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di comunicazioni tra Stato e Regioni, che comportano sprechi. Difficile, se le cose rimangono come oggi, riuscire ad armonizzarsi con l’Europa. «Le condizioni economiche e di finanza pubblica vincolano la spesa sanitaria pubblica a un livello inferiore rispetto ai principali Paesi Ue», ha concluso Valerio De Molli, managing partner di The European Ambrosetti House. Nel 2012 la spesa sanitaria in Italia è stata pari al 7,1 per cento del Pil (la media Ue è 7,7 per cento). Tra il 2000 e il 2007 la spesa è cresciuta annualmente del 3,3 per cento mentre tra il 2008 e il 2011 è calata dello 0,4 per cento all’anno». De Molli ha proseguito ricordando che nuovi bisogni di salute, stili di vita e fattori di rischio - sedentarietà, dieta non equilibrata, fumo, alcol, inquinamento ambientale - porteranno a un aumento della cronicità. D’altra parte i progressi della medicina, con lo sviluppo di tecnologie
innovative strumentali e terapeutiche, la medicina predittiva e quella personalizzata richiederanno maggiori investimenti in futuro. Inoltre, l’industria italiana si contrae e perde competitività, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono molto bassi ma il settore farmaceutico rappresenta un’eccezione, un motore di sviluppo frenato da condizioni sfavorevoli e regolamentazioni restrittive. «Siamo un comparto strategico e poche volte lo vediamo riconosciuto», ha spiegato il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, «il nostro è il settore manifatturiero che ha aumentato di più la produttività negli ultimi cinque anni e tutto dipende dall’export, perché la produzione per il mercato interno è in diminuzione. Abbiamo record di vincoli per l’accesso nazionale e regionale di nuovi farmaci, chiediamo stabilità del quadro normativo e trasparenza dei dati. Le indiscrezioni che circolano sul Patto della salute -
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le gare in equivalenza terapeutica - sono una vera e propria follia». Meridiano Sanità ha presentato le sue proposte per la sostenibilità del sistema (vedi riquadro a pagina 8) e la giornata si è conclusa con l’intervento, lungo e appassionato, del ministro Beatrice Lorenzin. Chi si aspettava delucidazioni sul Patto per la salute però è rimasto deluso: «L’unico problema serio che ha il Ssn è quello della governance, bisogna selezionare meglio la classe dirigente. Il Patto della salute non è il libro dei sogni, è una grande attività di programmazione condivisa tra Stato e Regioni. Vi trova spazio l’applicazione razionale, sistemica di tutta una serie di interventi sperimentati. Ci sono best practices regionali che possono essere estese. Della trasparenza non bisogna avere paura, i costi standard vanno applicati». Non sferzando, però - aggiungiamo noi l’ennesimo colpo a industria e farmacia.
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Ai Comuni la localizzazione delle farmacie e alle Regioni la revisione della pianta organica A CURA DELLO STUDIO DELL’AVVOCATO BRUNO RICCARDO NICOLOSO FIRENZE - ROMA b.r.nicoloso@tin.it
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ome tutti sanno, due sono le questioni che sono state sottoposte all’esame della Corte Costituzionale in relazione alla novella normativa di cui all’articolo 11 della Legge n. 27/2012 (promulgata all’insegna del “Cresci Italia”) per quanto riguarda il sistema farmacia, che viene trattato (maltrattato) nelle logiche di un’apodittica liberalizzazione, tradottasi in una acritica razionalizzazione della sua pianificazione sul territorio. Quella sulla competenza/incompetenza dei Comuni a svolgere una tale funzione programmatoria e quella sulla compatibilità/incompatibilità dei Comuni all’esercizio di una tale funzione, se mai titolari di farmacie (Punto Effe n. 17/2012: “Incompetenza e incompatibilità”). La prima questione è stata proposta in via principale dal governo per il conflitto d’attribuzione di due leggi provinciali che l’avevano sottratta ai Comuni, a ciò deputati dall’articolo 11 della Legge n. 27/2012, per ricondurla alle rispettive giunte provinciali: Legge della Provincia autonoma di Trento n. 21/2012 e Legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 16/2012 (Punto Effe n. 5/2013: “Dissonanze”). La seconda questione è stata sollevata in via incidentale dal Tar del Veneto con la ben nota Ordinanza n. 713 sulla non manifesta infondatezza della incostituzionalità dell’articolo 11 della Legge n. 27/2012 per contrasto con gli articoli 41, 97 e 118 della Costituzione (Punto Effe n. 10/2013: “Alla Corte, alla Corte”). Questo osservatorio legale ne ha parlato a iosa fin da quando una miope interpretazione burocratica della novella normativa di cui all’articolo 11 della Legge n. 27/2012 aveva messo in discussione, nel-
le logiche della concorrenza e del mercato, la stessa pianificazione delle farmacie (Punto Effe n. 7/2012: “Scomodare San Tommaso”; Punto Effe n. 19/2012: “Lente obiettiva”). Il Giudice delle Leggi ha affrontato e risolto la prima questione con la sentenza 31 ottobre 2013 n. 255 con cui ha ricondotto la novella normativa in questione alla tutela della salute e non già alla tutela della concorrenza (in cui testualmente si muove) per esprimere un giudizio in punto di competenza alla programmazione del servizio farmaceutico sul territorio che - a un’attenta lettura - va ben al di là dell’attribuzione data ai Comuni (in chiave urbanistica) delle funzioni relative alla localizzazione delle sedi farmaceutiche, quando è stata riservata incidenter tantum alle Province autonome (ma de relato alle Regioni) l’attribuzione delle funzioni relative alla periodica revisione della pianta organica delle sedi farmaceutiche così come individuate dai Comuni, la cui vigenza (già sostenuta dal Giudice amministrativo: da ultimo, Consiglio di Stato, 19 settembre 2013, n.4667) è stata avvallata dalla Corte Costituzionale, con buona pace di tutti gli interpreti dissenzienti a vario titolo (Punto Effe n. 16/2013: “Troppi avvocati”). IL DICTUM La Corte Costituzionale è partita da lontano nel ritenere che, in materia di pianificazione delle farmacie sul territorio, la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni e delle Province autonome sia di tipo concorrente (paragrafo 6.1.) e che le Regioni e le Province autonome possano legiferare al riguardo nel pieno rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato ai quali devono attenersi, precisando poi che, tra tali principi, devono essere considerati fondamentali quelli attinenti la determinazione del livello di governo competente alla individuazione e localizzazione delle sedi farmaceutiche e alla revisione della relativa pianta organica. Principi che sono finalizzati a assicurare un’adeguata copertura del servizio farmaceutico sull’intero territorio nazionale a tutela della salute che, per sua natura, non si presterebbe a essere protetta diversamente alla stregua di valutazioni differenziate rimesse alla discrezionalità dei legislatori regionali e pro-
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vinciali (paragrafo 7). Su questa premessa il Giudice delle Leggi ha ritenuto che la scelta del legislatore statale risponda a due esigenze (paragrafo 7.1.). La prima esigenza è quella di assicurare un ordinato assetto del territorio corrispondente agli effettivi bisogni della collettività: per questo motivo l’individuazione e la localizzazione delle sedi farmaceutiche - nel rispetto della proporzione stabilita dalla legge statale sono connesse ai compiti di pianificazione urbanistica attribuiti ai Comuni in quanto enti appartenenti a un livello di governo più vicino ai cittadini (paragrafo 7.1. quarto a capo). La seconda esigenza è quella di tenere distinta tali funzioni ascritte ai Comuni dalle funzioni di revisione periodica della relativa pianta organica riservate a enti diversi: le Regioni e le Province autonome (paragrafo 7.1. quinto a capo). FARMACIE E PIANTA ORGANICA Viene così individuata un’attrazione verso il basso delle funzioni attinenti l’allocazione delle sedi farmaceutiche e un’attrazione verso l’alto delle funzioni attinenti la relativa pianta organica delle sedi farmaceutiche così localizzate, e viene così ribadita l’attualità del relativo procedimento amministrativo a formazione progressiva che fa salve le rispettive competenze nell’unitarietà dell’intervento che trova un impulso comunale razionalizzato in un ambito regionale attraverso uno strumento di più ampio respiro: nihil sub sole novum. Rimane ora da verificare, da parte dello stesso Giudice delle Leggi, se la competenza ascritta ai Comuni sia legittima e coerente (anche) nelle logiche del diritto europeo dell’economia, quando gli stessi Comuni possono gestire le strutture sanitarie, le farmacie, che possono localizzare in un’autodichia che contrasta di per sé (Punto Effe n. 2/2013: “Pro domo sua”) con la logica, prima ancora che col diritto (Punto Effe n. 9/2009: “Le logiche del monello”). Anche questo sarà tra non molto risolto dalla Consulta, magari in un secondo giudizio di Salomone che riporti il sereno in una materia tanto travagliata, mutuando (se mai lo si potesse fare, come è obiettivamente impossibile fare) i colori e il paesaggio del Giorgione per dare finalmente un equilibrio alla pianificazione delle farmacie (comunali o private che siano).
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tuato se per esempio la farmacia decide di inviare i dati cumulativi dei propri fornitori quando questi ultimi potranno comunicarli in via analitica. La sensazione è che si continui a mantenere in vita un obbligo che non ha nessuna utilità pratica anche perché altri mezzi molto efficaci, quale il divieto di utilizzo del contante sopra i mille euro, le indagini finanziarie e l’invio sistematico di tutte le movimentazioni bancarie all’amministrazione finanziari da parte degli istituti di credito sono certamente più efficaci. Neanche fosse privo di costi, in termini di denaro e tempo dedicato, inviare l’elenco tutti i rapporti attivi e passivi intrattenuti in una annualità, in genere per tutte le categorie ma nello specifico per alcuni soggetti per i quali si creano situazioni grottesche quali per i medici che dovranno riportare ogni loro fattura di vendita emessa specificando il codice fiscale di ogni paziente, e per le stesse farmacie che si vedono costrette a comunicare anche i corrispettivi delle vendite all’Asl, dati che dovrebbero essere già sufficientemente monitorati…. Per “disfare” gli effetti deleteri dello “spesometro”, senza che vengano meno gli obiettivi per cui era stato proposto, basterebbe escludere la comunicazione delle fatturazioni passive e limitarne l’obbligo solo in capo a determinate categorie di soggetti economici quali agenzie di viaggio, commercianti di beni di lusso o voluttuari, eccetera. Non meriterebbe poi di essere abrogato quanto previsto dall’art. 62 del Dl n. 1/2012, che ha imposto il termine inderogabile del pagamento a 30 o 60 giorni - a seconda che si tratti di merce deperibile o non - per tutti i prodotti agroalimentari alla luce di quanto espresso il 26 marzo 2013 dall’Ufficio legislativo del ministero dello Sviluppo economico? Il quale ha chiarito che, con l’entrata in vigore della nuova disciplina generale sui ritardi di pagamenti introdotta dal decreto legislativo n. 192 del 9/11/2012, dovesse considerarsi superata la normativa speciale applicabile alle cessioni di prodotti agricoli e alimentari, e che quindi fosse possibile concordare, ma per iscritto, termini di pagamento anche superiori, purché non gravemente iniqui per il creditore. Di fatto, la situazione normativa è attualmente incerta, dal momento che la presa di posi-
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zione del Ministero rappresenta solo un parere tecnico, che non ha l’effetto di cancellare una legge dello Stato, per cui i fornitori della farmacia sono spinti a fatturare ancora separatamente i prodotti alimentari eventualmente presenti negli ordini di acquisto, con un dispendio amministrativo e contabile non indifferente. IL FAMIGERATO ARTICOLO 11 Da ultimo, ma primo per importanza per il mondo della farmacia, questo “decreto-contro” dovrebbe mettere mano al ben noto articolo 11 del Dl 24 gennaio n. 1, emesso dal funesto governo Monti, e in particolare alla parte in cui viene ridotto il rapporto farmacie-popolazione e viene di conseguenza indetto il maxi concorso per l’apertura delle nuove sedi farmaceutiche. Si tratta di un intervento chiaramente voluto per compiacere una fazione politica della maggioranza che sorreggeva il governo, e particolarmente un influente esponente di tale fazione politica particolarmente accanito verso il nostro settore. Ne è uscito un testo scritto frettolosamente, in modo incompetente, pieno di imprecisioni e contraddizioni e del tutto illogico nelle sue finalità. Tant’è che va nella direzione assolutamente opposta a quella in cui si assiste ormai da anni in tutti i principali comparti economici. In campo finanziario, bancario, assicurativo, ma anche nella Grande distribuzione o nello stesso apparato statale sono infatti le fusioni e le concentrazioni, con le relative dismissioni di moltissimi punti vendita o di contatto con la clientela il rimedio comune attuato per razionalizzare i propri costi di struttura e ridurre gli sprechi. Per le farmacie invece si concede l’apertura di migliaia di nuovi esercizi, con conseguente pari numero di spese di costituzione, arredi, attrezzature, utenze, locazioni, gestione, oneri amministrativi, eccetera, anche in capo alle Asl, senza che la popolazione ne avvertisse la necessità in termini di carenza di servizio (come confermano i vari sondaggi effettuati negli ultimi anni che vedono la farmacia in pole position nel gradimento della clientela), senza che fossero presenti squilibri rispetto alle medie di insediamento delle farmacie negli altri Paesi europei, e senza favorire una maggiore occupazio-
ne come hanno dimostrato su queste pagine gli approfonditi interventi del colleghi Tarabusi e Trombetta. Tant’è che è già chiaro che moltissime nuove sedi non verranno accettate dai vincitori del concorso, proprio perché posizionate in “zone” non in grado di garantire una redditività sufficiente a coprire gli ingenti costi di installazione e mantenimento, considerando anche la notevole incidenza di concorrenti in forma societaria, con esigenze di “sopravvivenza” perlomeno raddoppiate rispetto al singolo. E anche le farmacie che potrebbero beneficiare di una collocazione più favorevole, dovranno fare i conti con l’assurda e contradditoria posizione assunta congiuntamente, negli ultimi tempi, dal nostro legislatore e dalle Unità sanitarie locali, che fanno di tutto per smantellare quel sistema capillare di assistenza farmaceutica che il nuovo “maxi concorso” dovrebbe incrementare. L’apertura delle “case della salute” da un lato, la distribuzione diretta dall’altro, attuata spesso con modalità illecite e in spregio alle convezioni stipulate con le associazioni di categoria, stanno infatti già mettendo in serissima difficoltà molti esercizi farmaceutici, e in particolare quelli di più modeste dimensioni situati in località particolarmente disagiate. Il Parlamento avrebbe anche l’appiglio giuridico per intervenire: è ben noto che il Tar del Veneto ha ravvisato gli estremi di incostituzionalità nell’articolo 11 del decreto Monti per l’evidente conflitto di interesse in capo alla figura del sindaco quale incaricato a delimitare le “zone” in cui dovranno essere poste le nuove sedi (avete mai notato dove si collocano le farmacie comunali rispetto ai futuri insediamenti?). Pertanto l’ordinanza del Tribunale Amministrativo, oltre a essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale, è stata notificata anche ai presidenti di Camera e Senato, che dovrebbero rendersi conto della necessità di modificare la portata di provvedimento in odore di incostituzionalità e foriero di centinaia di posizioni economicamente insostenibili. I bandi dei concorsi sono stati già portati a termine, ma le graduatorie non sono ancora state pubblicate, né tantomeno le sedi aggiudicate, non è ancora troppo tardi.
NOVITà 2013 Storia della Farmacia Dalle origini al XXI secolo
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