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Stefanelli
from TRAKS MAGAZINE #42
by Fabio Alcini
Componente di band importanti, inizia (in modo singolare) la propria avventura solista con un ep che è anche una via d’uscita dai lockdown
l’intervista
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Chi è Stefanelli?
Stefanelli è mio nonno che prende la mia mano accompagnandomi in giro per la città. È mio padre che mi chiede di fare il turno con lui sul pullman il giorno di capodanno perché si annoia. È mio zio che mi insegna a suonare il basso. Stefanelli è anche il mio cognome.
Hai fatto parte di almeno due band di un certo rilievo. Perché
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la scelta da solista e perché ora?
Sia con BLINDUR che con i KAFKA SULLA SPIAGGIA ho avuto la possibilità di crescere tantissimo umanamente e musicalmente. Faccio tesoro di tutte le esperienze fatte fino a ora, successi e delusioni. La scelta di questo nuovo esordio però è legata a una chiacchierata con MASSIMO (voce e penna di BLINDUR) mentre caricavamo il furgone dopo un concerto, alla fine di quella chiacchierata mi sembrò abbastanza chiaro cosa fare. Si palesò ancora più forte la voglia di fare nuovi brani e di rimettermi in discussione.
Mi racconti le ispirazioni alla base di questo disco?
Ho scritto questi brani durante il primo lockdown e l’ispirazione è tutta lì. Ero a casa con “la dama” e dopo un primo impazzimento brutale per la costrizione senza vie di fuga, ho deciso di accettare quello che stava succedendo e di farmelo anche andare bene. Riapprezzare la casa e tutte le dinamiche che si creano nell’ambiente familiare, accettare la noia come qualcosa da non evitare a tutti i costi e su tutto godere del tempo a disposizione. A questo poi possiamo aggiungerci che sulla scia di questo entusiasmo sono passato da i miei nove/dieci caffè giornalieri a zero. Ero diventato un santone.
Cos’è questa storia delle cassette?
Quando ho scritto i brani tutti gli strumenti erano in studio di registrazione per via del lockdown e non potevo andare a recuperarli. A casa avevo solo un basso, una tastierina e un vecchio stereo a cassette di mio padre che era l’unico modo che avevo per amplificare il mio basso. Da lì ho iniziato a registrare la qualunque su cassetta e poi riversavo tutto sul computer. Ecco svelato il mistero dello stupefacente suono di NO COFFEE.
Come vedi il tuo futuro nei prossimi mesi?
Intravedo una luce che cercherò di seguire con tutto me stesso. Ho già mille progetti in cantiere e tanti dischi da realizzare. Vedo un futuro pieno di entusiasmo e voglia di fare.
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FRANK BRAMATO
“Non essere” è il disco d’esordio dell’artista salentino, decisamente fuori dagli schemi e di difficile collocazione
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l’intervista
Ciao, ci racconti qualcosa del tuo progetto e di come sei arrivato a questo esordio?
Esordire! Una parola bellissima. Il sacro Google recita: “Si tratta di una voce dotta presa in prestito nel Trecento dal verbo latino exordiri, che vuol dire ‘iniziare’, ma con un peculiare significato proprio: ‘iniziare la tessitura’”. Credo che non ci sia modo più bello per raccontare un disco. Una tessitura continua fatta di trame fitte e larghe, dove l’unico obiettivo è arrivare a dar sfogo alla creatività, un filo lunghissimo che se intrecciato bene porta a qualcosa di concreto, che sia un maglione, un cappello, una sciarpa, un tappeto o nel peggiore dei casi, una canzone. È un lavoro minuzioso che coinvolge tutti i sensi, compreso il sesto, secondo il mio personale parere: l’esigenza. Il mio percorso musi-
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cale è sempre stato variegato, forse solo per pura curiosità; sono innamorato di chi scrive bene e non ha mai badato all’estetica, di chi si è spinto oltre e parla con il cuore. Ho scritto mettendo insieme tutto quello che ho sempre pensato, cercando di coniugare musica e parole, tenendo per quanto possibile a freno l’ego insito in ognuno di noi. Piacerà? Non piacerà? Non lo so! Era esattamente quello che volevo scrivere e suonare.
Vorrei capire qualcosa di più delle atmosfere e delle idee alla base del tuo disco.
Un anno fa circa, ho investito tutti i miei averi per costruire uno studio privato che potesse coniugare i suoni analogici a quelli digitali. Ho sempre amato “mischiare” il nuovo al vecchio per cercare di creare un’alchimia di suoni che rispecchiasse quello che avevo in mente. Batterie elettroniche che si alternano a quelle acustiche, Synth e pianoforti, violino e contrabbasso, insomma, tutto quello che secondo il mio modestissimo parere, poteva contribuire alla realizzazione di un disco incoerente. L’incoerenza sta alla base dell’arte, nessuno può prevedere come andrà a finire un brano una volta iniziato, bisogna mettersi al servizio della musica e cercare di rispettarne il flusso, come un mago che recita la sua formula.
Non posso non chiederti qualcosa a proposito di “Frank Zappa è morto per niente”... Come nasce? Sembrerà strano, ma questo bra-
no è nato partendo da una batteria (elettronica) che è tipica di un genere tanto in voga in questo momento storico: La Trap. Sono troppo vecchio per essere diplomatico, quindi ho usato (con umiltà) il nome del genio Frank Zappa per denunciare una deriva artistica, iniziata forse tempo fa, fatta di talent, social e altri mezzi di distrazione di massa che poco hanno a che fare con l’arte. Quando vince il becero intrattenimento, quando si perde la cultura musicale, quando l’artista, come diceva il grande De Andrè, non è più un anticorpo per la società, tutto è destinato a una indecorosa fine. NO! Il progresso non va mai negato… ma non voglio pensare che
Frank Zappa sia morto per niente. Scusate lo sfogo!
Nel disco appaiono i “fantasmi” di Zappa, appunto, Carmelo Bene, Demetrio Stratos. C’è qualcuno della contemporaneità che rispetti non dico allo stesso modo, ma che consideri un punto di riferimento?
Frank Zappa, Demetrio Stratos, Carmelo Bene e tanti altri hanno contribuito, sacrificando in qualche modo la propria vita, a tracciare una strada netta, precisa. Gli artisti hanno la responsabilità di seguire questa strada e cercare di farla crescere, adattandola se così si può dire, ai nostri tempi. Daniele Silvestri e Max Gazzè sono l’esempio classico dell’artista in continua evoluzione, alchimisti che coniugano il moderno al classico con una scrittura superlativa, raccontando tramite un linguaggio accessibile gli archetipi della nostra società, dei quali non si può fare a meno. Il mondo è finito senza la favola. Poi ci sono i nuovi poeti, uno tra tutti John De Leo che rappresenta per me l’esempio universale di fare musica e testi.
Quali saranno i tuoi passi successivi?
Ho avuto la fortuna in questi anni di conoscere diversi musicisti, con i quali collaboro. Grazie a queste collaborazioni è partito un progetto che probabilmente vedrà la luce nel mese di ottobre o novembre (proprio quando la luce cala). Abbiamo deciso di incidere un album “sperimentale” che nella maggior parte dei casi non segue una vera e propria “forma canzone”. Un metodo per mantenersi in allenamento ma sopratutto per mettersi in gioco.
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IVAN FRANCESCO BALLERINI
Dopo le storie del West di “Cavallo Pazzo” ecco “Ancora libero”, il nuovissimo album del cantautore
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l’intervista
Niente nativi americani questa volta ma un ritorno alla quotidianità: da dove arrivano le storie del tuo nuovo album?
Bella domanda. Arrivano da più punti: amore, sogni, voglia di evasione e di libertà, problemi legati all’impatto sempre più pressante che la tecnologia ha sulle nostre vite, amore verso una figlia. Ho voluto in questo mio secondo disco raccontare me. Si possono trovare sparsi qua e là, riferimenti a mia mamma, morta purtroppo molti anni fa, o addirittura un brano nato da una toccante poesia di mio babbo. Insomma si è trattato di un viaggio nei ricordi della mia vita, delle esperienze che ho maturato in questi anni, in cui spesso mi sono trovato a pellegrinare per il mondo, a confrontarmi con gente, religioni, tradizioni, completamente diverse dalle nostre. Ancora libero è un album che mi è servito molto per mettere a punto e affinare il mio modo di scrivere. Cerco a volte di sollevare dubbi su alcune cose che a mio avviso andrebbero affrontate e approfondite con maggiore attenzione, invece di correre sempre verso qualcosa di cui abbiamo perso il senso.
I vari lockdown hanno reso più difficile la scrittura del disco?
No assolutamente. Nulla ha minimamente pesato sul mio desiderio di scrivere ed esprimere le mie emozioni. Ho aspettato tanto, per tanti motivi a scrivere canzoni. Adesso che ho rotto il ghiaccio ho proprio desiderio di raccontare le cose che mi sono successe nel corso della mia vita. Ho veramente tante storie da raccontare.
Qual è stata la canzone più difficile da scrivere?
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In assoluto quella che mi ha fatto più sudare è stata Mio fratello coda chiazzata in Cavallo Pazzo. Penso di averla scritta, cestinata e poi riscritta, almeno venti volte. In Ancora Libero il brano che è stato più ostico nella stesura del testo è stato Ancora libero che reputo tra l’altro insieme a Per me sempre sarai uno dei brani più toccanti. A volte mi è stato chiesto da alcuni amici cosa vuol dire scrivere una canzone. La mia risposta, del tutto personale, è stata questa: “scrivere una canzone per me, significa, una volta individuato l’argomento di cui ci preme parlare, svolgere un tema di italiano… in musica però”. Sicuramente è una operazione non facile.
Quali sono i tuoi piani per i prossimi mesi?
Sto lavorando su un bellissimo progetto. Ero partito con una idea di fare un disco in cui il protagonista assoluto di ogni brano fosse il destino. Poi in corso d’opera mi è capitato di scrivere un brano, a mio parere molto interessante, su un navigatore portoghese del ‘500 di cui non voglio rivelare il nome. La mia convinzione di portare a termine un disco con argomento “destino” è miseramente caduta. Molti brani già scritti sono finiti in un cassetto. I più belli invece li ho selezionati e faranno parte del mio futuro terzo disco. Non dico nulla di più, ma sento che sarà un lavoro che farà molto parlare, perché gli argomenti sono belli, i testi delle canzoni originali, e i musicisti che si aggiungeranno a questo progetto, faranno senza dubbio sentire la loro potenza e la loro forza. Assieme al mio compagno di viaggio Alberto Checcacci, che come sempre dirigerà artisticamente questo mio terzo lavoro, e al bravissimo violinista ed amico Alessandro Golini e il batterista Alessandro Melani, con mia grande gioia si unirà la cantautrice Silvia Conti che avrà un bel ruolo di cantante solista, ed il bravissimo e poliedrico Silvio Trotta, con la sua grandissima esperienza maturata nei suoi numerosi concerti dal vivo col grande artista Toscano Riccardo Marasco. Insomma, andiamo avanti a vele spiegate.
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ANNA UTOPIA GIORDANO
Tra musica, poesia e filosofia, esce un progetto del tutto peculiare come “Fogli d’Ombra”
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l’intervista
Ciao, ci racconti chi sei?
Mi chiamo Anna Utopia, lavoro con la creatività e ho una formazione filosofica in ambito logico ed epistemologico. Sviluppo lavori artistici utilizzando mezzi di espressione che spaziano dall’arte digitale alla poesia, dalla recitazione alla fotografia.
Il tuo progetto prevede tre brani di poesia espressi in spoken words. Come hai capito che era questo il mezzo di espressione giusto per te?
Fogli d’ombra è stato il naturale
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proseguimento di un percorso artistico che porto avanti da molti anni. Legare il suono della voce a quello di altri strumenti è una propensione che, probabilmente, devo in parte a una formazione musicale classica, ho infatti iniziato a studiare il pianoforte quando ero molto piccola. Inoltre, la mia poetica è caratterizzata dalle rapsodie, così definisco le mie composizioni poetiche, ermetiche e criptiche, contraddistinte da una particolare attenzione per la ricerca lessicale, l’etimologia e il suono delle parole. Negli scorsi anni, ho spesso proposto le mie poesie durante reading, concerti ed eventi accompagnate da musica dal vivo. Dopo un periodo creativo in cui ho utilizzato in modo maggiore altri mezzi di espressione e in seguito a una riflessione sulla parola poetica, sono tornata alla scrittura in forma rinnovata. I testi in Fogli d’ombra si scostano lievemente dalle rapsodie: sono ibridi tra poesia e sceneggiatura pensati in primo luogo per l’ascolto e la performance dal vivo. Fogli d’ombra è il primo album musicale sistematico che coinvolge le
mie composizioni e del quale ho
seguito la direzione creativa.
Ci racconti qualcosa di più in merito ai tre brani?
I testi dei tre brani sono stati composti nell’arco di alcuni mesi, ho scelto di affidare l’architettura sonora a tre artisti con i quali avevo già collaborato in passato per
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alcune performance. In ordine di ascolto, Giuseppe Fiori firma la musica per 14 e 15, Leonardo Barilaro per Pattern e Un Artista Minimalista per Entelechia (o sul senso del dovere). Il mixing e il mastering dei brani sono stati da me seguiti personalmente con la consulenza e il supporto tecnico di Massimo De Feo. I tre brani mescolano voci ed eventi vicini e lontani, sia nel tempo che nello spazio. Li percepisco come glomi, coaguli composti dall’ombra di parole, di oggetti e di momenti di vita. Filosofia e scienza, attualità e mitologia, la mia voce e le basi musicali, si fondono per creare un quadro sonoro in cui personaggi, come Nana Buluku e Majakovskij, si confrontano e dialogano con l’ascoltatore. L’approccio migliore per l’ascolto, forse, è di affidarsi al flusso di suoni e immagini di volta in volta evocati senza cercare un preciso significato.
Quali saranno i tuoi progetti successivi?
Il ventidue maggio parteciperò con Fogli d’ombra all’evento Art Happening Varese 2021, a cura di Sonia Catena e Alex Sala, presso la Lavit e Friends Art Gallery di Varese. Sarà la prima volta che proporrò dal vivo questi tre brani accompagnati dalle basi musicali. Sarò poi impegnata nelle riprese del primo videoclip tratto da Fogli d’ombra e nella composizione dei testi per il prossimo album.
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