TRAKS MAGAZINE #13

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Bang Bang Vegas FilGroup1933 RAI Spread Tain No. 13 - APRILE 2018

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indice 4

Bang Bang Vegas

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FilGroup1933

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RAI

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Rita Zingariello

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Furia

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Tain

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Spread

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TrèHùs

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Ristampe

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Recensioni

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Tour

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Audio Hi Tech

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Video

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intervista

Bang Bang Vegas

Un passo indietro sull’evoluzione Nati “con il preciso obiettivo di riportare il blues e il rock nelle strade”, i Bang Bang Vegas tengono fede ai propri propositi grazie a un disco come Party Animals, di recente rilanciato anche grazie al nuovo video, quello della title track, che racconta la storia di un “rosario”, cioè di un venditore di rose. Il video racconta la storia di un “rosario”, come mai questa scelta? Vedevamo sempre questo ragazzo

bengalese con le rose allo stesso semaforo , da anni, mattina, pomeriggio, sera, 40 gradi , -5 gradi, pioggia, neve, sempre sorridente, sulla strada statale del Sempione. Un giorno stavamo andando a suonare a le Trottoir, eravamo in coda al suo semaforo, lui si avvicina come al solito, vede gli strumenti e dice “Khan big star in India, big star”. In quel periodo stavamo cercando il protagonista del video di “Party Animals”, ce l’aveva


servita su un piatto d’argento. Chi meglio di lui poteva interpretare la figura del lavoratore hardcore di Milano che... vedrete nel video. Il resto è futura storia. Il protagonista del video ha capito il senso dell’iniziativa? Ha acconsentito volentieri alle riprese? Ha acconsentito molto volentieri. Anche se non eravamo così sicuri che alla fine si sarebbe presentato. Volevamo soltanto passare un

paio di giorni insieme e divertirci, prima di tutto. Poi ovviamente ci è successo di conoscere meglio il personaggio che c’era dietro quella faccia simpatica. Un mondo che possiamo soltanto immaginare. L’obbiettivo comunque era quello di rompere il muro che c’era dentro di lui, fargli vivere qualche ora di totale divertimento e fargli dimenticare i mille cazzi che ha per la testa. Fatto. Lo incrociamo ancora ogni giorno a quel semaforo, non vede


intervista

l’ora dell’uscita del video. Qual è il messaggio che volete dare? Che connessione ha con il testo del brano? L’intramontabile “vivi come se fosse la tua ultima sera”. Un must, sì, ma ogni tanto bisogna che ci sia qualcuno che te lo ricordi. Vivere di istinti, emozioni e sensazioni forti, come gli animali. Fare un pas-

so in dietro sull’evoluzione. “Party Animals” mostra una faccia “robusta” della band. Ma quali sono i pezzi che a voi dà maggior soddisfazione suonare? Dipende dallo stato d’animo chiaramente. Di questi tempi diamo il meglio sulle canzoni più tirate, più rumorose e festaiole, piuttosto che sui lenti. Ci trasformiamo in un 6


ammasso unico di materia non materiale, non so se mi spiego... decolliamo proprio. Qual è stato il vostro miglior concerto e com’è andato invece il peggiore? Il peggiore fu una delle prime uscite a Milano, suonammo davanti a 0 persone. Zero vero. Bel palco. bello tutto, peccato che era inizio estate e la gente voleva stare all’aperto, quindi locale pieno, ma tutti fuori. Facemmo comunque la nostra esibizione come se ci fosse stato il sold out, davvero, senza risparmiare un cazzo. Suoniamo ancora prima di tutto per godere. Il migliore fu il concerto che facemmo allo Sziget festival nel 2015. Suonammo alle 3 di notte... non so se avete ben presente la portata del festival, è un posto magico, incredibile. Per arrivare in condizioni pseudo lucide e fare un live a quell’ora di notte ci volle un mezzo miracolo. La gente era stesa sul prato, cappottata.. noi partimmo comunque a manetta dritti per la nostra strada, in 5

minuti il prato era in fiamme. Che nottata... Poi ci sono tutti i concerti che facciamo a Le Trottoir a Milano. Quelli sono sempre belli, sia quando ci sono 10 persone e noi siamo in modalità viaggione, dove improvvisiamo tanto senza neanche aprire gli occhi , sia quando non ci si gira neanche e la gente sale sul palco talmente sono stretti. Serate di baldoria vera incontrollata. Il miglior locale di Milano. Avete in previsione un disco a breve? Potete darci qualche anticipazione in merito? Si è in programma. Per ora ci sono soltanto un paio di canzoni, ma una delle due è quella che probabilmente darà il titolo all’album nonché l’impronta e il significato all’intero lavoro. Non vediamo l’ora di trovare un po’ di tempo per metterci sotto. Ci manca però ancora da girare un video di una canzone di questo album prima di andare avanti, questa è la priorità. 7


intervista

FilGroup1933 Partiamo dal principio: come e perché nasce Fil1933 Group? FIL1933 Group è un giovane network di etichette discografiche con l’intento di dare spazio alle band emergenti, gestendo la crescita dei giovani artisti, cercando di valorizzare al meglio i talenti che non potrebbero avere spazio attraverso le Major discografiche. Fil è una casa editrice con Soundreef, è composta da cinque etichette discografice che sono Fontana indie Label, DanyMan Record, Fat Re-

Nea Agostini

cords, Supernova Music e Tumulto Records. A Fil 1933 appartengono anche Noise management, Voice Press e La Maison della Musique, studios analogici dove realizziamo tutte le nostre produzioni. Non siamo la solita “label”: collaboriamo con gli artisti come succedeva una volta, portandoli a un percorso di crescita graduale, li supportiamo anche economicamente in gran parte della produzione esecutiva, andando cosi ad abbassare i costi di produzione ad artisti in erba e 8


giovani dove le risorse economiche sono limitate.Nella nostra struttura ci sono anche registri e visual style che curano i video e l’immagine della band. In questi tre anni di gestione abbiamo fatto tante cose positive e anche tanti insuccessi tengo a precisare, noi oggi siamo la somma di tutti i nostri errori! Chi sono i vostri fondatori? Il fondatore di Fil1933 sono io, Matteo De Napoli, responsabile artistico, ma per ternere in piedi tutto sono affiancato da persone con profili professionali altissimi: Rodolfo De Vecchi produttore esecutivo, professionista del setto-

re con trent’anni di esperienza; Giacomo Manfredi, responsabile management per i nostri artisti con esperienze in tv, attualmente lavora anche a Fratelli di Crozza. Titta Colleoni, consulente artistico (storico arrangiatore e pianista per Bennato, ha suonato Mia Martini, insieme ad alcuni amici ha fondato anche il Bloom, celebre locale dove hanno suonato anche i Nirvana); Luca Lanza, new entry di casa Fil1933, si occupa del Marketing. Silvia Harrison promoter internazionale ; Daniele Amighetti responsabile da poco di Supernova

Luca Lanza, Matteo De Napoli, Giacomo Manfredi 9


intervista remo Kristian Marr storico amico e chitarrista di Amy Winehouse. Insomma tanta carne al fuoco. Il gruppo si basa su cinque label: perché questa scelta? La nostra mission è diventare una major indie con tutte le sottoetichette. In realtà non si tratta di un’esigenza di unione, ma semmai quella di poter spaziare su più fronti musicali a partire da un unico soggetto coordinatore, che gestisce varie etichette di proprietà, caratterizzate da precisi elementi tematici. Avete una collaborazione aperta con i celeberrimi studi di Abbey Road: come nasce questa collaborazione? La collaborazione nasce al grande lavoro manageriale fatto da Giacomo Manfredi che ha sottoposto i nostri artisti all’istituto di Abbey Road che ha valutato opportuno collaborare con noi per la caratura dei progetti. Un ringraziamento va a Matteo Shipsi che ha coordinato tutta l’attività con Giacomo. Nel 2017 abbiamo prodotto Leaves and

One Eyed Jack music, è partito con noi come booker. Pierluigi Rottoli responsabile artistico di Tumulto e promoter. Stefano Gatti promoter di Correggio e musicista che si occupa di organizzare eventi in centro Italia per Fil. Giulio Oldrini responsabile video e regista, e per finire Eric Le Funtan responsabile del nostro ufficio a Pechino, promoter e manager americano alla quale abbiamo affidato la gestione di Fil1933 in Cina. Siamo insomma una bella squadra affiatata, ci consideriamo una famiglia allargata, un collettivo di intenti. Collaboriamo con artisti anche affermati, a maggio produr10


Stone e Le Madri degli Orfani. Il primo progetto è molto minimalista e classico con piano violoncello e voce con cantato in inglese. Le Madri invece sono garage pop puro, cantato in italiano: ebbene sì gli inglesi ci hanno prodotto in lingua nostra. Ci vuoi parlare dei vostri “progetti cinesi”? Sono ormai tre anni che ci lavoriamo, possiamo dire che siamo la prima realtà discografica a sviluppare il marchio in Cina, mercato chiuso e serrato. Noi pensiamo che sia il futuro per le start up ar-

tistiche (band e solisti). Tramite studi di settore e viaggi abbiamo compreso che in Cina è in corso una rivoluzione socio culturale come in Europa nel dopo guerra al livello musicale e ci simo infilati per primi. Stiamo pubblicando dieci dischi in sei mesi su radio, tv e social cinesi in maniera massimale perché abbiamo accesso a canali privilegiati e primari, cosa che in Occidente per noi sarebbe impossibile. L’obbiettivo è portare la musica italiana in Cina.

Le madri degli orfani

Diraxy 11


intervista

Rai Lorenzo Raimondi, in arte Rai, pur essendo approdato all’elettronica e allo shoegaze non dimentica le radici grunge e pubblica Aveva ragione Cobain. Posto che aveva ragione Cobain, su cosa, in particolare? Cobain aveva ragione su molte cose... Nel brano che dà il titolo al disco ne vengono però specificate due in particolare: le armi e la chimica. Se si conosce un minimo la 12

storia di Kurt Cobain è superfluo spiegare cosa intendo. È un’affermazione cinica e anche un po’ provocatoria, nata il giorno in cui mi sono chiesto come avrebbe reagito Cobain se fosse vissuto in una società come quella attuale, in cui tutto ciò che ha sempre odiato viene spesso portato all’estremo. Il titolo non va interpretato come una sentenza, quanto piuttosto come uno spunto di riflessione... Che poi è un po’ il ruolo che mi piacerebbe avessero tutte le mie canzoni. Quando hai capito che era ora di fare da solo? La cosa positiva di suonare in gruppo è che spesso ci si arricchisce a vicenda. Ognuno porta con sé i propri gusti, la propria esperienza e sensibilità musicale. Quando si crea la giusta alchimia il risultato può essere davvero sorprendente. Di contro però, bisogna spesso arrivare a dei compromessi e a volte si finisce per chiedersi quale invece sarebbe potuto essere il risultato se tutto fosse stato fat-


to a modo nostro. Forse ora, per quanto mi riguarda, è giunto il momento di togliermi questa curiosità. Curare ogni aspetto del mio progetto è dieci volte più impegnativo. Ma altrettanto gratificante, quando si vedono le proprie idee prendere forma nel modo in cui si sono immaginate. Ti riconosci nella definizione “retro pop+ elettronica”? Sì, le sonorità di Aveva ragione Cobain nascono da anni di musica vissuta. Grazie anche al mio lavoro sono venuto in contatto con tantissime band e questo mi ha dato l’opportunità di confrontrmi con altrettante realtà differenti. I miei ascolti sono cambiati nel tempo e si sono evoluti. Alcuni sono scivolati via facendo poco rumore e senza lasciar tracce troppo visibili, mentre altri sono rimasti impressi nel mio bagaglio culturale che mi porto sempre appresso. Ecco, sono tutte queste sonorità che compongono il disco, tenute insieme da un amalgama di synth e ritmiche elet-

troniche schiette e poco patinate. Perché hai aperto il Micro Silent Studio? A un certo punto della mia vita ho sentito la necessità di avere un posto tutto mio in cui rifugiarmi, raccogliere le idee e fissarle nello spazio e nel tempo. Da qui è nato il Micro Silent Studio, uno studio di produzione musicale casalingo in cui creo, mixo e sperimento. Micro perché è ricavato nell’angolo di una piccola stanzetta, dove tutta la mia attrezzatura è disposta in modo tale da ottimizzare al meglio gli ingombri. Silent perchè spesso ci lavoro di notte e trovandomi in un condominio, mi capita di fare la maggior parte degli ascolti in cuffia. È così che ha preso forma il mio disco! Oltre ad averne mixato anche qualcuno per altre band e musicisti, al momento mi sto occupando nell’area di Milano della produzione audio per Sofar Sounds, format internazionale di concerti segreti. 13


intervista

Rita Zingariello Il canto dell’ape è il terzo disco della cantautrice pugliese Rita Zingariello. Partirei da titolo e concept della copertina: mi racconti come sono nati? Una mia amica mi ha affidato il soprannome di Ape regina perché dice che le ricordo questo speciale animale che adora essere circondato e amato in modo unico e univoco. Vorrei vedere chi non lo desidererebbe :) Da questo “sfottò” è nata una canzone, dalla canzone è nato il titolo del disco e poi l’imma14

gine di copertina, che mi raffigura come una regina improbabile, con cappello e uno scettro di carta, seduta su un trono volutamente basso, con un’espressione quasi austera che maschera la mia timidezza di fondo. Parli delle canzoni come della tua “psicoterapia”. Da che cosa ti ha curato questo disco? Soltanto una volta nella vita sono stata da una psicologa, spinta dalla curiosità di conoscermi meglio… abbiamo chiacchierato, ho fatto un


soprattutto in lingua inglese. Poi mi fermo là dove l’ascolto mi ha alleggerito il cuore e strappato un sorriso. Nei miei dischi, in questo soprattutto, ho cercato e scelto sonorità che rispondessero a questi requisiti innanzitutto per me stessa. Se poi dovessi riuscire a stimolare, in chi ascolta, delle riflessioni importanti senza diventare noiosa, la mia scommessa sarebbe vinta. Come nasce “Il Gioco della Neve”? Da una mia personale relazione in bilico. Una storia dominata dall’indecisione e dall’incapacità di arrivare a una scelta. Quando ho capito che dovevo arrendermi al sentimento ho scritto questa canzone, invitando l’altra persona a salire sul filo sottile della mia vita e a rischiare con me l’equilibrio.

test e alla fine dell’incontro mi ha detto che avrei potuto farle da assistente :) Il privilegio di scrivere canzoni significa trovare una fessura dalla quale liberare emozioni che diversamente terrei dentro, significa svuotarmi lasciando una traccia perenne di quello che sono stata fino al momento prima di scrivere. Quando ho registrato questo disco mi prendevo semplicemente cura delle mie emozioni, quello da cui mi ha curato dopo non potevo neanche immaginarlo. Adesso finalmente posso dire che la voglia di cantarlo al mondo è diventata una delle migliori motivazioni per la remissione di una malattia che mi ha fatto tanta paura. Come nascono le sonorità del tuo disco? In realtà sono una persona curiosa a cui piace affiancarsi di musicisti che fanno musica bella e non faccio mai discriminazioni sulla bellezza. Ascolto jazz e musica elettronica, musica classica e musica d’autore italiana, indie pop e indie rock, 15


intervista

Furia Si chiama Cantastorie l’album d’esordio di Furia, composto da tredici brani. Furia è una moderna cantastorie che supporta le sue parole e la sua musica con narrazioni visive che sono spaccati di realtà in cui lei è la voce narrante, un Io che osserva da vicino l’accaduto, restituendoci una cronaca poetica dei fatti, delle gesta e dei sentimenti della generazione di oggi e del passato. Come sei arrivata a questa opera prima? 16

Grazie a un grande paroliere italiano. Il Maestro Luigi Albertelli. Ci siamo conosciuti due anni fa. Durante le prove per uno spettacolo teatrale. Io interpretavo le canzoni di Patty Pravo, tra cui una scritta da lui. Gli piacque la mia interpretazione e si propose di diventare il mio produttore. Tra l’altro è anche l’autore, oltre che di tantissimi successi italiani, anche di Furia cavallo del West, e io mi chiamo Tania Furia. Destino volle che lo incontrai e che iniziasse il nostro sodalizio


tratti? Insomma la bionda di “Addio Barbie” esiste davvero? Sono tutte storie vere o comunque ispirate alla realtà. In “Addio Barbie” utilizzo la bambola bionda più famosa al mondo per stigmatizzare il naturale passaggio da bambina a donna. Alcuni dei brani raccontano storie particolarmente intime. Non ti dà problemi esporre i tuoi sentimenti in maniera così aperta? No. Grazie alle canzoni trovo il modo per comunicare agli altri ciò che penso e che sento davvero. Attraverso storie comuni lascio parti di me nei miei brani che penso siano sentimenti universali.

artistico. Un anno di intenso lavoro per far uscire la mia parte da autrice che sinceramente non credevo nemmeno di avere. Mi ha insegnato a scrivere canzoni e ha avuto la giusta intuizione di vedere il talento ancor prima che si manifestasse. Da una mia frase scaturita da un impeto di rabbia davanti a un articolo di giornale è nata l’idea per il concept del progetto Cantastorie. L’essere una cantastorie che racconta storie vere di ieri, di oggi e di domani è stata una scelta naturale. Hai scelto di vestirti da Corto Maltese e comunque di giocare un po’ con le immagini. Da dove nasce questa scelta? Nessun gioco. Sono una cantautrice seria. E la scelta di vestirmi alla Corto Maltese è stata una necessità per sottolineare la mia unicità. E poi il personaggio di Hugo Pratt era un marinaio passato alla pirateria, un antieroe. E per me l’essere donna è proprio questo: essere un’antieroina per eccellenza. Quanto sono realistici i tuoi ri17


intervista

Tain Tra apparizioni aliene e influenze funk e hip hop, Tain ha pubblicato Ufologia, il primo disco solista. Suonavi funk rock, ma da solista emerge un lato elettronico-hip hop. Perché questa svolta? Amo il funk, devo dire che ascoltare i Red Hot con Blood Sugar Sex Magic a 16 anni mi ha influenzato molto, però da lì in poi ho sempre suonato in varie band, con la classica formazione, chitarra, basso e batteria. Ora che per la prima vol-

ta dopo tanti anni mi sono trovato senza band ho capito che non era per forza una cosa negativa. Ho sofferto per essere rimasto senza, ci tenevo, ma forse era arrivato il momento di sperimentare un po’. Avevo già iniziato anni fa un progetto solista elettronico, solo strumentale. Aveva però uno stile molto lounge, musica perfetta per l’aperitivo estivo all’aperto. Non l’ho mai concluso, per ora. Ma il “la” mi è stato dato da un cartone 18


animato spettacolare che si chiama Regular Show. Ci sono delle musiche stupende in ogni puntata; i suoni utilizzati sono geniali: sintetizzatori anni 80/90 e melodie spettacolari. Mi sono divertito! I sintetizzatori li avevo sottovalutati. In tanti brani presenti nell’album li ho completamente sostituiti a basso e chitarra. Così è nato Ufologia, il mio primo progetto solista interamente scritto e suonato da me. Non era mia intenzione pubblicarlo, ero rimasto deluso dal mondo della musica live nella nostra zona tra Milano e Como. Ora sono contento di averlo fatto, indipendentemente da quanto andrà lontano. Da dove nasce la scelta della maschera da alieno e la tematica “ufologica” del disco? Arriva di riflesso all’album, volevo fosse il protagonista, come fosse l’altro lato di me, il lato alieno. Penso che ogni persona abbia un lato alieno, il lato di noi legato all’universo, al cosmo, dove magari c’è un’altra versione di noi identica nell’aspetto. Mi ha sempre appas-

sionato la tematica alieni e ufo, è un modo di sognare realistico, chi può negare la presenza degli alieni? Chi può negare che Dio esista? Magari sono la stessa cosa, o forse, semplicemente l’umanità mi sta deludendo e questo è un modo per cambiare punto di vista. Oppure sono stato rapito. Come nasce la traccia d’apertura, “Invasione aliena”? Invasione Aliena è nata da sè, ho tolto i filtri al cervello e ho iniziato a scrivere senza preoccuparmi di sembrare troppo diretto. Le frasi venivano da sé senza darmi il tempo di pensare, ho lasciato il controllo della mano che scriveva al mio lato alieno, guardando il pianeta come se non ne facessi parte, come se fossi un alieno che guarda dallo spazio come ci comportiamo. Sono uscite 6/7 pagine di testo. Dovevo sfogarmi. 19


intervista

Spread

E’ passato parecchio tempo dal vostro ultimo lavoro: che è successo in questo periodo? Sono passati sei anni dall’uscita di C’è tutto il tempo per dormire sottoterra. E sono passati più di tre anni dall’ultima volta in cui mettemmo piede su un palco. Durante questa lunga pausa la band però non si è mai persa; la nostra energia ha continuato ad accumularsi, in attesa che tutti noi avessimo il tempo e le energie mentali per poterci davvero rimettere in gioco. Ci siamo mossi

senza fretta anche quando abbiamo ricominciato a lavorare con continuità. Nessuno di noi si è imposto, le nostre idee si sono sviluppate da sole, semplicemente suonando insieme. Il tempo passato è servito a evitare di ripetersi, a lasciare spazio ad un suono nuovo. Nel frattempo noi siamo cambiati e la nostra musica si è evoluta con noi senza minimamente doversi sforzare in questo senso. Su che premesse è nato “Vivi per miracolo”? 20


Questo disco non ha avuto bisogno di alcuna premessa, è praticamente nato da solo, improvvisando e lasciando fluire la musica senza fissare idee precise. Dopo circa un anno e mezzo di jam session abbiamo ripreso in mano tutte le registrazioni di questo periodo. Qua e là abbiamo trovato gli spunti dai quali abbiamo arrangiato i 10 pezzi che compongono Vivi per Miracolo. Un disco che racconta un po’ di noi, del miracolo di essere vivi, di dare la vita, di gustare la vita e il senso di caducità che ci può attraversare anche i momenti più felici. Qual è stato il contributo di Alberto Ferrari sul disco? Il preziosissimo contributo che Alberto ci ha fornito è stato più sonoro che artistico, i brani infatti hanno praticamente mantenuto gli arrangiamenti originari. Per noi è stato davvero un onore e un grande piacere poter “approfittare” della qualità e dell’attenzione straordinaria che ci ha messo a disposizione. Durante le session in studio

si respirava un’aria molto positiva, calma, eravamo davvero nelle condizioni ideali per dare il meglio. Il disco è stato registrato in diretta su nastro, suonando tutti e quattro contemporaneamente, senza però troppa ansia derivata dal non poter correggere errori in postproduzione. Ecco la nostra più grande soddisfazione: Vivi per miracolo non sarà certo un disco perfetto ma è esattamente così, come l’abbiamo suonato, e questo grazie al lavoro di Alberto. Come nasce “Trumpolino”? La melodia di questo brano è stata una delle prime a prendere forma e in qualche modo ha influenzato la sonorità dell’intero album. Diciamo che non è soltanto il brano d’apertura ma è stato per noi proprio l’input che ci ha fatto scoprire una nuova sfumatura della nostra musica. Il testo è fortemente critico verso la deriva estremista che sta colpendo non solo gli Stati Uniti ma anche l’intera Europa. 21


intervista

TrèHùs

I TrèHùs pubblicano When You’re Anything But Ok, opera prima e vuole essere un blend di sonorità alternative, senza limitarsi alle costrizioni di genere. Come nasce il vostro duo e da cosa nasce il (curioso) nome? Il nostro duo nasce come un trio nel primo 2017 quando io e Elvi-

ra (la nostra ex cantante, comunque presente nel disco) abbiamo cominciato a scrivere della musica nostra coinvolgendo poco dopo anche Luca. Il tutto è nato quasi per gioco e per curiosità, partendo da tanta voglia di sperimentare senza aver troppa paura di contaminazioni soltanto apparentemen22


te inconciliabili. Il nome Trè Hùs nasce invece dall’idea dell’infantile “casa sull’albero”, a dire la verità presa un po’ in prestito da Lorenzo, nostro amico e co-produttore e dalla passione di Luca per l’Islanda (Trè Hùs significa letteralmente “casa sull’albero in islandese), che ben si sposava con le atmosfere del progetto. Atmosfere hipster, ma sempre atmosfere. Nel vostro disco ci sono consistenti sensazioni soul insieme a sviluppi elettronici: quali sono stati i punti di partenza sonori del disco? Nel disco ognuno ha portato un pezzo di sé e del proprio bagaglio culturale: io (Pietro) sono partito molto dell’alternative rock e dell’emo mentre Luca è partito da esperienze piú techno e psichedeliche; Elvira ci ha messo un tocco di soul e di 90s, mentre Lorenzo è stato un mago nel portare un po’ di groove

e nel darci una mano a far collimare il tutto in maniera sensata. Se dovessi dare un punto di incontro comune a tutti direi i Tame Impala. Tematiche soul, r&b, electro, hip hop, dance si incrociano nel vostro disco. Ma quali sono i vostri capisaldi? Vedi sopra, io sono figlio dell’emo e dell’alternative e solo dopo mi sono fatto l’orecchio per generi più “soft”; Luca invece parte da sonorità berlinesi della deep house e dell’elettronica fino ad arrivare a sensazioni più analogiche e retrò. Pensate che la formazione a due sarà quella definitiva oppure cambierete lungo il percorso? Al momento penso rimarremo in due, è stato un bel travaglio già così, ma siamo stimolati e carichi per la promozione del disco! 23


ristampe

Brian Eno Brian Eno pubblicherà una raccolta di brani nuovi, rari e inediti, Music For Installations, tramite UMG il 4 maggio. La nuova collezione sarà disponibile in una selezione di formati: ci sarà infatti la possibilità di acquistare un cofanetto super deluxe 6CD in edizione limitata, comprendente un libro con copertina in plexiglass da 64

pagine e una scheda di download, e come edizione standard 6CD, anche con il libro di 64 pagine. Inoltre, sarà disponibile come box set in vinile super deluxe 9LP, con il libro di 64 pagine e la scheda di download. Questa è la prima volta che alcune tracce di Music For Installations saranno disponibili su vinile. Musicista, produttore, artista 24


visivo, pensatore e attivista, Brian Eno è arrivato per la prima volta alla ribalta internazionale nei primi anni ‘70 come membro fondatore dei Roxy Music, cui hanno fatto seguito immediatamente una serie di album solisti criticamente elogiati e influenti. Il suo visionario lavoro di produzione include album con David Bowie, Talking Heads, Devo, Laurie Anderson, mentre la sua lunga lista di collaborazioni include registrazioni con John Cale, David Byrne, Grace Jones. Meno popolari, sebbene ugualmente degni di nota, sono i suoi esperimenti visivi. Questi sono il terreno fertile da cui è cresciuta gran parte delle sue altre opere; coprono un arco di tempo ancora più lungo rispetto alle sue registrazioni, e negli ultimi decenni hanno parallelizzato la sua

produzione musicale. Queste opere molto acclamate sono state esposte in tutto il mondo. Brian Eno ha detto della collezione: “Se pensi alla musica come a una forma in movimento, mutevole, e alla pittura come una forma immobile, quello che sto cercando di fare è comporre musica molto immobile e dipinti che si muovono. Sto cercando di trovare in entrambe le forme, lo spazio tra il concetto tradizionale di musica e il concetto tradizionale di pittura”. Music For Installations è una raccolta di brani nuovi, rari e inediti, che saranno disponibili per la prima volta in vinile. Tutto il materiale è stato registrato da Eno per l’uso nelle sue installazioni che coprono il periodo dal 1986 fino a oggi (e oltre). 25


recensioni Barberini, “Barberini” Barberini è lo pseudonimo della cantautrice romana Barbara Bigi, ma è anche il titolo del suo esordio omonimo. Il disco, anticipato dal video Le Cabriolet, è cantato in italiano è si distingue per il suo dream-pop lisergico ed evocativo. Si apre con l’ospite, che in realtà è una presenza fissa per tutto il disco, cioè Filippo Dr. Panico, sull’apertura de L’ultima notte, doppia voce a scartamento lento e piuttosto notturno. Si prosegue con una più minimal Le balene, che sfrutta la forza della filastrocca e si immerge in acque sintetiche. Intro allungata per Le Cabriolet, che pur avendo un fil rouge fatto di chitarra si rivela piuttosto subacquea. Impressione trasmessa soprattutto dai filtri vocali, che si ripetono anche nella più lenta ma regolare Chiacchiere da bar. Pianoforte, idee bislacche e critica cinematografica in Le pro-

duzioni di Hollywood, costruita sulle metafore. Vorrei invece si inserisce, più o meno, in ambito supereroistico per giocare con minuzie, anche sonore. Spku decide per vie elettroniche, parlando del resto di mondi social-virtuali, risultando in un pezzo quasi ambient dall’andamento molto particolare. Astronavi invece torna al pianoforte per raccontare storie astronomiche, lente e curiose. Si chiude con un’affollata Titoli di coda. Con una voce che fa pensare all’easy listening e a decenni lontani, Barberini riesce a far emergere la propria particolarità da canzoni ben scritte e ben rifinite. Paolo Spaccamonti-Jochen Arbeit, “CLN” Paolo Spaccamonti prosegue nei suoi incontri ad alto livello e stavolta incoccia in un peso massimo come Jochen Arbeit degli 26


Einstürzende Neubauten. Il risultato è CLN, un disco sperimentale e con influenze che svariano dall’ambient all’elettronica a più vasto respiro, naturalmente con una parte centrale per la chitarra. La Track I è ambientale e introduttiva, con sensazioni morbide e diffuse. Altre le caratteristiche di una piuttosto infuriata ed estrema Track II, in preda a una sorta di isteria elettrica. Con la Track III i toni si abbassano e i tempi si allungano, come se passate le prime schermaglie l’intento fosse di lavorare più in profondità. Track IV prosegue nel lavoro sotterraneo, affidandosi a un movimento percussivo profondo che consente alla chitarra di spaziare un po’, anche se in modo sommesso e piuttosto malinconico. Con Track V invece i tempi si accorciano di nuovo e si assume come dato di fatto un giro di chitarra ripetuto e un’atmosfera un po’ desert rock. Track VI rispetta uno schema simile, ma con maggior distacco tra la chitarra solista e

il background sottostante (e ronzante). Si chiude con Track VII, in cui la vibrazione diventa dominante e detta la linea, in un incedere pesante e minaccioso. Al netto di una creatività sonora strabocchevole, Spaccamonti e Arbeit si lanciano senza paracadute su percorsi sperimentali come se collaborassero insieme da sempre. Indianizer, “Zenith” A tre anni di distanza dall’album di esordio Neon Hawaii, gli Indianizer pubblicano Zenith, secondo lavoro che segna il raggiungimento di un sound più personale e consapevole. Caratterizzati dall’utilizzo di inglese, spagnolo e una lingua inventata, i brani sono nati da jam sessions libere e selvagge a cui sono state aggiunte le linee vocali successivamente, delineando strut27


recensioni ture imprevedibili. Il primo brano è un’incalzante Dawn, che sviluppa traiettorie che vanno dall’elettrico allo psichedelico, lasciando comunque un segno evidente. Giro di chitarra acidino e qualche colpo di tosse annunciano Hypnosis, soggetta a una psichedelia di marca gentile, ma anche propensa a esiti tra il tropicale e il tribale, difficili da prevedere. Get Up!, con un titolo particolarmente marleyiano, apre invece con una certa malinconia tra dub e gypsy, che si moltiplica con l’eco nello spazio vuoto. Un giro furibondo di basso ruota tutt’intorno Mazel Tov II, il singolo, che può contare su una chitarretta isterica e su istinti che fanno pensare al miglior David Byrne (ammesso che ce ne sia mai stato uno peggiore). Il finale del pezzo invece viaggia in sensi psichedelici che possono far pensare all’India dei Beatles. Più cupe le atmosfere di Hermanos Nascondidos, almeno sulle prime, almeno in apparenza, almeno finché non parte una sorta di tarantel-

la ispanica, dai profili slabbrati e dai ritmi insostenibili. Anche Bunjee Ginger tenta di cogliere evidentemente di sorpresa l’ascoltatore, con un inizio quasi timido, un’esplosione improvvisa, un’escalation di voci confuse su un giro di basso ricco e profondo. Una certa tropicalità serena si mostra in Bidonville, anche se la sezione ritmica continua a trasmettere energia in modo continuo e cospicuo, e la canzone intercetta idee dub e un assolo di chitarra su note alte. Il disco si chiude con Dusk, in cui basso e batteria costruiscono una struttura solida che lascia spazio a sensazioni tra electro e dub. Si trova molta fantasia, creatività inesauribile e voglia di cambiare continuamente lo scenario in questo nuovo disco degli Indianizer, in un tourbillon continui di giochi, immagini, suoni, sensazioni. Se ascolti difficilmente puoi rimanere fermo, e comunque mai tranquillo.

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Generic Animal, “Generic Animal” Esordisce con un album omonimo da otto tracce Generic Animal, cioè Luca Galizia, classe 1995. Luca suona la chitarra con la band Leute dal 2014. Nel suo disco solista canta per la prima volta in italiano. I testi sono di Iacopo Lietti dei Fine Before You Came. Al disco collaborano a vario titolo Marco Giudici, Adele Nigro (Any Other), Alice Bisi (Birthh), M¥SS KETA. Si parte da un’infioritura elettronica sulla quale poggia Broncio, espressione di malcontento un po’ infantile ma resa con sonorità interessanti. Il mood di Tsunami è acustico, l’ambito sempre giovanile, questa volta in chiave malinconica. Le idee malinconiche non spariscono nemmeno con Zerinol, tenue e sommessa. Curioso il cantato di Alle fontanelle, altro impasto di rim-

pianti ed emozioni forti alternate a una tessitura piuttosto dolce, ma in questo caso articolata e con diversi scarti. Pausa, soprattutto dal punto di vista emozionale, con Interludio, semplice e acustica, ma con un finale in crescendo. Qualche piccola sensazione jazzata irrobustisce Trenord, altro pezzo che utilizza i canoni della canzone classica per trasgredire parecchie regole e muoversi in svariate direzioni. Più ritmata Hinterland, che si rivela quadrata ma anche vivificata da piccoli interventi sonori che contrastano con il cantato sempre malinconico. Qualcuno che è andato si mette di traverso, chiudendo il disco in modo dissonante e singolare. Originale e ben mescolato, il disco di Generic Animal si avvale di una capacità di scrittura significativa e ispirata, che incontra la vocalità di Galizia in maniera del tutto complementare. Un esordio significativo e perfettamente al passo con i tempi. 29


live

Tour in Italy Primavera tempo di concerti (un po’ come in tutte le altre stagioni). Ecco che dove suonano alcune delle nostre band preferite. Gli Zen Circus portano in giro il loro nuovo Il fuoco in una stanza e saranno il 19 aprile all’Alcatraz di Milano, il 20 al Teatro della Concordia di Torino, il 21 in Piazza delle Feste a Genova, il 27 all’OibHall di Firenze, il 28 al Centro sociale Rivolta di Marghera. I Punkreas invece

saranno a Parma il 20, al Campus Music Industry; il 21 al Cinema Vekkio di Corneliano d’Alba (Cuneo) e il 30 a Brentonico (Trento). I Ministri suoneranno a Torino il 19, a Nonantola il 20, a Firenze il 24, a Molfetta il 27, a Napoli il 28 e a Perugia il 30. Cesare Basile sarà il 18 aprile a Padova, il 19 a Torino e il 20 ad Asti. Maria Antonietta suonerà invece il 20 a Bologna e il 28 aprile a Torino. 30


audio hi tech

Design e silenzio

Si chiamano “Solo”, “Amico”, “Duetto”, “Musica” (nella foto), “Ambiente” e via discorrendo i prodotti della Como Audio, che pur prediligendo evidentemente la lingua di Dante è un’azienda con sede negli Stati Uniti, che realizza prodotti audio dall’aspetto vintage ma dalle qualità al passo con i tempi. Display TFT da 2,8 a 3,2 pollici a colori, i prodotti Como Audio si connettono a qualsiasi

sorgente sonora e accedere a Spotify Connect, Amazon Echo Dot e Google Chromecast. Prezzi da 139 a 749 euro. Se invece sei alla ricerca di cuffie wireless che eliminino il rumore ambientale, ecco le QuietPoint ATH-ANC700BT di Audio-Technica che hanno comandi a sfioramento integrati nel padiglione auricolare e un sistema multi-feedback a quattro microfoni. Il prezzo è di 199 dollari. 31


video

Universal Sex Arena ft. Luca Ferrari “Horizon of Barking Dogs”

Cartabianca, “Stramalodio”

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CRLN, “Da Capo”

Crisaore, “Quando c’è”

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