TRAKS INTERVIEW #8

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INTERVIEW

Numero 8 - marzo 2018

Vat Vat Vat qualcosa di ancestrale

Nuju Orfeo’s Dreams Manu Refilla Massimo Ruberti


sommario

4 Vat Vat Vat 10 Nuju 16 Orfeo’s Dream 20 Manu 24 Refilla 28 Massimo Ruberti 32 Daimon 34 Sésémàmà 38 Andrea Sertori 42 Barberini

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VAT VAT VAT qualcosa di ancestrale

Molte incarnazioni e molte avventure alle spalle, un disco che si intitola “Vie” (e che definscono “Un elefante con le ali che fluttua nella galassia”), il trio si muove con (poca) circospezione tra psichedelia, rock e pop, con gusti versatili e molti muri del suono da scalare


Avete alle spalle numerose esperienze e “reincarnazioni”. Potete raccontare come siete arrivati fino al vostro debutto su lp? Ci siamo arrivati dopo anni e anni di esperimenti e sala prove. La continua ricerca della nostra identità ci ha portato dalla dimensione sofisticata del trio cantautorale (Vanni & Troupe) a qualcosa di duro e puro come VAT VAT VAT. Praticamente siamo passati dall’acustico al “Fuzz Rock” fino a essere definiti “pop esistenziali” con l’ultimo lavoro. Con “Reazioni” (EP 2016) abbiamo girato tanto. Ci siamo convinti di essere VAT VAT VAT e l’ unica cosa certa è che cercheremo sempre e comunque di essere sinceri nelle cose che facciamo. Promettiamo però di non cambiare più nome! Mi pare di capire che il titolo “Vie” sia piuttosto significativo: potete parlare della scelta e delle ispirazioni che hanno guidato la realizzazione del disco? “Vie” ha una doppia lettura e tanti concetti raccolti nell’età post-adolescenziale. L’obiettivo è quello di fornire all’ascoltatore una sorta di “via di fuga” (titolo della traccia 8); doveva essere il titolo dell’album ma VAT VAT VAT - VIE ci ha folgorato. Le ispirazioni affondano le radici in qualcosa di lontano, di ancestrale. Se ne parla molto nelle canzoni e con la musica abbiamo cercato di rendere onore e di inqua-


drare le intenzioni che hanno dato vita alla creazione, il motivo per cui esistiamo. Ci dispiace essere così aleatori nella risposta ma il lavoro è così. Un elefante con le ali che fluttua nella galassia. Perché collocare in apertura un pezzo molto morbido come “(Bianche) Orchidee” per un disco non proprio sempre così soft? Nei nove mesi di produzione con Silvio Hope Speranza abbiamo affrontato più volte la questione tracklist (oltre alle infinite giornate passate sulla scelta dei suoni). “(Bianche) Orchidee” è uno dei nostri figli preferiti, di solito apriamo il live dopo una lunga intro con il suo colore. Nonostante i vincoli tecnici e commerciali abbiamo scelto di inserirla come traccia di apertura perché in un certo modo introduce le sensazioni di tutto il lavoro: parte con i synth, le spazzole e tutti quei pad fino a incrociare una chitarra calda che si incupisce e poi brilla e distorce nei ritornelli melodiosi. Alla fine si passa alle bacchette e si crea quell’atmosfera che a noi fa impazzire. L’atmosfera VAT VAT VAT. Dobbiamo ammettere che in studio è stato alquanto difficile provare a materializzare le vibrazioni dei live ma ci abbiamo provato con tutte le nostre forze e la preparazione del sig. Speranza. Ci piace, piace e va

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Siamo tre. Amiamo molto la musica. Partiamo tutti da una forte base anni 60-70s per poi odiare e amare gli anni 80 e finire a pogare negli anni 90. Siamo cresciuti nell’epoca post-grunge/ britpop e siamo influenzati dalle ore e

bene cosĂŹ. Ascoltando il disco si indovinano svariate influenze, che vanno dal rock tradizionale alla psichedelia, a ondate di pop piĂš recenti. Quali sono i vostri punti di riferimento assoluti?

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nerici. Abbiamo deciso di non lasciare nulla al caso e c’è stato un lavoro certosino sulla scelta dei microfoni, degli ampli, delle batterie e tera di byte di liberie synth spulciate. All’inizio eravamo degli idioti puritani, poi abbiamo capito che non si può denigrare o escludere a priori un’idea che apparentemente non incrocia i propri ciechi gusti, ci siamo aperti a tutto. Citare i nostri artisti preferiti o quelli alla quale ci ispiriamo non avrebbe senso perché ne uscirebbe una lista così lunga ed eterogenea da diventare inutile. La dimensione live per un gruppo come il vostro è fondamentale. Come suoneranno le nuove canzoni in concerto? Ora che è uscito il singolo e ci avviciniamo alla data di release finale ci accingiamo a provare e riprovare il tutto come facevamo da ragazzini. Siamo cresciuti insieme, è il nostro quinto anno di attività live come band e abbiamo calcato i “palcoscenici” più assurdi. Dopo l’esperienza fatta in alcuni posti non ci spaventa più nulla e cercheremo di portare le nostre idee in situazioni smart come in quelle più elaborate. Abbiamo scelto di restare in tre anche per questo tour ma, per ricreare le atmosfere di “VIE”, siamo stati costretti a inserire un altro membro senza cervello: la tecnologia. Ci saranno diversi muri di suono da scalare al nostro concerto. Venite e facciamolo insieme!

ore di musica con cui, purtroppo o per fortuna, riempiamo le nostre giornate. Pensiamo che un minuto senza colonna sonora sia un minuto perso e ogni sfumatura che si può cogliere nell’album deriva da ascolti mirati ma anche ge-

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NUJU liberi e sinceri... ...ma ancora molto pirati: la band pubblica il nuovo “Storie vere di una nave fantasma” e riparte all’abbordaggio della musica italiana, con un carico di ironia, sonorità differenti e messaggi alternativi

Un anno dopo la raccolta “Pirati e pagliacci” ecco un disco di inediti: qual è stata la costruzione di questo nuovo disco? Canzoni composte di recente o che arrivano da lontano? “Storie vere di una nave fantasma” è nato durante il tour di “Pirati e Pagliacci”. Alla fine del 2015 i Nuju hanno avuto un cambiamento totale, due tra i fondatori sono andati via, abbiamo cambiato booking e anche etichetta, quindi ci siamo trovati come in un nuovo inizio. Proprio durante questo

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chiudere tutto il concept di tutto il disco. L’album è percorso da tanti sentimenti e tante sonorità diverse. Potete raccontare qualcosa delle lavorazioni che lo hanno generato? Come già accennato, il nostro produttore artistico è Andrea Rovacchi, un professionista di rara sensibilità artistica, capace di tirare fuori dagli artisti il meglio che c’è. Le sonorità nascono principalmente dal singolo musicista e il suo approccio allo strumento, ma tutti gli ospiti e gli strumenti aggiuntivi sono merito del produttore artistico, che ha scelto per noi questo

periodo abbiamo incominciato a scrivere le nuove canzoni e, tra un concerto e l’altro, abbiamo trovato il tempo di registrarle, sotto la guida del sapiente Andrea Rovacchi. Il nostro modo di scrivere è molto semplice, partiamo da un’idea musicale o da un argomento di cui vogliamo parlare, ci scambiamo delle idee a riguardo e, quando consideriamo la canzone pronta, andiamo in sala prove ad arrangiarla con tutta la band. In questo ultimo album i brani sono tutti recenti, tranne “La città degli innamorati”, canzone scritta nel 2010 e che non avevamo mai proposto prima, ma che oggi ci è sembrata ideale per

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pisodio ci ha molto turbato, ne abbiamo parlato molto tra di noi. Poi il nostro chitarrista, mentre suonava per la figlia piccola ha tirato fuori questo riff e questo giro di accordi, ha mandato tutto al nostro cantante che ha scritto di getto le parole del testo. Siamo molto legati a questo brano, perché Anas Al Basha rappresenta per noi un simbolo di chi si oppone alle barbarie del mondo moderno con semplicità, con solo un naso rosso come arma. La canzone, nella tragedia che racconta, vuole comunque essere un messaggio di speranza. Siete ormai fra le band “esperte” tra quelle nel novero della musica indipendente italiana. Che cosa vi piace e che cosa vi piace meno di questo grande carrozzone onnicomprensivo? In pratica vuoi dire che ormai siamo vecchi :). Esatto, però con estrema gentilezza Comunque dal nostro primo album del 2010 è cambiato quasi tutto. Ormai quasi non esiste più la musica indipendente, o meglio, viene spacciata per musica “indie” ciò che in realtà è semplice pop mainstream. Questo sicuramente ci piace poco. Noi abbiamo sempre pensato che la musica indipendente fosse sinonimo di musica alternativa e oggi questa equazione non è più valida. È un discorso difficile da fare da parte nostra, una band che continua a girare l’Italia da quasi dieci anni con momenti alterni, ma che non ha avu-

vestito. Per quel che riguarda invece la parte dei sentimenti, sia a livello testuale che musicale, si basa sulla nostra attuale sensibilità e al modo che abbiamo di sentire ciò che ci circonda. È un po’ il nostro tentativo di essere alternativi a quest’epoca di standardizzazione conforme, in cui si ha l’impressione di poter scegliere, ma in realtà si è meno liberi mentalmente rispetto al passato. Ecco, lavorando al nostro disco noi abbiamo cercato di essere liberi e sinceri, non preoccupandoci di nulla se non dell’evoluzione artistica del nostro progetto musicale. Potete raccontare qualcosa sulla genesi di “Pagliaccio”? Circa un anno fa, nel periodo precedente a Natale, siamo venuti a conoscenza della storia di Anas Al Basha, il pagliaccio di Aleppo che aveva deciso di rimanere in Siria durante la guerra per portare un sorriso ai bambini e che proprio pochi giorni prima era morto durante a un bombardamento. Quest’e-

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positivi. Un tempo la musica alternativa creava una coscienza sociale e politica, oggi non è più così. Prova a pensare alle posse degli anni ’90 e alla trap di oggi, ma anche al rock degli Afterhours e a chi oggi dovrebbe essere “rock”… Poi esistono alcune realtà veramente indipendenti, come la stessa Manita Dischi che ha pubblicato il nostro disco,

to un grande successo di pubblico, potremmo sembrare dei “rosiconi”. Invece il nostro è un discorso sociale che dalla musica può passare alla situazione degli adolescenti oggi. Noi lavoriamo tutti in campo educativo, come insegnanti e psicologi, quindi abbiamo spesso a che fare con i ragazzi di 16/17 anni e ciò che ascoltano non lascia dei messaggi

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delle feste di quasi due ore, tiratissimi, con una scaletta che non ammette pause. Una vera prova fisica per noi e per il pubblico che ha voglia di ballare e divertirsi, ma anche un momento di riflessione per chi vuole ascoltare i nostri testi, realistici ma ironici, a cui noi teniamo tantissimo. Partiremo in tour a metà marzo, faremo un primo giro in Italia fino a maggio e poi faremo il solito mini-tour tedesco a cui dedichiamo spazio già da due-tre anni proprio nel mese di maggio. Da giugno ci sarà un lungo su e giù per lo stivale, sperando che il pubblico sotto il nostro palco sia sempre maggiore.

una label che sceglie i progetti indipendentemente dal genere, basandosi su ciò che gli artisti hanno da dire, senza seguire le mode del momento. Insomma la musica indipendente italiana che ci piace per noi è quella che lascia un messaggio alternativo ai ragazzi, qualcosa che sia fuori moda e che non li renda tutti uguali, una vera musica alternativa, anche alternativa all’”indie”. Il vostro genere richiede spesso tantissima gente sul palco, e dopo un disco del genere forse anche di più. Potete raccontare come sarà il vostro prossimo tour? È verissimo! I nostri concerti sono

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ORFEO’S DREAMS una sfida dopo l’altra A tre anni di distanza dall’ep d’esordio “Unbound”, torna sulle scene Domenico “D_Smoker” Urso, sempre in coppia con la voce di Chantal Kirsch, e pubblica il secondo ep dal titolo “You”, in uscita per IRMA Records

Un nuovo ep tre anni dopo “Unbound”: con quali pensieri e ispirazioni vi siete accostati al lavoro su “You”? Ho iniziato a lavorare a “You” all’inizio del 2016, è stato un periodo in cui sono stato molto tempo da solo e passavo molto tempo a leggere, studiare e fare musica. Il testo di “You”, che ho scritto insieme a Chantal rimanda, per esempio, ad alcune letture fatte durante quell’inverno. Leggevo saggi e molta letteratura, i romanzi di Philip K Dick mi hanno accompagnato per gran parte della durata degli arrangiamenti. Allo stesso tempo studiavo tecniche di produzione e di missaggio e ascoltavo mol-

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ta musica. Un pensiero, quasi fisso, con cui mi sono accostato agli arrangiamenti di “You” è stato quello di migliorarmi rispetto al primo ep, soprattutto per quanto riguardava gli arrangiamenti e appunto il missaggio. Posso dire che mi sono sfidato a fare un lavoro migliore del primo e che ho dato del mio meglio per riuscirci ma sono ben convinto che ci sia sempre da imparare e che con lo studio si possa migliorare. Anzi ti confido che la sfida con me stesso per un nuovo album ancora più bello è già partita... Il lavoro nasce anche durante i viaggi tra Italia e Lussemburgo (immagino

che anche la cover alluda al movimento): questa situazione dinamica in che modo ha influito sul disco? In generale nei periodi in cui viaggio sono sempre più creativo. Il viaggio stimola la mente e conoscere nuove cose ti dà la possibilità di esprimerti meglio, capire più concetti, conoscere nuove idee. In particolare gli ultimi viaggi fra Bologna e Lussemburgo sono quelli che hanno deciso il mio ritorno in patria e tornare a Bologna per me è significato ritornare agli affetti, alle amicizie, ai miei luoghi. Seppur io sia nato in provincia di Crotone amo Bologna e ne ho fatto la mia casa.

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zaccio” dance e penso che questo ep avesse bisogno di una ventata dancereccia. Mi aspettavo un remix più “deep” da Cixxx, qualcosa sul dub o sulla techno ma lui riesce sempre a stupirmi e io devo ammettere che ho amato questa traccia fin da quando l’ho ascoltata. Cixxx j è un carissimo amico con cui faccio “balotta” dai tempi della Solid Crew (crew con la quale organizzavamo serate dubstep qui a Bologna) e un producer favoloso con la quale adoro collaborare.

A livello sonoro, qui sono state fatte scelte molto più calde rispetto al primo ep: puoi spiegarne le motivazioni? Le motivazioni sono soprattutto psicologiche, credo. Rientrato in Italia ero tornato a rapporti sociali più caldi, più passionali, e questo si riflette molto nella scelta dei suoni. Ma anche il fattore tecnico ha il suo peso, il primo album è stato scritto e arrangiato con una tastiera midi e un computer mentre per “You” mi sono avvalso di un uno studio di registrazione che mi ha dato la possibilità di esprimermi meglio e adottare soluzioni tecniche migliori. Come nasce “My Thrill”, forse la più inquieta e inquietante del disco? “My thrill “ nasce dall’idea di combinare le sonorità del dubstep, cupe e profonde, con la voce tagliente di Chantal. L’inquietudine del brano riflette forse la nostra in quel momento della nostra vita. Ho arrangiato “My thrill” in un periodo molto caotico dove avevo bisogno di minimalismo. Il brano infatti è semplice strutturalmente e gioca molto con gli effetti. Per quel che riguarda Chantal penso che anche lei in quel periodo attraversasse momenti di crisi che l’hanno portata a quel testo pur partendo dalle parole di una canzone d’amore di Billie Holiday a cui abbiamo voluto rendere omaggio. Come mai la scelta di includere anche il remix di “Dust” fatto da Cixxx J? Perché è quello che definirei un “pez-

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MANU un piccolo tassello Con 170.000 iscritti al canale YouTube Manu Official Channel e quasi 1 milione e 700 mila visualizzazioni per il video di “Flashback”, il secondo singolo estratto, Manu presenta il suo disco d’esordio, intitolato “Distanza Zero“

do dei talent show, come tanti tuoi colleghi esordienti? A fine 2012 mi accorsi navigando sul Web, che YouTube (una piattaforma ancora acerba in Italia) era la giusta via da percorrere, poiché a differenza di

Il tuo successo è nato grazie a YouTube, e con costanza e determinazione sei riuscito a raggiungere numeri davvero importanti… Quando hai capito che sarebbe stata la strada giusta da percorrere, anziché lanciarti nel mon-

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ascoltato è solo un piccolo tassello del mondo che ho creato in questi 20 anni di composizione riassunti in circa 200 brani chiusi nel cassetto. La Liguria è la tua terra di origine, e come spesso accade, porta con sé il passato di chi ha abitato questi luoghi e ha reso grande la musica italiana. Ci sono artisti di riferimento, genovesi e non, a cui ti sei ispirato? Per quanto io rispetti le origini cantautorali della mia regione, purtroppo o per fortuna non ho riferimenti a cui mi sono ispirato in tutti questi anni. Ascolto davvero poca musica per “contaminare” il meno possibile quella che è la mia composizione. Sei al tuo esordio discografico, ma da

altri paesi del Mondo, era ancora povera di Creator. Il 28 Maggio 2013, dopo l’autoproduzione di un EP di 6 brani, caricai quindi “Doubleface” il primo singolo estratto e fu subito un successo. Impegno e costanza negli anni successivi sono la chiave del raggiungimento di numeri importanti. Il tuo album contiene 15 tracce: alcune più malinconiche, altre più spensierate, ma il lavoro qualitativamente mantiene il suo standard in ogni brano. In che modo nascono le tue canzoni? Scrivi di getto? La maggior parte delle mie creazioni escono di getto, sono un artista molto versatile sia a livello di stile musicale che scrittura. Quello che oggi avete

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anni ormai sei nel mondo della musica. Che consigli daresti a un artista che oggi si appresta a muovere i primi passi in questo ambiente? Difficile dare consigli che non siano scontati e banali purtroppo. Sicuramente bisogna sacrificare tanto della propria vita, forse tutto... come nel mio caso. “Corro a testa bassa e quando cado mi rialzo, curo le ferite fanno male ma non piango”. Distanza 0, la title track, e Flashback sono i primi due singoli estratti dall’album. Come mai hai scelto que-

sti due brani? “Distanza 0” è la mia ultima composizione, ritengo che sia un brano davvero importante per me a livello artistico. Sono davvero fiero e soddisfatto di quello che è il risultato finale dopo svariati mesi di lavorazione per trovare il giusto equilibrio. Il mio “capolavoro”. “Flashback” invece è un’esplosione di emozioni, una trama coinvolgente con un sound davvero fresco e brillante. Il tipico cavallo di battaglia che tutti gli artisti vorrebbero nel proprio album. Chiara Orsetti

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REFILLA armonia e caos

Insieme dal 2011, un disco d’esordio nel 2014 con un altro nome e poi il cambio di direzione: la band padovana presenta “Due”, un “secondo primo album” che ha fatto di dualismi e contraddizioni il fulcro della sua stessa essenza 24


in una continua sintesi che è la vita comune di ognuno di noi, intrappolato tra passioni e routine, prevedibile e imprevedibile, armonia e caos. Nel disco si alternano citazioni di film icona, a partire dalla prima traccia, in cui spezzoni di dialoghi si susseguono creando la giusta atmosfera ai pezzi successivi. Siete appassionati di cinema, oltre che di musica? Assolutamente si. Le citazioni sono sempre la maniera migliore per rubare un concetto a qualcuno che lo ha già detto e che tutti conoscono. Più che musica vera e propria vogliamo esprimere idee e concetti. La musica è a servizio del testo e non viceversa. Risulta difficile riuscire a collocare le vostre canzoni in un unico genere: momenti rock lasciano spazio all’elettronica più all’avanguardia, passando dal pop per definizione e al rap. Sembra quasi che le musiche nascano intorno ai vostri testi, vestendoli dell’abito che meglio li valorizza… Senza saperlo la risposta alla domanda precedente ha anticipato il concetto che avete espresso. Più che cercare un vero e proprio genere ci siamo lasciati rapire da quello che ci piaceva dei vari generi che più ci ‘stavano meglio addosso’. In questo senso abbiamo cercato di vestire al meglio i nostri testi. I concetti e le idee (ossia quello che vogliamo dire) sono sempre il punto d’inizio e il punto d’arrivo della nostra musica. “Partire a Settembre” è il titolo del singolo di lancio di Due, il cui video, inizialmente milanese e malinconico,

Niente CD, niente vinile: “Due” è una chiavetta USB a forma di pillola rossa, con tanto di blister e bugiardino. Come è nata l’idea di musica come medicina… o come veleno? E’ nata esattamente nel mezzo. DUE facce della stessa medaglia. Due opposti che si attraggono e si risolvono

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E’ la metafora del viaggio che ognuno di noi ha. Cambia il panorama, cambiano i soggetti, cambia il clima, cambiano le situazioni ma resta sempre il sogget-

raggiunge poi specchi d’acqua e boschi nevosi, per ritornare nuovamente al punto di origine. Un viaggio musicale, spirituale, o entrambe le cose?

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cade. Sono tematiche che tocchiamo in diversi brani. Il cambiamento per noi è uno dei temi che più ci tocca in prima persona. I dualismi e le contrapposizioni sono gli ingredienti chiave del vostro album. Al di fuori della musica, in un contesto sociale così complesso, quale potrebbe essere la chiave per rendere armoniche le differenze, annientandone i contrasti? Non sempre c’è una soluzione univoca per ogni problema. Alle volte la migliore alternativa disponibile è la semplice presa di coscienza della situazione per poterla vivere al meglio. Così capita che anche chi è innamorato del bianco e del nero si trovi per forza di cose a dover affrontare le tonalità di grigio. Chiara Orsetti

to al centro della composizione. Un cambiamento costante che porta l’individuo a doversi adattare in maniera veloce a quello che ac-

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MASSIMO RUBERTI un terreno più solido “Granchite Yumtruso PT 2” è il nuovo ep del musicista elettronico nativo di Livorno che si autodefinisce “trafficante di suoni e immagini”: una seconda parte ricca di suoni e sensazioni elettroniche ma non solo Sono passati due anni da “Granchite Yumtruso pt. 1”: che cosa lega ancora le due parti del lavoro? Sicuramente la volontà di sonorizzare un mondo fantastico, dove tecnologia e primitivismo di scontrano e si incontrano creando forme ibride. Da ciò deriva anche la scelta dei suoni, in ambedue le

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parti divisi tra sintetizzatori/elettronica e strumenti primitivi quali xilofoni, lamellofoni, flauti e voci tribali.La divisione in due parti del disco faceva parte del piano originale. Reputo la mia musica, e soprattutto questo lavoro, principalmente cinematica e narrativa, la divisione suggerisce l’analogia con un


ognuno ha una storia diversa e una composizione diversa. Sono come delle mini suite, legate tra loro dai punti scritti sopra e dal tema del ‘Viaggio’. Che poi è il tema che si ritrova in tutti i miei lavori. Il viaggio inteso anche come percorso interiore, come ricerca di una catarsi e/o di una epifanìa. Sicuramente è un lavoro più strutturato e complesso, perché stavolta ho iniziato con un terreno ‘solido’ sotto i piedi e avevo già dato una forma a questo mondo sonoro. Mi sono preso più tempo per scrivere il tutto e per scegliere accuratamente i suoni e i campionamenti da usare. Si passa da composizioni principalmente orchestrali a pezzi volutamente sporchi e tribali. Puoi spendere due parole sulla collaborazione con Ada Doria? Ho conosciuto Ada Doria, la ‘Cosmic queen’ di questo disco, diversi anni fa, nella mia città. Cercavo una voce femminile dolce ed evocativa per alcuni miei pezzi rimasti nel cassetto per lungo tempo, un amico comune ci ha fatto incontrare ed è iniziata la nostra collaborazione. Che poi successivamente ha preso forma nel nostro side project Rupert (dark chamber pop, dove Ada è la cantante). Ho subito pensato che la sua voce sarebbe stata perfetta per “Falling”, il pezzo piu’ sospeso del disco, e per “Cosmic Egg travelling blues”, dove la Regina Cosmica chiama a raccolta tutte le creature del suo regno.

romanzo composto da più parti oppure con il primo e secondo tempo di un film. Mi sembra che il suono di questa seconda parte sia ancora più vario e proveniente da sfere di interesse diverse. Come hai assemblato i vari pezzi? I pezzi sono molto eterogenei tra loro,

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RUPERT: Massimo Ruberti-Daniele Catalucci-David Marsili-Roberto Mangoni-Ada Doria

pra descritte. Un lavoro evocativo ed ermetico, assolutamente di atmosfera fantascentifica ambientato in questo universo fortemente dualistico (tecnologia/primitivismo). Il secondo clip del pezzo di apertura “Wilderness”, quasi un’ introduzione, è tutt’altra cosa. E’ un cut-up fatto da me di vecchi video di documentari naturalistici e scientifici degli anni ’70. Ammetto di essermi ispirato ai video dei Boards of Canada (duo che io amo) e alle loro atmosfere da ‘fu-

Hai in progetto due video legati al disco: ce ne puoi parlare? Forse riesco a realizzarne un terzo ma ancora non c’è nulla di pianificato! Il primo è il videoclip del pezzo “Falling”, realizzato in computer graphic dal videomaker Maximilian Urazov. Non ci siamo mai incontrati ma ci siamo conosciuti sul web e abbiamo lavorato a distanza. Nonostante questo limite trovo che il lavoro di Maximilian abbia centrato le atmosfere del disco so-

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turo passato’. E in effetti la loro influenza si può sentire chiaramente anche nel pezzo. Ho semplicemente lasciato che l’atmosfera mi guidasse senza forzare la direzione, e ho realizzato questo breve e semplice videoclip. Come nasce “Green Cave/ Invocation”, che da un certo punto di vista potrebbe sembrare in qualche modo l’architrave del lavoro? In realtà non ci sono architravi o pietre angolari in questo lavoro, ogni pezzo si può definire l’architrave di se stesso, ogni composizione è un mondo a sé stante. Sicuramente “Green cave/ invocation” è il pezzo più denso e complesso, nonché il punto più oscuro. Se in “Falling” la parte dominante è quella tecnologica, in “Greencave” predomina quella tribale/primitiva. I due pezzi sono concettualmente opposti. C’è stato un lungo lavoro di ricerca, prima che di composizione. Ricerca (e scelta) dei

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giusti suoni acustici, come i tamburi portanti, le voci, i flauti, i canti; tutti cercati tra tantissime registrazioni d’epoca, su nastro magnetico. Questo lavoro pre-musicale ha richiesto mesi di tempo. Una volta fatta questa cèrnita, ho dovuto mettere a tempo e accordare tutto questo materiale. Puoi immaginare il pezzo come la sonorizzazione di un rituale sacro, che cresce di tensione fino ad arrivare all’ invocazione della divinità e alla sua manifestazione fisica. Divinità che potrebbe essere anche una macchina, o una forma ibrida. Ipotesi che viene rafforzata dall’ uso di due sintetizzatori in arpeggiatore (un Korg Polysix e un Volca Keys) che si sovrappongono e si intrecciano tra loro, creando un’atmosfera decisamente ‘robotica’.


DAIMON Prima una band, ora un progetto solista: Corrado Pizzolato prosegue con il discorso che aveva iniziato con “Misplaced” nonostante gli altri componenti della band abbiano abbandonato. Ma non è un disco da “abbandonato” il suo nuovo “Bedlam”, realizzato con la collaborazione di Massimiliano Lambertini, Resisto Distribuzione e Alka Records


L’ultimo disco, “Bedlam”, arriva qualche tempo dopo “Misplaced”: che cos’è successo alla band, durante il percorso? Dopo il tour di promozione per misplaced nei centri sociali e nei piccoli localini dell’Emilia Romagna (tutto molto punk) per esigenze dei singoli componenti abbiamo iniziato a dividerci un po’… semplicemente per lavoro o altri fattori comuni a tutti quanti, io mi son trovato da solo a registrare dei demo solo voce e chitarra che hanno catturato l’attenzione di Massimiliano Lambertini delle Resisto Distribuzione e Alka Records. Ho quindi deciso di andare avanti da solo mantenendo il nome Daimon a cui sono legato. Direi che si tratta di un disco molto elettrico ma anche molto sofferto: quali sono stati umori e sensazioni durante la sua realizzazione?

La malinconia… sicuramente la fa da padrona, è uno stato d’animo in cui mi trovo quasi costantemente e che cerco di combattere e riflettere nella mie composizioni. Non son capace di cantare o scrivere di quanto è bella la vita e di come le cose vadano bene, per me non è così e quando giungerò a questo stato probabilmente non scriverò più. Secondo me la musica e l’arte ti sono vicini e ti aiutano quando le cose non vanno. Di fondo c’è sempre una sorta di disagio, di difficoltà che si prova a superare. Qual è la genesi di “Casting Away”, ultimo singolo? E’ un brano a cui sono molto legato che parla di una relazione che ho avuto e che è finita male; quindi nello specifico parla delle difficoltà che si presentano in una relazione. Di ciò che bisogna


asi natura essa sia. Puoi descrivere i tuoi concerti? Quali saranno le prossime date che ti vedranno coinvolto? SĂŹ, prima eravamo un classico trio di chitarra basso e batteria, ora invece ho iniziato un piccolo tour nel Piemonte soltanto voce e chitarra, quindi piĂš intimo e meno rumoroso. Il 19 di questo

affrontare tra sali e scendi e che generalmente non si riesce a superare e che portano alla rottura definitiva. La melodia molto dolce è dedicata alla mia nipotina nata da poco, appena nove mesi, si chiama Giulia e ha cambiato radicalmente il mio modo di vedere le relazioni e la sincerità delle persone con cui instauri un rapporto, di qualsi-

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Non ne conosco molti, poiché i miei ascolti sono rivolti generalmente ad altro, devo dire però che non mi è dispiaciuto “La fine dei vent’anni” di Motta e poi semplicemente più vicino a me, sotto la Alka ci sono gruppi validi che meriterebbero più attenzione tipo gli Animarma o I balto. Puoi indicare tre braniche ti hanno influenzato particolarmente? “Cowgirl in the sand” di Neil Young; “Grace” di Jeff Buckley; “Tattva” dei Kula Shaker.

mese sarò impegnato in una radio di Pinerolo dove presenterò il disco e farò qualche pezzo estratto dall’album. E a breve usciranno nuove date. Se si vuole rimanere in contatto con me, scrivermi per chiacchierare di musica o vedere dove suono, c’è la mia pagina facebook : https://www.facebook.com/daimonofficial/ o Instragram: https://www.instagram.com/daimonofficial/ Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?

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SESEMAMA

BrunellaSelo, Elisabetta Serio, Annalisa Madonna e Fabiana Martone , si incontrano con la voglia di misurarsi in un repertorio che le veda protagoniste sul piano vocale, strumentale, compositivo: ne nasce l’album omonimo Come si realizza l’incontro che dà vita al vostro quartetto? Le SesèMamà nascono all’incirca un anno e mezzo fa, dall’incontro professionale di Brunella Selo e Annalisa Madonna, che entusiasmate dall’idea di un progetto vocale tutto femminile decidono di coinvolgere ben presto anche Eli-

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sabetta Serio e Fabiana Martone: tutte noi proveniamo da esperienze artistiche e ambiti musicali diversi, dal jazz alla world music al gospel, ognuna con un percorso professionale già consolidato e affermato e, appunto per questo, tutte pronte a metterci in gioco creativamente in un progetto comune.


quindi deciso di preseguire affrontando anche nostre composizioni originali ed è nato il brano “Les entrailles” scritto in una lingua che abbiamo ribattezzato “francoletano”, ovvero una sintesi tra francese maccheronico e napoletano, che rimanda un po’ alla storia del regno di Napoli. È un brano molto ironico, ma allo stesso tempo molto complesso, in cui le nostre voci (e naturalmente intendiamo anche il pianoforte, che ha un ruolo di vera e propria quarta voce) si intrecciano non solo armonicamente, melodicamente e ritmicamente, ma si esprimono anche in modo onomatopeico attraverso l’imitazione divertente e divertita di oggetti e strumenti musicali. Aprire il nostro disco con questo brano ci sembrava quindi il modo più efficace e identificativo di presentarci al pubblico. Per il nostro primo singolo e videoclip, invece, la scelta è caduta su una cover di un famoso brano di Toquinho e Vinicius de Moraes, “Sem medo”, eseguito però nella versione italiana, splendidamente tradotta da Sergio Bardotti con il titolo di “Senza paura”. È una canzone estremamente trascinante, con un testo che ben esprime un concetto importante per noi, ovvero affrontare la vita con il giusto equilibrio tra forza, coraggio, ironia e leggerezza, quella forma di saggezza che da sempre, soprattutto nel tessuto sociale più popolare, contraddistingue il mondo femminile.

All’interno del vostro “mix” si distinguono svariati ingredienti. Visti i percorsi diversi, come avete scelto un terreno sonoro comune per lavorare sul disco? La nostra ricerca di un territorio sonoro in cui ritrovarci tutte è cominciata con la rielaborazione di alcune cover come “Roda viva” di Chico Buarque de Hollanda e “Mishaela” di Noa, non a caso brani in cui già confluiscono linguaggi musicali diversificati. Ci siamo divertite a costruire di volta in volta tappeti armonici su cui a turno ciascuna di noi potesse poi esprimersi individualmente, oppure cellule ritmiche vocali sovrapposte, lasciando sempre ampio spazio anche all’improvvisazione. Ne è uscito fuori un interessantissimo mix di stili, linguaggi e vocalità differenti ma allo stesso tempo amalgamati dalle nostre quattro identità sonore. In quest’ottica abbiamo

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ANDREA SERTORI Si chiama “Mosaic Room” il nuovo ep del pianista che riesce, all’interno dei propri nuovi brani, a far dialogare il proprio strumento con i suoni elettronici della contemporaneità. Con risultati sorprendenti Un pianoforte e cinque brani strumentali: in teoria qualcosa di già visto. Eppure Andrea Sertori riesce a infondere molte novità, anche con l’aiuto dei synth, all’interno del proprio Mosaic Room, ultimo ep pubblicato. Gli abbiamo rivolto qualche domanda. Puoi raccontare la tua storia fin qui? La mia storia inizia con gli studi clas-



sici di pianoforte, a 9 anni. Dopo le prime esperienze da giovane tastierista in alcune rock band estemporanee, il destino mi ha legato per parecchi anni agli Avanguardia, band indipendente di rock alternativo, con cui ho registrato un album (“Aldilà del mare” ) e sono aumentate progressivamente sia per quantità che per importanza i concerti dal vivo e le partecipazioni a vari eventi (passaggi radio, interviste, articoli). Parallelamente all’attività di tastierista, ho sempre continuato il mio studio del pianoforte. Oltre al pianoforte, è nata nel corso degli anni la grande passione per i sintetizzatori, soprattutto analogici, con i quali sono con il tempo

riuscito a esplorare il suono e ricercarne uno mio, per poi trasferirlo nella musica delle band in cui ho militato. Lo studio dei sintetizzatori mi ha permesso di imparare a coniugare musica pianistica classica a musica elettronica. Tra le altre cose negli anni ho collaborato alla realizzazione di un disco di musica elettronica con un dj e ho avuto un’altra interessante esperienza nella band elettronica Simula Fake. Oggi faccio parte dei Gyzah, rock band con la quale sono riprese e rielaborate con arrangiamenti personali pietre miliari del rock progressivo anni ‘70. Da tastierista attivo dei Gyzah, è successivamente sorta l’esigenza di realizzare un lavoro proprio, da solista, alimentato da tante idee rimaste nel cassetto. Di qui la pubblicazione di “Mosaic Room”. Il tuo ep, “Mosaic Room”, presenta brani che spesso hanno variazioni “nervose” e improvvise al proprio interno. Con quale stato d’animo e con quali ispirazioni l’hai composto? “Mosaic Room” è stato un disco istintivo, un collage di frammenti musicali e pensieri estemporanei che accostati dovevano formare qualcosa di più grande

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boli del rock progressivo, ma anche da band come i Kraftwerk e da Chopin. Come vedi antipodi (soltanto in apparenza, credo io). Sono affascinato dalla musica che parla, anche se apprezzo i bei testi. Il disco è uscito qualche tempo fa. Hai in ballo nuovi progetti? Ce ne puoi parlare? Sto ultimando le registrazioni di un nuovo lavoro che avrà le caratteristiche dell’album perché ci saranno nove pezzi, tutti strumentali. Forse sarà un lavoro meno intimista, meno “Mosaic Room”, anche se qualcosa di simile ci sarà. Ho usato molti più suoni, qualche ritmica e diverse sorprese. Un disco con tante forme.

e ampio. Potrei chiamarlo matrioska musicale. I titoli messi in fila rappresentano l’escalation di emozioni, la metamorfosi dal malinconico al felice. Non ti spaventa mescolare elementi elettronici alla sostanza del tuo comporre, che sembra originare tutta dal pianoforte. Come hai capito che questo mix era ideale per te? Diciamo che questo disco è stato un esperimento, il mix ideale per la mia sensibilità ma soltanto nel preciso momento in cui l’ho registrato. In realtà il mio comporre è ancora in evoluzione, sto sperimentando. Quali sono gli artisti che apprezzi e ammiri di più? Sono sempre stato attratto dai funam-

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BARBERINI Il 30 marzo uscirà l’album d’esordio omonimo (Frivola Records) di Barberini, pseudonimo della cantautrice romana Barbara Bigi: una voce e uno stile di un’altra epoca, ma con riferimenti chiari al contemporaneo. Anzi, anche al futuro dell’umanità, ancorché apocalittico chitarra su Amazon e ho ricominciato a suonare con l’idea di scrivere qualcosa di mio. Tornata a Roma ho incontrato per caso Marco Catani (Carpacho!), ho ascoltato le sue canzoni e mi è venuta voglia di scrivere in italiano. Il tuo stile di scrittura e di canto mi sembra già di per sé piuttosto vinta-

Qual è la tua storia fino al tuo esordio su lp? Da piccola prendevo lezioni di pianoforte, ma ai tempi mi annoiavo e ho smesso. Qualche anno fa mi ero appena trasferita ad Amburgo, non avevo ancora amici lì e passavo un sacco di tempo in casa. Così un giorno ho ordinato una

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e poi è diventata una scelta. Non c’era l’intenzione di fare qualcosa di vintage. L’idea di fare un disco dream-pop è venuta di conseguenza. Credo siano le atmosfere e gli ambienti in cui la mia voce e i miei testi vivono più naturalmente. Comunque dovresti chiederlo a Filippo (Dr Panìco, che ha arrangiato e prodotto il disco), perché gran parte dell’idea di sound è sua. A proposito, come nasce la collaborazione con Filippo Dr. Panico? In quel periodo stavo cercando qualcuno che mi aiutasse a dare una forma ai pezzi che avevo scritto, che all’epoca erano registrati in camera con un iPhone o poco più. Un giorno ho letto una poesia di Filippo su un post sponsorizzato di Facebook, poi ho ascoltato le sue canzoni e ho pensato che potesse piacergli quello che facevo. Gli ho mandato i miei pezzi, qualche giorno dopo ci siamo incontrati in sala prove e da lì è iniziato tutto. Come nasce “Le Cabriolet” e perché l’hai scelta come singolo? Mi ha sempre sorpreso il fatto che l’umanità conviva con un’idea abbastanza chiara di quando e come finirà il mondo. Per ora la teoria più accreditata è che tra 5 miliardi di anni, prima di spegnersi, il sole diventerà una gigante rossa più grande di tutto il sistema solare. Ho scritto “Le Cabriolet” immaginando come sarebbe esserci e veder bruciare tutto quello che conosciamo.

ge, e mi sembra che con la produzione e l’arrangiamento di quasi tutto il disco sia stata accentuata questa caratteristica. Mi puoi spiegare la scelta? Credo che il mio modo di cantare nasca dal fatto che ho iniziato a cantare registrando di notte in camera. Per non farmi sentire dai vicini quasi sussurravo

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Da lì nasce l’idea dell’elenco. L’immagine che mi piaceva di più era quella di una cabriolet in fiamme e così è diventato il titolo. L’idea di farne un singolo invece è stata di Filippo.

Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali in assoluto? A dire il vero non credo di aver mai avuto dei ‘mostri sacri’ che potrei citare come riferimenti assoluti. Negli ultimi

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anni ho ascoltato molto Sparklehorse, i Beach House ed Elliott Smith. Ma anche tante cose italiane che non conoscevo davvero. Per esempio Lucio Dalla, che ho imparato ad apprezzare fino in fondo solo da poco.

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