Presentazione Studio Lillini In una foresta di_segni

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STUDIO LILLINI

1 1 2 3 5 8 13 21 34 55 89 144 233 377 610 987 1597 2584

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO - SCUOLA DI SCENOGRAFIA

IN UNA FORESTA DI SEGNI


“Chi mai, s’io grido, m’udrà dalle schiere celesti? E d’improvviso un angelo contro il suo cuore m’afferri, io svanirei di quel soffio più forte. Ché il bello è solo l’inizio del tremendo, che noi sopportiamo ancora ammirati perché sicuro disdegna di sgretolarci. Sono gli angeli tutti tremendi. Così mi rattengo e soffoco in gola il richiamo d’un oscuro singhiozzo. Chi mai ci aiuterà? Né gli angeli ahimè né gli umani e gli animali sagaci ormai sanno che non molto tranquilli noi stiamo di casa in una foresta di segni. [...]” “Elegie duinesi” di Rainer Maria Rilke, la prima elegia


Indice

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Fondamenta

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Struttura

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Edificio

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Cielo

2.1 Piano Urbanistico 2.2 Proposte quartieri 2.3 Moduli e rivestimenti

3.1 Quartieri 5-34 3.2 Quartiere 21

Biografia



FONDAMENTA

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1. Fondamenta L’idea che ci ha guidate all’interno del concetto di città è stata quella di indagare il flusso di pensieri che di volta in volta si inscrive all’interno della geografia degli spazi urbani.

Si presenta così allo spettatore un mondo mutevole che varia ad ogni passo e ad ogni angolo.

La traccia visiva del percorso è Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, film nel quale si viene a creare un dialogo tra opposti: tra angeli e umani, città ideale e città reale, il visibile e l’invisibile, passato e futuro; il tutto girato all’interno di una città emblema del mondo spaccato in due. La colonna sonora è composta dal brusio di voci e pensieri dei cittadini che gli angeli afferrano mentre sorvolano le abitazioni berlinesi.

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D’ispirazione è stato il concetto di psicogeografia coniato e indagato dal movimento artistico dell’Internazionale Situazionista. La psicogeografia porta a risvegliare tutti i sensi sopiti mentre si attraversa uno spazio, ponendo l’attenzione all’influenza che un determinato territorio produce sui comportamenti emotivi di ognuno di noi. Il metodo d’indagine è la “deriva”: una tecnica di passaggio veloce attraverso svariati ambienti che permette di non avere un rapporto passivo con i luoghi, ma di attivare le sensazioni che affiorano spontanee durante il percorso. La geografia diventa così un organismo vivente capace di influenzare sempre in maniera differente chi lo attraversa.

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“Se l’ambiente è uno spazio fisico, l’ambience è uno spazio costantemente avvertito a lato di ogni gesto quotidiano, che cambia sottilmente con il cambiare degli spazi costruiti che attraversiamo e con il cambiare delle persone che incontriamo. Le ambience hanno qualcosa dell’atmosfera, solo che a differenza dell’atmosfera sono più concrete e permanenti e a differenza della domus cornea non sono esclusive, non sono esperibili solo come un’intimità incomunicabile, ci può entrare chiunque, si prestano all’ospitalità, a un’esperienza condivisa. A generarle non sono

solo gli ambienti fisici, gli edifici ad esempio in uno spazio aperto o l’arredamento in uno spazio chiuso, non sono solo gli incontri casuali o meno o le persone che stiamo frequentando, ma anche il tipo di illuminazione, i tipi di suoni, dal chiacchiericcio di sottofondo alle urla di un ubriaco, il rumore del traffico delle autostrade come quelli dell’autobus o della metro, gli odori che circoscrivono uno spazio e anche se si è di giorno di notte, di mattina, di pomeriggio o di sera, se fa freddo o caldo, se è primavera o autunno.” “Manuale di psicogeografia”, Daniele Vazquez

Sopra: Guy Debord, The Naked City, 1957; Centro: Ivan Chtcheglov, Métagraphie, 1952; Sotto: Collettivo Stalker, Arcipelago Roma, 1995.

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Questo pensiero prende forma graficamente in mappe, che appaiono come collage in cui i ritagli delle cartine vengono decontestualizzati e connessi da vettori, i quali localizzano gli stati d’animo soggettivamente percepiti dall’artista. Nel libro “Walkscapes” di Francesco Careri ritroviamo una configurazione della città in un’alternanza di zone piene e vuote. La mappa si presenta come un arcipelago in cui camminare equivale a navigare tra gli spazi pieni dello “stare” che galleggiano nel “vuoto” dell’andare, nel quale i percorsi rimangono segnati fino a quando non vengono cancellati dalla corrente di altri viandanti. E’ così che abbiamo immaginato la nostra città: composta da quartieri che ricordassero metaforicamente delle isole, attorno alle quali i visitatori potessero soffermarsi. 10


O AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Sopra: Proposta pianta n.1

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Nell’opera “Legarsi alla montagna”, Maria Lai fa passare un filo azzurro in tutte le case del suo paese d’origine, Ulassai, per poi farlo convergere alla montagna che sovrasta la città. All’artista era stato commissionato un monumento ai caduti di guerra, ma preferì realizzare un gesto simbolico che risvegliasse la memoria dei vivi, invece che dei morti. Ne “Il Cielo sopra Berlino” la caduta del muro lascia un vuoto pieno di speranza e rinascita. Il rapporto con la memoria è un elemento cardine per cogliere l’effetto che una città può suscitare in noi. Esistono memorie soggettive e collettive, mutevoli e apparentemente inconsistenti, ma capaci di prendere forma nelle azioni di chi le anima e arrivare a stratificarsi nella storia dei luoghi.

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“Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo. I miei spazi sono fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà: niente somiglierà più a quel che era, i miei ricordi mi tradiranno, l’oblio s’infiltrerà nella mia memoria, guarderò senza riconoscerle alcune foto ingiallite dal bordo tutto strappato. [...] Come la sabbia scorre tra le dita, così fonde lo spazio. Il tempo lo porta via con sé e non me ne lascia che brandelli informi.” “Specie di Spazi”, Georges Perec


Sopra: Maria Lai, Legarsi alla montagna, Ulassai, 1981;

Sotto: Alberto Burri, Cretto di Gibellina vecchia, 1985.

Ne “Il Cretto” di Burri a Gibellina, le rovine della città vecchia completamente distrutta dal terremoto del 1968, sono chiuse dentro blocchi di cemento, come un calco compatto e solido delle vie precedenti ormai ridotte in macerie. L’ intento era di congelare la memoria storica del paese e consegnarla ai posteri, attraverso un gesto pieno di significati e tuonante di un silenzio eloquente. Le città sono piene di nomi, di storia, di suoni e di odori e sono sempre più caratterizzate da una funzionalità dell’abitare, dello spostarsi con i mezzi, del consumismo mercificante... Oltre a questo accumulo volevamo lasciar intravedere uno spazio ideale ed onirico, dove l’immaginazione può correre libera come davanti ad un cielo stellato.

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STRUTTURA

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2.1 Piano Urbanistico Lo sguardo dall’alto in cui veniamo proiettati nel film “Il cielo sopra Berlino” rimanda al desiderio di poter cogliere la città a distanza, nel suo insieme. Sin dalle raffigurazioni prospettiche delle città ideali, troviamo questa ambizione della visione d’insieme: gli edifici convergono in un unico punto di fuga e l’occhio umano può cogliere la perfezione e la simmetria senza il rischio di perdersi. Ciò avviene invece nelle città contemporanee piene di punti di attrazione in cui tergiversa lo sguardo. La città-panorama resta comunque un artificio ottico. L’alto è riservato agli angeli, coscienti che per poter entrare in contatto

con la realtà, devono affrontare una caduta verso il basso e perdersi nella foresta di segni di noi umani.


REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Fra le prime proposte per la disposizione dei praticabili nell’aula teatro, abbiamo presentato un percorso a circuito chiuso. Questo prevede una passerella sopra la quale lo spettatore abbia la possibilità di camminare e osservare dall’alto il formicaio che sotto di lui prende vita e si ricrea incessantemente.

Il percorso simula una cinta muraria di protezione e sorveglianza che, accerchiando la città, crea un sistema di contrasti tra interno e esterno, pieno e vuoto.

Sopra: Proposta pianta n.2; Pagina seguente: Proposta pianta n.3.

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IONE PER STUDENTI

Ispirate dagli studi sulle reminiscenze precedentemente citati, abbiamo elaborato l’idea di far dialogare quartieri e accumuli di pensieri suscitati dagli eventi impercettibili e inclassificabili degli ambienti cittadini. Disponendo i banchi in maniera progressivamente più disordinata, abbiamo proposto una pianta che potesse essere una metaforica fotografia REALIZZATO CON UN

della memoria, con una sfumatura dai ricordi più vicini e nitidi a quelli più lontani e confusi.

PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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2.2 Proposte quartieri Viviamo all’interno di città costruite dai nostri predecessori; luoghi solidi, statici, che contrastano con la fluidità della nostra società. Questo equilibrio precario ci fa oscillare tra la ricerca di stabilità e la preoccupazione per la incertezza del nostro futuro.

Sopra: Studio Città che affonda; Pagina seguente: Studio sui graffiti. 20


La necessità di lasciare un segno caratterizza tuttavia la nostra generazione. Una forma di intervento sulle facciate esterne delle città è la scrittura o il disegno sotto forma di graffito, tag e poster art. Il muro diventa il luogo su cui confessarsi, sfogarsi, esprimersi e

condividere con dei lettori sconosciuti un proprio pensiero. Questa pratica è da sempre soggetta ad ostilità, ma anche ammirazione, e quindi in continua evoluzione così come ciò che si trova in uno spazio pubblico, rendendo dinamica la realtà urbana. 21


Non potendo sempre costruire da zero nuovi spazi, ripieghiamo sull’ innalzare le nostre costruzioni e progettare altri edifici compatti. Le città intensificano le proprie strutture verticalmente, creando centri antichi caratterizzati dalla stratificazione storica e abitativa.

Sopra: Studio città in crescita; Pagina seguente sopra: Unitè d’habitation, Le Corbusier 1947/1952; Pagina seguente sotto: Studio città di finestre.

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L’architetto svizzero Le Corbusier, nel secondo dopoguerra, in un contesto di devastazione ed urgente necessità di ricostruire interi quartieri, propose un imponente progetto urbanistico. Questo prevedeva, nel caso dell’Unitè d’habitation a Marsiglia, l’ubicazione di 337 appartamenti distribuiti su 18 piani di altezza. L’idea proposta dallo studio, è quella di occupare l’intera area del praticabile con l’edificio; come una città lineare e ripetitiva che occupa tutto lo spazio libero a disposizione, finendo per chiudersi in se stessa come unico sistema abitativo. All’apparenza però la struttura di finestre è leggera, un muro non muro che unisce l’interno con l’esterno in uno scambio, talvolta inconsapevole tra vita privata e realtà collettiva.

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Il tema delle finestre è presente anche in un ulteriore progetto: la rielaborazione della facciata della Bauakademie di Berlino. L’intento era quello di rappresentare la vita mondana attraverso l’uso di giornali, che coprono in parte l’edificio e designano la sagoma dell’angelo Damiel: colui che nel film di Wenders abbandona la sua immortalità per diventare umano.

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La grande finestra presente sull’altro lato ci fa diventare dei voyeur, pronti a spiare le persone nella loro intimità, così come gli angeli nel film si interessano alle vite e ai pensieri degli umani. Il retro rimanda invece al muro di Berlino, come una barriera che invece di connettere le persone, le separa.


Pagina precedente: Studio intervento su Bauakademie; Sopra: Studio città fantasma.

In contrasto con le nuove strutture, i vecchi paesi vengono sempre più abbandonati, diventando quindi luoghi fantasma. L’anima della città sono le persone che vi abitano; quando queste se ne vanno essa perde la propria sostanza e quindi la propria solidità. Non resta altro che una facciata. 25


Gli edifici diventano come gusci vuoti, e i ricordi si depositano all’interno delle forme del passato, che ne custodiscono la memoria. Sopra: Studio calco di una città; Pagina seguente: Studio città in costruzione.

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Volendo di nuovo sottolineare il contrasto con la staticità dei centri storici, abbiamo progettato un’area costantemente in costruzione, divisa in due zone: lo scavo e le impalcature. In questa spaccatura tra pieno e vuoto troviamo un edificio incompiuto in sospensione, e dall’altra parte una voragine, simbolo di questo abbandono.

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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Durante lo studio dei quartieri è sorta la necessità di trovare un modo semplice e veloce per realizzare le strutture; un metodo pratico, ma allo stesso tempo gradevole alla vista. Siamo giunti quindi alla progettazione di un modulo e di possibili rivestimenti che non coprissero lo scheletro interno degli edifici, ma lo valorizzassero, approfondendo inoltre il concetto di città come traduzione fisica di pensieri.

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2.3 Moduli e rivestimenti


Pagina precedente: Proposte per moduli; Pagina corrente: Studi di possibili strutture.

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Sopra: Rivestimento con pellicola fotografica; Sotto: Rivestimento con foto istantanee.

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Sopra: Prova di scomposizione volti; Sotto: Prova scomposizione con interventi.

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Sopra: Rivestimento con acqua; Sotto: Risvestimento con pellicola.


Studio di possibili agganci per rivestimenti.



EDIFICIO

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3.1 Quartieri 5-34

Sopra: Bozzetto iniziale.

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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTO

TO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Il progetto per i quartieri n. 5 e n. 34 fonde due zone, crescendo ed espandendosi da un praticabile all’altro. La loro disposizione all’interno dello spazio è ideale perché avvolge lo spettatore con le imponenti strutture. Il primo quartiere include per metà una fossa all’interno del praticabile, dove sono accumulate delle aste metalliche, come quelle usate negli edifici.

Alcune delle stecche pendono dalla prima struttura, costruita proprio sul bordo del cratere e seguita da altre cinque, simili in aspetto ma di altezza crescente. Infine c’è anche un piccolo ponte, che unisce i due edifici sul ciglio dei loro rispettivi praticabili e, di conseguenza, lega i due quartieri. All’interno dei moduli delle strutture si trovano

delle fotografie istantanee appese ad un filo; queste ultime, mosse dall’aria prodotta dagli spostamenti dei visitatori, ruotano su loro stesse come in una danza.

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UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Pagina precedente: Render. Immagine inferiore: Prospetto; Immagine superiore: Pianta; REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VER

REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE P

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PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI


Pagina successiva: Bozzetto.

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3.2 Quartiere 21

Sopra: Bozzetto iniziale.

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Tre alti campanili sono pressurizzato e forato, posizionati su un lato del che lascia cadere gocce praticabile, e pendono ritmicamente. Nei moduli gradualmente verso quello sottostanti, sono collocati opposto, come se il tempo materiali differenti, che REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI si fosse fermato durante il colpiti dalle stesse gocce, momento del crollo. creano una sinfonia di Ogni edificio è formato suoni. da due strutture modulari Come il rintocco delle concentriche collegate da campane nel campanile, le sostegni. L’impalcatura gocce d’acqua che cadono centrale è più alta, e termina dalle cime delle strutture, con un tetto piramidale. segnano il passaggio del Alla base del tetto è fissato tempo creando una melodia un sacchetto pieno d’acqua, per gli spettatori.


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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI Pagina precedente: Disegno assonometrico. Immagine inferiore: Prospetto; REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK

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DOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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Immagine superiore: Pianta;


Pagina successiva: Bozzetto.

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CIELO

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4. Cielo Abbiamo seguito un percorso di analisi degli spazi attraverso segni grafici e a libere forme di espressione personali; per poi addentrarci nella “foresta di simboli”, nella Natura che secondo Baudelaire è un tempio, è la Madre, è la realtà delle cose. Possiamo pensare a questa foresta come l’insieme delle esistenze che popolano una città con le loro ramificazioni di pensieri, emozioni e sentimenti, che possono essere incerti, ma sempre vivi e familiari. Il nostro compito è fare i conti con essi, riportare a galla anche quelli più soppressi e imparare a conoscerli. I simboli e i segni fanno da tramite per questa conoscenza; tracciandoli possiamo evocare l’idea

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stessa della città, che è insita in ognuno di noi, varia a seconda dei nostri personali ricordi e delle associazioni mentali ricavate dalle singole esperienze di vita. Così si crea nella nostra mente una sorta di sinestesia per cui possiamo immaginare suoni, colori e odori della città. Diviene naturale quindi visualizzare nella propria mente immagini di bambini che giocano, del verde che orna di tanto in tanto gli spazi, dei percorsi che tracciano le persone con il loro camminare, dei profumi provenienti dai bar e i caffè, del brusio di mille voci che si coprono l’un l’altra. I cinque sensi sono chiamati a risvegliarsi per sperimentare e sentire appieno tutto ciò che la città rappresenta, e tutto ciò

che della città ci manca in questo particolare periodo: i luoghi, le persone, il contatto umano, la connessione che è l’essenza dei rapporti umani. Il nostro è un esperimento in cui è messa in gioco la nostra creatività attraverso il disegno e la rappresentazione di un pensiero, un’indagine nella mente umana, un modo per poter vivere interattivamente la città da noi creata e tutto ciò che contiene, nella speranza di poter presto tornare a vivere le città reali.


La Natura è un tempio dove incerte parole mormorano pilastri che sono vivi, una foresta di simboli che l’uomo attraversa nei raggi dei loro sguardi familiari. Come echi che a lungo e da lontano tendono a un’unità profonda e buia grande come le tenebre o la luce i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi. Profumi freschi come la pelle d’un bambino vellutati come l’oboe e verdi come i prati, altri d’una corrotta, trionfante ricchezza che tende a propagarsi senza fine- così l’ambra e il muschio, l’incenso e il benzoino a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi. “Corrispondenze “, Charles Baudelaire

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BIOGRAFIA


Lucia Lancellotti, nata a San Marino nel 1996, ha frequentato il liceo classico a Bologna e il corso di laurea triennale in Arti Visive allo IUAV di Venezia, con uno scambio Erasmus presso l’école nationale supérieure des beaux-arts di Lione. Dal 2020 è iscritta al corso di laurea magistrale all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Nel 2018 ha partecipato alla Biennale college teatro di Venezia con il duo RezzaMastrella e per tre anni ha fatto parte dello staff del festival internazionale Venice Open Stage. 54

Emma Gregori, nata a Rimini nel 1999. Ha compiuto gli studi presso il liceo artistico “A. Serpieri” nella stessa città, con specializzazione in scultura. Tra il 2016 e il 2017 ha frequentato l’anno scolastico all’estero presso Cy-Fair High School a Houston, Texas. Continuando gli studi artistici, dal 2018 è iscritta al corso di scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Nel 2020 ha collaborato come stagista allo spettacolo lirico “Rigoletto” al Teatro Galli di Rimini, seguendo l’attrezzista e l’aiuto regista.


Valentina Lillini, nata ad Ancona nel 2000, ha conseguito il diploma di maturità al Liceo Artistico E.Mannucci della medesima città, con specializzazione in Arti Visive; Durante questo corso di studi ha avuto modo di esporre alla mostra “Le donne e il dolore”, avvenuta nel 2017. Incuriosita dal mondo dello spettacolo, nel 2018 ha iniziato il ciclo di studi presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino, per conseguire la laurea di primo livello in Scenografia. Nel 2020 ha esposto alla mostra “Surprize” di Pesaro.

Francesca Della Martera, nata a Urbino nel 1998, consegue il diploma all’IPSAR “S. Marta” di Pesaro. Decide poi di seguire la sua passione per l’arte e il disegno iscrivendosi al corso triennale di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino. Nel 2017 ha ottenuto la certificazione di Inglese livello C1 (Advanced) di Cambridge English. Tra il 2015 e il 2016 ha seguito un corso di teatro presso la compagnia ”Teatro Accademia” di Pesaro.

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