traks magazine
MILLE l’eleganza prima di tutto...
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/3376644d1b7a0a8be1ff02a4fc9ced0f.jpeg)
FERNWEH LEON SETI
FEDERICO FIAMMA DEUT
Numero 50 - febbraio 2023
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/942b10c9ea11ba6e901f7fc8d0bee52a.jpeg)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/79db2512d2f2e9ef148c9056a1c52a3b.jpeg)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/6f936357c8ba789e8dd099aa4830a527.jpeg)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/e1561fb1c970357f305b26873903493a.jpeg)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/c84cea312d1783abf5c9fb1aff5c215c.jpeg)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/dce1fad660336c04872a35248019d123.jpeg)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/4a9a5232c136d5fcee4e0131b73f92aa.jpeg)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/058300c8d9ee1f35caec1afcb801d44f.jpeg)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230223172034-9ceef1ccd62df273bc78e52e5fdb83a7/v1/3af5d2fa01ad671c0fe2025d17567a30.jpeg)
MILLE l’eleganza prima di tutto...
FERNWEH LEON SETI
FEDERICO FIAMMA DEUT
Numero 50 - febbraio 2023
Dissacrante e iconica, è uno dei nomi più interessanti del panorama indipendente italiano. Nei suoi brani, l’artista nata in provincia di Roma lascia un’impronta fortissima: tutto, dai testi agli arrangiamenti, e perfino le copertine dei singoli, hanno la sua firma. L’abbiamo incontrata durante la settimana del Festival a Casa Sanremo
Partiamo subito con una domanda sul tuo nuovo singolo, Touché.
E’ un piacere fare una chiacchiera con voi. Questa canzone
è uscita il 16 dicembre, l’avevo scritta però quasi un anno prima. E’ un brano nato molto di getto che racconta il disappunto nei confronti dei maschi Alfa che si sentono un po’, come dire, a Roma si direbbe sto... abbiamo capito tutti. L’eleganza sempre prima di tutto. Anziché mandare a quel paese le persone, uno che fa, ci scrive una canzone, e fa pure rima. E’ un po’ un flusso di coscienza molto ironico, molto sarcastico, in cui mi sono liberata in una descrizione di questa tipologia di persona che ho avuto modo di incrociare nella mia vita. La stessa sera dell’uscita del pezzo, l’ho presentato in una formazione inedita perché era la prima volta che facevo un concerto interno con una band e ho suonato a Milano, in un locale che si chiama Mosso, una nuova realtà che mi sta molto a cuore. Era la prima volta con una band,
a parte l’esperienza al Primo Maggio e a Musicultura ma lì si trattava di un pezzo solo, un assaggio, mentre quello di dicembre è stato il primo vero concerto. Il progetto ‘Mille’ l’ho iniziato nel 2020 e questo è stato il primo evento live con la band al completo.
Il singolo è accompagnato da un videoclip particolare: un’inquadratura fissa in cui Mille si lascia andare a una coreografia e gioca con lo stile.
Nel video ci sei tu su di un podio rotante...
Volevo fare una cosa estremamente semplice dove però potessi anche esprimere parte del mio amore per l’abbigliamento. La giacca che ho nel video l’ho fatta io: ho preso una giacca vintage e l’ho customizzata, così ho fatto anche con il pantalone. Ho fatto un po’ la sarta di me stessa; ago e filo mi sono sempre piaciuti. Volevo ballare, aveva già avuto un po’ un assaggio di alcuni video precedenti
e li mi sono sbizzarrita con quello che è poi il coreografo del videoclip. Abbiamo messo su questa coreografia, volevo semplicemente raccontare anche attraverso i movimenti la storia di cui parlo nella canzone e, molto banalmente, mi volevo divertire. E’ stata una bella giostra, il video con una sola inquadratura era un rischio ma abbiamo pensato di sperimentare... Hai citato il Contest del Primo Maggio dove sei arrivata sul palco con una citazione che non è certo passata inosservata
Una grande citazione alla fantastica e splendida Sandra Marchegiano. Ormai siamo diventate amiche del cuore, ci sentiamo spessissimo. E’ nato tutto come un gioco, sai, i video promozionali per comunicare che avrei partecipato a questo Contest, l’invito anche a seguire la diretta... mi è venuto spontaneo dire ‘so contenta per fare sta finale’. Questa cosa è stata riportata da Sandra quindi ho voluto portarla con me sul palco di piazza San Giovanni con la scritta ‘so contenta pe fa sto concertone’. Lei ne è stata felicissima.
Già che siamo in tema Concertone, ti sei aggiudicata il premio 1MNext con il brano “Sì, signorina”. Ti aspettavi che avesse così tanto successo?
Quando scrivo le canzoni mi impegno perché arrivino a più persone possibili ma mi distacco anche dal concetto di successo perché, altrimenti, non mi godo nemmeno il momento della composizione. Sono contenta che sia piaciuta, soprattutto dopo averla suonata al Primo Maggio. Era uscita la notte stessa e vedere il pubblico che l’aveva ascoltata per la prima volta che già canticchiava il ritornello... quando ho rivisto il video mi è scesa una lacrimuccia. Mi ha fatto estremamente piacere Non può mancare anche un riferimento al video, girato a Recco, in Liguria
Erano i primi giorni di giugno, una riviera soleggiata. E’ stato molto bello.
A proposito degli impegni futuri di Mille, ci sarà un ep, un tour?
Sì, a entrambe le cose metto una bella X. Ci sarà un ep, ho tante canzoni che spesso ho anche ese-
guito dal vivo, soprattutto l’estate scorsa. Canzoni che non sono uscite e che suono durante i live. Ci sarà quindi un ep e ci saranno dei concerti che accompagneranno questa raccolta di canzoni che ho scritto negli ultimi due anni. Impossibile non menzionare il look che ti caratterizza, un vintage che ti identifica e ti rende una vera e propria icona nella “moda circolare”
E’ nato in maniera spontanea, si fa di necessità virtù. Vado al mercatino vintage, il Mercato Americano, da quando ho 14 anni, dal primo anno di scuola superiore. Io il giovedì entravo in seconda ora per andare al mercato alle 7.00. Mi è sempre piaciuto, inizialmente perché avevo una disponibilità economica molto limitata e questo mi permetteva di sentirmi Pretty Woman e a fare spese pazze il giovedì mattina. Col passare del tempo ho compreso anche il cosa significa, al di là della bellezza dei pezzi unici, perché mi piace comunque l’unicità del pezzo, c’è anche una questione etica. Dico sempre che è meglio qualsiasi cosa sia di seta,
di pelle, ma anche una pelliccia vintage rispetto a una t-shirt bianca fast fashion di oggi. Questo mi fa sentire anche meglio. C’è anche una questione di scelta e di qualità e la qualità è sempre più importante della quantità. Quindi mi piace anche avere cura delle cose che cerco, che prendo, che scelgo per me ma anche per gli altri. E’ proprio un qualcosa che era nato così, perché andavo al mercatino e invece è diventato il mio modo di fare e di pensare nella vita di tutti i giorni.
Con l’arrangiamento e la produzione di Carmelo Pipitone, “Fuori stagione” è il primo album firmato dal cantautore e polistrumentista aquilano
Tre anni per concepire, scrivere e realizzare questo album: ci racconti come sono stati? In prima battuta direi, sicuramente, intensi. Dopo anni di lontananza dalla scrittura musicale, ma mai dalla musica in generale, ho sentito il bisogno di metter mano su qualcosa di mio in una forma più concreta; in passato avevo già avuto modo di lavorare con progetti inediti e avevo un piccolo bagaglio di brani e testi scritti in adolescenza. Ho affittato una sala prove in una frazione vicino L’Aquila dedicandomi giorno e notte alla scrittura di un ep provando (lo dico a posteriori) ad infrangere un barriera comunicativa che si era innalzata tra me e la mia parte più intima. Arrivato alla fase di missaggio di que-
sto lavoro ho dovuto affrontare un’evento che ha sconvolto la mia quotidianità forzatamente e che, seguito a pochi giorni dalle chiusure che tutti conosciamo, mi ha portato a vivere un lungo periodo lontano dalla mia vita di allora. Nel corso di questo “esilio” dalle vecchie abitudini ho capito quanto quello che avevo alle spalle rispecchiasse una persona che non ero e che le mie decisioni fino a quel momento erano state completamente condizionate dal rapporto che avevo con il mondo esterno facendomi allontanare da quello che ho sempre sentito di essere. Il proseguo di questo racconto inizia con Cambierò, prima traccia dell’album, e si conclude con Ventidue, l’ultima. Mentre lavoravo per migliorarmi e raggiungere un buon risultato a livello musicale la vita mi ha concesso di vivere delle esperienze che mi hanno portato a conoscere meglio me stesso come autore e come essere umano, ne conseguono gioie, amarezze e anche qualche brano che spero di riuscire presto a lasciar andare.
l’intervista
Che tipo di sentimenti hai ora, nei confronti del disco?
Sono sempre stato convinto del fatto che un disco, una volta pubblicato, smetta di esser tuo; credo che stia facendo il suo percorso e mi limito a guardarlo da lontano. Ho lavorato talmente a lungo che ora non riesco più ad ascoltarlo, cosa assolutamente normale e comprensibile. Posso dire di sentirmi più leggero ma sento comunque il timore di esser giudicato essendo quelli nel disco tutti vissuti che mi riguardano in prima persona; la speranza è sempre quella che ognuno possa leggere e interiorizzare il tutto a modo suo senza dover apporre un giudizio sulla mia persona. Che contributo ha offerto Carmelo Pipitone?
Carmelo è un musicista di grande estro e tecnica e, soprattutto, un grandissimo consumatore di
musica di qualsiasi genere; questo lo porta ad avere in mente sempre una possibile soluzione per portare i brani a un livello superiore rimanendo sempre a servizio di quanto è stato fatto fino a quel momento (cosa che, a mio parere, è dote dei grandi produttori). Dopo aver deciso di lavorare con lui ho riportato i brani che avevo scritto e che avevo scelto di inserire nell’album ad uno stadio primordiale, proprio perché ero estremamente curioso di ascoltare la sua visione della cosa; con delle tempistiche “pandemicamente” dilatate e rilassate abbiamo raggiunto un livello nelle pre-produzioni molto interessante. Dopo aver arrangiato e suonato ritmiche, pianoforte e chitarre in studio con Silvano Marcozzi, Daniel Scorranese e Francesco Scaricamazza (che non smetterò mai di ringraziare), Carmelo e Gianmaria Spina mi hanno raggiunto per terminare la produzione e registrare le voci. L’esperienza, l’empatia e la creatività di Carmelo sono fonte di ispirazione sincera e sana per me, è riuscito a essere un fra-
tello maggiore dispensando consigli preziosi non solo dal punto di vista musicale.
Chi ritieni il tuo punto di riferimento principale in musica?
Ho moltissimi punti di riferimento in vari ambiti artistici. Musicalmente parlando, durante la stesura di Fuori stagione ero solito guardare il film The Wall (1982, regia di Alan Parker) tratto dall’omonimo album dei Pink Floyd; Roger Waters riusciva in qualche modo a parlarmi come io avrei voluto parlare a me stesso da tanto tempo e credo che mi abbia influenzato molto in fase di scrittura dei testi.
Al pari, però, Beatles, Beck, Mad Season, dEUS, QOTSA e molti altri mi accompagnano da più o meno tempo in maniera piuttosto costante; ho anche condiviso temporaneamente uno studio di registrazione con Davide Grotta, musicista e produttore teramano di enorme talento che è riuscito a trasmettermi molto nel tempo passato assieme.
Che progetti hai per i primi mesi del 2023?
Sto già lavorando in studio a un ep composto da cinque brani che spero di poter lasciar andare al più presto. Unitamente a questo non credo che avrò modo di propormi live in quanto il periodo non
sembra essere dei migliori per programmare un calendario di date sostenibile economicamente; impiegherò il tempo lavorando e portando avanti questo percorso fino a che mi sarà possibile.
Esce ufficialmente la colonna sonora ufficiale di “Tríptiko”, un concerto multimediale ispirato alle opere di Hieronymus Bosch contenute nel Museo del Prado
Prima domanda ovvia: come si fa a tradurre in musica un dipinto di Bosch? Si cerca di tramutare in musica le suggestioni che il dipinto offre, sia a livello personale che di band. Il processo avviene, per quanto ci riguarda, molto meno consciamente di quanto si creda: i dipinti di Bosch hanno semplicemente toccato in noi delle corde da cui sono scaturiti certi suoni e determinate scelte artistiche che sono proprie della nostra identità musicale. A questo abbiamo aggiunto una ricerca approfondita di analisi dell’opera, così da poter anche offrire musicalmente,
in maniera razionale, un nostro commento e un’interpretazione dei temi principali che attraversano i dipinti. Detto questo, non pensiamo ci sia una vera e propria maniera di tradurre in musica Bosch, se non quella di offrire una genuina e personale interpretazione dell’opera, evitando qualunque forzato didascalismo (per dire, cercare di riprodurre “fedelmente” la musica dell’epoca e dei luoghi di Bosch). Probabilmente la via è quella di riuscire a dire qualcosa di se stessi, mentre ci si proietta con la musica sull’opera di altri. Per tanto, ogni artista impegnato nella solita sfida, avrebbe affrontato Bosch in maniera differente, con il proprio taglio personale. Quali sono state le basi e anche le difficoltà di questo progetto?
Inizialmente, nel progetto audiovisivo live di Tríptiko, non era previsto il nostro contributo musicale. La Fondazione produttrice del progetto aveva pensato a un riadattamento musicale più vicino al tempo di Bosch. Rino Stefano Tagliafierro e lo studio di visual design Karmachina, che hanno avuto
cura della direzione artistica e della produzione del video di Tríptiko, hanno preferito avanzare una proposta musicale più sperimentale e contemporanea e ci hanno coinvolto, sulla base di alcune altre collaborazioni che avevamo avuto in passato. Abbiamo dovuto comporre un provino di circa tre minuti, rappresentativo dello stile e delle sonorità con cui avremmo sviluppato il lavoro. Il provino è stato sottoposto alla Fondazione, è piaciuto e ci siamo ritrovati dentro il progetto. Quel materiale musicale è diventato lo scheletro della colonna sonora complessiva. La più grande difficoltà è stata sicuramente avere poco tempo a disposizione; in circa un mese abbiamo creato mezz’ora di musica e di sound design, allo stesso tempo abbiamo pensato a come organizzare il concerto e a come eseguire le varie parti dal vivo. Abbiamo finito la soundtrack negli stessi giorni delle prove generali. Tenen-
do conto dell’importanza e della portata dell’evento è stato stressante, ma forse questa commistione ha fatto in modo che l’esperienza della dimensione performativa abbia influito molto nel finalizzare la scrittura e siamo davvero rimasti piacevolmente sorpresi del risultato finale.
Che cosa c’è di “musicale” nell’opera di Bosch?
La forza delle immagini di Bosch è talmente visionaria e lisergica che in certi momenti tutto sembra essere musica! Basti pensare a quell’orgiastico connubio di corpi nell’anta centrale del Giardino delle Delizie: noi abbiamo immediatamente pensato a una danza e come tale l’abbiamo musicata. A parte questo, nel trittico di Bosch, sono ricchi i riferimenti esplicitamente musicali: nell’anta destra, l’inferno, sono raffigurati strumenti musicali come liuto, arpa, ghironda, zampogna, flauto ecc. Le sonorità di alcune tracce dell’album dedicate all’anta destra riprendono i timbri di questi strumenti, in combinazione con sonorità elettroniche e sintetiche.
Infine, il riferimento che da subito ci ha più entusiasmato è la presenza di uno spartito musicale nel dipinto, attribuito allo stesso Bosch, che abbiamo deciso di rielaborare e far diventare il tema musicale delle tracce 10 e 13, Hell + Bosch’s Theme e Bosch’s Theme (reprise).
Il tema musicale è diventato anche l’anteprima di presentazione dell’intero album.
Avete in mente altri pittori che secondo la vostra sensibilità sarebbe possibile “musicare”?
Chiunque altro. Possiamo sempre offrire un nostro commento relazionandoci all’opera di altri sulla base del nostro tempo, della nostra situazionalità artistica. In tale modo, si dà vita all’opera per capire come questa si relaziona alle nostre vite di oggi, senza fermarci a una semplice contemplazione e passivo omaggio.
Che altri progetti state portando avanti in questo momento?
Al momento siamo ancora concentrati su Tríptiko, che non è da considerarsi come un progetto chiuso dopo questa pubblicazione musicale. Tríptiko è un progetto
articolato: è un concerto multimediale che intendiamo portare avanti e presentare live il più possibile, in seguito alle esibizioni spagnole e alla prima italiana del 2021 a Ibrida Festival; è anche un’installazione multimediale, attualmente esposta nella mostra Bosch e un altro Rinascimento a Palazzo Reale a Milano. Tutto questo per quanto riguarda il nostro lavoro con il mondo audiovisivo e installativo, ma è sul nostro percorso di band che stiamo cercando di portarci avanti. In questi mesi stiamo lavorando a un se-
condo album che segua il nostro debutto uscito nel 2018, ormai diversi anni fa: ci manca soprattutto quello che aveva seguito quell’uscita, il tour in Europa, le tante date in giro e le emozioni connesse a queste. Nel frattempo siamo cambiati e, con noi, la nostra musica; per questo preferiamo prenderci il tempo necessario e uscire solo quando avremo raggiunto davvero quello che vogliamo e in cui ci riconosciamo. Al momento stiamo lavorando in remoto alle varie tracce, ma ci riuniremo in studio per ultimare il tutto.
Il progetto musicale diviso tra Amsterdam, Londra e Arezzo pubblica “Grimoire”, nuovo album di pop elettronico con una produzione ricercata
Ciao, ci puoi raccontare il tuo progetto musicale?
Leon Seti nasce come mio alter ego e progetto solista elettronico nel 2016. L’idea era quella di diventare un veicolo per la mia immaginazione e manifestare la mia
espressione artistica. Per anni ho scritto canzoni e prodotto completamente in solitario, ma il mio ultimo progetto è frutto della mia prima collaborazione musicale con Pancratio, produttore romano.
Il Grimoire è sostanzialmente un libro di magia: perché hai scelto questo titolo e che tipo di magia ritieni ci sia nelle tue nuove canzoni?
L’album si intitola Grimoire perché sono sempre stato affascinato dal mondo dell’ occulto, e da sempre volevo creare un mondo sonoro magico. Nelle canzoni c’è di sicuro un immaginario folk popolare, con suoni e riferimenti a fate e folletti, ma liricamente e in generale io spero che la magia dei miei pezzi aiuti a guarire.
I tuoi brani hanno già trovato spazi prestigiosi in UK. Pensi che la tua vocazione sia totalmente internazionale oppure credi ci possano essere spazi sostanziosi anche in Italia?
Io spero di riuscire ad avere opportunità anche in Italia, anche se qua ancora mi viene spesso in-
sinuato che le mie canzoni non sono propriamente dette in quanto non acustiche o non “cantautorali”, cosa che io trovo aberrante.
Diciamo che in generale ho avuto molte soddisfazioni dal mio Paese, anche se a volte percepisco un sentimento di sospetto e non di supporto, ma spero che la cosa cambi.
Chi sono i tuoi punti di riferimento musicali?
Sicuramente Madonna, Björk e Peter Gabriel sono punti fissi. Ma anche Anohni, Banks, Asgeir e altri.
Che idee hai per questo anno appena iniziato?
Spero che questo album vada bene e venga apprezzato da chi ha orecchie per sentirlo. Per il resto ho in piano suonare quest’estate.
“Perché amo il mio lavoro” è il nuovo singolo firmato dalla band, che promette l’arrivo di un nuovo album sorprendente
Ciao, ci raccontate chi siete?
Siamo quattro ragazzi che hanno deciso di condividere e incanalare le proprie energie per un progetto musicale piuttosto ambizioso direi. Esistiamo da quasi quattro anni e in questo periodo abbiamo scritto molto, pubblicando un album e diversi singoli. Come nasce il nuovo, piuttosto ironico e polemico, singolo “Perché amo il mio lavoro”?
E’ nato tutto in modo molto spontaneo, l’idea di ripetere come un mantra il titolo del brano, quasi a considerando il lavoro come una nuova religione.
La scintilla credo sia venuta anche osservando come sui social venissero sempre più frequentemente condivise foto di persone in ufficio il Venerdì sera tardi (anche alle 23-23,30), o magari leggere la notizia di uno sportivo che ha preferito rimanere con la proprio società per giocare una partita anziché assistere alla nascita del figlio. Volevamo amaramente raccontare episodi del genere e penso il risultato sia stato molto efficace. Che musica ascoltate, per vostro
l’intervista piacere personale?
Per piacere personale, abbiamo gusti molto differenti. C’è un’anima della band amante del prog.
Metal, una legata più al rock ‘90 e allo stoner, altre più sperimentali o imprevedibili. Ultimamente in generale stiamo cercando di staccarci come ascolti dal rock per cercare anche soluzioni sonore più
“fresche” da portare dentro al progetto.
E’ in arrivo un album oppure procederete ancora a singoli per un po’?
Possiamo garantirvi che il disco prima o poi uscirà e sarà anche molto sorprendente.
Dopo quattro anni di scrittura, tra passi indietro e in avanti arriva il primo album dell’artista, “From the other Hemisphere”
Ci vuoi raccontare la tua avventura musicale fino a qui? Posso dire che è iniziato tanti anni fa quando ho cominciato a suonare e scrivere i miei primi brani, perché sin da subito ho provato il desiderio (e poi la volontà) di non abbandonare questa via. Negli anni ho cercato di trovare una mia dimensione dopo esperienze musicali di ogni tipo, soprattutto in gruppo. Dal 2019 con l’ep A running start ho dato forma a questa volontà in solitaria, mostrando un piccolo mondo sonoro fatto di intimità e gioco creativo. Ho sempre tenuto tanti progetti nel cassetto ma in questi anni non avevo più spazi utili e ho sentito la necessità di pubblicare alcuni brani per portare a termine un percorso, renderlo tangibile e poterlo comunicare.
Il nuovo lp completa e allarga il primo ep, ma si arricchisce anche di quattro anni di esperienza: che cosa sei riuscito a focalizzare meglio in questi anni?
Il focus principale è stato esorcizzare il periodo storico, come una terapia, provando a non scadere in
banalità e prosaicismo. Ho cercato di potenziare la spontaneità, valorizzando la sua freschezza e la sua immaturità, come forze caratteristiche. Provando a non riempire i brani di tantissimi strati di suoni e a pulire ciò che non è fondamentale ho cercato di rendere chiaro il messaggio iniziale.
Ci spieghi qualcosa a proposito dei collaboratori che hai coinvolto?
Questo lavoro di limatura sono riuscito a farlo grazie a David Campanini, che ha prodotto con me entrambi i lavori, da solo sarebbe stato impossibile. Credo che accogliere punti di vista, professionalità e sentimenti diversi e talvolta opposti riesca a dare ricchezza al lavoro finito ed è anche per questo che ho cercato di introdurre altre mani in questo lp: Alessandro Messina (chitarre e basso), Emiliano Meloni (chitarre), Sofia Bianchi (contrabbasso).
Il risultato finale ha questa forma grazie a tutti loro.
Qual è il brano di cui il disco non potrebbe in nessun modo fare a meno?
Replace the sun: il brano-pausa. Quello che sterza e accosta, facendoti riposare le orecchie. Che sprona il pensiero, che lascia respiro. Come uno spazio vuoto ma necessario per continuare ad abi-
tare l’ascolto.
Che cosa hai in progetto per il 2023?
Tanti cambiamenti, tutto intorno a noi sta cambiando e sento la necessità, come molti, di agire. Di sicuro vorrei regalarmi più tempo per la ricerca musicale e suonare dal vivo il più possibile, per non rimanere nei cassetti con tutti gli altri progetti.
Anticipato dai singoli “Bag full of Leaves” e “Indoors“, “No Shake, No Feels” ecco il debut album del nuovo progetto solista di Andrea Sassano
Ci racconti come nasce e che cosa rappresenta Starving Pets?
Starving Pets nasce nel lontano 2006. Avevo appena iniziato a suonare con Farmer Sea, che sono stata la mia famiglia musicale per più di dieci anni. In un weekend in cui ero a casa da solo ho registrato quattro o cinque canzoni, facendo sovraincisioni molto primordiali e lasciando tutto in modalità molto (forse troppo) lo-fi. Starving Pets ha sempre rappresentato uno spazio in cui potermi esprimere come volevo senza troppe mediazioni. Essere in una band a volte significa scendere a dei compromessi o a smussare angoli e aspettative di ciascuno. Un progetto sostanzialmente solista mi ha dato la possibilità di guidare questa imbarcazione da solo. E non sempre è stato facile, soprattutto in vista dell’uscita dell’album.
Tolta batteria e produzione, hai fatto tutto da solo in questo disco. Quali le motivazioni?
A parte la produzione di Manuel Volpe e le batterie suonate da Francesco Alloa, il resto l’ho scritto e suonato tutto io. Forse qualche synth è stato fatto a quattro mani in studio, ma sono dettagli: l’importante è il risultato finale. Come dicevo prima, avere la libertà e la carta bianca di gestire tutto in totale autonomia è una cosa che volevo fare da tempo. E’ bello ma allo stesso tempo spaventoso perché le responsabilità sono tutte sulle tue spalle.
Da che tipo di idee e progetti nasce l’album?
Gli anni dal 2019 al 2021 sono stati anni complicati. Sotto diversi aspetti, personali, non solo globali. Diciamo che quel mo-
mento di pausa è servito per chiarirmi le idee e soprattutto avere più tempo da dedicare alla scrittura e a registrare delle demo che poi hanno costituito l’ossatura del disco. Non c’è un tema conduttore specifico. Forse per una volta sono riuscito ad avvicinarmi a un tipo di scrittura più universale. Spero che chi ascolterà il disco riesca a immedesimarsi o riconoscersi in qualcosa, in qualche frase. O semplicemente lasciarsi trasportare dalla musica.
Riferimenti musicali e anche le tue aperture di concerti sono tutte rivolte ad artisti esteri. Che cosa salvi, se salvi qualcosa, della musica italiana?
Sì quei pochi concerti che ho fatto in acustico da solo sono stati prima di cantautori stranieri. E’ stato bello misurarsi con loro. Ho dei bei ricordi di quelle date, ma nei live che sto preparando per questo disco la chitarra acustica è bandita. Dai primi anni coi Farmer Sea a oggi, ho riallacciato i rapporti con un po’ di musica italiana.
All’inizio degli anni 2000 ero innamorato di tutta la scena che
ruotava intorno alla Homesleep. Alcuni dischi che ho apprezzato negli ultimi anni: l’ultimo lavoro di Iosonouncane, l’ultimo dei Verdena e un sacco di band/progetti più underground. Faccio alcuni nomi tipo Paolo Spaccamonti, Stefano Pilia, Indianizer, i Bennett.
Che cosa si riserva per il progetto Starving Pets il prossimo futuro?
Insieme a Frank e ad altri musicisti amici stiamo iniziando a provare il live che non è affatto semplice. A volte penso di essermi lasciato prendere la mano con le sovraincisioni o le stratificazioni, ma abbiamo l’obiettivo di portare in giro un live ben definito. Contemporaneamente sto preparando un live in solitaria che può tornare utile per i posti più piccoli. Poi mi piacerebbe scrivere delle cose nuove e anche lavorare a qualche progetto extra, che non contempli la forma canzone classica. Qualche sonorizzazione o qualche deviazione ambient. E’ un mondo che mi affascina da sempre.
Ci raccontate la vostra storia fin qui?
La conoscete la favola di “CENERENTOLA”, vero? Ecco, si può dire che noi ci sentiamo un po’ così. Nonostante tutti e quattro abbiamo un passato di Studio della musica fin da bambini o ragazzi, per ovvie ragioni economiche abbiamo scelto altri percorsi professionali. La musica tuttavia è rimasta la nostra grandissima passione e come tale l’abbiamo sempre
considerata. Abbiamo iniziato insieme una decina di anni fa, semplicemente come cover band, proponendo repertori di brani rock e metal riarrangiati in modo originale. Durante questi live abbiamo proposto un paio di pezzi originali di nostra creazione che il pubblico ha apprezzato talmente tanto da spingerci a investire tempo e denaro sugli inediti. Così abbiamo deciso di dedicarci completamente al nuovo progetto Chrysarmonia. Abbiamo investito tempo, chilometri e benzina per partecipare a diversi contest di alto livello che ci hanno portato la prima visibilità nel mondo dell’underground. Vincendo o arrivando in finale, capimmo che avevamo le carte in regola per provarci seriamente; abbiamo investito molto su noi stessi, acquistando nuova strumentazione ma soprattutto spendendo in affitto di sala prove e tante ore di studio a casa. Poi sono arrivate le prime registrazioni e produzioni, facendo uscire il primo ep Metamorphosis nel 2019, seguito da due singoli Fast (2019) e Desert (2022).
A marzo 2020 abbiamo acquistato uno studio nostro, dove poter creare senza limiti di tempo, circondati dai nostri strumenti e con la possibilità di poter registrare anche le pre-produzioni. La “Chrysarmonia’s House” è stato il nostro bozzolo vero e proprio, accogliente, caldo, ideale per creare insieme in completa armonia e sintonia. E infatti, lo scorso 28 ottobre 2022 è uscito il nostro primo full length Fly Me To The Sun sotto etichetta Ghost Record Label. Come potreste introdurre il vostro nuovo album a chi non lo ha ancora ascoltato?
Questo album è un viaggio dentro le emozioni. Cantiamo di vita, morte, passione, gioia, sofferenza, dolore, sogni. Tutto quello che ci definisce umani è sempre riportato nelle nostre canzoni, e Fly Me To The Sun racchiude delle esperienze che prima o poi tutti provano sulla loro pelle. Aspiriamo a sentirci dire da ogni ascoltatore: “Hey! Ma questa canzone parla di me!”
Qual è il brano del disco al quale siete maggiormente legati?
Ognuno di noi ha il suo brano preferito, per diversi motivi. Vania (voce e composizione) e Davide (chitarre) preferiscono Fly
Me To The Sun, perché riassume in sé tutto il senso dell’album e a entrambi ha lasciato qualche “cicatrice” in fase compositiva, cosa che accade comunque ogni volta che la eseguono sul palco. Simone (basso) predilige Surrender per questioni ritmiche e dinamiche. Fabio (batteria) preferisce Falling Down per le particolari variazioni stilistiche che può compiere con il suo strumento.
Com’è la scena rock lombarda oggi?
Difficile, perché molti locali che facevano suonare hanno chiuso, ma sicuramente resta ancora la migliore d’Italia. Per questo motivo abbiamo deciso di avere anche un repertorio acustico. Le nostre canzoni riarrangiate in modalità “soft”, possono quindi essere suonate in quei locali che non possono avere volumi altissimi, la gente si rilassa e ascolta nuova musica, mentre mangia e beve. Una sorta
di jazz band, molto particolare. Avete già un tour in programma per il 2023?
Più che un tour vero e proprio abbiamo un calendario di date già confermate, sia in elettrico che in acustico fino a maggio 2023, tutte nel nord Italia, che ovviamente speriamo di ampliare per tutto il 2023.
Speriamo di vedere molti amici nei prossimi live:
12/03/2023: Elettrico al BIG MAX
– Parona (PV)
25/03/2023: Elettrico al Dedolor –
Rovellasca (CO)
14/04/2023: Acustico al Jack
Bikers – Vigevano (PV)
12/05/2023: Elettrico al Metal
Queen’s Festival – Muriaglio (TO)