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BRUNORI SAS BALTO BLUE DRAMA
Numero 46 - gennaio 2022
LABRADORS MULTIBOX SMALTO
sommario
4 Brunori Sas 20 Labradors 24 Balto 28 Multibox 32 Smalto 36 Blue Drama 38 Capozzi
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BRUNORI SAS
“Cheap! - Cinque Hit Estemporanee Apparentemente Punk” è il nuovo ep del cantautore calabrese: la nostra recensione Testo Di Chiara Orsetti - Foto di Mattia Balsamini
Dario Brunori è un po’ come il buon padre di famiglia, quello che a sorpresa porta un regalo e fa tornare il sorriso a tutti noi, figli del suo fascino e della sua penna, e lo intitola Cheap!, Cinque Hit Estemporaneee Apparentemente Punk. A distanza di due anni dal fratello maggiore Cip!, di cui finge di essere un surrogato uscito un po’ male, Cheap! riesce a conquistare senza indossare l’abito buono e senza tirar fuori gli assi nella manica tipici dei primi appuntamenti. Si mostra nudo, essenziale, con l’approccio da “buona la prima”, registrato e suonato con qualche sporcatura, le sporcature tipiche di un prodotto artigianale, che profuma di sincerità e di volontà, di pensiero che precede l’azione ma senza troppe congetture, di cura. Cheap! è una raccolta di cinque canzoni casalinghe, scritte e registrate in una settimana lo scorso dicembre, con strumentazione scarna e approccio da “buona la prima”. Si tratta quindi essenzialmente di un divertissement, nato dalla voglia di realizzare qualcosa di leggero (visti i
cover story tempi gravi), sia nel “cosa” che nel “come”. Un cotto e mangiato che affronta tematiche attuali, ma con un approccio che esce dalla dinamica “sacrale”, lunga e a tratti pallosa che connota la realizzazione dei dischi ufficiali. Brunori Sas traccia per traccia Il destino della donna è il destino della Terra / calpestata da millenni da maschietti sempre in guerra / chiusi in bagno col righello a stimare la lunghezza Yoko Ono si apre con la domanda “Pole la donna permettisi di pareggiare con l’omo?”, scomodando il dibattito culturale femminista del film Berlinguer ti voglio bene di Bernardo Bertolucci per riflettere sul destino della donna, sull’uomo del Tremila e sul maschio primordiale che troppo spesso si confondono anche ai livelli più alti di evoluzione della specie. Nonostante i passi avanti, troppi pensieri restano in sospeso, troppe 5
consuetudini vengono scambiate per realtà. Un basso secco e un intreccio di chitarre accompagna il flusso di pensieri di un uomo consapevole.
possa cambiare la percezione nel momento in cui la musica diventa lavoro, aspettativa, bisogno. Accidenti all’Italia, che non crede più ai santi, non crede ai poeti e nemmeno agli eroi / figurati a noi Il giallo addosso racconta di integrazione e della sua mancanza, di sfiducia e di capri espiatori, di speranza di bambini che sembrano avere la stessa luce negli occhi a prescindere dalla loro terra di origine, che non sempre è quella a cui appartengono. Il sound è sporco, la disillusione incalza, il desiderio di veder qualcosa cambiare è urgente.
Cantiamo della vita e dell’amore / però poi, sotto sotto, ce piace il disco d’oro Uno stornello contemporaneo, condito da cliché e insaporito dalla cialtroneria intelligente a cui siamo ormai troppo bene abituati: Ode al cantautore riesce a strappare più di un sorriso mentre si succedono le tappe della vita del moderno cantautore. Un surrogato dei grandi artisti del passato, da De André a Dalla, ovviamente passando per l’immancabile De Gregori (a me sempre affiancato da tutti i detrattori), a cui si aggiungono marchette socialmente condivise, crociate in Feltrinelli per la promozione e caccia ai diritti d’autore perché sono senza IVA, non come il baccalà. E se da un lato si perde la magia di questi moderni eroi che si affaticano cercando platini e ori, dall’altro si percepisce perfettamente quanto
È un pezo de protesta, ma como siempre nel mio caso a l’acqua de rosas! Italiano Latino, Latino Italiano, come il dizionario che non ho mai voluto prendere in mano: se è vero che Brunori Sas protesta all’acqua di rose, è altrettanto vero che in questo pezzo ha tirato fuori qualche chicca che non dimenticheremo facilmente. Finto spagnolo, muscoli, spiaggia e reggae6
ton, ecco un altro maschio, quello che invoca il ritorno di capoccioni pelati dai camicini attillati. Il pezzo vive sulle corde, senza sezione ritmica di supporto perché sta in piedi da solo. Nuntereggae più di Rino Gaetano si trasforma in Nun te reggaeton, mescolando tutti i mali del mondo in un’unica creatura, purtroppo non ancora mitologica.
veramente. Un pianoforte elettrico, forse uno degli schiaffi meno elaborati dell’artista, ma indubbiamente uno di quelli a cui ripensi quando ti rendi conto di essere, anche tu come tanti, il protagonista delle sue parole. Credo da sempre nella vita che la gratitudine sia necessaria per il buon proseguimento delle vite delle persone. A Brunori Sas sono grata da qualche anno ormai, perché quando si mette in testa di voler arrivare... sa come fare. Sa prendere i sentimenti, piccoli e grandi, e renderli musicalmente comprensibili anche a chi non è troppo abituato ad ascoltare. Arriva su più livelli, dal ritornello piacevole al pugno allo stomaco, dalla ricerca musicale finissima al semplice sedersi al pianoforte e vedere cosa succede. Cinque canzoni che ti cambieranno la vita, in peggio, racconta nella presentazione lo stesso autore, sapendo benissimo che, nonostante la caccia al disco d’oro faccia gola a tutti, ogni tanto qualcuno ha davvero qualcosa da dire. Tipo lui.
Siamo perduti Maleducati, mal abituati Inadeguati al vivere moderno Sempre incazzati con il Padre eterno E siamo liberi di fare Tutto quello che ci pare Anche se quello che ci pare in fondo Nessuno sa cos’è Emozionale, emozionante, Figli della borghesia ti ricorda ancora una volta di essere discepolo di Darione. Ti dice in faccia che sei figlio di stereotipi, che nonostante tutti gli sforzi l’inadeguatezza resta la sensazione di fondo per tanti, troppi di noi. Che siamo liberi di fare praticamente tutto, senza però avere idea di cosa vogliamo 9
LABRADORS
“Retriever” è il nuovo album del trio, dedito al rock senza essere nostalgico e sicuramente con le idee chiare Partiamo dai singoli che hanno anticipato l’album: hanno trovato spazio nelle playlist di Spotify e anche ottimi riscontri internazionali. E’ ancora necessario guardare all’estero perché, Maneskin o no, l’Italia è sempre poco recettiva per il rock? Se parliamo di rock in Italia subito vengono in mente le facce di Ligabue e dei Negrita, quindi direi che sia ancora belli ancorati a una
visione del genere piuttosto datata. Certo ci sono tante eccezioni, ma in generale non mi sembra proprio che la scena rock italiana sia in un bel fermento creativo tale che anche nel mainstream ce ne sia accorga. Comunque il fatto che in America inizino a guardare ai Maneskin e a dargli così tanto credito, mi fa pensare che anche da quelle parti forse il genere non se la passi benissimo.
l’intervista
Mi raccontate qualcosa della copertina, che trovo molto curiosa? La bimba in copertina è Stefania, compagna di Fabrizio (bassista). Ci piaceva un sacco la foto, con quel misto di tenero e inquietante. Con lei scherziamo sul fatto che un giorno ci farà causa, come il bambino di Nevermind. La dimensione live è al momento congelata ma immagino che per una band come la vostra sia fondamentale. Che programmi avete in merito Stiamo definendo il live in queste settimane. Anche lì vorremmo cambiare qualche cosa, a partire dall’aggiunta di una seconda chitarra. Speriamo di poter rockeggiare come si deve al più presto!
Vedi la scomparsa delle band da tutti i principali festival. Ma è giusto così dai. Da che ispirazioni e da che spirito nasce il vostro nuovo disco? Il nuovo disco vuole riallacciare i rapporti con le nostre influenze, il pop con le chitarre, le melodie, i cori, gli arrangiamenti. Volevamo smussare un po’ di angoli che erano saltati fuori nel disco precedente. È nato ascoltando anche artisti che sentiamo affini a noi come Young Guv e Hurry, quel genere di powerpop che in fondo amiamo sempre. Il disco segna anche un cambio nel vostro approccio alla lavorazione: ci spiegate che cosa è cambiato? Abbiamo totalmente saltato il passaggio in sala prove prima di andare a registrare. Questo ci ha permesso di focalizzarci sul songwriting nella sua essenza, andando poi a aggiungere o togliere solo lo stretto necessario, lasciando sempre la porta aperta a qualsiasi interpretazione. Così secondo me abbiamo prodotto uno dei nostri lavori più sinceri e personali. 12
BALTO
Si intitola “Forse è giusto così” il lungamente atteso nuovo disco della band, legata e ispirata dal rock italiano contemporaneo
l’intervista
Con questo disco siete in pista dal 2018: che sensazione è vedere finalmente la fine del percorso e l’uscita del disco? Liberatoria, e al tempo stesso già nostalgica. Quando esce un disco è, per chi l’ha scritto, la fine di un lungo percorso, per noi lo è stato particolarmente e finalmente è arrivato il suo momento. Che sensazioni e ispirazioni ave-
te convogliato in Forse è giusto così? Dentro queste canzoni c’è tanta incertezza, paura per il futuro ma anche speranza. Anche non volendolo, le canzoni di questo disco hanno quasi tutte un finale dal risvolto positivo, quasi come se scriverlo sia stato esorcizzare una serie di paure e preoccupazioni che abbiamo capito di poter perdere solamente con le canzoni stesse.
Nella presentazione parlate spesso degli Zen Circus, con cui condividete il produttore e per i quali avete aperto al Balena Festival di Genova. Sono il vostro principale punto di riferimento o ne avete altri? Gli Zen sono una band che stimiamo tanto, sia musicalmente che per il percorso e la strada che hanno fatto. è una band che nel tempo ha saputo ampliare il proprio pubblico e ha saputo scrivere
canzoni che rimarranno per tantissimo tempo. Ci piacerebbe un giorno seguire un percorso del genere. Poi di artisti ispirazionali ce ne sono tanti, dagli Arctic Monkeys a Rkomi, i Fask o il Management. Come nasce invece la collaborazione con i Cara Calma? Abbiamo condiviso qualche palco e ci siamo trovati subito a bere e a condividere momenti bellissimi insieme. Dopo una loro data
a Bologna, quella notte, abbiamo alzato un po’ il gomito e gli abbiamo chiesto se avessero voglia di mettere la voce in una nostra canzone. Hanno accettato subito e abbiamo siglato l’accordo in maniera molto ufficiale su un loro cd. Con quali progetti avete intenzione di iniziare il 2022? Ci auguriamo di poter portare Forse è giusto così dal vivo quanto più possibile.
MULTIBOX Medico psichiatra e cantautore, ma mascherato da un paio di occhiali “tecnici”: ecco l’omonimo ep d’esordio dell’artista genovese
Da quale background nasce “Eleven Tokens”? Il disco ELEVEN TOKENS nasce da quello che è un po’ il mio personale background ovvero studi di jazz al conservatorio e ascolti (e pratica) della musica più svariata… ma principalmente all’interno del disco si possono trovare retaggi rock, electrobeat, fusion. é un progetto le cui fondamenta si basano proprio sul non dover per
forza seguire le regole e gli stilemi di un preciso genere ma piuttosto avere una forma malleabile che crea un ambiente musicale vario e aperto a contaminazioni diverse. Sono molto soddisfatto del risultato finale perché possiede il suono che cercavo inizialmente, quando ancora i brani non erano ancora stati scritti. E questa è una bella soddisfazione per me. Come hai selezionato i collabo-
l’intervista
ratori per questo disco? Nel progetto Multibox ho scelto di coinvolgere musicisti con cui avevo già collaborato precedentemente. Emiliano Vernizzi aveva già suonato in alcuni concerti del trio FLOWN, di cui i MULTIBOX rappresentano una continuità ed evoluzione in forma quartetto; di lui conoscevo bene sia le potenzialità solistiche sia le molteplici risorse aggiunte dal suo utilizzo
dell’elettronica. Con Riccardo Cocetti c’è un sodalizio musicale che ormai va avanti da alcuni anni, vivendo a pochi chilometri di distanza capita spesso di suonare insieme in contesti locali e non; inoltre, insieme a lui e al bassista Gianluca Lione, ho un trio ormai consolidato da alcuni anni che spazia da standards a brani originali. Infine, ho conosciuto Stefano Galassi qualche anno fa e sapevo
che la sua precisione e versatilità sarebbero state molto funzionali sia alla costruzione che alla resa finale del repertorio. E così è stato. Qual è stato il brano più impegnativo da realizzare? Il brano più impegnativo forse è proprio quello che da il titolo al disco: Eleven tokens. E’ un brano che già nel suo incipit presenta diversi incastri ritmici tra i vari strumenti, cosa che rende il tutto abbastanza instabile e indefinito. Gli accordi tendono a cadere in momenti diversi e non sul battere e tutto questo crea una tensione crescente che evolve in un cambio di mood presente nella seconda parte del brano, dal carattere più jazz. In fase compositiva non è semplice scrivere un brano di questo tipo, proprio per la volontà di creare situazioni di tensione diverse e far sì che possano convivere tra loro raccontando qualcosa che abbia uno svolgimento coerente. Inoltre, anche dal punto di vista dell’esecuzione tecnica, la sua realizzazione non è immediata proprio a causa di queste continue frasi spezzettate, cambi di tempo,
spostamenti di accordi, eccetera… che rendono difficile seguire la pulsazione ritmica di base. Tutto questo però, almeno dal mio punto di vista, contribuisce a rendere il brano interessante e energico. Come hai intenzione di portare avanti il progetto nel 2022? L’obiettivo principale per il 2022 è quello di suonare il più possibile e portare in giro questo repertorio. Questo non solo perché, banalmente, suonare è quello che più ci piace fare ma perché questa musica trova la sua massima espressione nella dimensione live, dove le parti improvvisate generano situazioni diverse e stimolanti. Avevamo in calendario alcuni concerti poi saltati causa Covid, speriamo di poter riprendere presto con l’avvicinarsi dei periodi più caldi. Ci piacerebbe registrare qualche concerto dal vivo durante l’estate… poi ci sono alcune idee in cantiere per la stesura del secondo album che speriamo di registrare a fine 2022. La nostra speranza ovviamente è che tutti questi progetti risentano il meno possibile della pandemia. 20
SMALTO
Chiusa l’esperienza con i mamavegas Matteo Portelli e Francesco Petrosino hanno dato vita a un nuovo progetto: “Niente di serio” è il nuovo ep Il vostro duo nasce dalla fine dei mamavegas: che passi avete fatto tra le due formazioni e come si è evoluto il nuovo progetto? Smalto è stato il paracadute che ci ha permesso di cadere in piedi dopo la fine dei mamavegas, una band che ha significato tantissimo per noi, un pezzo di vita di un’importanza enorme. Lavoravamo insieme da dieci anni, eravamo in parte un duo già all’interno di quella famiglia più larga, e negli ultimi tempi, sapendo che stavamo per chiudere quell’esperienza, noi due avevamo cominciato a parlare del dopo, di come fare per continuare a fare musica insieme;
volevamo provare con l’italiano, volevamo provare a fare canzoni diverse, più leggere in qualche modo, usando praticamente solo l’elettronica, e ci abbiamo provato. Le prime sessioni in studio per Smalto le abbiamo fatte già mentre con i mamavegas preparavamo l’ultimo concerto, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. Abbiamo coinvolto Mr. Milk, un cantante di Battipaglia, amico da tanto tempo, e lui è stato fondamentale nel trovare una direzione, nel dare un’identità a questo progetto, soprattutto per quanto riguarda i testi, e con lui abbiamo impostato questa idea di cantare sempre a due voci, 22
o comunque con voci sempre armonizzate, che volevamo fosse il tratto distintivo di Smalto. Poi lui si è trasferito all’estero, era difficile proseguire insieme, e siamo andati avanti in due, tenendo comunque in diverse canzoni la sua voce. Siamo andati avanti con lentezza, vedendoci non più di una volta al mese, lavorando molto anche a distanza, senza nemmeno pensare troppo a se, come e quando far uscire queste canzoni. Ci abbiamo messo tanto, non ci siamo mai dati fretta, siamo tornati tante volte su tanti dettagli, e le canzoni sono cresciute con noi, e sono state anche occasione per fare esperimenti di produzione, di registrazione, di mix nel nostro studio (The White Lodge, a Roma). Ma ora era proprio arrivato il momento di chiudere e di tirarle fuori! Ci raccontate qualcosa delle idee e delle ispirazioni che hanno animato Noi non veniamo? Con Smalto siamo partiti sempre dal testo, cercando poi di trovare degli arrangiamenti che dessero il senso a quello di cui volevamo
l’intervista parlare, magari anche creando dei contrasti tra musica e parole; per Noi non veniamo c’era questo testo, un nucleo di poche frasi un po’ ciniche e rabbiose, che abbiamo pensato di mettere su una base musicale molto scorrevole, cantabile, ballabile, e soprattutto lineare, senza soluzioni armoniche o ritmiche troppo complesse. L’idea è stata quella di contrapporre la musica, la voglia di ballare e di sentire musica alla frenesia consumistica in cui viviamo, in cui siamo costretti a vivere. Noi non veniamo parla proprio di quello che è stato Smalto per noi in questi anni, una bolla in cui rinchiuderci per vivere come si dovrebbe vivere, col ritmo giusto, con la cura giusta; una bolla da cui, guardando fuori, ci si rende conto dell’assurdità della società in cui siamo incastrati. E poi è venuto il video (diretto da Andrea Campajola, che già aveva realizza23
to i video per M’ammazzo e Liliana), che completa perfettamente il nostro messaggio: è un piccolo documentario su Gerardo Tafuri, un uomo di Battipaglia che vive da anni raccattando ferraglia in giro per la città, per le fabbriche, muovendosi a piedi con il suo carrello. Vive e lavora con un ritmo assolutamente fuori dal tempo, sugli scarti della nostra iperproduzione, trasformando l’inutile in un piatto da mettere a tavola per la sua famiglia; siamo andati a parlarci, abbiamo cercato di ascoltarlo e capirlo, e come sempre questo ci ha portato a capire cose che riguardano noi, e il nostro rapporto col mondo. Nella presentazione e in canzoni come “Terapia” e “Il male del secolo”, propugnate l’idea di musica che esorcizza le ansie. Per chiarezza: pensate che i vostri brani siano terapeutici principalmente per voi o anche per chi ascolta? Eh questa è una domanda a cui non possiamo rispondere noi! Bisogna chiedere a chi ascolta, dovremmo chiederlo noi a voi.. Noi
possiamo dire che per noi queste canzoni SONO STATE una terapia. Per la fine dei mamavegas ma non solo; dentro ci sono tantissime cose che ci sono successe in questi anni, nei nostri lavori, nelle nostre famiglie, nelle nostre relazioni col mondo, e anche nella relazione musicale tra noi due. Avere la possibilità di mettere le mani su queste parole, su queste riflessioni, e manipolarle come si manipolano le canzoni ci è servito a capire, a ridimensionare, a condividere. E inutile dire che in un momento storico come quello che abbiamo vissuto, in cui ci siamo trovati spesso a confrontarci in un modo nuovo con noi stessi, avere questo canale aperto è stato davvero di grande aiuto. Abbiamo però cercato di trovare un linguaggio che permettesse a chiunque ascolti di identificarsi, di interpretare a modo proprio, di riconoscersi, perché le nostre ansie sono ovviamente le ansie di tanti, per non dire di tutti! Insomma, noi speriamo di poter essere terapeutici anche per chi ci ascolta, poi, se ci siamo riusciti o meno, 24
veramente non possiamo dirlo noi. Che cosa vi piace della musica italiana di oggi? Dobbiamo dire che non ascoltiamo tantissima musica italiana.. non per chissà quale scelta, ma perché purtroppo ascoltiamo meno musica di quanto facessimo un po’ di tempo fa, e quando il tempo è poco è più difficile stare appresso al nuovo; la “vecchia” musica non può sparire dai nostri ascolti, e aggiungiamo anche che siamo cresciuti con musica anglofona, e continuiamo ad ascoltare prevalentemente gruppi e artisti stranieri. Ma nella musica italiana ci siamo dentro, la seguiamo, ne parliamo, ci pensiamo.. ci sarebbe da parlarne parecchio, perché i cambiamenti negli ultimi anni sono stati tantissimi, da troppi punti di vista. Alcune cose a dire il vero ci mettono tristezza: una certa frammentazione, il fatto che non ci siano più delle vere e proprie band come un po’ di tempo fa, che è il sintomo di un modo di viversi la musica, sia da ascoltatori che da artisti, che taglia fuori l’in-
terazione e la condivisione, cose che portano crescita e spessore. Un po’ semplificato in due righe, ma è un aspetto su cui riflettiamo parecchio. Ma c’è anche un’enorme vitalità, forse anche una possibilità di “emergere” che quando abbiamo iniziato a suonare era impossibile. Cosa che ha i suoi lati negativi magari (di cui non parleremo per non esaurire il vostro spazio sul server), ma che sicuramente porta dinamismo, movimento. Se però la domanda era anche “CHI vi piace della musica italiana oggi?” possiamo dire che amiamo Iosonouncane, che abbiamo ascoltato molto Cosmo, anche per studiare qualcosa del suo modo di scrivere e di arrangiare, che Giorgio Poi scrive delle canzoni bellissime, che Dardust è un gran produttore, capace di portare nel pop degli arrangiamenti veramente interessanti, per fare qualche nome facile. Poi siamo due, con parecchi gusti e ascolti in comune, ma comunque due, ci dovremmo scindere per rispondere bene, ma questa è un’intervista a Smalto, non si può fare! 25
BLUE DRAMA Andrea Bartolini risponde alle nostre domande sul nuovo album appena uscito, “La Giostra”
A che punto è il vostro progetto musicale? Io e Mario Assennato suoniamo insieme dal 1984 e abbiamo attraversato insieme molte esperienze musicali e non, il nostro attuale progetto in questo momento è al punto dove volevamo che fosse e ovviamente non parliamo in termini di successo, favore del pubblico eccetera… Volevamo riprendere un discorso interrotto molto tempo addietro, volevamo pro-
l’intervista
porre la nostra musica in Italiano come facemmo proprio agli inizi della nostra collaborazione, stavolta ci siamo presi del tempo e ci abbiamo lavorato fino ad arrivare alla pubblicazione di un album di nostre canzoni, quindi direi che al momento questo progetto si trova al punto in cui doveva essere, vedremo da qui in avanti se saremo bravi a farlo crescere ancora condividendolo con un pubblico il più grande possibile. Come nasce il nuovo disco? Nasce dopo quasi 4 anni di lavoro, durante i quali compatibilmente a tutti gli altri impegni musicali e non ci siamo sforzati di scrivere e comporre del materiale che fosse il più sincero e onesto possibile,
senza preconcetti e senza un idea già stabilita in partenza, ci conosciamo e conosciamo i nostri gusti, ma soprattutto ci conosciamo come persone e siamo sempre stati pronti a mediare fra di noi e ad arrivare a un compromesso, quando necessario, che accontenti tutti i membri della band, perché alla fine il risultato finale è quello che conta e deve in primis soddisfare noi stessi. Qual è stata la canzone più impegnativa da scrivere? E quale la più soddisfacente? Probabilmente la canzone su cui abbiamo lavorato di più è stata Il mio mondo un pezzo scritto da Mario Assennato, sul quale abbiamo provato una serie di arrangiamenti infinita, abbiamo provato a suonare questo pezzo in un sacco di stili differenti e non ci sembrava mai di arrivare alla versione giusta. Alla fine come spesso accade, tutti i pezzi sono andati al loro posto in un colpo solo e il pezzo è venuto fuori con l’aiuto compositivo di tutti. Per quanto riguarda la più soddisfacente non credo ve ne sia una
che ci ha soddisfatto più di altre, infatti scegliere 10 pezzi per l’album è stata dura, detto questo la title track è un pezzo che ha sempre riscosso un grande favore generale e personalmente aggiungerei Divina antinomia e la cover di Mi sono innamorato di te di Luigi Tenco fra i miei pezzi preferiti. Che cosa ti piace della musica italiana di oggi? Della musica italiana mi piace oggi quello che mi piaceva ieri, nel senso che in Italia c’è sempre stata buona musica sia a livello cantautoriale che a livello di rock band, che poi non tutti siano riusciti a fare il salto di qualità è un dato di fatto ma non necessariamente un demerito di questi artisti. Purtroppo le difficoltà in questo paese sono sempre state molte è per questo che quando una band giovane che fa rock conquista il mercato nazionale e internazionale l’eco è smisurata, ma mi chiedo quante altre band avrebbero potuto arrivare a tali risultati con il giusto sostegno e investimento, dagli anni ’70 in poi. Comunque per fare qualche nome Giuda e 28
Radio Days, sono due delle mie band italiane preferite di questi ultimi anni. Che progetti avete per il nuovo anno? Abbiamo al momento un progetto solo che è quello di suonare dal vivo il più possibile, purtroppo cosa non facile da due anni a questa parte. Avevamo già qualche data fissata che avrebbe dovuto seguire l’uscita in digitale del disco che è stata l’8 di dicembre,
purtroppo la defezione di Massimo D’Amico, il batterista con noi fin dagli inizi che ha anche registrato l’album ci ha tagliato le gambe, abbiamo dovuto annullare tutte le date fissate e cercare un nuovo batterista che abbiamo trovato nella persona di Marco Casalini, con lui stiamo lavorando sul repertorio e scongiurando altri imprevisti da febbraio potremo finalmente tornare su un palco e presentare il nostro disco. 29
CAPOZZI “Offshore” è il nuovo progetto, strutturato in modo originale, dell’artista italiano residente a Londra
l’intervista
Ci puoi raccontare il tuo progetto musicale? Il mio progetto musicale nasce ufficialmente con la pubblicazione di Sciopero (Seahorse Recordings / Audioglobe) nel 2013. Tra le cose di maggior prestigio accadute all’epoca ci furono le aperture di concerti di Cesare Basile, Marlene Kuntz e Paolo Benvegnù (nonché l’inserimento dell’album nelle selezioni del Premio Tenco per la categoria “Migliore Opera Prima”). Dopodiché mi sono trasferito a Londra per l’esigenza di ricostruirmi una vita e per realizzare un progetto che avevo in mente: mettere in scena la storia di un personaggio e del suo viaggio verso l’universale, in una dimensione olistica, dopo avere attraversato, con ardore, alcune delle maggiori sfide presentate dal vivere in so-
cietà nell’epoca contemporanea. Tale percorso si evolve mediante una transizione nel Regno Unito dove il protagonista si imbatte in fenomeni terroristici. Il nome del progetto è Offshore ed è una pubblicazione discografica uscita in questi giorni in forma integrale per I Dischi Del Minollo / Audioglobe. Offshore ha una struttura particolare, divisa in tre “serie”: ci spieghi perché? In musica si parla spesso dei cosiddetti concept album e Offshore rientra sicuramente nella categoria. Tuttavia mi andava di sperimentare una soluzione ulteriormente enfatica e promiscua, ispirandomi a modalità di racconto esterne all’ambito musicale in senso stretto. Avevo una storia da sviluppare sulla lunga distanza:
giocare sulle modalità comunicative della “serie tv” mi è parso intrigante. Inoltre, il progetto si prestava anche alla costruzione di un viaggio sonoro molto variegato. In termini più concreti, la struttura seriale suddivisa in tre stagioni è servita a fornire una giustificazione solida al tipo di produzione artistica adottata, volutamente disomogenea ed eclettica, al limite della schizofrenia. Vi era l’intenzione di sottolineare le continue trasformazioni del personaggio ricreando, di volta in volta, l’am-
biente umano e sonoro più coerente al momento specifico della narrazione. Per evitare che tale operazione risultasse fuorviante, meramente stilosa, ho ritenuto necessario fornire una giustificazione concettuale rigorosa. Da qui la scelta di adottare una struttura seriale tripartita. Sei italiano ma da anni vivi a Londra: che tipo di impatto ha avuto la capitale britannica sulla tua scrittura? Probabilmente sia una maggiore voglia di comporre pezzi solo 32
strumentali quanto la prosecuzione, dopo Offshore, di un percorso bilingue (magari arricchito da ulteriori elementi spuri) non risolto univocamente tra lingua d’origine e lingua di acquisizione, ma puntato piuttosto alla loro pacifica coesistenza. Del resto, le vite di molte persone (soprattutto all’estero) sono ormai percorsi multiformi che fanno continuamente i conti con forme composite di comunicazione: ci sta che tale elemento trovi una chiave di rappresentazione anche in musica. In ogni caso, si tratta di niente di nuovo: basti pensare a Franco Battiato. Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali? Non sono molto bravo a trasformare in conoscenza i miei ascolti musicali. Ho pessima memoria ed eventuali riferimenti si agitano più nel mio torbido inconscio che in una sfera di coscienza rischiarata. All’epoca di Sciopero, le aperture dei concerti degli artisti menzionati mi diedero molta soddisfazione perché quegli artisti rientravano tra i miei ascolti attenti, soprattutto in una certa
fase del mio passato. Per il resto, posso dire che Nick Cave mi emoziona sempre molto, sia con i Bad Seeds che nell’ultima fase di collaborazione con un Warren Ellis maggiormente protagonista. Ascolti ricorrenti del momento sono: Anna Von Hausswollf, Dead Combo, Floating Points, Pharoah Sanders, Sons of Kemet e musica africana molto varia con ascolti sin troppo disordinati, spesso ispirati dal coinvolgimento di Tony Allen. E da un po’ di tempo sono in preda a una nuova forma di Beatlemania. Come porterai avanti il tuo progetto nel corso di quest’anno? La perdurante difficoltà organizzativa legata a viaggi e concerti mi ha spinto a restare finora in attesa. Ho appena iniziato ad avere le prime conversazioni sull’aspetto live e ci stiamo accordando per avere quantomeno una strategia al riguardo (per quanto fallibile). Poi ho alcune idee legate a nuove pubblicazioni, ma la priorità al momento è non distrarsi da Offshore. Ogni altra eventualità sarà valutata con molta calma. 33