DEMETRIO E POLIBIO Accademia di Belle Arti di Urbino + Rossini Opera Festival
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Accademia di Belle Arti di Urbino
Scuola di Scenografia
Presidente Vittorio Sgarbi
Studenti che hanno aderito al progetto Ilaria Ambrosino Adriano BalsamĂ Stefano Bruscolini Francesco Cuomo Marco Fieni Lisa Foletti Anna Gioia Luca Giombi Marta Guerrera Sara Lenci Marina Miozza Erica Montorsi Valentina Olivi Roberta Panico Anna Rosa Paolino Jessica Pelucchini Adriana Renzi Lorenzo Trucco Gianluigi Venturini
Direttore Umberto Palestini Direttore amministrativo Massimo Castellucci Direttore di Ragioneria Amneris De Angeli Segreteria del Personale Antonio Pruscini Segreteria didattica Maria Antonia Galeone Biblioteca Anna Fucili Consiglio di amministrazione Vittorio Sgarbi (Presidente) Walter Scotucci (Vice Presidente) Massimo Castellucci (Segretario) Sebastiano Guerrera (Docente) Elvis Spadoni (Studente) Umberto Palestini (Direttore)
Scenografia Francesco Calcagnini
Consiglio accademico Umberto Palestini (Direttore) Francesco Calcagnini, Luigi Carboni, Giuseppe Mascia, Rocco Natale, Teresa Sorgente, Massimo Tosello (Docenti) Michele Pierpaoli Leonardo Formusa (Studenti)
Laboratorio di pittura 2 Alessandra Bonan
Con l’effettiva collaborazione di Laboratorio di pittura 1 Sebastiano Guerrera
Etica della comunicazione Rossano Baronciani Fondamenti di disegno informatico Francesco Lozzi
Laboratorio di progettazione e realizzazione per il costume; Storia e tecnica del costume Paola Mariani Con l’affettiva solidarietà di tutto il corso di Scenografia Christian Cassar Rosaria Tartaglia Roberto Vecchiarelli Redazione del libretto Francesco Calcagnini Rossano Baronciani Con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
() L’Accademia di Belle Arti di Urbino e il Rossini Opera Festival hanno avviato un rapporto di collaborazione volto alla formazione degli studenti, al fine di favorire ed agevolare le loro scelte professionali mediante la conoscenza diretta del lavoro di produzione liricoteatrale e inoltre di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro. Per questo la Scuola di Scenografia ha curato la progettazione delle scene e dei costumi, con la relativa parziale realizzazione, dell’opera Demetrio e Polibio di Gioachino Rossini prevista nel programma del Rossini Opera Festival 2010.
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Demetrio e Polibio
Demetrio e Polibio
La misura dell’elastico di Francesco Calcagnini
Dramma serio in due atti di Vincenzina Viganò Mombelli Musica di Gioachino Rossini Revisione sulle fonti della Fondazione Rossini, in collaborazione con Universal Music Publishing Ricordi, a cura di Daniele Carnini Direttore Corrado Rovaris Regia Davide Livermore Scene e Costumi Scuola di Scenografia Accademia di Belle Arti di Urbino Progetto luci Nicolas Bovey Assistente alla regia Alessandra Premoli Interpreti Lisinga María José Moreno Demetrio - Siveno Victoria Zaytseva Demetrio - Eumene Yijie Shi Polibio Mirco Palazzi Coro Coro Da Camera Di Praga Maestro del Coro Lubomír Mátl Orchestra Orchestra Sinfonica G. Rossini
“Come faranno gli studenti a progettare la scenografia del Demetrio e Polibio?”, era la domanda esplicita intorno a questo progetto. Uno studente disegna le scarpe? Un altro i cappelli? Qualcuno invece fa finta di niente fino all’arrivo salvifico del talento di turno munito di idea geniale che, con manifesta superiorità, condanna tutto il resto all’oblio? E soprattutto con quale metodo si inseriscono e si mescolano le cose, le persone, l’intemperanza e l’orgoglio nel momento pragmatico delle scelte e delle sintesi? Tali preoccupazioni hanno segnato l’inizio di questo lavoro producendo una serie di schemi rigidi che proteggevano l’apporto di ogni singola persona in una maniera squisitamente sclerotica. Appagante in linea di principio e alquanto sterile nei risultati. Non sempre queste soluzioni funzionano. Io non ho mai giocato in uno sport di squadra e non so bene cosa si dicano gli atleti nello spogliatoio quando l’avversario, in manifesta superiorità, li costringe ad essere giocati piuttosto che a giocare. Il metodo è come la superformazione irreale con elementi ideali: il terzino difende, il centravanti spinge appunto in avanti e l’ala tornante è un miracolo di sorpresa che corre libera. La partita è sempre un’altra cosa e l’interpretazione di questo schema consiste nella sua totale evaporazione. L’imprevisto impone di pensare velocemente a passare la palla per riuscire a smarcarsi.
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Mentre ci si appella con devozione ad un metodo, per non morire nella confusione più totale, si dimentica che è la partita stessa che chiederà al singolo giocatore di provarsi all’arme, al paragone, di uscire e di entrare dentro il ruolo, nell’esercizio di rispondere alla partita. Il secondo progetto del Demetrio e Polibio, piombato un po’ in contropiede sulle certezze granitiche della Scuola e di ognuno dei suoi partecipanti, ha acceso un particolare spirito di squadra che ha velocemente cortocircuitato tutte le etichette dei personalismi e si è avvantaggiato nel poter contare sulle capacità individuali: applicazioni della fantasia ed esercizi di rigore a canone multiplo. Non voglio dire con questo che esiste una formula per garantire l’utopia della famosa creazione collettiva. Ma se improvvisamente, con impegno e un po’ di fortuna si coagula un collettivo, cosa non scontata né facile, questo può contribuire ad elaborare un’idea con dei vantaggi esponenziali senza che l’individuo ne esca disintegrato. Il metodo non è singolare, è plurale ed elastico, e come tutti gli elastici se non è messo in tensione è inerme. Può per un attimo raccogliere anche i capelli che di nuovo sciolti si lasceranno scomporre dal vento. L’elenco che succede è il tentativo di provare a dire chi ha fatto cosa, prima che arrivassimo in teatro.
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Progetto e realizzazione scenografia Gianluigi Venturini Adriano Balsamà Francesco Cuomo Marco Fieni Roberta Panico e Lisa Foletti Anna Gioia Luca Giombi Marta Guerrera Sara Lenci Erica Montorsi Valentina Olivi Jessica Pelucchini Lorenzo Trucco Disegni tecnici a cura di Gianluigi Venturini con la collaborazione di Giulia Maria Marini Progetto Costumi Marina Miozza Stefano Bruscolini Anna Rosa Paolino Adriana Renzi Realizzazione Costumi in collaborazione con Sartoria del Rossini Opera Festival Arrigo Sartoria Teatrale Calzature Calzature Pompei, Roma Parrucche Mario Audello, Torino
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Attrezzeria Laboratorio del Festival E. Rancati, Milano Costruzioni in legno Adriano BalsamĂ Lorenzo Trucco Francesco Cuomo Costruzioni in ferro Gianluigi Venturini Marco Fieni Pittura di scena Anna Gioia Luca Giombi Marta Guerrera Sara Lenci Erica Montorsi Jessica Pelucchini WebDesign e WebContent Management Renato Alberti http://spritehat.net Redazione Blog Anna Gioia Rossano Baronciani Documentazione video Valentina Olivi Documentazione fotografica Scuola di Scenografia a cura di Ilaria Ambrosino Coordinamento produzione Scuola di Scenografia Roberta Panico Oltre al Sovrintendente Gianfranco Mariotti e al Direttore artistico Alberto Zedda un ringraziamento particolare alla Direzione tecnica del Rossini Opera Festival
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Direzione tecnica Mauro Brecciaroli Coordinamento tecnico Claudia Falcioni Collaboratore ufficio tecnico Katia Ugolini Assistente tecnico Francesco Lozzi Responsabile di sartoria Paola Mariani Responsabile dello stage di pittura svolto nel Laboratorio del Festival Alessandra Bonan Si ringraziano inoltre Osvaldo Cattaneo Walter Brecciaroli Adel Al Rehaoui Assistente del Sovrintendente Maria Rita Silvestrini Segreteria artistica Francesca Battistoni Edizioni e Archivio storico Carla Di Carlo
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La cassetta degli attrezzi di Rossano Baronciani
Durante la trasmissione L’arte di non leggere condotta da Carlo Fruttero e Franco Lucentini, la conversazione cadde improvvisamente sul capolavoro di Daniel Defoe Le avventure di Robinson Crusoe. Di certo non potevano mancare argomenti o temi storico-letterari per approfondire questo romanzo di formazione; i due erano critici letterari particolarmente ferrati per quanto concerne la letteratura inglese, traducevano ed erano consulenti editoriali presso la casa editrice Einaudi. Eppure Franco Lucentini non rispose, si allontanò dalla stanza per ritornarvi dopo qualche minuto con una cassetta degli attrezzi. La aprì e mostrando il contenuto (martello, chiodi, sega, cacciaviti, chiavi inglesi ecc.) disse: “Ecco, questo è Robinson Crusoe!”. Difficilmente si potrà commentare in modo più chiaro un simile romanzo: lo si potrà inqua-
drare nel contesto dell’Illuminismo inglese analizzando i contenuti sociali e letterari, ma l’esatto significato dell’intero volume sta proprio nell’abilità di Robinson Crusoe di costruire oggetti, utensili e mobili grazie a strumenti recuperati o prodotti con le proprie mani. Vedere la cassetta degli attrezzi gettata a terra da Lucentini che passava, uno ad uno, tutti gli strumenti del fare umano, rese esplicito un contenuto che è ormai sfuggito all’uomo contemporaneo: ovvero l’idea che ogni conoscenza per essere tale deve necessariamente passare attraverso l’esperienza del fare, così come un gesto, un luogo o un simbolo spesso sono portatori immediati di senso e significato. La Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino persegue il conseguimento di competenze, da parte degli studenti, grazie alla trasformazione dei saperi attraverso la pratica
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laboratoriale. Gli allievi iscritti al terzo anno e al biennio specialistico del corso di Scenografia hanno affrontato per due semestri l’ideazione, la progettazione e la produzione delle scene, dei costumi e degli oggetti per Demetrio e Polibio di Gioachino Rossini. Hanno studiato l’opera, il contesto storico e il gusto musicale del tempo riuscendo a interpretare le idee del regista e trasponendo tali intuizioni nello spazio, nelle cose e nella luce. Hanno reso visibili le parole del libretto e le note musicali dando forma e struttura alla narrazione e al canto. Un’attività impervia, piena di sfide e insidie: per un’intera scuola di studenti, al limite dell’utopia. Eppure il cammino fatto di lezioni interdisciplinari e trasversali nei diversi campi del mondo dello spettacolo, le ricerche relative alle progettazioni, ai costumi e alle scene hanno reso reale un progetto scenografico. Pensare che una scuola abbia potuto suddividersi i compiti, creando gruppi di lavoro autonomi, ma coordinati verso la ricerca dei costumi e verso l’ideazione della scena, rende ancora più limpida questa opportunità di formazione e di istruzione che la scuola (ancora) riesce a fornire. Piace infine concludere pensando che siano stati dei ragazzi di venti anni o poco più a oltrepassare la soglia del Rossini Opera Festival come scenografi dell’opera che Gioachino Rossini scrisse a quattordici anni: restituendo a dei giovani un’opera scritta da un bambino.
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Crono
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Logica
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5, 6, 7 novembre
Le giornate del 5, 6 e 7 novembre sono state dedicate all’incontro con Davide Livermore, regista di Demetrio e Polibio. Per la prima volta gli studenti hanno potuto conoscere il pensiero e la metodologia del regista che condurrà il team di scenografi dalla progettazione fino alla rappresentazione dell’opera che sarà parte del prossimo Rossini Opera Festival.
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30 novembre Il 30 novembre ed il 1 dicembre 2009 gli allievi di Scenografia si sono incontrati con il regista Davide Livermore per visionare gli elaborati scaturiti dai primi incontri di novembre. I primi ad esporre il proprio lavoro sono stati gli studenti del gruppo costumi che hanno illustrato la ricerca effettuata relativa alle immagini e ai costumi di origine persiana, agli stilisti e ai fumetti afferenti. Hanno inoltre cercato di indagare sull’effettiva strada da seguire nei prossimi giorni per la progettazione dei costumi ispirati al film Dune di David Lynch e allo “stile impero”. Il gruppo scenografia, invece, ha prima di tutto illustrato le tre ipotesi di “scatola nera” e, a seguire, i bozzetti relativi al primo atto dell’opera Demetrio e Polibio di Rossini. Una volta presa visione degli elaborati, un elemento ha colpito in particolar modo il regista, un neon ovale di 4 metri: luogo deputato che può avere un dentro e un fuori.
Dall’incontro è emersa la necessità di riuscire a organizzare delle proposte coerenti che mettano a fuoco non un particolare punto dello spettacolo ma assolvano all’intero piano drammaturgico che sta uscendo dalla lettura e dallo studio dello spettacolo. Il lavoro così come è impostato agisce su diversi piani.
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Un primo piano è fisico e oggettivo. La proposta del regista di connotare il personaggio di Polibio attraverso una malattia, un impedimento deambulatorio, risulta molto interessante. La figura paterna che non partecipa nell’agito drammaturgico, ma spedisce in prima linea la figlia, trova una sua giustificazione oggettiva. Questa proposta diventa quindi un costume oggetto, un bozzolo che rende diversamente abile il personaggio. Un secondo piano è affidato a delle proiezioni che, attraverso elementi grafici, ricompongono la storia come in un immaginario fumetto dell’800. La relazione, la reciprocità e l’interazione di questi due piani sono il principale lavoro che risulta non svolto.
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10 dicembre Dopo le prime presentazioni del progetto scenografico, queste sono le foto del modellino pensato come strumento di verifica spaziale, realizzato seguendo l’ultima proposta di allestimento presentata a dicembre. Le immagini mostrano una sequenza non ordinata di alcune scene dell’opera rossiniana Demetrio e Polibio. Possiamo notare come la “scatola nera”, presente nelle inquadrature sopra citate, sia caratterizzata da tutti quegli elementi di scena utili alla drammaturgia dell’opera. Per citare un esempio significativo: uno dei segni grafici più forti, per la prima scena del primo atto ma in generale per l’intera opera, è il neon dalla forma ovale, pensato come vero e proprio luogo deputato.
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Nell’atto I scena I dell’opera rossiniana su cui stiamo lavorando, ci troviamo di fronte alla sala del trono di Polibio, re dei Parti. Da questa stanza si apre una finestra immaginaria sulla città ed è da questa finestra che si intravede lo skyline della metropoli. I vari edifici sono stati realizzati utilizzando diversi particolari di incisioni ottocentesche raffiguranti palazzi, statue, parti meccaniche ed ingranaggi. Attraverso questi dettagli sono stati creati dei moduli e delle architetture urbane che, uniti insieme, hanno ricreato l’effetto grafico dei grattacieli moderni. Le immagini grafiche dei palazzi risultano essere dei vestiti indossati da moduli tridimensionali che permetteranno, in fase esecutiva, di produrre una notevole varietà di inquadrature di una metropoli virtuale.
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25 gennaio 1 Ore 03,00 A14 Una Croma beige, metallizzata, noleggiata, con bagagliaio capiente, è sull’autostrada A14, direzione Torino; tre studenti, un modellino e un tempaccio. Aggiungasi un insegnante di scenografia. Nel punto più buio della notte, nell’andirivieni sincronico del tergicristalli, abbiamo inviato un laconico sms a Livermore: “ore 3 siamo partiti”. Ogni tanto ci si ferma in qualche stazione dormitorio. Un tir tutto bianco ha sul vetro una croce azzurra, celtica, minacciosa e fosforescente. Il camion si chiama Mariadilourdes, tutto attaccato. Bisognerebbe fare caso a certi nomi. Anche ai nomi delle stazioni di servizio: Santerno, La Pioppa, Secchia, San Martino Est, Arda Est. Qui, oltre un caffè di ordinanza, ci imbattiamo in due bancali enormi colmi di palloni morbidosi, mollicci e ricoperti di peduncoli elastici umidicci e schifosi. Il fatto non trascurabile che siano autoilluminanti non sottrae loro quel tanto di ribrezzo che ne garantisce una vendita di massa. Ci diamo il cambio alla guida e quando mi sveglio siamo fermi in fila ad Alessandria. A destra e a sinistra della Croma solo camion. Nevica. Al posto di Isoradio il rosario di Radio Maria, la voce cristiana nell’auto. Al posto delle informazioni sul traffico, la fede. 2 Ore 08,00 Stazione di Servizio Crocetta Nord Telefonata con Davide: “Buongiorno. No! No! Non siamo affatto dei pazzi! No stiamo facendo colazione! Sì! Mi
dispiace! No ah... davvero! Scusa Davide, come è andata la prima dell’Idomeneo ? Ah… Si compro La Stampa! Accidentaccio! Ok! Senti, dove ci vediamo a Torino? Ma sta nevicando? Sì! Arriviamo tra un’ora circa. Dove arriviamo? Fonderie Teatrali Limone. Moncalieri. Va bene. Buon viaggio. Grazie.“ 3 Ore 09,30 Fonderie Teatrali Limone, Moncalieri Uno spazio speciale con ciminiera che, innevato, sembra ricalcato dalla “metafisica” di de Chirico. Intorno guardiole che con gentilezza rinchiudono e proteggono relativi guardiani, ci fanno capire che siamo attesi. Scarichiamo il modellino e, in una stanza calda, Adriano e Gianluigi incominciano a rimontarlo. Lo fanno con attenzione. Le fonderie Limone sono ora uno di quegli spazi che tutti dichiarano di volere nel mondo. Un esempio di recupero d’archeologia industriale con tanti luoghi, alcuni per le prove, altri per le lezioni, una foresteria. Qui il Teatro Stabile di Torino organizza corsi per attori, per cantanti e un corso di danza contemporanea. Sala K, voci infreddolite di cantanti
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come unico sottofondo, tra costumi di prova, alla presenza di Davide Livermore, abbiamo consegnato il nostro progetto.
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i quadri dello spettacolo oggetto per oggetto, scena per scena. Il fatto che il modellino piaccia molto al regista non ci toglie il sospetto che qualcosa in questo progetto non vada bene. A tutti è sopraggiunta una bella fame e Davide ci offre un buon pranzo. 5 Ore 12,30 Ristorante Il Porto di Savona 6 Ore 15,00 Sala K: download
4 Ore 10,30 Fonderie Teatrali Limone Moncalieri. Sala K Abbiamo molto da fare. Abbiamo un modellino su misura. Presentiamo al regista tutti gli elementi uno per uno. Cosa si può fare, cosa non si può fare, come entra in scena, come ne esce. Con calma proviamo a rivedere tutti
Abbiamo mangiato come dei pasha. Davide ha una piccola riunione per qualche problema che si è presentato nella sua scuola. È ora il momento di passare in rassegna i bozzetti dei costumi. Non tutti vanno benissimo, ma la cifra stilistica sembra azzeccata e, con alcune modifiche e qualche aggiustamento, sembrano licenziabili. Si torna invece a parlare dell’idea complessiva dello spettacolo che, come previsto dalle nostre peggiori paure, non corrisponde a tutte le esigenze dinamiche che la regia vuole imprimere a questo spettacolo. Infatti, senza elementi molto importanti, quali un piano praticabile mobile e un meccanismo a zoom che ritagli porzioni del palcoscenico al posto di una serie di quinte mobili, la macchina scenico-cinetica che sottintende questo allestimento risulterebbe alquanto limitata nelle sue possibilità. Sono costretto ad elencare di nuovo una serie di limitazioni spaziali ed economiche che ci ha obbligati a non prendere nemmeno in considerazione l’idea di progettare simili elementi. Durante il periodo di progettazione credo di aver involontariamente assillato il regista ribadendo tutti i vincoli tecnici ed economici, fino a provocare
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in lui la sensazione dichiarata di non aver a che fare con una scuola (e di poter giocare liberamente di sponda con il suo immaginario) ma con degli esattori dei limiti. Questa ambiguità , questa diversa visione degli argomenti e dei problemi relativi all’allestimento scenico, questa mancanza di chiarezza e di comunicazione ha impresso una forma ad un proposta che non siamo riusciti a licenziare. Attraverso due telefonate concitate, liberatorie e finalmente esaustive (una al Direttore tecnico e la seconda al Sovrintendente), Davide ha avuto il download di un quadro realisticamente completo dello
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stato delle cose. 7 Ore 17,00 Ancora sala K Se... non possiamo fare lo spettacolo che vogliamo, costretti dentro questa serie di limiti incrociati, siamo costretti a ripensare tutto. Esordisce il regista. 8 Ore 17,20 Sala K ‌silenzio.
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9 Ore 17,25 Sala K Modellino, spazi cinetici e costumi sembrano in un solo attimo volatilizzati e si fa spazio una seconda idea. Questo progetto appare come un miraggio, mentre Davide lo interpreta raccontandolo come si racconta un film. Il nuovo progetto è una specie di evocazione fantasmatica della famiglia Mombelli. In un palcoscenico che si va svuotando, appaiono e scompaiono e poi riappaiono dalla polvere i personaggi del Demetrio e Polibio. La scenografia è appunto questo vuoto illuminato a luce di candela. Dopo averci esposto il nuovo piano di battaglia, dopo averci rifatto i complimenti per quanto inevitabilmente accantonato, Davide chiama al telefono un mago. Parla anche a lui di questo progetto. Stanno al telefono per una buona mezz’ora. Dopodiché ripassiamo tutta la proposta, vulcanica-mente esposta al Mago. La serata finisce, Davide torna a casa e ci diamo appuntamento per l’indomani alle ore 10. Circa. Lasciamo tutte le cose nella sala K e prendiamo l’auto verso il centro di Torino. 10 Ore 19,00 A zonzo per Torino Nella notte più umida di tutto l’inverno, tra i pieni e vuoti del panorama umbertino di questa città, ci aggiriamo con un eloquente ed insolubile boh stampato in faccia. Si mangia anche una pizza (grave errore geografico), si beve anche una birra. Ritorniamo alla foresteria delle Fonderie Teatrali Limone a Moncalieri senza quasi dire una parola. Intorno a noi le macchine sfrecciano veloci.
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11 26 gennaio 2010 Ore 10,00 Foresteria Ricevo un sms da Davide. Ci chiede di raggiungerlo alle ore 10,30 in un viale di Torino. Grazie al navigatore atterriamo senza sostanziali difficoltà prima del previsto. In un baretto popolare ci godiamo inevitabilmente un cappuccino e relativa brioche.
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12 Ore 10,30 La casa del Mago Davide arriva con la moto. Ha il casco e telefona. Noi lo seguiamo, saliamo all’ottavo piano di un condominio e all’improvviso siamo in casa del Mago. Si tratta di un illusionista famoso. Elio Alexander De Grandi, in arte Mago Alexander. Improvvisamente e per fortuna tutto l’incontro assume un aspetto sospeso nel tempo, sarà la casa accogliente, saranno i tappeti, i budda incastonati nella libreria, saranno le frappe o le chiacchiere zuccherate, la leggerezza dell’incontro che ci fa parlare di apparizioni e sparizioni, coltelli e candele, ma con un po’ di zucchero a velo sopra. In questa atmosfera divertita non manca un piccolo trucco a cui si sottopongono i miei allievi, che vedono diventare di picche l’asso di cuori ed altri piccoli stupori condensati. 13 Ore 13,00 Torino, in un bar qualsiasi Usciamo da casa del mago Alexander e ci ritroviamo di nuovo nel piccolo Bar della colazione. C’è meno magia, ma fanno dei primi niente male. Mentre mangiamo scarabocchiamo assieme a Davide tutte le tovaglie a disposizione tracciando e componendo, fantasticando sedie volanti e pareti incendiate e, per quanto mi riguarda, ripassando mentalmente tutte le nuove difficoltà dell’impresa. 14 Ore 15,00 Ancora alle Fonderie Teatrali Limone Moncalieri Siamo di nuovo alle Fonderie. Smontia-
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mo il modellino, paghiamo la foresteria, digitiamo nel navigatore l’indirizzo di ritorno. Lasciamo Torino più grigia di come l’abbiamo trovata. Facciamo il pieno. Accendiamo Isoradio che racconta tutta la neve che incontreremo. 15 Ore 21,00 Autostrada Dopo più di duecento chilometri infernali passati dietro a uno spazzaneve, stiamo per arrivare a Pesaro. In automobile ogni tanto si accenna, si balbetta su qualcosa di quanto successo. Poi le parole tornano indietro e, nonostante la fascinazione dei fantasmi evocati in questo nuovo progetto, il modellino in dismissione rumoreggia ad ogni sobbalzo della Croma metallizzata. Speravamo di portare a casa una soluzione e invece torniamo con tutti i problemi nuovi. Il teatro è il luogo dove niente è impossibile e dove sempre tutto si ricombina. Questo vecchio adagio risuona un po’ loffio ora ed è meglio non spenderlo con la scusa di tirare su il morale. Per fortuna sto zitto. Talvolta è piacevole quando si sbaraglia il campo e il foglio ritorna bianco e tutte le cose spariscono. La neve sembra ricordarcelo. Questo progetto prevede un niente organizzato e, nel cuore della notte, il tergicristallo batte il suo ritmo, la radio ci consiglia la prudenza. Nonostante sia tutto bianco la notte non è chiara.
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22 febbraio
15 marzo
Lettera di Davide Livermore
Capitolato e capitomboli e palle di neve
Gentili docenti e allievi, un breve commento al vostro report. L’impossibilità di entrare al Rossini con un qualsiasi allestimento ha fatto emergere improvvisamente un’idea che mi ha appassionato, ed ha coinvolto i ragazzi e Francesco, in modo immediato. Quest’idea nasce da un vincolo tecnico ma ha una portata poetico-teatrale importante: ci sono spettacoli che si perdono nella prassi esecutiva ed entrano in un oblio, come Demetrio e Polibio, ma che restano comunque nella memoria di teatri vuoti e che solo le vite, le anime di chi ha creduto, amato, prodotto tali lavori può far rivivere. È lo spettacolo delle anime che popolano gli spazi teatrali nel silenzio e nel buio, in quegli edifici che, come nulla in Italia, hanno addensato esperienze umane, artistiche, politiche e sociali e che ancor oggi rappresentano le stanze dove risiede l’autentica memoria del nostro paese, la nostra essenza: i teatri. È per questo che ci è necessario un tutto pieno che diventi un vuoto in cui assolvere i fantasmi di questa storia che, come tali, giocheranno senza gravità, senza corpo, in continua interazione con l’edificio, il Teatro, che è il luogo dove tutto si compie, dove tutto resterà sempre.
Inutile recriminare sui progetti abbandonati e ora il secondo progetto del Demetrio e Polibio prende forma. È marzo e purtroppo nevica, complicando e divertendo gli accadimenti. La progettazione di quest’opera è costellata di grandi nevicate. Neve a Torino quando, in delegazione ristretta, raggiungiamo Davide Livermore alle Fonderie Limone. Neve sull’autostrada per un ritorno epico, neve abbondante seppur tardiva in questi giorni in cui si aspetta, a dispetto degli allergici, il profumo della primavera. Quando a Urbino nevica è tutto più complicato e la sua morfologia di rocca incastonata intorno al Palazzo Ducale rende un qualsiasi spostamento una traversata. Tra inevitabili battaglie a palle di neve, moon boot di plastica e un freddino polare, la Scuola di Scenografia e i suoi studenti hanno quasi finito a tempo di record il loro secondo progetto per l’opera rossiniana. Mercoledì 17 marzo dalle ore 9,30 ci sarà l’incontro con il regista Davide Livermore e tutti quanti speriamo che il progetto sia accettato nelle sue linee generali, in maniera tale da poter partire con i preventivi e cominciare a costruire quella parte del progetto che è di nostra competenza. Le elezioni e le vacanze di Pasqua non aiutano il nostro calendario. Per questo secondo progetto abbiamo abbandonato ogni cautela, concentrandoci su di un solo obbiettivo: quello di confezionare dentro un perimetro di regole e di spazio un palcoscenico abbandonato. Cercare prima e restituire subito l’aspetto di un vuoto (non uno qualsiasi) dentro un palcoscenico in cui vengono stipate ben tre opere. Un esercizio di
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stile, una sottrazione scenografica di segni, un’evaporazione dalle cose. Uno spazio bruciato per fantasmi dell’opera. Nella prima settimana di lavoro, gli allievi si sono divisi in quattro gruppi che seguiranno la realizzazione pratica del progetto fino alla sua effettiva conclusione: macchinisti, decoratori, costumisti e ufficio tecnico. Il gruppo macchinisti, in attesa che il progetto venga approvato definitivamente, ha impiegato il suo tempo nella sistemazione del laboratorio, in modo che possa poi essere funzionale alle esigenze di costruzione della scena. Il gruppo decoratori, in collaborazione con l’ufficio tecnico, si è preoccupato della realizzazione del modellino in ogni suo particolare, della messa in pianta del progetto e del capitolato. Il tutto sarà presentato prossimamente al regista. Il gruppo costumisti, infine, si è suddiviso ulteriormente in due sottogruppi che si occuperanno delle seguenti attività: il primo della ricerca e realizzazione dei costumi di scena; il secondo, in stretta collaborazione col gruppo di decorazione, della costruzione delle crinoline utili a completare una parte della scenografia.
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21 marzo Gli allievi, questa settimana, hanno continuato a lavorare portando a termine la proposta in ogni suo più piccolo dettaglio. Il gruppo macchinisti, finiti i lavori di preparazione del laboratorio, si è dedicato al montaggio del modellino pensando anche alla parte più tecnica del lavoro. Particolare attenzione è stata riservata agli esecutivi (pianta e sezione), elementi fondamentali per la verifica dell’idea. Il gruppo decorazione, invece, si è occupato della campionatura di alcuni elementi di scena quali i costumi bruciati. È stata posta particolare attenzione su quale potesse essere il procedimento da attuare e quali fossero i materiali utili alla sua effettiva realizzazione. Il gruppo costumi, infine, ha portato a termine la ricerca di immagini collegate ai vari personaggi/cantanti che popolano le scene dell’opera. Un’ulteriore attività è stata individuata nella realizzazione di una delle otto crinoline che si dovranno produrre. Tutti questi elementi sono stati presentati il giorno 17 marzo al regista Davide Livermore. Con grande piacere da parte di tutta la Scuola di Scenografia, l’incontro ha avuto esito positivo. Infatti, anche se con piccoli cambiamenti, l’intero progetto è stato definitivamente approvato. Da lunedì inizieranno i veri lavori legati a Demetrio e Polibio.
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Demetrio
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Ruolo Interprete
Demetrio + Doppio Yije Shi
Ruolo Interprete
Polibio + doppio Mirco Palazzi
Riferimento parrucca
Costume:
- frac in velluto di colore nero con rever e risvolti in panno nero - camicia bianca con jabot - gilet con decorazioni - pantaloni da stivale in alcantara ocra - stivali in pelle nera
Polibio Riferimento parrucca
Costume:
- marsina in raso rosso con i risvolti in taffettĂ bordeaux con decorazioni rosse - camicia bianca con jabot - gilet in taffettĂ bordeaux con decorazioni rosse - pantaloni al ginocchio con raso bordeaux - scarpe nere
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Lisinga
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Ruolo Interprete
Lisinga + doppio MarĂa JosĂŠ Moreno
Ruolo Interprete
Siveno + doppio Victoria Zaytseva
Riferimento parrucca
Costume:
- sottoveste in seta o raso rosso di colore avorio e crema - sopravveste in seta con decorazioni - soprabito in panno o cotone
Siveno Riferimento parrucca
Costume:
- marsina in raso duchesse di color crema - camicia con jabot - gilet in raso crema con decorazioni oro - pantaloni al ginocchio in seta color crema - soprabito in panno o cotone
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27 marzo Parlando di magia Quando esci dal grigio, una giornata di sole è sempre una bella cosa. Dopo aver passato un breve ma intenso periodo immersi a disegnare e designare le cose e ad inserirle e giustapporle nella pianta del Teatro Rossini, dopo tanto esercizio di taglierino, forbici, vinavil, cartoncino e filo, la presentazione del progetto, tenuta ieri negli uffici della direzione tecnica, è stata un simposio sui massimi sistemi dell’arte e del teatro, che ha riconsegnato ad altra destinazione l’artigianato del fare e del disfare. Erano presenti alla riunione il Sovrintendente Gianfranco Mariotti, il Direttore artistico Alberto Zedda, la sua segretaria Francesca Battistoni, il Direttore tecnico Mauro Brecciaroli e la coordinatrice della direzione tecnica Claudia Falcioni. Per non riempire l’ufficio la scuola si è presentata in formazione ridotta ed è stato un peccato perché, appunto, questa presentazione si è trasformata in un interessante approfondimento sul nostro progetto. Discussione che sicuramente avrebbe interessato tutti gli studenti che ora sono impegnati a realizzarlo. Davanti al modellino in bella mostra di sé, il regista Davide Livermore, accompagnato dalla sua assistente Alessandra Premoli, ha presentato il progetto. La scenografia che abbiamo proposto non definisce nel palcoscenico uno spazio ma un vuoto. Esistono le bottiglie vuote, esistono le cantine vuote, esistono i palcoscenici vuoti. Questi vuoti non sono tutti uguali. Con un meccanismo assolutamente pirandelliano le presenze dei personaggi del Demetrio e Polibio si materializzano in forma di fantasmi e, attraverso oggetti abbandonati nel palcoscenico, raccon-
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tano la loro storia. Proiezioni di un vuoto che si accende e che si fa spiare nella penombra. Si è parlato anche della magia e dell’utilizzo di alcuni trucchi che entreranno a far parte del corredo di questo spettacolo. È stato molto importante, invece, un distinguo emerso nella discussione colloquiale che ha contraddistinto questo incontro. Un mago quando fa un trucco, sia che faccia sparire una persona sia che faccia uscire un coniglio da un cappello vuoto, è concentrato sull’effetto e sullo stupore che ne ottiene. La sottolineatura di questi distinguo poneva l’accento sull’utilizzo degli stratagemmi da adottare in un universo di soluzioni a servizio della drammaturgia e su come, estrapolando i numeri del mago dal loro effetto, potessero evidenziare gli affetti in musica, nonché mettere l’accento, con tutta la loro portata di stupore per creare un contrappunto o a sottolineare la partitura musicale, o dare maggiore spessore ai personaggi del nostro spettacolo, che sono appunto dei fantasmi. Altro quesito che il progetto scenico ha sollevato è la sua effettiva capacità di mostrare, e dunque restituire, un libretto fragile ad una comprensione immediata. La domanda posta è se questo filtro evanescente e spiritico di ombre rese al canto non ponga un presupposto che sposti tutta l’opera su un secondo livello di lettura. Invece di uno strumento di sintesi simbolica, involontariamente tutto potrebbe concorrere ad una schizzo-interpretazione che complicherebbe, invece che dipanare, il fragilissimo filo di un libretto d’opera così labile. Senza entrare nelle risposte, il teatro è soprattutto un luogo nel quale si pongono domande. Possiamo ribadire che utilizzare il palcoscenico come luogo
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dove dei personaggi si danno un appuntamento per accendere la loro esistenza, è uno stratagemma stigmatizzato e ormai riconducibile a forma resa canonica da Pirandello nella sua opera più rivoluzionaria ed importante. Indiscutibilmente, questa “pezza d’appoggio” è solo una chiave che non garantisce soluzioni (ma mai nessun gesto in teatro è assolutamente garantito) e che, ben utilizzata, potrà aprire la porta a questa interpretazione. Abbiamo passato in rassegna anche i costumi che, in misura maggiore di una scenografia, sembrano destinati a determinare il presupposto per una ragionevole datazione. Lavorando sui costumi si è infatti stabilito di far apparire gli interpreti in un palcoscenico d’oggi, vestiti con gli abiti dell’anno in cui sono stati immaginati, il 1816 per l’appunto, utilizzando così la convenzione secondo cui i fantasmi rimangono contemporanei a loro stessi mentre il mondo che albergano si modifica, si evolve, invecchia e muore con naturale e involontaria disinvoltura. La famiglia Mombelli, una speciale famiglia d’ar-
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te, aveva commissionato l’opera al giovane Gioachino appena quattordicenne, consegnandogli a rate e senza continuità drammaturgica le arie, i recitativi, i concertati, le parti e le scene che compongono il libretto. È utile ricordare che quest’opera dissociata non venne mai messa in scena (ancora ricorre il gioco di sovrapposizioni con i sei personaggi in cerca d’autore sopra citati) e che dunque non costituisce un precedente. Nemmeno per l’oblio. L’opera Demetrio e Polibio prevede: un re di un improbabile regno persiano, un altro re antagonista ed infingardo anch’esso dell’estremo oriente ma travestito da ambasciatore di sé stesso; padri che cercano figli, orfani che cercano padri, giovani smunte che aspettano l’occasione di trasformare il loro amore in un gesto eroico, epico e melodrammatico. L’impasto super calorico è condito con tutti gli espedienti che aiutano a supporre un universo esotico e pre-coloniale che si amalgama e farcisce in odore di “turcheria” l’inevitabile precipitare della storia nel nulla. Non possono mancare dun-
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que: un bel rapimento, un incendio, i buoni e i cattivissimi, un’agnizione con tanto di amuleto spezzato e... un improvviso lieto fine. Un colossal abortito e dimenticato. Invece di trattenere la rappresentazione di questo mondo esotico, abbiamo scelto di riprodurre l’universo quotidiano degli indumenti ordinari all’epoca del giovane Rossini. Quasi in odor di didascalia. Restituire l’abbigliamento non tanto dei personaggi interpretati al loro prototipo di figurina, ma al mondo della famiglia Mombelli, imprigionato in un aldilà visibile solo in palcoscenico nel gesto riparator-farneticante, forse sublime, di restituire questo peccato d’omissione. Il repertorio di un tale mondo si manifesta e svanisce e poi si riaffaccia tra macchinisti, pompieri, sarte, responsabili della sicurezza involontariamente contemporanei a loro stessi, che incidono ed insistono arbitrariamente ed in maniera del tutto accidentale in un palcoscenico spiato dal pubblico nell’agosto del 2010. Con grande piacere per gli studenti presenti si è svolta una discussione colta su questo distinguo che ha messo a fuoco limiti e grandezze, insidie e opportunità dell’utilizzo di questa convenzione teatrale. Sono seguiti, con generale e diffusa soddisfazione, complimenti sinceri per la presentazione e per il lavoro fin qui svolto.
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12 aprile Saldature Si sono formate tre squadre di lavoro ormai consolidate, autonome e funzionanti. Negli slalom quotidiani con gli orari delle lezioni dei corsi afferenti e nella deferente negoziazione puntuale e continua della partita doppia della burocrazia (quella scolastica e quella del Festival), il laboratorio della scuola si è messo a realizzare il progetto appena consegnato. La scuola costruisce solo alcune parti di questo progetto. Altre sono gestite invece direttamente dai tecnici del Rossini Opera Festival. Gli allievi non costituiscono un laboratorio a costo zero (una pratica scorretta di concorrenza sleale), sono invece un insieme eterogeneo, un nucleo di persone (che arrivano da ogni parte d’Italia) che studiano e inseguono la loro professione futura dentro un lavoro specifico. Insieme concorrono a realizzare la scena che hanno progettato. Non svilire tutto questo super concentrato di proponimenti in un’antipatica forma di speculazione d’entusiasmo giovanile è un onere delle due parti in causa (scuola ed ente) di cui aver riguardo perché, non nella forma ma sostanzialmente e nello specifico, vengano rispettati i tempi dell’apprendere e salvaguardati i diritti di osare, di sbagliare e di correggersi in corso d’opera. Compito degli allievi è quello di impegnarsi a dimostrare le competenze e a spenderle con talento. Un lavoro non facile per tutte le persone che, in qualsiasi maniera (ma non in una maniera qualsiasi), si stanno adoperando in ogni modo per permettere l’operazione nel rispetto di tutte le norme e di tutte le richieste. Cercando sempre l’attenzione necessaria per rispondere alle domande, a tutte le do-
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mande, con delle buone risposte. Un lavoro dunque caro, con una posta in gioco da invidia: quella di trasmettere sapere, conoscenza e una scodella di entusiasmo ad una generazione che si affaccia al debutto; magari imparando di nuovo qualcosa dal e dell’alfabeto della giovinezza. Senza super ospiti. Senza grida. Senza un televoto che, per orrore, elimini o salvi qualcuno. Il fatto stesso che un nucleo selezionato di studenti firmi l’opera è un punto a favore della possibilità di editare l’impegno e la volontà di alcune eccellenze altrimenti destinate alle derive più segrete (denigrate?) delle valutazioni scolastiche. La nostra scuola si spende, tra l’altro, perché gli studenti conoscano e trattengano in memoria tutti i vari aspetti della realizzazione e della costruzione di una scena. Questo non significa per forza di cose ricostruire un laboratorio in miniatura, ma anche saper presentare il proprio lavoro a officine a cui si affida parte delle nostre elaborazioni, saper affidare la propria creatività al rigore geometrico dei disegni esecutivi ed ottimizzare i materiali, comprendere i passaggi, i tempi, la pazienza e le relative astuzie dentro un universo fatalmente artigianale. La creazione in corso nasce dalla formula scuola+lavoro (eternamente inscritta e circoscritta dentro la parola “sperimentale”) ed insiste non su un’antipatica e claustrofobica forma di autarchia, ma più semplicemente nella consapevolezza delle capacità e dei limiti che gli allievi del corso possono esprimere singolarmente o in formazione. La concertazione del lavoro e dei problemi (che non ha niente a che fare con la posa retorica dei famosi esami di gruppo) è una prassi che incomincia a dare i suoi risultati ed alcuni elementi della scenografia pensata, disegnata, cancellata e poi modellata in scala, ini-
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ziano ad essere costruiti. Risultati ottenuti attraverso diverse fasi di lavoro che hanno restituito una giusta dose di elasticità mentale alle singole propensioni individuali e, nello stesso tempo, hanno contribuito a definire con discreta precisione gli strumenti e i materiali che servono al giusto adoperarsi, per lavorare nel migliore dei modi, in sicurezza e mirando alla cura di ogni singolo particolare. Mentre si costruisce, si salda, si dipinge e si cuce, non di rado alcuni allievi fischiettano: cantano il Demetrio e Polibio (addomesticandolo senza devozione) non certo per obbligo scolastico e nemmeno per sogno.
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13 maggio Il Monte Hatelma Abbiamo incominciato a costruire il 5 aprile. Oggi è il 13 maggio. In fondo sono solo 6 settimane. Un tempo denso come la nebbia del Polesine in cui quasi non ti accorgi delle proporzioni e dello spazio. Del tempo, appunto. L’ultimo oggetto da comporre è il più complesso. Certo ci arriviamo un attimo affaticati, ma sicuramente è possibile attingere e far conto sull’esperienza acquisita in questo mese di lavoro. Quando abbiamo progettato questo elemento ci siamo immediatamente resi conto delle proporzioni delle difficoltà implicite, non volevamo aggredirlo all’inizio per paura di incorrere in errori che avrebbero consumato tempo e materiale con inevitabili derive di malumore. Un carro-isola che contiene una montagna di bauli. Ricorda, per analogia geografica teatral-brechtiana, il Monte Hatelma, cima artificiale che il Signor Puntila, rinsavito grazie a una massiccia dose di acquavite, s’inventa facendo accatastare gli armadi della sua biblioteca dal suo servo Matti. L’aula e gli studenti che vi lavorano, provati da tanta metallurgia, resasi necessaria per la base che fissa le ruote, ora riconoscono l’odore e la morbidezza del legno che riveste le parti in ferro. Un lavoro di precisione meticoloso e, relativamente agli strumenti in nostro possesso, discretamente faticoso. Metro, colla, vinavil, avvitatori e sparachiodi. Una groviera di cunicoli, un labirinto di sportelli, strumento per apparizioni e sparizioni più o meno prevedibili. Ogni cunicolo è una struttura portante che costituisce lo scheletro e che rende praticabile in ogni piano questa macchina di bauli. Rispetto al progetto abbiamo addolcito qualche passaggio che nel
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modellino sembrava verosimile, mentre in realtà obbligava ogni transito ad una vera prova di forza, aggiungendo dei gradini che semplificassero l’accesso alla struttura. Esiste un progetto di questo carro molto dettagliato ed ogni piccola modifica provoca una messa in misura di tanti pezzi pre-tagliati che compongono l’insieme.
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Trappola per topi
Per isolare nel palcoscenico uno spazio che sappia di deposito e di abbandono abbiamo deciso di gremirlo di bauli. Oggetto retorico da tempo immemore, contrassegnato dalla memoria nomade del teatro. Dalle compagnie erranti degli “scavalca montagne” fino ai service luci che atterrano sui palchi con i loro flight case anodizzati. Fuori scena, nei corridoi, nei camerini, nei retropalco si stivano e si accatastano casse e bauli. Di tutti i tipi, di ogni dimensione: per i costumi, per gli effetti personali, quelli con le parrucche: bauli per tutto, addirittura con lavatrici. Lavorando nella lettura dello spettacolo sulle presenze/fantasma, questi bauli vorrebbero diventare uno specia-
le sedimento di memoria dei palcoscenici. E così dopo aver realizzato il carro siamo passati a dipingerlo. Passaggi di nero sopra il nero con spigoli in porporina la quale rimanda ad un odore di teca dei santi, a bauli che si vorrebbero modernissimi. Cercando di restituire, nella superficie dipinta, la malagrazia intermittente della fatica del carico e dello scarico, l’inevitabile e insistito make up dell’incuria. Una sequenza di numeri propone un disordine ideale e accessorio dentro a un elemento di scena che diviene, invece, argomento di una progettazione attenta. Dentro si vuole nascosto quello che il teatro cela anche quando tutto è bene in vista. Un deposito dove è trattenuta
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e rinchiusa, forse in maniera viziosa, la complessità del rapporto che il melodramma con la sua forma chiusa irreparabilmente ripropone e sfoca. Un occhio fissa gli indizi del passato. L’occhio sinistro invece lavora fuori margine, avvisaglia fatale di uno strabismo che cerca anche dentro il ripostiglio della finzione, mettendo a fuoco i segni, i sintomi e gli armonici di allarmi e tensioni che possono apparire come identiche ma che, diversamente, hanno cambiato pelle.
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Interviste a cura di Rossano Baronciani
1 La progettazione della scenografia del Demetrio e Polibio è scaturita da un lavoro collettivo che, inevitabilmente, ha dovuto trovare una sintesi plurale e pluralistica. Se consideriamo che l’attività dello scenografo è per definizione individuale, sorge una perplessità nel merito e nel metodo. Come hai vissuto questa difficoltà? Senti che il lavoro finale ti appartiene un po’ oppure è qualcosa scaturito prevalentemente da altre sensibilità? Erica Montorsi: In un lavoro di gruppo non si può pretendere che appaia esclusivamente il proprio contributo perché è un’attività che appartiene a più persone. Qualcosa c’è anche se è possibile intravederlo in filigrana, tra le sovrapposizioni e le sedimentazioni del lavoro di ciascun compagno di scuola. Non ci sono stati momenti precisi in cui Adriana Renzi
Adriano Balsamà
ho desiderato che le cose fossero fatte come avrei voluto, né ho pestato i piedi perché il progetto non seguiva i miei desideri. Tutti abbiamo portato qualcosa di personale nel progetto finale. Anna Gioia: Un certo disagio l’ho avvertito inizialmente perché non avevo un buon rapporto con questo modo di lavorare. Anche perché con la prima progettazione c’è stata un bella confusione: troppe teste che pensavano sullo stesso argomento. Il tutto sembrava condurci verso un gran casino mentre i malumori all’interno dell’aula sembravano fare da contrappunto alle invidie e ad altre tensioni. È andata così fino ad un’inevitabile selezione naturale delle proposte. Il primo progetto, scartato dal regista a metà della progettazione, era di tutti anche se ci hanno lavorato quelle quattro cinque persone che forse era giusto che ci lavorassero sin dall’inizio. Con il secondo progetto invece è cambiato tutto; sono stata molto contenta Anna Rosa Paolino
Anna Gioia
Interviste
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Viste
del rinnovamento perché buttare via il primo disegno dell’opera è stato un po’ come buttare via tutti i malumori, determinando un’apertura più libera verso nuove idee e suggestioni. E poi il fatto che la seconda progettazione sia stata molto veloce ha confermato che si era creata un’effettiva unione di noi tutti: una fusione resa possibile attraverso una concreta partecipazione alla realizzazione del lavoro. Adriana Renzi: Il lavoro collettivo è stato decisamente problematico. Non sono riuscita a inserirmi nel gruppo perché personalmente non riesco a lavorare bene con tante altre persone: ho bisogno dei miei spazi. Il mio silenzio. La mia tranquillità. Questa situazione mi ha creato qualche problema. Tuttavia è stata una bellissima esperienza, un modo diverso di unire la formazione scolastica con quel che uno pensa sia il lavoro. Sara Lenci: Lavorare insieme è stato Erica Montorsi
Francesco Cuomo
sicuramente interessante. Del resto la capacità di lavorare in gruppo è un esercizio della pazienza utile in ogni ambito. Lorenzo Trucco: Per me lavorare tutti insieme è stata una grande sfida. Doversi rapportare con altre tipologie di progettazione ha determinato un’alchimia corroborante perché, quando le menti sono differenti e si uniscono in un progetto unico, allora possono nascere cose interessanti e, contestualmente, anche un sacco di problemi tal volta non semplici da dipanare. 2 È evidente che se tutti partecipano ad un lavoro che è necessariamente la sintesi di più idee, accade che non tutto può piacere allo stesso modo: ci sono soluzioni che funzionano e altre che forse non sono le migliori possibili. Quali sono le idee che rendono meglio il progetto scenografico e quali quelle che semplicemente non funzionano? Ilaria Ambrosino
Marco Fieni
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Adriano Balsamà: Il progetto ha avuto una lunga vita speculare ad una breve morte. È un progetto generato dalla tragica fine di una prima idea iniziale profondamente diversa. Il progetto definitivo crea spazi e profondità che attraversano il palcoscenico in modo perfettamente complementare e alternativo rispetto alla prima idea originaria. Siamo riusciti a sfruttare tutte le potenzialità dei “vuoti” lasciando emergere una buona sintesi che concede anche al nostro lavoro qualche chance per intervenire nel gioco dello spettacolo. Di cose che non funzionano spero proprio non ce ne siano, ma per dire questo aspettiamo di essere sul palcoscenico. Infatti solo durante le prove, nello spazio del Teatro Rossini, sarà possibile vedere ciò che manca o ciò che forse occorre sottrarre. Anna Gioia: Il teatro è sempre un lavoro collettivo, un lavoro di squadra che funziona nel momento in cui ci sono delle autentiche professionalità. Durante la fase di progettazione, scaturita da un lavoro collettivo, abbiamo intuito la difficoltà ad iniziare perché tutti desideravano emergere in qualche modo. Successivamente, quando siamo passati alla realizzazione del progetto con la divisione dei gruppi di lavoro, ci siamo concentrati su ciò che ciascuno di noi riesce a fare Jessica Pelucchini
Lisa Foletti
al meglio, dando il contributo più incisivo rispetto alle nostre potenzialità. Tutto ha funzionato nel momento in cui ciascuno ha fatto ciò che più gli piace riuscendo così a creare sinergie virtuose: se non ci fossimo aiutati a vicenda riuscendo a delegare i compiti più appropriati alle persone più indicate non saremmo riusciti a realizzare un bel niente. È importante sapere che ti puoi fidare dei tuoi compagni, poter dire: “Sara mi aiuti a fare questo?”. E poi ad un certo punto lasciarla anche sola con quel lavoro perché sai che quella cosa la farà e la farà bene e lo sai perché quello che sta facendo le piace. Erica Montorsi: Io credo che tutto il nostro lavoro funzioni potenzialmente finché non andrà in scena; fino a quando cioè l’allestimento sarà posto nelle condizioni di poter realmente avere la suprema verifica del teatro. Ora tutto sembra procedere per il meglio e io credo che funzionerà, anche perché ci siamo applicati tantissimo. Gianluigi Venturini: Penso che lo scenografo debba occuparsi dello spazio. Se non ho l’idea giusta, le necessarie indicazioni, faccio fatica a riempirlo o a svuotarlo, come del resto appare evidente nel nostro progetto. In questo caso c’è stato un processo di sottrazione dei luoghi e degli oggetti. Il Demetrio e Polibio è la prima opera di Rossini, rappresentata pochissime volte, quasi mai. Personalmente a me piace molto l’idea di restituirla a noi tramite la famiglia Mombelli riesumata in forma di fantasma, affinché essa ripeta la sua piccola recita. Un’idea molto pirandelliana in cui i personaggi come fantasmi abbiano sentito ancora una volta la necessità di calcare le scene, cercando luoghi abbandonati, depositi di vestiti e di valigie per viaggi che ormai non s’intraprendono più.
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3 Come è stato lavorare con il regista Davide Livermore? Con una persona che non era né un insegnante né un tecnico: qualcuno che improvvisamente ha cominciato a impostare un lavoro che fuoriusciva completamente dalle dinamiche scolastiche? Marta Guerrera: All’inizio è stato entusiasmante perché è stato come se lui volesse trarre da noi tutte le idee possibili e immaginabili. Sembrava quasi volere che noi tutti lo aiutassimo a trovare un percorso, una strada che ci conducesse alla realizzazione di questo spettacolo. Poi gradualmente tutto è stato sempre più confuso: si sono accavallate idee su idee che non sembravano portare da nessuna parte. Fino a quando alla fine è arrivata questa nuova idea del teatro infestato da fantasmi e spettri: una soluzione che a me personalmente ha incuriosito molto. Roberta Panico: Livermore è una persona molto simpatica, piena di senso dell’umorismo. Devo dire in verità che con noi ragazzi è stato molto disponibile e affabile. La prima volta che è venuto in Urbino mi è sembrato che fosse un po’ spaventato: trovarsi di fronte un’intera scuola di ragazzi penso che lo abbia reso alquanto perplesso: del resto recentemente lo ha anche ammesso! Ora credo che anche per lui aver fatto questa esperienza non sia stato poi così male. Vediamo in teatro come si comporta; se comincerà con: “Voglio questo!”, “Voglio quello!”, “Giratemi questo così, no anzi così!”. Vediamo in teatro, anche se penso che il dover rincorrere un regista sia qualcosa che succede normalmente in tutti i teatri del mondo. 4 C’è stato un momento durante la pro-
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gettazione in cui abbiamo dovuto ricominciare tutto daccapo. Premesso che personalmente credo che smarrirsi durante l’elaborazione di un progetto faccia parte del lavoro in sé, comunque vorrei sapere da te come hai vissuto questo ricominciare tutto dal principio. Gianluigi Venturini: Francamente... “tutto questo non funziona” me lo ricordo perfettamente. Io penso che non bisogna affezionarsi troppo alle idee e ai progetti. Infatti la mia prima reazione è stata quella di rimboccarmi le maniche per poter ricominciare di nuovo ad affrontare questo intoppo nel più breve tempo possibile. Abbiamo cercato di mirare tutti insieme verso un unico obiettivo e, per fare questo, avevamo solamente bisogno di nuove indicazioni più dettagliate e circostanziate per poter essere più efficaci e cogliere in profondità la nuova sfida. No, non ci siamo spaventati. Adriano Balsamà: Lo smarrimento è accaduto a Torino. Eravamo quattro studenti più Francesco e quanto è successo penso che sia stato in assoluto uno dei momenti più divertenti da quando frequento l’Accademia di Belle Arti di Urbino! Vedi morire in dieci minuti un’idea portata avanti per mesi: disegni, esecutivi, progettazione; una mole di lavoro giunta quasi al termine che cade in pochi minuti e poi, subito Roberta Panico
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dopo in pochissimo tempo, ecco una soluzione completamente diversa. È stata un’esperienza divertentissima anche perché la seconda soluzione credo che sia molto più interessante e suggestiva rispetto alla prima: ironico è stato vedere con quanta rapidità si sono archiviati mesi di lavoro e, altrettanto velocemente, si è affermata e realizzata un’altra idea completamente diversa. Erica Montorsi: La prima reazione è stata abbastanza sconfortante; poi però ho capito che lo scoramento era dovuto più all’inesperienza che alle nostre effettive capacità o incapacità. Penso che, quando lavori, questi inconvenienti possano capitare e, in sostanza, devono anche capitare. È giusto che capitino! Sì, ovviamente la reazione non è stata positiva lì per lì, però non c’è stato niente di male: ho capito che il primo progetto non aveva niente che non andava: non c’era niente di sbagliato, semplicemente non funzionava come soluzione alle idee drammaturgiche del regista. Marco Fieni: Io ho reagito in modo molto positivo perché, fin da quando ho cominciato a studiare in Accademia, ho imparato che se qualcosa va male si ricomincia. Sempre e in ogni caso. Luca Giombi: La bocciatura del primo Lorenzo Trucco
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progetto ha fatto sì che ci sentissimo un po’ tutti profondamente smarriti e questo disorientamento ci ha spiazzato, aumentando la confusione e lo sconcerto. Vedersi cambiare completamente il progetto a opera finita ci ha lasciato perplessi, senza sapere in che modo poter ricominciare. Come l’ho vissuta? Insieme ai miei compagni di scuola ho cercato di reagire continuando a lavorare finché non si è concretizzato un secondo progetto che potesse andare bene al regista, a noi tutti e anche al Rof. Alla fine credo che sia stata una cosa positiva perché in futuro ci troveremo di nuovo di fronte a difficoltà anche superiori a questa e quindi averla già vissuta non può che averci temprati maggiormente. 5 Accanto al lavoro strettamente scenografico abbiamo creato un blog dove poter disporre la cronologia degli accadimenti e collocare riflessioni, apprezzamenti, dubbi e spunti di dialogo. Pensi che una cosa simile possa servire alla specificità dello scenografo oppure più semplicemente ha solo un valore documentaristico? Anna Gioia: Saper comunicare è utile per farsi conoscere. Riuscire a divulgare il proprio lavoro è fondamentale non solo come pubblicità ma anche per lasciare una traccia di quello che è stato. Gianluigi Venturini
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Molte persone si dimenticano di quello che fanno quindi, andando a scorrere nel passato conservato nel blog, è possibile prendere consapevolezza delle cose che hai fatto: cominci a capire cosa hai prodotto, da dove sei partito e, forse, dove stai andando. Credo però che questo mezzo di comunicazione non sia stato molto sentito dai ragazzi; non so sinceramente quante persone vadano quotidianamente ad aprire il blog per consultarlo e per riflettere sulle cose fatte. Eppure credo che sia uno strumento fondamentale nonché utile da apprendere per esercitare la propria attività futura. Perché se uno studente ha un’idea e non riesce a comunicarla o a proporla efficacemente, quell’idea muore nel momento stesso in cui nasce. 6 Nel corso dell’attività teatrale può capitare che si debba rivedere tutto; fa parte della stessa natura del lavoro. Credo però che fra il primo e il secondo progetto ci sia stata un vera e propria rivoluzione copernicana dell’idea scenografica. Di solito si può rimaneggiare di fronte a una buona idea perché ci possono essere tante soluzioni, ma difficilmente in modo completamente diverso. Quando è avvenuto il ripensamento e come mai la seconda stesura è, di fatto, completamente diversa rispetto alla prima? Marina Miozza
Marta Guerrera
Francesco Calcagnini: Il ripensamento è stato in qualche maniera salvifico: in primo luogo ha offerto all’interno di questa scuola un’iniezione di realtà. Il secondo progetto invece è nato in un attimo, proprio perché successivo ad un primo lavoro nel quale abbiamo annaspato. Non perché le idee fossero vaghe e confuse, o meglio forse lo erano, ma era un tempo necessario in cui occorreva sudare, togliersi le tossine e dire questo è mio, questo è tuo, io cosa faccio, cosa non farò. Alla stretta delle necessità tutte queste domande sono saltate ed è uscita fuori la comune consapevolezza di unificare gli sforzi verso un unico disegno. Questa seconda impostazione è andata immediatamente a fuoco; pertanto io credo che tutta la parte del primo progetto sia stata vagamente propedeutica e, in ogni caso, utile e necessaria. 7 Possiamo affermare che questo tipo di problematica sia scaturita dal fatto che a progettare la scenografia sia stata una scuola? Oppure anche uno scenografo singolo sarebbe potuto incappare in un problema simile? F.C.: Uno scenografo si relaziona con tutta una serie di informazioni trattenute insieme al regista che ha le sue pratiche di lettura e di fascinazione. Stefano Bruscolini
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Può capitare che sia addirittura gratificante buttare via un progetto, un’idea che probabilmente non convinceva nessuno. Nel nostro caso, proprio per la specificità di essere noi una scuola, questo episodio ha contribuito a fare uno scatto in avanti come se fosse una molla. 8 Vorrei adesso entrare un po’ dentro le scene di Demetrio e Polibio. La scenografia sembra essere un luogo dove urlano le assenze, i protagonisti sono fantasmi e lo sfondo appare magico e realistico nel contempo. I fantasmi evocati che appaiono in scena sono forse una domanda bruciata che non ha più risposta? Rossini e le sue opere continueranno a essere rappresentate mentre sullo sfondo appare un teatro vuoto? Dunque anche le assenze sono presenze e i fantasmi di un teatro devono avere un luogo in cui vivere? F.C.: Il teatro è un luogo di presenze fantasmatiche e questo non l’abbiamo scoperto noi. I fantasmi ci sono da Plauto e dalla tragedia greca ai giorni nostri. Il folle di Danimarca senza il fantasma paterno non avrebbe combinato proprio un bel niente e questo meccanismo dal quale abbiamo attinto è proprio del secolo scorso. Ha a che fare con i Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. È chiaro che un po’ di schizofrenia serve per realizzare questo repertorio che è ormai chiuso, codificato e credo finito. Il mondo che ha prodotto l’opera lirica è diverso da quello in cui viviamo. E questo è un immenso bacino di studio. Come se da una parte un occhio guardasse con interesse la storia, cercando di entrare dentro quello che era il codice non più nostro, mentre un altro occhio rivolgesse lo sguardo verso
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tutto ciò che è fuori margine da questo mondo. Nella lettura dell’opera ci siamo avvalsi di un meccanismo di personaggi che evocano loro stessi di fronte a un pubblico; ripetendo il gioco, la macchinetta si rinnova e ribadisce se stessa come fosse un’alchimia, anche se in questo momento è difficile da spiegare, difficile da immaginare. Il teatro non è un luogo dove il risultato è assicurato, anche se nel suo etimo significa proprio un luogo dove si vede, dove si guarda. Il rimettere a fuoco, questo tentativo dello sguardo fa parte del nostro lavoro e sono contento che sia capitato in una scuola. 9 Mettere insieme il luogo-teatro con la scuola, con la costruzione di una professionalità, con il dovere, fare in modo che tutti facciano certe esperienze, deve servire. Io vorrei la tua opinione prima da docente e poi da scenografo, perché sono due cose che spesso e volentieri hanno degli spazi... F.C.: Io non credo che i mestieri di scenografo e di insegnante siano simili. Sono due cose completamente separate e disperatamente diverse. Come scenografo non devo chiarire niente mentre, in quanto insegnante, sono sempre costretto a continui tentativi che rientrino dentro l’universo delle spiegazioni. Abitare dentro questo universo separato significa di fatto accettare una sottile e ambigua schizofrenia. 10 Ci può essere una sintesi tra le due attività nel momento in cui si realizzano parti di un progetto scenografico? F.C.: Il teatro non serve a qualcosa di preciso, la scuola invece sì. Una Scuola di Scenografia si basa su uno studio rivolto a formalizzare pensieri o visioni,
Interviste
analisi di qualcun altro con cui gli allievi lavorano e collaborano. Con Demetrio e Polibio era la prima volta che la scuola lavorava con un regista esterno: Davide Livermore, persona interessante, curiosa, complessa e sotto alcuni aspetti anche faticosa e divertente. Riscontrare la capacità di risposta di una scuola attraverso una serie di metodi (perché il metodo non è mai uno) è stato come mettere alla prova tutto l’insieme delle individualità degli studenti e degli insegnanti; una sfida difficile che ha avuto però esito positivo. 11 Credi quindi sia possibile che la collettività possa risolversi e organizzarsi in maniera unitaria? F.C.: No, assolutamente no. La domanda che tu poni è giusta perché tutti quanti sono stati coinvolti: dal Sovrintendente Gianfranco Mariotti ad Ilaria Ambrosino da Procida, dal Direttore dell’Accademia fino al collaboratore scolastico addetto alle pulizie. La domanda è: “come si fa a fare una cosa tutti insieme?”. Allora la risposta non è nella formula, ma nella volontà dei singoli individui che dicono: “io voglio arrivare fino lì e forse anche un passo oltre”. Credo quindi che la risposta più corretta sia nell’intero procedimento che abbiamo utilizzato. Se uno lo prende, lo riformula in sintesi e lo riapplica, non è detto che funzioni. È passato per seccature, intoppi, entusiasmi, qualche litigio e qualche incongruenza. Qualcuno ha detto che sono stati commessi numerosi errori, ma io penso che si debba dare a ognuno non tanto la possibilità di sbagliare, quanto l’opportunità di correggersi. A questo proposito un libro totemico che vorrei regalare ai miei allievi è Staccando l’ombra da terra di Daniele Del Giudice.
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12 Anche se la verifica finale sarà fatta inevitabilmente dal pubblico, potresti darci il senso ultimo del posto delle cose? O meglio, ha un significato oggi continuare a percorrere il sentiero del teatro, della lirica, della scena? F.C.: Non ho una risposta ma solo domande. Mi sembra che oggi molte cose che si fanno diventino come la vecchia credenza finemente intarsiata, ereditata dalla casa della zia, avanzo di un blasone smembrato, meravigliosa ed ingombrante, spostata mille volte per attutirne l’impiccio nell’appartamento del condominio dimesso, dove la vita ha traslocato l’esistenza. La si spolvera, ma in segreto si alimenta l’inesorabile lavorio dei tarli. Non è una questione di sensibilità o di rispetto, ma di metri quadrati. Qual è lo spazio riconosciuto dell’esperienza? La tradizione è un’accozzaglia di cose? Il frac del vecchiume scucito punto per punto? Una biblioteca di risposte? Quanto costa spolverare questa biblioteca? A cosa serve? È miope, praticando una scelta, non avere il coraggio di accettare la realtà e tentare di sciogliere anche le contraddizioni che ne conseguono. Qual è il posto delle cose? La collocazione che ha una cosa è il presupposto all’esposizione, al significato.
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Demetrio e Polibio