questo istituzioni 18
interventi e inchieste
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Quali istituzioni di contro//o
3 Per la riforma della Corte dei conti di Sergio Ristuccia
12 Controllo e Amministrazione: con-
siderazioni sull'esperienza della Corte dei conti di Francesco Garri
Più volte è stato notato (anche sulle pagine di questa rivista) che nel sistema politico e istituzionale italiano s'è verificata, quindici anni fa circa, una rottura importante: dall'immunità di chi gestisce amministrativamente lo Stato si è passati ad una sorta di diffusa responsabilità penale di chi gestisce e amministra. probabile che questa responsabilità sia vera e fondata: che cioè il paese abbia una classe dirigente di ladri e corrotti in misura maggiore del pensabile e del tollerabile. Comunque, è importante anche aggiungere a questa altre constatazioni. Una prima è che l'attivazione della giustizia penale non ha portato a grandi risultati, anzi è da anni in atto una torbida fase di scandali senza conclusione. Una seconda è che la giustizia penale, quando anche fosse efficiente, non è da sola strumento adeguato a migliorare l'efficienza e la correttezza del funzionamento dello Stato. Una terza constatazione, ancora, è che i meccanismi di controllo non hanno funzionato. Non hanno funzionato quelli parlamentari perché, almeno fino a qualche tempo fa, la sinistra non ha mai molto creduto ad essi. Quanto ad altri controlli gli interessi politici del partito di governo e l'inadegua-
2 tezza istituzionale sono stati fattori sufficienti di inefficienza. Non vogliamo qui ampliare troppo il discorso. Ma certo è necessario richiamare la prospettiva del nostro intervento. È proprio in questa prospettiva che veniamo ad occuparci ora di quella istituzione di controllo, la Corte dei
conti, cui la Costituzione dà un particolare rilievo. Beninteso, ce ne occuperemo senza partire, astrattamente, da quel che vollero o non vollero i padri costituònti. Il' problema è di decidere cosa seriamente si può chiedere oggi alla Còrte.'
queste istituzioni,, gennaio-giugno 1978 Direttore: SERGIO RISTUCCIA - Còndireltori: GIOVANNI BECHIILLONI (responsabile) e MASSIMO BONANNL Redazione: ENNIO COLASANTI; MARINA GIGANTE (Redattore capo), MARCEUO R0MEI, FRANCESCO SIDOTI, VINCENZO SPAZIANTE.
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Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale di Roma al n. 14.847 (12 dicembre 1972). Spedizione in abbonamento postale - IV gruppo STAMPA: Arti Grafiche - Città di Castello.
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Per la riforma della Corte dei conti di Sergio Ristuccia Ho una tentazione nello scrivere oggi, agli inizi del '78, sulla funzione di controllò quale è esercitata dalla Corte dei conti. Ho la tentazione di ritornare a quanto scrivevo nel '71 a proposito di « un ruolo per la Corte dei conti'> per dire che le cose stanno oggi allo stesso punto: o meglio, per constatare che le cose, come accade in certi casi, sono peggiorate nel senso che non si è affermata alcuna linea innovativa nè attraverso la legge né attraverso la prassi. Il ruolo è dunque introvabile? Ci sono molte ragioni per rispondere che un ruolo proporzionato ai problemi attuali dello Stato amministrativo contemporaneo sembra davvero impossibile da trovare per un organo come la Corte. La ragione che viene accolta di più nell'opinione di chi si occupa di tali problemi è che più passa del tempo e più diviene difficile rompere la logica declinante di un'istituzione che è un residuo d'altri tempi. Ma questa, tutto sommato, è una ragione ancora superficiale e vale per molti altri istituti del nostro ordinamento. Cos'è residuo d'altri tempi: la funzione o il modello di attività e di organizzazione attraverso cui la funzione si esplica? A tenersi al dato anagrafico si rimarrebbe naturalmente, soltanto alle banalità. Perciò bisogna porsi tante altre domande. Per esempio: perché il modello dell'istituto sembra possedere un così modesto grado di adattabilità a quanto è cambiato al suo esterno? A queste domande vorrei dare qualche risposta, ma proprio riprendendo il filo del discorso cominciato parecchi anni fa. Vediamo cosa si poteva dire, agli inizi degli anni Settanta, sulla Corte dei conti. Innanzitutto era possibile cogliere la «varietà delle sue funzioni » e, in correlazione, la molteplicità delle immagini che il pubblico può avere della Corte, in alcuni momenti « misterioso corpo burocratico obsoleto », in altri buon «osservatore di cose e vicende dell'amministrazione pubblica, diretta e indiretta ». Bisogna però ricapitolare un po' le cose
perché si rischia sempre di dare per scontata una conoscenza delle singole istituzioni che invece non c'è, né per qualche ragione possiamo assumere come diffusa e precisa. Mi sono sforzato recentemente, per una « scheda'> televisiva, di spiegare con le parole del linguaggio comune le funzioni della Corte. Ripeto qui tale descrizione sommaria fondata anche sull'immagine della Corte presso il pubblico. Ricucendo gli spezzoni di queste informazioni comuni, la Corte appare sostanzialmente in questi tre aspetti: - uno, è l'organo che, controllando l'attività delle amministrazioni statali (i Ministeri e le Aziende autonome), deve esaminare alcuni atti di questa amministrazione per poi vistarli se ritenuti conformi alla legge. Per quanto riguarda gli enti pubblici (alcuni enti pubblici determinati con certe procedure di legge) la Corte esamina i bilanci. Nell'uno e nell'altro caso, racconta i risultati del proprio controllo, con apposite relazioni, al Parlamento; - due, è l'organo che può condannare dipendenti e amministratori pubblici a pagare somme allo Stato a risarcimento di danni ad esso arrecati nella propria attività. A mettere in moto questa attività è la Procura Generale che in questo settore svolge il suo principale ruolo; - tre, è l'organo cui i cittadini che siano stati dipendenti civili o militari dello Stato o che abbiano subìto menomazioni fisiche durante la guerra possono rivolgersi per ottenere il riconoscimento di un loro diritto a godere di una pensione a carico dello Stato (appunto, una pensione: civile, militare o di guerra) precedentemente negato, in tutto o in parte, dall'Amministrazione. Non credo mai molto alle semplificazioni, ma qui è utile tenere a mente i contenuti essenziali delle funzioni della Corte dei conti, che si usa definire di « controllo » e di « giurisdizione ». Delle funzioni giurisdizionali dicevo, nell'articolo del '71, che sono « strategiche per una politica di buon
4 governo », ma aggiungevo che « il discorso principale verte sui problemi del controllo ». In realtà, erano e sono problemi aperti e irrisolti che da tempo giustificano proposte di riforma. Ma segnalavo la necessità di « una corretta impostazione della metodologia della riforma ». A questo riguar do « bisogna innanzitutto tenere presente la sostanziale eterogeneità dei tipi di controllo in atto », eterogeneità esemplificata ma non esaurita dai due poli di tale controllo: quello preventivo sui singoli atti dell'amministrazione statale e quello successivo sulla gestione degli enti sovvenzionati dàllo Stato. « E un'eterogeneità commentavo - che qualche volta crea delle incomunicabilità all'interno della stessa Corte fra le diverse esperienze di lavoro ». Da ciò mi pareva giusto trarre la conseguenza che fosse « ancor più necessario di quanto normalmente non sia avere dei dati di conoscenza rigorosamente rilevati. Per esempio: qual'è stata l'evoluzione di fatto del controllo preventivo negli ultimi vent'anni? quali atti vi sono rimasti soggetti? qual è stato il peso degli interventi della Corte nei diversi settori dell'amministrazione? quanti casi di responsabilità sono emersi attraverso questo controllo? ». I quesiti, allora come oggi, potrebbero moltiplicarsi. Con questo fascicolo di Queste Istituzioni cerchiamo comunque di offrire alcuni elementi di risposta ad alcuni quesiti. Faccio notare che nel periodo che va dal 1971 ad oggi c'è stato, in realtà, un importante contributo alla conoscenza del controllo sugli enti ad opera di Donatello Serrani; ma anche sul lavoro di Serrani la discussione non è stata molto approfondita ed estesa. Si può perciò ripetere che, tutto sommato, intorno alla Corte si è continuato ad evitare ogni ricognizione puntuale e sistematica della prassi più ancora che dell'ordinamento. Ancora dall'articolo deI '71 riprenderi qualche passo. « Al centro di una definizione del ruolo istituzionale della Corte c'è il problema dei rapporti con il Parlamento. Bisogna ricordare che per alcuni anni la risonanza in gede parlamentare del lavoro svolto dalla Corte è stata assai modesta. Poi, nel 1967 il Senato compì la prima ge-
nerale rassegna delle relazioni sulla gestione degli enti con una discussione, nelle commissioni e in aula, di notevole interesse. I pessimisti diranno che i risultati di quell'esame sono stati praticamente nulli, ma qui conta semplicemente rilevare che da allora si è fermata l'esperienza di un'organica cooperazione Corte-Parlamento nel settore degli enti ». E così stanno le cose tuttora. « Nello stesso 1967 - aggiungevo - sono invece entrati in crisi i rapporti fra il Parlamento e la Corte per quanto concerne i limiti del suo sindacato sulla gestione finanziaria dello Stato in seguito all'ordinanza di remissione alla Corte costituzionale di alcune leggi per violazione dell'art. 81 Cost., adottata dalle sezioni riunite in sede di 'giudizio di parificazione'. Le reazioni negative levatesi dal Parlamento furono nell'occasione pressoché unanimi, temendosi un ribaltamento del ruolo della Corte da controllore per il Parlamento a controllore del Parlamento. L'episodio è molto interessante sotto il profilo politico e della storia istituzionale e meriterebbe di essere studiato soprattutto per quel che concerne le motivazioni delle diverse parti in giuoco ». Da oltre un anno a questa parte il tema è tornato a scottare dopo la sentenza n. 226 del 1976 della Corte costituzionale. Anzi, a scottare molto . di più che dieci anni fa dato che la Corte costituzionale ha aperto la porta ai rilievi di costituzionalità sollevati dalla Corte dei conti in sede di controllo. Il punto è delicato e ne parleremo più ampiamente nel seguito. Vorrei concludere questa premessa, scritta fin qui in chiave di heri dicebamus, ricordando un atteggiamento allora sottolineato - quello dei magistrati della Corte che hanno espresso opinioni riguardo alle funzioni del proprio istituto - e una aspettativa su cui allora avevamo molto insistito - quella che dai critici della Corte venisse un « importante contributo di proposte ». Sull'atteggiamento dei magistrati non c'è che riprendere integralmente sia la descrizione che la critica. Dicevo: « Nel tentativo, perseguito dai magistrati della Corte, di dare unificazione concettuale alle diverse funzioni dell'istituto, si è cercato di ricondurre nell'ambito della giurisdj-
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6,1 zione la funzione di controllo. Molte critiche sono state fatte al riguardo sul piano dottrinale, ma importanti sono gli obiettivi che con ciò si volevano raggiungere. Mi pare possano ridursi a tre. Uno: rafforzare il controllo sul piano delle sanzioni, aprendo fra l'altro la strada a quella sanzione principe che è data dalla possibilità di sollevare eccezioni di incostituzionalità (ne accennerò oltre). In cfuesto caso la magistratura della Corte ha ritenuto di dare risposta ad esigenze obiettive dello stato-comunità di fronte al declino dei controlli sulla finanza pubblica. Due: dare concretezza a quella che nel linguaggio giuridico si chiama la 'rilevanza costituzionale' dei compiti istituzionali della Corte, eliminando ogni residuo legame funzionale con i controlli interni dell'amministrazione. Tre: rivendicare la piena indipendenza dell'istituto dal Governo. Non si può dire che questi obiettivi siano stati pienamente raggiunti. Meno ancora è stato raggiunto l'obiettivo, perseguito a ragione da molti, di dare al controllo un più intenso carattere di collegialità a tutti i livelli. Vale in ogni caso aggiungere che non è stato chiaramente avvertito come il peso che la Corte è andata assumendo sul piano delle istituzioni sia derivato non tanto dall'attività più o meno propriamente giurisdizionale quanto dall'attività ad essa accessoria. Cioè: non dal 'giudizio di parificazione' in sé (giudizio cui spetta, secondo quanto ha testualmente affermato la Corte costituzionale, di dare certezza al consuntivo dello Stato col 'ragguagliare i dati del rendiconto, previamente verificati, al bilancio di previsio: ne'; compito cui in avvenire potrebbe attendere in larga misura un buon sistema elettronico), ma appunto dalla relazione contenente le osservazioni sulla gestione finanziaria dello Stato e sull'intera attività amministrativa. Relazione che finora ha anche supplito alla mancanza di quel rapporto sullo 'stato dell'amministrazione' che è stato più volte richiesto in Parlamento. È perciò da chiedersi quanto giovi insistere sul modello giurisdizionale (che è poi il particolare modello proprio dei giudizi della legittimità) e se questo sia connaturale ad una moderna funzione di controllo. Funzione almeno in parte da ri-
definire creativamente nel momento in cui,, con le regioni, lo Stato sta per trasformar si e da fondare su competenze professio-. nali economiche oltreché giuridiche. Quanto poi all'indipendenza dall'Esecutivo, che è ancora da rafforzare e garantire, vale sottolineare che l'esperienza giuridica di altri paesi ben conosce magistrature indipendenti da ogni altro organo dello Stata che pur non hanno il compito del classico jus dicere ». Sul tema dell'ideologia dei magistrati della Corte tornerò in seguito perché è un argomento pentrale. Quanto al contributo di proposte che si richiedeva ai critici della Corte dei conti esso, oggi come ieri, manca del tutto. Mo-. difiche o tentativi di modifiche, peraltro. episodici e parziali, del modello istituzio nale della Corte sono venuti dall'Esecu-. tivo e dagli uffici della riforma burocratica. Da parte delle forze politiche e culturali non è venuto nulla, almeno fino all'inizio del 1977. Nei mesi più recenti è emersa nelle elaborazioni programmatiche dei partiti un'attenzione, sia pure in termini assai vaghi, al problema della funzione dì controllo oggi nell'organizzazione statale. Nella Proposta di progetto a medio termine pubblicata dal PCI agli inizi di luglio 1977 si dice così: « per quel che riguarda la revisione delle norme vigenti in materia di contabilità e controlli, essa va ispirata al-. l'esigenza di attribuire agli uffici e ai funzionan pubblici la responsabilità della rea-lizzazione dei compiti loro affidati, e va. concretamente avviata superando la concezione e l'obbligo, per la Corte dei cont4 del controllo sul singolo provvedimento amministrativo ». Nella più recente bozza di Progetto per l'alternativa socialista, resa nota nel gen-. naio 1978, si afferma l'esigenza di « modificare radicalmente, in funzione delle sfe-. re di responsabilità gestionali che si intendono costruire, i controlli oggi principalmente affidati alla Corte dei conti. Devo_ no essere aboliti i controlli preventivi, da. sostituire con controlli gestionali ex posi, accompagnati da ampi poteri ispettivi ». Queste citazioni stanno ad indicare orientamenti di larga massima che paiono ragio-. nevoli e pertanto già da tempo abbastanza. diffusi fra le ragionevoli persone che si occupano di queste cose. Se è interessante il
latto che venga in rilievo e si citi l'organo di controllo in documenti così tipicamente portati alle grandi questioni generali, rimane il fatto che il lavoro di proposta è lutto da cominciare. A questo punto è forse necessaria una brevissima digressione. Quali sono le condi2ioni per realizzare una riforma di una .data istituzione che tocchi le cose in pro:fondità? Dovrebbe essere chiaro che non basta che una certa situazione appaia invecchiata o peggio risulti assolutamente disfunzionale perché il meccanismo della :riforma si metta in moto raccogliendo tutti i consensi necessari. Attese del genere vengono solitamente chiamate pretese illuministe. Quanto alle difficoltà di fare riforme reali, cioè tali da raggiungere gli obiettivi prefissi evitando che slittino verso risultati ben diversi da quelli previsti, è facile ricordare il peso degli interessi che si creano intorno ad una istituzione qualsiasi. È il discorso sulla « logica corporativa » che lega fra loro gli addetti :ai lavori ed è il discorso sugli interessi che si creano, al di fuori di un determinato apparato pubblico, in base alle modalità con'-crete di funzionamento dell'istituzione stessa. Con ciò non siamo ancora - però - al centro del problema. È chiaro che sarebbe illusorio prescindere dagli interessi, ialla loro capacità di organizzarsi e di resistere prendendo in mano le « riforme » •e piegandole ai propri fini. Ormai però, -dovremmo dare per scontato che si tratta, non fosse altro, di una necessità conoscitiva elementare e preliminare per chi voglia fare opera di riforma: si tratta di sapere con chi, veramente ed in concreto, -si ha a che fare. Una conoscenza importante dunque per la qualità stessa del disegno riformatore, soprattutto se la riforma viene intesa - come dev'essere intesa - non come un'operazione istantanea che si consuma nel momento in cui è emanata la- legge ma come una procedura di rifor'ma che dura nel tempo e che, per ciò stesso, può sempre imboccare strade sba-gliate. Gli interessi costituiti, anche quando non sono dei potenti interessi costi- tuiti, sono per definizione restii a cambiare le cose e a cambiarle troppo. Tuttavia sarebbe erroneo porre il problema 'della riforma nei termini conclusivi di -
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una lotta agli interessi costituiti. Alla fine si rischia di credere che basti una vittoria purchessia per riformare un'istituzione. Evidentemente una riforma vuole alle spalle, innanzitutto, una buona teoria sulla funzione sociale dell'istituzione da cambiare. Quanto comunque agli ostacoli, c'è un feriomeno fondamentale da considerare. La continuità di una istituzione, la consistenza della sua immagine e delle sue carat; teristiche dipendono in gran parte dai dati di fondazione: i quali tanto più sono importanti quanto più furono sanzionati con qualche tipo di « sacralità» storica- o normativa. Per tornare al caso della Corte dei conti, la riconduzione a Cavour, da una parte, la consacrazione in Costituzione, dall'altra, hanno costituito un pedigree che - se vofzliamo - è di pasta culturale da « piccolo mondo antico », per usare una espressione di Giuliano Amato simpaticamente corrosiva, ma che tuttavia bene o male ha fatto da barriera a ragionamenti di riforma in senso forte. D'altra parte è ben vero che il tema della- riforma tocca, in un modo o nell'altro, la Costituzione. Nasce di qui, da queste difficoltà, la modestia dei discorsi intorno alla Corte dei conti e la sostanziale indifferenza al problema? Può però accadere ed è accaduto che un euilibrio statico e sonnolento venga tut- tavia messo in questione e risulti toccato l'assetto di base in- cui l'istituzione si inserisce. Non sarà questo il momento giusto, l'occasione fortunata per ripensare le cose a fondo? Dico chiaramente: la sentenza n. 226 del '76 che potenzia, in via di principio, i poteri della Corte dei conti attraverso la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di controllo e tocca così l'assetto dei rapporti fra organi costituzionali - quali il Parlamento, l'Esecutivo e la Corte costituzionale - è, proprio in ragione delle dure reazioni del Parlamento, l'occasione buona. Un'occasione che per ora è stata male intesa e male raccolta: invece di riconsiderare a fondo il problema del ruolo della Corte dei conti ci si è limitati ad un giuoco di rimessa di corto respiro, scomodando per far ciò la stessa procedura della legislazione costituzionale.
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7 Poiché non considero di grande importanza i progetti di legge presentati in risposta alla sentenza della Corte costituzionale, non entrerò nel merito delle questioni specifiche fatte sorgere dalla sentenza medesima. Mi limiterò a raccogliere dal più recente dibattito sulla Corte dei conti alcuni spunti utili, per un verso o per l'altro, per il mio ragionamento. Uno spunto, di carattere metodologico e pregiudiziale, è l'opinione di Guido Landi sull'uso innovativo dell'interpretazione. Proprio a commento della sentenza n. 226 .della Corte costituzionale' egli spiega, sia pure in rapporto ad un solo caso esemplare com'è quello del « ricorso straordinario al Presidente della Repubblica », quali sono le possibili conseguenze dei principi individuati dalla stessa Corte a proposito dei cosiddetti « poteri neutrali ». A suo parere, si potrebbe perfino ipotizzare, nel caso del ricorso straordinario, che sia lo stesso Consiglio dei ministri a sollevare eccezioni di costituzionalità, quando questo venga chiamato ad arbitrare - cioè a giudicare in posizione di neutralità - il dissenso fra ministro competente e Consiglio di Stato. A Landi sembra contrario ad ogni residua certezza del diritto che si possa giungere a queste conclusioni senza precise innovazioni normative. In questo senso egli si dichiara contro le « energie pretorie» attraverso le quali la Corte costituzionale «continua a crescere con giovanile baldanza ». Lasciamo da parte la questione specifica, che qui non interessa, e la stessa tendenza espansiva del ruolo della Corte costituzionale, che è pure un fenomeno interessante per intendere la logica sottostante al nostro sistema istituzionale. 111 richiamo di Landi alla «certezza del diritto » mi pare comunque utile per la questione della Corte dei conti. Da una parte perché, bene o male, toccando la Corte dei conti si possono venire a toccare alcuni equilibri fra i poteri dello Stato; e dall'altra, perché l'innovazione per via d'interpretazione può sboccare in un groviglio di contraddizioni. Mi interessa
sottolineare qui il secondo aspetto. Si pensi a questo: la sovrapposizione in capo allo stesso istituto di molte e non omogenee funzioni mette a disposizione dei tanti operatori assegnati alle varie funzioni un bel numero di pedali d'accelerazione. Ora, se per iniziativa di questi addetti ai lavori, tutti i pedali venissero azionati insieme, ben presto verrebbero a prevalere le forze centrifughe. Per un'istituzione come la Corte è possibile sul piano funzionale un p0' più di tutto? Ho l'impressione che ogni singola funzione, potenziata e/o accelerata, esprimerebbe la propria logica intima e che questa alla fine risulterebbe in contraddizione con le altre. E allora: se non è pensabile affidare all'istituto stesso la scelta delle priorità fra le proprie funzioni, appare necessaria la riforma normativa. La innovazione per interpretazione può solo innescare processi a circolo vizioso e ridursi, alla fine, a mere dichiarazioni d'intenzione quali sono spesso le rivendicazioni di competenze e poteri. La bistrattata e certezza del diritto » è un principio meno conservatore di quel che sembra: può essere, più che non paia, un fattore di riforma. L'annaspamento delle istituzioni per cercare o riprendere un ruolo crea, infatti, solo polverone e pseudoproblemi. Con il risultato, nel nostro caso, che alcuni possibili strumenti istituzionali del controllo sociale sull'esercizio del potere si qualificano come velleità. Dunque: definire un ruolo scegliendo. La esigenza di scegliere afliora ogni tanto. Se si legge il parere delle Sezioni Riunite della Corte sui progetti di legge presentati dopo la sentenza n. 226/76 della Corte costituzionale 2, il punto assunto a riferimento per sostenere la giustezza della facoltà di sollèvare eccezioni di costituzionalità è l'art. 81 della Costituzione: solo la Corte dei conti potrebbe assicurarne il rispetto dato che i precetti di legge che lo violano, non essendo per lo più «lesivi di interessi diretti di singoli cittadini difficilmente potrebbero dar luogo a giudizi di costituzionalità ». Questo è vero, ma non è - tutto sommato - una buona ragione
G. LANDI, Questioni di legittimità costituzionale sollevata da autorità non giurisdizionali, in « Il Foro Amministrativo », 1977, I, 689. 1 SS. RiR., adunanza del 10 febbraio 1977, reI. O. Sapa, in « Il Foro Amministrativo », 1977, 1, 705.
per aprire, - da sola, il varco ad eccezioni che - in via di principio - non possono essere limitate alla salvaguardia dell'art. 81. Beninteso, il problema dell'art. 81 c'è, come dimostra la storia della inarrestabilità del disastro della finanza pubblica. E la sua soluzione potrebbe pur volere un ruolo della Corte dei conti. Ma, ancora: risolveremo il problema per via di innovazioni (fra l'altro, polivalenti) ottenute con il mezzo della interpretazione? È del tutto ragionevole pensare, ad esempio, che la legislazione di spesa, così come è sottratta - almeno per quanto riguarda la legge di bilancio - al referendum popolare, può essere trattata per quanto concerne il rispetto dell'art. 81 in modo più idoneo di quanto sia il sistema dell'eccezione classica di costituzionalità. Una riforma della - « legge di contabilità dello Stato» potrebbe già modificare profondamente -le cose. Diciamo, in ogni caso, che siamo qui su un versante che conduce anch'esso all'opportunità di un intervento legislativo di ampio respiro innovativo. Giuliano Amato, a proposito di orientamenti legislativi, ricorda « l'attenziohe crescente che il Parlamento dedica oggi alla riscoperta e all'ampliamento delle sue funzioni di controllo ». Ciò costituisce «il preannuncio della messa in cantiere di innovazioni che covano da lungo tempo ». Anch'io sono convinto che la tendenza prima o poi si concreterà: « da troppi anni c'è da noi una discrasia vistosa tra i fini assegnati all'azione pubblica e l'esistenza di un apparato di controllo che misura soltanto la. conformità -delle procedure alle regole di legge » 3. Ma le proposte parlamentari con cui si è reagito alla sentenza n. 226 non sono state affatto pronte, come ho già notato, a concretizzare questa tendenza. Si ha l'impressione di un forte ritardo di elaborazione. Azzardo qui un'ipotesi. Molto spesso s'usa fare riferimento alle esperienze di altri paesi le quali, come appunto ricorda Amato, « ci dicono che il controllo non legale, o non solo legale, implica uno stretto legame di ausiliarietà fra l'organo al quale è affidato e le assemblee parlamentari, che lo istituiscono proprio per avere affiG. AMATO,
dabili strumenti, utili al migliore esercizio delle loro attribuzioni ». Ora, però, il senso di queste esperienze viene colto un po'- alla grossa. La constatazione ripetuta è la solitudine, o quasi, del nostro controllo fondato sul riscontro di legalità. Credo che nelle esperienze straniere ci sia ancora dell'altro da osservare. Le assemblee parlamentari hanno già avvertito due diverse esigenze: quella del controllo della finanza pubblica per grandi aggregati e in termini macroeconomici, e quella del controllo dei singoli apparati o organi secondo una prospettiva di microanalisi e prevalentemente secondo metodi ispettivi. L'esempio ormai tipico di questo orientamento è quello americano. La recente riforma del 1974 (Congressional Budget and Impoundment Control Act) ha rafforzato, da una parte, i compiti del Generai Accouting 0ff ice in posizione di ausiliarietà verso il Congresso: l'orientamento è stato quello di migliorare l'attività di valutazione di singoli programmi delle agenzie federali di sviluppare l'attività ispettiva al finQ di preparare rapporti richiesti dai diversi Committees del Congresso .- in relazione a determinati progetti di legge che concernono settori specifici dì attività federale. La stessa riforma ha, dall'altra parte, costituito il Congressional Budget 0ff ice con compiti di consulenza finanziaria ed economica al fine di elaborare e valutare le possibili alternative di politica di bilancio è tout court di politica economica. Ma allo stesso C.B.O. non mancano funzioni che potremmo definire di controllo in riferimento ad esempio -i agli andamenti di bilancio risultanti dai consuntivi. i La difficoltà di dirigere e controllare la finanza pubblica spinge dunque a migliorare la rete degli osservatori istituzionali che si pongono tra i poteri dell'Esecutivo e del Parlamento. Di fronte a queste esperienze di articolazione e differenziazione di compiti e di organismi di controllo è veramente singolare che con molta approssimazione alcuni continuino a ragionare nei termini di funzioni acchiappatutto, un p0' ingenue e velleitarie. Ricordavo, già nel '71, il
Il Parlamento e le sue corti, in « Giurisprudenza Costituzionale », 1976, 1985.
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tentativo di unificazione concettuale perseguito dai magistrati della Corte dei conti: controllo e giurisdizione come un tutt'uno. Le ragioni culturali di questo tentativo sono facili a trovare in una certa tradizionale formazione del giurista che ha privilegiato, soprattutto nel passato, la ricostruzione sistematica di tipo dogmatico. Comunque, proprio in ragione di queste tradizionali inclinazioni a concettualizzazioni astratte, non è mai stato valutato un aspetto fondamentale: il problema dell'organizzazione di una funzione istituzionale. Qual'è la razionalità delle operazioni richieste da una data funzione, quale formazione richiedono, quali forme di comunicazione e. di coordinamento suppongono, in breve qual'è la professionalità che una data funzione determina o impone. A questioni di questo tipo si tende sempre a sfuggire. Ora, in riferimento a questo modo di considerare ima funzione istituzionale credo che si possa fare un'ipotesi sulla storia recente della Corte dei conti. Nel primo periodo della presidenza di Ferdinando Carbone, diciamo grosso modo fino alla prima metà degli anni Sessanta, l'idea di coniugare più strettamente controllo e giurisdizione aveva dalla propria parte non solo una tradizione culturale ma, più ancora, la concretezza delle operazioni della quotidiana attività professionale. Cos'è il controllo di legittimità se non un insieme di operazioni di raffronto o di riscontro che vertono su oggetti molto specifici e formalizzati, quali sono gli atti amministrativi di spesa o, quando richiesto, d'altro tipo? Raffronto e riscontro fatto sulla base degli elementi normativi fissati dalla legge. E cos'è, dall'altra parte, la giurisdizione se non un insieme di operazioni di giudizio su casi specifici sulla base di criteri fissati dalla legge? Con variazioni di più e di meno quanto a specificità delle operazioni, con differenza di vario tipo quanto alle modalità procedurali e alle strutture degli organi interni, ci si trova davanti ad una omogeneità di base dell'operare concreto, diciamo del tipo di professionalità. E, in questa situazione, può essere stato ragionevole tentare di sottolineare le omogeneità delle due funzioni, attribuendo al controllo un carattere di
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giurisdizionalità. Oltre a valorizzare il controllo sul piano di quelle valutazioni di status per le quali il « magistrato » è una figura sociale di prestigio, la tendenza poteva anche avere senso sul piano della professionalità: mantenendo ferma la caratteristica del controllo come riscontro di legalità, sottolinearne la giurisdizionalità poteva anche significare - in pratica tendere al miglioramento delle tecniche professionali proprie del valutare in base a legge. Questo disegno è entrato in crisi proprio nel momento del maggior apparente potenziamento del ruolo della Corte dei conti a metà degli anni Sessanta: quando cioè è divenuto effettivo il compito di « riferire)> al Parlamento. Questo compito si è realizzato per due diversi fatti. Da una parte si ebbe l'eliminazione dei ritardi di anni con cui venivano presentati, da parte del Tesoro, i rendiconti dello Stato: ciò dette tutt'altra caratteristica alla relazione annuale che la Corte è tenuta a inviare al Parlamento dopo la cosiddetta « parificazione» dello stesso rendiconto. Un compito da sempre attribuito alla Corte ma che aveva il valore di un adempimento minore o accessorio e perciò ridotto per lo più all'elencazione del lavoro svolto dalla stessa Corte, veniva rilanciato - dalla tempestività del rendiconto - come compito sostanzialmente nuovo. Contemporaneamente diveniva effettivo il controllo sugli enti sovvenzionati dallo Stato, controllo che era stato regolato dalla legge n. 259 del 1958. Un controllo nuovo, dalla nascita contrastata, che vedeva nella relaziòne al Parlamento sulla gestione del singolo ente il suo momento conclusivo e più importante. Le operazioni relative al compito di controllo c.d. «feferente » sono operazioni nuove in confronto a quelle fino a quel momento realizzate dalla Corte: tali, perciò, da creare una diversa professionalità. Perché? La ragione è semplice: il modo di osservare le cose per fenomeni complessivi, quali sostanzialmente richiede una relazione annuale, non è esattamente la somma di tante micro-osservazioni su fatti e atti specifici e puntuali. O meglio: è certamente possibile fare un consuntivo di tali operazioni di micro-analisi e trarne
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lo osservazioni più generali dando, allo stes- formale del termine. Mentre invece la so tempo, il resoconto delle attività svol- questione sostanziale si poneva ormai in te. Ma nulla di più. Ed infatti c'.è stata termini soprattutto di professionalità. sempre una tendenza, all'interno della Il fatto traumatico - se così si può dire Corte, a mantenere la relazione annuale - è che questa professionalità non nascesul rendiconto dello Stato strettamente va né poteva ,nascere dalla precedente, ma ancorata ai dati che risultano -alla Corte da essa profondamente si differenziava. nello svolgimento della sua attività ordi- La prospettiva della riduzione ad unità naria. Forzare questi limiti è stato spesso delle varie funzioni della Corte comincial'obiettivo perseguito da tendenze innova- va a rivelarsi inconsistente. Nelle cose tive interne alla Corte. Le quali tuttavia si prendeva corpo la prospettiva della difsono sempre trovate in qualche modo sco- ferenziazione. L'aver tardato a prendere perte sul piano della formazione di un atto di tutto ciò ha creato - dopo una prodotto intellettuale nuovo: ogni- e qual- breve stagione di risveglio della Corte (Sersiasi valutazione in termini di economicità, rani parlò, con una formula di successo, di efficienza o simili vuole in realtà una di «risveglio del dinosauro ») - una prorilevazione di dati ad hoc, un'elaborazio- fonda crisi d'identità. Una crisi, beninne che si fondi su competenze disciplinari teso, dovuta anche a tutto quello che avad hoc e così via. È tutta da dimostrare veniva intorno: la nascita delle Regioni, la l'ipotesi che gli uffici della Corte dei conti sindacalizzazione del pubblico impiego, la così come sono oggi organizzati possano ingovernabilità progressiva della finanza costituire osservatori utili per funzioni di pubblica. Fenomeni di grande destabilizvalutazione globale dell'azione ammini- zazione del sistema amministrativo che strativa o dell'andamento della finanza facevano venire meno alcune tradizionali pubblica. Anche quando - voglio dire - coordinate della Corte dei conti. In quequalcuno, a lato delle funzioni ordinarie, sto contesto la richiesta di funzioni acsi adoperi con buona volontà a raccogliere chiappatutto assumeva il valore non di ragionamenti ulteriori e diversi. In queste pretesa egemonica ma quella di una pura condizioni, all'occasione felice non può azione difensiva di salvataggio. Tipico di non accompagnarsi la ripetitività di con- quest'ultima tendenza è il rilancio più recente della filosofia dell'unificazione dei siderazioni molto generali e generiche. La relazione annuale sul Rendiconto ge- compiti istituzionali della Corte all'insenerale è stata dunque, nel corso degli an- gna della giurisdizione di responsabilità ni Sessanta l'elemento di innovazione del come funzione primaria. Riducendosi la controllo sullo Stato. Ma è stata anche - area del controllo preventivo per via di ben presto - il fattore che, dall'interno, norme parziali intervenute in quest'ulha messo in questione lo stesso - controllo timo periodo, rimanendo il controllo sutradizionale in quanto ha suscitato aspet- gli enti - come poi si vedrà -. un contative cui il modello organizzativo della trollo perplesso e sostanzialmente dcclinante, si è di recente proposta una magCorte non poteva in realtà rispondere. giore •attivazione della giurisdizione di È abbastanza naturale, tutto sommato, che per cercare di rafforzare l'innovazio- responsabilità e una sua reinterpretazione l'istituto - secondo la logica conso- ne nel senso di uno strumento di difesa lidata del proprio comportamento - aves- e salvaguardia degli interessi collettivi. se cercato garanzie di potere puntando ap- In questa auspicata rivitalizzazione la Propunto sulla giurisdizionalità di quel « giu- cura Generale viene ad essere rappresentata come un Ombudsma•n che agisce cx ofdizio di parificazione» attraverso il quaficio senza richieste e sollecitazioni dei citle, nel luglio di ogni anno, la Corte accertadini. Non conta considerare l'ideologia ta se il consuntivo che l'Esecutivo sta per presentare in Parlamento stia, diciamo paternalistica (talvolta da stato pre-capicosì, nel preventivo e nelle sue variazioni. talista) con cui qualche magistrato della Ma questa è una risposta nei termini clas- Corte probabilmente esprimendo solo le sici della rivendicazione di potere, que- proprie personali preferenze - ha const'ultimo inteso nel senso più astratto e dito questa linea. Si possono dire, per
11 essere chiari, due cose. Che ci sono moltissime buone ragioni per augurarsi un attivismo maggiore della Procura e quindi della giurisdizione di responsabilità: basta considerare in quale stato di completo assopimento si trovava questo settore fino a poco tempo fa. E che non vanno valutati negativamente quegli interventi giurisprudenziaai che, nell'am r bito proprio di procedure di giudizio, hanno allargato quel concetto di «danno erariale » che altrimenti rimarrebbe una mera curiosità da «piccolo mondo antico ». (A questo proposito aggiungo che sarebbe molto opportuno che - a verificare la correttezza di questa giurisprudenza - i più apprezzati cultori di diritto scrivessero qualche rigorosa nota a sentenza oltre che brillanti columns giornalistiche.) Invece non ha alcun senso, in termini generali, riprendere - partendo da queste motivazioni - l'idea di una unità delle funzioni teorizzando una sorta di primogenitura della giurisdizione e una sorta di ancillarità del controllo. Bisogna avere il coraggio intellettuale di rompere la pretesa di « far sistema)> e di accogliere il suggerimento che viene dalle cose: di controllo bisogna parlare al plurale e fra controllo e giurisdizione ci sono sempre maggiori differenze, sul piano dell'organizzazione e della professionalità. Sempreché non si itenda tenersi, quietamente, alla conservazione di quel che resta. A questo punto torno al quesito che mi sono posto più volte in queste note: spetta alla Corte dei conti prendere consapevolezza di ciò? o spetta al potere legislativo?
Credo che la mia opinione risulti chiara: spetta al potere legislativo. Troppi sono i nodi di struttura, di organizzazione, di procedura che occorre sciogliere se si vuole, accanto al controllo sociale e politico, un controllo istituzionale che operi con continuità come uno degli elementi di efficienza e correttezza dello stato amministrativo. Basta fare cenno ad un solo problema: la formazione del personale addetto a funzioni nuove come il controllo sulla gestione degli enti pubblici o la relazione sul rendiconto generale dello Stato. Non è pensabile, a mio giudizio, un'assegnazione a tali funzioni senza l'onere di partecipare ad un lavoro di formazione ad hoc dei magistrati e funzionari addetti: periodi di formazione da impiegare in una revisione critica del lavoro svolto e in un apprendimento di discipline finanziarie ed economiche capaci di arricchire lo strumentario concettuale e professionale della Corte. È probabile che ciò ponga questioni quanto all'ordinamento della «magistratura contabile» e tocchi criteri e prassi di carriera. Qualcuno potrà anche dire che in tal modo si potrebbe realizzare la base di una corte nella corte e così via. Può darsi. Ma è sensato rimettere problemi ditale decisività per l'efficacia del controllo all'autodidattismo di buona volontà di quanti lavorano alla Corte? O, per non toccare problemi di ordinamentò ed organizzazione, si accetta sostanzialmente il• fallimento e l'autodistruzione di alcune funzioni di controllo che possono essere «serventi.» nei confronti dello sviluppo stesso del sistema democratico?
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Con tro/lo e Amministrazione: considerazioni sull'esperienza della Corte dei conti di Francesco Garri È dai lavori dell'Assemblea Costituente che sembra essere principale questione stabilire se sia funzionale un controllo di legittimità, rivolto cioè a osservare e garantire il rispetto della legge e dunque - inevitabilmente - dei suoi aspetti più specifici e formali. E se questo controllo debba essere o meno, e in che limiti, un controllo preventivo. In verità, se si legge la documentazione anche anteriore - ad esempio quella della riforma del 1923 - si potrà notare che la stessa questione veniva posta nei medesimi termini, anche se meno moderni. Nel tentativo di indicare a che punto la consapevolezza di questi problemi sia giunta, non si possono trascurare i fatti della realtà amministrativa, nei limiti spesso angusti in cui questi sono rilevabili, per evitare di offrire solo tesi contrapposte e, d'altro canto, ben note. Anzi vorremmo dar la prevalenza a questi fatti anziché alle opinioni. Comunque qualche parola sarà necessaria a proposito di opinioni. Per esempio, bisogna ricordare come alla tesi che ritiene il controllo di legittimità un residuo storico costoso, si contrappone l'opposta opinione, nonché una varietà di intermedie impostazioni che sarebbe lungo e forse superfluo illustrare. Piuttosto occorre ricordare che si è anche cominciato a parlare di controllo di gestione, ma ima analisi delle regole e delle misure cli questo controllo, rispettivamente da seguire e da applicare da un organo come la Corte dei conti, non ci sembra che sia stata nemmeno tentata, per cui molto spesso il richiamo a questo tipo di controllo sembra costituire un alibi per 1'<c uomo in bilico» che non ha ancora preso la decisione di arrendersi. Inoltre, prescindendo dalle opinioni dei vari Autori che si sono occupati di questi problemi, nella realtà, non ci sono per ora alternative al controllo di legittimità
che abbiano la concretezza di proposte elaborate o di prassi innovative effettivamente tentate. Per lo più quando si è parlato o si sono attuate forme di controllo che possono apparire o sono ipotizzate come diverse dal tradizionale riscontro di legittimità, ciò è avvenuto timidamente, con rimpianti e spesso-più nelle enunciazioni che nella realtà. Così è da dire per i tentativi compiuti dalla Corte nel riferire annualmente al Parlamento « sui risultati del riscontro eseguito>' (art. 100 Cost.). Abbandonata la anacronistica tradizione di dar conto dell'attività svolta ed in particolare delle osservazioni mosse alle amministrazioni e dell'ottemperanza che queste avevano dato ai suoi rilievi, l'organo di controllo ha cominciato a considerare che oggetto della sua annuale relazione dovesse essere il modo con il quale le pubbliche amministrazioni, nell'applica zione delle leggi, si fossero conforrnate alle discipline di ordine amministrativo e finanziario. Ciò con l'espresso intento di fornire al Parlamento elementi per l'esercizio del ,suo sindacato politico - ipotetico o reale, questo è un altro discorso sull'attività del Governo e della pubblica amministrazione. La sentenza della Corte costituzionale 18 novembre 1976 n. 226, sulla legittimazione della Corte dei conti in Sezione di controllo a sollevare questioni di legittimità costituzionale, ha dato luogo da parte della sinistra a iniziative legislative parlamentari (disegno di legge costituzionale Sen. Branca e altri, VII legislatura, Senato atto n. 350; proposta di legge On. Labriola e altri, VII legislatura, Camera dei Deputati atto n. 855), tutte miranti a correggere i guasti della sentenza. Eppure in altri momenti la legittimazione della Corte a sollevare questioni di legittimità costituzionale non parve un guaio: al contrario, può ricordarsi che nel 1961, in occasione dell'esame di un disegno di leg-
13 ge relativo alla Corte dei conti fu proposto un emendamento secondo cui « sulle questioni di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, sollevate dall'Amministrazione o richieste d'ufficio dal Consigliere ovvero dalla Sezione di controllo, si pronunzia la Sezione stessa ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. i e delle relative disposizioni di attuazione » (emendamento art. 6 bis Caprara e altri, Camera dei Deputati, Dis. legge n. 1748, seduta 6 luglio 1961). Con una coincidenza, non si riesce a individuare se consapevole, il Governo nella seduta del Consiglio dei Ministri del 23 dicembre del 1976 ha approvato un disegno di legge recante disposizioni per la semplificazione dei controlli e del procedimento per le pensioni civili, militari e d guerra presso la Corte dei conti. TÈ opportuno - dunque - fare il punto sulla funzione di controllo sull'Amministrazione esercitata dalla Corte. Sulla problematica del controllo si ripetono stancamente da anni una serie di proposizioni che hanno acquistato, con il reiterarsi in tante sedi e occasioni, quanto meno per gli addetti ai lavori o gli studiosi, un valore più di rassegnata constatazione che di vivace dialettica, sì da destare la sensazione che si tratti ormai di problemi per i quali non si intravedono razionali soluzioni e si impone una via di uscita, qualunque essa sia, perché null'altro è da attendersi da ulteriori approfondimenti. Che questa pessimistica constatazione sia giustificata o meno potrà risultare dalla esposizione che segue. Il contenuto di questa periodica relazione al Parlamento è stato visto nel «comportamento » della pubblica amministrazione. Questo termine è stato adoperato dall'organo di controllo perché con esso meglio si connotava l'attività amministrativa «che non è passiva esecuzione del diritto positivo », dato che quest'ultimo lascia « in via generale, agli organi del Governo e della pubblica amministrazione, la scelta del modo migliore di soddisfare gli interessi collettivi ». Comportamento, quindi, che veniva rilevato non tanto e non più dai singoli atti
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quanto da serie di atti, poiché (relazione esercizio 1969, Camera dei Deputati, V legislatura Doc. XIV n. 5, 32) « tutta una serie di atti, ancorché legittimi, può risolversi, infatti, in un comportamento che va sottoposto ad una ulteriore valutazione d'insieme ». I criteri di giudizio di questo comportamento sono stati ritenuti desumibili non solo dalle norme codificate in leggi o regolamenti, ma anche dalle regole generali attinenti alla buona ed ordinata amministrazione: « regole ugualmente vincolanti, in quanto ad essè deve informarsi nell'ambito della legge l'azione amministrativa, affinché sia conforme alle direttrici di imparzialità e buon andamento contenute nell'art. 97 della Costituzione ». Questo indirizzo si è venuto specificando con approfondimenti successivi nei quali è anche apparso evidente come sovente, più che riferire valutazioni e giudizi, l'organo di controllo tendesse ad esporre soltanto « in una visione globale tutti gli elementi caratteristici della gestione finanziaria e della attività dell'amministrazione» (relazione esercizio 1966, Senato IV legislatura Doc. n. 135, 37). Ma è sulla determinazione dei criteri valutativi che pur nell'apparente sicurezza delle affermazioni l'approfondimento non appare completo. Vi è, in primo luogo, l'excusatio che non si intendono rivedere le scelte politiche. Troviamo, infatti affermato che le osser vazioni cc tenendo conto dei concreti indirizzi dell'attività di Governo, come dal collocarsi delle singole norme nel contesto dell'intero ordinamento e del loro vivere nella pratica applicazione postulano necessariamente il riferimento a criteri valutativi i quali trascendono quelli del controllo di legittimità già esercitato sui singoli atti, rimanendo del tutto autonomi e distinti, così dagli stessi, come, è naturale, da quelli che presiedono alle scelte politiche ». Un parametro per la valutazione dei risultati di gestione sembrava si potesse rinvenire (relazione esercizio 1968, Senato V legislatura Doc. XIV n. 3, 33) nelle cc direttive del programma economico nazionale 1966-1970 », pur nei limiti in cui la struttura ditale documento è in gra-
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14 do di offrire riferimenti abbastanza concreti in ordine « all'attuazione del bilancio e all'attività della pubblica amministrazione ». Come espressamente è stato precisato le valutazioni d'insieme si concretano in un giudizio che rimane, peraltro, di cònformità all'ordinamento (relazione esercizio 1969, Camera dei Deputati, V legislatura Doc. XIV n. 5, 32), pur investendo l'a. zione amministrativa nei suoi profili di efficienza e regolarità rispetto agli obiettivi stabiliti nell'ordinamento stesSo; in altri termini (relazione esercizio 1971, Ca. mera dei Deputati, VI legislatura Doc. XI n. 1, 31), si tratterebbe della verifica non soltanto della osservanza puntuale di singole disposizioni, ma del «grado di aderenza dell'azione amministrativa nel suo complesso, alla finalità delle norme ». E si è anche parlato di verifica della regolarità dell'azione amministrativa, gbbalmente considerata, avvertendo che « le regole dell'agire amministrativo non sono sempre oggetto di puntuale enunciazione in specifiche disposizioni di legge dovendo l'interprete a volte desumerle dall'intero contesto normativo o addirittura estrane dal sistema dei principi costituzionali » (relazione esercizio 1972, Senato, VI legislatura, Doc. XIV n. 2, 33). Viene da chiedersi cosa stiano a significare tutte queste indicazioni stratificate quanto generiche. Ci sembra che si siano soltanto enunciati propositi di rinvenire parametri di valutazione dell'azione amministrativa che non fossero solo quelli della consueta interpretazione delle norme ai fini della loro applicazione nei casi concreti, avendo prevalentemente l'occhio ai procedimenti relativi. Del restò questi giudizi dell'organo di controllo non risultano seguire, né ad iniziativa dello stesso organo di controllo né ad iniziativa degli organi costituzionali interessati (Governo e Parlamento), «misure » e modalità nuove del controllo. REAZIONI DEL GOVERNO E DELL'AMMINISTRA-
ZIONE La Corte ha constatato (relazione esercizio 1967, Camera dei Deputati, V legisla-
tura, Doc. XIV n. 1, 35; relaziòne esercizio 1969, cit.) che la segnalazione dei concreti comportamenti della pubblica amministrazione « mentre investe già direttamente il Governo dell'esigenza di intervenire per l'eliminazione di aspetti ed indirizzi non del tutto aderenti all'ordinamento giuridico o non confacenti al buon andamento dei servizi, sollecitapure la valutazione da parte dello stesso Parlamento, delle questioni proposte al fine di trarne materia per l'esercizio del proprio sindacato sull'esecutivo ». Ma il Governo è rimasto sordo. Sicché è risultata anche vanificata (rendiconto esercizio 1973, Camera dei Deputati, VI-legislatura Doc. XIV n. 3) l'iniziativa della Corte di richiedere ai Ministri ogni possibile chiarimento per quanto di competenza in ordine alle osservazioni dell'anno precedente. • « Alla richiesta, peraltro, ben pochi sono stati - constatava lo stesso organo di controllo - i Ministri che hanno cor risposto, talché le Sezioni riunite della Corte nel formulare le proprie osservazioni non hanno potuto tener conto di elementi e punti di vista comunicati dalle Amministrazioni per una loro adeguata ponderazione ». Si è anzi verificato un momento di rivalsa. dell'apparato amministrativo ed in particolare della Ragioneria Generale dello' Stato-che ha cominciato a diffondere, prima in modo informale e poi con documento a stampa, le proprie risposte ai rilievi della Corte, così appagata di acquistare, nei fatti, un diritto all'ultima «parola », senza coscienza dell'osservazione che ci sembra serenamente esatta (v. relazione e boco cit.) che «al Parlamento' - che il Costituente vuole assistito nel suo sindacato politico sulla gestione dall'intervento imparziale dell'organo di controllo - non possono soccorrere chiari-. menti forniti direttamente.., sugli svariati rilievi della Corte ». Il Parlamento, se si prescinde da apprezzamenti ed anche da una utilizzazione dia* lettica in sede di discussione delle censure mosse dalla Corte, non ha dal canto' suo trovato un loro razionale collegamento' e una funzionale utilizzazione nello svolgimento della sua attività. Ma di ciò più ampiamente dovremo. occuparci in segui-
15 to, trattando dello stato dei rapporti tra Corte e Parlamento. Appare comunque significativo che nelle più recenti relazioni la Corte abbia abbandonato gli auspici perché ai propri giudizi siano collegate misure e insista piuttosto sulla esigenza di una riforma del controllo, come strumento che possa dare anche una formalizzazione a questi tentativi di valutazioni globali dell'azione amministrativa.
e inefficienza e poi richiedere chiarimenti (art. 16 T.U. cit.) sulle determinazioni adottate a seguito delle osservazioni della Corte. Non vi è dubbio che al giudizio della Corte non può assegnarsi l'effetto di eliminare la irregolarità rilevata, ma non provvedendo o mal provvedendo l'auto.rità amministrativa si esporrebbe a rischi tra i quali non ultima, la valutazione in sede di responsabilità. Queste difficoltà, seppure non • evidenziate, giustificano una proposta, contenuta: in un documento pubblicato tempo addietro su Controllo e giurisdizione (noVERSO IL CONTROLLO DI GESTIONE? vembre-dicembre 1976) che proviene da una iniziativa della segreteria unitaria dei In ogni caso, quel che più conta rilevare sindacati della Corte dei conti e 'quindi è questo: nei termini in cui oggi si pre- da una sede nella quale una prosecuzione sentano e limitate come sono, queste va- del discorso appare possibile. lutazioni della Corte non assumono e In questo documento si parla di controlnon sembra possano assumere i caratteri lo-conoscenza (o controllo informazione), di un controllo di gestione. da affidare alla Corte: controllo di caratBisogna ricordare (Giannini M. S., Contere generale e sintetico, «preordinato a trollo, nozione e problemi, '« Riv. trim. dir. fini di coordinamento della finanza pubpubbi. », 1974, 1263, in particolare 1282) blica e che dovrebbe assolvere il compitoche questo controllo <cannovera una notedi rendere chiara e leggibile l'attività dei vole quantità di regole di verificazione pubblici poteri nelle sue connessioni gedella regolarità di funzioni, per cui esso nerali e nei suoi risultati complessivi ». tende ad essere, sotto questo aspetto, in- Questo controllo-conoscenza viene infatti formale... In secondo luogo è un controlipotizzato come attività meramente strulo tipicamente procedimentale poiché mentale, tant'è che, mentre si precisanc» comporta per sua natura ùna metodologia gli strumenti e i procedimenti attraverso aperta, in contraddittorio e libera da for- i quali lo stesso possa attuarsi, non venma e con possibilità di apertura ad istangono previste misure nel caso di risultaze superiori. In terzo luogo, la misura va to negativo di questo controllo. dalla forma commendatoria sino a quella I poteri di iniziativa in tema di controllo conoscenza sono ritenuti propri, in primo' ordinatoria a. contenuto conformatiluogo, della Corte, ma si propone che spevo... )ra, come si è visto, un contenuto proce- ciali accertamenti possano essere richiesti dalle organizzazioni sindacali o, da un dimentale non si è riusciti ad inventare certo numero di cittadini e che indagini per l'attività della Corte prima esposta, né uno strumento di sanzione o di pressio- conoscitive possano essere commissionate ie sono stati rinvenuti per la fuga delle all'organo di controllo dal Parlamento e. dai Consigli regionali. amministrazioni e l'inerzia inventiva delGli strumenti consistono in un generale' l'organo di controllo. potere di acquisizione, da attribuire alla Eppure, forse già le norme vigenti - raCorte, di tutti i dati, documenti, atti ezionalmente interpretate (faccio rinvio al .mio studio Verso la riscoperta di una fun- notizie attinenti alla gestione della cosa zione della Corte dei conti, in « Riv. fi- pubblica (Stato, enti pubblici territoriali ». nanz. » 1972) - consentirebbero di muo- enti pubblici non economici) integrato da un potere ispettivo e da un potere di versi in qualche modo: basterebbe instauinchiesta rafforzato (con diretta audirare procedure di avviso per comunicare zione degli interessati e utilizzazione di (art. 15 T.U. della Corte dei conti) al Ministro cui spetta i giudizi di irregolarità competenze esterne) quando sia, il Parla-
16 mento o uno o più Consigli regionali a chiedere alla Corte una specifica indagine conoscitiva su un. argomento determinato. Destinatario del controllo-conoscenza deve essere il Parlamento, informato in sede di relazione annuale o con relazioni speciali.; lo stesso Parlamento o i Consigli regionali sarebbero i destinatari dei risultati delle indagini conoscitive che ven.gano richieste volta a volta. È chiaro come questa prospettiva richieda - e ciò è espressamente detto nel documento in esame - una accentuazione della posizione di ausiliarietà della Corte nei confronti del Parlamento, così ritenendosi di « affrancare l'istituto dalla posizione di sottosistema del più vasto apparato del potere e delle tentazioni di atteggiarsi a potere a se stante e di farne una entità al servizio della comunità nel suo CQmplesso ». Ausiliarietà nei riguardi del Parlamento che trova una sua corrente attuazione in nna congiunta proposta di forma speciale di controllo-conoscenza da attuare sui decreti legge. Si ipotizza, cioè, l'abolizione del controllo preventivo attualmente esercitato su questi atti normativi, con con:seguente immediata esecutività degli atti stessi che dovrebbero essere, però, inviati alla Corte affinché questa entro un ter mine breve faccia conoscere al Parlamento-le proprie osservazioni - anche sotto il profilo della tecnica normativa e cli eventuali difficoltà applicative o interpretative - delle quali il Parlamento stesso dovrebbe tener conto « in sede di conver sione in legge del decreto legge ». Anche in questo caso la problematica trova il suo punto focale nella individua'zione dello stato dei rapporti tra Corte e Parlamento. LA FILOSOFIA DEL CONTROLLO PREVENTIVO Il discorso in precedenza svolto tocca, come si è potuto constatare, problemi di fondo che riguardano la stessa posizione istituzionale dell'organo dii controllo; l'ar -gomento al quale ora vogliamo accennare, e cioè se e in quali limiti il controllo debba essere preventivo o suc-
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cessivo, presenta rilevanti se non prevà. lenti aspetti tecnici. Esso non, è però di scarso interesse appena si consideri che a monte di esso a sua volta vi è un problema, al quale non sembra essersi prestata attenta considerazione e cioè se la scelta tra controllo preventivo e successivo abbia una propria autonomia. Occorre chiedersi se la riforma del controllo sia problema che possa trovare una soluzione a sè stante ovvero se solamente con il mutare delle regole dell'azione dei pubblici poteri sia giustificata e funzionale una modifica in profondità dell'attuale sistema. È una questione che qui ci limitiamo solo a porre come premessa. La Corte ha tenuto ferma per molti anni una posizione di stretta difesa del controllo preventivo ad essa affidato, talvolta intendendo questa difesa come neòessaria' salvaguardia delle proprie prerogative. Possiamo, così, cominciare a ricordare nell'immediato dopoguerra l'affermata illegittimità di atti normativi che mutavano in successivo il controllo della Corte; 'emanati dal Governo senza l'osservanza: del r.d.l. 9 febbraio 1939 n. 273 che richiede il preventivo parere della , Corte stessa sui provvedimenti che ne modifichino le attribuzioni (Sezioni riunite, 9 agostò'1946, n. 19). In varie circostanze poi, esprimendo parere su disegni di legge relativi al con trollo, la Corte formulava un suo contrario avviso alla trasformazione dello Stesso in successivo. Così si pronunciava negativamente sulla proposta di trasformare in successivo il controllo sui titoli di pagamento (Sezioni riunite, 24 luglio 1956, n. 44 e 28 dicembre 1956, n. 47), appèllaindosi anzitutto all'assenta minore efficacia del controllo successivo « per la triplice considerazione che solo il controllo preventivo può impedire l'effettuarsi di pagamenti non dovuti; che la resa dei conti da parte dei •funzionari delegati relativamente alle somme loro accreditate avviene normalmente con notevole ritardo.., e che, infine, l'effettivo' reèu. pero di somme, la cui illegittima erògazione venga accertata in sede di controllo postumo, è estremamente incerto e sem-
17 pre assai difficile » e rilevando che « nessuna fondata ragione giustificherebbe una così grave innovazione, non risultando, in punto di fatto, che il controllo preventivo abbia determinato ritardi nei pagamenti, perché esso viene effettuato in tempo brevissimo ». Rilevavano le Sezioni riunite in altra occasione (3 settembre 1964, n. 95) come il controllo successivo abbia effetti più per turbativi che riparatori. A giustificare tale posizione critica sul controllo successivo sta la filosofia del controllo che traspare da varie affermazioni. Talune sono intese ad una valorizzazione del controllo come autoconforto della sua natura di giudizio giuridico. In questo senso possono essere lette alcune affermazioni fatte nel periodo che va dagli anni Quaranta alla metà degli anni Cinquanta e in occasioni in cui il controllo usciva dal chiuso del caso risolto in un burocratico silenzio per presentarsi all'attenzione degli studiosi e degli operatori del diritto. In contrasto con tradizionali opinioni dottrinali e, come sempre più di frequente è avvenuto, con pareri del Consiglio di Stato, fu affermato che il sindacato della Corte dei conti in sede di controllo •non esaurisce il proprio compito nell'accertamento della conformità a legge dell'atto controllato, ma estende il proprio esame ai riflessi dell'esecutività dell'atto, nel senso di stabilire se gli effetti possano inserirsi nell'ordinamento giuridico. Il visto della Corte, cioè, non ha solo funzione di accertamento dichiarativo della legittimità dell'atto in rapporto alle norme vigenti al tempo della sua formazione, ma è accertamento con effetti costitutivi con il quale si rende operativo ed esecutivo il provvedimento dell'amministrazione (Corte dei conti, relaz. es . 1942-1947, presentata il 26agosto 1950, atto Camera X, n. 1-bis, 15). Pertanto le norme di ordine pubblico sopravvenute alla formazione 'dell'atto e precedenti la sua registrazione che vengono a privare un fatto passato delle conseguenze giuridiche che produceva in base a precedenti norme, precludono la possibilità di ammettere a registrazione un atto emesso in base alle norme
abrogate. Ciò in quanto le norme di ordine pubblico hanno applicazione irnmediata e incidono anche sui rapporti pendenti ma non ancora definiti, in ragione del pubblico interesse cui sono preordinate, differenziandosi in tal modo dalle norme di interesse privato che hanno, invece, di regola applicazione differita (Corte dei conti, riso!. 8 ottobre 1947, n. 183, in « Riv. Corte dei Conti », 1948, lI, 8). Importanti anche le affermazioni in sede di controllo sulla rilevabilità dell'eccesso di potere, alle quali facevano eco, in termini generali, le relazioni della Corte dei conti al Parlamento (relaz. es . 1942-1947, cit., 23; relaz. es . 1947-1950, presentata il 21 marzo 1952, atto Camera X, n. 1-bis, 23 e 24), precisando che l'ammissibilità del sindacato sull'eccesso di potere è fondata sul concetto di legittimità posto dall'art. 100 Cost. che non può avere portata diversa da quella con cui viene intesa nel nostro ordinamento giuridico. Con tale sindacato non si viene ad invadere il campo del « merito» dell'azione amministrativa. L'ammissibilità di un sindacato dell'eccesso di potere è stata affermata anche tenendo presente la ratio su cui si fonda il controllo preventivo, esteso a tutti gli atti, e la necessità, quindi, di rilevare tutti i vizi che possano inficiare anche quegli atti che, per essere lesivi soltanto dell'interesse dello Stato, mai potranno essere oggetto di ricorso agli organi di giustizia amministrativa da parte degli interessati. La limitazione del sindacato della Corte dei conti sull'eccesso di potere si ritenne potesse, semmai, derivare dai mezzi strumentali con cui opera il controllo (atto e documentazione), a differenza del sindacato giurisdizionale del Consiglio di Stato, donde la rilevabilità delle sole forme di contraddittorietà dei motivi e del dispositivo, di illogicità, di difetto di motivazione, di contraddittorietà dei provvedimenti e di travisamento dei fatti. Si collega subito logicamente a questo discorso quello relativo ai rapporti tra attività di controllo e attività consultiva del Consiglio di Stato. Ritroviamo infatti la decisa affermazione che non è attribuibile alcuna efficacia giuridica ai pareri del suddetto Consesso
18 amministrativo per quanto attiene alle proprie determinazioni nello svolgimento della funzione del controllo ad essa demandata dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie (Corte dei conti, risol. 31 agosto 1949, n. 294, in « Riv. Corte dei Conti », 1949, Il, 118). Ed è in questo periodo che venne radicàlizzato il contrasto con il Consiglio di 'Stato, in tema di controllo, sui decreti del Presidente della Repubblica di decisione di ricorso straordinario. La Corte dei conti affermò che il decreto del Presidente della Repubblica, il quale, su conforme parere del Consiglio di Stato in Adunanza Generale, accoglie un ricorso straordinario, è soggetto al controllo di legittimità della Corte stessa, controllo che non può incontrare alcuna limitazione. Nell'ipotesi di divergenza tra la decisione della Corte ed il parere del Consiglio di Stato, il Ministro competente deve ritenersi obbligato a portare l'affare al Consiglio dei Ministri perché deliberi se ritenga seguire l'avviso del Consiglio di Stato o invece quello della Corte, ricorrendo nel primo caso al visto con riserva e nel secondo caso autorizzando l'emanazione di un nuovo decreto non conforme al parere del Consiglio di Stato (Corte dei conti, •risoluz. 21 dicembre 1950, n. 361, in « Riv. Corte dei Conti'», 1951, Il, 57). D'altro canto, costituivano corollario di questa concezione le seguenti affermazioni. La prima secondo cui (Sez. contr., 4 giugno 1959 n. 179, in «Riv. Corte dei Conti », 1960, Il, 1 ed in « Foro amm. », 1960, III, 21) la deliberazione negativa in sede di controllo non comporta alcun vincolo giuridico per l'amministrazioné, giacché esaurisce i propri effetti unicamente in relazione al provvedimento che ne è specificamente oggetto. Da ciò è stata tratta la conseguenza che l'amministrazione ben può riprodurre lo stesso provvedimento e la Corte deve compiere •una nuova ed autonoma valutazione di legittimità in relazione alla quale le pronunzie già emanate, anche sullo stesso oggetto, non hanno altro valore che quello di precedenti giuridièamente non vincolanti. Le deliberazioni della Sezione dicontrollo,
poi, siano esse di ammissione al visto o di ricusazione del visto, contengono criteri interpretativi di disposizioni di legge vigenti. La Corte ha ritenuto che l'indicazione di detti criteri non importa alcun obbligo per l'Amministrazione di emanare provvedimenti conformi a tali criteri. Ciò nel duplice senso che ben può l'Amininistrazione provvedere all'annullamento 'd'ufficio di un provvedimento adottato, in conformità a criteri accolti dalla Sezione di controllo e ben può discostarsene per lo stesso o per altro provvedimento (Corte conti, Sez. contr., 4 giugno 1959 n. 179, cit.). Sulla base di queste premesse si giustifica la posizione della Corte in tema di controllo successivo. Troviamo, infatti, affermato che non ha rilievo la :circostanza meramente estrinseCa che il controllo si esplichi in pratica prima o dopo che l'atto abbia avuto la sua esecuzione, giacché la natura preventiva o successiva del controllo non dipende da un fattore cronologico, ma dal fatto essenzialmente giuridico che il visto in sede 'di controllo preventivo condiziona l'efficacia stessa dell'atto, mentre in sede di controllo successivo attiene ad un, provvedimento già formalmente esecutivo. Anche il controllo successivo si estrinseca nel visto e nella conseguente registrazione e comporta, in caso di dissenso tra l'amministrazione e l'ufficio di controllo, il deferi mento della relativa pronunzia alla Sezione del controllo, con ammissione o rifiuto del visto (Corte conti, Sez. contr. 2 agosto 1962 n. 266, in « Foro amm..», 1964, Il, 3, 177). È anche da registrare una posizione dell'Istituto contraria a mutare sistemi di attività, a cogliere spunti da modalità di esercizio del controllo non puramente vegetative. Nel 1971, con legge del 25 novembre n. 1042, fu stabilito il controllo della Corte sulle gestioni fuori bilancio e prevista la possibilità per la Corte di effettuare ispezioni. Norma non nuova perché una previsione di tal genere è contenuta già nel Testo unico del 1934. Come questa anche la più recente disposizione non ha trovato applicazione ed è
19 a chiedersi se per un fenomenò di rigetto da parte dell'istituto o dei suoi vertici. E. quando con varie disposizioni, come appresso si vedrà, il controllo è divenuto successivo per molti atti, la preoccupazione maggiore dell'organo di controllo è apparsa quella di rinvenire regole per l'esercizio del riscontro dei singoli atti secondo i modelli consolidati. CORTE DEI CONTI E AMMINISTRAZIONE Un'analisi dei rapporti Corte-Amministrazione che ora ci sembra debba seguire, può prendere le mosse da due constatazioni che emergono dall'esame dell'esperienza storica del controllo. La prima è questa: la Corte dimostra l'atteggiamento di chi sa che il controllo si inserisce in un'azione amministrativa la quale, in quanto persegue finalità pubbliche, spesso di evidente, urgente attuazione, opera con strumenti di sostanziale funzionalità, anche se talora di opinabile legittimità. La seconda è questa: tenute presenti le incongruenze della formazione amministrativa e la possibilità, quindi, di interpretazioni diverse, la Corte accetta il fatto che, nella realtà, queste diverse inter pretazioni siano adottate dalle varie amministrazioni secondo le esigenze. Tanto più che è sempre stata assolutamente Carente ogni azione di coordinamento in sede governativa. Da questi atteggiamenti derivano gli adattamenti concreti che in un lontano passato giungevano sino al sistema, seguito dalla Corte, di inviare note circolari ai vari Ministri, con le quali manifestare il proprio avviso in ordine a determinati problemi, precisando la posizione che avrebbe assunto in ordine ad atti di un certo tipo che venissero presentati al suo esame (relazione 1890-1891, presentata il 21 novembre 1891, Atto Camera XXVIII, 99). Più di recente, con funzione analoga, veniva adottato il c. d. rilievo a vuoto (v. risoluz. 9 luglio 1949, n. 282, in «Riv. Corte dei Conti », 1949, lI, 99 e in particolare 101 in tema dileggi di bilancio). Con esso la Corte manifestava ugualmente il proprio avviso in ordine
a determinati problemi, indicandone la soluzione che, avvertiva, doveva essere seguita in casi futuri, ma ammettendo a registrazione l'atto adottato sulla base di differenti criteri. Questa prassi venne contrastata in tempi successivi (circolare Presidente Corte 16 luglio 1956, n. 5355), ma non fu agevolmente superata. Nella realtà dei fatti questo inquinamento dei rapporti Corte-Amministrazione veniva a realizzarsi anche attraverso le pronunce c. d. ufficiose della Sezione del controllo con le quali l'Amministrazione veniva posta in condizione di subire una pronuncia sostanzialmente definitiva senza essere stata sentita. Inoltre, risulta frequente la prassi dei c.d. rilievi di replica con i quali l'ufficio di controllo, nonostante la risposta data dall'Amministrazione alle osservazioni già mosse (il che avrebbe consentito il deferimento della pronuncia alla Sezione del controllo) afferma « inconferente» la risposta stessa e conclude con un sostanziale rifiuto di registrazione dell'atto che viene restituito all'Amministrazione. Prassi indubbiamente anomala che trasferisce all'Amministrazione l'iniziativa di chiedere la pronuncia della Sezione del controllo e che risulta dall'esame di numerosi casi venuti poi al giudizio dell'organo collegiale di controllo, dalla narrativa di ricorsi giurisdizionali, dalla comune conoscenza dei fatti amministrativi. Da ultimo va accennato come risulti accertata la tendenza di talune amministrazioni, assoggettate per legge soltanto a controllo successivo, a differire l'esecuzione di molti atti ad avvenuta registrazione dei medesimi da parte della Corte. Ciò può essere dettato da esigenze di copertura di responsabilità, dalla volontà di vedere respinto un atto se adottato senza convinta partecipazione, ma è comunque patologia che induce a riflettere su semplicistiche soluzioni, specie se frammentarie, che trasformano il controllo da preventivo in successivo senza modificazioni più profonde del sistema. A questo fa riscontro l'altro atteggiamen-
20 to, costante nelle Amministrazioni nei casi di controllo successivo, di rimandare o omettere l'invio degli atti alla Corte, di non dare risposta alle osservazioni dell'organo di controllo, di vanificare, in concreto, l'attività di quest'ultimo. Abbiamo volutamente trascurato in questa nostra esposizione l'indicazione delle generiche e non motivate posizioni di insofferenza al controllo da parte delle Amministrazioni, cioè le mere mormorazioni, per individuare quelli che ci sembrano i punti essenziali della tematica. Essi si concretano, da un lato, in tentativi di dirigismo da parte della Corte, assecondati dall'Amministrazione ove non tocchino interessi sentiti e che in caso contrario creano frizioni nelle quali la soccombenza non è sempre dell'Amministrazione e, dall'altro, la tendenza da parte dell'Amministrazione a scegliere il controllo preventivo se vi abbia interesse e a vanificare quello successivo se può. A questo punto si può tirare una conclusione: l'interlocutore reale della Corte dei conti è stata lnora l'Amministrazione. Con tutti i moti d'animo « amoreodio» che le partnership comportano. E ciò va detto a prescindere da ogni problema di qualificazione giuridica dell'attività di controllo che nell'ambito di qùeste considerazioni interessa poco. I
RAPPORTI PARLAMENTO-CORTE
Del resto un'ulteriore verifica della conclusione appena tratta può essere ricavata da una rapida rassegna degli stentati rapporti fra Parlamento e Corte dei conti. Non si rinvengono prese di posizioni in argomento fino al 1961 quando, a iniziativa peraltro dell'opposizione, fu presentato un ordine del giorno (On.le Luzzatto, Camera dei Deputati, resoconto sommario, seduta 6 luglio 1961) non approvato e così formulato: « La Camera, considera che ai •fini di un pieno assolvimento, da parte della Corte dei conti,
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dei compiti ad essa attribuiti dalla Costituzione, si rende necessario realizzare, in primo luogo ed in forma più efficace; il diretto collegamento tra i due rami del Parlamento e la Corte dei conti medesima, allo scopo della piena attuazione del controllo sulla legittimità degli atti del Governo e sulla gestione del bilancio dello Stato, nonché sulla gestione degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria; considera l'opportunità che sia istituita una giunta permanente per l'esercizio delle attribuzioni parlamentari in ordine alle funzioni di controllo espletate dalla Corte dei conti ». Una consapevolezza del rilievo dei rapporti con il Parlamento può vedersi nella vicenda già illustrata relativa alla relazione che la Corte rende a quest'organo sui risultati del proprio riscontro. Pur migliorando e rendendo più funzionale alle esigenze dell'organo legislativo il proprio referto, l'Istituto, peraltro, manifestò, in primo tempo per bocca dei suo Presidente (nel discorso per il centenario della 'Corte già citato), l'avviso sulla propria posizione derivante dalla funzione di ambivalente guarentigia dell'Esecutivo e del Parlamento. « Posizione di perfetto equilibrio e di assoluta equidistanza tra Governo e Parlamento che consente alla Corte di poter, con appagante efficacia, reciprocamente l'uno e l'altro affidare e garantire ». In questo quadro va ricordata la vicenda, svoltasi nel periodo dal 1965 al 1969, di rilevante interesse in tema di rapporti tra Corte e Parlamento. In sede parlamentare, infatti, venne ii chiesto l'intervento del Presidente della Corte a riunioni di Commissioni permanenti aventi per oggetto la discussione di questioni inerenti al bilancio della Stato. La risposta del Presidente fu sempre negativa ed il problema, più di una volta ritornato all'esame, non fu senza eco in sede di discussioni parlamentari e sulla stampa (Il Presidente non si muove, «L'Espresso », i ottobre 1967). Possiamo senza presunzione di completezza indicare alcuni momenti sintomatici. Innanzitutto si può citare l'accenno
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21 contenuto nell'intervento del Sen. Perna del 26 luglio 1967 (Senato, IV legislatura, 688' seduta - pomerid. -, resoconto stenografico, pag. 36989) alla necessità di ritrovare i <cmodi nei quali realizzare più efficacemente il precetto dell'art. 100 della Costituzione, e cioè forme concrete .e agili di collegamento fra la Corte e le due Camere '. Discussioni furono poi svolte in argomento in occasione della riforma dei regolamenti dei due rami del Parlamento, ma il documento che ci sembra di maggior rilievo è quello dell'Allegato 1 al Doc. 311-A della Camera dei Deputati, approvato all'unanimità dalla Commissione bilancio nella seduta del 2 ottobre 1968. In esso si legge che la riforma del Regolamento può costituire occasione per impostare un corretto rapporto tra Corte dei conti e Parlamento. Appare viva l'eco dell'iniziativa della Corte di sollevare questioni di legittimità costituzionale per leggi di spesa in occasione del giudizio di parificazione sul rendiconto ge.nerale dello Stato: <cil controllo della Corte - vi si legge - anziché per il Parlamento diviene, di fatto, sul Parlamento >'. A parte le modalità procedurali discusse. in sede parlamentare viene, infatti, formulata la proposta di una normativa regolamentare che - scavalcando jI Presidente che non si muove - cc potrebbe predisporre in via normale che la Commissione convochi e ascolti il competente magistrato della Corte in occasione del proprio esame istruttorio di una contabilità consuntiva. Stabilirebbe in tal modo il principio di una disponibilità dell'organo Corte nei confronti del Parlamento, una ausiliarietà che non si esaurisca nell'invio annuale di un documento: il controllo della Corte, non avendo altra destinazione che quella di riferire al Parlamento, si porrebbe in modo meno distaccato, come un momento istruttorio del controllo parlamentare ». Chiare espressioni che trovano poi ulteriori sviluppi quando si afferma che la Cor te dovrebbe, in un rapporto corrente con la Commissione bilancio, costituirne il normale canale di informazione e docu-
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mentazione, essere ausiliaria anche per l'istituto deWinterrogazione, per giungere a ipotizzare che il rapporto organizzativo del Parlamento dovrebbe assicurare un coordinato e organizzato rapporto tra Parlamento e il suo organo ausiliario (Corte dei conti). Vi si intravvede un'idea di « ausiliarietà» della Corte come vero supporto organizzativo del Parlamento. E questa tesi è riecheggiata in vari interventi. Tra gli altri, quelli di Caprara e di Scalfari: quest'ultimo afferma che «i magistrati della Corte, invitati a dare chiarimenti alla Commissione, si rif iutano, quasi che la Corte non fosse l'organo istruttorio del Parlamento nella sua azione cli controllo del Governo »; entrambi poi invocano modifiche al Regolamento. Anche l'On.le Fabbri relatore per il rendiconto parlò di apporti di collaborazione istruttoria della Corte dei conti (Camera dei Deputati, V legislatura seduta del 14 gennaio 1969, pag. 23, del 24 gennaio 1969 - pomeridiana -, pag. 44 del 27 gennaio 1969, pag. 13). Va tenuto presente che il Senato nel' modificare il 16 gennaio 1969 il proprio Regolamento, non tenne conto alcuno di queste aspirazioni emerse in seno alla Camera dei Deputati (v. G. U. 24 gennaio 1969, n. 20). Nel Regolamento del Senato e della. Camera, approvati in epoca successiva (rispettivamente il 17 e il 18 febbraio 1971), giova qui precisare, per concludere il discorso, che la problematica. della utilizzazione del Presidente della. Corte o dei singoli magistrati cade nel nulla; anzi si afferma (Senato, art. 133) che « le Commissioni hanno facoltà dj chiedere al Presidente del Senato di invitare la Corte dei conti a fornire in.for-. mazioni, chiarimenti e documenti, nel rispetto delle competenze della Corte stessa attribuite dalle leggi vigenti »; ov-. vero (Camera, art. 148) che cc Un Presidente di commissione per la materia di com-. petenza di questa o un Presidente di grup-. P0 possono, tramite il Presidente della. Camera, avanzare richiesta di informazioni, chiarimenti e documenti alla Corte dei conti nei limiti dei poteri a questa attribuiti dalle leggi vigenti ».
22 L'indagine conoscitiva condotta dalle Camere nel 1971 sui problemi della spesa é della contabilità pubblica si occupò .dei modi di attuazione delle norme del regolamento della Camera dei Deputati riguardanti la collaborazione della Corte dei conti all'opera di controllo da parte .delle Commissioni finanziarie del Parlamento sulla legislazione di spesa e sulle coperture a termini dell'art. 81 della Costituzione; il documento conclusivo de1 Comitato puntualizzava la possibile attività della Corte, sia per fornire al Parlamento dati per l'analisi della copertura della legge di spesa, sia per acquisire informazioni, chiarimenti e documenti presso la pubblica amministra.zione. Ma quando nel 1975 il Presidente della Camera dei 'Deputati, su invito del Comitato permanente per le partecipazioni statali, istituito in seno alla Commissione bilancio e programmazione, richiese al Presidente della Corte dei conti di far conoscere la sua disponiTbilità o quella di un Magistrato dal medesimo designato, ad essere ascoltato dal predetto Comitato nel corso dell'indagine conoscitiva sul sistema delle partecipazioni statali, disposta dalla Com.missione d'intesa con la, Presidenza della Camera ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei Deputati, la Corte riaffermò che la 'sua attività esterna si svolge soltanto a mezzo di organi collegiali, ai sensi delle disposizioni della Costituzione e delle leggi ordinarie che precisano i limiti ed i poteri attribuiti all'Istituto, nonché i rapporti che questo deve tenere con il Parlamento. Ciò in base all'avviso espresso dalle Sezioni riunite nell'adu.nanza del 22 febbraio 1974, in cui si era appunto ritenuto che fosse preclusa al Presidente della Corte, o ad un magistrato dal medesimo designato, la possibilità di fornire di persona gli ele'menti utili ai fini di indagini conosci'tive, potendosi l'Istituto pronunciare soltanto nelle sue sedi collegiali. Sembra, quindi, che si sia giunti ad un punto morto dal quale non si intravedono ulteriori sviluppi. Forse a rendere difficile la possibilità di soluzioni vi sono posizioni, non chiara-
mente emerse, ma che sono ipotizzabili. Viene certo da chiedersi se, al di là della polemica e delle dichiarazioni di principio, il Parlamento intenda davvero ot tenere informazioni. Ricordiamo che la sola richiesta specifica indirizzata all'organo di controllo è stata quella di conoscere in base a quali considerazioni la Corte avesse ritenuto legittimo e registrato un atto.
LE MODIFICHE NORMATIVE DEL CONTROLLO NELL'ULTIMO TRENTENNIO
Il. discorso deve ora spostarsi sull'anausi delle riforme attuate in questi trenta anni, aggiungendo alcune notazioni sul loro concreto operare nella realtà del controllo. Nel 1953 fu attuata 'una modifica al Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti che venne prospettata come un ritorno al sistema previsto dalla legge istitutiva della magistratura di controllo. Abolito il potere del Consigliere delegato di rifiutare il visto e la registrazione degli atti, furono potenzialmente ampliati i casi in cui la pronuncia di legittimità dovesse essere deferita all'esame della Sezione del controllo, non più giudice di appello su richiesta dell'Amministrazione, ma organo competente a pronunciarsi ogni qualvolta un atto non fosse ritenuto legittimo dal Consigli,ere delegato. Venne anche previsto un potere di deferimento del Presidente della Corte per la pronuncia della legittimità di provvedimenti ancorché non ritenuti illegittimi dal Consigliere delegato, ove esistessero questioni di massima di particolare importanza. L'entrata in vigore della legge del 1953 portò ad un'attivazione della Sezione del controllo - in precedenza rimasta quasi del tutto inoperosa - anche se il numero delle pronunce emesse in tutti questi anni non possa dirsi rilevante. Ciò è stato determinato sia dallo svolgimento dell'attività di coordinamento - che in taluni periodi si è concretata sostanzialmente nella formulazione di istruzioni - sia dall'adozione di stru-
23 menti miranti a soddisfare una esigenza che appare sempre emergere nell'attività di controllo: quella di una consultazione dei consiglieri delegati al controllo tra loro o con altro organo della Corte. Vennero così previste nel 1956 (ordinanza 28 novembre 1956, n. 131) adunanze collegiali non formalizzate dalla stessa Sezione del controllo per una preventiva discussione in sede collegiale di questioni che potrebbero dar luogo a rilievo, ovvero (circolare 28 novembre 1966) « quando l'atto o il provvedimento dell'amministrazione ovvero anche un comportamento della stessa, risultante da una serie di atti' o provvedimenti, inducano nei magistrati preposti al controllo perpiessità tali che, pur non essendo decisamente traducibii in motivi di rilievo, meritino di essere vagliate mediante una disamina in sede collegiale, che si conforti anche dei dati delle esperienze consumate nonché delle rilevazioni che, per casi analoghi o afilni, siano state eventualmente già eseguite ». In concreto occorre, però, notare come nella prassi di queste adunanze la consultazione venga a concretarsi anche in -occasioni diverse da quelle per le quali era stata prevista e cioè dopo che il rilievo era stato mosso all'Amministrazione; sicché la deliberazione, sia pure non formale, della Sezione del controllo poteva costituire un modo surrettizio per evitare pronunce ufficiali e quindi pubbliche dell'organo di controllo. Tutto ciò portava ad ammettere al visto degli atti che, venivano disposti dal Consigliere delegato, ma con la copertura di questo avviso collegiale, nonché a formulare nuovi rilievi all'Amministrazione su atti già oggetto di precedenti rilievi, in quanto l'esame della Sezione nella sede ufficiosa suddetta non può concludersi con una pronuncia di diniego del visto, ma solamente con l'invito al Consigliere delegato di insistere nel rilievo. E questo nuovo rilievo, nei fatti suffragato della deliberazione collegiale degli stessi componenti la Sezione che avrebbe dovuto deliberare in via ufficiale, rende per le amministrazioni quasi superfluo chiedere una pronuncia espressa il cui
contenuto ben difficilmente potrebbe essere diverso. Va notato che negli anni dal 1962 al 1967 un nuovo sistema informale di soluzione delle questioni, con contenuto sostanzialmente equivalente alle suddette adunanze, quale nella prassi si era venuto determinando, fu ottenuto attraverso riunioni tenute presso il Presidente della Sezione preposto al coordinamento del controllo alle quali venivano 'chiamati a partecipare i Consiglieri delegati. Inoltre nel 1971, nell'ambito della Sezione del controllo, furono costituiti gruppi di lavoro con la dichiarata funzione di attuare il coordinamento del controllo preventivo e successivo e di risolvere questioni aventi carattere di massima e di particolare urgenza, specialmente nei casi di applicazione di nuove leggi organiche. Sistema informale di esercizio del controllo che si aggiungeva a quello delle adunanze ufficiose ugualmente tenutesi in tutto questo periodo; sistema informale il quale rispondeva ad esigenze reali. La prima esigenza era quella di assicurare l'uniformità nell'azione attraverso l'esercizio di poteri di coordinamento. Ora i' gruppi di lavoro, con il supporto collegiale dato alle risoluzioni di coordinamento, gli fornivano quella garanzia che era mancata in precedenza, in cui esse si risolvevano in istruzioni emanate da un organo monocratico. La seconda esigenza era quella della consultazione tra Consiglieri delegati con procedura rapida e senza coinvolgere l'Amministrazione. Senonché• i gruppi di lavoro, in quanto tali, non potevano accogliere tutti i Consiglieri delegati, e le preoccupazioni « deòntologiche» consistenti nella deviazione dal normale procedimento di controllo che si veniva così a determinare, portarono a iniziative dell'Associazione magistrati con la conseguenza della soppressione dei gruppi stessi alla fine del 1974. Né va trascurato sotto questo profilo il fenomeno, già posto in evidenza, dei c. d. rilievi di replica. Può quindi, ritenersi che le finalità in-
24 novatrici della legge del 1953 siano state in parte disattese e che sia rimasta sempre decisiva nell'attività di controllo la posizione del Consigliere delegato. Il che ha comportato una sua preminenza gerarchica nei riguardi degli altri magistrati addetti al controllo e la riduzione dell'attività di questi a preparatoria o esecutiva. La legge del 1953 e quella successiva del 1961 - che non innoyava sostanzialmente in materia ma conservava la riqualificazione di carriera dei magistrati portarono ad un naturale movimento di opinione ed a discorsi rivendicativi di fi.inzioni nell'ambito di una effettiva riforma dell'Istituto. In verità nei primi anni '60 era possibile pervenire ad una riforma del controllo. La legge del 1961 prevedeva, infatti, una delega al Governo (art. 44) per l'emanazione tra gli altri di un testo unico in materia di controllo, con potere. di introdune innovazioni alle norme vigenti. Nel corso del tempo lasciato al Governo per questa iniziativa emersero in seno alla Corte specifiche istanze innovatrici. Va notato come esse fossero relative più alla soluzione di problemi interni e alla. posizione dei magistrati delle varie funzioni, che a discutere o ridiscutere la funzione del controllo nel nostro 'ordinamento. E difatti, come può rilevarsi da un progetto redatto dal Comitato direttivo dell'Associazione magistrati nel 1963, le critiche si 'appuntarono sulla posizione del Consigliere delegato, sul fenomeno dei rilievi a ripetizione, già da noi messo in luce, sul carattere gerarchico sovente assunto dall'attività di coordinamento. Rivendicazioni, quindi, apprezzabili, le quali non coglievano però che uno degli aspetti problematici della struttura del controllo. Quali ne siano state le ragiéni - e si è parlato di. influenze in tal senso esercitate dalla stessa Corte o 'dal suo vertice - i testi unici non furono emanati e la delega venne a scadere. Alla fine del 1964 il Governo predisponeva, però, uii 3 schema di disegno di legge mirante alla semplificazione dei control-
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li. Qùesto testo si limitava a elencare i decreti del Presidente della Repubblica sottratti al controllo della Corte, ad elevare i limiti di nomina previsti dalla legge di contabilità ed a conferire una generica delega al Governo per la semplificazione appunto del controllo. Eppure la reazione . dell'Istituto fu decisa, rivendicando l'organo di controllo l'Ùnicità della funzione ed avvertendo come dovesse essere distinta la semplificazione dei controlli interni, da risolversi nell'ambito delle riforme dell'amministrazione, dalla semplificazione delle procedure di controllo della Corte (Sez. riun., parere 3 settembre 1964, n. 95) già citato. La Corte si pronunciò quindi nettamente contrò la esclusione dal suo controllo dei provvedimenti legislativi emanati dal Governo (;Sez. riun., 18 dicembre 1964, n. 98), rilevando come il Governo potesse ritornare a modificare i decreti legislativi ancorché scaduto il termine della delega e negando la validità del richiamo a ragioni di speditezza, perché il controllo si svolge sollecitamente. Venne precisato che con il controllo si dispiega quella spontanea reazione alla illegittimità in un ambito diverso dallo stesso giudizio di costituzionalità connesso all'impulso mediato o immediato di parte. Affermò, anche la Corte che, essendo i decreti legge ed i decreti legislativi tipici atti del Governo, sarebbe stata necessaria una riforma costituzionale per sottrarli al controllo della Corte; Anche questo disegno di legge - che non incontrò in sede parlamentare favorevoli accoglienze - non ebbe seguito. Risultava anche evidente nella sede suddetta uno sfavorevole atteggiamento verso una delega in materia al Governo, in specie se generica come quella proposta in sede governativa. Atteggiamento sfavorevole condiviso da alcuni ambienti della Corte e motivato anche daI sospetto di soluzioni normative influenzate da istanze conservatrici ritenute pericolose dato l'accentramento d.i poteri negli alti gradi della magistratura. Tralasciamo del tutto l'esame delle proposte e controproposte che per iniziativa di gruppi di magistrati o anche dei
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25 presidenti della Corte sono state elaborate negli ultimi dieci anni. Quel che si può dire è che non si è andati oltre una successione di iniziative frammentarie e contraddittorie. Rimanendo alle iniziative ufficiali si arriva nel 1971 ad uno schema di decreto delegato predisposto dall'Ufficio della riforma dell'Amministrazione. Con il dichiarato fine di rendere più sollecito ed efficace il controllo preventivo questo schema predisponeva un sistema di termini entro i quali le singole amministrazioni, le Ragionerie centrali competenti e la stessa Corte dei conti dovevano adempiere ai loro compiti. La più importante innovazione concerneva il visto tacito: trascorsi termini ben precisi entro i quali la Corte poteva pronunciarsi sulla legittimità degli atti, questi sarebbero divenuti ugualmente efficaci e potevano essere posti in esecuzione. Sugli atti stessi, però, la Corte avrebbe esercitato il controllo in via successiva. Anche di rilievo appaiono le disposizioni che, imponendo alle Ragionerie centrali di trasmettere alla Corte gli atti con le proprie osservazioni, dandone sola comunicazione all'Amministrazione interessata, rendevano funzionale il riscontro di detti uffici all'attività della Corte. Per quanto concerne l'area del controllo preventivo, venivano esclusi i decreti legislativi ed i decreti legge, i titoli di pagamento, i provvedimenti di decisione dei ricorsi straordinari e altri provvedimenti del Presidente della Repubblica salvo quelli adottati in difformità al parere del Consiglio di Stato. Altra disposizione nuova affidava alla Corte, in parallelo al compito già ad essa spettante di riferire al Parlamento le proprie osservazioni intorno al modo con il quale le pubbliche amministrazioni si fossero conformate alla disciplina di ordine amministrativo e finanziario, l'ulteriore compito di comunicare al Presidente del Consiglio dei Ministri e all'Amministrazione interessata i casi in cui l'attività dell'Amministrazione risultasse non conforme alle esigenze del « buon andamento» previsto dalla Carta Costituzionale.
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Questa iniziativa governativa non incontrò, però, i favori' della Corte che, a Sezioni riunite (16 marzo 1971), senza entrare nel merito delle innovazioni proposte, si limitò a rilevare che lo schema di provvedimento legislativo si atteggiava quale attuazione della delega contenuta nell'art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, che ha sostituito l'art. 4 della legge 18 marzo 1968, n. 249. Siccome oggetto della delega era il riordinamento dei singoli procedimenti amministrativi nei vari settori, da informare ad un modello di disciplina dell'azione amministrativa, non poteva trarne fondamento nella delega stessa un decreto delegato concernente il controllo sulla legittimità degli atti delle Amministrazioni dello Stato, esterno, pubblico ed indipendente, spettante alla Corte dei conti, che non rientra nell'ambito riservato all'azione amministrativa, ma anzi si colloca in uno spazio a sé stante, nel quale non trovano e non devono trovare posto le regole peculiari di azione e di relazione della Pubblica Amministrazione. Molte sono state le proposte parlamentari di riforma del controllo esercitato dalla Corte dei conti ma nessuna ha avuto seguito concreto. Che cosa rimane delle modifiche del controllo sull'Amministrazione statale? Il quadro frammentario che si può ricavare dall'esperienza dell'ultimo trentennio può essere così riassunto: a) trasformazione del preventivo in successivo per tutti gli atti relativi a certi tipi di intervento della Pubblica Amministrazione: leggi 6 agosto 1974 n. 366, art. 13, in tema di progettazione ed ese-' cuzione di opere nei porti;, 12 aprile 1975 n. 133, art. 2, che reca provvidenze per le popolazioni dei comuni della Sicilia e della Calabria colpite dalle alluvioni della fine del '72; 27 maggio 1975 n. 166, art. 16, recante norme per interventi straordinari di emergenza per l'attività edilizia. È da notare che in altri casi (come nella conversione dei dd.11. 13 agosto 1975 n. 376 e 377: Senato VI legislatura, Docc. 2266 e 2267, che dispongono provvedimenti per il rilancio dell'economia riguardanti le esportazioni, l'edilizia e
26 le opere pubbliche.. il primo, le piccole e medie imprese, l'agricoltura, il Mezzogiorno e i trasporti il secondo) il Parlamento ha espressamente eliminato le norme che prevedevano, in sostituzione del preventivo, il controllo successivo di legittimità della Corte dei .conti; sottrazione al controllo preventivo di determinati tipi di atti, per esempio i mandati di pagamento. Sul provvedimento ora indicato che concerne l'adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, la Corte si era pronunciata negativamente (parere Sezioni riunite, 9-16 agosto 1973); pronuncia poi attenuata con successivo parere (Sezioni, riunite, 2 ottobre-20 novembre 1974); autorizzazione ad eseguire determinati pròvvedimenti. in tema di concorsi pubblici anche 'in pendenza del visto della Corte: d.P.R. 16 settembre 1972 n. 593,
art. 9, riguardante il ministero delle Finanze; leggi 29 maggio. 1974 n. 218, art. 5, riguardante il ministero dei Lavori pubblici; i marzo 1975 n. 44, art. 2, 4 co., riguardante il ministero dei Beni culturali, e ambientali; formulazione di non chiaro significato come quella dell'art. 2 della legge 17 agosto 1974 n. 413, in tema di finanziamento di opere di edilizia scolastica, che prevede la presentazione di un «rendiconto esclusivamente contabile » ovvero del terzo comma dell'art. 2 della legge i marzo 1975 n. 44, già citata, il quale quasi introducendo un visto tacito stabilisce che « l'amministrazione è autorizzata a procedere ,all'espletamento dei concorsi se entro quindici giorni dall'inoltro dei relativi bandi agli organi di controllo non sia stato rifiutato, il visto della Corte dei conti ». C'è bisogno di osservare che si tratta di ben poco?
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