![](https://assets.isu.pub/document-structure/210429075119-cf98a8d53cd23bb86c00050a5cecb19e/v1/e17047b025af20bdf0ae5650221e125f.jpg?width=720&quality=85%2C50)
7 minute read
Gintsugi
from TRAKS MAGAZINE #42
by Fabio Alcini
Prende nome da una tecnica giapponese di riparazione delle ceramiche il progetto di Luna Paese, ricco di influenze internazionali e originalità
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210429075119-cf98a8d53cd23bb86c00050a5cecb19e/v1/917cd357128b5e5f694ae89fe11e3916.jpg?width=720&quality=85%2C50)
Advertisement
Ci vuoi presentare il progetto?
Il mio progetto musicale è in evoluzione, è iniziato nel 2019 a Parigi mentre studiavo produzione elettronica in una scuola (Musiques Tangentes). Ho iniziato a produrre i miei brani, di cui Blind e’ stato l’unico che ho poi conti-
nuato a sviluppare. Poi ho continuato a scrivere e a registrare e a giugno 2020 ho finito le demo di Spiraling Down e Your Ghosts, e tra luglio ed agosto ho scritto e registrato la demo di Disarray, che in origine iniziava come l’Outro. Tutte le canzoni sono scritte lasciando parlare un lato vulnerabile. Anche se proprio ora sto iniziando a comporre canzoni emotivamente piu’ aggressive e gioiose, sono sempre scritte a partire da un’onestà emotiva soggettiva e immediata, più che da un’affermazione categorica di quello che e’ giusto o sbagliato. A volte e’ difficile da sostenere ma è più creativo che mettere su una facciata.
I tuoi brani si muovono in quella specie di territorio neutro che sta tra sogno e realtà. Come nascono?
Non mi metto mai a tavolino a lavorare all’inizio, quello in genere viene dopo. La prima base per una canzone è in genere un’intrusione che arriva dal nulla, spesso di notte o durante il sonno. A volte sono rime, melodie oppure anche canzoni interamente orchestrate. Prendo il registratore del cellulare e le canticchio perché altrimenti me ne dimentico. E poi ci lavoro su strutturandole. Lavoro anche sull’immaginazione nei testi, perché non mi piace restare incollata al reale, per ora. Penso che questa cosa evolverà a seconda di come evolverò io come persona.
Sono curioso anche di capire la scelta della copertina, visto che vedo una particolare cura della parte grafica.
La copertina è stata realizzata da un’amica e artista visiva, Laura triscritti, che da anni lavora sulla figura della principessa in diversi abiti, molti dei quali simbolicamente evocativi – la mia preferita è quella con le forbici. Mi sembrava che una principessa
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210429075119-cf98a8d53cd23bb86c00050a5cecb19e/v1/7a4b4c89f4671720544f8445ec6691cd.jpg?width=720&quality=85%2C50)
l’intervista
frammentata fosse perfetta per il contenuto delle canzoni dell’ep. Il Gintsugi, che è una pratica giapponese di riparazione di ceramiche rotte, è effettuata con l’argento (che in genere è un colore che amo di più dell’oro). Quindi abbiamo fatto tutto in argento. In generale, la parte grafica resta piuttosto scarna ma evocativa, come le canzoni che sono piuttosto scarne, lo-fi, ma con un immaginario forte ed una forma di eccentricità.
Hai lavorato con Victor Van Vugt a Berlino, collaboratore di tanti personaggi importanti della musica alternativa. Che cosa ha regalato al tuo ep?
Ho un po’ di difficolta’ a definire precisamente il processo perche’ da quando siamo entrati in studio a quando ne siamo usciti le cose sono state molto poco razionali, molto intuitive e emotive. Penso che ci vorranno anni per me per capire bene questo lavoro, così come il rapporto tra artista e produttore, in cui l’aspetto pratico/ tecnico della registrazione è solo una componente. Credo comunque che Victor sia un tipo di produttore più interessato a capire e ad appoggiare le scelte degli artisti con cui lavora, anziché a imporsi sul progetto. A me ha lasciato molto spazio e fiducia, incoraggiandomi a seguire il mio stile e a fare ciò che volevo. A volte per me questo spazio è stato anche un po’ terrorizzante, visto che sono perfezionista e difficilmente soddisfatta di quello che faccio. Credo che la cosa che ha regalato di più all’ep è stato il fatto di darmi svariate conferme che il mio lavoro non aveva bisogno di essere preso in mano da qualcuno e stravolto. E lo studio era una stanza, come una sala prove, non c’era il lato freddo e un po’ stressante del vetro tra l’ingegnere del suono e te. A parte questo, ha degli aneddoti molto divertenti sull’ambiente musicale.
Si leggono influenze internazionali importanti nella tua musica. Chi sono i tuoi punti di riferimento assoluti?
Non so se ho punti di riferimento assoluti, credo che cambino a seconda della canzone. Una volta che un primo getto è uscito, iden-
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210429075119-cf98a8d53cd23bb86c00050a5cecb19e/v1/96dbe6c98f466145edc519e1d1330867.jpg?width=720&quality=85%2C50)
tifico a cosa somiglia e lo metto in relazione al lavoro di altri, ma non parto con l’idea di fare un lavoro in stile x o y. Per questo lavoro l’idea di base era di creare un’atmosfera “infestata”. Dei riferimenti sono emersi, da PJ Harvey degli anni ‘90, ma anche di Dear Darkness, a Kate Bush, ai Placebo sempre dei ‘90, a Nick Cave degli anni ‘80/’90. Anche Joy Division, il post-punk. Un’artista che ha pubblicato un solo album nel 2014, Broken Twin. E c’è un piccolo ammiccamento a Billie Eilish in una delle canzoni. Non c’è nessuna ispirazione specifica nella musica elettronica, anche se ne ho ascoltata tanta; alcuni suoni che ho usato sono così perché avevo a disposizione Ableton Live e familiarizzato con quello strumento, e non un batterista, per esempio. Per cui vorrei in futuro sperimentare con altri strumenti e altre modalità di produzione.
HOFMANN ORCHESTRA
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210429075119-cf98a8d53cd23bb86c00050a5cecb19e/v1/fea043417e04e5d101f66a56e5d03829.jpg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210429075119-cf98a8d53cd23bb86c00050a5cecb19e/v1/7b9a9d5709587b89e4c956e35a42c813.jpg?width=720&quality=85%2C50)
Una “Ouverture” che sta anche per esordio, nel segno di un rock non necessariamente tradizionale, anzi con un pizzico di rivoluzione dentro
Partiamo da voi: ci raccontate chi è e come nasce la Hofmann Orchestra?
Siamo tre ragazzi che si sono incontrati in circostanze fortuite e hanno deciso di tornare a suonare
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210429075119-cf98a8d53cd23bb86c00050a5cecb19e/v1/8e692eb177a6b36c6e928283b5ffb0d6.jpg?width=720&quality=85%2C50)
l’intervista
dopo qualche anno di pausa dalla musica, stavolta con l’obiettivo di fare cose che reputiamo interessanti e stimolanti. Inizialmente erava-mo in due e dopo un primo periodo di assestamento ed alcuni avvicendamenti, abbiamo trovato Stefano, il bassista adeguato per il completamento della line up e degli arrangiamenti che avevamo in cantiere. Il nome Hofmann invece deriva dal famoso scienziato Albert Hofmann, ovvero colui che per primo sintetizzò l’acido lisergico. Richiamare un’atmosfera da laboratorio ci sembrava il modo migliore per descrivere gli esperimenti sonori da cui hanno preso vita i nostri pezzi durante le sessioni di recording.
Presentate il vostro approccio rock anche in opposizione alla scena indie “conservatrice”. Quindi pensate che il rock sia ancora rivoluzionario?
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210429075119-cf98a8d53cd23bb86c00050a5cecb19e/v1/51e20391003b55c5923cd803b93a58c4.jpg?width=720&quality=85%2C50)
A nostro avviso il rock può tranquillamente essere ancora rivoluzionario. Tuttora è forse uno dei generi più indicati per esserlo, è fondamentale però non pensare troppo ai suoni che hanno caratterizzato il genere (come l’uso del distorto o la voce urlata), ma allo spirito di ricerca e all’attitudine creativa che ha caratterizzato e fatto la fortuna del genere. Quindi è fondamentale anche ripudiare alcuni elementi del rock che rischiano di ingabbiare il processo creativo. Quello che abbiamo voluto proporre perciò è un connubio delle nostre esperienze musicali più genuine, sperimentando e giocando con i suoni e le strutture dei pezzi cercando di evitare forme di avanguardismo autocelebrativo.
Mi raccontate ispirazioni e idee alla base del vostro disco d’esordio?
Il fil rouge che lega i vari pezzi riguarda la voglia e la capacità di riprendere in mano la propria vita, specialmente quella artistica, dopo averla messa in pausa per un lungo periodo a causa di una serie di difficoltà, e affrontare il nuovo percorso con una maturità e con-
sapevolezza maggiore. Anche se può suonare strano il nostro può essere considerato un concept album: ogni traccia rappresenta una fase e uno stato d’animo. Per esempio, la title-track Ouverture, che apre il disco, è una sorta di prefazione dell’album che esprime lo smarrimento e la confusione del protagonista/voce narrante, che a fine brano si trasforma in voglia di rimboccarsi le maniche e ripartire da zero con risolutezza.
Anche nella scelta di chi ha messo mano al disco (Lasala, Versari) siete andati sul “classico” per chi fa rock dalle nostre parti. Come mai avete scelto l’autoproduzione?
Diciamo che siamo andati sul sicuro. Lavorare con professionisti di fama interna-zionale permette di crescere abbastanza facilmente. Uno degli aspetti che ci ha colpiti di più e nei quali ci hanno spinti a migliorare, è stata la capacità di lasciarci sorprendere e mantenere la mente sempre aperta ai cambiamenti, anche a brano completamente registrato. In più essendo abituati a standard molto elevati, riescono a spingere i suoni nella direzione giusta in maniera più chiara ed efficace.
C’è qualche band rock italiana che vi piace particolarmente?
Rispondendo a questa domanda penso che ognuno di noi potrebbe andare avanti per ore citando le proprie. Questo è infatti uno dei principali temi di confronto all’interno della nostra band con lo scopo spesso di contaminarci a vicenda. Quando si parla di rock italiano è quasi inevitabile citare quelle band che hanno contraddistinto maggiormente la scena negli ultimi anni e per fortuna ancora lo fanno: Afterhours, Verdena, Marlene Kuntz, CSI o Tre Allegri Ragazzi morti. Se vogliamo dare uno sguardo tra le più recenti, ma sempre di grandissimo spessore possiamo citare i Calibro 35, Bud Spencer Blues Explosion o i Bachi da Pietra. Naturalmente ce ne sono molte altre e citarle tutte sarebbe impossibile. Ci piace pensare che nonostante tutto, il panorama italiano siano pieno di band e artisti validi ancora in grado di dire la propria.