OMG che volevano condividere con noi questa idea al quanto bizzarra. Volevamo far conoscere l'intera Cordillera delle Ande alle nostre giovani guide, portandole fino alla Terra del Fuoco, facendo tappa nei luoghi piú significa vi delle Ande: avevamo calcolato due mesi di spedizione, tra spostamen , obie vi ed esplorazioni. Cosí nel gennaio del 2006 par da Marcará la prima spedizione italo/peruviana in Patagonia, l'obie vo era scalare la Gorra Blanca, tentare il Fitz-Roy e il Cerro Poinchenot, partendo da El Chalten in piena Patagonia Vieja. Pensavamo anche di raggiungere Ushuaia e spingerci nelle valli trasversali, per poi risalire l'intera Argen na e raggiungere Mendoza, tentando il Cerro Aconcagua di 6960m, come ul mo e ambizioso obie vo. Un proge o sui generis; in tu o eravamo 24 persone, di cui 14 ragazzi peruviani e 10 italiani tra cui Valerio Bertoglio e Luciano Colombo, che mi aiutavano nella logis ca della spedizione. Par il 4 gennaio 2006 da Marcará con il minibus ci fermarono alla fron era Perú-Cile per mancanza della oja de ruta (carta dell'i nerario in territorio cileno), un foglio rilasciato dal ministero dei traspor peruviano che indica il percorso che volevamo 248


26 effe uare in Cile e Argen na. Nel percorso vanno indica i luoghi, i valichi di fron era (con nome) e i pun tappa giorno per giorno. Dove tribolare parecchio per o enerlo, nonostante i conta con il Ministero degli Esteri Peruviano e avessi giá o enuto il permesso per entrare in febbraio al Parco Regionale Aconcagua con una sorta di bonus. Non fu facile o enere la oja de ruta; i funzionari peruviani erano in vacanza. Dove fare un sacco di telefonate e mobilitare mari e mon , finché mi girarono un fax che dava l'ok per entrare in Cile. Mancava peró l'i nerario in Argen na, e cosí cominciammo l'avventura. Entrammo da Arica. Da lì in poi i miei ragazzi erano considera dei migran in cerca di fortuna. Si sa che il Cile vive di una solida economia ed é tra i paesi emergen in America La na, molto piú ordinato del Perú. Dopo tan anni di regime di Pinochet, il Cile ha risalito la cresta dell'economia e delle finanze, posizionandosi ai primi pos in Sud America. L'economia é basata sull'agricoltura, la pesca, la produzione di legname e di vino con grandi distese di vigne . Mol sono i por di mare adibi alla pesca. Nella parte sud della lingua cilena, troviamo luoghi di interesse turis co molto belli e sugges vi. Cosí entrare in Cile per i miei ragazzi fu la scoperta di un nuovo ambiente e un approccio ad una nuova mentalitá, sicuramente aperta e piú dinamica. Le nostre tappe erano San ago, Concepcion e Osorno. A Concepcion, all'universitá Bio Bio ad aspe arci c'era un nutrito gruppo di universitari con cui avevamo stre o amicizia anni prima, a causa di un recupero in alta quota operato dalle guide Don Bosco, sulla parete sud del Huandoy, dove tre loro compagni avevano perso la vita nell'intento di salire lungo la parete sud. Una scarica di ghiaccio e neve li aveva travol : i tre ragazzi erano mor sul colpo; per recuperarli ci voleva un'equipe veloce e a rezzata. Mobilitarono il corpo Nazionale di Soccorso Andino con sede a Yungay, senza o enere grandi risulta . Così dal Rifugio Pisco le Guide Don Bosco si organizzarono per i soccorsi. La squadra era capitanata da Quique: era veloce e in un giorno avevano giá trasportato, dalla base della parete sud del Huandoy, due corpi. Mancava il terzo, Intanto gli uomini del soccorso andino si preoccupavano di trasportare i corpi dal Rifugio Pisco fino a Cebollapampa. Fu un momento duro e tragico per tu noi, ques ragazzi dell'universitá Cilena Bio Bio di Concepcion avevano la stessa etá delle nostre guide, avrebbero potuto essere amici, compagni di cordata. Dove avver re una delle mamme dei ragazzi, in Cile. Con parole di profondo cordoglio mi toccó dare la tragica no zia. Non fu facile per me guardare in faccia la morte. Mi chiesi piú volte dove fosse DIO, dove fosse l'anima dei tre ragazzi, perché Dio li aveva volu prendere con sé. Ancora oggi me lo chiedo. “perché?” I loro amici ci raccontarono di loro, di come erano, dell'amore per le montagne e la vita, dei loro sogni e speranze. Fu cosi che nel viaggio in Cile, facemmo tappa a Concepcion per incontrare i ragazzi supers della spedizione, i loro amici, e al cimitero per dire una preghiera 249


tu insieme ai tre ragazzi cileni cadu sul Huandoy. Per fortuna abbiamo fa o tappa a Concepcion, dove parlando con i ragazzi universitari, scoprimmo che per passare la fronera tra Cile e Argen na, al passo del Cardinal Samoré, dovevamo avere oltre alla oja de ruta, anche la revisione aggiornata del bus. Non c'erano alterna ve, bisognava farla. In Cile revisionano solo i bus cileni e non peruviani. Per fortuna uno degli universitari si adoperò per farci fare una revisione straordinaria del nostro "PODEROSO" bus in fre a e furia. Arriva a Osorno ci siamo infila in un ostello di fortuna per una no e. Il giorno seguente era la prova del nove; ma la oja de ruta per passare il valico di fron era non era ancora arrivata via fax. Alle 22,15 squilla il fax, e pian piano vedo stamparsi la nuova oja de ruta; un grande sussulto di gioia poi...tu a dormire con maggior serenitá. Il giorno successivo arriva al passo del Cardinal Samoré ci fermano i gendarmi; ci fanno scendere, controllano i documen e i vari fogli e ojas de ruta, la revisione del mezzo, ci fanno svuotare il mini bus nel parcheggio; i cani an droga salgono come da copione. Tu o a posto; via, giú fino a Bariloche. Passato il valico di fron era, ci siamo immersi in un bellissimo bosco di pini, abe , con una vista spe acolare su alcuni laghi, via via che scendevamo la vista spaziava e la vegetazione diventava sempre piú rigogliosa. Il cielo era senza nuvole; la luce del sole sembrava volesse abbracciarci e scaldarci. Fu una sensazione dolcissima. Arrivammo in serata a Bariloche, dove avevamo prenotato un alloggio presso la comunitá Salesiana. Ci diedero una stanza nuda, senza materassi, senza sedie, senza niente; per fortuna avevamo tu o l'occorrente per dormire: materassini e sacchi a pelo. Ci organizzammo alla bell'e meglio. La sera andammo a cena in un ristorante del posto. Passeggiando per le vie di Bariloche scoprimmo quasi subito che questo era un posto frequentato dagli sciatori (a Bariloche si allenano varie squadre di sci nel periodo da giugno a se embre). Dopo una salutare dormita, l'indomani riprendiamo il viaggio lungo la RUTA 40, non asfaltata fino a El Calafate, dove ci aspe ava il resto della spedizione arrivata in aereo dall'Italia. Arrivammo la sera, stanchi, dopo aver mangiato polvere, e superate le buche lungo la strada. I ragazzi erano stanchi, bisognava rincuorarli, mancava ancora un giorno per arrivare a El Chalten che sarebbe stato il nostro campo base per le prossime se mane. A El Calafate, ci raggiunse il gruppo di scaltori Italiani tra cui Enrico Rosso. Li iniziammo a studiare i percorsi da effe uare. L'indomani par mmo per El Chalten. Il tra o di strada era breve circa 3 ore di bus comprese le soste per fare fotografie. I ragazzi avevano fa o un corso di fotografia e nonostante fossero stanchi, erano carichi di desideri e di sogni. Ben presto saremmo arriva ai piedi del Fitz-Roy, del Cerro Torre e della Poinchenot. Arrivammo a El Chalten nel pomeriggio. Subito i guardaparco ci fecero un breefing spiegandoci come me ere i mozziconi delle sigare e dentro i porta rullini delle macchine fotografiche, dove andare 250


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ai servizi e che i rifiu andavano porta a valle. La lezione fu in inglese e in spagnolo. L'ufficio informazioni era arricchito da bellissime fotografie del Cerro Torre e Fitz-Roy con i nomi di Salvaterra, Sarchi e Mauri e mol altri scalatori che hanno fa o la storia di memorabili imprese alpinis che. Mi chiesi se per scalare queste montagne ogni volta bisogna fare una trafila cosí lunga e noiosa; mi riferivo al viaggio, ai documen che ho dovuto riempire, ai moduli che ho dovuto firmare, alle pra che ammisitra ve che ho avviato...insomma, c'era piú carta che sogni, ma adesso era arrivato il momento di abbandonare la burocrazia e cominciare a sognare ad occhi aper . Da dove cominciamo? Questa é la domanda che fai a El Chalten, quando guardi intorno e vedi solo montagne magiche, bellissime, uniche, che hanno ispirato i grandi nomi dell'alpinismo di tu o il mondo. Ricordavo il film “Grido di Pietra” di Herzog, le storie narrate nel libro di padre Alberto Maria De Agos ni “Trenta años en la Tierra del Fuego”, con le prime fotografie agli inizi del secolo scorso che ispirarono Cesare Maestri a sfidare il Cerro Torre. Qui ci sen vamo immersi nel paradiso, tra le montagne piú superbe e difficili del mondo, a un passo dai loro campi base, a un passo dalla storia. Le leggende raccontate e narrate nei libri, nei film, nei documentari ora lasciavano il posto alla realtá: eravamo lí, i nostri occhi, il nostro cuore. A noi toccava scrivere qualche cosa di nuovo tra le righe di queste montagne superbe. Ero passato dalla Patagonia nel 2000 con un gruppo di miei compaesani di Bornato, in un viaggio di 15 giorni sul lato cileno, ed ero arrivato fino alla base delle Torri del Paine. Sono rimasto così ammaliato, ed ho immaginato che anche i mie ragazzi peruviani avevano il diri o di vedere almeno una volta queste montagne, poterle sfidare, peterle fototografare, poterle ammirare nella loro essenza e bellezza. El Chalten ci regaló dei giorni bellissimi; poco vento, nessuna nube, raggi di sole che scaldavano il cuore; tu o sembrava preparato per noi, per accogliere questo gruppo di scalatori-viaggiatori-pellegrini arriva dal lontano Perú, in un viaggio che ha del rocambolesco e dell'incredibile. Per raccogliere i soldi per questa spedizione mobilitai il mondo intero. Amici, paren e simpa zzan , tu si unirono in una cordata dal sapore an co: questa non era una spedizione commerciale, non era nemmeno una spedizione andinis ca nel vero senso del termine, piu osto una spedizione esplora va. La figlia di Valerio Bertoglio, Mar na disegnó un acquerello che divenne una cartolina con la scri a “Don Bosco sognó le Ande Patagoniche che oggi i suoi figli scaleranno”. Da El Chalten ne spedimmo 1800 ringraziando chi ci aveva aiutato. Anche i materiali furono raccol da vari amici dell'Operazione Mato Grosso per far sí che la spedizione potesse par re. Fu grazie alla volontá di mol che riuscimmo a muoverci e a pagare tu e le spese del viaggio. Avevamo ipo zzato di scalare solo il Fitz-Roy come fiore all'occhiello della spedizione.

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Dal diario di Luciano Colombo si vede che l'a vitá svolta é andata ben oltre le nostre aspe a ve. Fino al giorno 3 febbraio 2006 sono state scalate le seguen cime: Pliege Tumbado Poincenot per la rampa Williams da Enrico Rosso, Amador Maquin e Hector Vidal (grande performance) Cerro Solo Aguille de la "S" Cerro Madsen Cerro Electrico E´ stato tentato il Cerro Fitz Roy, la ma na presto par rono due cordate per a accare il Fitz-Roy, poi in realtá, il gruppo di testa composto da Enrico Rosso, Amador Maquin e Hector Vidal, al momento di affrontare la Sella degli Italiani, anziché superarla la cordata prese la sinistra orografica, dirigendosi verso la rampa Williams, e pian piano li abbiamo vis sparire lungo la canale a di neve esposta. Io e Valerio eravamo alla laguna de Los Tres; da lí con il binocolo seguivamo la salita, passo dopo passo della cordata dei tre. Avevano una radio con sé ed eravamo d'accordo che avrebbero tentato un collegamento prima che calasse la no e. La cordata sparí dietro la rampa, era giá invisibile. Sapevamo che ci voleva parecchio tempo per superare la via e raggiungere la ve a della Poinchenot. Calava la no e, non arrivavano informazioni rassicuran ; aspe ammo fino alle 00,30. Quando calano gli ul mi raggi di luce, alla laguna de Los Tres, fa freddo. Fortunatemente c'era poco vento: questo fu un vantaggio, ma la preoccupazione aumentava con il passare delle ore. Verso le 2 del ma no, decidemmo di scendere al campo base Poinchenot dove avevamo le tende montate, cerchiamo di dormire per quel che si puó...ma non é facile chiudere gli occhi quando non sai cosa sta succedendo lungo la rampa Williams. In quei momen ho la sensazione che il tempo s a rubandoci la speranza. Le domande sono con nue. Cosa sará successo? Mi venivano alla mente le raccomandazioni della salita, prudenza. Cosa faremo domani alle prime ore dell'alba ? Ci muoveremo con i soccorsi; dove inizieremo le ricerche? Su tu i fron ...il sonno non arrivva, chiudiamo gli occhi per far finta di non pensare. Alle prime ore dell'alba, sento la radio che singhiozza: ecco la trasmissione che abbiamo a eso tu a no e; é Amador che parla: “estamos bien, hemos vivaqueado en la cumbre, ahora bajamos”. Una boccata di aria cosi pura non l'avevo mai respirata; una vera boccata di ossigeno pulito e di...serenitá. Fu commovente riabbracciarli tu e tre; avevo da rimproverare tante cose, ma al momento di rivederli sani e salvi, tu e le arrabbiature della no e svanirono. La nostra spedizione poteva proseguire. Dovevamo raggiungere lo “Hielo Con nental”. 252


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Pensavamo di facela in pochi giorni; avevamo viveri calcola a misura per i giorni della traversata. Da Piedra Del Fraile avremmo dovuto proseguire in completo s le alpino (senza l'uso di muli o portatori). Arrivammo al campo e il giorno successivo inizió una pioggerellina insistente e fas diosa. Pensammo saggiamente: “domani si parte”. Ma purtroppo il giorno seguente fu peggio, aveva piovuto tu a la no e e la ma na stava ancora piovendo, intanto stavamo u lizzando i viveri al campo base e quindi sarebbero scarseggia sullo Hielo Con nental. Aspe ammo ancora un giorno, intanto cercavo di capire l'umore della truppa, i ragazzi peruviani cominciavano ad essere stufi della pioggia, Luciano Colombo e Valerio Bertoglio capivano che cosi non potevamo andare avan, tra l'essere bagna fradici, le tende inzuppate, i sacchi a pelo imbra a di umiditá. Dovemmo scegliere se proseguire verso il Passo Marconi o scendere a valle e dividerci in due gruppi. Alcuni volevano ritornare al Passo Marconi, altri proseguire fino alla Terra del Fuoco, raggiungendo Ushuaia come da copione. Organizzammo una riunione veloce. Nel fra empo tre della nostra spedizione tra cui Michael Araya, Maximo Espinosa e Bruno Giovanne erano par tre giorni prima con ro a Ushuaia in mountainbike, senza lasciare tracce di se e senza coordinare alcunché con noi, cosí da farci stare sulle spine, pensando al modo di recuperarli. Non ci pensammo due volte: Andiamo a Ushuaia a riprendere i ragazzi; era anche l'unica occasione di poter a raversare la Terra del Fuoco con il nostro minibus e calpestare il suolo della ci á piú a sud del mondo. Par mmo dividendo il gruppo in due, il gruppo di Italiani capitanato da Enrico Rosso ritornó con nuovi rifornimen verso Piedra del Fraile, Passo Marconi, con l'intenzione di atrraversare parte dello Hielo Con nental, mentre noi par vamo con ro a Ushuaia. Dal diario di Luciano Colombo: è andata a buon fine la traversata dello Hjelo Con nental, e la nuova salita sul Cordon Mariano Moreno. Il gruppo formato da: Enrico Rosso, Franco Michieli, Domenico Gaggini, Davide Cola, Sergio Visinoni e Donatella Barbera è par to il giorno 29 gennaio da Piedra del Fraile (Pietra del Frate - an co accampamento di Padre Alberto de Agos ni). Raggiunto Passo Marconi ed entrato quindi sul Ghiacciaio Con nentale Patagonico, il gruppo si è dire o al Nunatak Wi e (Nunatak è un termine groenlandese che definisce un'isola rocciosa in mezzo ai ghiacci), ai piedi del "Cordon Mariano Moreno". Fa a base al Nunatak, il giorno 31 gennaio è par ta l'ascensione che aveva come obie vo un evidente sperone che conduce ad una cima probabilmente innominata (magari il nome lo proporremo noi!). La via che ha cara eris che di grande classica alpina, si svolge per circa 700m fino alla cima. La via, in tolata alle "Guide di Marcará", propone un alpinismo esplora vo e cos tuisce 253


una prima ricognizione del gruppo di alpinis impegnato nel proge o dell'Operazione Mato Grosso sul Cordon Mariano Moreno. In questo gruppo di magnifiche e poco esplorate montagne si sono infa ipo zza interessan proge per il futuro. Lo "sperone delle Guide di Marcará" potrà diventare una classica per chi vorrà abbinare ad una traversata sullo Hielo Con nental anche una scalata, unendo cosí l'immensità della dimensione orizzontale del Ghiacciaio Con nentale Patagonico anche quella ver cale delle sue magnifiche ed inesplorate montagne. Il gruppo ha poi raggiunto il "Paso del Viento", passo d'uscita dalla zona del Ghiacciaio Con nentale, ed è quindi rientrato senza problemi alla base di El Chalten. Con il gruppo Hielo Con nental ci saremmo poi dovu incontrare al ritorno a Mendoza, per effe uare la scalata all'Aconcagua come meta finale della spedizione. Avevo o enuto dal governo peruano, che si era messo in conta o con i dirigen del Parco Regionale Aconcagua, 16 permessi gratui da u lizzare a febbraio. Un colpo di fortuna e buona intuizione hanno fa o sí che tu o cadesse a regola. Cosí, arriva a Ushuaia, raggiungemmo il gruppe o dei tre in “fuga” e ricompa ai la squadra dei ragazzi “Guide Don Bosco”. Una visita alla ci á e alla parte alta della montagna per poi, il giorno seguente, dividerci in tre gruppi e immegereci in tre vallate differen , alla ricerca di quache ve a inesplorata. Avevo le o “Terre Patagoniche” di Padre Albero Maria de Agos ni che descriveva Ushuaia e il Cerro Olivia, da cui vedeva una valle inesplorata davan a se; la valle del Carabajal, una valle abitata solo da castori distru ori e piena di fanghiglia nascosta so o un velo di erba verdastra. Ci incamminammo in completo s le alpino, ignari di cosa ci aspe ava. Incontrammo alberi rosicchia dai castori, piante abba ute, mon coli di legname misto a sterco di animali. Ci addentrammo nel bosco. Poi nella valle a destra, il primo gruppo dove e guadare un torrente. Noi proseguivamo e dopo il folto bosco, cominciammo ad a arversare un terreno melmoso; man mano che ci allontanavamo dal bosco, sprofondavamo sempre di piú nella melma, all'inizio fino alle caviglie, poi fino alle ginocchia. Sporchi, inzuppa , stanchi, arrivammo ad un fiume da guadare. Passarono prima Eleazar Blas e Amador Maquin Figueroa, poi Luciano Colombo, io e Valerio Bertoglio. Ora dovevamo salire al campo base improvvisato che abbiamo chiamato Mosca Loca, per la presenza di mosche fas diosissime che poi abbiamo allontanato accendendo un fuoco. Faceva freddo; i raggi del sole erano ormai lontani: bisognava asciugare le calze, i pantaloni, le scarpe inzuppate. Non avevamo portato mol cambi. Ricordo che facevamo a turno ad asciugarci. Luciano armeggiava per fare una specie di stendipanni; altri montavano le tende. Il giorno seguente avremmo dovuto affrontare una montagna senza nome, 1258 metri di altezza. Non conoscevamo la via, tra il bosco e la cresta; dovevamo arrangiarci 254


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come potevamo; fortunatemente Luciano Colombo aveva buone nozioni di orientamento. Il giorno dopo tentammo la salita al cerro senza nome; in ve a arrivarono Luciano, Valerio, Amador, Elias e Blas. Trovarono un cordino lasciato da qualche scalatore, che giá aveva raggiunto la ve a prima di noi, ma non era stato registrato alcun nome all'ufficio turis co di Ushuaia. Cosí decidiamo di ba ezzare la ve a Cerro de Censi in onore a Padre Ugo de Censi. Mancava questo nome tra i salesiani famosi nomina sulle montagne della Patagonia: il Cerro Don Bosco, Cerro Fagnano e Cerro Cagliero. Ai piedi del Cerro De Censi, Luciano e Valerio misurarono un ghiacciaio anonimo che ba ezzammo Glaciar Valtellina. Tornare a Ushuaia alleggerí molto il nostro spirito. Eravamo tu sani, il morale era buono. I ragazzi erano orgogliosi di aver ba ezzato una montagna con il nome di Padre Ugo. Non si possono capire queste emozioni se non si vivono fino in fondo e sopra u o se non si é dispos a soffrire e condividere le gioie e le fa che con ques giovani. Si rischia di rimanere in superficie, se non ci si addentra nel mondo di povertá e incertezza che ques ragazzi si portano dentro fin dalla nascita. Dal diario di Luciano Colombo: Altra vi oria del gruppo di Ushuaia sulla cima senza nome del gruppo del Cerro Colorado, nella valle selvaggia del Carbajal; sono state aperte due vie diverse nonostante il tempo poco clemente. I nomi dei salitori sono: Hector Vidal Lopez Elias Flores Maximo Espinosa Valerio Bertoglio Luciano Colombo per la via della "canaleta" (via di V dire a) Amador Maquin Figueroa Eleazar Blas Blas Carlos Flores Colonia per la via della "grieta terminal" (via di IV normale) La descrizione delle vie e il nome della cima vengono deposita presso le autorità locali. I da geografici del Cerro De Censi sono i seguen : S 54º 40,176' W 068º 17,475' Altezza 1258 m.s.l.m. 255


La cima conquistata "Cerro De Censi" é in onore di padre Ugo De Censi SDB. Fondatore e anima del movimento Operazione Mato Grosso che lavora instancabilmente da piú di mezzo secolo nelle regioni più povere tra Perù, Bolivia, Brasile, Ecuador e Bal more (USA) con innumerevoli opere a favore dei giovani e dei più indigen . Entrambe le vie hanno accesso a raverso una cresta lunga 2 Km di roccia friabile di 1º e 2º grado che ha portato dire amente alla porzione superiore del ghiacciaio in destra idrografica laterale. Sono sta anche ba u con il GPS i pun principali per determinare la superficie del ghiacciaio so ostante anch'esso non inserito nella cartografia ufficiale. Al ghiacciaio è stato posto il nome di Ghiacciaio Valtellina, la valle che ha dato i natali al Padre Ugo. Da Ushuaia via ... fino a Mendoza. Il viaggio era lungo: bisognava fare alcune tappe, per riposarci, mangiare, dormire. Cosí ci siamo organizza e abbiamo deciso di dormire nei parcheggi dei distributori di benzina, perché sicuri e gratui , u lizzando materassini e sacchi a pelo. I chilometri da macinare erano tan ssimi e quindi dovevamo stringere i den a enendoci al programma. Dopo parecchie tappe siamo arriva a Mendoza. Finalmente, un piccolo hotel nei pressi della zona vicino ai terminal degli autobus, doccia e le riposan . Il giorno dopo ci recammo agli uffici del Parco Regionale Aconcagua, per formalizzare la richiesta dei permessi gratui che avevo giá inoltrato al Ministero degli Esteri Peruviano. Avevamo con noi anche un fax nel caso ci fossero sta dei contra empi e inconvenien . Infa il fax fu d'aiuto e fu tu o piú facile e veloce. Purtroppo eravamo in 22 e non in 16 a entrare nel Parco Regionale. Cosí alcuni Italiani dove ero pagarsi l'ingresso (eravamo in bassa stagione e se la cavarono con qualche cen naio di dollari). Il giorno seguente par mmo per Penitentes. Prendemmo conta o con i conducen muli per inviare le ve ovaglie e le tende fino a Plaza de Mulas. Dal diario di Luciano Colombo. Eccezionale l'a vità svolta su questo massiccio, il più alto delle due Americhe, così racconta Valerio Bertoglio. Abbiamo bivaccato nel “Viento blanco” a -15º, a 5300 metri, senza niente, abbiamo visto la vita sfuggirci. Con Padre Topio, sacerdote dell'Operazione Mato Grosso che ci ha accompagnato in spedizione, il 18 febbraio siamo par un po' alla buona, sul tardi per scalare il Cerro Cuerno (5300) 600 metri di dislivello sul ghiacciaio e quindi per cresta in ve a. Ma i ghiacciai qui hanno conformazioni stranissime: sono un susseguirsi di stru ure di 2-3 metri di altezza, pos in fila a mezzo metro l'una dall'altra. Li chiamano penitentes e camminarci in mezzo è una vera penitenza perchè li abbracci, li rompi, li scali. Giun al colle est, il tempo cominciava a 256


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peggiorare e decidemmo di rientrare per la cresta che porta al Nido de Condores. Alle 17 un fulmine sfiora Padre Topio; ge amo le piccozze, ci accovacciamo per terra e poco dopo inizia la bufera. Riusciamo a ripararci in un corridoio tra i penitentes, e sarà la nostra salvezza. Con lo yoga per scacciare un pó il freddo, la preghiera e i raccon della nostra vita, riusciamo a non addormentarci e superare la no e. Ci siamo aiuta a restare calmi, a restare fermi, a respirare in modo regolare e a far circolare il sangue in tu e le par del corpo. In una no e così piena di angoscia c'é il tempo per pensare alla vita, c'è tempo per desiderare di vivere ancora, di pensare ad ogni persona cara e a chi avrebbe sofferto una morte così. Resis amo. La neve ci ha coper , poi è arrivata la luna e con essa, il freddo, il gelo. Tremiamo, ma non possiamo ancora muoverci, non c'é abbastanza luce e non conosciamo la via; dobbiamo aspe are l'alba. Riprendiamo la cresta tra canali di penitentes e pinnacoli rocciosi. Intanto si sono mossi, dal basso, Amador e Blas per rifare la nostra via e dal Nido de Condores ci sono venu incontro Quique, Carlos e Miguel. Giun a Nido de Condores scendiamo per la via normale dell'Aconcagua e nel pomeriggio arriviamo a Plaza de Mulas. Intanto i ragazzi, li chiamo ragazzi ma sono guide di alta montagna, hanno salito, chi in un giorno, chi in due, la via normale dell'Aconcagua partendo da Plaza de Mulas. Ancora non sappiamo cosa ci aspe a: tra qualche giorno JAIME compirà sull'Aconcagua un'impresa che resterà nella storia...

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Fasi organizzative al campo base di El Chalten in Patagonia

Ll gruppo dei Salesiani durante la spedizione PerĂş-Patagonia

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Verso il Cerro Poinchenot - sullo sfondo il cerro Fitz-Roy

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Correndo verso il cielo Dalle performance sulle montagne dell'America Meridionale, fino alla nascita dell'ANDE TRAIL

Avevamo iniziato a correre in montagna con i ragazzi campesinos agli inizi di questo secolo. Era Felipe Ulivo Paulino, il ragazzo campesino che rompendo gli schemi classici dello scalare le Ande, inizió a concatenare in poco più di o o ore tre ve e, partendo dal rifugio Ishinca (4350m). Raggiunse la ve a dell'Ishinca (5560m), poi risalí la ripida morena e raggiunse la ve a dell'Urus (5495m). Infine corse sulla cresta del colle che divide la valle Ishinca da quella più selvaggia dell'Akilpo, raggiungendo la ve a del Tocclaraju (6034m) scendendo poi al rifugio Ishinca. Il cronometro si fermó sulle 8ore e 24 minu . Era il 17 luglio 2003. Un'impresa d'altri tempi compiuta con le poche a rezzature a nostra disposizione. Erano gli inizi di un'avventura tra corse in velocità e aperture di nuove vie. Valerio Bertoglio, valido collaboratore della nostra Escuela de Guias Don Bosco en los Andes, aveva portato dalle montagne del Gran Paradiso l'idea che lungo le creste e le ve e si poteva correre. Lui l'aveva fa o nel 1990 rompendo il mito che sulle montagne si poteva salire solo con scarponi, imbrago, ramponi, picozze, mosche oni e corde (dove necessarie). Valerio aveva voluto unire l'atle ca all'alpinismo e ne era uscita una miscellanea di non facile definizione (all'inizio fu chiamata corsa in montagna, maratona in alta quota, poi running – trail o ver cal trail) Questo po di atle smo d'alta quota aveva portato Valerio Bertoglio a stabilire una performance atle ca di al ssimo livello sulla ve a del Cervino: corsa in velocità da Cervinia-Ve a Cervino-Cervinia in 4 ore-16min-26sec. Una maratona strabiliante, se si pensa che fu compiuta il 10 agosto del 1990, quando ancora le a rezzature non erano ultraleggere. Da so olineare che sul percorso non c'erano corde fisse par colari, se non quelle giá in uso 260


27 per i comuni scalatori. Valerio era arrivato in Perú, perché l'avevo invitato ad aiutarmi. Durante un mio rientro di tre mesi in Italia, un mio amico Don Nicola Corigliano, mi parló di questa guida alpina disponibile. Cosí quando ci incontrammo capii che avrei potuto contare su di lui, per formare i miei ragazzi al lavoro di guide. Dal Parco del Gran Paradiso dove lavorava, ogni anno, per o o volte consecu ve, venne a Marcará (Perú) ad aiutarmi. Con lui arrivava una ventata di allegria, di o mismo oltre che di capacitá tecniche. A Marcará arrivava con tanta voglia di esplorazioni, di sfide in montagna, di aperture di nuove vie e un gran desiderio di passare il tes mone a ques ragazzi figli di campesinos. Da qui nacque l'idea di correre sulle Ande, raccolta sopra u o da Felipe Paulino, Jaime Ramirez e Cesar Rosales. Ecco svelato il mistero perché Felipe inzió a correre sulle Ande; lontano era il tempo in cui correvano i Chasqui (emissari del Re INCA) lungo il Capaq Ñan (el Camino de Piedra) al ritmo di 25km per tra a. Nel 2004, Felipe Paulino Olivio mi annuncia che vorrebbe correre dal Rifugio Ishinca, passare per il rfugio Huascaran ed infine raggiungere il Rifugio Pisco, lungo il percorso recentemente studiato dalle Guide Don Bosco con la collaborazione mia, di Franco Michieli e di Padre Antonio Zava arelli. Felipe é sempre stato un ragazzo robusto, polmoni d'acciaio, silenzioso: cara ere pico degli uomini di montagna. Non ho dubbi che possa percorrere questo i nerario inedito, coniugando la corsa in velocitá al trekking. Non mi aspe avo che riuscisse a stabilire un tempo cosí impressionante (meno di 14 ore), lungo un tragi o che normalmente camminando richiede circa sei giorni. Un sen ero inedito che ripercorre vecchie mula ere e percorsi dimen ca , che con il nostro passaggio si sono risveglia . Lungo ques sen eri con brecce in nuove scanalature de ate dal passaggio degli animali, siamo riusci a costruire un i nerario logico, affascinante e sugges vo. Arriva il momento tanto a eso: Felipe Paulino Olivo parte dal Rifugio Ishinca, scende lungo la valle che collega il rifugio al villaggio di Pashpa e raggiunge il posto di controllo del Parco Huascaran. Infila un sen ero verso destra che lo porta fino alle rovine preincaiche di Honcopampa. Correndo, scende fino al rio Honda: lo a raversa su un pon cello di pali di legno, sale lungo la scarpata dove incrocia la strada che dal villaggio di Vicos, entra nella quebrada Honda, poi Kekepampa e il villaggio di Copa Grande. Sempre correndo, passo veloce e sicuro, raggiunge la quebrada Hualcàn e prosegue per il villaggio di Catay. Piú avan261


incrocia il villaggio di Huaypan dove da alcuni anni i volontari OMG hanno aperto una scuola di tessitura per bambine poverissime; anche mia figlia Marta è stata un'alunna di questa casa-famiglia. Qui ha studiato 5 anni, (il governo peruviano prevede 6 anni per le elementari e 5 anni per le medie) in un ambiente educa vo, religioso e spirituale di al ssimo spessore. Anni che segneranno la sua esistenza futura come donna ed oggi moglie e mamma. Formare i ragazzi in queste scuole famiglia è un percorso che con il tempo dá fru bellissimi e inaspe a . Non é certo facile educare i figli in questo ambiente dove la povertá, la precarietá e l'essenzialitá, coniugate con lo studio, il silenzio e la preghiera, cos tuiscono le regole di vita. Quanto ne avremmo bisogno in questa societá opulenta ed egoista, dove si vive nel superfluo! Felipe passa di corsa, incrocia il villaggio di Huaypan e prosegue a ritmo serrato spingendosi nel bosco, deve superare il sen ero che alcuni anni prima i ragazzi dell'oratorio avevano “risvegliato”, seguendo le tracce di un'an ca mula era che porta fino al rifugio Don Bosco Huascaran. Una sorsata di tè e via. Va veloce Felipe, molto veloce, alle spalle ha già varie ore di corsa sopra i 4000 metri. Ora dovrá affrontare il passo più difficile e complesso dell'i nerario; si tra a di passare so o la parete nord del Huascaran dove Renato Casaro o nel 1977 ha aperto una tra le vie più straordinarie del mondo, oggi non ancora ripetuta, neanche da Ba s no Bonali e Giandomenico Ducoli, tragicamente cadu l'8 agosto 1993. L'impresa di Bonali e Ducoli ha lanciato un seme tra i giovani dell'Operazione Mato Grosso, che hanno accolto l'idea di “salire in alto per aiutare chi sta in basso”. Corre Felipe, va dri o, non si ferma; con nua la sua corsa contro il tempo. Si è dato un limite (meno di 24 ore), ma lui adesso non sa ancora di averlo già ba uto alla grande. Corre senza cronometro né al metro al polso; solo gambe, muscoli, scarpe da ginnas ca riciclate, e tanta voglia di superare il suo stato di miseria in cui ha vissuto per anni. É questa voglia di superarsi che lo porta ad affrontare questa sfida in montagna. Ha capito che può fare un'impresa storica. Per questo corre, sfru ando la sua abilità innata nel riconoscere velocemente i pericoli. Affronta arditamente queste difficoltá: le aveva giá sperimentate da bambino, portando al pascolo i suoi animali lungo i pendii delle montagne correndo sopra la linea dei 4000 metri. Oggi Felipe ha capito bene: non deve piú rincorrere pecore, ma stabilire un primato in velocità. Lo vedo scendere tra le due lagune di Llanganuco: corre e salta come uno stambecco. Felipe è molto concentrato; arriva strasudato. Cambio della maglie a, poche parole scarne “estoy bien don Carlos” (così mi chiamano i miei ragazzi della Sierra) e via.. riparte, verso Cebollapampa, dove deve affrontare l'ul mo tra o della corsa in salita fino al rifugio Pisco (4765m). Al suo arrivo non ci sono folle ad accoglierlo o ad acclamarlo: ci sono solo i ragazzi gestori, 262


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qualche turista curioso e nulla più. Ma le montagne delle Ande oggi sembra si vogliano inchinare di fronte a un'impresa epica e al quanto bizzarra di unire correndo i tre rifugi andini (il cronometro si ferma so o le 14 ore). Dietro questa corsa c'é un desiderio: far conoscere al maggior numero di escursionis , scalatori e gente comune, l'esistenza dei rifugi Andini, costrui con una valenza sociale; chiunque li u lizza contribuisce ai proge carita vi avvia dai volontari OMG a favore delle famiglie più indigen delle valli altoandine. Sono passa vari anni. Gli allievi della escuela de Guias Don Bosco en los Andes di Marcará, hanno voluto cimentarsi nelle imprese a fil di cielo, stabilendo record sempre più strabilian : quello scri o da Jaime Ramirez il 24 febbraio 2006 sull'Aconcagua fermando il cronometro a 14 ore e 59 minu (Horcones-Ve a Aconcagua-Horcones) o quello ancor più impressionante ed a ualmente imba uto di Cesar Rosales sul Vulcano Chimborazo 6390m in Ecuador nel maggio 2008 (2 ore e 38 minu – rifugio Carrel-Ve a ChimborazoRifugo Carrel): tempis che che hanno fa o rabbrividire gli andinis di tu o il mondo. Eravamo nel parco Aconcagua, dopo la scalata sulla via classica di questo colosso di neve e pietraie; ci restavano alcuni giorni liberi prima di ritornare in Perú. Cosí improvvisiamo una riunione al Campo Base Plaza de Mulas; Jaime Ramirez vuole provare a tentare la ve a dell'Aconcagua correndo, grazie all'esperienza di Valerio Bertoglio (ricordiamo la sua performance sul Cervino). Inizia a questo punto il lavoro di squadra, dislocando lungo tu o il percorso i componen della spedizione Expé Perú/Patagonia per fare da appoggio a Jaime. Cosí con Valerio Bertoglio, organizziamo le squadre da disporre lungo il sen ero. Arriva il 24 febbraio 2006. Jaime parte da Horcones a 2980 metri, raggiunge Plaza de Mulas a 4400 metri in 3 ore e 50 minu . Da Plaza des Mulas fino in ve a è accompagnato da Cesar Rosales; alle 9,30 sono entrambi di nuovo sulla ve a dell'Aconcagua a 6959 metri: la ve a più alta delle due Americhe compresa tra Cile e Argen na. Aspe ano Padre Antonio (Topio) che dovrá sca are la foto in ve a (per la sola salita da Horcones alla ve a dell'Aconacagua Jaime impiega 9 ore e 30 minu contro le 13 impiegate precedentemente dal connazionale Pantoja) . Dopo una sosta per comunicare l'arrivo in ve a tramite radio, e l'a esa di qualche minuto per l'arrivo del Padre Topio (che aveva l'incarico di fotografare Jaime in ve a) vengono sca ate le foto. Ridiscende a Plaza de Mulas e da qui fino a Horcones dove arriva in 14 ore e 59 minu come da documento ufficiale dell'ACTA DE INSPECTION N. 42023 del Gobierno de Mendoza, reda o alle ore 15,45 del 24 febbraio 2006. Questo record ha ba uto i preceden detenu sullo stesso percorso prima dall'argen no Willie Benegas (23 ore), poi dal peruviano Holmes Pantoja (20h e 35 minu ) . Ma la cosa strabiliante é che Jaime senza saperlo, diventa il primo uomo al mondo a scen263


dere so o le 15 ore, tra salita e discesa dalla ve a dell'Aconcagua. Poi negli anni a venire la performance di Jaime é stata ba uta da altri atle che si sono cimenta su questo colosso delle Ande. Jaime Ramirez corse con le scarpe buate; non avevamo altre scarpe da dargli; tu o era improvvisato. Quando arrivammo a Penitentes per riposarci e prepararci per la corsa, mi accorsi che Jaime aveva tre buchi nella suola delle scapre; procurai del silicone e li tappai. Esposi al sole le scarpe per far sí che il silicone aderisse bene alla suola. Tu o aveva del rocambolesco. A Plaza de Mulas avevo lasciato i miei scarponi. Valerio era l'incaricato di cambiargli le scarpe lassú. Cosí Jaime cambió le sue scarpe bucate a plaza de Mulas, anche se i mei scarponi gli erano un pó grandi. L'idea era di fare il record, “de sobresalir” (di superarsi - dicono i campesinos delle Ande) di me ere il nostro nome sulle ve a piú alta delle Americhe, di portare un grido di speranza a tu i giovani del mondo, sostenendo che non importa con che scarpe corri, o che ves indossi: l'importante é sen rsi liberi di correre e sognare. Tornammo a Mendoza conten ssimi, eravamo riusci a fare l'impensabile: i ragazzi si erano dimostra for ssimi; si erano sbizzarri al meglio sull'Aconcagua. Non potevamo certo immaginare cosa ne sarebbe sor to. Gli anni hanno tes moniato l'eccezionalitá delle do innate, ereditate dai loro antena “corridori-emissari Incas” (Chasqui). Furono un susseguirsi di corse sulle Ande con performance strabilian , scoperta di vie nuove e circui inconsue , tenta vi sulle pare e creste superbe, fino a percorrere parte dell'an co Cammino Real de los Incas, il Capaq Ñan; siamo riusci a girare anche un documentario dal tolo "El camino de Piedra". Siamo di nuovo di corsa, questa volta la meta é il Chimborazo (6310m). Nel 2008 ci ritrovammo a Marcará con Valerio per par re alla volta dell'Ecuador. Avevamo deciso di viaggiare in bus, per risparmiare un pó di soldi. Eravamo una squadra di 9 persone; Valerio Bertoglio, Giancarlo Sardini, Cesar Rosale, Felipe Paulino, Raul Laveriano, Joel Buiza, Oscar Sanchez, Roberth Or z, Piero Borre e in Ecuador si aggiunse Giovanni Borghesi volontario dell'Operazione Mato Grosso. Dopo un viaggio interminabile, prima fino a Guayaquil, dove arrivammo con un bus par to da Lima e poi cambiato a Tumbes (sulla fron era con l'Ecuador). Lí dovemmo a raversare il ponte che divide il Perú dall'Ecuador a piedi, carichi come asini. Dall'altra parte avevamo noleggiato un moto-taxi come transfert fino al terminal del bus in partenza per Guayaquil. Arriva a Guayaquil, il giorno successivo abbiamo preso il pullman per Quito. Ci muovevamo con i nostri zaini e con la consapevolezza che potevamo essere facili bersagli (qui i fur ai turis sono all'ordine del giorno). 264


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Quando ci si muove con zaini colora e a rezzature tecniche bisogna sempre prestare a enzione. Arriva a Quito, ci spostammo a Pujili presso la Casa Campesina dell'Operazione Mato Grosso, dove ad a enderci c'erano Carlo e Cris na Manzoni di Lecco (una coppia di volontari OMG). Lí stabilimmo il nostro campo base. Organizzato il ve ovagliamento e le a rezzature per la salita al Chimborazo, par mmo con un pullmino verso il rifugio Carrell, dove termina la strada. Nei giorni successivi alla corsa, ci cimentammo nella salita classica alla ve a, cosí da conoscere il percorso e stabilire eventuali pun di ristoro. Il tempo sembrava essere dalla nostra parte: non c’erano par colari nuvole in quota e pareva che non ci fosse vento. Abbiamo effe uato la salita normale senza incorrere in par colari problemi di vento o di nebbia fi a. A volte il Chimborazo si rivela os le con perturbazioni varie che possono ostacolarne la salita. Tu o era molto bello lassú; si poteva godere di un panorama stupendo a trecentosessanta gradi. La sera prima piovigginava: non sapevamo se in quota ci fosse neve fresca. Questo avrebbe potuto ostacolare la corsa in velocitá di Cesar e Felipe. Al ma no del 25 maggio 2008 c'é un banco di nebbia che non perme e di vedere bene il percorso, ma non abbiamo piú tempo: bisogna tentare. Cosí Felipe e Cesar partono alla volta del Chimborazo; il percorso l'avevano memorizzato qualche giorno prima. Passa poco piú di un'ora, e con la radio, dalla ve a, mi chiamano dicendomi che Cesar é arrivato. Felipe ha rinunciato: non riusciva a mantenere il ritmo di Cesar. Sca ata la foto di rito, Cesar é ridisceso subito. In ve a ad a enderlo ci sono Oscar Sanchez e Joel Buiza che sono par in piena no e. Correre lungo la via normale del Vulcano Chimborazo a 6310m sembra l'ideale per Cesar. Cesar riesce a par re dal Rifugio Carrel 4800 m, dove termina la strada carrozzabile, e raggiunge la punta Whymper, la più alta del Chimborazo, stabilendo il primato di velocità cerficato dai Guardiani del Rifugio e dal gruppo di Guide Ecuadoriane presen . Cesar ferma il cronometro a 2 ore 38' 40” Curiosamente, scopriamo che il Vulcano Chimborazo è il punto più lontano dal centro della Terra, a causa dello schiacciamento dei poli. La cima è posta a un grado sud dall'equatore e risulta essere il punto della Terra più vicino al Sole. Ci pare di capire dalle Gudie Ecuadoriane che la performance di Cesar è la prima corsa ufficiale documentata. Questa corsa in velocitá non é stata ancora ba uta, nonostante alcuni tenta vi da parte di skirunner professionis . Ci pare di capire che il tempo stabilito da 265


Cesar sia effe vamente una performance di al ssimo livello. L'anno successivo siamo in Bolivia per tentare il Huayna Potosi di corsa. É il mese di o obre, periodo non favorevole. Iniziano le nebbie e il tempo è incerto. Facciamo tappa alla Parrocchia di Huata. Anche in Bolivia decidiamo di viaggaire in Bus: Marcará – Lima – Puno – Juliaca – Copacabana. Arriva lí ci fermiamo una no e, siamo giá in territorio boliviano. Copacabana é una localitá turis ca sulle sponde del lago Ti caca. Qui ci ritroviamo con Padre Antonio Zava arelli che é arrivato dalla Parrocchia di Huata, dove vive con Padre Leonardo Giannelli. Facciamo visita alla basilica Señora de la Candelaria di Copacabana (XVI secolo). In questo Santuario, uno dei più an chi del Con nente, è contenuta l'immagine della Virgen de la Candelaria (nota anche come Virgen de Copacabana o Virgen Negra), venerata in tu o il Sud America. Siamo curiosi, non sapevamo dell'esistenza di questo Santuario sulle sponde del Lago Ti caca. Entriamo curiosi nella Basilica. Mi me o in ginocchio a pregare. Cerco di fare silenzio, di non distrarmi e di ringraziare. Chiedo alla Virgen Negra di accompagnarci in questo viaggio e di farci tornare a casa migliori di come siamo par . Usciamo dal santuario e a destra c'é una piccola cappella vo va. Entriamo piú per curiositá che per devozione, la cappella é buia. Ci guida la luce della tan ssime candele accese al centro della cappella. Le candele sono tu e appoggiate su una lastra di pietra lunga qua ro metri in mezzo alla cappella. A destra e a sinistra sui muri ci sono disegnacon la cera varie immagini, di automobili, di bus, di case, di persone. Osservo incredulo, non capisco cosa significhi tu o questo. Mi soffermo sull'immagine di una macchina e di una casa. Tu o disegnato con la cera. Strano, non capisco. Poi uscendo chiederó a Padre Antonio (Topio) il perché di queste immagini. Mi spiega che queste immagini sono il fru o della devozione semplice di questa gente campesina, che chiede dei favori alla Madonna. Per esempio l'automobile é perché una famiglia vuole comprare l'auto e chiede alla Virgen Negra di aiutarli. Lo stesso vale per la casa etc.. Ogni segno va decifrato. Una specie di messaggio che la gente campesina invia alla Madonna Negra, chiedendo una grazia o un miracolo. Padre Topio mi spiega che sulla cresta della collina di fronte al Santuario la domenica ci sono gli sciamani. Cosi c'é una lunga processione di gente che prima passa dallo sciamano per il rito della benedizione e a chiedere alla madreterra di essere ascoltato. Poi la stessa gente scende in Chiesa, partecipa alla Messa e invoca la Madonna Nera accendendo le candele vo ve o disegnando sui muri della cappella le grazie che vuole o enere. Il padre mi dice che qui é cosí; mis cismo, sciamanesimo e preghiera, curiosamente convivono. Ci spos amo verso Tiquina, dove prendiamo il ba ello per raggiungere Huarina e proseguire verso Huata dove ad a enderci c'é padre Leonardo e il Do or Alessandro. Qui finalmente ci rilassiamo un a mo, ci sistemiamo per i giorni successivi. Ci fermerere266


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mo un paio di giorni poi riprenderemo la nostra marcia verso La Paz, dove inizierá l'organizzazione della spedizione al Huayna Potosi. Giá avevamo abbozzato il tu o alla Parrocchia di Huata. Poi a La Paz dovevamo comprare i viveri e fare le bandierine per la corsa. Avevamo anche ipo zzato che sul Huayna Potosi avremmo potuto trovare la nebbia, ipotesi che si avveró. Quindi arma di buona volontá ci siamo messi a costruire le bandierine, sistemare le a rezzature e a preparare i nostri zaini per i giorni successivi. Cosí dopo due giorni, par amo alla volta del Paso de Zongo, dove avevamo preso accordi con il gestore del rifugio per poterlo u lizzare in autoges one. Eccoci arriva a 4800 metri, al Paso de Zongo, la cui strada prosegue e scende lungo il canyon conosciuto come la “strada della morte”. Questa parte della strada é ba uta da numerosi bikers estremi, che scendono a tu a velocitá, rischiando parecchio. Il giorno successivo facciamo una perlustrazione del percorso che Cesar dovrá affrontare. Verifichiamo i passaggi ed eventuali crepacci a cui prestare a enzione. Poi partono le squadre armate di bandierine da collocare nei pun piú pericolosi che Cesar dovrá affrontare. Cosí arriva il 4 o obre 2009. Cesar Rosales parte dal Rifugio Paso de Zongo puntando alla ve a del Huayna Potosi. Oltrepassato il Plato Glacial si imme e sul canale che porta in ve a; la raggiunge e ridiscende rapidamente: ferma il cronometro a 2 ore e 21 minu , un tempo strabiliante se si pensa che mol anni prima il grande Walter Bona aveva fa o registrare la salita e discesa in circa 8 ore, che all'epoca sembrava imba bile. Sul precorso Cesar riesce a doppiare due scalatori che si trovano sulla canale a; li sorpassa in andata e li saluta al suo ritorno. É curioso poi vedere il filmato della salita di Cesar alla ve a, e osservare questa coppia di scalatori che si é vista superare in salita e poi in discesa da questo atleta che corre leggero come se fosse sulle ali del vento. Ha appena toccato la ve a di un 6000 simbolo della Cordillera Real, in velocitá e sicurezza. Chissá cosa avranno pensato? Passano due anni e nel 2011 decidiamo di sfidare il Huascaran Nord e Sud, partendo da Musho. Cominciamo i prepara vi sognando con Valerio Bertoglio questa ardua impresa. Ma a febbraio Valerio viene travolto da una valanga di neve nel parco del Gran Paradiso. Resta in coma in un le o di ospedale per vari mesi. Ci sen amo per telefono dal Perù. Varie conversazioni, poi in maggio in una chiacchierata telefonica, mi dice che non è convinto che sia buona l'idea della corsa al Huascaran e che sarebbe meglio rimandare la maratona. Mi raccomanda di chiamare Luciano Colombo al telefono per sospendere la corsa. Così chiamo Luciano e gli dico: Valerio vorrebbe proprio rimandare la maratona sul Huascaran a quando sará di nuovo in forma. Luciano Colombo era in partenza per il McKinley in Ala267


ska, dove perirá tragicamente lungo la Denaly Pass il 15 maggio 2011. Questa é stata l'ul ma conversazione che ho avuto con Luciano Colombo. Ci siamo saluta e mi ha de o: “stai tranquillo ci penso io”. Quando mi raggiunse la no zia della sua morte sul McKinely ho provato un grande dolore. Se n'era andato un amico, che condivideva le mie inizia ve ed era sempre prodigo di saggi consigli. Ancora oggi nutro molta nostalgia per la mancanza di Luciano nella mia vita. È il 15 giugno 2011 quando con Franco Michieli, Padre Topio e Cesar Rosales, decidiamo di spostare la corsa sul nevado Chopicalqui 6354m, partendo da Cebollapampa 3800m. Sono le 4 del ma no quando Cesar parte. Arriva in ve a molto veloce e ritorna a Cebollapampa in 4 ore e 43 minu , una performance strabiliante se si considera che ques ragazzi fino a qualche anno prima portavano al pascolo pecore e mucche e guardando le montagne innevate avevano una sorta di riverenza e rispe o quasi fossero delle divinità. Le montagne andine sono considerate da sempre nella credenza incaica e pre-incaica come sacre e quindi ritenute dei santuari dello spirito, da cui il nome in quechua APU. Su alcune ve e delle Ande sono state ritrovate mummie e costruzioni di pietra, che venivano u lizzate per ri e cerimonie a fil di cielo. Dopo queste performance inedite tra concatenamen e corse in velocità, nel 2015 in Italia un gruppo di amici appassiona di montagna, cercando di unire l'energia delle corse ad atle smo e solidarietá organizzano il proge o ANDETRAIL. Nel 2015 nasce ANDETRAIL, una corsa inedita che in parte ripercorre l'i nerario tracciato da Paulino Felipo Olivo nella sua corsa lungo il trekking dell'Alta Via Don Bosco ANDETRAIL nasce da alcune persone che hanno vissuto un'esperienza alpinis ca tra le montagne andine. Colpite dalla realtà di quelle terre e affascinate dall'intervento dei volontari dell'Operazione Mato Grosso, hanno scelto di portare, mediante la loro esperienza, un concreto contributo teso a dare maggior visibilitá a questa zona della Cordillera; cioè far conoscere i RIFUGI ANDINI i cui introi sono des na a proge di Carità. Una cordata di atle , corridori e appassiona si sono mossi raccogliendo adesioni per questa gara insolita. ANDETRAIL si configura come una delle corse in alta quota più alte del pianeta. La partenza é stabilita nel villaggio di Shilla a quota 3300 metri dove da anni funziona una casa Parrocchiale e scuola-famiglia per bambini poverissimi con la presenza dei volontari OMG. Poi via di corsa fino al villaggio di Huaypan. Da qui, incrociando una vecchia mula era che porta alla località el Bosque, si inizia a salire di quota, raggiungendo la sella che preclude l'arrivo al Rifugio Huascaran. Da lì si prosegue, scendendo fino al vecchio 268


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campo base a quota 4400m. Proseguendo verso nord, in direzione del posto di controllo del Parco Huascaran (ingresso della Quebrada Llanganuco) si imbocca una strada sterrata, per alcune cen naia di metri fino ad un bosco di Quenuales, si sale il sen ero “Maria Josefa” che porta alla prima laguna di Llanganuco. Proseguendo lungo la strada sterrata, si costeggiano le lagune di Chinancocha 3850m e Orconcocha 3863m per arrivare a Yuraq Corral. Si percorre poi un sen ero ben visibile che porta fino a Cebollapampa; da lí a sinistra si risale lungo il sen ero che si inerpica dai 3890metri di Cebollapampa ai 4765metri del Rifugio Pisco. Il percorso complessivo è di circa 40 Km, con dislivello posi vo di 3.676 metri, e un dislivello nega vo di 2060 metri. Oltre alla gara, dal 2017, è stato introdo o nel programma un trekking studiato per dare la possibilità agli appassiona di montagna di misurarsi lungo i nerari inedi . La base delle a vitá fa capo al Centro di Andinismo Renato Casaro o, nel villaggio di Marcarà (2760m) proprio ai piedi della Cordillera Blanca e sede opera va delle Guide DonBosco I partecipan alla gara provenien dall'Italia, nel tempo libero, vengono invita e coinvol in a vità di aiuto concreto, volte a stabilire un conta o con le realtà carita ve, avviate nelle missioni dell'Operazione Mato Grosso e con la popolazione locale (le missioni piú vicine sono quelle delle Parrocchie di Jangas, Marcará e Shilla) Questa gara, oltre ad appassionare le persone in un viaggio avventuroso ai piedi di grandi montagne, ha uno scopo ben preciso: raccogliere fondi che vanno a sostegno dei proge carita vi avvia dai volontari OMG in Perù. Il percorso della gara viene mantenuto grazie alla collaborazione tra i ragazzi Oratoriani e le guide Don Bosco. ANDETRAIL si prefigge di accompagnare gli atle non solo nella corsa alle falde dei grandi colossi andini, ma s molare in chi partecipa una presa di coscienza umanitaria e solidale. Conclusa la prima edizione di ANDETRAIL, è stato realizzato un documentario, grazie al lavoro di uno staff di videomaker, in tolato “Correre per l'essenziale - Andetrail, quando la meta è la vita”, per la regia di Alberto ferre o. Si sono poi susseguite proiezioni e presentazioni in vari fes val ed even . Sono state organizzate serate di presentazione in vari auditorium (in accordo con la di a Montura, patner principale della gara). Questo documentario è stato candidato a diversi concorsi con esi soddisfacen in termini di riconoscimen : - Verona Mountain film Fes val: finalista 269


- Selezionato tra le proiezioni al Sestriere Film Fes val - Proiezione speciale al Trento Film Fes val 2016 - Proiezione al Katmandu film Fes val Da ANDETRAIL allo SHERPA VERTICAL In Italia gli amici di ANDETRAIL hanno deciso di organizzare una corsa a scopo benefico in tolata "Sherpa Ver cal" con partenza dal Rifugio Balasso fino alla Cima Palon. Unica preroga va per partecipare: portare nello zaino dei viveri (scatolame, riso e cibi a lunga conservazione), che in seguito vengono spedi tramite container alle missioni dell'Operazione Mato Grosso in Perù. Un gesto di solidarietá concreta al quale possono partecipare tu gli aman del trekking e delle corse in montagna. In VALLE CAMONICA (BS) ogni anno lo Sherpa Rally, viene proposto come trasporto di viveri e ve ovaglie dalle Malghe alte in Val di Scala fino al Rifugio Torsoleto 2390m, come rifornimento stagionale per il Rifugio. Inizia va che trova ampi consensi da parte degli affeziona a questa pra ca di trasporto solidaria.

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La corsa di Cesar sul Huayna Potosi - Bolivia ExpĂŠ/PerĂşPatagonia gruppo al campo base Plaza de Mulas prima del record di Jaime Ramirez

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Nevado Puntacuerno. Esplorando l'ultimo 6000 della Cordillera Blanca

A fine stagione (se embre) del 2006 organizziamo con i ragazzi la scalata al Puntacuerno (6001m), cima delle Ande Centrali, nel massiccio dei Chinchay, ma non visibile dal Callejon de Huaylas, essendo nascosta dietro il massiccio dei nevados Chinchay Central e del nevado Pucaranra. Per arrivarci dovremo par re da Marcará, addentrarci fino in fondo alle Quebradas Honda e Minoyor e poi salire lungo un crinale di roccia fino al passo che chiameremo “Esperanza” a quota 5270 mt. Scenderemo mantenendoci sulla destra orografica, fino a raggiungere la base del ghiacciaio a 4800 metri, dove installeremo il secondo campo avanzato (il primo l'avevamo montato sulle rive della laguna Minoyor nell’ omonima Quebrada). La Laguna Minoyor la conoscevamo giá, perché nel 2000 avevamo utlizzato il campo base per il recupero di un elico ero della FAP che era a errato e mai piú ripar to nel 1976, nel tenta vo di recuperare due scalatori spagnoli feri durante un tenta vo sulla parete sudovest del Chianchay Central. I colori della laguna sono sempre sorprenden . Il colore verdognolo, con il massiccio del Pucaranra che si specchia nelle sue acque, fa di questo luogo un vero paradiso andino. Peccato che qualche chilometro piú in basso, le miniere di carbone s ano deturpando tu o il paesaggio, trasformando questa vallata in una gruviera di buchi. Ci fermammo una no e al Campo Base Minoyor, poi il giorno dopo, s le alpino, decidemmo di salire verso la cresta che divide il gruppo dei Chinchay dal nevado Perlilla; trovammo un valico a 5270 metri ba ezzato “Paso Esperanza”. Io ero in cordata con Quique e Cesar; andavo sicuro, la salita fu fa cosa, avevo più di 20kg nello zaino e alcuni passaggi erano insidiosi. Finalmente il gruppo di testa trovó questo un passaggio per valicare. Ora dovevamo scendere, sempre inventando il cammino. I capi cordata capirono che dovevano stare sulla 272


28 destra orografica, e infilare una piccola sella, che nascondeva un possibile pianoro per il campo base. Con noi c'era anche José Rios Vasquez con la sua telecamera e il treppiede, anche quelli da trasportare. Arriva al campo base del Puntacuerno, capimmo che la scalata sarebbe stata ardita; ci sarebbero volu almeno tre giorni. La voglia di aprire una via nuova ci aveva portato fin qui. Il giorno seguente, un gruppo con Cesar, Jaime, e altri ragazzi salí al campo avanzato, sul Plato Glaciar. Riuscirono a montare le tende con un muro di protezione per il vento. Durante la no e una tormenta mise in pericolo la buona riuscita della spedizione. Il giorno seguente, il primo gruppo tentó l'avvicinamento alla parete di canne d'organo, ma dove e tornare indietro: troppo pericoloso. Bisognava trovare una soluzione, ci doveva pur essere un modo per raggiungere la ve a. Sapevamo per certo che Augusto Ortega e Amerigo Tordoya anni prima erano sali dal versante sud-est, mentre noi volevamo tentare il versante nord-est. Ci sembrava peró piú complicato del previsto. Il pomeriggio e la sera cominciarono a ipo zzare varie soluzioni alla ricerca del miglior percorso di salita, che poi ci fu comunicato per radio al campo base. Il giorno dopo, due cordate iniziarono le grandi manovre; si posizionarono alla base della parete, mantenendosi sulla destra orografica, non piú nella parte centrale della parete, che, pur sembrando piú logica, nascondeva insidie e pericoli. Si spostarono sulla destra fino a raggiungere la parte terminale dove si incontrano il ghiacchaio del Chinchay Central e il ghiacciaio del Puntacuerno. In quella canale a ci sarebbe stato la spazio piú sicuro da scalare, e cosí fu. La canale a era esposta, ma si poteva superare. Con vari ri di corda si arrivó fino alla lunga sella che porta in ve a al Puntacuerno. Rimisurandolo con gli al metri in nostro possesso stabilimmo che si tra ava dell'ul mo 6000 delle Ande (6034m) non ancora censito. I ragazzi raggiunsero la ve a in completo s le alpino, con un entusiasmo indescrivibile, poi scesero al campo avanzato, strema . Il giorno dopo, alcuni di noi li raggiunsero al campo avanzato per aiutarli a smontare tende e a trasportare i materiali. Arrivarono al campo base stanchissimi. Marco, che era con loro, nel tenta vo di scavalcare una crepacciata si slogó una spalla. Dovemmo sistemarla alla bell'e meglio con ghiaccio (ce n'era in abbondanza) e qualche fasciatura. Smontate le tende siamo scesi verso l'interminabile Quebrada Yanamayo, fino a raggiungere il villaggio di Huantar, dove ci a endevano Giovanni e Cris na Torre (volontari OMG), che da alcuni anni hanno avviato una scuola ar s ca di lavorazione del rame con in ragazzi poveri delle zone altoandine. Noi arrivammo stanchi, sporchi, veramente strema . Raccontammo, per vie sommarie, quello che avevamo fa o, ma la stanchezza prese il sopravvento e cosí ci coricammo subito dopo cena. Il giorno dopo ci aspe ava un viaggio in bus di circa 8 ore, per superare Chavin de Huantar e il passo de Cahuish, prima di giungere a casa...

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Verso il Puntacuerno, l'ultimo 6000 inesplorato nella Cordillera Blanca

Campo alto Puntacuerno prima dell'attacco alla vetta

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PerĂš - Cordillera Blanca - lungo la cresta del Nevado Puntacuerno - l'ultimo 6000 "inesplorato"

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Alle sorgenti del Rio- Marañon Rio delle Amazzoni

Dove nasce il rio Marañon, il maggior tributario del rio delle Amazzoni nessuno lo sapeva. Esso scorre so o i nostri occhi, proprio vicino alla Parrocchia di Quivilla dove c'é una missione OMG ges ta da Padre Daniele Varoli di Faenza; l'Oratorio Don Bosco é posto sulla sponda orientale del fiume. Sul luogo esa o delle sue sorgen esistono due teorie: la più acce ata è quella di Augusto Cárdich, secondo il quale le sorgen sono a circa 5.800 m s.l.m. sul ghiacciaio del Nevado de Yapura, nella Cordillera Raura, nel Perù orientale. É a circa 160 km a nord est di Lima, vicino alla laguna di Lauricocha. L'altra teoria, di Antonio Raimondi, afferma che nasce dai ghiacciai della Cordillera Huayhuash. Scorre in una profonda valle andina lungo la base est della Cordigliera delle Ande; poi fa una grande curva e a raversa le Ande interne fino al Pongo de Manseriche dove comincia a scorrere in pianura. Quando il Marañón si unisce al Río Ucayali, ufficialmente si chiama Rio delle Amazzoni. Nel 1973, una spedizione statunitense ha creduto di iden ficare le sue origini in una delle valli a nord di Cailloma, dove ha cementato una targa di bronzo con la scri a “qui comincia il rio delle Amazzoni, il fiume piú grande del mondo”. É apprezzabile l'intenzione dell'inizia va, abbiamo peró validi mo vi per dubitare la reale consacrazione della sorgente. Questa targa fissata a un masso roccioso a circa 5000 metri, giusto pochi metri sopra la sorgente, porta scri o anche il nome, la data e la provenienza di chi l'ha posata lassú “S. Pales no – 1973 – USA”. Questa sorgiva é a tu gli effe una pozza di acqua ferma e ristagnante, non piú grande di una vasche a. Dopo ardite esplorazioni, era giunta l'ora di andare alle sorgen del Rio Marañon, così decidiamo di spostarci in jeep fino a raggiungere Fundaciòn in piena Cordillera Raura. Eravamo 276


29 all'estremitá sud della Cordillera di Raura, contorna da ve e che superano i 5000 metri. Davan a noi, sulla destra orografica, il nevado Yerupá (5780m, considerato da Augusto Cardich il ghiacciaio da cui sgorgano le acque del Rio Marañon), il Condorsenga (5322m) alla sinistra e lo Yerupac (5685m). Il giorno seguente, smontate le tende, decidiamo di salire lungo la strada carrozzabile che porta all'an ca mina Raura. Man mano saliamo, ci rendiamo conto della diversitá del paesaggio che siamo soli ammirare durante le nostre esplorazioni. Una nevicata no urna ha reso il tragi o pieno di neve fresca e melmosa. Saliamo per la strada carrozzabile: é dura, l'aria rarefa a si fa sen re; fa freddo, entra persino nelle ossa. Al ma no abbiamo visto un gregge di pecore coperte da una piccola coltre di neve. Procediamo carichi di materiali, in completo s le alpino, tende e viveri. Non sappiamo ancora dove ci porterá questa esplorazione. Dopo varie ore di cammino, incrociamo l'an ca mina Raura, una sorta di villaggio del far-west in mezzo alle Ande. Ci guardiamo a orno: poche case sparse e pochi campesinos nei paraggi. Proseguiamo, e ci lasciamo alle spalle il villaggio dei minatori. Siamo so o il Cerro Siete Caballeros (5550 metri): lo guardiamo e ci immaginiamo come scalarlo l'indomani. Alcuni di noi giá sognano di raggiungere la ve a dei Siete Caballeros. Mon amo il campo base fuori dalla vista del villaggio, in un posto al sicuro dai cani e dalle raffiche di vento che qui sono costan . Il giorno successivo un gruppo di noi decide di dirigersi verso la laguna Caballococha da cui secondo le mappe che abbiamo recuperato, dovrebbe nascere il Rio Marañon. Ne siamo cer , per cui siamo decisi a raggiungere questo laghe o andino e constatare l'effe vo dato che abbiamo raccolto da varie fon . La spedizione del 1996 dell'esploratore polacco Jacek Palkiewicz, stabiliva il punto preciso della sorgente del Rio delle Amazzoni a 5.179 mt. nei pressi del Nevado Quehuisha, un insieme di acquitrini genera dallo scioglimento dei ghiacciai: un'origine un po' strana per il più maestoso fiume del mondo. Raggiungiamo la laguna Caballococha dopo 3 giorni di viaggio. Siamo stanchi ma molto soddisfa . Consta amo che c'é un piccolo laghe o, dove non ci sono fon eviden di raccolta dell'acqua; pensiamo che si alimen grazie allo scioglimento dei ghiacciai Yerupá, Condonsenga e Siete Caballeros, che forniscono acqua al laghe o. L'acqua é limpida e cristallina, per cui non puó essere piovana né acquitrinosa. In effe non ci sono evidenze di rigagnoli che scendono dai ghiacciai. Ma puó darsi, come avevamo giá notato anche in altri laghe andini, che l'acqua non alimenta il laghe o dai rigagnoli eviden , ma filtra da so o terra, a raverso canali scava nella roccia. L'acqua non é stagnante: c'è un con nuo ricambio. Siamo conten , abbiamo raggiunto la fonte del Rio Marañon (Augusto Cardich ipo zzava che il rio Marañon nascesse dal lago Lauricocha e non sbagliava di molto). Infa le acque di questo laghe o scendono a valle, entrando nel laghe o di Tinquicocha, e successivamente in quelle di Chuspi, esse poi proseguono fino alle lagune Patacocha e Taullicocha. Infine 277


tu e queste acque defluiscono nel grande Lago Lauricocha 3845m, un bacino di acqua dolce che copre un'intera vallata. Decidiamo di camminare costeggiando per quanto possibile il fiume che a poco a poco prende forma, man mano l'acqua scende da un laghe o all'altro come una sorta di vasi comunican . Arriviamo a sera a Antacallanca, un piccolo villaggio sperduto tra le Ande. Qui la gente vive di pastorizia e di estrazioni minerarie ancora arcaiche. Tra il nero del carbone, e lo sterco dei lama, cerchiamo un posto dove accamparci. Lo troviamo dentro un recinto (corral) che sembra non u lizzato. Siamo fuori dal viallaggio e al sicuro. Mon amo le tende. Il giorno dopo dovremo raggiungere Lauricocha e il campo base dove faremo rifornimento di viveri. Dormiamo alla bell'e meglio. Il giorno dopo riparamo. Siamo tu insieme; anche i ragazzi che erano sali con successo sulla ve a dei Siete Caballeros si sono ricongiun al gruppo. Ognuno di noi racconta il suo vissuto. I ragazzi dei Siete Caballeros ci dicono che la salita é stata difficoltosa, dovendo inventarsi una nuova via. Han dovuto salire zigzagando tra le rocce fas diosamente sparse. Han dovuto fermarsi piú volte per cercare di capire quale fosse la via piú sicura e, non trovando alterna ve valide, hanno optato per una diagonale che li ha porta a superare la parte piú os ca e insidiosa della montagna. Si sono poi ritrova su uno splendido ghiacciaio, avvol in un bellissimo mantello di neve bianca. Da lassú hanno potuto vedere meglio una mol tudine di laghe , e la prospe va della Cordillera incredibilmente spe acolare. Da una parte l'al piano e a nord l'intera Cordillera Raura e Huayhuash. La giornata era splendida e il sogno ina eso si era coronato (dalla ve a avevano avvistato una coltre di neve che si ergeva nella selva amazzonica – un dato strano; non sapevo che potevano esserci ghiacciai ai confini della selva amazzonica). Da Antacallanca a Lauricocha la discesa fu rocambolesca. Alcuni di noi scesero fino a toccare le acque della grande laguna, altri preferirono seguire la mula era. Ci trovammo tu a Lauricocha verso le 16 stanchi, ma conten ssimi. La nostra esplorazione era risultata molto posi va e potevamo esserne fieri. Raggiunto il campo base di Lauricocha, dove non ci sono case, decidemmo di montare le nostre tende e di lavarci nelle acque gelide della laguna. Il giorno dopo visiteremo Las catorces ventanas de Lauricocha, dove Augusto Cardich trovó i res umani piú an chi dell'America La na: hombre de Lauricocha il progenitore delle popolazioni andine. Verso sera improvvisammo una par ta al pallone a 3900 metri. Un gruppo di ragazzi del luogo spin da curiositá, si avvicinó prudentemente ma non troppo per invitarci a fare una par ta a pallone. Siamo stanchi, molto stanchi sia per la giornata intensa di cammino, sia per la par ta massacrante a pallone. Il giorno successivo, dopo aver visitato “Las catorces ventanas”, smon amo le tende e ci me amo in cammino, seguendo l'alveo del fiume. La storia millenaria dell'uomo é scri a sopra u o lungo il corso dei fiumi; ancora oggi, dove c'è acqua potabile, c'è vita. Milioni di persone vivono lungo i corsi d'acqua, grandi e piccoli 278


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che siano, dalle sorgen alla foce. Ancora oggi sulla localizzazione delle sorgen e la lunghezza dei grandi fiumi esistono diba e valutazioni differen tra esper geografi. É possibile, quindi, trovare differenze anche nelle pubblicazioni scien fiche e di grandi esploratori. Anche questa nostra spedizione potrebbe aver fallito l'obie vo. Che potrebbe nascondersi piú in lá, oltre il conosciuto. Res amo con questo dubbio nel nostro zaino fa o di ricordi e di emozioni. Ci siamo spin lassú dove volano i condor, dove l'aria é rarefa a, dove il tempo sembra si sia fermato e dove il mistero si confonde con la realtá. Il silenzio sfiora l'infinito e si perde nell'eternitá. Questo fiume che inizia col nome di Rio Lauricocha, come per incanto, si trasforma dopo vari chilometri nel grande tributario Marañon, un fiume che ha visto avventure coraggiose e crudeli comba men . Secoli di storia ricchi di even , ammanta di mi e leggende che si tramandano nel tempo. Ancora oggi, 500 anni dopo che i primi europei, navigando le sue acque, si sono avventura nella generosa e verde Amazzonia, il fascino per la scoperta con nua a echeggiare sulle acque a volte calme a volte pericolose del Rio delle Amazzoni, il piú grande fiume del mondo. Camminare alle sorgen del Rio Marañon é stata senza dubbio un'esperienza unica, indimen cabile. È stato come ripercorrere le tappe descri e da Walter Bona nel suo libro “Terre Lontane”, , dove racconta il suo viaggio esplora vo effe uato nel 1978 alla scoperta della sorgente del Rio Marañon. Egli ripercorrendo le tracce della spedizone statunitense del 1973, me e in dubbio l'esa a ubicazione delle sorgen di questo grande fiume. Mi rendo conto che abbiamo percorso un altro pezzo di storia nella ricerca della sorgente; anche noi por amo il nostro granello di sabbia nel mare delle esplorazioni, ma non siamo del tu o convin che abbiamo raggiunto il punto da dove nasce questo grande tributario. La teoria dell'archeologo Augusto Cardich ci sembra la piú sensata. Lauricoha è il bacino piú significa vo perché vi confluiscono le acque di vari laghe , rigagnoli, fiumicia oli, le cui acque alimentate dai ghiacciai della Cordillera Raura, scendono fino ad entrare nel grande lago.

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Verso Lauricocha inizio del Rio MaraĂąon La laguna Lauricocha dove nasce il Rio MaraĂąon

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Esplorando le Ande - Cordillera Raura Campo base Lauricocha - ai piedi della Cordillera Raura

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Verso la Cordillera Huaguruncho

Con i ragazzi della Escuela de Guias ci eravamo spin fino alle sorgen del Rio Marañon, e quasi a nostra insaputa avevano visto in lontananza una “Cumbre de Hielo” che si impennava in mezzo alla selva amazzonica. Ci era sembrata una visione magica e che poco avesse a che fare con la realtá. Ma dopo una scrupolosa indagine, tra mappe e raccon , abbiamo individuato il nevado Huaguruncho con vari picchi minori. La par colaritá di questo nevado é il fa o che un blocco di ghiaccio e neve si eleva ai confini della selva amazzonica con una forma di stella se vista dal cielo. Interessan ssimo se si pensa che non ci sono vie normali e che nessuna spedizione italiana ha mai raggiunto la ve a di questo pinnacolo di neve e ghiaccio. Nel 2012 decidiamo di organizzare una spedizione leggera in quella zona, con un gruppe o di ragazzi. Carichiamo la jeep con alcune ve ovaglie e par amo. Dalle mappe avevamo cercato di capire come fare ad avvicinarci al nevado Huaguruncho. Cosí par amo dalla nostra casa OMG di Huanúco alla volta del nevado. La direzione é verso sud, lungo la strada che da Huanuco conduce verso l'al piano di Junin, costeggiando la laguna di Chinancocha a piú di 4000metri di altezza. Arriva a Tinyahuarco, facciamo una deviazione in direzione del bosque de piedra, un bosco pietrificato di formazione rocciosa con piramidi alte fino a 10 metri, sulla cui sommitá dormono sdraiate, come stessero riposando, delle rocce gigantesche. Visi amo el bosque de piedra: é interessan ssimo. Le guide locali raccomandano di seguire il sen ero e di non uscire dal tracciato. Infa questo labirinto é talmente vasto che ci si puó perdere facilmente. Ci addentriamo per un breve tra o, e subito ci rendiamo conto 282


30 dell'immensitá del luogo e della grandezza del bosco. Per questo ci limi amo a una breve visita per poi ripar re. Resta peró nel nostro cuore l'idea di tornare per una visita piú accurata. Riprendiamo il viaggio e dopo circa un'ora di jeep, raggiungiamo lo svincolo di Ninacaca. Un segnale indica il villaggio di Huachón a 74 km di distanza. Lasciamo cosí la strada principale e ci addentriamo nel villaggio di Ninacaca. Appena entriamo nel pueblo, subito capiamo che questa zona fu retaggio dei conquistadores spagnoli. L'unica Chiesa di Ninacaca ha un sugges vo te o di paglia e le mura di pietra. Fu costruita dai Gesui intorno al 1630. Facciamo di tu o per entrare, ma il cancello anteriore é chiuso, peró sul retro scorgiamo un cancello aperto che perme e l'ingresso laterale. Curiosi entriamo nel giardino, giriamo intorno alla chiesa e scorgiamo una lapide che indica i sacerdo fondatori della Compagnia di Gesú. Ci dirigiamo verso il campanile, dove una scala a chiocciola di pietra e legno porta fino alla campana di bronzo. La vista, dal campanile, é senza dubbio migliore. Scendiamo e cerchiamo di entrare in chiesa, ma tu e le porte sono chiuse; forse al ritorno risuciremo ad entrare. Risaliamo sulla jeep e, fa o rifornimento di ve ovaglie e di qualche bo glia di acqua, ripar amo ignari del percorso che ci aspe a. Proseguendo, la strada diventa sterrata, sempre piú angusta e pericolosa. Costeggiamo un simpa co laghe o, incrociando greggi di lama e alpaca: lo spe acolo é veramente sugges vo. Marta scende dalla jeep e sca a alcune fotografie; il gregge di lama sembra non finire mai, come un fiume in piena. Dopo aver contemplato quella fiumana di animali possiamo proseguire. La strada si restringe fino a quando entriamo in una sorta di tunnel (galleria). Superata questa stre oia, come d'incanto il panorama cambia completamente. Siamo agli inizi della selva amazzonica: con nuiamo lungo la strada sterrata seguendo curve sempre piú pericolose: il coraggio é diventato compagno di viaggio. Riaffiorano i ricordi della spedizione ai Pucajirka, quando dovemmo tornare a casa con la jeep che sembrava una scatola di sardine. La strada diventa sempre piú impervia e scoscesa, le curve si susseguono numerose. In lontananza cominciamo a scorgere il nevado Huaguruncho che sve a sul lato opposto, proprio dietro il promontorio della valle di fronte a noi. Per un istante ci sembra quasi di toccare la neve; una sensazione unica ci avvolge. Dopo tan sogni e pianificazioni, finalmente riusciamo ad accarezzare con i nostri occhi e le nostre macchine fotografiche questa “Sennella di Ghiaccio”, come la chiama la gente del posto: un vero cono di ghiaccio che sbuca in mezzo alla selva amazzonica. Arriviamo verso sera a Huachon, l'ul mo baluardo abitato di questa vallata. Non conoscendo il posto, chiediamo informazioni a piú riprese per non sbagliare. Sono tubante, se proseguire oppure no; ho il dubbio che non riusciremo a montare il campo base in tempo. Nessuno di noi si era mai cosí addentrato nella selva. In effe siamo un pó 283


incoscien ; la gente per quanto curiosa non é abituata a vedere dei “gringos” in cerca di informazioni. Chiediamo a varie persone qual'é la strada per raggiungere il nevado, ma le risposte sono molto aprossima ve; non ci resta che con nuare, seguendo l'unica strada che sale verso nord-est. L'alterna va é scendere per una carre era, che costeggiando il fiume porta, a Quiparacra, a Aquiamarca, Huallamayo, Yaupi e Oxapampa, ma é in un'altra direzione. Imbocchiamo la carre era che a raversa il fiume e sale ripida; con nuiamo a salire, siamo in o o e la jeep sembra protestare, ma con le rido e inserite proseguiamo a passo lento e prudente. Raggiungiamo alcune case dismesse di minatori; pare che ci siano state delle miniere di carbone fino a qualche anno fa. Cerchiamo di raccogliere qualche informazione dai pastori di passaggio, ma sembrano confusi alla nostra presenza. Questo lascia presagire che dovremo prestare a enzione all'ubicazione del nostro campo base. Lasciamo le ul me capanne alle nostre spalle; imbocchiamo una curva pronunciata; connuo a salire fino a quando intravedo un laghe o alle pendici ghiacciate del massiccio de hielo. É tardi, decidiamo di montare le tende sulle sponde del lago Talenga, che é una zona riparata. Siamo arriva : il primo passo é fa o. Prepariamo la cena, dopo aver acceso un piccolo fuoco. É anche un modo per riscaldarci ed ascoltare le riflessioni, i commen e le emozioni dei ragazzi. É proprio in ques momen che mi assale il senso della ricerca e del desiderio di infinito; non posso esternarlo troppo, cerco di comprimere i sensi in una frase “cerchiamo il silenzio, forse si riesce a capire qualche cosa”; non so cosa colgano i ragazzi, ma non importa: il dado è tra o. Andiamo a dormire, fa co a prender sonno. I ragazzi dormono tranquillamente...che bella la gioventú e la spensieratezza! Al ma no seguente, usciamo dalla tenda con una pa na di rugiada gelata sulla tenda e tu 'intorno, mi vengono in mente le note della canzone “impressioni di se embre” della PFM. Al posto del cavallo nel prato, vedo i ragazzi e alcuni lama. Facciamo colazione, poi ci distribuiamo i compi della giornata. La base sará qui, ma ci divideremo per le esplorazioni. Siamo in una zona remota delle Ande. Un gruppo si dirigerá verso la laguna e cercherá di salire al passo Tamboragra. Un altro gruppo andrá a sud, in direzione della laguna Coche-Cocha per poi salire verso il passo. In serata dovremmo, secondo i piani, ritrovarci alla base per fare il punto; non dobbiamo oltrepassare il valico, ma solo raggiungerlo e raccogliere informazioni. Par amo; qualcosa per il pranzo al sacco nello zaino e due mappe militari della zona. A noi ci tocca l'ispezione alla parte nord-est che costeggia la laguna fino ai piedi del ghiacciaio. Poi saliamo, tra massi di roccia e acquitrini. Giun ai piedi della montagna cerchiamo di indovinare il sen ero, forse percorso solo da qualche animale selvaggio. Saliamo zigzagando; raggiungiamo un terrazzamento. Ci sembra un o mo posto per riposare. Mangiamo un pezzo di cioccolata, sorseggiamo un pó di acqua e poi via... si riparte... Ci sembra di aver individuato il passo Tamboragra sopra di noi, ma non ci é chiaro come raggiungerlo. Non 284


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ANDE CON LE SCARPE BUCATE -30

siamo sicuri che sia il valico che s amo cercando. Pun amo peró questa insenatura nel ghiaccio, che a rigor di logica, dovrebbe essere il passo. La Cordillera del Huagurincho ha a rato nel passato varie spedizioni di alpinis ; F.Jenck compí tre tenta vi alla ve a nel 1938-1939-1941 ma riuscí a raggiungere la ve a del nevado Jancata (5160m). Nel fra empo, l'altra guglia nevata, l'Incatana (5124m), veniva scalata da un minatore peruviano. La ve a piú alta del massiccio del nevado Huaguruncho (5730m) fu raggiunta solo nel 1956 dalla spedizione inglese dire a da J.W.Kempe. Dopo vari tenta vi falli da altre spedizioni, negli anni 1945 e 1946 anche il Picco 30 fu raggiunto in seguito dagli scalatori G.Band e M.Eastmaco e John Streetly (gli stessi che raggiunsero la ve a del Huaguruncho con Kempe). Oggi questa Cordillera é pressoché dimen cata dalla maggior parte degli alpinis , ma resta un vero e proprio spe acolo della natura, con vie ancora da inventare. Torniamo a casa dopo sei giorni di esplorazioni, conten ssimi e coscien di aver apportato un piccolo contributo all'esplorazione di queste zone selvagge. Certamente oggi si é piú facilita a raggiungerle dalla strada che porta alla laguna Talenga. Al ritorno, incrociamo le dita, sperando che la Chiesa dei Gesui sia visitabile. In effe facciamo sosta a Ninacaca e la troviamo aperta. Entriamo. Non ci sono retablos (altari) lavora o crocifissi intaglia , pare che il tempo si sia fermato all'epoca della conquista. Tu o sembra narrare l'indissolubilitá tra passato e presente, tra l'inizio della cris anizzazione e le persecuzioni a cui i Gesui furono so opos , costre a lasciare in fre a e furia il Perú. Tu o sembra essersi fermato. La gente é rimasta fedele a questo luogo di culto piú di quanto si possa ipo zzare. Forse il rispe o per gli APU, gli dei, le divinitá ha fa o sí che questa chiesa non fosse saccheggiata o distru a o trasformata in un granaio. Chi lo sa; nessuno puó indovinare un passato tramandato solo da raccon incer e approssima vi, con pochi documen . Gli scri di Huaman Poma, so o de atura dei conquistadores, narrano ció che gli Spagnoli volevano far passare come veritá, mentre il resto della storia é rimasta solo retaggio di qualche archeologo dei giorni nostri in cerca di eviden tes monianze.

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Verso il nevado Huaguruncho - un ghiacciaio al conďŹ ne con la selva amazzonica Verso la Cordillera del Huaguruncho -Ande Centrali

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Il massiccio del Huaguruncho 5730m, visto dalla Laguna Talenga ai piedi della Grande Montagna

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Sul vulcano piú alto del mondo: Ojos de Salado 6920m(Cile)

2014 gennaio – Ojos de Salado 6920m – Cile Ero rientrato in Italia l'anno prima, per problemi familiari. Era la fine del 2012 quando decidemmo di ritornare in Patria e di lasciare il lavoro con i ragazzi, le Ande, e il nostro cuore tra la gente povera degli al piani andini. Ci aspe ava un anno duro. Bisognava ricominciare, con sacrifici e riunuce sopra u o rimboccarci le maniche senza recriminare nulla a nessuno. Passato un anno in Italia, decisi di tornare in Perú. Nel fra empo avevo messo da parte qua ro soldi, raccol qui e la con serate sulle Ande. Avevo fa o un giro per l'Italia, non avevo tan soldi in tasca, ma il desiderio di ritornare con i ragazzi e fare una nuova spedizione era grande. Cosí, insieme a Valerio Bertoglio decisi di preparare una spedizione sul Vulcano piú alto del mondo: l'Ojos de Salado in Cile. Valerio apprezzó subito questa idea e si mobilitó per cercare qualche soldino per pagare il viaggio ai nostri ragazzi. Eravamo sempre a secco di qua rini, ogni volta bisognava fare i con con l'oste e le nostre forze non erano sufficien per coprire le varie spese. Facevo viaggi in treno in lungo e in largo nel nord Italia da Pordenone a Torino, da Genova a Milano facendo serate e incontri con amici e simpa zzan . Raccontavo la storia dei ragazzi guide, che da poverissimi campesinos si erano trasforma in guide di montagna riconosciu dalla Unione Internazionale delle Guide di Montagna (UIAGM). Raccontavo la storia, le peripezie, i vari record, il sogno della costruzione dei Rifugi Andini come fossero delle stelle alpine sbocciate a piú di 4000 metri. Ogni volta che andavamo a fare una serata, mi si presentavano queste immagini: era come rincorrere una storia giá scri a... Al confine con il deserto dell'Atacama, a nord del Cile, si staglia la sagoma imponente del Ojos de Salado, un vulcano di quasi 7000 metri che sembra sorreggere la spina dorsale della cordi288


31 gliera delle Ande, che da queste par si affaccia su uno dei deser più aridi del pianeta. In inverno, la stagione secca, i cieli sopra le Ande sono di un blu cobalto e l'Atacama è strozzato dalla siccità. Ci siamo da appuntamento a Marcará con Amador, Edgar e Cesar, i primi di gennaio 2014 per par re alla volta del Cile. Ques tre giovani, una vita in salita, senza scon né scappatoie, sono figli di poveri pastori andini, sono diventa con fa ca guide di montagna. Per loro, da bambini, le montagne erano solo sinonimo del nulla, un luogo dove non potevano portare a pascolare gli armen . Sul ghiacciaio si andava una volta all'anno a raccogliere la neve, mescolarla con la limonata, per farci la granita alla festa del paese. Una vita di sten , fino a quando hanno incontrato noi e i volontari dell'Operazione Mato Grosso (OMG). Fare la guida di montagna oggi, é per ques ragazzi un lavoro, ma rimane anche un bel sogno per mol altri campesinos. Par amo dal Perú. Ci me amo d'accordo per incontrarci al terminal dei Bus di Arica, con l'amico guida Valerio Bertoglio e Padre Antonio Zava arelli (Topio), un prete ed un appassionato di montagna. Sempre al fianco dei ragazzi delle Ande. Loro due arrivano dalla Bolivia. Con loro anche Giovanni Brune o, un alpinista italiano, che proseguirá alla volta dell'Aconcagua con Cesar. Da Arica proseguiamo fino a Copiapó; il viaggio sará lunghissimo, interminabile. Passiamo lungo il litorale che costeggia l'Oceano Pacifico per gran parte della strada. Il viaggio durerá circa 16 ore, arriveremo strema ...a Copiapó avevo trovato un appoggio presso i fra Francescani che avevano acce ato la nostra richiesta di poter dormire da loro. Ad a enderci, nel monastero francescano, ai confini del mondo, c'é il gen lissimo frate Italiano Padre Fabrizio Restante, che non solo ci ospiterá la no e, ma ci preparerá anche succulen pranze e cene. Il loro appoggio fu una vera benedizione, eravamo in 7 e il costo del viaggio con il perno amento in un hotel avrebbe inciso di gran lunga sulle nostre irrisorie finanze. Il giorno succesivo raccogliamo informazioni necessarie al disbrigo delle pra che per l'ingresso al parco Ojos de Salado, per conoscere l'i nerario, e fare provviste per i giorni in quota. Nel pomeriggio andiamo all'agenzia che affi a le Jeep 4x4 per poter entrare nella valle del deserto e addentrarci fino al campo base Atacama a 5000 metri. Fissiamo le condizioni dell'affi o e per fortuna ho portato con me la patente Italiana e Peruviana; sono l'unico che ha le carte in regola per guidare. La ma na seguente carichiamo la jeep con tu e le ve ovaglie, i nostri zaini e l'equipaggiamento personale. Non abbiamo altra meta che quella di raggiungere la cima dell'Ojos de Salado; sará un viaggio esplora vo e nulla piú. Infa siamo rilassa e tranquilli. Non ci resta che addentrarci nel deserto cileno. Il giorno prima avevo trovato una mappa dell'Alpenverein sull'Ojos de Salado, ero riuscito a farmi fare uno scanner completo. Cosí tramite un nostro computer avevo studiato il tragi o e me lo ero scri o su un foglio. Il viaggio si presenterá lungo e polveroso. Superiamo le lagune colorate, dove i 289


fenico eri regnano sovrani. All'altezza della Laguna Verde ci fermiamo ad osservarli da vicino. Sono rosa: un vero spe acolo della natura che vale la pena fotografare. Proseguiamo, fino a raggiungere un bivio; non ci sono cartelli che indicano le direzioni e siamo incer sulla strada da imboccare. Consulto il mio scri o, ma di questo bivio non ho tracce eviden . Torniamo indietro qualche chilometro, perché avevamo visto un cartello segnale co grande con un elenco di localitá. Finalmente lo troviamo. Dobbiamo prendere la destra. Sperando di imboccare quella giusta; non si vede anima viva. Con nuiamo il nostro viaggio. Ad un tra o su un larghissimo curvone, vediamo ribaltata una jeep bianca; é caduta nel deserto con le ruote verso il cielo. A noi sembra stranissimo che si possa lasciare una jeep incustodita nel deserto lungo la strada. Ci sembra una situazione irreale. Sca amo alcune fotografie e proseguiamo. Dopo circa 40 km raggiungiamo la deviazione che porta nella valle dell'Ojos de Salado. Arriviamo al primo punto/tappa, il rifugio-bivacco Murray a 4300 metri. Entriamo: é tu o aperto e abbastanza in ordine. Sapevamo che non c'é acqua lungo tu a la tra a, noi ci siamo equipaggia con vari bo glioni. Non ci sembra vero che ci possano essere dei bivacchi aper , senza custode, in questa parte di deserto, dove isolamento e solitudine hanno il sopravvento su tu o. Entriamo e ci sistemiamo. Ci sono bandine e qualche materasso, una cucina un pó malconcia e qualche panca per sedersi; so o c'é anche una specie di garage. La stru ura é su due piani; il piano terra funge da deposito e garage: tu o é aperto. Ceniamo, ci riposiamo e il giorno seguente, di buon ma no, ripar amo. Non conosciamo la strada, andiamo a naso. Una mol tudine di stradine e sen eri disegnate sul deserto sembra che vogliano solo confonderci. Arriviamo a un “incrocio” dove las rutas si dividono. Cerchiamo di capire, c'é un cartello giallo con una scri a quasi invisibile nera; tra le ombre, ci sembra che il cartello indichi una zona diversa da quella dove dobbiamo dirigerci. Proseguiamo dri (dobbiamo razionalizzare anche la benzina, anche se abbiamo due taniche di riserva nel cassone). Saliamo: la strada diventa sempre piú impervia e piena di dossi e buche, ma ci sembra che sia quella giusta. Dopo un'ora raggiungiamo il pianoro, da cui intravediamo il bivacco Atacama, inconfondibile container giallastro, piantato nel mezzo del pianoro. Poi, intorno, solo un deserto di sabbia e rocce vulcaniche. Lo sguardo sale fino all'incontrare la parte leggermente innnevata dell'Ojos de Salado. Ci sistemiamo nel container e mon amo una tenda delle nostre. Poi cerchiamo di prepararci una cene a, abbiamo trovato lí vicino una specie di griglia di ferro; immaginiamo lasciata da qualche spedizione degli anni '90 (oggi queste cose non si fanno piú...). Mon amo alcune sedie pieghevoli e un tavolino che troviamo dietro il container; disponiamo il tu o sul pianoro esterno e ci sediamo a pranzare-cenare. Facciamo una ispezione della zona. Alcuni salgono sul colle, altri vanno lungo il lato destro della montagna, fino a incrociare le prime rocce vulcaniche. Siamo a una quota abbondantemente sopra i 5200 mt. La sera ci ritroviamo e facciamo il punto della situazione. Saliremo al campo Tejo con viveri e ve ovagliamento, e 290


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poi il giorno successivo sfideremo la ve a dell'Ojos de Salado. L'indomani par amo con un carico sulla jeep e uno sulle spalle; tento di salire fin dove é possibile ma la jeep si arena ben presto nella sabbia. Cerco di girarla, mi fermo. Me o poi la jeep in posizione trasversale in modo che non ci sia la possibilitá che vada in caduta libera. A questo punto scendo e abbraccio il gruppo che oltre al carico giá in spalla si prende anche altri chili di equipaggiamento. Siamo e metá strada sul sen ero che dal campo Atacama (5000mt.) porta la campo Tejo (5700mt.) Finite le operazioni di scarico torno a valle e mi appresto a sistemare il campo base, aspe ando che dal campo Tejo scenda Valerio che si fermerá con me, al campo base Atacama, durante la no e. Verso sera cerco di avviare la jeep per prudenza, ma non riparte. Ahimé, se non si avvia vuol dire che il motore a queste quote ne risente e non potrá par re nemmeno nei prossimi giorni. Verso sera incontro una guida locale, che sta rientrando con dei turis statunitensi dalla ve a dell'Ojos de Salado. Gli spiego l'accaduto, mi risponde che dovrebbe avere una bombole a di gas propano nella sua jeep: lo trova e ne inie a un pó nel tubo del filtro dell'aria. Con questo stratagemma dovrebbe ripar re. Proviamo: sono momen concita e di tensione. Dopo vari tenta vi la jeep riparte; a questo punto chiedo alla guida se mi puó vendere una bombole a di gas, ma non ne ha un'altra. Se vogliamo che la riuscita della scalata non venga pregiudicata a causa della jeep, pensiamo che la forma migliore sia quella di accendere ogni ora della no e il motore in modo che non si congeli. Cosí facciamo. Non possiamo perme erci di sbagliare; se non s amo agli orari prestabili , la jeep non ripar rá. La no e é lunga e fredda, ma verso le una ci avvertono per radio, che Cesar non sta bene e deve scendere. La comunicazione è molto stringata. Subito ci ves amo e ci me amo in cammino per andargli incontro. La luna sembra aiutarci con la sua luce; il cielo é stellato, a un certo punto vediamo Cesar sbucare da un dosso del sen ero. Gli andiamo incontro ed egli ci racconta che ha mal di testa forte, senso di fiacchezza e vomito. Lo por amo al bivacco Atacama. Lo me amo nel sacco a pelo, cerchiamo di scaldarci. Un'aspirina, un termos di camomilla ben zuccherata. Ora é piú tranquillo, si sente rassicurato. Sono le prime ore del ma no del 26 gennaio 2014 quando i primi raggi di sole ci riscaldano, dopo una no e insonne e piena di soprese. Solo qua ro componen della piccola spedizione erano in condizioni fisiche o mali per affrontare il colosso in pieno deserto. La lunga marcia di avvicinamento, i materiali porta a spalla, senza ausilio di animali o portatori, e la quota aveva piegato gambe e resistenza a tu . Nel cuore della no e Edgar, Amador, padre Topio e Giovanni hanno iniziato l'a acco alla ve a. La temperatura era so o lo zero, freddo e vento in quota. Poche riserve di energia. Intanto Cesar sta meglio, vorrebbe unirsi al gruppo per la scalata, ma glielo sconsigliamo, non si puó me erebbe a repentaglio la buona riuscita della spedizione. Lasciamo ad Amador, a Topio, Edgar e Giovanni la conquista della ve a. Tra l'altro Cesar ha in programma una scalata sull'Aconcagua con Brune o, poiché a Copiapó ci divideremo: io e gli altri andremo verso il 291


Perú, mentre lui e Giovanni Brune o proseguiranno verso San ago, passo del Cristo Redentor e poi Mendoza per espletare le pra che dell'ingresso all'Aconacagua. Ma questa é un'altra storia. Per cui cerchiamo di curare Cesar alla meglio, perché non pregiudichi anche la seconda parte della sua spedizione, che poi risulterá un successo. Cosí a passo lento, cercando di ingoiare il poco ossigeno, la ve a è stata raggiunta il giorno stabilito e proge ato da tempo: il 26 gennaio é il giorno del novantesimo compleanno di padre Ugo de Censi, fondatore dell'Operazione Mato Grosso, il miglior amico di decine di migliaia di ragazzi poveri dell'America La na. “Forza Ugo non sei solo!”. Padre Topio lassù ha scambiato la piccozza con il calice, portato nello zaino, per celebrare una tra le messe piú alte al mondo. Ha voluto ringraziare i tan giovani che lavorano gratuitamente per i poveri in quell'esercito che chiamiamo Operazione Mato Grosso. Un ideale di gratuità che va ben oltre le montagne, le ve e, gli exploit, le mete, le conquiste, le vi orie. Al loro ritorno, 27 gennaio, sca eremo una foto per il gagliarde o con la scri a “forza Ugo non sei solo” come augurio per i suoi 90 anni. Il giorno stesso scendiamo di quota, prudentemente e raggiungiamo il Bivacco-Rifugio Murray dove perno amo. Il giorno seguente con calma torniamo verso Copiapó. Ad a enderci ci sono i nostri amici, fra Francescani, che hanno giá preparato un lauto pranzo degno di ospi importan . Verso sera ci me amo in marcia. Un'ul ma cena e poi via. Salu amo Cesar e Brune o che partono per San ago, poi salu amo Topio e Valerio che torneranno in Bolivia, mentre noi par remo per il Perú. La nostra meta é Arica, poi Lima e poi Marcará...un viaggio molto lungo e spossante ci aspe a...ma la meta raggiunta, le avventure vissute, incrociando le dita, hanno fa o di questo viaggio una storia da raccontare. Penso che adesso, dopo aver sfidato le Ande, dal Chimborazo al Huascaran, il Huayna Potosi in Bolivia, l'Aconcagua in Argen na ed anche l'Ojos de Salado, i ragazzi della Escuela de Guias de Montagna Don Bosco siamo piú che prepara . Con essi, caparbiamente, abbiamo risvegliato, l'amore per la natura, l'amore per le persone, sopra u o i bambini poveri e sofferen di quelle montagne. Contro un mondo di sprechi, di ingius zie, di parole al vento, di venditori di fumo, che ci va stre o e fa storcere il naso a mol giovani, penso che questa sfida abbia qualche cosa da insegnare. Fortunatamente, ci sono ancora tan giovani che non si arrendono e non sme ono di sognare!

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Cile - spedizione al Vulcano piĂş alto del mondo - Ojos de Salado 6920m

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Lucio Foliman nel crepaccio infernale

Lucio Foliman era entrato nella escuela de Guias a 16 anni. Lo avevamo tenuto vicino perché era il più piccolo della compagnia; la sua storia ci aveva subito colpito. Arrivava da Huacachi, un villaggio tra la sierra e la Selva Amazzonica, una zona dove per vivere si raspa il fondo del barile, ad arare con buoi e strumen rudimentali inerpicandosi su fazzole di terra lungo ripidi pendii. Fin da giovane aveva dovuto trascorrere intere giornate a pascolare pecore e poche mucche stringendo i den della fame e del freddo. Poi era arrivato nella selva nelle col vazioni di coca dove ne aveva pestato per mesi interi le foglie per trasformarle in pasta basica. Arrivó per caso alla parrocchia di Huacchis ed era entrato a far parte dell'oratorio. Da lí il parroco ce l'aveva mandato per la prova di ingresso alla scuola di guide. Ricordo che l'esame fu sostenuto nella parrocchia di Llamellin, con Padre Giorgio Nonni al mio fianco. Fu una selezione rocambolesca. Quello che contava nel punteggio era il numero di galline, di pecore e le dimensioni della sua casa, oltre ai componen del nucleo familiare. Ricordo che c'era anche una domanda riguardante la San ssima Trinitá; da chi era composta … la risposta che ci aveva fa o ridere a creparelle fu quella di un ragazzo dell'oratorio che scrisse: la San ssima Trinitá è composta da tre persone: Padre Ugo, Padre Giorgio e il Vescovo. Questa risposta è rimasta impressa nei nostri ricordi … l'esame di ammissione era molto semplice. Avevo chiesto di so oporre i ragazzi ad un test di atle ca, ma Padre Ugo mi rispose di no. Lucio si presentò agli esami di aspiran guide: aveva 17 anni. Ma a metà degli esami, gli istru ori mi chiamano e mi avvisano che Lucio non può proseguire con gli esami da aspiran perché minorenne. Leggiamo le regole della Unione Internazionale delle Guide di Mon294


32 tagna e in effe una delle condizioni è che gli aspiran abbiano 18 anni compiu . Per cui devo acce are, sconsolato, questa regola indiscu bile. Cosi salgo al Campo Llaca sede degli esaminandi a recuperare Lucio. É stato molto difficile fargi capire che le regole internazionali devono essere rispe ate e che lui era ancora un minorenne. Lucio ha un momento di confusione, e assorto nei suoi pensieri, esordisce chiedendomi di falsificare il suo cer ficato di nascita, così potrebbe con nuare il corso aspiran . Seriamente gli rispondo che non è possibile falsificare ques documen , che non è un gioco e che le regole, seppure dure, vanno rispe ate sempre, cos quel che cos . Lucio si imbroncia, si intris sce. Devo incoraggiarlo e rassicurarlo che é soltanto una ques one anagrafica e che l'anno prossimo sarà più preparato. L'anno dopo, Lucio Foliman supererá l'esame di aspirante guida e negli anni successivi o errà il breve o di guida di montagna: un traguardo sognato per tan anni che ha coronato con successo. Per Lucio diventare guida significa aiutare la sua famiglia, significa essere un'autorità nel villaggio. Aiutando Lucio a diventare guida, indire amente abbiamo aiutato anche la sua famiglia a crescere e a sperare in un futuro migliore. Nel febbraio 2016 – Lucio già guida UIAGM – soffre un'incidente durissimo mentre scala il nevado Yanapaccha (5460m) nella Cordillera Blanca. Una tragedia sfiorata raccontata nel suo diario. Dal suo diario: Ho cominciato a camminare in montagna fin da piccolo sui parami intorno al mio villaggio di Huacachi, poi per guadagnarmi il pane ero andato a lavorare nella Selva Amazzonica. Mi facevano pestare le coca, fino a renderla melma; lavoravo tanto ed ero pagato pochissimo. Per alcuni anni ho fa o questo “lavoro” fino a quando un professore mi indirizzó alla escuela de Guias Don Bosco (Is tuto Superiore Tecnológico “Don Bosco” en Marcará). Grazie ai volontari Italiani dell'OMG, guida da Padre Ugo de Censi, realizzai i miei studi superiori (mi origen humilde y pobre). Alcuni anni dopo, ho potuto diventare aspirante guida e successivamente guida di montagna UIAGM dell'associazione AGMP - Asociación de Guías de Montaña del Perú. Per me fu come raggiungere la ve a dell'Everest; quel tolo di guida di montagna UIAGM oggi mi perme e di lavorare dignitosamente tra le mie montagne andine; non debbo piú pestare la coca o portare al pascolo le capre. Ho scalato con i miei amici le montagne più significa ve della Cordillera Blanca e Huayhuash, arrivando fino alla cordillera Occidental Vilcanota, fino al sud del Perú. Questa storia comincia nel febbario 2016. Era martedì 16, alle 5:40 del ma no. Stavo guidando un cliente spagnolo sulla ve a del Yanapaccha; eravamo quasi arriva in ve a, mancava un ro di corda, quando un grosso blocco di ghiaccio mi cadde addos295


so trascinandomi in una voragine profonda. Caddi con la corda legata al mio cliente. Lo Spagnolo era riuscito a salvarsi, fuori dalla valanga; ci legava la mia corda; cercai di frenare la mia caduta con le piccozze, ma fu un inu le tenta vo: non potevo sopportare il peso di questa lastra di ghiaccio che mi spingeva sempre più nella voragine del crepaccio. Lo spagnolo, immobile, vide la scena che è durata pochi secondi. Il tempo di capire e già avevo perso conoscenza: ero svenuto. Varie ore dopo, mi svegliai: fu come uscire da un sogno profondo. Mi guardai intorno e mi chiesi “dove sono?”. Vedevo una voragine immensa; per fortuna ero caduto su un balcone di ghiaccio. Cercai di rime ermi in piedi, ma la caviglia era fra urata. La faccia piena di sangue, il casco tu o ro o, bo e in gran parte del corpo; il dolore era terribile e mi impediva di pensare con chiarezza. Ero disperato e gridavo: “Dio Mio ! Dio Mio ! Aiutami, Aiutami !!!” Subito capii che a gridare non risolvevo nulla e che sprecavo le poche energie rimaste. Dovevo risparmiare le forze, se volevo salvarmi: mi sfidai. Un'istante dopo, m'accorsi della cosa peggiore: il mio cliente aveva tagliato la corda. Ero solo, ferito, ma in valle correva già la no zia che ero morto, ma... ero vivo dentro un crepaccio. La no zia dell'incidente e della mia caduta aveva già fa o il giro del mondo. Ho impiegato qua ro ore a uscire dal crepaccio, grazie alle mie piccozze e alle fe ucce che le avevano mantenute legate ai polsi. Con esse ho potuto sollevarmi e uscire dal crepaccio, appoggiando tu o il mio corpo su un solo piede. Quan pensieri bui durante queste qua ro ore. Ma l'is nto di sopravvivenza ebbe la meglio: dovevo portare a casa la pelle. Che fa ca immane su quella parete di ghiaccio, che mi sembrava interminabile! Ero a più di 5000 metri e dovevo uscire, dovevo farcela; non potevo perme ermi di sbagliare; ogni errore poteva costarmi la vita, cadendo nelle profondità del crepaccio. Con nuai a salire sospeso e incredulo di essere ancora vivo. Quando uscii da quella voragine infernale, gridai con tu e le mie forze, e con immensa allegria, piangendo: “gracias Dios, gracias Dios! estoy vivo!” Cercai di orientarmi, guardai verso il campo morena, ma non c'era nessuno: avevano smontato le tende e tu erano scesi. Allora pensai che dovevo trascinarmi e, ga onando, arrivai sul ghiacciaio puntando verso il campo base. Ero stremato. Mi abbandonai sdraiato so o i raggi del sole. Pensai che qualcuno sarebbe venuto a cercarmi: e fu cosí. Per primo mi vide un mio amico portatore, che stava partecipando alle ricerche. Mi svegliò e mi aiutò a raggiungere il campo base. Caddi a terra sfinito e persi conoscenza un'altra volta. Uscii dal coma due giorni dopo, in una clinica di Huaraz. Venne a trovarmi il mio compagno di sventure (lo spagnolo). Era spaventato, quando mi vide. Mi raccontò che quando ero stato travolto dal blocco di ghiaccio, la corda restò tesa per cinquanta minu ; mi chiamava, ma io non rispondevo. Ebbe paura perché gridava e io non rispon296


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devo. La corda era tesa come una fune. Dove e prendere una decisione che ancora oggi nel mondo dell'alpinismo fa discutere tan ssimo. Bisognava fare qualche cosa e subito, prima che arrivasse la sera, perché il freddo gela le mani, i piedi se si resta immobili a piú di 5000 metri. Senza una soluzione evidente, bisogna prendere coraggio e tagliare la corda sperando in un miracolo. Lo spagnolo, decise di tagliare la corda sperando in un miracolo. Decise di tagliare la corda e cosí poté scendere a valle e chiamare i soccorsi. Da questo momento valorizzo ancora di più la mia vita: cerco di vivere intensamente ogni istante; mi sono forgiato sulle Ande ed ho superato l'ostacolo più difficile e duro della mia vita: la morte davan agli occhi! Oggi sono una guida nuova che cerca di migliorare il rapporto con le persone in montagna: non li vedo solo come clien , ma come amici e compagni di cordata. Mi rallegro, quando, camminando per le vie di Huaraz, mi salutano dicendomi: “Hei! touching the void two!” Il racconto completo della scalata e incidente occorso sul cerro Yanapaccha lo si puó ascoltare narrato dalla viva voce di Lucio Foliman sul QRcode scaricabile da internet.

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Lucio Foliman - sopravvissuto alla caduta nel crepaccio infernale

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Cordillera Blanca - Cerro Yanapaccha 5460m - verso la vetta

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Nanga Parbat 8126m, il sogno dell'invernale

Venivamo da un periodo di aperture di vie nuove, corse in velocitá, performance strabilian ; di certo non ci eravamo risparmia . Tu o sembrava portarci su montagne sempre piú difficili e complesse. Ci eravamo lascia portare dall'entusiasmo e dalla voglia di infinito. Dopo anni di allenamen , di esplorazioni, era giunto il momento delle Grandi Imprese. Ma quello che vari nostri collaboratori pensavano fosse la naturale evoluzione del proge o guide, per i nostri ragazzi era, al contrario, aver raggiunto lo scopo della loro vita; cioé lavorare in montagna per guadagnarsi da vivere e me er su famiglia. I nostri ragazzi non avevano la passione per la montagna; lo s molo arrivava dalla prospe va di guadagnare qualche soldo dignitosamente, guidando clien sulle Ande. La meta per i nostri ragazzi era molto semplice, ma anche molto concreta. Qui non si tra ava di inventare imprese alpinis che, ma di imparare un lavoro. Cimentarsi sui colossi himalayani non era nei piani dei nostri ragazzi, non lo era mai stato. Ma Valerio spingeva e per cer versi lo assecondavo, anche se avevo for dubbi sulla buona riuscita del proge o. Allo stesso tempo ero curioso di conoscere il mondo degli alpinis himalayani. Questo mi serviva per capire che aria rava tra i grandi dell'alpinismo moderno. Mi serviva capire che opinione avessero delle nostre giovani guide peruviane. Se c'era apprezzamento per il lavoro fa o fin qui. Era una curiositá la mia, piú che un desiderio di me ere in moto la macchina organizza va verso i colossi dell'Himalaya. Fu cosí che nella primavera del 2010, alcuni amici ed io, decidiamo di andare a trovare Mario Merelli. Valerio Bertoglio conosce bene i nostri ragazzi e spinge per una spedizione sull'Himalaya, 8.000metri. Lui dice che i ragazzi “Don Bosco” devono cimentarsi in 300


33 questa impresa. Io sono perplesso; penso che i nostri ragazzi non andranno mai a lavorare in Himalaya. Ci vanno giá le guide europee. L'Himalaya, per noi andinis , é un mondo lontano che non ci appar ene. Per i nostri ragazzi peruviani potrebbe essere un pres gio, non il lavoro. Dopo varie insistenze di Valerio e di altri amici mi decido ad andare con loro per incontrare Mario Merelli, nella sua casa nelle Valli Bergamasche. Mario ha un'esperiena pluriennale in Himalaya. E' stato uno degli scalatori più a vi e conosciu degli ul mi anni. Nel corso di 18 spedizioni è salito su ben 10 ve e di o omila metri: Everest (2001 e 2004, pare sud e nord), Makalu, Kangchenjunga (nuova via sul versante sud), Shisha Pangma (2003 e 2005, due salite), Annapurna, Broad Peak, Gasherbrum I, Lhotse, Cho Oyu, Dhaulagiri. L'incontro é cordiale: un uomo saggio e robusto, appassionato e di poche parole. Ci accoglie con molta semplicitá. Valerio espone il suo proge o dicendo che per i nostri ragazzi sarebbe una grande opportunitá scalare un 8000. Volevamo sapere che cosa era meglio fare. Mario ci consiglia che dovremmo puntare su una via invernale, che mai nessuno ha affrontato, parla del Nanga Parbat, 8126m. Nasce un confronto acceso, non tanto sulla via invernale, tu a da inventare, quanto sulla necessitá di questo exploit, me endo a rischio la vita dei ragazzi peruviani. Per quanto esper , ques nostri ragazzi, stanno investendo la loro vita sulle Ande come lavoro e non come passione, come alcuni di noi vorrebbero ad ogni costo. Insisto che i ragazzi comuque vivono del lavoro in montagna e che é eccessivo questo sforzo lontano dalle loro ro e comuni. Anni prima ci eravamo spin in Patagonia e poi sull'Aconcagua con risulta strabilian , ma queste erano le loro montagne. Eravamo sempre sulla Cordillera delle Ande. Per me sono due modi diversi di concepire l'approccio alla montagna. Per noi europei é la passione e la voglia di sfida, che abbiamo col vato in piú di cent'anni di vita alpina. Mentre per i figli della povera gente andina é ricavare qualche cosa per la sopravvivenza. Fino a qualche anno fa le montagne erano sinonimo di freddo e fame. Mario ci parla a lungo del Nanga Parbat, ci spiega che l'intera via é la piú lunga al mondo (sono piú di 4000 metri di dislivello). Solo pochi hanno tentato la scalata, ma nessuno é mai riuscito a superare lo sperone Mummery. Ascolto con a enzione, mi piace la descrizione di Mario, mi affascina il suo approccio di sfida verso una grande impresa. Sono cosciente che non sará questa la strada che percorreremo. Ascolto; lui parla di rischio, di rinuncia, di forza di volontá. Mario parla con il cuore. Si sente dalle sue parole. Mi fa bene ascoltare, anche se sono convinto che questo proge o non fa per noi. Scopriró in seguito che il Nanga Parbat é una montagna insidiosissima. L'invernale é una vera e propria roule e russa. Sopra u o lo sperone Mummery, che per alcuni alpinis é diventato un'ossessione. Quello è ritenuto da mol l'impossibile. Rimane la sfida piú grande dell'alpinismo himalayano. Penso alle 301


vie difficili sulle Ande; il mio sguardo va sullo Yerupajá, sul Siulá Grande e sul Jirishanca, montagne molto complesse nella Cordillera Hauyhuash. Non guardo oltre, con nuo a pensare che i nostri ragazzi potrebbereo sfidare ques colossi di ghiaccio e neve. Lasciamo Mario, e lo ringraziamo per aver allargato i nostri orizzon . Il Nanga Parbàt significa "montagna nuda" in lingua urdu, mentre gli sherpa, la chiamano "la mangiauomini" o la "montagna del diavolo". Il toponimo Diamir, u lizzato localmente, significa Re delle montagne. La montagna si sviluppa su una lunga dorsale principale, che compie un lungo arco concavo rivolto a nord-ovest. A nord-est, c'é la cresta Chongra, che sale in direzione sud-ovest del Chongra Peak (6.828 m) e alle sue ve e secondarie (centrale 6.455 m e meridionale 6.488 m), prosegue fino al punto nodale del Rakhiot Peak (7.070 m). Qui la dorsale volge a ovest raggiungendo il Dente d'Argento Est (7.530 m) e quindi piega a ovest-sud-ovest toccando l'An cima (7.910 m). Da questo punto volge dire amente a sud, toccando in successione la Spalla (8.070 m), la Ve a principale (8.126 m) e la Cima Sud (8.042 m). Da quest'ul ma, la cresta inizialmente si abbassa in direzione sud-ovest, poi prosegue verso ovest sempre intorno ai 7.000 metri. La cresta Mazeno è considerata la più lunga del mondo. La parete Rupal, estremamente scoscesa, si sviluppa con pendenza elevata e costante per circa 4.500 metri raggiungendo la valle so ostante. Si tra a della parete montana più alta del mondo. Nel 1895 Albert Mummery condusse una spedizione che raggiunse i 7.000 m dal versante Diamir. Mummery fu la prima vi ma sul Nanga Parbat: scomparve insieme a due portatori mentre tentava di esplorare una via per passare al versante Rakhiot a raverso il valico Diama. Queste informazioni e altre, che ho tentato di raccogliere negli anni successivi, mi fanno pensare che la scelta di “non tentare l'invernale del Nanga Parbat”, non é stata fru o solo del mio pensiero ma di una serie di circostanze fortuite. Non ritengo questa “rinuncia” una sconfi a, ma una reale convizione che su alcune vie estreme si va solo se si é maturato il desiderio interiore di ricerca, piú che quello della sfida e scommessa ad ogni costo. Il 18 gennaio 2012, Mario è deceduto in seguito ad una caduta mentre saliva verso la cima della Punta Scais, nelle Alpi Orobie. Stava dirigendosi verso il torrione Curò dal versante valtellinese, percorrendo il canalino alla base della torre. Poco prima del termine di questo passaggio una roccia si è staccata, facendolo precipitare per circa 300 metri. La montagna che tanto amava l'ha voluto con sé. Due anni dopo, nell'aprile 2014 una nostra guida “Don Bosco”: Cesar Rosales Chinchay, viene invitato da Aberto Peruffo a prender parte alla spedizione sul Kanchenjunga in Nepal. L'obie vo é raggingere l'inesplorata cresta Est-Sud-Est della ve a Meridionale del Kanchenjunga, alta 8476 metri. La cima minore Zemu Gap Peak di 7780 metri, a 302


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quanto pare, non é mai stata raggiunta. L'obie vo è poco conosciuto ed è considerato da alcuni una delle più belle sfide nel massiccio del Kangchenjunga: lo Zemu Gap Peak; che con i suoi 7780 metri, sarebbe ancora oggi una cima inviolata. Situato tra Nepal e Sikkim indiano, il Kangchenjunga è la ve a più orientale dell'Himalaya ed è il terzo O omila della Terra. La prima scalata é avvenuta nel 1955, ad opera di due alpinis inglesi che hanno deciso di fermarsi qualche metro so o la cima, in segno di rispe o verso la popolazione locale che consideravano sacra la ve a. Da allora il Kangchenjunga è diventato teatro delle imprese dei migliori alpinis di tu o il mondo. Fanno parte del gruppo degli scalatori anche Anindya Mukherjee, esploratore e alpinista indiano, primo a raggiungere il Colle Zemu da Sud, e Cesar Rosales Chinchay, punta della escuela de Guías Don Bosco en los Andes di Marcarà. Per Cesar sará l'impresa piú importante, anche se dovranno rinunciare alla ve a. Lui stesso dirá che sfidare un o omila, é stato un grande sogno. “In Himalaya non abbiamo raggiunto la ve a; tu o é andato bene, abbiamo effe uato un tenta vo per aprire una nuova via, ma non siamo riusci a superare l'insidiosa cresta. Tu o era molto pericoloso, anche la parete e abbiamo rinunciato. Abbiamo poi optato per altre cime “vergini” di 5700 mt e 5900 mt. L'amicizia tra noi si é rafforzata. Il gruppo era composto da gente molto buona e sicuramente un giorno ci rivedremo in Italia. Vi penso spesso, e vi sono molto riconoscente per tu e le opportunitá che ci avete regalato.” Con infinta gra tudine Cesar Rosales

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Un riconoscimento meritato per Cesar Rosales

Nel 2018 mi arriva dal Perù, come per sorpresa questa le era che decido di pubblicare in questo libro, dove uno scalatore statunitense (William) è tes mone di una sorprendente azione di salvataggio sull'Alpamayo. Complimen Cesar Rosales per il lodevole lavoro che sviluppi come guida ufficiale di montagna, Agmp-Uiagm. Sappiamo che hai tu a la capacità di lavoro e di leadership e di andare avan . Cari Associa , Vorrei riconoscere una delle vostre guide peruviane: Cesar Rosales. Come cliente, lavoro sempre con le guide cer ficate; lavorano ai massimi standard e garan scono la nostra sicurezza. La seguente le era di riconoscimento è stata inviata all'ambasciatore peruviano, ambasciata del Perù negli USA Vorrei riconoscere le azioni eroiche e altruis che della guida di montagna peruviana Cesare Rosales, durante la mia recente spedizione di arrampicata ai ghiacciai (6,000 m) nella Cordillera Blanca, Perù, giugno 2018. Ero in Perù con i miei due soci di arrampicata in una spedizione andina sul ghiacciaio dell'Alpamayo. Mentre a poche cen naia di metri dalla ve a il 27 giugno, uno dei miei soci è stato colpito da una valanga di ghiaccio che gli ha ro o la spalla. Abbiamo organizzato una discesa di emergenza al campo Colle a 5600 mt. Quando siamo arriva al campo, Cesar Rosales è stato veloce a fornire aiu alla nostra spedizione. Il giorno dopo, la nostra squadra è scesa al campo base a 4200 mt. Durante la discesa, a raverso la morena glaciale a 4900 mt, ci siamo incrocia con una spedizione Bulgara in difficoltà. Uno dei loro scalatori aveva la vista annebbiata, incapace 304


34 di vedere e quindi di scendere dalla montagna. Il Sig. Rosales era nelle vicinanze mentre scendeva dopo aver scalato il nevado Alpamayo con successo, insieme ai suoi due clien . Ha sen to le grida di aiuto della squadra Bulgara ed è venuto in loro aiuto. Sapendo che la nostra squadra aveva avuto un alpinista ferito il giorno prima, il sig. Rosales ha subito ingaggiato la squadra Bulgara. Mentre la nostra squadra si è presa cura dell'amico ferito al braccio. Il Signor Rosales, ha cercato di aiutare il Bulgaro incapace a scendere al campo base. Lo sforzo di guidare lo scalatore è stato quasi impossibile a causa del ripido terreno e della roccia della Morena. Il Sig. Rosales poi ha fa o una cosa che avrei chiamato '”sovrumana”: si è caricato sulla schiena lo scalatore Bulgaro ferito, e lo ha trasportato per quasi 700 m a raverso la ripida roccia fino al campo base. Lo sforzo del Signor Rosales è stato impressionante: uno spe acolo di vera compassione. Questa è stata la mia prima visita al tuo grande paese; la bellezza della terra, la compassione e la cordialità del popolo peruviano è stata impressionante. Ovunque, le persone si sono unite per aiutarci. Le azioni del Sig. Rosales sono degne di nota; ha messo da parte le sue esigenze e disinteressatamente si è prodigato ad aiutare gli altri. Ha mostrato grande coraggio e altruismo, superando una zona rischiosa e caricandosi lo scalatore Bulgaro. Grazie per l'opportunità di visitare il Perù e di sperimentare la vostra grande ospitalità e cultura. Sinceramente, William (Skip) Reindollar USA Cesar Rosales autore del soccorso sull'Alpamayo

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Alcune lettere di Padre Ugo che hanno guidato questa avventura tra Ande e campesinos Chacas novembre 1993 Ba s no Bonali verso la ve a INTRODUZIONE Ba s no e Giandomenico sono vola giú dalla parete Nord del Huascaran, quando mancavano pochi ri di corda alla ve a. Quasi ogni mese aggiro il Huascaran da sud, venedo da Chacas e lo doppio a nord andando a Yanama. Da allora non mi distraggo da quel colosso: sono a ra o dalla parete Nord – Tra le due lagune di Llanganuco me la trovo davan . La osservo confrontandola con due immagini con cui me la descrivevano nei giorni della tragedia: un badile all'insú, per cui ció che si stacca dalla parete viene giú a piombo (Giorgio); uno sparviero minaccioso che si difende dall'a acco (Alice). Prima voce: “Guarda Ugo: da so o l'orlo bianco della mantellina che copre le spalle dello sparviero, da appena so o la calo a terminale di ghiaccio sono vola giú Ba s no e Giandomenico” Seconda voce: “ Ti sbagli Ugo. Correggi: sono vola sú” Questo duello intreccia e spiega anche la mia vita. La prima voce esce dal pugno di molecole che io sono. La seconda voce È Gesú. Sono venuto in Perú, con altri giovani, per far vincere la seconda voce. Anche Ba tsino ed i suoi compagni sono sta del parere che é meglio scalare la vita, per dar ragione alla voce di Gesú ed avevano dedicato la spedizione “NORD HUASCARAN” a quelli che Gesú predilige: “quelli che stanno in basso” Leggendo ques ricordi, rifle erai per cosa vale la pena giocare la vita... Padre Ugo De Censi Ed i ragazzi OMG 306


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Spachá 20 febbraio 1996 Carissima Adele, pochi giorni fa scrissi a Giorgio del nostro proge o: decisione di costruire il RIFUGIO PISCO. Giá l'avevo ascoltato dare qualche criterio che sta a cuore agli scalatori che vengono dall'Europa e dall'America. Ma non troviamo (oppure io non so trovare) ora qualcosa che possa entusiasmare i nostri oratoriani come un proge o qual é quello del Rifugio Pisco. Provo a dir . Sono sempre piú immerso nelle considerazioni che nascono dal pensare, osservare, un mondo in cui DIO di Gesú scompare. Questa assenza di DIO é qualcosa che mi si fa tanto piú chiara quanto piú la comba o. Non é neppure una dimostrazione; é una paura, una sensazione, un silenzio schiacciante. Le mie amicizie, tanto belle e importan , tu i legami anche quelli piú belli si riempiono del nome di DIO e di Gesú, come fossero recipien vuo senza questo nome e desiderio. Desiderio di Dio é l'espressione che piú uso ora, anche piú di cercare DIO. E così mi trovo in ba aglia, sempre piú “ridicolo”, “assurdo” e sempre piú impegnato. Qui in Perú tu o ció che si fa é sempre piú insufficente; se si guarda bene appare sempre piú disordinato. Cosí anche questa storia del Rifugo Pisco, e tu e le iniza ve che me amo in moto é come lasciarsi condurre da qualche “ideuzza” che non ha possibilitá di successo se guardi ai nemici a orno (economia, psicologia, poli ca, scienza). Ma é necessario “fare qualcosa”, aprire una speranza , ascoltare la situazione dei ragazzi e di li par re. Mi é difficle (ma ho tentato) di dire a parole ció che a tra intuisco in modo lucido. Chiarissimo. Era per dire “tu o ció che si fa é per sempre insufficente, non torna”.- E' giusto che sia cosí. E' giusto che non ci siano sicurezze, che non si possa avere la vi oria. E' giusto che l'albero della fede non cresca mai dassolo appena si é messo il seme...é giusta la fa ca inu le, é giusto aspe are e spiare una speranza nuova dalla situazione, é giusto soffrire...perché solo DIO sará il premio. “Solo DIO é vincitore. Perché DIO é il MIRACOLO. Purché si RIVELI” Appena ho scri o questo riassunto mi siedo stremato dalla fa ca di dover esperimere ció che provo. Poi ripar re. Subito fare quello che mi tocca. Sará stata una preghiera questa le era o un moto di orgoglio? Solo la parola Gesú in me, me e fine ad ogni ragionamento o colpa o inu litá. Volevo difendere il Rifugio Pisco, o l'Oratorio o tu o ció che facciamo. Ciao Tuo Padre Ugo

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Chosica 29-01-2004 Carissimi Giancarlo e Marina, eccomi tornato. Ho dovuto fare 15 giorni in silenzio e ubbidire perché mi lasciassero tornare. Sopra u o i mie fratelli e do ori volevano che mi femassi. Sento che le forze diminuiscono ed aumentano le curve (udito e memoria) ed i dife . So che avete tenuto una riunione sopra i rifugi: é un'idea che mi é chiara nella testa e nel cuore, quella dei rifugi. E so che se non é capita come io la intravedo, tu Giancarlo sen rai come un'offesa, una dimen canza del vostro lavoro di ques anni, mentre io invece desidero e vedo (in avan ) una maggiore intesa, una collaborazione nell'andinismo, un aiuto a voi, nella ges one ed educazione dei vostri ragazzi, ora guide, ora messi al lavoro. Cosí ecco le linee fondamentali che ci devono guidare in questa collaborazione Andinismo-GuideOra ori-Rifugi. 1) I RIFUGI debbono essere nelle mani degli ORATORIANI (che li hanno costrui ), ges da alcuni ORATORIANI piú responsabili e assis dai rispe vi parroci. Allora per esempio si potrebbe pensare cosí: A) il Rifugio Pisco in mano agli oratoriani e parroci di Yanama, Chacas, San Luis, Piscobamba B) il Rifugio Ishinca in mano agli oratori e parroci di Jangas, Marcará, Shilla, Ticllos, Yungay... C) il Rifugio Huascaran in mano agli oratori e parroci del Puchca (Llamellin – Uco e zona Huanuco) Cosa significa “ESSERE IN MANO agli ORATORI e Parroci di...?” · significa che la ges one, il personale di ges one, traspor , lavori complementari, economia e paga del personale fisso sará in mano a un gruppo di ORATORIANICATECHISTI-RESPONSABILI – assis dai loro parroci. · cosí si deve evitare che il rifugio sia in mano a una sola persona o a un gruppo di persone che lo ges ce come “suo” · sono le varie Parrocchie che devono assumersi gli oneri finanziari per pagare il personale. · Il personale dovrá essere scelto e preparato tra alcuni catechis responsabili (pochi) con i loro Parroci. 308


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Il personale che ges sce – possibilmente oratoriani fedeli ed ones – puó essere assis to sopra u o agli inizi da qualche volontario OMG, che sappia di montagna e rifugi; ma si deve avere la preoccupazione di affidare la responsabilitá ai peruviani.

2) IN CHE CONSISTE LA COLLABORAZIONE tra ORATORI-PARROCCHIA e GUIDE DONBOSCO ? Gli oratori – Parrocchie avran bisogno del servizio Guide – per questo concorderanno con voi: A) quali guide e quali portatori da me ere al rifugio · il lavoro e servizio che si puó e deve chiedere alle guide e portatori, il tra amento da dare loro · la collaborazione stre a in concreto al rifugio B) le Parrocchie, si interesseranno per conoscere i problemi della scuola e delle guide. · per dare una mano a voi · collaborando e mantenendo lo spirto OMG-Oratoriano · per vedere come aiutare la scuola, i maestri ad avere il lavoro tu o l'anno... Questa collaborazione che finora é stata scarsa, sará possibile e fru uosa se ciascuno conoscerá i bisogni dell'altro: · se gli oratoriani conosceranno i bisogni della scuola-guide · se la scuola guide conoscerá i bisogni degli oratori 3) E' NECESSARIO (e lo si vede sempre piú) un inserimento di queste a vitá (rifugi-guide) nel contesto delle COMUNITA' da cui vengono gli ORATORI. E´necessaria l'intesa e collaborazione con le autoritá locali (sindaci – associazioni di arrieros) e quelle degli ENTI cui fa capo il PARQUE HUASCARAN. Se non teniamo ques rappor con a enzione, previdenza, buon senso, rischiamo di renderci incomprensibili ed avere dei nemici lá dove abbiamo bisogno di comprensione e sostengno. Non si puó pensare di far cadere tu o dall'alto...quando le cose van male. C'é tu o un lavoro capillare da fare con le comunitá e le autoritá. Se si fa a enzione a questa collaborazione tra noi: Oratori – Parrocchia e Scuola Guide Parrocchia – Scuola e Comunitá campesine - autoritá Parrocchia – Scuola – Comunitá – ENTI Avremo raggiunto una buona meta.

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Ciascuno deve cercare di capire le persone, la mentalitá, i bisogni che l'ALTRO ci manifesta. Non é un dialogo facile, ma é un dialogo necessario, senza il quale avremo sempre piú difficoltá. Questo é ció che a me pare necessario tener presente se vogliamo CAPIRE ed AIUTARE ció che si sta facendo so o la comune sigla di OMG, Parrocchia, ORATORIO e Scuola DonBosco. Só che non é immediata l'intesa. Ma mi sembra tanto piú necessaria quanto piú ci siamo estesi e ciascuno sente la sua responsabilitá. Ho l'impressione che, con un pó di sacrificio, ce la faremo e ne saremo conten . Il dialogo a TU per TU spianerá gli equivoci. Ci sará sempre da cedere e ci parrá a tu cosí: “tocca sempre a me cedere” Carissimi Giancarlo e Marina, spero di aver spiegato un poco ció che io penso e sto in ascolto di voi sopra u o. Ho sempre l'intenzione chiara di sostenere il vostro lavoro, il cammino giá fa o e quello che rimane da fare . Con tu o il cuore vi saluto e vi abbraccio Vostro Padre Ugo

Lima 15 marzo 2012 Carissimi Giancarlo e Marina, grazie per il bellissimo regalo delle montagne della Huayhuas! Quante volte ho desiderato andare a CHIQUIAN ! Mai riuscito! Quante volte ho pensato Giancarlo, tra le montagne della Huayhuash! Ora non mi é piú possibile se non venire dietro con gli occhi e da lontano! Cosí potete con nuare a stare lega a ció che avete iniziato e messo in moto con l'Andinismo, e vedere nuovi sviluppi e nuovi modi di stare accanto ai vostri primi ragazzi. Vedo che tu Giancarlo non cessi di essere sognatore (cosí era anche Don Bosco) e mi parli di JUNIN, PATAGONIA, della Cordillera RAURA e HUAYHUASH, tu o da esplorare e farci su proge . Io ho conosciuto solo le valli della Cordillera Blanca, i paesi, ho camminato. Non ho mai fa o alcuna cima. Poi a me é piaciuto sempre dipingere. Anche ora, con fa ca, farei qualche quadre o. Tu Giancarlo tornerai sempre su queste montagne, lo so; é come se tu non potessi non farlo. Ti appartengono. 310


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Poi c'è la scuola, le case, le famiglie dei vostri ragazzi. Io li seguo un pó. Spero vadano un pó piú avan di dove sono arriva . Voi Giancarlo e Marina lo vedrete... * Mi dici del libro che state preparando, e aspe una mia pagine a di introduzione. Piú che l'introduzione penso abbiate bisogno di un aiuto finanziario per stampare il libro che si faccia rispe are. Cosí puoi conceder di fare una cosa molto bella e, dopo il libro, una guida della Cordillera. Avver mi per tempo, se vogliamo che il libro sia venduto bisogna fare una edizione bella (5000 – 10000 copie) Grazie di cuore Con tanto affe o, va bene Tuo Padre Hugo

Lima 15 aprile 2012 Carissima Marianna, ho un ricordo vivissimo di te quando andammo in PATAGONIA, qualche anno fa. Io in Patagonia ci sono andato perché i Salesiani (e don De Agos ni ne é il piú celebre) sono sta i divulgatori e conoscitori di quella gente. Se dici “Zeferino Namuncurá” un Salesiano che ha almeno 60 anni sorriderá e racconterá quello che gli veniva suggerito dai nomi delle tribú, dei pos ... Tuo papá conosce le montagne. I Salesiani di allora percorrevano quelle steppe e distanze enormi con il cavallo. Allora era di moda dire tra i Salesiani che il Salesiano della Patagonia faceva comunitá con il cavallo! Mi hai scri o per dirmi ció che giá la tua mamma mi aveva accennato: il tuo RITORNO in ITALIA con la tua mamma e poi magari con il tuo papá e la tua sorella piú in lá. Per il tuo papá sará duro il ritorno in Italia: la natura, le montagne, la Cordillera Blanca e la Huayhuash sono gli amori piú stabili di tuo papá assieme alla sua famiglia. Io ricordo quando conobbi Giancarlo in Italia tan anni fa. Poi in Perú é nata tra noi, davvero, una grande intesa e amicizia a orno alle montagne ed ai ragazzi guide e portatori. Io non ho potuto partecipare a nessun ascensione, per facile che fosse: mi mancó il tempo e poi, piú tardi, il fiato. Ma ho sempre sostenuto le idee, i desideri, le imprese di tuo papá anche quando, fino a poco tempo fa, vedevo che non sarebbe stato possibile andare molto piú in lá di dove siamo arriva . 311


Tuo papá tornerá sempre in ques pos . Ora tu andrai a scuola in Italia. Vedi di non dimen care per nulla il Perú, l'aria, le montagne, la purezza della natura, la povertá dei vecchi... e tornerai a vivere qualche volta il clima di questo mondo cosí vasto e ancora privo di tante incrostazioni del progresso. Cara Marianna, vedi di me er dentro nell'OMG perché é un canale dove ancora puó correre l'acqua pulita. Studierai, ma nulla potrá sos tuire gli anni piú puri della tua vita. Ti verrá nostalgia. Acce ala come regalo. La tua vita giovane, i tuoi anni piú puri sono qui. Avrai bisogno di tornare con qualcuna delle persone care. Sono contento che vai in Italia. Nella zona di Brescia avrai ragazzi come te che hanno vissuto qui e con loro potrai fare amicizia. Ti raccomando la devozione alla Madonna. Ogni festa della Madonna vedi di sen re che é una festa di famiglia. Mi ricorderai quando sen rai dire che Padre Ugo se ne é tornato dal Signore. E' ció che desidero per me e per ogni persona a me cara. Viviamo solo per conoscere e ringraziare Dio per questa vita che si apre con un grande dolore all'incontro con Dio. Vale la pena vivere per LUI, per amare LUI e tu e le persone che Dio ama. Ciao cara cara Marianna Tuo Padre Hugo

Padre Ugo con Marta all'inaugurazione della Chiesa di Punchao

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Lima 2 luglio 2012 Carissimi Giancarlo e Marina, avrei piacere di avervi qui, per vedere assieme a voi come si puó unire la preoccupazione che voi ed io ed altri hanno sulla vita e sviluppo delle a vitá turis che che fanno capo alla Casa – Centro Renato Casaro o a Marcará, rifugi ed alle a vitá Oratoriane. Mi sembra necessario unire e collegare le varie facce di un problema complesso e vederne le possibili soluzioni. Penso sempre con molta a enzione a tu , in questo proge o dove i “vostri” ragazzi sono al centro della vostra vita passata, in parte a uale, e io penso sia parte importante della vostra vita futura. Tu Giancarlo devi fare a enzione a quanto io vorrei suggerire e me ere so o la tua osservazione. (Quando sei stato qui da me un pó di giorni fa, mi rendevo conto di qualche cosa che preoccupava e che non riuscivi ad esprimere per paura di offendermi). Occorre che anche voi vi sen ate responsabili di ció che puó essere il futuro (piú o meno buono, piú o meno riuscito) di ció che voi stessi avete iniziato e che io desidero, con voi, vada a buon fine. Cosí leggete la mia preoccupazione per voi, la vostra famiglia, per il vostro futuro e per i vostri ragazzi. Sono certo che mi ascoltate con affe o e partecipazione. Vi abbraccio Vostro Padre Hugo Le mani di Padre Ugo accarezzano il legno piú sicuro - la Croce

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Ringraziamenti

L'Operazione Mato Grosso, con nua ad operare in America La na con piú di 500 volontari tra coppie con figli, sacerdo e laici. L'OMG è un movimento di volontariato educa vo missionario che svolge un insieme di a vità sociali, educa ve, sanitarie, pastorali e di catechesi tra Perú, Bolivia, Brasile, Ecuador e Bal more (USA) volte ad educare e aiutare i più bisognosi. Sebbene sia aconfessionale, cioè privo di una precisa iden tà poli co-religiosa, le a vità dell'OMG in missione sono principalmente cara erizzate da uno spirito ne amente carita vo. In modo par colare, il mio pensiero va a Padre Ugo De Censi, che ci ha accolto come famiglia, ci ha sostenuto, incoraggiato e spinto perché portassimo avan questa a vitá par colare con i ragazzi peruviani. Padre Ugo ci é sempre stato vicino sia nei momen di maggior slancio, sia nei momen fa cosi. Non ci ha mai lasciato soli: una le era, un biglie no, un quaderno delle prime comunioni, una sua visita alla Parrocchia di Marcará; si serviva di ques mezzi per comunicarci il suo affe o. Ringrazio Valerio Gardoni per essermi stato vicino in tu ques anni, per la sua disponibilitá e per e aver collaborato alla stesura di questo libro. Ringrazio Sergio Sardini che si é prodigato con pazienza certosina ed impegno a correggere l'ortografia e per avermi dato alcuni spun nella stesura di questo libro. Desidero ringraziare gli amici, i volontari OMG, che ci hanno affiancato durante ques anni e sempre ci hanno mostrato la loro fiducia; tu o questo non sarebbe stato possibile senza il loro sostengo, sia morale che economico: Padre Topio, Valerio Gardoni, Valerio Bertoglio, Luciano Colombo, Domenico e Silvia Gaggini, Roberto e Miriam De Rigo, Franco Micheli, Bruno e Vica Bianchin, Claudio e Luisella Zaninelli, Ivano Taini, Ivano e Maria Chiaf, Massimo e Giovanna Burato, Renzo Turri, Adriano Greco, Andrea Gamba, Lito Maggioni, Michele Bene , Padre Giuliano Gargiulo. Il 314


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gruppo gestori del Rifugio Laeng: Angelo e Adelaide Vezzoli, Elena e Emanuele Voltolini, Fausto e Samuela Be nsoli, gli amici e gestori del Rifugio Torsoleto: Silvia e Francesco Pedersoli, gli amici della Valle Camonica: Adele e Giorgio Cemmi, Annibale, Giovanni, Fausto, gli amici del gruppo Andescar di Bergamo, i volontari della Val Formazza: Rifugio Claudio e Bruno, Rifugio 3A , il Padre Ambrogio Galbusera, Nicola e Carlo Corigliano e tu i volontari OMG che hanno acquistato il terreno di Hauricoto su cui sorge il Centro Andinismo Renato Casaro o. Ringarzio Gloria Escurra, perché in tu ques anni ha fa o parte della nostra famiglia, aiutandoci nell'accoglienza della Casa–escuela. Ringarzio Gore a Traverso, per averci sostenuto con pazienza nella realizzazione del centro andinismo che porta il nome di suo marito, Renato Casaro o. Estendo la mia gra tudine personale alle Di e di produzione di materiali di montagna, che in ques anni ci hanno sostenuto con le loro a rezzature: CAMP, FERRINO, KONG, MONTURA, ed il suo tolatre, nonché amico, Roberto Giordani. Desidero ricordare in questo momento Bruno Vajente, Mariano Stor , Francesco Tognon, Bruno Capozzo come persone che si sono prodígate nell'ambiente del CAI per portare avan l'impegno a sostegno del Centro Andinismo Renato Casaro o, a raverso il coinvolgimento delle 14 sezioni dei CAI Vicen ni. Voglio ringraziare la Famiglia Biamon , lo staff di Cuore Amico, il CAI di BRESCIA nelle persone di Riccardo Dall'Ara, Eros Pedrini e Gianpietro, tu a la comunità di Bornato che sempre ci ha sostenuto e affiancato in questo arduo compito educa vo-carita vo sulle Ande Peruviane. Mi scuserete se dimen co qualcuno, mi è difficile ricordare tu in questo momento tanto par colare. Estendo la mia gra tudine a tu la sezioni del Club Alpino Italiano, che hanno partecipato in varie forme alla realizzazione di questo sogno. Ringrazio i Club della Giovane Montagna e tu i giovani dell'Operazione Mato Grosso, che condividono con noi, ogni giorno, le difficoltà, i sacrifici e le rinunce per una vita in missione. Non posso certo dimen care la mol tudine di giovani OMG che sono passa da Marcarà e che ci hanno aiutato: Diego Belo , Lito Maggioni, Andrea Gamba, Michele Bene , Vi orio de Dona e mol altri. Grazie agli amici Magno Camones, Selio Villon, Ugo Sifuentes che con gli istru ori dell'AGMP (Asociacion de Guias de montaña del Perú) di Huaraz, hanno so oscri o un accordo con la nostra escuela de Guias DonBosco, per ufficializzare gli esami di Guide UIAGM ai nostri allievi. Infine Grazie al SIGNORE per averci regalato ques anni di vita intensa tra le montagne delle Ande. Ringrazio i nostri genitori, Luigi e Mariarosa Loda, Santo e Anna Sardini, mio zio Sergio, mia sorella Beatrice e mio fratello Angelo. Un ricordo speciale oggi va verso il cielo. Ricordando gli amici passa che ci hanno lasciato per sempre: Padre Giorgio Nonni, Padre Ugo De Censi, Ba s no Bonali e Giandomenico Ducoli, 315


Alessandro Con , Eder Sabino, Hector Vidal Lopez, Luciano Colombo, Renato Casaro o, Hayser Sanchez, Padre Daniele e Giulio Rocca Mar ri della Carità. Ques amici, vola in cielo, mi sussurrano spesso: “ora tocca a te…camminare, lo are, con nuare questa avventura”. Altri seguiranno…mi guardo indietro e penso: forse avremmo potuto fare meglio, essere più severi con i ragazzi che Padre Ugo ci aveva affidato; forse ho ecceduto nel paternalismo. Certamente abbiamo lo ato, non solo contro l'onda del turismo occidentale che “cambia la testa velocemente”, ma anche contro il nostro stesso cervello che non di rado me e in dubbio tu o. So olineo una cosa importante: tu o quello che abbiamo fa o è stato per la fiducia che abbiamo riposto in Padre Ugo; credo fortemente che l'obbedienza è stata per noi la molla necessaria per andare contro corrente. Montagne, mare, steppe, fiumi, sassi, acqua, terra, neve e ghiaccio... fanno parte, sono la natura, la mia vita peró non si accontenta del Creato ma cerca il Creatore; la vera linfa per cui vale la pena ancor oggi di regalare la nostra vita a favore dei giovani e dei poveri. Vorrei che tu e queste riflessioni aiutassero e si trasformassero in servizio e preghiera. Quante volte guardando questo mondo, mi sono de o che lo vorrei con i colori di un bellissimo arcobaleLa Parrocchia di Jangas

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no. Piú volte ho guardato i quadri di Padre Ugo; in alcuni ho rivisto il cielo azzurro. Vorrei che le mie mani e i miei piedi avessero la forza di portare il peso di chi non puó camminare. Quante volte ho desiderato che il mio cuore potesse trasformarsi in una culla per chi non ha speranza, per chi si sente solo, ma forse questa è un'aspirazione troppo grande! Tu o il ricavato del LIBRO “Sulle Ande con le scarpe bucate” andrá a favore del proge o “Casa parrocchiale di Jangas”, un villaggio a 2860m sulle Ande Peruviane, dove dal 1979 operano i volontari dell'Operazione Mato Grosso con interven carita vi, educa vi e sanitari. Nella Missione di Jangas funziona una scuola bo ega, una coopera va di produzione di mobili, un Oratorio con piú di 1000 bambini, un centro di smistamento di ve ovaglie e viveri oltre ad un piccolo ambulatorio di prima emergenza. In defin va Jangas funge da Campo Base per tu e le missioni OMG dislocate tra le vallate di Huaylas e Conchucos. Da Jangas ogni giorno partono camion pieni di viveri, a rezzature, materiali, indumen e quant'altro possa servire per le missioni dislocate nel vasto territorio altoandino. Tu e queste opere sono sostenute grazie al lavoro gratuito dei ragazzi dell'Operazione Mato Grosso e dalle donazioni di generosi benefa ori. Abbiamo aperto la porta della Caritá e non siamo piú sta capaci di chiuderla...

Scene quotidiane: mercato e scambi commerciali nel villaggio di Jangas - Perù

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Mappa della Cordillera Blanca, con evidenziati i rifugi OMG. Autore: Montura Maps



Tes e foto: Giancarlo Sardini Con la collaborazione: Valerio Gardoni - Sergio Sardini Mappe: MONTURA-Ufficio Comunicazione/Montura Edi ng-Maps (Pierpaolo Castrofilippo – Giacomo Turini) Coordinamento editoriale: MONTURA-Ufficio Comunicazione/Montura Edi ng Grafica ed impaginazione: Studio BiQua ro – Trento Catalogo libri e film Montura Editing: Plus Communications – Trento Editore: Montura Edi ng Tasci Srl – Via Zo , 29 – 38068 Rovereto (Tn) Stampa: Litografica Editrice Saturnia Snc – Trento ISBN: 978-88-945327-1-5 www.montura.it Copyright © Montura Edi ng 2020 Finito di stampare a Trento nel mese di agosto 2020 Tu i diri riserva . Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodo a o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza l'autorizzazione scri a dell'editore. Il marchio FSC® identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. Stampato dalla Litografica Editrice Saturnia, azienda certificata FSC INT-COC-001304.


CULTURA E SOLIDARIETÀ

«Abbiamo aperto la porta della Caritá e non siamo piú stati capaci di chiuderla...»

oggetto : Donazione Casa Parrocchiale di Jangas - Perú

€ 20,00

Montura Editing è il laboratorio creativo e la “casa editrice” di Montura, il brand italiano leader nell'abbigliamento e nelle calzature per la montagna e per l'outdoor. Nel corso degli anni l'Azienda ha sviluppato un percorso di comunicazione originale, in linea con il motto “Searching a new way”:sostegno alla produzione cinematografica, letteraria e ad eventi culturali; contributo allo sviluppo di luoghi di valore; interventi di solidarietà.

Giancarlo Sardini

BANCA VALSABBINA Agenzia di Sarezzo ABI: 05116 CAB: 55220C/C n° 71062 intestato a: Associazione Don Bosco 3A CIN: X IBAN: IT31 X051 1655 2200 0000 0071 062 BIC/SWIFT: BCVAIT2VSAR CODICE SIA: A85G0

L'atmosfera della vita sulle Ande dettata dalla bellezza delle montagne e dagli umili pastori che vi abitano, ha mosso il cuore di alcuni alpinisti. Battistino Bonali fu uno tra coloro che si accorsero delle capacitá naturali e della prestanza fisica alle alte quote dei giovani peruani. Nel 1993 la tragedia occorsa a Bonali e Ducoli lungo la Via Casarotto, sulla parete nord del Huascaran Norte in Perú sembrava mettere fine a un sogno appena iniziato. Padre Ugo De Censi non si arrese e aiutato da amici e volontari diede inizio all'avventura dell'Andinismo Oratoriano, cercando di mantenere sempre il motto “salire in alto per aiutare chi sta in basso”. Nasce cosí l'idea della costruzione dei rifugi Andini e la scuola di guide “Don Bosco en los Andes” nella Cordillera Blanca in Perú, per poter regalare una speranza ai giovani locali. Questa storia di montagne e solidarietá realmente successa, è narrata seguendo un “filo invisibile”. Le avventure, i sogni e le impreviste rivelazioni rimangono celate tra i tesori di queste terre lontane. In questo libro l'Autore racconta il percorso umano e spirituale che ha ispirato i suoi passi verso le popolazioni campesine.

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Tutto il ricavato del LIBRO “Sulle Ande con le scarpe bucate” andrá a favore del progetto “Casa parrocchiale di Jangas”, un villaggio a 2860m sulle Ande Peruviane, dove dal 1979 operano i volontari dell'Operazione Mato Grosso con interventi caritativi, educativi e sanitari. Nella Missione di Jangas funziona una scuola bottega maschile, una cooperativa di falegnami con produzione di mobili, un Istituto Pedagogico femminile, un Oratorio “Don Bosco” con piú di 1000 bambini, un centro di smistamento dei container ed un piccolo presidio sanitario di prima emergenza. In defintiva Jangas funge da Campo Base per tutte le operazioni dei volontari OMG che operano nelle vallate di Huaylas e Conchucos. Da Jangas ogni giorno partono camion pieni di viveri, attrezzature, materiali, indumenti e quant'altro possa servire per le missioni dislocate nel vasto territorio altoandino. Tutte queste opere sono sostenute grazie al lavoro gratuito dei ragazzi dell'Operazione Mato Grosso e alle donazioni di generosi benefattori.

“SUL SENTIERO DELLA CARITÁ”

L'Operazione Mato Grosso nasce in Val Formazza (Verbania) nel 1967, da una feconda intuizione di Don Ugo de Censi. Un gruppo di giovani decide di andare in Brasile nello stato del Mato Grosso, a Poxoreo, per costruire una scuola. Tornati in Italia iniziano a formare gruppi per continuare ad organizzare nuove spedizioni sostenute con i loro lavori. Dopo oltre 50 anni, l'Operazione Mato Grosso mantiene ancora un profilo aconfessionale e di autonomia da vincoli istituzionali, fondando il proprio intervento sull'aspetto educativo e caritativo. Oggi l'OMG conta piú di 500 volontari e circa 100 missioni in America tra Bolivia, Perú, Brasile, Ecuador e USA, con interventi a favore dei poveri. In Italia sono nati piú di 200 gruppi che a vario titolo s'impegnano per sostenere le missioni.

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UN AIUTO CONCRETO PER LA POPOLAZIONE DELLE ANDE

Operazione Mato Grosso

Giancarlo Sardini AUTORE

ANDE

SULLE CON LE SCARPE BUCATE Giancarlo Sardini

Giancarlo Sardini è nato a Brescia nel 1964 e risiede a Bornato (BS). Da oltre 35 anni è membro dell'OMG. Ha vissuto per oltre 16 anni come volontario con la famiglia tra gli altipiani boliviani e peruviani. Nel 1997 in Perú ha avviato la formazione di giovani campesinos all'attivitá di Guide Andine, fondando dietro invito di Padre Ugo De Censi la “Escuela de Guias Don Bosco en los Andes” nel villaggio di Marcará, ai piedi della Cordillera Blanca. Collabora con riviste di alpinismo e case editrici ed é autore di mappe e guide di trekking. Ha collaborato alla realizzazione di vari documentari ed è tra gli italiani piú esperti delle Cordillere Andine, con innumerevoli spedizioni esplorative lungo l'intera catena. Gestisce il sito www.trekkingandini.net.

Valerio Gardoni COLLABORATORE NELLA STESURA DEL LIBRO

Valerio Gardoni è nato ad Orzinuovi (BS) nel 1958 ed oggi vive in un cascinale in riva al fiume Oglio. Giornalista, fotoreporter, guida fluviale, istruttore e formatore di canoa, alpinista, viaggia a piedi, in bicicletta, in canoa o kayak. Ha partecipato a molte spedizioni internazionali discendendo fiumi nei cinque continenti. La fotografia è il “suo” mezzo per cogliere la misteriosa essenza della vita. Collabora con Operazione Mato Grosso, Mountain Wilderness, Emergency, AAZ Zanskar.


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